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L’analisi si colloca nell’orizzonte del confronto con l’esperienza giuridica altra come risorsa critica contro la pretesa ineluttabilità direzionale del postmoderno, con particolare riferimento alla tendenza della fuga dal precetto, nella crisi della sovranità statuale. Il diritto ebraico è osservato nella sua dimensione identitaria, indipendente da un radicamento territoriale di sovranità, nella sua natura pervasivamente dialogica e nel particolare rapportarsi dello sviluppo ermeneutico con la conservata centralità del precetto, volta a garantire la presenza della norma nella ciclica rivitalizzazione del tempo della storia. L’articolo si chiude sull’idea della riflessione giuridica come pellegrinaggio verso il futuro, in un dialogo cui ogni mondo possibile mondo è invitato.

Il saggio esamina, da un punto di vista costituzionalistico, il condono fiscale. Dopo aver delineato i tratti tipici del condono che lo distinguono da altre figure simili, il saggio indica quelli che dovrebbero essere i limiti costituzionali che il legislatore incontra nell’adottare provvedimenti condonistici, intesi come remissione delle sanzioni. In particolare, il legislatore dovrebbe adottare tali provvedimenti solo se intende perseguire un interesse che, nel bilanciamento con i fini perseguiti dalle sanzioni condonate, risulta prevalente, ma a condizione che l’autore dell’illecito elimini le conseguenze del suo illecito.

È noto il ruolo processuale dei rescritti imperiali – sia rescripta ad preces sia ad consultationes emissa – nel periodo postclassico e giustinianeo . Tralasciamo questi ultimi e concentriamo l’attenzione sui rescritti inviati a privati, osservando che particolare enfasi è stata dedicata al loro utilizzo quale atto introduttivo di un procedimento ordinario oppure, secondo una teoria oggi criticata, di un procedimento speciale, così detto “per rescritto” . Ebbene, pur nell’ambito di un tema assai ampio, i cui tentativi di ricostruzione si sono rivelati complessi e non di rado contrastanti, vi è un aspetto, se si vuole, più marginale che non sembra aver destato dubbi. Ci riferiamo all’esigenza, emergente dalle fonti e già osservata dagli studiosi, che il rescriptum ad precem emissum da esibirsi in giudizio presentasse determinate caratteristiche. Tra queste, le prime a dover essere accertate – da parte dell’autorità giudiziaria competente – erano le ‘formalità’ che dovevano garantire l’effettiva provenienza imperiale del documento (si è parlato, in proposito, di “requisiti formali”) . L’operazione di verifica delle formalità del rescritto era senza dubbio facilitata dalla presenza di alcuni ‘indicatori’, la cui esistenza valeva a provarne la natura genuina. Nelle compilazioni postclassiche manca un punto di vista d’insieme dei requisiti formali in discorso, anche se – è cosa nota – abbastanza numerosi sono i titoli dedicati alla materia dei rescritti . Ciononostante, tentativi di elaborare una lista delle formalità sono stati avanzati da studiosi di diritto romano e di altre discipline, quali la diplomatica e la paleografia .
Ci proponiamo in questa sede di rimeditare l’argomento, alla ricerca di ulteriori spunti di riflessione.

Nell’ambito dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario la manualistica moderna riserva in genere alla figura dell’accessione uno degli spazi più ampi. La stessa viene di solito definita come l’unione, o l’aggiunta, di una cosa di minore rilevanza economico-sociale, quella accessoria, a un’altra res, considerata - sullo stesso piano - principale, che appartiene a un altro soggetto, per cui quest’ultimo acquista la proprietà della cosa accessoria, o, in taluni casi, del complesso - cosa composta - costituito dal bene principale e dall’accessorio .
Sempre nei testi istituzionali, e per una sorta di convenzione sistematica che un poco si discosta dal ductus espositivo delle fonti, i casi di accessione di immobile a immobile si identificano nei c.d. incrementi fluviali , elencati a loro volta nella quadripartizione alluvio, avulsio, insula in flumine nata e alveus derelictus .
L’inserimento dell’avulsione nell’ambito degli incrementi fluviali, che - come si è detto -, è dato pressoché costante nelle attuali categorie dottrinali, sul piano testuale sottende in realtà un aspetto un po’ più problematico, tale da indurre una curiosità euristica.
L’inquadramento della figura di cui stiamo parlando non può che prendere le mosse dalla sua definizione.

Nonostante lo scarso interesse mostrato dalla giurisprudenza e dalla dottrina attuali con riguardo alle nozioni di capacità giuridica penale e di subiettivazione della norma penale, siffatte categorie appaiono a tutt’oggi di qualche utilità: consentendo di intendere il diritto penale in senso autenticamente umanistico. Il presente contributo è volto, dunque, a comprendere se e come i predetti concetti possano essere ancora d’interesse per il giurista contemporaneo. A tal fine, vengono analizzate, in particolare, le monografie di Aldo Moro dedicate alle tematiche in questione: “La capacità giuridica penale” (1939) e “La subiettivazione della norma penale” (1942). In tali opere, infatti, emerge, ben più vividamente che in altri contributi dottrinali in materia, l’idea che il diritto penale “sia sempre un fatto umano e personale”.

Il contributo descrive i caratteri giuridici degli enti che appartengono a quattro categorie di soggetti che si riscontrano nel nostro ordinamento e che presentano dei confini non sempre nitidi: gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, gli enti religiosi civilmente riconosciuti, gli enti non commerciali e gli enti del Terzo settore non commerciali. Sulla base di tale descrizione, vengono poi presi in esame tutti i possibili intrecci tra le categorie soggettive considerate, con particolare riferimento a quanto prevede il Codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017) in materia di enti religiosi civilmente riconosciuti.

La dissimulatio è un istituto peculiare e tipico dell’ordinamento canonico che consente all’autorità ecclesiastica di non sanzionare una determinata condotta in sé non ammissibile in considerazione del fatto che, dalla applicazione della sanzione, può derivare un male peggiore rispetto alla mera violazione .
Dal punto di vista formale, essa consiste in un atteggiamento passivo dell’autorità ecclesiastica che, a rigore, dovrebbe infliggere una sanzione di fronte alla violazione di una norma da parte di un fedele ma si astiene dal farlo considerando tale violazione un male minore rispetto alla sanzione stessa. Con tali modalità essa è applicabile in diversi settori del diritto canonico (civile, penale, amministrativo) e rispetto alle più disparate situazioni di difformità dal diritto come anche alle più varie sanzioni, dalla invalidazione di negozi giuridici alla rimozione di ufficiali, alla inflizione di pene e ad altro ancora, senza che possa definirsi tassativamente e neppure indicativamente l’elenco di tali difformità e sanzioni. La dissimulatio trae la sua ragion d’essere nella natura stessa dell’ordinamento canonico e, pur essendo presumibile che sia stata utilizzata sin dagli albori della vita della Chiesa , comincia ad apparire in documenti ufficiali e magisteriali solo nel XII secolo, ai tempi di Alessandro III, per poi diventare oggetto di studio e di trattazione da parte di glossatori e commentatori nel successivo XVI secolo, quando ne vengono individuate quelle caratteristiche, finalità e modalità ancora oggi riconosciute dalla dottrina canonistica.

Il contributo descrive i caratteri giuridici degli enti che appartengono a quattro categorie di soggetti che si riscontrano nel nostro ordinamento e che presentano dei confini non sempre nitidi: gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, gli enti religiosi civilmente riconosciuti, gli enti non commerciali e gli enti del Terzo settore non commerciali. Sulla base di tale descrizione, vengono poi presi in esame tutti i possibili intrecci tra le categorie soggettive considerate, con particolare riferimento a quanto prevede il Codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017) in materia di enti religiosi civilmente riconosciuti.


Dopo aver passato in rassegna alcuni aspetti del rapporto tra diritto e letteratura, strumento fondamentale per la riflessione della conoscenza giuridica, nella ricerca e anche nella metodologia didattica, questo contributo delinea un’analisi, nella prospettiva antropologico-giuridica, del racconto “L'uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, mettendo in luce le dimensioni fondamentali della comunità, della solidarietà, della cura per il bene comune, anche in prospettiva intergenerazionale, e della necessità di recuperare i legami sociali negli odierni individualismo e atomismo sociale.
