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La società etrusca era complessa, ben strutturata e aveva certamente una partizione interna per gestire al meglio la sfera familiare, politica e militare. L’obiettivo di questo documento è quello di trattare questo aspetto giuridico della società etrusca attraverso l’esame di molte e varie prove: epigrafiche, archeologiche e testi antichi di autori greci e latini. Le prove più importanti sono i brani superstiti dei Libri Rituales etruschi, che verranno analizzati e messi in correlazione con le altre prove. Cercheremo quindi di delineare un quadro normativo (anche se ancora incompleto per l’assenza di fonti più esaustive) in grado di dare al lettore una prospettiva sulla questione.

Prendendo in considerazione dati archeologici, paleografici e filologici, l’autore intende apportare il contributo del diritto romano all’interpretazione di alcune tavolette di Vindolanda.

Dopo aver esposto in sintesi il contenuto e il significato dei diritti fondamentali nel codice di diritto canonico del 1917, analizzando il termine persona, l’autore si focalizza sulle nuove diverse prospettive sviluppate dal codice di diritto canonico del 1983 intorno ai diritti fondamentali del fedele (christifidelis), inteso quale battezzato appartenente al Popolo di Dio. L’autore si sofferma, quindi, sui rapporti che intercorrono tra i concetti di persona e di fedele battezzato alla luce di quanto previsto dai cann. 96 e 204, esaminando criticamente la concezione di comunione all’interno della Chiesa. Infine, affronta la relazione tra diritti fondamentali dell’uomo e del fedele, prendendo in considerazione le modalità con cui questi diritti vengono riconosciuti nell’ambito dell’ordinamento canonico, secondo il significato proprio del diritto naturale.

Il lavoro esamina, alla luce di un quadro normativo molto complesso caratterizzato dalla produzione a tratti “alluvionale” di atti ampiamente deformalizzati, l’incidenza della pandemia sul nostro sistema nazionale d’istruzione, evidenziando “fragilità” infrastrutturali e organizzative di vecchia data, che l’emergenza sanitaria ha aggravato. Dopo un lungo periodo segnato da misure ispirate pressoché esclusivamente dal principio di precauzione, si ritiene non più rinviabile l’avvio di una nuova fase di programmazione di riforme, che tenga conto della portata strategica e della dimensione intergenerazionale dell’istruzione.

La diffusione dell’intelligenza artificiale ha dato vita a nuove problematiche in campo etico-giuridico, nel mercato del lavoro e della responsabilità civile e penale. Se da un lato si sono rese possibili operazioni in remoto effettuate con maggior precisione e celerità, ci si è trovati davanti a normative e ad una giurisprudenza non ancora pronte ad uno sviluppo tecnologico così repentino, massificato ed incondizionato. Si è, difatti, posto il problema dell’effettiva natura di sistemi “intelligenti” capaci di agire autonomamente, senza l’ausilio e la possibilità di controllo da parte dell’uomo. Nonostante gli indubbi vantaggi delle nuove tecnologie, innumerevoli sono gli interrogativi e le aporie rilevati dalla dottrina.

Nel 2020 l’autorità marittima italiana, nell’ambito dell’esercizio dei poteri di controllo dello Stato d’approdo, ha sottoposto a ispezione e fermo amministrativo molte navi appartenenti a ONG impegnate in operazioni di ricerca e soccorso di migranti. Questo lavoro esamina fondamento e limiti di tale potere di controllo, ponendo in evidenza la difficoltà di individuare un equilibrio tra la normativa relativa alla sicurezza della navigazione e le esigenze di tutela dei diritti umani dei migranti che si espongono ai pericoli del mare in cerca di protezione.

Il presente contributo affronta la tematica delle misure coercitive ai sensi del recentemente riformato art. 614-bis c.p.c. e dei paragrafi 354 ss. della Exekutionsordnung austriaca. In particolare, in ottica storica e critico-comparatistica, vengono messi in luce tratti comuni e soprattutto diversità al fine di evidenziare l’impatto pratico di esse. Necessariamente viene dunque analizzata la natura delle diverse misure coercitive e il concetto fluttuante d’infungibilità. Mentre la misura italiana e quella austriaca sono accomunate da una funzione preventiva, quella austriaca, rispetto a quella italiana, ha carattere marcatamente pubblicistico.

Il tema oggetto del presente lavoro muove dalla considerazione che da quando il meccanismo di integrazione europea ha investito la materia della cooperazione giudiziaria, il fenomeno dell’incidenza della normazione e della giurisprudenza europea sulle legislazioni processuali nazionali ha assunto dimensioni sempre più rilevanti. Non è dato dubitare, pertanto, che la giurisprudenza europea abbia inciso anche sulla nozione di “oggetto del processo”, inteso quale specifico istituto processuale, che svolge le sue funzioni concrete nei confronti di tutti gli altri istituti quali, in estrema sintesi, il cumulo oggettivo di domande, la modificazione della domanda, la litispendenza e il giudicato materiale che si caratterizzano per il fatto di porre al loro fondamento il concetto dell’identità della domanda. Sotto questo profilo, l’attenzione al tema dell’oggetto del processo è incentrata sul concetto di identità della domanda e ai riflessi in punto di giudicato, di litispendenza, di continenza e, infine, di modifica della domanda. Più precisamente, il primo dato oggetto di esame riguarda l’analisi del concetto di identità di domanda, ai fini della dichiarazione della litispendenza secondo il diritto interno, in caso di pendenza della (stessa) causa davanti a giudici appartenenti allo stesso Stato nell’ipotesi di proposizione di una domanda di condanna successivamente alla pendenza della domanda di accertamento negativo in relazione al medesimo rapporto giuridico. Successivamente, l’analisi è volta a valutare la nozione di oggetto della domanda nell’applicazione fattane dalla Corte di Giustizia in punto di litispendenza comunitaria nell’ambito di situazioni analoghe rispetto a quelle di diritto interno, al fine di valutare il recepimento dei principi da essa affermati da parte degli orientamenti delle differenti Corti nazionali in tema di litispendenza comunitaria.

Il contributo affronta il problema del fondamento della giurisdizione penale italiana nei casi di migrazione irregolare via mare. Si tratta di una questione controversa per la natura transfrontaliera di tali reati e per le modalità operative delle organizzazioni criminali (§ 1). In tale contesto, si esaminano anzitutto gli orientamenti della giurisprudenza, che considera il reato commesso nel territorio dello Stato se qui si verifica lo sbarco dei migranti soccorsi in acque internazionali (§ 2). Rilevate diverse criticità, si analizzano i fondamenti alternativi della giurisdizione penale (§ 3) e le norme che regolano l’esercizio di poteri coercitivi nei diversi settori dello spazio marino (§ 4). Infine, si evidenziano le mancanze del legislatore, ricordando come le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza abbiano provocato un insidioso slittamento del criterio di territorialità del reato verso il principio della difesa di (veri o presunti) interessi nazionali (§ 5).

Il contributo analizza la controversa questione della veste nella quale debbano essere sentiti i migranti soccorsi in mare nei procedimenti per il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale: se quali testimoni oppure quali indagati di reato connesso, rappresentato quest’ultimo dalla contravvenzione di ingresso irregolare ex art. 10-bis l. n. 941/2009. Considerato che l’arrivo dello straniero in territorio italiano (superficie terrestre o mare costiero) senza un regolare documento inevitabilmente integra gli estremi della suddetta fattispecie di reato, l’apertura di un procedimento penale appare un atto dovuto, con la conseguenza che il migrante deve essere sentito come imputato in un procedimento connesso. L’opposta soluzione di sentire il migrante come mero testimone è lesiva del diritto di difesa, nonché del principio di legalità processuale.
