News scritte da Ferla Lara
Ferla Lara
L’articolo esamina il tema dello sfruttamento della persona a scopo lavorativo e degli strumenti giuridici finalizzati al suo contrasto. Sul piano criminologico, vari contesti lavorativi presentano forme diffuse di sfruttamento, le più recenti delle quali sono collegate all’impatto delle nuove tecnologie. Tale mutamento è stato indotto anche dall’emergenza legata alla pandemia da Covid-19. Il carattere sanitario di questa emergenza ha sollecitato un significativo incremento dello smart working, che si è tuttavia rivelato un modello idoneo a creare condizioni lavorative particolarmente gravose. La necessità di assicurare il distanziamento sociale e analoghe misure precauzionali ha offerto nuove possibilità di espansione del mercato del lavoro ma anche ulteriori occasioni di sfruttamento della persona. Al fine di esaminare l’effettività degli strumenti penalistici nel contrasto di queste forme di sfruttamento, è oggetto di specifica analisi l’art. 603 bis c.p. Questa disposizione rappresenta attualmente un punto di riferimento nelle strategie di repressione delle pratiche di sfruttamento in ambito lavorativo. La complessità di questo fenomeno, tuttavia, richiede che il diritto penale sia affiancato da altri strumenti giuridici, in particolare da misure preventive in grado di promuovere condizioni lavorative dignitose, la trasparenza dell’intermediazione in ambito lavorativo e l’identificazione tempestiva delle differenti forme di lavoro irregolare.
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Se rapportato al numero di casi nei quali l’infermità mentale è invocata come spiegazione della condotta criminale, il riconoscimento effettivo di un vizio di mente all’esito del processo penale avviene soltanto in una porzione molto limitata di essi. La malattia mentale è spesso additata come la principale ragione del comportamento violento, ma gli psicologi, i criminologi e la stessa giurisprudenza mostrano che anche stati mentali non patologici di forte emotività come quelli determinati da rabbia, odio o gelosia possono indurre una persona ad attuare comportamenti violenti. Recenti studi neuroscientifici hanno evidenziato la base biologica del comportamento umano, sottolineando nel contempo che tale conclusione non deve essere intesa nel senso che l’agire umano sia “biologicamente determinato”. I medesimi studi neuroscientifici hanno illustrato un’ampia serie di difficoltà sul piano tanto metodologico quanto interpretativo nell’affrontare le ricerche sul cervello e sulle funzioni cognitive in relazione ai disturbi mentali. Il contributo di conoscenza offerto attraverso gli accertamenti peritali di tipo psichiatrico rimane essenziale, dunque, al fine di contribuire a risolvere alcune questioni centrali ai fini del giudizio sull’imputabilità, in particolare se l’agente fosse in grado di comprendere il disvalore etico-sociale della propria condotta. Come emerge dalla casistica discussa in questo articolo, anche gravi patologie psichiatriche quali la schizofrenia paranoide non determinano automaticamente la non imputabilità dell’autore di una condotta criminale. La prova scientifica e in particolare le risultanze delle tecniche neuroscientifiche dovrebbero essere sempre accompagnate, pertanto, dalla spiegazione di un esperto e dalla valutazione critica indipendente del giudice incaricato dell’accertamento processuale. Riconoscere un imputato non colpevole per vizio di mente, infatti, è una conclusione da raggiungere sul piano giuridico, non un risultato scientifico.
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