fbevnts Some considerations aboult avulsio in Gaius’ texts

Alcune riflessioni sull’avulsio nei testi di Gaio

04.11.2019

­Veronica Forlani

 

Dottore di ricerca in diritto romano,

Università di Modena e Reggio Emilia

 

Alcune riflessioni sull’avulsio nei testi di Gaio*

 

Some considerations aboult avulsio in Gaius’ texts

 

sommario: 1. Premessa. – 2. L’insegnamento di Gaio nelle Institutiones e nelle Res cottidianae. – 3. La crusta lapsa nella testimonianza di Ulpiano in D. 39.2.9.2. – 4. Alcune riflessioni sull’impostazione di Gaio in chiave diacronica.

 

 

1. Premessa

Nell’ambito dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario la manualistica moderna riserva in genere alla figura dell’accessione uno degli spazi più ampi. La stessa viene di solito definita come l’unione, o l’aggiunta, di una cosa di minore rilevanza economico-sociale, quella accessoria, a un’altra res, considerata - sullo stesso piano - principale, che appartiene a un altro soggetto, per cui quest’ultimo acquista la proprietà della cosa accessoria, o, in taluni casi, del complesso - cosa composta - costituito dal bene principale e dall’accessorio[1].

Sempre nei testi istituzionali, e per una sorta di convenzione sistematica che un poco si discosta dal ductus espositivo delle fonti, i casi di accessione di immobile a immobile si identificano nei c.d. incrementi fluviali[2], elencati a loro volta nella quadripartizione alluvio, avulsio, insula in flumine nata e alveus derelictus[3].

L’inserimento dell’avulsione nell’ambito degli incrementi fluviali, che - come si è detto -, è dato pressoché costante nelle attuali categorie dottrinali, sul piano testuale sottende in realtà un aspetto un po’ più problematico, tale da indurre una curiosità euristica.

L’inquadramento della figura di cui stiamo parlando non può che prendere le mosse dalla sua definizione. In proposito abbiamo optato per quella presente nell’ampio testo istituzionale di Edoardo Volterra[4]. Secondo l’insigne studioso per avulsio si intende “l’incremento palese di un fondo rivierasco per effetto della congiunzione ad esso di una quantità accertabile di terreno staccatosi da altro fondo rivierasco e trasportato dalle acque correnti”. E si aggiunge: “Il proprietario del fondo acquista la proprietà dell’incremento non appena si verifica la coalitio, cioè quando l’adesione sia organica e definitiva, il che praticamente si deduce dal fatto che sul terreno aggiunto germogli la medesima vegetazione del fondo a cui si è unito o gli alberi vi abbiano esteso le loro radici”.

Il fatto, naturale[5] e giuridico, noto come avulsione[6] si verifica, dunque, allorquando una porzione di terreno di un fondo a monte, a causa dell’impeto delle acque in piena, viene staccata dalla sua sede originaria, trascinata più a valle dalla corrente e addossata al fondo di un altro proprietario, onde in certo modo allo stesso si annette.

Il momento acquisitivo della proprietà non viene tuttavia ricollegato al dato del mero accostamento dei due terreni, ma a quello, successivo, in cui la coesione acquista caratteri di stabilità e durevolezza: ciò si verifica quando le radici degli alberi, facendo stabile presa, hanno unito saldamente le due terre, con conseguente uniformità della vegetazione arborea sull’una e sull’altra[7].

 

  1. L’insegnamento di Gaio nelle Institutiones e nelle Res cottidianae.

 

Di fronte alla citata impostazione della dottrina moderna che, come si è detto, inserisce senz’altro l’avulsio nell’ambito degli incrementi fluviali, non sembra tuttavia privo di interesse rilevare che Gaio, nelle Institutiones, esprime un insegnamento il quale, almeno nella forma in cui si presenta, appare essere di tenore opposto.

 

Gai. 2.70-71 - Sed et id, quod per adluvionem nobis adicitur, eodem iure nostrum fit; per adluvionem autem id videtur adici, quod ita paulatim flumen agro nostro adicit, ut aestimare non possimus, quantum quoquo momento temporis adiciatur; hoc est quod vulgo dicitur per adluvionem id adici videri, quod ita paulatim adicitur, ut oculos nostros fallat. 71. Itaque si flumen partem aliquam ex tuo praedio resciderit et ad meum praedium pertulerit, heac pars tua manet.

Ma anche quello che per effetto dell’alluvione al nostro s’aggiunge, diventa nostro per lo stesso criterio; per effetto d’alluvione appare aggiungersi ciò che il fiume aggiunge a poco a poco al nostro terreno, in modo tale che noi non possiamo apprezzare quanto in ciascun momento di tempo si aggiunga: si dice comunemente che appare aggiungersi per alluvione ciò che si aggiunge così a poco a poco da trarre in inganno i nostri occhi. 71. Pertanto, se il fiume abbia tagliato via una qualche parte del tuo fondo e l’abbia portata al mio, tale parte resta tua[8].

Si è riportato poco sopra anche il brano relativo all’alluvio perché il discorso di Gaio è incentrato in modo evidente su un confronto tra la due tipologie di fenomeni naturali.

Nel primo caso, l’incremento, dovuto ai detriti e al terriccio che progressivamente aderiscono al fondo lungo la riva, è impercettibile nella sua fase dinamica (ut oculos nostros fallat) e lo si può apprezzare soltanto a posteriori, rilevando nella successione dei vari segmenti temporali la maggiore estensione del fondo rivierasco lungo la linea di confine con il fiume[9]. Al contempo, come efficacemente spiegano gli agrimensori, le particelle che vanno piano piano ad aggiungersi al fondo di arrivo hanno come perduto le loro originaria identità, in quanto non possono più dirsi le stesse già presenti nel fondo di partenza[10].

Nel secondo caso invece l’incremento è tanto patente quanto macroscopico, e di conseguenza la porzione di terreno che ha subito lo spostamento è perfettamente riconoscibile, rivelando sul piano morfologico la sua originaria appartenenza. Proprio a questa differenza, tale da incidere sul regime giuridico, fa riferimento l’itaque che apre il paragrafo 71, marcando implicitamente la contrapposizione.

A proposito dell’avulsio, come si può rilevare, l’istituzionista, quasi fissando una massima giuridica, afferma che qualora la violenza della corrente fluviale abbia tagliato via una parte del fondo di Tizio e, dopo averla trasportata per un tratto più o meno lungo, l’abbia accostata al fondo di Caio, questi non ne acquista la proprietà. In tale ipotesi, infatti, per la ragione già vista, il brano del manuale classico esclude chiaramente la perdita del dominium sul blocco di terra staccato dalla sede originaria, confermando il perdurare sullo stesso della precedente titolarità (haec pars tua manet).

Il discorso di Gaio appare in tal senso univoco: il fenomeno naturale dell’unione, dopo il distacco, della parte di un terreno rivierasco a monte con uno a valle[11] non rientra, dunque, in quelli che oggi si qualificano incrementi fluviali. La conseguenza immediata e diretta è che l’avulsione, nella prospettiva delineata dalle Institutiones di Gaio,non è pertanto ascrivibile ai modi di acquisto della proprietà. Di più: nella prosa del manuale classico il riferimento all’avulsio riveste proprio la funzione didascalica di evitare un possibile equivoco. Fermandoci per ora a questo stadio, posizione dunque non assimilabile a quella delineata nella moderna trattatistica, pur ovviamente, come vedremo, sulla base di fonti ulteriori.

Tuttavia, qui come a proposito di altre figure giuridiche[12], a quella palesata dalle Institutiones si aggiunge in seguito la visione presente nelle Res cottidianae,ove è dato rilevare in questo caso un’impostazione in parte mutata.

D. 41.1.7.2 (Gai. 2 res. cott. [491]) - Quod si vis fluminis partem aliquam ex tuo praedio detraxerit et meo praedio attulerit, palam est eam tuam permanere. plane si longiore tempore fundo meo haeserit arboresque, quas secum traxerit, in meum fundum radices egerint, ex eo tempore videtur meo fundo adquisita esse.

Che se la violenza del fiume abbia strappato qualche parte al tuo fondo e l’abbia portata al mio, è manifesto che essa rimane tua. Certo, se dopo del tempo si sia attaccata al mio fondo e gli alberi che abbia portato con sé abbian messo radici nel mio fondo, da quel momento appare acquisita al mio fondo[13].

 

Nella prima parte del testo Gaio conferma, sia pure con qualche lieve modifica lessicale, la regola già espressa nelle Institutiones: la porzione di terreno staccata da un fondo e trasportata a valle contro la riva di un altro, rimane dell’originario dominus, e ilcarattere pacifico della regola viene accentuato dalla presenza dell’avverbio ‘palam’.

L’elemento di novità emerge nel secondo periodo, introdotto da ‘plane’, in chiave di contrapposizione. Ora il giurista afferma che qualora, dopo un determinato periodo di tempo certamente non breve (si longiore tempore), gli alberi presenti in quel blocco di terreno separato a forza dalla corrente abbiano affondato le radici anche nel fondo di arrivo (in meum fundum radices egerint), da quel momento la proprietà della porzione avulsa viene acquisita al titolare del praedium al quale la stessa ha aderito. Dunque, quando l’unione ha assunto carattere di stabilità organica, rivelato dal fatto che gli alberi del fondo a monte si sono radicati nella nuova sede, la coesione naturale e definitiva, coincidente con la coalitio, determina l’acquisto.

Si inseriscono nella medesima prospettiva anche le Institutiones giustinianee che, sebbene di nuovo con minime varianti, ripropongono il dettato delle Res cottidianae[14].

 

I. 2.1.21 - Quodsi vis fluminis partem aliquam ex tuo praedio detraxerit et vicini praedio appulerit, palam est eam tuam permanere. plane si longiore tempore fundo vicini haeserit arboresque, quas secum traxerit, in eum fundum radices egerint, ex eo tempore videntur vicini fundo adquisitae esse.

Che se la violenza del fiume abbia strappato qualche parte al tuo fondo e l’abbia accostata al fondo del vicino, è chiaro che rimane tua. Certo, se dopo del tempo si sia attaccata al fondo del vicino, e le piante che abbia portato con sé abbiano messo radici in quel fondo, da quel momento appaiono acquisite al fondo del vicino[15].

 

Dando per acquisita la paternità gaiana, almeno sul piano sostanziale, delle Res cottidianae[16], siamo di fronte a un mutamento di prospettiva dell’istituzionista in materia di avulsio, il qualeimplicitamente pone un problema all’interprete.

In Gai. 2.71 viene negato l’acquisto della proprietà: ‘haec pars tua manet’ è l’univoca espressione usata dal giurista, che, stante il tenore del testo, non può che intendersi come assoluta. E non sembra convincente l’eventuale rilievo che ciò sia legato alla mera struttura contenutistica ed espositiva delle Institutiones,la quale imporrebbe di fermarsi al principio didattico essenziale, perché nella circostanza la considerazione relativa alla coalitio non appare come un di più, valendo ad attribuire all’avulsio il carattere sostanziale di incremento dominicale e quindi - sia pure su un piano di eventualità - di modo di acquisto della proprietà. In tal senso non si tratta pertanto di una mera precisazione, ma dell’inserimento di un ‘item’ in un preesistente catalogo.

A differenza dell’alluvio, l’avulsione è un modo di acquisto che l’originario dominus è in grado di contrastare, perché, rivendicando tempestivamente la porzione di terreno avulsa, può evitare la perdita a proprio danno, ma, pur con tale caratteristica limitativa, non può negarsi la sua appartenenza alle forme acquisitive del dominium.

Il passo di cui a D. 41.1.7.2 e il suo omologo I. 2.1.21, pur confermando, nella prima parte, la regola di Gai. 2.71, ne limitano la portata negativa all’ipotesi in cui la coalitio non si sia (ancora) realizzata.

Viene spontanea all’interprete la ricerca di una spiegazione al mutamento prospettico operato da Gaio[17]. È ovvio che, allora come oggi, andare in diverso avviso fa parte del percorso scientifico di un autore, ma, più nello specifico, sembra anche di poter intravedere la fonte di tale evoluzione, ossia ciò che ha indotto il giurista classico a pronunciarsi nelle Institutiones con una sorta di massima univoca per poi superarla parzialmente in una fase successiva.

Il presente rapido contributo intende proporre in tal senso una mera suggestione, sulla base delle fonti in nostro possesso, circa il possibile collegamento tra l’impostazione di Gaio nelle Res cottidianae (D. 41.1.7.2), ove si considera un evento tipico della vita dei fiumi, con la disciplina legata a un altro fenomeno naturale, anch’esso di proporzioni macroscopiche, che con quello dell’avulsione presenta evidenti analogie. Ciò, al fine di verificare se la mutata prospettiva di cui si è detto possa ritenersiin qualche misura debitrice alla posizione assunta dalla giurisprudenza in tema di crusta lapsa.

           

3. La crusta lapsa nella testimonianza di Ulpiano in D. 39.2.9.2.

 

Anche in proposito conviene fornire una definizione della crusta lapsa, e di nuovo ci rivolgiamo al Volterra, che la qualifica come “aggiunta palese ad un fondo di una porzione di terreno staccatasi da un fondo di proprietà altrui per effetto di frane o di altri fenomeni naturali. Come nel caso dell’avulsio, il proprietario del primo fondo diviene proprietario del terreno aggiunto quando si verifica la coalitio[18].

A tale fenomeno è dedicato un frammento di Ulpiano, tratto dai libri ad edictum - stando al Lenel sotto la rubrica De damno infecto et de suggrundis et proiectionibus - del giureconsulto severiano e restituito dai Digesta giustinianei:

           

D. 39.2.9.2 (Ulp. 53 ad ed.) [1272] - Alfenus quoque scribit, si ex fundo tuo crusta lapsa sit in meum fundum eamque petas, dandum in te iudicium de damno iam facto, idque Labeo probat: nam arbitrio iudicis, apud quem res prolapsae petentur, damnum, quod ante sensi, non contineri, nec aliter dandam actionem, quam ut omnia tollantur, quae sunt prolapsa. ita demum autem crustam vindicari posse idem Alfenus ait, si non coaluerit nec unitatem cum terra mea fecerit. nec arbor potest vindicari a te, quae translata in agrum meum cum terra mea coaluit. sed nec ego potero tecum agere ius tibi non esse ita crustam habere, si iam cum terra mea coaluit, quia mea facta est.

Anche Alfeno scrive che se dal tuo fondo sia caduto uno strato di terra sul mio fondo e tu lo pretenda, contro di te deve darsi un giudizio circa il danno già avvenuto, e ciò Labeone approva: infatti non rientra nell’arbitrio del giudice presso il quale le parti franate si domanderanno il danno che io ho subito in precedenza, né l’azione deve darsi se non a condizione che venga rimosso tutto quanto è franato. Peraltro, lo stesso Alfeno afferma che si può rivendicare lo strato di terra soltanto se esso non si sia radicato e abbia fatto un tutt’uno con il mio terreno. Né può essere da te rivendicato quell’albero che, trasportato sul mio campo, abbia fatto presa con le radici sul mio terreno. Ma nemmeno io potrò agire contro di te affermando che non hai diritto di tenere così quello strato di terra se già si è radicato sul mio fondo, poiché è diventato mio[19].

 

Ulpiano riferisce il pensiero di Alfeno Varo, giurista attivo nel I sec. a.C., lasciando tuttavia intendere che tale impostazione era condivisa anche da altri giuristi. Certamente da Labeone, caposcuola dei Proculiani, subito di seguito menzionato, ma il quoque iniziale, pare alludere anche ad altri prudentes, peraltro non identificabili in quanto in tema di crusta lapsa il frammento ulpianeo è l’unica testimonianza dell’intero apparato testuale.

Il passo - di interpretazione assai controversa - ma, va detto subito, non sul punto dell’acquisto della proprietà per accessione che interessa in questa sede - esordisce con l’esposizione del casus. Al verificarsi di un evento improvviso, la frazione di un fondo era precipitata, o scivolata, su un terreno sottostante di proprietà di un altro soggetto. Per immediatezza espositiva identifichiamo con Tizio il dominus del terreno superiore, e con Caio quello del fondo inferiore.

Tizio poteva pretendere da Caio la restitutio della parte franata, ricorrendo all’azione tipica di difesa del dominium, ovvero la rei vindicatio[20], ma, sotto diverso profilo, l’evento franoso aveva cagionato un danno, del quale egli avrebbe dovuto rispondere. Qui Ulpiano, presumibilmente in linea con il pensiero dei predecessori, esplicita che nell’ufficio del iudex chiamato a valutare il fondamento della rivendica non rientra anche la cognizione relativa al pregiudizio cagionato dalla frana al dominus del fondo inferiore, da cui scaturisce l’actio in personam de damno iam dato menzionata nel passo. Con riferimento poi all’azione di rivendica promossa da Tizio per il recupero della crusta lapsa, Caio avrebbe potuto valersi di un intervento pretorio, presumibilmente una stipulatio, che ne rendesse condizionale l’esperimento rispetto all’impegno a togliere tutto ciò era caduto sul fondo inferiore. Comunque - secondo la tesi che riteniamo preferibile - non sembra di essere in presenza di una domanda riconvenzionale[21].

A questo punto, per le finalità del presente contributo, il frammento presenta profili di maggiore interesse.

Ulpiano ricorda che, secondo Alfeno Varo, la legittimazione di Tizio a ricorrere alla rei vindicatio per ottenere la restitutio avrebbe incontrato un limite temporale: l’actio poteva essere esperita fino a quando la massa franata non fosse diventata un tutt’uno con il fondo di Caio attraverso la coalitio (si non coaluerit nec unitatem cum terra mea fecerit). Infatti, conferma Ulpiano, Tizio non avrebbe potuto rivendicare alcuno dei suoi alberi qualora questi, trasportati dallo smottamento, avessero esteso nel frattempo le loro radici nel terreno di Caio.

Infine, invertendo la prospettiva, con piena simmetria logica il testo conclude che qualora il terreno smottato si fosse stabilmente unito con quello sottostante, nemmeno Caio avrebbe potuto convenire Tizio con l’azione negatoria.

Tralasciando la prima parte della testimonianza, relativa alla tutela risarcitoria di Caio, non conferente con le finalità dell’attuale indagine, nella seconda parte del passo ulpianeo risulta evidente il dato della centralità della coalitio, invero già visto in precedenza[22], come momento acquisitivo del dominium, con tutte le conseguenze del caso[23]. Una volta realizzatasi la stessa, infatti, né la rivendica da parte del dominus superiore né l’azione negatoria da parte di quello inferiore sono più esperibili: il primo infatti ha perso la proprietà della crusta, il secondo di conseguenza l’ha acquistata.

 

4. Alcune riflessioni sull’impostazione di Gaio in chiave diacronica.

 

L’evento naturale considerato in D. 41.1.7.2 e I. 2.1.21 sul piano fenomenologico è diverso da quello di cui a D. 39.2.9.2. Nei primi due testi, di tenore analogo, il distacco di una porzione di terreno da un fondo a monte con accostamento a uno più a valle è determinato dall’impeto delle acque del fiume in piena, mentre nel terzo, nel rapporto tra fondo superiore e fondo inferiore, la causa è legata a una frana o a uno smottamento, al di fuori, quindi, dell’ambito fluviale.

Tuttavia, pur di fronte a fenomeni generati da cause naturali difformi, l’effetto finale che ne deriva è analogo: distacco e spostamento di una pars fundi con corrispondente materiale accrescimento di un altro fondo. Coincidenti, inoltre, le conseguenze giuridiche che ne derivano: il dominus del fondo inferiore vede incrementata la sua proprietà per acquisto a titolo originario della pars avulsa, sia essa stata divelta e trasportata dalla violenza della corrente o da altre forze naturali. L’evento acquisitivo, in entrambe le ipotesi, è determinato sul piano temporale dall’unione salda e duratura delle due porzioni, che si identifica nel momento in cui le radici degli alberi o, comunque della vegetazione che il blocco distaccato reca su di sé, attecchiscono in modo stabile e permanente facendo presa nel terreno di arrivo.

Dunque, sia nel caso di avulsio, sia in quello di crusta lapsa, è la coalitio a segnare la perdita da un lato, e l’acquisto dall’altro, della proprietà della terra e delle piante. Considerando al contempo che, nell’evenienza, sembrano essere proprio gli alberi, più che la terra come tale, a determinare il valore dell’acquisto e il conseguente interesse economico in gioco tra i proprietari dei due fondi[24].

Si tratta a questo punto di un dato incontrovertibile: l’unione stabile e duratura della res avulsa dalla corrente o franata per cause geologiche determina l’acquisto del dominium a titolo originario, con la conseguente perdita in capo al proprietario del podere a monte della legittimazione ad agire per la rivendica della res uscita dalla sua sfera.

Questo lo stato delle nostre conoscenze in materia sia di avulsio sia di crusta lapsa in base ai testi della giurisprudenza classica e del Corpus Iuris.

Tuttavia, circa la crusta lapsa,quell’unico passo, pur nella sua brevità e nonostante il suo tenore composito, ove vengono considerate problematiche diverse anche di natura processuale, induce a prospettare un’ipotesi relativa al percorso evolutivo del pensiero di Gaio giurista e insegnante di diritto.

Da tempo era depositato nel pensiero giurisprudenziale il principio secondo il quale il distacco di una porzione di terreno da un fondo superiore, franato su un fondo appartenente a diverso proprietario, determinava l’acquisto della proprietà della stessa in favore del dominus a valle solo nel momento in cui la vegetazione sulla massa di terra staccatasi aveva attecchito in modo stabile e duraturo nella nuova sede (ita demum autem crustam vindicari posse idem Alfenus ait, si non coaluerit nec unitatem cum terra mea fecerit). Questa è infatti la regola già espressa da Alfeno Varo - siamo nel I secolo a.C.[25] -, confermata da Labeone - tra il I secolo a.C. e gli anni iniziali del I secolo d.C.[26]-, e evidentemente condivisa anche da Ulpiano, peraltro in età assai posteriore, il quale si fa portavoce del loro pensiero.

Sull’avulsio,per converso,ci sono pervenute testimonianze un poco maggiori. Siamo partiti dall’assunto secondo il quale, nell’impostazione di Gaio istituzionista, essa non rientrava tra gli incrementi fluviali: in Gai. 2.71, infatti, viene escluso il passaggio della proprietà della partedivelta, che rimane in capo al dominus originario (haec pars tua manet).

Un mutamento di prospettiva viene segnato dalle Res cottidianae ove, sebbene ribadita in principio la soluzione istituzionale, la stessa finisce poi con l’essere in certa misura superata, restando circoscritta al periodo, pur magari lungo, in cui non si sia ancora verificata l’unione stabile dei due terreni. Al contrario, qualora le piante del terreno trasportato abbiano allignato nel nuovo fondo, e dunque, si sia determinata la coalitio, si verifica il mutamento dominicale (si longiore tempore fundo meo haeserit arboresque, quas secum traxerit, in meum fundum radices egerint, ex eo tempore videtur meo fundo adquisita esse).

È possibile che proprio il già visto orientamento consolidatosi intorno alla crusta lapsa abbia in qualche modo influenzato, nel suo evolversi, il pensiero di Gaio in tema di avulsio testimoniato dagli Aurea?

Pur nella frammentarietà e, soprattutto, nonostante il numero esiguo di testi giunti fino a noi riguardo alle due figure, mi sentirei di proporre una pur cauta risposta positiva.

I due eventi naturali descritti in D. 41.1.7.2 e I. 2.1.21 da un lato, e in D. 39.2.9.2, dall’altro, ancorché generati da cause differenti, producono, in ultima battuta, il medesimo effetto: il distacco di una porzione di terreno da un fondo che va a unirsi a un altro. La questionegiuridica sottesa - a chi spetti la proprietà della pars distaccata - è risolta in entrambi i casi facendo ricorso al medesimo principio: se, e quando, c’è coalitio, avviene il passaggio della proprietà; nulla quaestio, in caso contrario.

Un’ulteriore considerazione può forse corroborare l’ipotesi ora prospettata.

Il problema della coalitio come elemento determinante l’acquisto in tema di crusta lapsa potrebbe essersi affacciato alla disamina giurisprudenziale in un momento anteriore per suoi più specifici caratteri. Nell’ambito di tale tipologia di fenomeni, un blocco più o meno cospicuo, ma di solito ingente, di terra rovina sopra un terreno sottostante, coprendolo in più o meno ampia misura. Anche gli alberi presenti nello strato di terra precipitato, sempre che non periscano nell’impatto per esempio a causa dello schiantarsi del tronco, finiscono per trovare collocazione sopra la terra del fondo inferiore. Lo stesso avviene, e tra l’altro in modo assai più favorevole alla possibilità per le piante di allignare nella nuova sede, se la crusta scivola in forma meno traumatica - perché anche questo è possibile -, ponendo le arbores, in tale evenienza lesionate in minor misura, in un assetto più idoneo alla presa diretta delle loro radici sul terreno di arrivo, rispetto al quale esse si collocano grosso modo in posizione perpendicolare. E ciò, ai fini della coalitio, si riflette probabilmente su un periodo di tempo più breve, non identificabile con il longior tempus di cui parla il Gaio delle Res cottidianae a proposito dell’avulsio.

In quest’ultimo caso, pur non escludendosi una sovrapposizione pro parte del terreno strappato dal fondo superiore rispetto a quello più a valle, il fenomeno tendenzialmente si identifica in un accostamento laterale dei due terreni, il che induce a ritenere maggiormente dilatabile il periodo di tempo necessario perché gli alberi della pars avulsa si radichino anche sul podere di arrivo, onde la riconoscibilità del blocco smosso appare più duratura e tendenzialmente consegna a un torno di tempo più esteso l’evento della coalitio che determina l’acquisto.

Infatti, nel testo delle Res cottidianae quest’ultimo è visto in fondo come un evento lontano (“certo, se dopo del tempo…”) e fors’anche un po’ al limite sul piano degli effetti giuridici a causa dell’immaginabile intervento del dominus del fondo a monte che, qualora interessato, si attiva tempestivamente - pur senza alcuna necessità di affrettarsi - per conservare ciò che gli appartiene. Solo, in definitiva, una sua lunghissima inerzia - rara, ma pur sempre da mettere in conto - gli infligge la perdita della terra e degli alberi. D’altronde forse non è un caso che l’accenno al lungo periodo temporale si trovi soltanto nel secondo testo di Gaio in tema di avulsio e non in quello ulpianeo relativo alla crusta lapsa.

Trattandosi comunque di fonti giurisprudenziali, esse sono inevitabilmente legate a un fondamento e a una ricorrenza casistica, per cui è pensabile che l’evento determinante della coalitio si sia depositato in tema di crusta lapsa e che proprio con riferimento allo stesso, Gaio, che nelle Istituzioni aveva assunto un partito deciso, considerando la soluzione di Alfeno, abbia inserito nell’ambito dell’avulsio anche quell’ipotesi, che poi finisce con l’allineare in modo simmetrico le due tipologie di acquisto a titolo originario, facendone sul piano sostanziale un tutt’uno.

 

Abstract: Avulsio occurs when a portion of ground of a bottom upstream is detached by the force of the water, and joins it by approach. The acquisition of property takes place when the roots of the trees have firmly joined the two lands, and the arboreal vegetation has become uniform. In the beginning this rule is omitted by Gaius, who allows it later in Res cottidianae. How to explain this change of mind? A similar natural event occurs in crusta lapsa, when a part of a bottom falls on an underlying ground owned by another person: even here, the acquisition of the property is determined when the vegetation becomes uniform. We have two events generated by different natural causes, but the final effect is similar. This article advances the idea that the consolidated orientation around crusta lapsa maybe influenced, in some way, the evolution of Gaius’ thought about avulsio.

 

Keywords: Ius alluvionis– avulsio – Gaius – crusta lapsa – coalitio.

* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1]A titolo di esempio, con qualche ovvia variante ma nel complesso conformi, cfr.: P.F. Girard, Manuale elementare di diritto romano (trad. C. Longo), Milano 1909, p. 338 (anche se ivi si preferisce parlare, anziché di accessione, di “congiunzione di due cose”); S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano, I, Roma 1928 (rist. 2002), pp. 699 ss.; V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, 14a ed., Napoli 1960, p. 193; E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma s.d. (1961), p. 318; C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, 5a ed., Catania 1964, pp. 184-185; M. Kaser, Das römische Privatrecht. Das altrömische, das vorklassische und klassische Recht, I2, München 1971, pp. 428 ss.; M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, p. 417; G. Pugliese - F. Sitzia - L. Vacca, Istituzioni di diritto romano, 3a ed., Torino 1991, p. 459; A. Burdese, Manuale di diritto privato romano, 4a ed., Padova 1993, p. 322; M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, 2a ed., Palermo 1994, p. 321; P. Voci, Istituzioni di diritto romano, 5a ed., Milano 1996, p. 274; M. J. Garcia Garrido, Diritto privato romano (trad. M. Balzarini), 2a ed., Padova 1996, p. 192; A. Guarino, Diritto privato romano, 14a ed., Napoli 1997, p. 666; A. D’Ors, Derecho privado romano (nov. ed.), Pamplona 1997, p. 224; G. Franciosi, Corso istituzionale di diritto romano, 3a ed., Torino 2000, p. 291; G. Scherillo - F. Gnoli, Diritto romano. Lezioni istituzionali, Milano 2003, p. 362; A.D. Manfredini, Istituzioni di diritto romano, 3a ed., Torino 2003, p. 126; G. Nicosia, Nuovi profili istituzionali essenziali di diritto romano, 4a ed., Catania 2005, p. 169; R. Lambertini, in D. Dalla - R. Lambertini, Istituzioni di diritto romano, 3a ed., Torino 2006, p. 249; M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma, 3a ed., Torino 2015, p. 285; L. Solidoro, in A. Lovato - S. Puliatti - L. Solidoro (a cura di), Diritto privato romano, 2a ed., Torino 2017, p. 307. Fuori dall’ambito istituzionale cfr.: P. Bonfante, Corso di diritto romano, II, Milano 1926 (rist. 1968), pp. 91 ss.; G. Branca, Accessione, in Enciclopedia del Diritto, I, Varese 1958, p. 261; C. Sanfilippo, Accessione (Diritto romano), in Novissimo Digesto Italiano, I, Torino 1968, p. 129. Non premette invece una definizione generale di accessione per la grande varietà dei casi che, in genere, si ricollegano alla medesima V. Scialoja, Teoria della proprietà nel diritto romano (a cura di P. Bonfante), Roma 1931, p. 58. Circa la mancanza di una regolamentazione unitaria dell’accessione nelle fonti giuridiche romane cfr., di recente, P. Pasquino, Rimedi pretori in alcuni casi di accessione, in Teoria e Storia del Diritto privato, 4 (2011), pp. 15 ss.

[2]Ancorché la citata impostazione non sia accettata da ogni autore; in senso contrario cfr.: S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano, cit., pp. 699 ss. e 706 ss.; M.J. Garcia Garrido, Diritto privato romano, cit., pp. 182 ss. e 192 ss.; A. Guarino, Diritto privato romano, cit., pp. 661 ss. e 666 ss.; G. Franciosi, Corso istituzionale di diritto romano, cit., pp. 290-291, i quali tengono nettamente distinti accessione e incrementi fluviali; C. Sanfilippo, Accessione (Diritto romano), cit., p. 131 e M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 325, rilevano che gli incrementi fluviali non integrano casi di accessione in senso proprio, tanto più che nell’alveus derelictus e nell’insula in flumine nata manca anche la congiunzione delle due res;G. Nicosia, Nuovi profili istituzionali essenziali di diritto romano, cit., p. 169, titola il paragrafo relativo “Accessione (e incrementi fluviali)”. Tuttavia la grande maggioranza delle trattazioni inquadra gli incrementi fluviali nell’ambito dell’accessione di cosa immobile a cosa immobile e (a parte l’ipotesi della crusta lapsa, che però non tutti citano, su cui infra § 3) ritiene implicitamente (o esplicitamente, come M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 419) che gli stessi la esauriscano. Sulla materia degli incrementi fluviali possono segnalarsi due recenti studi: M. Pavese, Fundus cum alluvionibus. Incrementi fluviali e condiciones agrorum in età traianea, in Studia et documenta historiae et iuris, 66 (2000), pp. 63 ss. e Id.,Fundus cum vadis et alluvionibus. Gli incrementi fluviali fra documenti della prassi e riflessione giurisprudenziale romana, in Minima Epigraphica et Papyrologica - separata, IV, Roma 2004, pp. 5 ss. Interessanti riflessioni, inoltre, in M. Bretone, I fondamenti del diritto romano. Le cose e la natura, Roma-Bari 1998, pp. 257 ss.                                                                                                                                                            

[3]Cfr. E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, cit.,pp. 321 ss., come casi di accessione di cose immobili a cose immobili, annovera l’alluvio, l’avulsio, la crusta lapsa, l’insula in flumine nata e l’alveus derelictus, ma - per la presenza della crusta lapsa - non ricorre alla categoria dei c.d. incrementi fluviali. L. Maganzani, I fenomeni fluviali e la situazione giuridica del suolo riviaresco: tracce di un dibattito giurisprudenziale, in Jus, 44 (1997), pp. 382 ss., spiega che la categoria del c.d. incrementi fluviali è stata elaborata dalla giurisprudenza romana a partire dall’alluvio, “la figura primigenia su cui le altre sono state modellate” (p. 384).

[4]Cfr. E. Volterra, , Istituzioni di diritto privato romano, cit., p. 321.

[5]“In geomorfologia, avulsione indica il distacco di una porzione considerevole e riconoscibile di terra dalla sponda di un corso d’acqua, per l’azione violenta e improvvisa delle acque in piena” (cfr. M. Di Fidio - C. Gandolfi, La lingua delle acque, Milano 2013, p. 49). È da ritenersi un fenomeno straordinario, in quanto causa di modifiche della situazione territoriale con conseguenze di carattere giuridico anche sull’assetto privatistico dei fondi rivieraschi: cfr. L. Maganzani, Ripae fluminis e dissesti idrogeologici a Roma: fra indagine geomorfologica e riflessione giurisprudenziale, in Jus, 57 (2010), p. 179.

[6]In realtà, il termine avulsio non compare nei testi giuridici romani. Esso figura in tre luoghi della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, ma con valenza semantica diversa rispetto all’accezione giuridica (Plin. N. H. 17.9; 17.13 e 17.21). Sul punto, cfr. S. Barbati, Brevi note su natura ed effetti giuridici dell’alluvione in una lex di Teodosio II, in Jus, 2 (2014), p. 359, nt. 19.

[7]Nel caso di avulsio - come del resto nelle altre tre tipologie di incrementi fluviali - l’acquisto presuppone che si tratti di fondi arcifinii, ossia con confini naturali lungo il fiume. Nel caso di fondi limitati, l’incremento può essere acquistato per occupazione, peraltro con evidente posizione di vantaggio del proprietario del fondo accresciuto. Cfr. Hyg. De gen. controv. (Lachmann, Gromatici veteres, Berolini 1848, p. 124); D. 41.1.16 (Flor. 6 inst.), ove l’istituzionista cita una costituzione di Antonino Pio e un’opinione di Trebazio di non agevole interpretazione; C. 7.41.1 (Gord., a. 239). In argomento cfr. L. Maganzani, Gli incrementi fluviali in Fiorentino VI Inst. (D. 41.1.16), in Studia et documenta historiae et iuris, 59 (1993), pp. 207 ss.; M. Pavese, Fundus cum alluvionibus. Incrementi fluviali e condiciones agrorum in età traianea, cit., pp. 67 ss.

[8]Trad. tratta da E. Nardi, Istituzioni di diritto romano, A, Testi 1, Milano 1975, p. 39. Sul passo cfr., in particolare, P. Maddalena, Gli incrementi fluviali nella visione giurisprudenziale classica, Napoli 1970, p. 30. Secondo il citato studioso, dal discorso di Gaio si evincerebbe che l’acquisto non è da ricondursi alle singole particelle, ma all’intero accrescimento a fenomeno concluso, per effetto di una sorta di espansione del diritto già esistente sul fondo. In tale prospettiva, l’acquisto del dominium deriverebbe dalla oggettiva e materiale espansione dell’oggetto stesso della proprietà, e non per “il fenomeno del congiungimento delle particelle di terreno al fondo, come sulle orme della Pandettistica si è pedissequamente ripetuto. Le singole particelle, anzi, non sono minimamente prese in considerazione dal giurista classico, il quale considera il fenomeno nel suo complesso ed esclude in questa materia qualsiasi riferimento ad un rapporto accessorium-principale”. In questa prospettiva il Maddalena, Gli incrementi fluviali nella visione giurisprudenziale classica,cit., pp. 35 ss., è indotto a ritenere che alluvio e avulsio sarebbero modi di acquisto della proprietà di ius naturale, mentre insula in flumine nata e alveus derelictus andrebbero inquadrati nell’ambito del ius civile: a conferma della predetta contrapposizione il ricorso, da parte dell’istituzionista classico, alla congiunzione ‘at’,con valenza avversativa, che introduce il passo successivo sull’insula in flumine nata (Gai. 2.72: At si in medio flumine insula nata sit…). Non a caso, sempre a parere del Maddalena, i due luoghi in tema di alluvione e avulsione appaiono legati dall’avverbio ‘itaque’, proprio ad attestazione della continuità del ragionamento condotto. Secondo lo studioso, infatti, l’intento di Gaio non sarebbe da rintracciarsi nella volontà di aggiungere, nel paragrafo 2.71, a quelli già indicati un altro incremento fluviale, quanto quello di affermare che, in realtà, sussisterebbero due ipotesi specifiche di alluvio: la prima, quella propriamente detta, da intendersi quale incrementum latens del fondo; la seconda - che altro non sarebbe se non l’avulsio di cui a Gai. 2.71 - da considerarsi quale incrementum patens (p. 35).Critico intorno al pensiero del Maddalena, G. Cervenca, Gli incrementi fluviali, rec. a P. Maddalena, in Labeo, 18 (1972), pp. 105 ss. il quale, punto per punto, ne contesta l’impostazione. Secondo il Cervenca, risulterebbe poco convincente la tesi per la quale l’acquisto per alluvione riguarderebbe non le singole particelle, ma l’accrescimento nel suo complesso a fenomeno concluso, in quanto fondata su dati non sufficientemente probanti; altrettanto in merito all’appartenenza delle due figure al ius naturale e dell’insula in flumine nata e dell’alveus derelictus al ius civile: non è ritenuto abbastanza forte l’argomento legato all’‘at’ avversativo, specie se si considera che l’inaedificatio trattata in Gai. 2.73, immediatamente successivo al paragrafo dedicato all’isola nata nel fiume, ad avviso dello studioso, confermerebbe l’assunto secondo cui alluvio, insula in flumine nata e inaedificatio sarebbero “(…) tutte indistintamente considerate da Gaio modi di acquisto della proprietà iure naturali” (p. 106). Infine, altrettanto poco convincente l’idea dell’avulsio come forma di incrementum patens, da inquadrarsi ciò nonostante nell’ambito dell’alluvio. In riscontro alle obiezioni del Cervenca si veda la replica di P. Maddalena, A proposito di incrementi fluviali, in Labeo, 20 (1974), pp. 224 ss.

[9]Come è noto, in I. 2.1.20, l’alluvio è definita un incrementum latens. Essa comporta sul fronte opposto, quello della perdita, un rischio ordinario, in quanto si manifesta entro la ripa fluminis senza travalicarla in modo violento: cfr. L. Maganzani, Ripae fluminis e dissesti idrogeologici a Roma: fra indagine geomorfologica e riflessione giurisprudenziale, cit., pp. 175 ss.

[10]Agenn. Urb., De controversiis agrorum (Lachmann, p. 82): (...) illud subtilissime profertur, quod is solum amisit, non statim transire in alteram ripam, sed abductum esse et elotum. Et illud, contra vicinum longe dissimilem agrum habere; quod hic forte cultum et pingue solum amiserit, apud illum autem harenae lapides et limun abluvio invectum remanserit. (Assai sottilmente si è rilevato che il suolo che quegli ha perduto non è subito passato sull’altra riva, ma è stato tolto e lavato via. E inoltre che il vicino ha un fondo del tutto diverso, poiché questi magari ha perduto un suolo coltivato e fertile, mentre presso quello, portati dall’alluvione, sono rimasti sabbie, sassi e fango).

[11]Fenomeno che, assai più tardi, in età intermedia, i giuristi, hanno indicato con il termine ‘avulsio’.

[12]L’esempio più significativo è notoriamente legato al ‘catalogo’ delle fonti delle obbligazioni e al passaggio dal sistema chiuso bipartito obligationes ex contractu - obligationes ex delicto, allatripartizione che vede l’aggiunta ai due precedenti poli delle variae causarum figurae. Cfr. anche infra nt. 16.

[13]Trad. tratta da E. Nardi, Istituzioni di diritto romano, B, Testi 2, Milano 1975, p. 155. Sul passo, cfr. P. Maddalena, Gli incrementi fluviali nella visione giurisprudenziale classica,cit., pp. 31-32.

[14]Una lieve dissonanza che, tuttavia, non muta il tenore del passo rispetto a quello dell’archetipo gaiano, può scorgersi in chiusura nella voce verbale videntur, che ricorre alla terza persona plurale, riferita quindi alle arbores, anziché alla terza singolare, videtur, riferita alla pars fundi, come in D. 41.1.7.2 tratto dalle Res cottidianae. È peraltro da ritenersi che - stante il principio superficies solo cedit - l’effetto acquisitivo non possa riguardare le sole arbores,ma la totalità della pars avulsa, suolo e piante: l’acquisto di queste ultime sottende quello del primo. E d’altra parte, dal punto di vista naturalistico, l’espressione radices egerint non può essere intesa nel senso che gli alberi del blocco avulso abbiano messo radici soltanto nel fondo di arrivo, bensì che abbiano esteso le loro radici anche a questo. In senso contrario, ma in modo non convincente, A. D’Ors, Derecho privado romano, cit., p. 224 nt. 9, che parla in proposito di un tipo di accessione sconosciuta al diritto romano classico. Si tratta in realtà di un’interpretazione che ha origini risalenti, peraltro già autorevolmente confutata da V. Scialoja, Teoria della proprietà nel diritto romano, cit., pp. 64 ss.

[15]Trad. tratta da E. Nardi, Istituzioni di diritto romano, B, Testi 2, p. 45.

[16]Abbandonata l’impostazione della critica interpolazionistica che sosteneva la provenienza postclassica dell’opera (ma tracce di tale impostazione ancora residuano: cfr. A. Guarino, Storia del diritto romano, 12a ed., Napoli 1998, p. 499), la dottrina moderna è pressoché concorde nel ricondurre la paternità delle Res cottidianae, altrimenti note come Libri aureorum, al giurista Gaio: cfr. M. Brutti, in Lineamenti di storia del diritto romano (dir. M. Talamanca), 2a ed., Milano 1989, p. 449; e soprattutto - anche in critica a un recente ‘ritorno all’antico’ tentato da J. M. Coma Fort, El derecho de obligaciones en las Res cottidianae, Madrid 1996 - le lucide disamine di G. Falcone, “Obligatio est iuris vinculum”, Torino 2003, pp. 30 ss. e di R. Martini, Gaio e le Res cottidianae, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 55 (2012), pp. 171 ss. Ampio e ragionato restatement dottrinale in M. Pavese, Fundus cum alluvionibus. Incrementi fluviali e condiciones agrorum in età traianea, cit., p. 145 nt. 52. Ardita, e in definitiva non convincente, ma quanto alla paternità dell’opera in linea con l’opinione dominante, l’ipotesi sull’anteriorità degli Aurea rispetto alle Institutiones prospettata da A. Cenderelli, Il trattato e il manuale: divagazioni in tema di ‘Res cottidianae’, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano,101-102 (1998-1999), pp. 61 ss.; Id., Scritti romanistici, Milano 2011, pp. 591 ss.; critica in G. Falcone, La definizione di obligatio tra diritto e morale. Appunti didattici, Torino 2017, p. 13, nt. 2.

[17]Del tutto destituita di prova, e anche poco plausibile in sé considerata, la tesi per cui le differenze in argomento tra i due testi di Gaio sarebbero dovute al fatto che nel Veronese si sunteggerebbe il testo originale delle Institutiones, più aderente al dettato degli Aurea: cfr. la critica di S. Barbati, Brevi note su natura ed effetti giuridici dell’alluvione in una lex di Teodosio II, cit., p. 360, nt. 23. Cfr. anche il già citato restatement di M. Pavese, Fundus cum alluvionibus. Incrementi fluviali e condiciones agrorum in età traianea, p. 145, nt. 52.

[18]Cfr. E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, cit., p. 322.

[19]Sul frammento, cfr. P. Maddalena, Gli incrementi fluviali nella visione giurisprudenziale classica,cit., p. 32; M. Marrone, Danno temuto, danno già verificato e “officium iudicis”, in Riv. Dir. rom., 1 (2001), pp. 193 ss.; C.A. Cannata, Bona fides e strutture processuali, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Conv. internaz. di studi in onore di A. Burdese (Padova-Venezia-Treviso, 14-16 giugno 2001), I, Padova 2003, pp. 264 ss.; P. Pasquino, Rimedi pretori in alcuni casi di accessione,cit., pp. 15 ss.

[20]Secondo M. Marrone, Danno temuto, danno già verificato e “officium iudicis”, cit., pp. 193 ss., non si sarebbe trattato di rei vindicatio, ma di actio ad exhibendum.

[21]C.A. Cannata, Bona fides e strutture processuali, cit., p. 265: “Come si potesse tecnicamente realizzare questo scopo, di non accordare la rei vindicatio al proprietario superiore se non si impegnasse a togliere “ben tutto quanto era caduto giù”, è difficile dirlo: ma comunque era certo un intervento pretorio quello che regolava la questione: una stipulazione pretoria rappresenta la soluzione per noi più facile da immaginare. Per la pretesa del proprietario inferiore al risarcimento dei danni, invece, non esiste che la menzionata actio in personam de damno iam facto: non solo tale pretesa non potrà essere fatta valere con l’azione negatoria - questo è ovvio - ma il testo esclude espressamente che essa possa costituire l’oggetto di una domanda riconvenzionale nel contesto della rei vindicatio della massa, esercitata dal proprietario superiore”.

[22]Il riferimento è a D. 41.1.7.2, confermato in I. 2.1.21, supra § 2.

[23]Sulla coalitio, a conferma della sua operatività come delineata nei testi esaminati, ancheI. 2.1.31 (cfr. D. 41.1.7.13 - Gai. 2 res cott.) - Si Titius alienam plantam in suo solo posuerit, ipsius erit: et ex diverso si Titius suam plantam in Maevii solo posuerit, Maevii planta erit, si modo utroque casu radices egerit. antequam autem radices egerit, eius permanet, cuius et fuerat. adeo autem ex eo, ex quo radices agit planta, proprietas eius commutatur, ut, si vicini arborem ita terra Titii presserit, ut in eius fundum radices ageret, Titii effici arborem dicimus: rationem etenim non permittere, ut alterius arbor esse intellegatur, quam cuius in fundum radices egisset. et ideo prope confinium arbor posita si etiam in vicini fundum radices egerit, communis fit. (Se Tizio abbia posto in suolo suo una pianta altrui, sarà sua; e, inversamente, se Tizio abbia posto una pianta sua nel terreno di Mevio, la pianta sarà di Mevio: purché, in entrambi i casi, abbia messo radici. Invero, prima che abbia messo radici, rimane di colui di cui già era stata. A tal punto la proprietà di essa cambia dal momento in cui la pianta mette radici, che, se Tizio abbia pressato con terra la pianta del vicino in modo che mettesse radici nel suo fondo [è la tecnica della propaggine], diciamo che la pianta diventa di Tizio, non permettendo infatti il buon senso che la pianta venga ritenuta appartenere ad altri che a colui nel cui fondo abbia messo radici. E, per tanto, l’albero posto presso il confine, se abbia messo radici anche nel fondo del vicino, diventa comune). Trad. tratta da E. Nardi, Istituzioni di diritto romano, cit., B, Testi 2, pp. 47-48.

[24]Ancorché meno possibile, non si può neppure escludere la presenza di minerali (ancora più improbabile quella di un tesoro).

[25]Alfeno Varo, allievo di Servio Sulpicio Rufo, fu consul suffectus nel 39 a.C.: W. Kunkel, Herkunft un soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar 1952, p. 29; M. Bretone, Storia del diritto romano, Roma-Bari 1987, p. 413; M. Brutti, in Lineamenti di storia del diritto romano, cit., pp. 338-339.

[26]Nel 18 a.C. partecipa alla revisione dei ruoli senatori; dopo il 5 d.C. rifiuta il consolato offertogli da Augusto; sembra sia morto tra il 10 e l’11 d.C.: W. Kunkel, Herkunft un soziale Stellung der römischen Juristen, cit., p. 114; M. Brutti, in Lineamenti di storia del diritto romano, cit., pp. 436-437; M. Bretone, Storia del diritto romano, cit., p. 413.

Forlani Veronica



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