Vulnerabilità e povertà
Giovanni Bombelli
Professore Associato di Filosofia del diritto e Metodologia e informatica giuridica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Vulnerabilità e povertà*
English title: Vulnerability and Poverty
DOI: 10.26350/18277942_000040
Sommario: Premessa. 1. L’emersione della categoria filosofico-giuridica di “vulnerabilità” (o “soggetto vulnerabile”). 2. Sul nesso vulnerabilità-povertà: primo abbozzo. 3. Contesti di vulnerabilità/povertà: per un inquadramento. 3.1. La cornice: globalizzazione e Stato. 3.2. Contingenze. 4. Sul nesso vulnerabilità-povertà: sviluppo. 5. Proiezioni. Vulnerabilità, povertà, politica e forma giuridica: tra realtà e “progetto”.
Premessa
Questo contributo muove dall’ipotesi che tra la categoria di “vulnerabilità” e la nozione di “povertà” sussista un nesso molto stretto. Per cogliere meglio tale nesso occorre approfondirne alcuni nodi concettuali fondamentali che si articolano secondo la seguente sequenza logico-tematica.
Dapprima si tratteggeranno alcuni profili che sembrano connotare l’emergere della nozione di “vulnerabilità” all’interno del dibattito filosofico-giuridico contemporaneo.
In un secondo momento si abbozzerà una cornice interpretativa relativa alla coppia concettuale vulnerabilità-povertà che consenta di situarla meglio nell’odierno contesto socio-giuridico dominato dalle dinamiche di globalizzazione.
In questa direzione, successivamente sarà possibile proporre un’analisi più ravvicinata del binomio vulnerabilità-povertà, così da precisare meglio il versante normativo della prima e la fenomenologia della povertà (leggibile attraverso la coppia “povertà statica”-“povertà dinamica”) rivolgendo particolare attenzione ai criteri che informano le opzioni giuridiche e la conseguente adozione di policies.
In conclusione ci si soffermerà su alcuni “temi”, al confine tra filosofia del diritto e filosofia politica, che sono parsi emergere nella riflessione intorno alla polarità vulnerabilità-povertà e che, in proiezione, attestano la crucialità dell’itinerario concettuale legato alla vulnerabilità sub specie paupertatis.
- L’emersione della categoria filosofico-giuridica di “vulnerabilità” (o “soggetto vulnerabile”)
Da tempo il dibattito filosofico-giuridico è abitato dalla categoria di “vulnerabilità”.
Essa è andata assumendo un rilievo sempre maggiore, al punto da poter essere considerata ormai una sorta di topos[1] originando una narrativa del “vulnerabile”. Distinguendosi progressivamente dalla vulnerabilità in senso meramente ontologico-esistenziale, che attiene all’umano colto nella sua fragilità tout court, nonché da un’accezione lato sensu sociologica ascrivibile a dinamiche di esclusione sociale legate a fenomenologie specifiche[2], la nozione di “vulnerabilità” si è configurata in termini propriamente giuridici.
Ciò in relazione ad aspetti diversi.
Andando per gradi si pensi, in chiave meramente introduttiva, alla necessità di apprestare forme di tutela nei confronti di un particolare gruppo (o classe) di soggetti nei quali si rileva un gradiente specifico di “debolezza” sociale giuridicamente rilevante (come si puntualizzerà meglio poco più avanti). O, ancora, al rilievo conferito a profili più specifici che toccano l’ambito penalistico e processual-penalistico: dal ruolo cruciale dell’intervento giurisdizionale, in ordine alla tutela effettiva di soggetti “vulnerabili”, sino ai riflessi che la categoria di “vulnerabilità” presenta circa la nozione di “vittima dei reati” o, in questo senso, al tema delicato della testimonianza resa dalla vittima vulnerabile[3].
Esempi raposdici ma che, sul piano teorico, sottendono un versante fondamentale.
In prima approssimazione l’evocazione della nozione di “vulnerabilità”, la cui semantica permane altamente problematica e ambiguamente situata tra ambiti diversi (sociologia, etica, politica, diritto, economia[4]), è funzionale a concettualizzare un modello tendenzialmente elastico, plastico e dinamico di soggettività[5]. Ad esempio nella “Dichiarazione di Barcellona” del 1998 (The Barcelona declaration on Policy Proposal to The European Commission on Basic Ethical Principals in Bioethics and Biolaw[6]) il concetto di vulnerabilità, annoverato tra i principi etici fondamentali similmente a nozioni come “autonomia”, “integrità” e “dignità umana”, riceve la seguente declinazione che mette conto riportare:
Vulnerability espresse two basic ideas. a) It espresse the finitude and fragility of life which, in those capable of autonomy, grounds the posisbility and necessity for all morality. b) Vulnerability is the object of a moral principle requiring care for the vulnerable. The vulnerable are thsoe whose autonomy or dignity or intergity are capable of being threatened. As such all beings whi have dingity are protected by this pronciple. But the principle also specifically rqeuires not merely non interference with the autonomy, dignity or intergity of beings, but also that they receive assistance to enable them to realise their potential. From this premise it follows that there are positive rights to integrity and autonomy which grounds the ideas of soidarity, non-discrimination and community[7].
Distanziandosi dal paradigma moderno di “soggetto” disincarnato e sradicato, in quanto tale sempre dotato di perfetta capacità di autodeterminazione e peculiare allo schema di uguaglianza formale di matrice lockeana-liberale imperniato sulla dimensione proprietaria[8], alla nozione di vulnerabilità è in qualche modo sottesa una pretesa radicalmente antropologica[9]. Rinviando, almeno in alcune sue declinazioni, alla sfera della persona[10] la nozione di vulnerabilità mira a cogliere la dimensione del soggetto (e più ampiamente dell’“umano”) nella sua effettualità storica, postulando una nozione dinamica di uguaglianza che consenta di leggere autenticamente le differenti singolarità.
In altri termini, l’evocazione della categoria di “vulnerabilità” attesta l’attenzione, già di matrice anche comunitarista segnatamente à la Charles Taylor[11], per i soggetti in quanto embedded secondo un’impostazione assimilabile al capability approach proposto da Amartya Sen e Martha Nussbaum[12]. A prescindere dall’intendere l’orizzonte della vulnerabilità nella sua massima estensione semantico-concettuale, come dimensione costitutiva dell’umano poc’anzi evocata, la declinazione della dizione “vulnerabile” cui qui si fa riferimento rinvia a soggetti colti nel vivo contesto della concretezza storico-sociale e in rapporto a specifiche situazioni di debolezza strutturale o acquisita.
Contesti esistenziali che, costringendo a sperimentare la dimensione del limite[13] o meglio il rischio della vulnerabilità[14], plasmano dinamicamente l’identità soggettiva: ciò che rende i soggetti “dependent rational animals”[15] postulando una particolare attenzione sul piano giuridico.
Una prospettiva lato sensu definibile come post-moderna che, con toni diversi, attraversa molti percorsi speculativi contemporanei tesi ad enfatizzare i profili di frammentarietà e problematicità che connotano il configurarsi della soggettività in scenari vieppiù complessi.
Il processo di emersione di tale categoria va ricondotto a fattori eterogenei, secondo un circuito in cui, come si preciserà meglio più avanti, le prassi socio-giuridiche si intrecciano e si sovrappongono fortemente con l’elaborazione teorica. In questa direzione, restringendo e focalizzando meglio la prospettiva di analisi, occorre sin da subito rimarcare due aspetti che consentono di istruire più compiutamente la riflessione successiva.
Il primo attiene alla duttilità-plasmabilità della categoria di “vulnerabilità”.
Per le ragioni appena segnalate essa è andata ampliandosi in direzioni eterogenee disegnando un ampio spettro semantico. In chiave giuridica si è parlato, allora, di vulnerabilità in relazione a condizioni soggettive (minore età, stato di salute[16] anche in proiezione bioetica[17], forme di disabilità[18], processo di ageing[19], appartenenza di genere[20], ecc.), con riguardo a temi migratori o, ancora, a stigmi di tipo razziale o sociale (presenza/riemersione di forme di schiavitù, marginalità sociale, precarietà lavorativa, ecc.), ovviamente in relazione ai profili di tutela giuridica volta per volta connessi a contesti di discriminazione o pregiudizio diretto, indiretto, reale o potenziale.
In merito va osservato come nella costruzione della categoria di “vulnerabilità”, come similmente nella relativa narrativa, intervengano elementi cognitivi connessi al contesto o ambiente sociale (non solo stricto sensu normativo): rispetto a quale paradigma o modello sociale si viene giudicati (o ci si avverte) “vulnerabili”? Posta all’intersezione tra condizioni socio-istituzionali e strutture culturali, a livello intensionale la nozione di “vulnerabile” si configura secondo gradienti e spettri differenti: una classe di soggetti può risultare “vulnerabile” in un certo contesto e non esserlo, o esserlo in forme e gradi molto diversi, in altro ambiente sociale[21].
Da questa prospettiva la congiunzione tra nozione di vulnerabilità (giuridica) e situazioni di povertà[22] (intesa in prima battuta nella declinazione economico-sociale), su cui di seguito ci si soffermerà, è apparsa sinora in qualche modo significativamente minoritaria e mediata da categorie specifiche (in particolare le nozioni di “diritti umani” e “dignità”).
Per questa via emerge il secondo aspetto poc’anzi evocato che consente di impostare meglio l’analisi successiva. Esso attiene alle proiezioni che il tema della vulnerabilità presenta in prospettiva squisitamente giuridica e politico-istituzionale nel quadro, peraltro, di una sensibilità forse già variamente presente in altri approcci che animano il dibattito contemporaneo[23]. Più precisamente, a prescindere dall’intendere o meno la “vulnerabilità” come paradigma fondativo[24], l’ampliamento progressivo di tale nozione comporta almeno due corollari.
Per un verso il ricorso alla categoria di vulnerabilità non può che postulare l’estensione o, quantomeno, la riconfigurazione del repertorio tradizionale di tutele soggettive. Al contempo sul piano politico-istituzionale tale estensione comporta l’implementazione di nuove policies, in grado di configurare specifici ed eventualmente inediti assetti sociali, nel quadro della rinnovata dialettica liberalismo-Welfare State che ha segnato notoriamente buona parte del dibattito filosofico-giuridico e filosofico-politico a cavallo di fine Novecento e inizio del nuovo secolo[25].
- Sul nesso vulnerabilità-povertà: primo abbozzo
Lo scenario rapidamente segnalato attesta la novità e l’intrinseca problematicità che connota la nozione di “vulnerabilità”, come emergerà anche nelle pagine successive. Esso, peraltro, legittima l’opportunità di sondare più attentamente il nesso peculiare che intercorre odiernamente tra quest’ultima e la dimensione della povertà assumendo come quadro di riferimento i contesti occidentali a noi più noti.
“Vulnerabilità” e “povertà” (propriamente distinguibile dalla “miseria”[26]) hanno costituito ça va sans dire un dato costante e materialmente oggettivo dei modelli sociali: a livello storico, soggetti vulnerabili e poveri hanno popolato contesti eterogenei. Il novum è appunto costituito dalla congiunzione, come dato di fatto e soprattutto come forma di qualificazione concettuale, tra i due livelli.
Ecco perché, a livello metodologico, appare opportuno riesprimere la coppia vulnerabilità-povertà attraverso l’analogo binomio “dimensione di precarietà/fragilità”[27] e “stati di povertà”. Per questa via si vuole rimarcare, in modo più distinto, rispettivamente il vasto repertorio degli status socio-giuridici che connotano il vulnerabile e, insieme, l’ampia fenomenologia legata all’orizzonte della povertà (melius “delle povertà”) che risulta irriducibile al versante meramente economico-acquisitivo concernente la disponibilità di beni e servizi.
Si tratta, con tutta evidenza, di un circuito complesso. Esso verte su una serie di livelli o fili tra loro fortemente intrecciati, talora riguardati da un approccio “intersezionale”[28], di cui nelle prossime pagine si proverà a dipanare la trama ma che è opportuno già abbozzare.
Innanzitutto occorrerà disarticolare e integrare la nozione giuridica di “vulnerabilità”.
Più precisamente, si tratterà di focalizzarne meglio la natura normativa che si dispiega su due piani. Per un verso emerge il nesso tra disciplina sovranazionale e interna, con quest’ultima che presenta marcate radici costituzionali. D’altro canto si delinea l’esigenza di valutare la proiezione e la reale incidenza di tale quadro normativo nel concreto scenario socio-giuridico, secondo una direzione in cui il plesso vulnerabilità-povertà incrocia direttamente le categorie di uguaglianza e dignità.
In secondo luogo, occorrerà mettere in luce i livelli diversi ai quali la dimensione della “povertà” sembra dislocarsi. In particolare verrà a tema la praticabilità della distinzione tra povertà “statica” (o strutturale) e povertà “dinamica” (generativa di forme di povertà “derivate”), soprattutto in rapporto all’intreccio tra i molti livelli strutturali e contingenti che ne informano l’eziologia e connessi agli orizzonti di incertezza peculiari a fasi acutamente emergenziali.
Solo all’interno di questa cornice sarà possibile articolare meglio la prospettiva di analisi.
Innanzitutto nella direzione di una migliore messa a fuoco delle nuove forme di vulnerabilità legate alla povertà anche in ordine all’auspicabile approntamento di strumenti giuridici e politico-istituzionali più “aggiornati” (in chiave privatistica o con riguardo all’adozione/estensione di policies promozionali).
Inoltre, la cornice abbozzata consentirà di tracciare più distesamente il circuito vulnerabilità-povertà-uguaglianza enfatizzandone la natura inevitabilmente dinamica e i rimandi interni. Vulnerabilità e povertà sembrano darsi infatti secondo un nesso circolare in virtù del quale, in prima approssimazione e secondo un’osmosi con molti gradienti e priva di automatismi, si è vulnerabili in quanto poveri e poveri in quanto vulnerabili. Tra i due piani si dà una relazione articolata che, senza obliare la specificità delle rispettive categorie in gioco, si configura secondo una “geometria variabile” in cui modelli differenti di uguaglianza (formale e sostanziale) retroagiscono sul differente gradiente di situazioni di vulnerabilità/povertà.
L’analisi ravvicinata dei livelli appena menzionati e dei loro nessi reciproci richiede tuttavia di abbozzare quantomeno i contorni di una fenomenologia dei fattori che, nella loro interazione, hanno contribuito al prodursi di un contesto socio-giuridico vieppiù leggibile anche attraverso il binomio vulnerabilità-povertà.
- Contesti di vulnerabilità/povertà: per un inquadramento
Chiunque intenda analizzare l’insieme degli elementi che hanno determinato i contesti sociali e le situazioni soggettive ascrivibili alla categoria di “povertà”, a loro volta congiuntamente interpretabili in termini di “vulnerabilità”, non può che scontrarsi con un quadro ampio ed eterogeneo.
In tal senso è opportuno orientare l’attenzione su alcuni aspetti che, più di altri, appaiono rilevanti onde offrire una griglia di lettura duttile e idonea a cogliere tale quadro.
Senza ambire ad un’analisi esaustiva ci si soffermerà solo su due livelli: il primo attiene alla cornice generale entro la quale si delinea la fenomenologia di cui si va ragionando, mentre il secondo fa riferimento a contesti più specifici o circoscritti.
3.1. La cornice: globalizzazione e Stato
A questo livello occorre fare riferimento al processo di globalizzazione e ai molteplici riflessi di natura socio-giuridica ad esso connessi. Un processo su cui, come noto, sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro e che, con riguardo ai temi qui discussi, interessa soprattutto in relazione ai profili emancipatori e al contempo contraddittori che hanno segnato le dinamiche globalizzanti[29].
Da un lato, giudicata con gli standards ordinari di valutazione, per alcune aree la globalizzazione ha rappresentato un vettore di emancipazione: sia in termini di sviluppo economico-sociale, sia in rapporto alle tutele giuridiche.
Sotto questo profilo, in modo talora tortuoso e legato agli orizzonti geopolitici specifici, le dinamiche globalizzanti hanno favorito una sorta di “circolazione delle tutele”. Muovendo soprattutto dalla categoria dei “diritti umani”[30] è andato così delineandosi un complesso regime normativo, normalmente interpretato in termini di multilevel regulation[31], in grado di originare una nuova nozione di “ordine pubblico”[32] il cui volano è rappresentato dalle Carte internazionali e che interessa direttamente anche il tema della vulnerabilità[33] (e quindi della povertà).
Al contempo è innegabile che le dinamiche globalizzanti abbiano comportato un incremento del binomio vulnerabilità-povertà esacerbando il circuito precedentemente suggerito: vulnerabili in quanto poveri e poveri in quanto vulnerabili[34]. In alcuni contesti si è configurata una sorta di vulnerabilità-povertà di sistema[35] che, di là dal dato meramente socio-economico, ha comportato la progressiva compromissione e talora lo smantellamento del quadro di tutele originariamente predisposto dal sistema liberale e poi implementato dal Welfare State.
Ed è in questa cornice che si situa ed è valutabile il ruolo dello Stato.
Ciò in rapporto almeno a due profili connessi: uno di carattere generale, l’altro legato ad assetti specifici.
In termini generali va rimarcata la crescente difficoltà da parte degli Stati ad articolare politiche del diritto autonome.
Si pensi, di là dalle valutazioni politiche e squisitamente giuridiche che se ne possono offrire, ai vincoli di bilancio di natura europea che, almeno in alcuni casi, hanno compromesso drammaticamente l’attivazione di politiche sociali ponendo le premesse per l’incremento del circolo vizioso vulnerabilità-povertà[36]. Un dato da soppesare, ovviamente, con attenzione alla luce sia del ruolo solidaristico-cooperativo rivestito dall’UE[37] (la cui concreta attivazione-fruizione talora ha sortito effetti quasi contrari alle intenzioni originarie) sia, più in generale, delle politiche incerte o assenti elaborate a livello europeo in rapporto a questioni specifiche: paradigmatica la gestione dei flussi migratori, ove essa venga riguardata attraverso la polarità vulnerabilità-povertà[38].
Di qui, restringendo lo sguardo, la necessità di valutare il ruolo giocato dai singoli assetti statuali in ordine al prodursi di situazioni di fragilità/vulnerabilità sociale leggibili in rapporto alla povertà.
Da questa prospettiva la fenomenologia si presenta secondo un ventaglio molto ampio di articolazioni in cui si compongono fattori endogeni ed esogeni.
I primi sono legati al grado di robustezza giuridica e politico-istituzionale storicamente raggiunta dai singoli assetti politico-ordinamentali. Un tratto che condiziona ovviamente la diversa capacità dei sistemi e delle architetture giuridico-istituzionali di far fronte alle ricadute socio-economiche delle dinamiche globalizzanti e, più in generale, di affrontare le espressioni “classiche” della stratificazione sociale (dall’ambito economico, che investe le differenze reddituali, al livello criminologico con l’espansione della popolazione carceraria).
I fattori esogeni prossono presentare una natura repentina, con conseguenze drammatiche e di portata globale (esemplare la crisi finanziaria del 2008) o, in chiave parzialmente diversa, integrare processi de facto strutturali e di lunga durata come le dinamiche migratorie poc’anzi menzionate (generando fenomeni reattivi connotati dal binomio “noi”-“loro”/“dentro”-“fuori”[39]). Quest’ultime dinamiche, infatti, recitano ormai un ruolo particolarmente rilevante anche a livello dei singoli Stati, producendo figure socio-giuridiche (rifugiati, richiedenti asilo, ecc.) che alimentano il cluster dei vulnerabili-poveri.
Con riguardo a quanto si va ragionando, il punto decisivo è rappresentato dai criteri che informano le scelte operate all’interno dei singoli ordinamenti. L’attivazione o meno di politiche che “governino” le dinamiche di globalizzazione, in grado cioè di attenuarne alcuni effetti socialmente drammatici e giuridicamente distorcenti, si riflette sull’eventuale istituirsi di spazi o contesti di precarietà leggibili attraverso la griglia vulnerabilità-povertà[40].
Analogamente la tipologia di risposte, talora radicalmente differenti, attivate in rapporto alla sfida migratoria configura scenari profondamente diversi. L’adozione di politiche inclusive, al di là del loro carattere talora contraddittorio, non può che risultare antitetica a scelte funzionali alla chiusura verso l’esterno che, in casi estremi e in nome di politiche nazionalistico-sicuritarie, ha comportato un ripensamento radicale dello spazio statuale e dell’idea tipicamente moderna di “confine” (si pensi alla sostanziale militarizzazione dei confini statuali esemplarmente attestata dai casi degli USA e dell’Ungheria[41]).
3.2. Contingenze
Nel framework appena stilizzato sono andati innestandosi fattori specifici, di natura contingente, che non è possibile ignorare. Più precisamente, tali fattori sono connessi al quadro emergenziale legato alla recente vicenda pandemica e che, almeno allo stato attuale, appare ancora temporalmente indeterminabile[42].
Il punto decisivo è il seguente. Ridefinendo e riplasmando lo scenario generale poc’anzi abbozzato, tali elementi vanno valutati in prospettiva e, soprattutto, in ragione della portata strutturale che essi rischiano concretamente di assumere.
In tal senso vengono a tema due aspetti.
Per un verso non vi è dubbio che a livello statuale la vicenda pandemica, a sua volta costitutivamente legata alle dinamiche di globalizzazione, abbia contribuito ad enfatizzare eventuali elementi pregressi e strutturali di debolezza giuridico-istituzionale e, in quanto tali, generativi di situazioni di vulnerabilità-povertà. D’altro canto, come già in parte rimarcato, gli effetti reali connessi a tale quadro vanno valutati alla luce delle scelte concretamente operate nei singoli ordinamenti o, meglio, in rapporto ai criteri e alle priorità che informano le differenti policies.
Da questa prospettiva, come noto sul piano giuridico-istituzionale le risposte attivate nel contesto emergenziale sono andate articolandosi, in termini anche diacronici, secondo un arco tipologico ampio e talora contraddittorio. Esso, infatti, si è determinato in rapporto a una serie di elementi eterogenei (tutela della salute, crescita economica, ecc.), in funzione del diverso rilievo volta per volta loro attribuito e del relativo “bilanciamento” tra gli interessi in gioco.
Di qui uno spettro molto variegato di soluzioni: dall’assenza in taluni contesti di vincoli sociali e giuridici all’introduzione, in altri, di forme di controllo sociale fortemente pervasive. Adottate in modo frequentemente problematico, queste scelte hanno sortito esiti poco trasparenti contribuendo all’istituirsi, secondo gradi diversi, di nuovi spazi di vulnerabilità-povertà.
- Sul nesso vulnerabilità-povertà: sviluppo
Il quadro interpretativo sin qui proposto, senza pretesa di esaustività, consente ora di riprendere e sviluppare lo schema di analisi abbozzato supra al paragrafo 2. Come si ricorderà, esso si focalizzava su due aspetti che, sebbene strettamente connessi, è opportuno considerare distintamente: a) il profilo normativo della nozione di “vulnerabilità” e b) alcune dinamiche sottese al configurarsi della povertà.
a) Con riguardo al primo versante l’attenzione va posta su due livelli (o “fonti”) cui si colloca la categoria di vulnerabilità: l’ambito internazionale/sovranazionale e il quadro nazionale (o di diritto interno, con particolare riguardo alle matrici costituzionali). L’analisi dell’intreccio tra le due fonti, che in termini di multilevel regulation configura una sorta di tavola normativa in progress, consente di comprendere meglio alcuni aspetti cui si è fatto cenno.
Ovviamente in questa sede non è possibile ripercorrere tutti i passaggi che hanno caratterizzato l’ambito del diritto internazionale che, per molti versi, rappresenta una delle sedi elettive di maturazione della nozione di “vulnerabilità”. I prodromi sono rintracciabili nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo (1948) con un’ulteriore articolazione, ad esempio, nella quarta Convenzione di Ginevra e nel primo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra (1949), alimentando gli stessi principi di diritto internazionale e confluendo in documenti o atti normativi prodotti in seno a organizzazioni internazionali o sovranazionali[43] (si veda anche supra il riferimento alla “Dichiarazione di Barcellona”).
Sotto questo profilo rileva in particolare l’esperienza europea che, anche con una rapida ricognizione, consente di segnalare alcuni elementi peculiari.
In primo luogo l’analisi del solo lemma “vulnerabilità”, riguardato ad esempio da una prospettiva specifica (come quella penalistica[44]) mostra la difficoltà di addivenire ad una definizione della categoria di “vulnerabile”. Senza elaborarne la fattispecie astratta, la sfera della vulnerabilità viene ricostruita attraverso una sorta di procedimento casistico o ad exemplum, mediante l’indicazione di ambiti specifici di rilevanza o applicazione della nozione di vulnerabilità.
In secondo luogo, tale “vuoto” definitorio viene in qualche modo colmato dall’attività delle Alte Corti. Si pensi, in particolare, al ruolo della Corte di giustizia[45] che ha provveduto a calibrare la nozione di vulnerabilità secondo coordinate contestuali, situazionali e ambientali nel quadro della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: il punto-chiave è il diverso margine di discrezionalità alla luce del quale la Corte opera a seconda della sfera di interessi presa in considerazione (in analogia anche con l’operato della CEDU)[46].
Il dato da rimarcare è l’orizzonte concettuale sotteso a tale quadro normativo-interpretativo.
Esso rinvia costantemente alla circolarità innescata dal trinomio dignità-uguaglianza-diritti umani[47]. In altre parole, colta come espressione della sfera della dignità e dell’uguaglianza, la vulnerabilità sembra configurarsi propriamente come “diritto umano” assumendo così forma giuridica[48].
Ed è in questa direzione che, a prescindere dai limiti che connotano lo scenario di matrice europea[49], si può comprendere il continuum con gli ambiti nazionali. Orientando lo sguardo specificamente al quadro italiano, di là dalla serie di recezioni delle disposizioni internazionali e sovranazionali registratesi internamente[50], è imprescindibileil riferimento al dispositivo costituzionale.
L’ordito concettuale sotteso alla Carta fondamentale, che a sua volta rinvia notoriamente alle categorie cardinali di uguaglianza e dignità (artt. 2-3 e Titolo III), appare leggibile in continuità teoretica con il quadro internazionale-sovranazionale poc’anzi richiamato condensandosi nell’asse cruciale persona-formazioni sociali[51]. Più precisamente, in tema di vulnerabilità trova così conferma la centralità teorica del circuito uguaglianza-dignità e il suo ineludibile radicamento antropologico cristallizzato nella nozione di “persona”: letto in rapporto agli orizzonti della solidarietà e sussidiarietà, tale circuito si colloca a livello costituzionale e, al contempo, ne viene sancita la natura eminentemente promozionale e di programma politico[52].
Lo schizzo appena proposto del raccordo tra livello internazionale/sovranazionale e diritto interno necessita, però, di una considerazione aggiuntiva.
Ovviamente non si tratta solo di prendere atto del quadro normativo. Le modalità attraverso le quali si configura la categoria stessa di vulnerabilità, strutturalmente priva di una fattispecie definitoria, dicono forse dell’esigenza di conservarne la natura di orizzonte concettuale. Di qui la necessità di verificarne, soprattutto in proiezione, l’enforcement a livello di practice e argumentation[53]e, quindi, la sua concreta incidenza all’interno degli assetti ordinamentali con particolare riguardo alle categorie di uguaglianza e dignità evocate a livelli diversi. A ben vedere solo così sarà possibile valutare, eventualmente grazie a un monitoraggio costante[54], laWirkungsgeschichte della categoria di vulnerabilità.
b) Alla luce della linea interpretativa proposta, assume allora maggiore rilievo un’analisi più ravvicinata delle dinamiche connesse alla dimensione della povertà o, con la formula più comprensiva precedentemente suggerita, degli “stati di povertà” che investono ormai anche la classe media[55] (al netto dei problemi, non secondari, che notoriamente affliggono la definizione degli strumenti di valutazione delle soglie di povertà[56]: ciò che ha portato taluno a distinguere tra povertà assoluta/relativa e simmetricamente ricchezza assoluta/relativa[57]).
Colta come declinazione specifica della vulnerabilità, la sfera della povertà viene qui intesa essenzialmente e in prima battuta in chiave socio-economica: in altre parole, come povertà economica e in rapporto alla capacità reale dei soggetti di accedere a beni e servizi. Ciò non comporta ignorarne la fenomenologia diversificata (con riguardo ad esempio allo status sociale o censo, agli spazi di accesso ai servizi sanitari, ai sistemi formativi e alle tecnologie, ecc.) sottesa all’espressione “stati di povertà”[58] e che, secondo un circuito esiziale, talora discendono direttamente dalla povertà economica o ad essa sono comunque strettamente connesse.
Da questa prospettiva risulta utile assumere come griglia interpretativa la polarità “povertà statica”-“povertà dinamica” in quanto particolarmente funzionale a cogliere i piani, connessi ma distinti, cui tale plesso sembra dislocarsi.
La prima espressione fa riferimento a modelli sociali che si connotano per la presenza di livelli strutturali di povertà economica (così come rilevata attraverso i comuni standards internazionali di valutazione), laddove la locuzione “povertà dinamica” rinvia a un piano diverso[59].
Quest’ultima attiene, infatti, alle dinamiche generative di “stati di povertà”: processi, cioè, in grado di originare nuove fenomenologie di povertà, legate agli elementi peculiari degli specifici assetti ordinamentali in combinato disposto con le dinamiche contingenti di precarizzazione già segnalate.
Consideriamo il primo versante.
A questo livello preme soprattutto mettere in luce come esso non investa solo le aree storicamente deboli, tradizionalmente definite “terzo” o “quarto mondo”, ma anche i contesti democratici a noi più noti.
É questo il punto da rimarcare attraverso il caso paradigmatico degli USA. Espressione eminente della modernità giuridica e del suo modello di sviluppo economico d’impronta liberal-capitalista, lo scenario statunitense attesta esemplarmente il tema complesso dell’emersione della povertà anche all’interno di scenari occidentali. Con riguardo a quanto si va ragionando, una semplice analisi del fenomeno (espressamente attenta al versante squisitamente giuridico[60]) consente di mettere in luce almeno tre aspetti che attengono alla struttura dell’assetto socio-economico statunitense, al ruolo in esso rivestito dal diritto e infine al profilo, forse decisivo, costituito dal versante cognitivo.
In primo luogo, in questione è la stessa capacità performativa del sistema socio-economico statunitense colto come declinazione specifica dell’impianto capitalistico. Senza entrare nel dibattito annoso, ormai stantio, circa il rapporto capitalismo-anticapitalismo (sono fin troppo noti gli esiti di taluni esperimenti di socialismo reale), è sufficiente segnalare come un’analisi della povertà presente negli USA si riveli particolarmente significativa.
In particolare essa mette in luce come il fenomeno, icasticamente rappresentato nel contesto statunitense dagli homeless o visible poor e sovente oggetto di criminalizzazione, rivesta ormai carattere strutturale e non meramente contingente all’interno di scenari occidentali e democratico-costituzionali[61] anche in presenza di crescita economica.
Un secondo rilievo attiene al versante propriamente giuridico.
Qui viene a tema il ruolo rivestito dal diritto in ordine all’istituirsi di condizioni di povertà.
In tal senso vi è chi parla espressamente di “diritto crudele”[62]: a indicare come paradossalmente sia lo stesso apparato normativo, in modo predatorio e in coincidenza con processi di globalizzazione in senso liberista, a creare già a monte mediante un meccanismo selettivo una sorta di vulnerabilità giuridica che, a valle, si traduce in espressioni molteplici. In primis con riguardo a situazioni di povertà di carattere economico e, a cascata, con le inevitabili ed ulteriori ricadute sociali (si pensi, a livello criminologico, all’incremento e alla composizione della popolazione carceraria statunitense[63]): quasi a conferma del progressivo venir meno del tratto equalizzante dell’intervento normativo e, parallelamente, dei dubbi crescenti circa gli effetti naturalmente redistributivi legati alla crescita economica (dalla curva di Kuznets alla teoria del trickle down)[64].
In altre parole: alla “mano invisibile” di smithiana memoria sembra via via sostituirsi una “mano (giuridica) ben visibile”, in virtù della quale al crescere della ricchezza si registra un incremento del tasso di povertà. Il profilo viene ben sintetizzato da Joseph Stiglitz che, ragionando sullo sfondo della globalizzazione ma concentrando l’attenzione sugli USA, enfatizza il ruolo decisivo delle scelte politiche e giuridiche nel configurarsi del binomio povertà-disuguaglianza: “Da una decina d’anni a questa parte, quattro temi cruciali che la nostra società deve affrontare sono: la grande frattura (l’immensa disuguaglianza che si sta creando negli Stati Uniti e in molti altri paesi avanzati), la cattiva gestione economica, la globalizzazione e il ruolo del settore pubblico e del mercato”[65].
Infine va rimarcato il versante cognitivo: un punto cruciale.
La semplice presenza di soggetti poveri e di situazioni di povertà non costituisce, infatti, solo un mero dato statistico-sociologico o un difetto per così dire funzionale del sistema economico-produttivo. Ancor prima di interessare l’impianto giuridico-istituzionale, a ben vedere è sul piano cognitivo che la povertà sembra “disturbare” il modello di convivenza sociale creando un meccanismo di othering (un processo, cioè, di estraniazione rispetto al soggetto povero o socialmente marginale)[66].
A conferma della natura davvero paradigmatica del caso statunitense, va rimarcato come anche in altri contesti occidentali a base democratico-costituzionale tale tratto cognitivo-percettivo reciti un ruolo fondamentale nel configurare il “moral background” e le “narratives of deserveness”[67] connessi alle dinamiche di povertà, talora esitando in processi di moralizzazione o colpevolizzazione del soggetto vulnerabile-povero in nome di teorie dell’under class (paradigmatico il caso menzionato degli homeless)[68].
Rilievi che confermano, altresì, quanto si accennava a proposito della vulnerabilità: nel configurarsi del nesso vulnerabilità-povertà intervengono inevitabilmente profili cognitivi sino, in qualche caso, a stravolgere o modificare radicalmente anche la lettura del dato statistico-sociologico.
Con riguardo alla “povertà dinamica” occorre riallacciarsi anche a quanto precedentemente osservato.
L’intreccio tra impianti ordinamentali e processi frequentemente (benché non univocamente) connessi alla globalizzazione[69], soprattutto in coincidenza con quadri emergenziali, determina un ampio repertorio di situazioni di povertà ascrivibili alla fenomenologia delle povertà “derivate” o, con altra espressione, alla geografia delle forme dinamiche dei rischi di povertà[70].
Nel quadro di un’eziologia composita appare evidente come l’insorgere di povertà derivate o “disuguaglianze (povertà) in via di sviluppo”[71], così come il grado della loro diffusione, costituisca l’esito dell’interazione di una serie di fattori che risentono fortemente delle policies adottate[72].
Anche qui non è necessario entrare in un’analisi dettagliata. Il dato rilevante, in qualche modo inevitabile, è costituito dal fatto che tale intreccio sia rimesso al gioco che via via si istituisce tra coordinate differenti: dalle tipologie di assistenza sociale attivate all’assetto delle normative di tutela del lavoro, dalle modalità di attivazione della leva fiscale al rilievo rivestito da eventuali vincoli di bilancio extrastatuali. In ultima analisi: in funzione del complesso delle politiche del diritto adottate (sul punto si tornerà in conclusione).
Lo schema di analisi appena proposto, imperniato sulla polarità povertà statica-povertà dinamica, abbisogna di due precisazioni aggiuntive.
Prima precisazione.
Occorre ribadire che tra i due livelli intercorre un intreccio molto stretto. Va da sé che limiti strutturali di natura ordinamentale sono in grado di determinare o accentuare, talora in misura significativa, anche gli scenari innescati da fattori contingenti, segnatamente quelli legati a situazioni emergenziali o comunque a orizzonti di incertezza. Al contempo, l’emergere di tali fattori può allargare la forbice della distinzione-separazione già esistente tra soggetti maggiormente protetti (sul piano sociale e giuridico) e soggetti poveri-vulnerabili.
Seconda precisazione.
In questa linea, muovendo dal nesso vulnerabilità-povertà su cui si è andati insistendo, simmetricamente potrà allora delinearsi una vulnerabilità statica e una dinamica. Sotto questo profilo forse il dato più rilevante non è (solo) rappresentato dalla presenza pregressa di condizioni di povertà strutturale: ciò che viene a tema è un processo dinamico, costitutivamente imprevedibile e per molti versi paradossale, in grado di accrescere il rischio di una progressiva strutturazione della precarizzazione in rapporto ad una massa sempre più vasta di soggetti.
Per sintetizzare. Come si osservava, l’analisi distinta delle nozioni di vulnerabilità e povertà non deve obliarne la continuità concettuale, né far dimenticare la prospettiva globale dalla quale cogliere l’odierno configurarsi della peculiare congiunzione tra dimensione della vulnerabilità (fragilità, precarietà) e situazioni di povertà.
Ciò non significa tracciare una corrispondenza biunivoca tra i due piani.
Al contrario, è a questo livello che la loro circolarità sembra precisarsi meglio. Tra vulnerabilità e povertà si istituisce un nesso di continuità, connotato da un certo grado di osmosi e da una zona “grigia”: se è possibile argomentare intorno alla vulnerabilità alla povertà[73], è anche vero che si può essere poveri ma non (necessariamente) vulnerabili e, per converso, vulnerabili ma non (necessariamente) poveri. Più in generale, se la povertà (o meglio: “situazioni di povertà”) comporta tendenzialmente l’insorgere di contesti di vulnerabilità, non vale necessariamente l’inverso. L’attribuzione dello status di vulnerabilità costituisce l’esito dell’intreccio di fattori cognitivo-culturali di tipo contestuale che peraltro, come osservato, in una certa misura appaiono connessi anche al definirsi dei quadri di povertà.
Ad ogni modo emerge un tratto di fondo.
L’oggettivazione freddamente cristallizzata nelle analisi statistiche non consente di cogliere i processi di stigmatizzazione socio-giuridica ulteriori agli schemi di allocazione di beni o erogazione di servizi. Si tratta di processi relativi alla sfera reputazionale che, come rilevato, secondo gradienti diversi appaiono sottesi a entrambi i poli considerati (vulnerabilità e povertà) determinando una torsione nella percezione collettiva del soggetto vulnerabile-povero.
Un versante, si noti, che rileva non solo in chiave genericamente sociale, innescando dinamiche di marginalizzazione, ma anche in una prospettiva propriamente giuridica contribuendo ad esempio all’edificazione di stereotipi (ad esempio in tema di criminalizzazione, come attesta l’esperienza nordamericana). Profili che, nell’insieme, sembrano confermare la dinamicità costitutiva della relazione tra vulnerabilità e povertà e la possibilità di intenderla secondo una geometria variabile.
- Proiezioni. Vulnerabilità, povertà, politica e forma giuridica: tra realtà e “progetto”
Proviamo a tirare le fila.
La riflessione proposta nelle pagine precedenti offre argomenti per impostare una rilettura del plesso vulnerabilità-povertà che, in proiezione, consenta di comprenderlo in chiave critico-progettuale.
Anche qui è opportuno procedere per gradi.
Riprendendo e sviluppando alcuni spunti già emersi, occorre muovere innanzitutto dall’eventuale ripensamento del paradigma antropologico che, a ben vedere, rappresenta il vero nucleo del nesso vulnerabilità-povertà. Come si accennava inizialmente, la coppia vulnerabilità-povertà mette in discussione l’idea stessa di “soggetto” (o “soggettività”, inclusiva della sua proiezione giuridica) di matrice moderna enfatizzando la crucialità di due dimensioni: dinamicità e relazionalità.
Lungi dal costituire un’entità astratta e disincarnata, l’identità soggettiva si delinea come realtà complessa e storicamente radicata. Plasmandosi dinamicamente in contesti specifici, l’intreccio di biografia e storia ad essa costuitutiva la rende esposta al rischio esistenziale e, quindi, sociale ed economico di rendersi o diventare vulnerabile. Il rischio, insomma, come la cifra stessa della vulnerabilità (anche come povertà): immersi ineludibilmente in una trama di relazioni, i processi identitari sono destinati ad essere o a diventare fragili e vulnerabili.
L’intreccio che segna le categorie di dinamicità e relazionalità, la cui cifra teorica riposa sulla funzione ricompositiva della figura di “persona” costituzionalmente fondata e sottesa al circuito vulnerabilità-povertà[74], conferisce a quest’ultimo la forza di rompere il (presunto) isomorfismo tra stratificazione sociale e regola giuridica che costituiva il tratto peculiare del modello liberale “classico”.
Mettendo in questione il paradigma antropologico sotteso all’orizzonte liberale[75], il plesso vulnerabilità-povertà tematizza à la Honneth[76] una questione di riconoscimento e riconfigura, altresì, il nesso libertà-responsabilità legittimando per questa via la necessità di transitare da un modello sincronico ad uno diacronico o intergenerazionale di responsabilità (secondo la direzione notoriamente indicata da Hans Jonas[77]). Al contempo, il rilievo conferito alla plasticità strutturalmente fragile delle dinamiche identitarie funge da strumento critico nei confronti di forme di superomismo di sapore nietzscheano[78].
Si apre, allora, lo spazio logico e operativo per rideclinare in chiave positiva nozioni come “vulnerabilità”, “dipendenza”, “precarietà” o anche “fallimento” cogliendone l’intrinseca fecondità.
Emancipate dal loro confinamento alla sfera privato-individuale, esse assumono i contorni del progetto e possono acquistare forza centripeta aprendosi alla sfera pubblica (anche in chiave esplicitamente giuridico-istituzionale): insomma si tratta, per usare una formula forse discutibile ma efficace, di “mettere a capitale” la cifra della fragilità sintetizzata e condensata dalla coppia vulnerabilità-povertà.
Occorre però guardarsi da un possibile fraintendimento: ritenere, cioè, che la sfera della fragilità comunque intesa costituisca una sorta di “eccedenza” o superfetazione, come tale destinata ad un “riassorbimento” progressivo nella normale struttura sociale[79]. Ne discenderebbe il rischio, esiziale e per molti versi paradossale, di rendere la polarità vulnerabilità-povertà funzionale al modello liberalista/libertario, analogamente a quanto talora connota la narrativa retoricamente e strumentalmente legata al concetto di resilienza[80] (nonché in talune evocazioni della categoria del “dono”[81]).
Da questo orizzonte deriva, a cascata, una serie di riflessi. Quest’ultimi si dispongono su tre livelli concettualmente consequenziali: a) piano giuridico-politico-istituzionale; b) possibile articolazione di una politica del diritto e quindi di (nuovi) modelli sociali; c) ruolo e senso del diritto nelle società complesse e in contesti post-moderni.
a) A livello giuridico e politico-istituzionale innanzitutto emerge, in prospettiva, l’istanza di approntare strumenti più “aggiornati”. Strumenti che, riflettendo il configurarsi vieppiù complesso della soggettività giuridica, consentano di articolarne meglio la proiezione in termini di capacità giuridica (rectius capacità di agire), soprattutto in presenza di situazioni o condizioni di vulnerabilità.
Da questo prospettiva, a titolo paradigmatico e sulla falsariga di istituti già esistenti[82], si possono indicare alcune possibili direzioni. Si pensi al ripensamento di taluni profili dell’istituto contrattuale[83] tale da rendere quest’ultimo maggiormente in grado di rispondere alle situazioni di vulnerabilità (e povertà) dinamica o, ancora, alla rimeditazione di istituti cruciali come la figura della “cittadinanza” (con particolare riguardo al suo riconfigurarsi in presenza di flussi migratori a partire dalla polarità vulnerabilità-povertà)[84].
Analogamente, muovendosi nell’evocato solco costituzionale-personalistico, andrebbe attivata o ulteriormente potenziata l’adozione di policies di natura promozionale ad impronta cooperativo-solidaristica legate, ad esempio, a modelli di socialhousing[85]o ad altre forme analoghe di intervento sociale. Interventi e misure da intendersi, ovviamente, come maggiormente funzionali a riflettere la dinamicità e il radicamento relazionale dei soggetti e in rapporto all’emergere delle situazioni di fragilità-vulnerabilità di cui si è andati ragionando.
Da questa prospettiva appare particolarmente istruttiva l’esperienza maturata in contesti emergenziali, in rapporto soprattutto alla “coscienza istituzionale” emersa nelle prassi collettive[86] e al ruolo rivestito dal “Terzo settore”[87] (o, per usare un’altra espressione, dai “corpi non normativi”).
Si tratta di versanti particolarmente preziosi almeno per due ragioni.
Innanzitutto essi attestano, per così dire “sul campo”, la sostanziale impraticabilità di un modello antropologico a base atomistica e, in ultima analisi, di matrice moderna. Inoltre gli elementi appena evocati configurano delle best practices eventualmente da ottimizzare, in funzione di scelte similari, anche oltre le logiche emergenziali e lo “stato di eccezione” in tal modo integrando i principi di solidarietà e sussidiarietà di matrice costituzionale[88].
Ciò, va aggiunto, nel quadro di un’attenta e imprescindibile valutazione del “costo” dei diritti (per usare, senza condividerne l’assunto di fondo, la classica formula proposta da Stephen Holmes e Cass Sunstein[89]), se è vero che “rights cannot be protected or enforced without public funding and support[and rights are]defined as important interest that can be reliably protected[…]using the instrumentalities of government”[90]. Senza scomodare prospettive sofisticate di analisi economica del diritto, ci si limita a segnalare le aporie che connotano talune recenti scelte normative: originariamente protese ad ovviare a limiti strutturali degli assetti sociali e, congiuntamente, a fronteggiare emergenze contingenti, de facto esse sembrano denunciare serie anomalie funzionali con il rischio di esacerbare le discrasie risalenti senza risolvere i nodi attuali[91].
b) Quest’ultimo rilievo introduce al livello della “politica del diritto” e, quindi, ai criteri e allo spazio in funzione dei quali allestire modelli sociali concretamente praticabili e, al limite, inediti.
Del resto il focus sul nesso vulnerabilità-povertà, riconducibile in chiave più ampia alla cifra della precarietà e della fragilità, non può che retroagire sulle modalità di articolazione degli assetti sociali e delle policies relative. Da questa prospettiva, a prescindere dall’evolversi dello scenario internazionale su cui qui non è possibile soffermarsi analiticamente[92], emerge uno spettro molto ampio di modelli imperniato su due poli rappresentati dal modello liberale e dal riferimento alla stagione del Welfare State (con le ovvie soluzioni intermedie).
L’evocazione dell’assetto liberale si configura secondo le sfumature molteplici del “neoliberalismo”[93]. Accanto ad alcune declinazioni estreme di matrice liberalista/libertaria[94], che rileggendo alcune matrici à la Hayek arrivano a Nozick enfatizzando taluni aspetti dello schema liberale classico sino quasi a negare o marginalizzare la coppia vulnerabilità-povertà, vanno ricordati soprattutto alcuni robusti ripensamenti dell’orizzonte liberal-contrattualista a partire dal neocontrattualismo di John Rawls[95]. Letta in questa prospettiva, l’idea rawlsiana di justice rappresenta una sorta di crocevia teoretico: nello strumento del veil of ignorance e nel meccanismo del minmax proposti dal teorico statunitense si condensa, infatti, il tentativo di saldare la rilettura del riferimento liberale alla complessità sociale in quanto leggibile anche sub specie della polarità vulnerabilità-povertà.
Dall’altro emerge la rimeditazione del modello di Welfare State[96]. Analogamente al dibattito intorno al liberalismo, anch’essa è andata modulandosi secondo un arco tipologico ampio e frastagliato facendo segnare una climax in qualche modo contraddittoria. L’attenzione per il rilancio di posizioni lato sensu riformiste, con accentuazioni differenti e in continuità con alcuni passaggi novecenteschi[97], talora è andata dilatandosi sino a proposte di modifiche ben più radicali (o addirittura rivoluzionarie[98]).
In questa sede non rileva entrare nel dettaglio dei dibattiti appena evocati.
Di là dagli argomenti addotti a sostegno delle impostazioni differenti, con riguardo ai temi qui discussi il punto chiave rimane il medesimo: l’esigenza di ripensare la natura stessa del vincolo associativo e, in ultima analisi, del contratto sociale.
L’istanza di fondo rinvia all’allestimento di modelli sociali forse inediti e, in qualche modo, evoluti. Evoluti non tanto o solo perché in grado di governare il circuito esiziale vulnerabilità (fragilità)- povertà (o situazioni di povertà “statiche” e “dinamiche”), attenuandone estensione ed effetti drammatici o, addirittura, rimuovendolo in origine. Invero la locuzione “modelli evoluti” rinvia ad assetti in grado di contemplare la presenza strutturale e generalizzata della dimensione della vulnerabilità, colta nell’ampia e già segnalata fenomenologia (di portata anche esistenziale) potenzialmente generativa di situazioni di povertà.
Ciò postula l’attivazione di una progettualità politica in grado di tradursi in soluzioni economico-sociali (sistemi di redistribuzione del reddito, politiche fiscali e del lavoro, attivazione di meccanismi di mobilità sociale, ecc.) che, anche in presenza dell’estendersi progressivo della povertà a livello di massa e di classe media, muovano dalla ridiscussione dell’equazione di sapore economicistico crescita del PIL=incremento del benessere collettivo. Si tratta, con tutta evidenza, di una svolta che investe l’articolarsi stesso dei modelli democratico-costituzionali e del binomio pubblico-privato comportando, sul piano teorico-giuridico, una transizione di paradigmi (su cui poco più avanti).
In sostanza, in discussione sono i contrafforti stessi della modernità filosofica e giuridica: le nozioni di “soggetto” e di “evoluzione (progresso) storico”. La revisione del modello atomistico-insulare di “soggetto” di matrice moderna è speculare al tramonto dell’idea di “progresso” ereditato dalla Neuzeit che, nella sua formulazione per così dire classica, prefigurava un percorso unilineare di sviluppo economico-sociale e giuridico-istituzionale[99].
c) Riguardata da una prospettiva generale, sul piano squisitamente teorico-giuridico la riflessione proposta nelle pagine precedenti comporta in definitiva un ripensamento del ruolo stesso del diritto.
Più precisamente, sembra delinearsi una transizione di paradigmi relativa all’idea stessa di “forma giuridica” tracciabile attraverso la sequenza tutela-promozione-rispecchiamento.
L’obiettivo fondamentale del modello liberale, ove colto in alcune declinazioni da esso assunte nel XIX secolo, era rappresentato dall’approntamento di strumenti di tutela statica delle forme di espressione presuntivamente fondamentali per il configurarsi della sfera soggettiva (in primis la proprietà). Plasmato in una prospettiva di autonomia individuale e radicato nell’isomorfismo struttura sociale-previsione giuridica, nonché dogmaticamente condensato nella “neutralità” della norma generale e astratta, l’assetto liberale appariva incapace di configurare anche cognitivamente la categoria stessa di “vulnerabilità” rendendo in principio irrilevanti i soggetti ad essa ascrivibili.
Rispetto a tale impianto la stagione novecentesca segna, come noto, una rottura decisiva.
Il ruolo dinamico-promozionale conferito allo Stato dalle “costituzioni sociali” (paradigmaticamente le Carte fondamentali italiana e tedesca) esitano nell’allestimento di un assetto sociale radicalmente innovativo e condensatosi nella figura del Welfare State. A fronte del pluralismo peculiarmente legato a contesti di massa, con il relativo moltiplicarsi delle istanze sociali, il diritto è chiamato a recitare un ruolo dinamico-propulsivo rendendosi costituzionalmente attento ad un’ideale articolato di eguaglianza e radicato nella polifonia delle formazioni sociali[100].
All’alba del nuovo secolo elementi molteplici fanno intravedere l’emergere di uno scenario radicalmente differente.
L’intreccio tra la crescente complessità dei contesti sociali, sempre più pluralisti e multiculturali, e la dinamica di frammentazione post-moderna della figura del soggetto comporta un profondo ripensamento del ruolo stesso del diritto (ancor prima dell’introduzione di istituti specifici in grado di conferire “visibilità” a soggetti variamente vulnerabili).
Tuttavia, se un intervento normativo di matrice liberale “a tutela” appare largamente superato, anche lo schema promozionale di matrice novecentesca diventa vieppiù inappagante. Le coordinate di complessità e frammentazione appena evocate mettono davvero in questione l’“ordine politico della modernità”[101] e la relativa grammatica concettuale. Esse postulano, infatti, una continua opera di cucitura-confezionamento della norma giuridica che, attraverso una delicata opera di discernimento tra “bisogni” (contingenti) e posizioni realmente configurabili come “diritti” (da tutelare) ispirata al principio di proporzionalità, la emancipi da una visione meramente pretensiva così da renderla rispondente a situazioni effettive di vulnerabilità-fragilità (e quindi di povertà) diacronicamente e tipologicamente cangianti.
Da questa prospettiva può forse apparire eccessivo parlare di una transizione della vulnerabilità da “caratteristica dei soggetti” a “carattere del diritto”[102] che, mitigando la durezza e freddezza dell’intervento normativo, ne enfatizzi il tratto “mite”[103] (anche in termini di passaggio dal soft law all’hard law[104]). Nondimeno è evidente che al diritto, così come ad alcune coordinate concettuali della sua struttura argomentativa, si chiede una torsione progressiva che sollecita la riconfigurazione dei modelli di ragionamento giuridici (ormai da tempo legati a nozioni come “ragionevolezza”, “bilanciamento” e “imparzialità”[105]) sino a un ripensamento della figura dei diritti umani[106] e, in ultima analisi, forse dell’idea stessa di diritto soggettivo.
Transitando da un modello deontologico ad uno schema “consequenzialista”, l’apparato giuridico è chiamato a rendersi sempre più duttile o flessibile (eventualmente anche in una prospettiva di global justice[107]). Sotto questo profilo anche l’assenza di una “definizione” della nozione di vulnerabilità, che a livello sovranazionale (CEDU, Corte di Giustizia, Dichiarazioni) e nazionale si configura come fattispecie aperta da declinare in rapporto a situazioni determinate, attesta come l’impostazione di cui si va ragionando costituisca forse la via privilegiata in vista di un diritto in grado di interpretare più compiutamente i quadri di complessità poc’anzi evocati.
Di qui un corollario che investe immediatamente la dimensione della vulnerabilità-fragilità e, mediatamente, il tema della povertà come sua species rilevante mostrando ancora una volta come la questione sia ulteriore all’orizzonte, ovviamente ineludibile, rappresentato dal paniere delle risorse disponibili e dei servizi erogati.
A prescindere dall’intendere o meno il plesso vulnerabilità-povertà in termini di paradigma fondativo, si tratta forse di liberarne realmente le potenzialità in chiave di teoria giuridico-politica[108] nonché etica[109], creando spazi di scelta e ampliando il repertorio delle chances sociali. Ciò significa tesaurizzare in chiave dinamica l’istanza sottesa alle menzionate radici costituzionali imperniate sull’asse persona-formazioni sociali, ovviamente garantendone l’opportuno bilanciamento.
In conclusione.
Nelle pagine precedenti è emersa la crucialità dell’arco teorico istanziato dal binomio vulnerabilità-povertà o, più ampiamente, dalla dimensione della precarietà/fragilità colta secondo il ventaglio frastagliato con cui essa si offre. Situandosi tra la “realtà” del dato empirico e l’apertura progettuale, in chiave giuridico-istituzionale il ripensamento del modello antropologico apre ad un ricco repertorio di possibili interventi normativi e di adozione di policies.
Interrogando il ruolo e il senso stesso del diritto, la dialettica innescata dalla polarità vulnerabilità-povertà in definitiva chiama in causa la grammatica teorico-giuridica di matrice moderna. Non solo verificandone la capacità di tenuta a fronte delle sollecitazioni provenienti da società pluristratificate e complesse, ma in rapporto anche alla possibilità di ripensarne le risorse e gli strumenti da essa tradizionalmente predisposti (diritti, codici, costituzioni).
Forse solo così il diritto e, insieme, la nozione di vulnerabilità anche nella sua declinazione di “povertà”, possono assumere i contorni definiti e praticabili del progetto.
Abstract: The increasing relevance of the category of “vulnerability” (i.e. “vulnerable subject”) within the contemporary philosophical-legal debate involves to remark its relation with the dimension of poverty. By considering the complex framework globalization-crisis of the State, the paper focuses on the pair vulnerability-poverty: the analysis allows to highlight the anthropological dimension underlying the horizon vulnerability-poverty and the legal profile of the vulnerability as well as the phenomenology of poverty (i.e. the couple “static poverty”-“dynamic poverty”), which entails to improve the legal tools and the implementation of the policies. In the light of the current social complexity the circle vulnerability-poverty-politics-law, including its anthropological premises and the pivotal role of the constitutional concept of “person”, implies an in-depth rethinking of the pair vulnerability-poverty as regards the societal patterns and the legal theory.
Key words: Vulnerability, Poverty, Law, Politics.
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Nell’ormai vastissima letteratura si segnalano soltanto, in modo rapsodico, alcuni riferimenti di carattere generale (cui si rinvia anche per la letteratura secondaria): B. Pastore, Semantica della vulnerabilità, soggetto, cultura giuridica, Giappichelli, Torino, 2021; A. Furia-S. Zullo (a cura di), La vulnerabilità come metodo: percorsi di ricerca tra pensiero politico, diritto ed etica, Carocci, Roma, 2020; O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità. Analisi multidisciplinare di un concetto, Carocci, Roma, 2018 per un quadro relativo ai significati molteplici della nozione di “vulnerabilità” a cavallo di ambiti differenti (diritto, etica, politica ed economia) e intesa come strumento critico del discorso pubblico in rapporto ai modelli istituzionali e alle prassi normative; M.G. Bernardini-B. Casalini-O. Giolo-L. Re (a cura di), Vulnerabilità: etica, politica, diritto, IF Press, Firenze, 2018; il numero dedicato a Vulnerabilità e diritto di “Ars Interpretandi”, 2, 2019; in ambito internazionale, oltre a quanto indicato nei testi appena menzionati, almeno V. Browne-J. Danely-D. Rosenow (eds.), Vulnerability and the Politics of Care: Transdisciplinary Dialogues, Oxford University Press, Oxford, 2021; F. Ippolito, Understanding Vulnerability in International Human Rights Law, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020; C. Mackenzie-W. Rogers-S. Dodds (eds.), Vulnerability. New Essays in Ethics and Feminist Philosophy, Oxford University Press, New York, 2014.
[2] Si pensi paradigmaticamente alla figura del “consumatore vulnerabile” che, a differenza del modello di “consumatore medio” elaborato a livello giurisprudenziale, è stata normativamente tipizzata nella direttiva 2005/29/CE dedicata alle pratiche commerciali sleali: ivi in particolare il considerando 18 che segnala la necessità di proteggere normativamente, al di là del paradigma di “consumatore” elaborato nella giurisprudenza della Corte di giustizia, i consumatori segnati da tratti soggettivi tali da renderli sensibilmente vulnerabili (in particolare l’art. 5, p. 3 della direttiva che implica una sostanziale estensione-precisazione del classico giudizio di proporzionalità rideterminando il parametro di riferimento legato alle aspettative presunte di un consumatore tipico della categoria più a “rischio”: ciò comporta un abbassamento della soglia di esigibilità di una condotta coerente e consapevole del consumatore in presenza di particolari condizioni esistenziali). In merito l’analisi di V. Rubino, L’evoluzione della nozione di consumatore nel processo di integrazione europea (disponibile al link http://www.dirittounioneeuropea.eu/evoluzione-consumatore-processo-integrazione-europea, ultimo accesso 25 giugno 2021).
[3] Sul versante penale si rinvia a quanto si osserverà più avanti.
[4] Sul punto si tornerà. Più precisamente: “Molti sono gli ambiti del sapere e della ricerca nei quali, da qualche tempo, la nozione di vulnerabilità è fatta oggetto di attenzione e di analisi, in uno scenario globale articolato, sfaccettato, che presenta svariate interconnessioni tra le sfere dell’etica, della politica, del diritto, dell’economia e che, per la sua comprensione, impone il ricorso a prospettive pluridisciplinari. «Vulnerabilità» è infatti un termine usato attualmente in diversi campi dell’esperienza: si tratta di uno di quei concetti indeterminati (propriamente: vaghi, dal momento che molteplici sono le condizioni e incerti i confini dell’area di applicazione dell’espressione linguistica), la cui estensione e ampiezza di significato ne rendono estremamente difficile la definizione. Al contempo, la varietà degli usi linguistici, in relazione ai differenti contesti[…]nei quali risulta centrale, è indizio della sua rinnovata rilevanza teorica e della sua innegabile ricchezza semantica”: O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Premessa a Id., Vulnerabilità…, cit., pp. 11 (ma ivi si veda anche p. 12; sempre ivi, per un’indagine lessicale e storico-filosofica, G. Maragno, Alle origini (terminologiche) della vulnerabilità: vulnerabilis, vulnus, vulnerare, pp. 13-35 e A. Jori, Vulnerabilità e storia della filosofia. To patheimathos: imparare attraverso la sofferenza, pp. 37-55 nonché le riflessioni, ancora ivi, contenute in S. Rossetti, La vulnerabilità nel pensiero di René Girard e Giorgio Agamben, pp. 115-126).
[5] Una precisazione: si delimiterà il riferimento alla sfera individuale, poiché l’eventuale estensione della categoria di vulnerabilità al “soggetto plurale” esorbita dai limiti della riflessione proposta in questa sede.
[6] Testo disponibile al link https://www.istitutobioetica.it/documenti-di-riferimento/documenti-di-riferimentoo/187-documenti/556-the-barcelona declaration-on-policy-proposals-to-the-european-commission-on-basic-ethical-principles-in-bioethics-and-biolaw (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[7] Ibidem, punto C, par. 4.
[8] Il riferimento esemplare è J. Locke, Two Treatises of Government, Cambridge University Press, Cambridge Ma., 1988, pp. 286-287 (Second Treatise, cap. V, Of Property, paragrafo 26). In merito anche V. Marzocco, Identità. La soggettività giuridica moderna e i suoi paradossi, in A. Andronico-T. Greco-F. Macioce (a cura di), Dimensioni del diritto, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 321-344, in particolare pp. 339-343 (con riferimento alle prospettive di Judith Butler e Martha Fineman) cui rinvio anche per alcuni riferimenti bibliografici in tema.
[9] Tra i molti, ad esempio, G. Stanghellini, Antropologia della vulnerabilità, Feltrinelli, Milano, 1997.
[10] Come rimarca opportunamente B. Pastore, Soggettività giuridica e vulnerabilità, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 127-145, in particolare p. 131 e ss.; inoltre V. Marzocco, Identità…, cit., p. 343 (si tornerà in conclusione sulla centralità della cifra personalista con riguardo alla categoria di vulnerabilità e in rapporto alle sue radici costituzionali).
[11] C. Taylor, Sources of the Self. The Making of the Modern Identity, Cambridge University Press, Cambridge Ma., 1989 e Id., The Ethics of Authenticity, Harvard University Press, Cambridge Ma.-London, 1991 (pubblicato originariamente in Canada con il titoloThe Malaise of Modernity). Più in generale, riguardo all’impostazione comunitarista si consenta di rinviare al quadro offerto nel mio Occidente e ‘figure’ comunitarie (volume introduttivo). “Comunitarismo” e “comunità”: un percorso critico-esplorativo tra filosofia e diritto, Jovene, Napoli, 2010.
[12] Per una sintetica presentazione-discussione critica di tale approccio S.F. Magni, Capacità, libertà e diritti: Amartya Sen e Martha Nussbaum, in “Filosofia Politica”, XVII, 3, 2003, pp. 497-506.
[13] Su questo versante insiste S. Rossi, Forme della vulnerabilità e attuazione del programma costituzionale, in “AIC (Rivista Italiana dei Costituzionalisti)”, 2, 2017, pp. 1-61 (in particolare pp. 1-6): il testo è disponibile al link Vulnerabilità e costituzione 2_2017_Rossi.pdf (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[14] In C. Mackenzie-W. Rogers-S. Dodds (eds.), Vulnerability. New Essays in Ethics and FeministPhilosophy, cit., si distinguono tre possibili fonti di vulnerabilità: inherent, situational e pathogenic.
[15] Con lessico mutuato da A. MacIntyre, Dependent Rational Animals. Why Human Beings Need the Virtues, Duckworth, London, 1999.
[16] M. Niero-G. Bertin (a cura di), Vulnerabilità e fragilità sociale: una teoria delle disuguaglianze di salute, Franco Angeli, Milano, 2012.
[17] S. Zullo, Potenzialità e limiti della nozione di vulnerabilità nel dibattito bioetico-giuridico contemporaneo, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 187-203.
[18] Con ovvio rinvio allo sviluppo dei disability studies: tra i molti M. G. Bernardini, Disabilità, giustizia, diritto. Itinerari tra filosofia del diritto e Disability Studies, Giappichelli, Torino, 2016; la ricca riflessione offerta in P. Heritier, La dignità disabile. Estetica giuridica del dono e dello scambio, EDB, Bologna, 2014; in chiave costituzionale S. Rossi, Forme della vulnerabilità e attuazione del programma costituzionale, cit. Si veda inoltre il focus sul tema Disabilità e diritto in “Rivista di Filosofia del diritto”, 2, 2018 (a cura di Thomas Casadei: contributi di Maria Giulia Bernardini, Marìa del Carmen Barranco Avilés e Valeria Marzocco).
[19] Nell’ormai amplissima bibliografia almeno A. Grenier-C. Phillipson-R.A. Settersten (eds.), Precarity and Ageing: Understanding Insecurity and Risk in Later Life, Policy Press, Bristol, 2020.
[20] Tra i molti W. Tommasi, Relazioni, dipendenza e vulnerabilità, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 101-113. Inoltre gli spunti in V. Marzocco, Identità…, cit.
[21] In merito soprattutto G. Zanetti, Filosofia della vulnerabilità. Percezione, discriminazione, diritto, Carocci, Roma, 2019.
[22] Sul punto G. Talamo, Vulnerabilità ontologica e misurazione ex ante: un contributo dalla letteratura economica, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 219-228, in particolare p. 222 e ss. Il contributo è particolarmente prezioso poiché, muovendo da una prospettiva attenta alla riflessione economica, problematizza la valutazione-misurazione della vulnerabilità come propensione alla povertà: come si dirà più avanti, il problema della stima della presenza reale di situazioni di precarietà riveste carattere generale investendo anche la questione della povertà.
[23] Si pensi alle analisi proposte dai Critical Legal Studies: in merito il classico R. M. Unger, The Critical Legal Studies Movement, Harvard University Press, Cambridge Ma.-London, 1986.
[24] In merito O. Guaraldo, La vulnerabilità come paradigma fondativo, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 57-71.
[25] Anche su questi temi si tornerà in conclusione.
[26] “Il povero (a differenza del misero) è il dipendente che non chiude la propria dipendenza ma la apre alla possibilità della potenza, mai attuata, ma sempre attuale nella sua possibilità”: così in G. Azzoni, Nomofanie. Esercizi di Filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 1-27 (segnatamente pp. 16-17): ivi, più in generale, una riflessione sul nesso tra povertà e dialettica della dipendenza con ampi riferimenti anche storico-filosofici.
[27] In merito, ad esempio, A.M. Mariani (a cura di), Fragilità: sguardi interdisciplinari, UNICOPLI, Milano, 2009.
[28] Tale approccio muove dall’idea che le forme molteplici di discriminazione e marginalizzazione presenti in un contesto determinato operano in modo fortemente integrato: intersecandosi e rafforzandosi dinamicamente esse postulano, quindi, un’analisi multilivello. In merito, ad esempio, la formulazione proposta in K. Crenshaw, Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics, in “The University of Chicago Legal Forum”, 140, 1989, pp. 139-167.
[29] Nella vastissima bibliografia si veda almeno l’aggiornato G. Ritzer-P. Dean, Globalization: a basic Text, Wiley Blackwell, Chichester-Malden Ma., 2015; il report offerto in Globalization, Growth and Poverty: Building an inclusive World Economy, Oxford University Press, New York, 2002; D. Dollar, Globalization, Poverty, and Inequality since 1980, disponibile al link https://documents1.worldbank.org/curated/en/107171468779167747/pdf/wps3333.pdf (ultimo accesso 25 giugno 2021). Ineludibile il riferimento ad alcuni lavori di Zygmunt Bauman dedicati ai profili qui considerati: Le nuove povertà, Castelvecchi, Roma, 2018 (Buckingham-Philadelphia, 1998); Modernità e globalizzazione, Edizioni dell’Asino, Roma, 2009 (intervista di Giuliano Battiston); Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari, 2005 (Cambridge Uk, 2004); Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2000 (New York, 1998). Ancora attuale il quadro offerto in D. Zolo, Globalizzazione: una mappa dei problemi, Laterza, Roma, 2006 e, sempre con riguardo ai temi qui toccati, A. Villani, Globalizzazione, uguaglianze, disuguaglianze, ISU Università Cattolica, Milano, 2002. Per una prospettiva squisitamente filosofico-giuridica A. Scerbo, Uno sguardo oltre il “non luogo” della globalizzazione, in “TCRS”, 1, 2015, pp. 101-111 (numero dedicato al tema Il diritto dopo il ‘900 ovvero dell’incertezza).
[30] In merito ad esempio J. F. Addicott-Md.J. Hossain Bhuiyan-T. M. R. Chowdhury, Globalization, International Law and Human Rights, Oxford University Press, New Delhi, 2012.
[31] Un esempio relativo ad un ambito specifico di vulnerabilità-povertà è S. H. Krieg, Multilevel Regulation against trafficking in Human Beings: a critical Application Analysis of International European and German Approaches, Nomos, Baden-Baden, 2014.
[32] “Ha preso forma, pian piano, una nuova nozione di ordine pubblico, inteso come «il distillato del sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria» delineabile attraverso la Carta di Nizza e il Trattato di Lisbona e non più solamente come complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico”: A. Occhipinti, Interpreti e fonti del diritto nella globalizzazione giuridica, in “Giurisprudenza penale” (Web), 1, 2019, pp. 1-23 (citazione da p. 1: ivi, per l’inserto, il riferimento alla nota 1 a Cass. S.U. 5 luglio 2017, n. 16601, F.I., I 2613 circa la questione dei limiti derivanti dalla nozione di ordine pubblico in rapporto alla riconoscibilità delle sentenze straniere): il testo è disponibile al link Occhipinti_gp_2019_1.pdf (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[33] F. Ippolito, Understanding Vulnerability in International Human Rights Law, cit. passim e Id., Vulnerability as an Emergent Principle in International Law of Human Rights?, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 63-93; M, Catanzariti, The Faces of Vulnerability: The Example of the Interamerican Court of Human Rights, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 95-113.
[34] In merito le analisi proposte in Z. Bauman, Le nuove povertà, cit., soprattutto cap. 3 (con particolare attenzione al mondo del lavoro) e Id., Vite di scarto, cit., passim
[35] In tal senso il paradigma è rappresentato dalle pratiche di “delocalizzazione aziendale”: sul punto il sintetico ma incisivo R.C. Feenstra, Offshoring in the global Economy: microeconomic Structure and macroeconomic Implication, The MIT Press, Cambridge-London, 2010 che non ha perso di attualità.
[36] Il caso, ormai quasi di scuola, è rappresentato dalle misure adottate nel 2012 a livello europeo in coincidenza della crisi del debito sovrano, segnatamente nei confronti della Grecia, che innescarono notoriamente un vasto dibattito pubblico: in merito l’analisi, fortemente critica, proposta in J. K. Galbraith, Welcome to the Poisoned Chalice: the Destruction of Greece and the Future of Europe, Yale University Press, New Haven, 2016.
[37] Si fa ovviamente riferimento al vasto repertorio di programmi di natura economico-sociale elaborato in sede di Unione Europea (dai fondi sociali alle politiche fiscali): per un’introduzione può risultare ancora attuale, sebbene risalente, A. Bruzzo, Le politiche strutturali e di coesione economica e sociale dell’Unione Europea: un’analisi introduttiva, Cedam, Padova, 1998.
[38] Una gestione che, denunciando l’assenza di strategia politica, si è tradotta frequentemente in scelte discutibili: dalla mancata formalizzazione di accordi interstatuali alla predisposizione di strumenti giuridici altamente problematici (ad esempio la creazione di hotspots su confini statuali o extraterritoriali). In merito, nella vastissima letteratura, L. Zanfrini, The Challenge of Migration in a Janus-faced Europe, Palgrave MacMillan, Cham, 2019; per una problematizzazione in prospettiva filosofico-giuridica G. Bombelli-B. Montanari (a cura di), Identità europea e politiche migratorie, Vita & Pensiero, Milano, 2008 nonché i più recenti J.C. Velasco-M. La Barbera (eds.), Challenging the Borders of Justice in the Age of Migrations, Springer, Cham, 2019; inoltre M. La Barbera (ed.), Identity and Migration in Europe: Multidisciplinary Perspectives, Springer, Cham, 2015 e F. Macioce, Il nuovo noi. La migrazione e l’integrazione come problemi di giustizia, Giappichelli, Torino, 2014 nei quali, con accentuazioni diverse e in rapporto a temi differenti, si lambisce variamente il profilo della vulnerabilità; si segnala, come radicalmente antitetico, il controverso e per molti versi discutibile K. M. Greenhill, Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercicion, and Foreign Policy, Cornell University Press, Ithaca and London, 2010.
[39] S. Romano, Moralising Poverty. The ‘Undeserving’ Poor in the Public Gaze, Routledge, London-New York, 2018, p. 116 e ss. sulla polarità “Us vs. them” e il meccanismo di “scapegoating the other” (con riguardo anche allo scenario inglese).
[40] In merito non si può che rinviare alle analisi dettagliate e ai dati statistici proposti nei testi citati alle note precedenti.
[41] Si è calcolato che negli ultimi anni in Europa, per ragioni differenti e non legate esclusivamente alla questione migratoria, sono stati costruiti più di mille chilometri di confini fortificati: sul punto quanto segnalato al link https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/migrazioni-e-antiche-paure-in-europa-ritornano-i-muri (ultimo accesso 25 giugno 2021; il documento è del 27 marzo 2019). Sulla transizione dallo “Stato sociale” allo “Stato di sicurezza” Z. Bauman, Le nuove povertà, cit., p. 149 e ss. (ivi anche pp. precedenti).
[42] In merito, nel quadro di un’analisi che muove dall’ottica della tenuta dei sistemi capitalistici, R. Boyer, Les capitalismes à l’épreuve de la pandémie, La Découverte, Paris, 2020.
[43] F. Ippolito, Understanding Vulnerability in International Human Rights Law, cit., Parte I, in particolare cap. 2.
[44] Ciò che si propone in M. (Milli) Virgilio, La vulnerabilità nelle fonti normative italiane e dell’Unione Europea: definizioni e contesti, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 161-170. L’Autrice si sofferma su tre questioni: tratta di esseri umani, nozione di vittima vulnerabile e protezione internazionale.
[45] In merito (per l’analisi di alcune sentenze rilevanti nonché per ulteriori riferimenti bibliografici) A. De Giuli, Sul concetto di “vulnerabilità” secondo la Corte di Giustizia UE. La “vulnerabilità, e la sua polisemia, in ambito sociale, economico ed ambientale nelle decisioni della CGUE, in “Diritto penale e uomo”, 10, 2020, pp. 1-19 reperibile al link https://dirittopenaleuomo.org/contributi_dpu/sul-concetto-di-vulnerabilita-secondo-la-corte-di-giustizia-ue/ (ultimo accesso 25 giugno 2021); F. Ippolito, UnderstandingVulnerability in International Human Rights Law, cit., in particolare p. 352 e ss. (con riguardo ai flussi migratori).
[46] A. De Giuli, Sul concetto di “vulnerabilità” secondo la Corte di Giustizia UE…, cit., che sintetizza come segue: “[La Corte di giustizia europea], a seconda dell’ambito considerato, gode di un differente margine di discrezionalità nell’apprezzare gli elementi che determinano la situazione di vulnerabilità. Tale situazione trova una stretta relazione con le direttive e l’attività svolta dalla Commissione e dal Consiglio Europeo. Infatti, quando la Corte si occupa dell’ambito sociale, dà maggiore spazio a giudizi di valore alla luce del caso concreto. Ciò si deve probabilmente all’eterogeneità delle esperienze di vita, che difficilmente possono essere fatte rientrare all’interno di categorie definite a priori da parte del legislatore dell’Unione, tant’è che quest’ultimo preferisce adottare una definizione aperta di vulnerabilità. Al contrario, nell’ambito economico ed ambientale viene ridotto il margine di apprezzamento riservato alla CGUE, in ragione dell’attività svolta dalle istituzioni europee nel fissare gli elementi che permettono di determinare la vulnerabilità a priori e nel realizzare accertamenti e periodi d’inchiesta. La delimitazione della discrezionalità è più blanda nell’ambito economico, dove si lascia un ruolo attivo del Tribunale in ordine alla valutazione degli indizi e dei criteri allegati dalla Commissione Europea e dal Consiglio, che costituiscono il limite al margine di interpretazione riservato all’organo giudiziario europeo. Al contrario, in materia ambientale la CGUE riveste un ruolo più passivo, consistente nella mera riproduzione delle direttive e, talvolta, di studi e ricerche svolte a livello europeo con il fine di vigilare l’adempimento degli obblighi assunti dagli Stati ed incentivare il rispetto dell’ecosistema. L’uso polisemico della nozione di vulnerabilità riflette, quindi, l’eterogeneità casistica che viene trattata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e la sempre maggiore attenzione di questo organo giudiziario nei confronti degli aspetti sociali, promuovendo lo sviluppo sostenibile e l’integrazione dei diritti umani nelle differenti politiche nazionali”. In merito anche A. Abignente, Vulnerabilità del diritto: appunti per una mappa concettuale, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 183-185, in particolare p. 185 ove, facendo riferimento all’attività della CEDU, l’Autore rileva come “la Corte non mir[i]a pervenire ad una generalizzazione della vulnerabilità dei soggetti, non è orientata a esiti nomofilattici,[…]ma la declina in relazione ai soggetti richiedenti tutela già nella valutazione dell’ammissibilità del loro ricorso, del margine di appezzamento, degli obblighi degli Stati e poi nella contestualizzazione, culturale, storica, sociale della situazione soggettiva che richiede tutela. Questo paradigma, che trova riscontro anche in certa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, come è avvenuto con le decisioni coeve del 14 marzo 2017, C-157/115 e C-188/15, in tema di discriminazioni, dirette o indirette, sul luogo di lavoro verso la dipendente che indossa il velo islamico, si riverbera anche nel nostro ambiente giuridico”.
[47] F. Ippolito, UnderstandingVulnerability in International Human Rights Law, cit., ove la triade rappresenta una sorta di leitmotiv che innerva la trama concettuale del volume.
[48] A. Masferrer - E. Garcia-Sànchez (eds.), Human Dignity of the Vulnerable in the Age of Rights. Interdisciplinary Perspectives, Springer, Cham, 2016.
[49] Ad esempio vi è chi giudica l’approccio europeo in qualche misura “selective” in quanto sbilanciato sul fronte migratorio: F. Ippolito, Understanding Vulnerability in International Human Rights Law, cit., p. 170 e ss.
[50] Ne offre un saggio, per l’ambito penale, M. (Milli) Virgilio, La vulnerabilità nelle fonti normative italiane e dell’Unione Europea: definizioni e contesti, cit.
[51] S. Rossi, Forme della vulnerabilità e attuazione del programma costituzionale, cit., in particolare p. 9.
[52] In merito i preziosi rilievi proposti in F. Pizzolato, Constitutional Banks to the Delimitation of Vulnerability, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 25-38.
[53] F. Ippolito, UnderstandingVulnerability in International Human Rights Law, cit., in particolare Parte II con riguardo agli ambiti della practice e dell’argumentation.
[54] Quanto variamente prospettato anche in ibidem, passim
[55] Sul piano statistico, per uno sguardo a livello mondiale si rinvia ai dati offerti nel World Inequality Database (al link https://wid.world/: per l’Italia si veda, ad esempio, il rapporto ISTAT 2020 sulla povertà (reperibile al link https://www.istat.it/it/files/2021/06/REPORT_POVERTA_2020.pdf). Ad entrambi i livelli non solo sembra delinearsi un incremento della povertà globale (mondiale o nazionale), ma anche il quadro di incidenza degli stati di povertà: le fasce di popolazione particolarmente interessate, a prescindere dalle zone esaminate, sembrano rappresentate dai soggetti di minore età e dalle persone di età avanzata.
Di là dalle stime statistiche offerte nei vari reports disponibili, peraltro non sempre pienamente affidabili, si intende rimarcare soprattutto un punto: contrariamente al modello tipicamente moderno, legato all’ideale di un progresso economico-sociale costantemente lineare e strutturalmente aperto alla redistribuzione della ricchezza, la povertà (in primis quella di natura squisitamente economica) va sempre più ripresentandosi anche in contesti occidentali e in rapporto alla massa della popolazione integrando ciò che i sociologi da tempo definiscono “crisi della classe media”. Si riprenderà il punto anche in conclusione. Sul tema, oltre ai riferimenti contenuti nei testi citati alle note precedenti, esiste ormai una vasta letteratura: ci si limita a segnalare, per la produzione internazionale, S. Romano, Moralising Poverty. The ‘Undeserving’ Poor in the Public Gaze, cit.; P. Spicker, The idea of Poverty, The Policy Press, Bristol, 2007; in ambito nazionale M. Zupi, Disuguaglianze in via di sviluppo, Carocci, Roma, 2013; ancora utile, da una prospettiva sociologica, N. Bosco-N. Negri (a cura di), Corsi di vita, povertà e vulnerabilità sociale. Metodi per lo studio dinamico dei rischi di povertà, Guerini, Milano, 2003 che già saldava il tema della vulnerabilità (sociale) a quello della povertà e, analogamente, M. Della Campa-M.L. Ghezzi-U. Melotti (a cura di), Vecchie e nuove povertà nell’area del Mediterraneo: situazioni e politiche sociali a confronto, Edizioni della Società Umanitaria, Milano, 1999.
[56] Per un’introduzione è imprescindibile il classico A. Deaton, Measuring Poverty, Oxford University Press, Oxford, 2006; tra i molti si segnala il sintetico e chiaro L. Ceriani, A Path-DependentPovertyMeasure, ECONPUBBLICA WorkingPaper, N. 142 (1.7.2009), disponibile al link SSRN: https://ssrn.com/abstract=2016129 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2016129 (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[57] La distinzione viene proposta in P. Singer, Etica pratica, Liguori Editore, Napoli, 1989 (Cambridge, 1979), cap. VIII Ricchi e e poveri: per “povertà assoluta” l’Autore intende una condizione di vita “caratterizzata da malnutrizione, analfabetismo, malattie, squallore ambientale, alta mortalità infantile e bassa attesa di vita al di sotto di qualsiasi ragionevole definizione della decenza umana” (Singer trae questa definizione da R. MacNamara, World Development Report 1978, p. iii: nel testo di Singer p. 227).
[58] P. Spicker, The Idea of Poverty, cit., le Parts One-Five che offrono una galleria lessico-fenomenologica della povertà (precisamente: povertà come bisogno materiale, come condizione economica e come concetto morale).
[59] Il binomio si può reprimere con l’equivalente coppia concettuale “povertà come condizione”-“povertà come processo”, imperniata sull’idea di povertà come “incapacitazione” e legata all’intreccio di fattori molteplici di natura soggettiva (es. livello di istruzione) e diacronico-contestuale (es. processi generalizzati di impoverimento determinati da cause contingenti). In merito si segnala il lavoro, impostato in prospettiva sociologica, di R. Pascucci, La povertà come condizione e come processo. Il caso degli utenti dei servizi Caritas di Roma, disponibile al link https://core.ac.uk/download/pdf/84928317.pdf (ivi opportuni riferimenti bibliografici: ultimo accesso 25 giugno 2021).
[60] Sul punto si fa particolare riferimento a E. Grande, Guai ai poveri. La faccia triste dell’America, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2017 (studiosa del sistema giuridico nordamericano, l’Autrice è ordinaria di Sistemi giuridici comparati presso l’Università del Piemonte Orientale). In merito anche J.E. Stiglitz, La grande frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla, Einaudi, Torino, 2016 (New York, 2015) e Id., Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Einaudi, Torino, 2013 (New York, 2012).
[61] E. Grande, Guai ai poveri…, cit., Parte I La povertà negli Stati Uniti: quanta, come e perché, in particolare i dati offerti nel capitolo Contare i poveri d’America: il mistero della povertà persistente; Parte II, in particolare il capitolo Liberarsi degli homeless. Sul punto è ancora utile J. Blau, The Visible Poor: Homelessness in the United States, Oxford University Press, New York, 1992.
[62] E. Grande, Guai ai poveri…, cit., l’Introduzione (segnatamente il par. Un diritto crudele) e Parte I (il capitolo Un diritto che crea solitudine). L’Autrice stigmatizza segnatamente le politiche fiscali, il diritto penale e, più in generale, le politiche del diritto adottate in modo bipartisan dai governi americani negli ultimi decenni.
[63] In merito, sempre di Elisabetta Grande, il suo Il terzo strike. La prigione in America, Sellerio, Palermo, 2007.
[64] E. Grande, Guai ai poveri…, cit., nell’Introduzione il par. Quando la ricchezza non sgocciola. Ivi le stime dell’U.S. Census Bureau che al 2014 valuta in 21 milioni gli americani (il 6% della popolazione complessiva, soprattutto di origine afroamericana) che versano in stato di povertà estrema e, cioè, con reddito al di sotto della metà della soglia federale nel quadro di un processo di impoverimento generale (che, come rimarca la Grande, connota l’ultimo quarantennio).
[65] J. Stiglitz, La grande frattura…, cit., p. XVII (ma ivi si veda anche la Parte I).
[66] E. Grande, Guai ai poveri…, cit., Introduzione; inoltre Z. Bauman, Le nuove povertà, cit., p. 115 e ss.; P. Spicker, The Idea of Poverty, cit., capp. 11 (The moral dimension of poverty)-12 (The moral condemnation of the poor): se è veroche “[p]overty is a moral concept, as well as a descriptive one” ne segue che “[a]ccepting that poverty is serious is only the first step towards accepting responsibility. The second step is to accept that something ought to be done” (rispettivamente p. 93 e p. 101). Un profilo, peraltro, sotteso anche a talune discipline normative recentemente introdotte nel nostro ordinamento (poi modificate): si pensi, ad esempio, a quanto previsto in tema di mendicità e reato di accattonaggio molesto nel d.l. 113/2018 (convertito nella legge 132/2018).
[67] S. Romano, Moralising Poverty…, cit., in particolare Part I e Part II da cui mutuo le espressioni riportate nel testo. Più precisamente, nella Part I (dedicata al moral background of poor relief and solidarity in public policy) l’Autrice insiste sulle origini della deservedness riferita alla povertà (individuate nella idleness, deviance e discipline) problematizzando il punto con riferimento ai contesti inglese e italiano e avuto riguardo anche agli orizzonti di crisi, mentre nella Part II Romano analizza alcune figure che abitano le narratives of deservedness (paradigmaticamente: “parasites”, “scroungers” e “welfare queens”) rimarcando la rilevanza del ruolo rivestito dalle “perceptions of poverty in times of crisis”,
[68] P. Spicker, The Idea of Poverty, cit., Part 5.
[69] Per uno sguardo a livello mondiale e attento ad ambiti differenti J. Stiglitz, La grande frattura…, cit., Parte settima.
[70] Un profilo metodologico sviluppato, ad esempio, in N. Bosco-N. Negri (a cura di), Corsi di vita, povertà e vulnerabilità sociale…, cit., in particolare Introduzione. L’analisi dinamica e storica di coorte della vulnerabilità e della povertà: excursus e prospettive, pp. 9-34 (con riguardo anche al ricorso ivi operato al binomio event history analysis-sequence analysis).
[71] Per mutuare la formula proposta in M. Zupi, Disuguaglianze in via di sviluppo, cit., in particolare il cap. 3: ivi, oltre al riferimento alla “quarta onda della globalizzazione”, si pone attenzione ai “fatti stilizzati” sulla povertà e sulla diseguaglianza (con particolare riguardo al caso della “Primavera araba”).
[72] Ibidem, cap. 1. Focalizzandosi sul nesso povertà-uguaglianze, l’Autore esamina tre prospettive attraverso le quali tale binomio è andato concettualizzandosi: riduzionista, conflittuale-antagonista e sistemica (quest’ultima particolarmente attenta all’orizzonte della complessità sociale: un versante su cui si va insistendo anche in questa sede). Inoltre P. Spicker, The Idea of Poverty, cit., Parts Six-Seven.
[73] In merito è molto utile l’indagine proposta da M. Scalambrin, La dinamica e l'identificazione della vulnerabilità alla povertà. Un'analisi empirica in Italia, tesi online reperibile al link onlinehttp://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/7502/827968-1180885.pdf?sequence=2 (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[74] Come si rimarca acutamente anche in B. Pastore, Soggettività giuridica e vulnerabilità, cit., passim e in particolare p. 131 e ss.
[75] Sul punto si rinvia al riferimento lockeano proposto inizialmente.
[76] A. Honneth, Kampf um Anerkennung. Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1992.
[77] H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Insel-Verlag, Frankfurt am Main, 1979. Sulla prospettiva di Jonas, riguardata dalla prospettiva della vulnerabilità, P. Becchi, La vulnerabilità della vita. Contributi su Hans Jonas, La Scuola di Pitagora, Napoli, 2008.
[78] In merito rinvio alla suggestiva analisi proposta in L. Ferrari, L’ascesa dell’individualismo economico, Vicolo del Pavone, Tortona-Alessandria, 20162; per un raffronto antrifrastico tra il pensiero di Nietzsche e l’universo della vulnerabilità A. Jori, Vulnerabilità e storia della filosofia…, cit., in particolare p. 49 e ss.
[79] Pericolo latente, ad esempio, nella cosiddetta “legislazione di tutela”: sugli effetti potenzialmente paradossali di tale dinamica A. Verza, Il concetto di vulnerabilità e la sua tensione tra colonizzazioni neoliberali e nuovi paradigmi di giustizia, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 229-251, in particolare pp. 233-235 (per l’Autrice è possibile parlare di “derive progressive della protezione del vulnerabile”).
[80] In tema C.C. Casula, La forza della vulnerabilità: utilizzare la resilienza per superare le avversità, Franco Angeli, Milano, 2011; con riguardo al tema della vulnerabilità A. De Giuli, Sul concetto di “vulnerabilità” secondo la Corte di Giustizia UE, cit., p. 3 e p. 5.
[81] La categoria di “dono” intrattiene più di un nesso logico con la coppia vulnerabilità-povertà: un profilo che va qui rimarcato soprattutto in coincidenza con il riemergere dell’orizzonte lato sensu oblativo, in termini di mobilitazione a base volontaristica, registratosi nel quadro di contesti emergenziali di matrice pandemica. Sulla complessità e le possibili declinazioni funzionali-strumentali dell’idea di “dono” si consenta di rinviare a G. Bombelli, Complessità del ‘dono’ e orizzonte comunitario: una lettura filosofico-giuridica, in M. De Paoli-G. Manfredi-S. Pavesi-M. Tallacchini-E. Vendramini (ed.), Una filantropia nuova. Economia, diritto, filosofia per una società digitale collaborativa, Libellula Edizioni, Tricase (LE), 2017, pp. 235-251.
[82] Una sorta di prefigurazione di quanto si va ragionando è ravvisabile nella figura dell’“amministratore di sostegno” introdotta nell’ordinamento italiano con legge n. 6/2004 (riguardo a categorie di soggetti ovviamente non del tutto sovrapponibili a quelle dei vulnerabili e/o poveri). Più in generale, si veda la sezione “Monographica” proposta in “Diritto & Questioni Pubbliche”, 1, 2020 dedicato al tema Capacità di agire e vulnerabilità. Una prospettiva interdisciplinare curata da Baldassarre Pastore che, oltre alla presentazione di quest’ultimo, contiene contributi relativi ad aspetti differenti: D. Poletti, Vulnerabilità e atti personalissimi (pp. 11-28), C. Costantini, Eyes Wide Shut. Fenomenologia giuridica della vulnerabilità (pp. 20-41), M. G. Bernardini, L’ambigua capacità. Riflessioni minime sulla rinnovata attualità di un dibattito e primi tentativi di chiarificazione (pp. 43-62) e G. Dodaro, L’attribuzione di capacità come pratica di riconoscimento della persona con disabilità quale “soggetto” di diritto penale (pp. 63-87). Inoltre A. Fusaro, The Vulnerable Person’s Legal Act and the Language of Invalidity, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 39-62.
[83] Con riguardo a contesti emergenziali, segnatamente legati alla recente pandemia, ad esempio L. Ruggeri-M. Giobbi, Vulnerabilità economica tra diritto emergenziale e contrattuale, in “Actualidad Jurídica Iberoamericana”, 12 bis, 2020, pp. 340-351, circa i processi di rinegoziazione e il loro rapporto con procedure extragiudiziali (con una particolare attenzione per situazioni emergenziali in tema di povertà energetica): il contributo è disponibile al link http://www.revista-aji.com/wp-content/uploads/2020/05/33._Lucia_Ruggeri_e_Manuela_Giobbi_pp._340-351.pdf (ultimo accesso 25 giugno 2021).
[84] Come noto la questione della cittadinanza rappresenta da tempo un tema “caldo”, a partire almeno dall’ormai classico W. Kymlicka, Multicultural Citizenship: a liberal Theory of Minority Rights, Clarendon Press, Oxford, 1995. Per i temi qui affrontati rinvio anche alle considerazioni sul “blame it on the stranger” proposte in S. Romano, Moralising Poverty, cit. p. 116 e ss. nonché, tra i molti, E. Codini, Modelli di cittadinanza nello Stato moderno, in G. Bombelli-B. Montanari (a cura di), Identità europea e politiche migratorie, cit., pp. 127-147.
[85] Si pensi ai modelli di co-housing che vanno configurandosi come tipologia di abitazione collaborativa. Imperniati sulla compartecipazione pubblico-privato, essi intendono superare una logica meramente assistenziale con l’obiettivo di coniugare sfera personale (colta nei suoi molteplici profili di vulnerabilità: anziani, disabili, immigrati) e dimensione eco-sociale garantendo servizi dignitosi ed evitando discriminazioni (di qui la figura del mediatore condominiale). Oggetto di progressiva disciplina normativa (a partire dall’art. 19 della Convenzione ONU del 2006 relativa ai diritti delle persone con disabilità e al conseguente impegno gravante sugli Stati di garantire loro una residenza dignitosa; provvedimento ratificato in Italia nel 2009 e poi “confluito” nella l. 111/2016 detta del “Dopo di noi” che ha istituito anche un Fondo apposito), il fenomeno del co-housing è in evoluzione e in alcune zone è già stato attivato in via sperimentale. L’idea di fondo è favorire forme di socializzazione verso (e tra) persone fragili: non solo per evitare il ricorso alla soluzione tradizionale dell’istituzionalizzazione ma anche e soprattutto per implementare, nel quadro dell’attivazione di una rete di attori sociali (in primis i contesti familiari), una logica inclusiva e funzionale all’integrazione delle persone vulnerabili ben oltre la mera garanzia dei bisogni primari.
[86] Ad esempio si pensi alla straordinaria “fedeltà istituzionale”, in senso quasi weberiano, emersa nei frangenti emergenziali da parte di una serie di gruppi sociali (segnatamente funzionari pubblici): infermieri, insegnanti, ecc.
[87] Riguardo al quale appare rilevante l’intervento normativo predisposto nel d.lgs. 117 del 3/7/2017 (“Codice del Terzo settore”), inclusivo dell’attenzione per i contesti di vulnerabilità e povertà.
[88] S. Romano, Moralising Poverty, cit., p. 97 e ss.
[89] S. Holmes-C. Sunstein, The Cost of Rights: Why Liberty Depends on Taxes, W.W. Norton & Company, New York, 1999.
[90]Ibidem, pp. 15-16.
[91] Si fa particolare riferimento all’introduzione nell’ordinamento italiano del “reddito di cittadinanza” disposto con d.l. 4/2019: di là dalle valutazioni che ne sono state offerte nell’arena dell’ordinario dibattito politico, le misure in esso previste sono ovviamente conferenti con i temi qui discussi ma, alla luce dell’esperienza maturata e soprattutto in prospettiva, andranno valutate con attenzione riguardo ad alcuni aspetti fondamentali (presupposti giuridici, verifica dei requisiti di accesso, precisazione dei vincoli di spesa, modalità di attuazione, ecc.). Su questi temi, in chiave filosofico-politica ma attenta anche al versante propriamente giuridico, C. Del Bò-E. Murra, Per un reddito di cittadinanza. Perché dare soldi ad Homer Simpson e ad altri fannulloni, Goware, Firenze, 2014.
[92] Alcuni spunti in M. Zupi, Disuguaglianze in via di sviluppo, cit., in particolare cap. 2 (ove si distingue tra quattro approcci: ottimistico-volontaristico, pessimista, impostazione british e radicale) e p. 127 e ss. in tema di cooperazione e aiuti internazionali.
[93] Per un inquadramento, sebbene criticabile quanto all’impianto generale, R. Cubeddu, Atlante del liberalismo, Ideazione, Roma, 1997.
[94] Ne è un esempio eminente Murray N. Rothbard: nell’eclettica produzione del teorico americano si segnalano in particolare: Power and Market, Institute for Humane Studies, Menlo Park, CA, 1970; For a New Liberty: the Libertarian Manifesto, Macmillan, New York, 1973; Egalitarianism as a Revolt against Nature, and other Essays, Libertarian Review Press, Washington DC, 1974; The Ethics of Liberty, Humanities Press, Atlantic Highlands, NJ, 1982. Nel dibattito italiano la prospettiva rothbardiana ha avuto particolare recezione nel quadro delle attività dell’Istituto Leoni. Per una problematizzazione critica del nesso tra prospettiva liberale (o neo-liberale) e vulnerabilità A. Verza, Il concetto di vulnerabilità e la sua tensione tra colonizzazioni neoliberali e nuovi paradigmi di giustizia, cit. e O. Giolo, La vulnerabilità neoliberale. Agency, vittime e tipi di giustizia, in O. Giolo-B, Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 253-273 che, tra l’altro, ragiona intorno al ruolo del diritto nella costruzione di una soggettività vulnerabile-neoliberale.
[95] Con ovvio riferimento a J. Rawls, A Theory of Justice, Harvard University Press, Cambridge Ma., 1971.
[96] Un quadro complessivo viene offerto in Z. Bauman, Le nuove povertà, cit., in particolare Parte I (dedicata al tema del lavoro nella transizione dall’etica del lavoro all’estetica del consumo) e soprattutto Parte II (ove l’analisi dell’ascesa e caduta del Welfare State fa da premessa alla fenomenologia dei nuovi poveri legata soprattutto ai processi di precarizzazione del lavoro e ove, ancora una volta, non manca il rilievo conferito alla prospettiva cognitiva per cui il povero viene visto “come un criminale”: p. 115 e ss.).
[97] La questione, ovviamente di grande respiro e risalente, ha segnato stagioni differenti non solo della riflessione stricto sensus cientifico-accademica ma del dibattito politico tout court. In merito si segnalano solo alcuni testi relativi volutamente a profili, prospettive e matrici differenti che, quasi come contrappunto degli ultimi decenni, hanno attinto a un repertorio di idee, progetti e riforme in buona parte disattesi: C. Baudone-L.Traverso, Le regole dell’economia solidale e del progresso sociale: riforma del sistema tributario e del ‘welfare’, Cedam, Padova, 2009; L. Guerzoni (a cura di), La riforma del welfare: dieci anni dopo la Commissione Onofri, il Mulino, Bologna, 2008; E. Ferragina, Capitale sociale e riforma del welfare: la terza via dell’Europa, Oxford Management Publishing, London, 2008; G. Sabattini, Riforma del welfare e problema distributivo nell’economia di mercato, Franco Angeli, Milano, 2007; Welfare State: percorsi di riforma, Inas, Roma, 2006; C. Gori (a cura di), Politiche sociali di centro-destra: la riforma del welfare lombardo, Carocci, Roma, 2005; Il nuovo Welfare State dopo la riforma del Titolo V (Atti del Convegno, Roma 17 maggio 2002), Giuffré, Milano, 2005; C. De Vincenti-C. Pollastri (a cura di), La partita doppia del welfare: una base informativa per dibattere di tassazione e riforma dell’intervento pubblico, Ediesse, Roma, 2004; si veda anche la particolare prospettiva offerta in M. Toso, Welfare society: la riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, LAS, Roma, 2003. Più in generale, di là dal tema del Welfare State, ancora utile N. Bosco-N. Negri (a cura di), Corsi di vita, povertà e vulnerabilità sociale…, cit., in particolare p. 173 e ss.
[98] Da questa prospettiva colpisce soprattutto la ripresa, talora criticamente poco avvertita e in alcuni casi meramente strumentale, nella pamphlettistica ma anche nel dibattito accademico di schemi concettuali che presentano una matrice lato sensu marxiana: paradigmatico M. Musto (a cura di), Marx revival. Concetti essenziali e nuove letture, Donzelli, Roma, 2019.
[99] In merito non si può che rinviare ai riferimenti statistici contenuti nei testi e documenti menzionati alle note precedenti.
[100] Oltre a quanto precedentemente osservato G. Preterossi, La dimensione sociale della vulnerabilità, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 205-218 (che lega opportunamente il tema dello Stato sociale e della massa nel quadro di una prospettiva di “modernità vulnerabile”) e, sempre nel volume curato da Orsetta Giolo e Baldassarre Pastore, il contributo di M.G. Bernardini, Dalla responsabilità alla democrazia abilitante: prospettive (non troppo) future su etica della cura e vulnerabilità, pp. 275-291; inoltre D. Ruggiu, Vulnerable Subject, Technological Innovation, and Ethics of Care, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 133-154. Si segnala anche la sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale relativa al nesso tra il margine di discrezionalità del legislatore e la tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili (in tema di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata).
[101] B. Pastore, Semantica della vulnerabilità, soggetto, cultura giuridica, cit., p. 7 e ss. che problematizza acutamente il nesso tra assunti antropologici e struttura della modernità.
[102] Una linea concettuale proposta ad esempio in F. Ciaramelli, La vulnerabilità: da caratteristica dei soggetti a carattere del diritto, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 171-182: inquadrando la questione all’interno dell’orizzonte novecentesco dominato dagli assetti democratico-costituzionali e culturalmente segnato dalla crisi della categoria di “stabilità”, l’Autore fa particolare riferimento alla riflessione di Emmanuel Lévinas; inoltre A. Abignente, Vulnerabilità del diritto: appunti per una mappa concettuale, cit.
[103] Un riferimento alle note tesi di Gustavo Zagrebelsky riguardo al “diritto mite” viene proposto in F. Ciaramelli, La vulnerabilità: da caratteristica dei soggetti a carattere del diritto, cit., p. 180.
[104] Sul punto F. Ippolito, Understanding Vulnerability in International Human Rights Law, cit., p. 89 e ss. (circa l’idea di una “vulnerability in soft law as a vehicle towards hard law in corporation”). Ivi anche la Parte III ove, sempre con riguardo alla sfera internazionalistica, si ragiona sulla vulnerabilità come criterio regolativo per il canone di interpretazione di effettività.
[105] In altre parole, alcune nozioni ormai invalse nella prassi e nel dibattito teorico-giuridico (come appunto “ragionevolezza”, “bilanciamento” e “imparzialità”) sembrano leggibili anche in relazione all’ordine problematico sollevato dal binomio vulnerabilità-povertà: nell’ormai foltissima letteratura G. Bongiovanni-G. Sartor-C. Valentini (eds.), Reasonableness and Law, Springer, Dordrecht-London, 2009 e, con riguardo anche alla transizione dal modello liberale di matrice ottocentesca agli scenari novecenteschi, si consenta rinviare al mio G. Bombelli, Diritto, decisione e paradigmi di “razionalità”, in G. Bombelli-B. Montanari (a cura di), Ragionare per decidere, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 321-358; I. Trujillo, Imparzialità, Giappichelli, Torino, 2003 (per la tesi che “imparzialità” non è sinonimo di “neutralità” come categoria astrattamente universale).
[106] In merito E. Pariotti, Vulnerabilità e qualificazione del soggetto: implicazioni per il paradigma dei diritti umani, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 147-160, ove l’attenzione è posta anche alle proiezioni che la questione presenta in ordine al ragionamento giuridico e alla nozione di vulnerabilità che l’Autrice configura come categoria euristica; Id., Ontological Vulnerability and the Language of Rights, in “Ars Interpretandi”, 2, 2019, pp. 155-170.
[107] In merito I. Trujillo, Giustizia globale. Le nuove frontiere dell’eguaglianza, Giappichelli, Torino, 2008; inoltre il focus dedicato al tema “Global Justice” Through the Lens of Law, in “Rivista di Filosofia del diritto”, 1, 2017 (a cura di Francesco De Vanna e Gianluigi Palombella: contributi di Gianluigi Palombella, Jan Klabbers e Samantha Besson).
[108] Va in questa direzione T. Casadei, La vulnerabilità in prospettiva critica, in O. Giolo-B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità…, cit., pp. 73-99. Si vedano anche i rilievi preziosi offerti in Z. Bauman, Le nuove povertà, cit., Parte terza riguardo al ruolo e allo spazio sociale (e, verrebbe da aggiungere, giuridico) attribuito ai poveri; inoltre gli spunti rilevanti, formulati alla luce della categoria della complessità su cui anche in questa sede si è andati insistendo, riguardo al nesso diritti individuali-diritti sociali prospettati in B. Troncarelli, Dilemmi della società complessa. Implicazioni economiche, tecnologiche ed etico-giuridiche, ESI, Napoli, 2015, in particolare cap. VI.
[109] Focalizzandosi sul corno del binomio vulnerabilità-povertà rappresentato dalla povertà, un autore come Peter Singer rimarca il parallelismo dato dalla crescita della ricchezza totale (anche in termini di risorse disponibili) e il simmetrico aumento della povertà in termini assoluti (sino al darsi della “povertà assoluta” di cui si è detto): se quindi, osserva Singer, la questione è legata ai meccanismi di redistribuzione e alla possibile revisione degli stili di vita diffusi in alcune aree del mondo ne consegue un obbligo etico di assistenza nei confronti di chi versa in povertà assoluta (P. Singer, Etica pratica, cit., pp. 169-171: in particolare il sillogismo proposto a p. 170).
Bombelli Giovanni
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