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L’articolo esamina il tema dello sfruttamento della persona a scopo lavorativo e degli strumenti giuridici finalizzati al suo contrasto. Sul piano criminologico, vari contesti lavorativi presentano forme diffuse di sfruttamento, le più recenti delle quali sono collegate all’impatto delle nuove tecnologie. Tale mutamento è stato indotto anche dall’emergenza legata alla pandemia da Covid-19. Il carattere sanitario di questa emergenza ha sollecitato un significativo incremento dello smart working, che si è tuttavia rivelato un modello idoneo a creare condizioni lavorative particolarmente gravose. La necessità di assicurare il distanziamento sociale e analoghe misure precauzionali ha offerto nuove possibilità di espansione del mercato del lavoro ma anche ulteriori occasioni di sfruttamento della persona. Al fine di esaminare l’effettività degli strumenti penalistici nel contrasto di queste forme di sfruttamento, è oggetto di specifica analisi l’art. 603 bis c.p. Questa disposizione rappresenta attualmente un punto di riferimento nelle strategie di repressione delle pratiche di sfruttamento in ambito lavorativo. La complessità di questo fenomeno, tuttavia, richiede che il diritto penale sia affiancato da altri strumenti giuridici, in particolare da misure preventive in grado di promuovere condizioni lavorative dignitose, la trasparenza dell’intermediazione in ambito lavorativo e l’identificazione tempestiva delle differenti forme di lavoro irregolare.

Il saggio, facendo leva sull’interpretazione costituzionale, individua nel diritto del lavoro, inteso in senso ampio e comprensivo della sicurezza sociale, lo strumento principale dell’ordinamento per il superamento della povertà e l’affermazione della dignità umana. Dopo aver rapidamente ripercorso l’evoluzione storica della disciplina ed evidenziato gli aspetti che maggiormente connotano il contrasto all’indigenza, nel mercato e nel rapporto di lavoro, l’autore si concentra sulle sfide più recenti, che fanno riemergere preoccupanti sacche di povertà: deregolazione, trasformazione digitale dell’economia e, da ultimo, pandemia. Nell’ultimo paragrafo l’autore valuta criticamente le iniziative legislative in fieri, comprese quelle preconizzate nel PNRR, e presenta i propri suggerimenti per una revisione del diritto del lavoro che rafforzi la sua efficacia nel contrasto alle povertà vecchie e nuove, mantentenendo la centralità del lavoro, inteso come diritto-dovere di ogni cittadino, posto al centro del patto repubblicano.

Lo sconcertante spettacolo della drammatica povertà, che le strade delle grandi e piccole città del paese più ricco del mondo -gli Stati Uniti- offrono, richiede una spiegazione. Si tratta di un vero e proprio furto perpetrato negli ultimi quarant’anni dai ricchi ai danni dei più fragili, la cui responsabilità ricade in grande misura su un sistema giuridico non soltanto incapace di tutelare il debole -lasciato in balia delle forze del mercato- ma perfino pronto ad attaccarlo, quando la legge della domanda e dell’offerta potrebbe giocare a suo favore. Pur col suo carico di sofferenza in capo soprattutto agli ultimi, la pandemia sembra però oggi inaspettatamente offrire nuove opportunità a chi è economicamente più fragile.

La lotta contro la povertà è una funzione importante dello Stato russo. Viene attuata per mezzo di vari rami del diritto, tra cui il diritto del lavoro e il diritto della sicurezza sociale. Il compito del diritto del lavoro è quello di prevenire la povertà. A questo scopo, il diritto del lavoro sancisce il diritto di un dipendente ad essere pagato almeno il salario minimo. L'approccio dello Stato nello stabilire il salario minimo è cambiato ripetutamente, da una definizione arbitraria di questo valore a fissarlo in un importo non inferiore al livello minimo di sussistenza. Anche l'approccio per determinare il livello minimo di sussistenza è cambiato, da una valutazione monetaria del costo del paniere di consumo, che tiene conto dei bisogni fisiologici delle persone abili, al livello attuale del salario mediano nel paese. Considerando il diritto russo della sicurezza sociale, le strutture legali che sanciscono il criterio del bisogno sono discusse in questo articolo. Le misure per garantire il sostegno dei poveri sono divise in due gruppi: quelle volte a prevenire la povertà, e quelle che riducono la povertà che si è già verificata. Nelle conclusioni si stabilisce che, nonostante alcuni cambiamenti positivi nel diritto del lavoro russo e nel diritto della sicurezza sociale durante la pandemia, le misure per prevenire la povertà e per sostenere i poveri non garantiscono un livello di vita decente.

La rilevanza progressiva assunta dalla categoria di “vulnerabilità” (o specificamente di “soggetto vulnerabile”) all’interno del dibattito filosofico-giuridico contemporaneo consente di rimarcare la sua relazione con la dimensione della povertà. A partire dal quadro complesso rappresentato dal nesso tra globalizzazione e crisi dello Stato, il saggio si focalizza sulla coppia concettuale vulnerabilità-povertà: l’analisi consente di mettere in luce la dimensione antropologica sottesa all’orizzonte del plesso vulnerabilità-povertà e il profilo giuridico della vulnerabilità così come la fenomenologia della povertà (in particolare la coppia “povertà statica” - “povertà dinamica”), che postula il raffinamento degli strumenti giuridici e l’implementazione di policies. Alla luce dell’attuale complessità sociale il circolo vulnerabilità-povertà-politica-diritto-, incluse le sue premesse antropologiche e il ruolo fondamentale del concetto costituzionale di “persona”, implica un profondo ripensamento della coppia vulnerabilità-povertà con riguardo ai modelli sociali e alla teoria giuridica.

L'articolo suggerisce di rileggere l'esenzione augustea concessa ai "poveri" nel regolamento dell'imposta di successione (lex vicesima hereditatis del 6 d.C.) come un'esenzione meramente personale con una particolare politica sociale in gioco. In questo articolo sviluppiamo la nostra recente argomentazione secondo cui l'esenzione sembrerebbe esprimere, rispetto a certe circostanze, una soluzione particolare - una soluzione che, sebbene poco comune anche nel diritto moderno, è tuttavia universale nella misura in cui si verifica - in cui il legislatore è sollecitato, nello stabilire il carico fiscale, a considerare i beni già posseduti dai beneficiari dell'eredità, cioè la loro condizione finanziaria. Nel XX e XXI secolo l'idea di far dipendere l'imposta di successione dalla condizione finanziaria attuale dell'erede non era una soluzione comune, e il modo in cui è stata attuata mette in dubbio il suo potenziale per migliorare la condizione dei poveri, servendo piuttosto a ridistribuire la ricchezza attraverso il tesoro pubblico. Il diritto romano conserva l'idea che l'esenzione per i poveri possa essere effettivamente applicata allo stesso modo dell'esenzione per i parenti stretti.
Nel caso dell'esenzione augustea si prendeva in considerazione se l'erede o altro beneficiario aveva una condizione finanziaria significativamente bassa. Nel moderno calcolo fiscale, al contrario, fa differenza quando il patrimonio personale dei beneficiari supera un certo importo. Il modo proposto di rileggere l'esenzione augustea potrebbe essere un'ispirazione per i legislatori moderni per proteggere in misura maggiore l'effetto benefico del trasferimento mortis casusa soprattutto nel caso di eredi poveri. La mancanza di pressione fiscale dà la possibilità di migliorare la situazione finanziaria dei poveri, non solo nel caso di piccole eredità ma soprattutto quando si ereditano grandi ricchezze. L'esenzione fiscale concessa da Augusto ai poveri dimostra che il diritto romano conserva anche questa soluzione universale che, sebbene non sia applicata molto spesso, quando lo è può permettere un miglioramento molto efficace della condizione finanziaria dei poveri.

Il contributo delinea alcuni profili del quadro normativo inerente alla tematica della paupertas e del disagio sociale in età tardoantica, descrivendo gli elementi culturali e sociali che conducono alla svolta costantiniana e lo specifico influsso della nova religio sul modo di considerare la categoria degli indigenti. L’articolo analizza la cooperazione tra impero e chiesa per quanto concerne l’assistenza ai pauperes, occupandosi in particolare della tutela giurisdizionale dei poveri attraverso l’esame di alcune significative costituzioni imperiali (CTh. 1.27.1-2; Sirm. 1; CTh. 1.22.2), che evidenziano un ‘doppio binario’ di protezione in ambito processuale per i più deboli.

In Lc 6, 3 l’elemosina è un dovere nei confronti di tutti i bisognosi che vi fanno appello e nel celebre passo di Mt 25, 31-46 le opere di carità sono, nelle parole di Gesù, la via essenziale per la salvezza. Da dovere individuale del cristiano l’aiuto ai bisognosi diventa presto un’attività organizzata della comunità cristiana, la cui rilevanza si accresce nel tempo, soprattutto nell’impero cristiano. L’intervento diretto dello stato in questo ambito sembra esaurirsi con Costantino e successivamente gli imperatori e le loro famiglie delegano sostanzialmente alle chiese questo compito attraverso generose donazioni. Anche le aristocrazie maschili e soprattutto femminili raramente esercitano attività caritatevoli su grande scala e preferiscono , a parte le elemosine spicciole alle porte delle case o delle chiese, operare attraverso donazioni a chiese ed ecclesiastici. La chiesa, pur approvando le elemosine individuali, sollecitano donazioni e lasciti, mettendo in evidenza la sua superiore capacità di conoscere i reali bisogni dei poveri, soprattutto dei pauperes verecundi, che hanno pudore a mostrare pubblicamente la loro condizione.

Ombretta Fumagalli Carulli è stata, innanzitutto, una giurista appassionata del diritto: da studentessa, da giovane ricercatrice e da docente, la passione per il diritto, assieme alla sete di conoscenza, erano per lei un’esigenza irrefrenabile, una linfa vitale. Se ne alimentava continuamente, ad esempio partecipando sempre alle iniziative dei colleghi per aggiornarsi e confrontarsi con loro non solo su tematiche strettamente connesse alle materie che insegnava ma su tutto il complesso e variegato universo giuridico, con incursioni nel mondo della storia, della psicologia e delle scienze umanistiche e sociali in generale. Non si tirava mai indietro quando si trattava di affrontare problemi attuali e delicati o di prendere posizione su temi scottanti. Non c’era argomento che si rifiutasse di trattare. Nelle sue oltre 150 pubblicazioni a carattere scientifico ha fatto dottrina in tutti quegli ambiti in cui si è cimentata, dal diritto matrimoniale canonico al diritto di libertà religiosa, dai problemi in materia di enti ecclesiastici ai diritti e doveri dei fedeli nella Chiesa, con un’attenzione particolare alla posizione della donna. Senza dimenticare i suoi scritti di procedura penale o i suoi articoli su alcuni dei principali quotidiani italiani nel periodo in cui collaborava con Indro Montanelli.
Amava i suoi studi ed il suo lavoro, amava insegnare ed amava il contatto con gli studenti, ai quali mai negava il suo sostegno ed i quali sempre sosteneva quando avevano bisogno.
Con orgoglio e fierezza ricordava di essersi laureata a ventidue anni, a pieni voti, in Giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano con il professor Cordero; di essere stata guidata nella carriera accademica prima dallo stesso prof. Cordero e poi dal prof. Giacchi; di essere stata, nel 1975, la prima donna in Italia a ricoprire una cattedra universitaria di Diritto canonico, prendendo servizio presso l'Università di Ferrara e succedendo poi, in Università Cattolica a Milano, al suo Maestro. Era legatissima al Suo Ateneo, tanto da considerarlo la sua seconda casa.
Questo e molto altro è stata Ombretta Fumagalli Carulli, una Maestra di scientia e di vita, di rigore metodologico e di eleganza, di savoir faire e di diplomazia. Continuamente alla ricerca di una nuovo obiettivo, le sue origini brianzole ed il suo carattere forte e determinato la rendevano una persona speciale, coinvolgente ed affascinante. Amava vivere intensamente e dedicarsi anima e corpo ad un lavoro che la faceva sentire realizzata. Sapeva farti appassionare a tutto quello che faceva. E faceva tante cose e tutte bene.

Il 14 novembre 2021 sarà celebrata la V giornata mondiale dei poveri istituita da Papa Francesco a conclusione del Giubileo della Misericordia e il 14 giugno scorso è stato pubblicato il Suo messaggio.
La rivista JusOnline ha voluto dare un contributo concreto a questo evento con un numero monografico dedicato al tema ‘Povertà e diritto: per uno studio sugli strumenti giuridici volti al sostegno dei soggetti disagiati’. Il fenomeno ‘povertà’ suscita, infatti, nel giurista una serie di interrogativi che si possono porre per ciascuna disciplina giuridica ma anche a livello interdisciplinare. Se, infatti, tradizionalmente la tematica è stata oggetto di attenzione soprattutto nell’ambito del diritto pubblico, in particolare costituzionale, penale e internazionale, del diritto del lavoro e del diritto canonico, di recente sono apparsi notevoli contributi in materia anche nell’ambito degli studi civilistici, romanistici e storico-giuridici.
Il tema è, del resto, scottante dopo che la pandemia ha moltiplicato le situazioni di povertà rendendo spesso le persone vulnerabili prive persino dei beni di prima necessità.
Alla raccolta di scritti hanno partecipato numerosi studiosi, alcuni accademici affermati e altri giovani ricercatori, italiani e stranieri. Essa inizia con contributi di carattere storico- e filosofico-giuridico, a cui seguono saggi lavoristici, comparatistici, penalistici, pubblicistici, concludendosi con un commento all’Enciclica Fratelli tutti dedicata al tema della fraternità e dell’amicizia sociale.
Il numero speciale è dedicato al ricordo della Prof. Ombretta Fumagalli Carulli, fondatrice e direttrice di JusOnline, la quale presso la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, di cui era membro, nella sessione plenaria del 2009, aveva proprio trattato il tema della povertà. Per questo, in esordio, si pubblica un ricordo dell’allieva Anna Sammassimo.
