fbevnts “Tax Settlement” in the new Bankruptcy Code: is this the end of a long process?

La transazione fiscale nel nuovo codice della crisi d’impresa: la conclusione di un percorso?

02.11.2019

Marco Allena

Professore associato di Diritto Tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Piacenza

 

La transazione fiscale nel nuovo codice della crisi d’impresa: la conclusione di un percorso*?

 

“Tax Settlement” in the new Bankruptcy Code: is this the end of a long process?

 

Sommario: 1. Introduzione e breve inquadramento storico – sistematico dell’istituto, dalla nascita sino al Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza – 2. La duplice genesi della transazione fiscale e le tendenze partecipative dell’ordinamento – 3. I limiti originari dell’istituto e le novità (dirompenti e decisive) della riforma del 2016 – 4. Gli ulteriori miglioramenti apportati dal Codice della crisi e dell’insolvenza e la rilevanza del ruolo e della funzione dell’Amministrazione finanziaria nell’ultima riforma – 5. Brevi riflessioni conclusive di carattere sistematico dopo la recente rimodulazione dell’istituto e proposte de jure condendo nel senso di una possibile estensione dell’applicazione soggettiva dell’istituto.

 

1. Introduzione e breve inquadramento storico - sistematico dell’istituto, dalla nascita sino al Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza.

 

Con le recenti modifiche apportate dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza[1], la transazione fiscale pare aver finalmente completato il percorso iniziato – sia pure con configurazione diversa e altra denominazione[2] – sin dal lontano 2002. 

L’istituto[3], per vari motivi, costituisce punto di osservazione privilegiato per cogliere appieno alcune delle recenti evoluzioni dell’ordinamento tributario, di grande importanza e rilievo sistematico. Esso, secondo l’attuale disciplina e i generali intenti perseguiti allora dal legislatore della Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942), si colloca infatti in posizione di coordinamento delle discipline - per certi aspetti caratterizzate da opposte finalità - concorsuale e fiscale[4].

In estrema sintesi, l’imprenditore in crisi, debitore anche del Fisco, che abbia accesso al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione[5], è obbligato a proporre all’Amministrazione finanziaria, nel rispetto delle rigorose procedure approntate dagli artt. 63 e 88 del Codice della Crisi, il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e dei contributi amministrati rispettivamente dalle agenzie fiscali e dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, nonché dei relativi accessori. 

In ragione della sempre elevata sensibilità dell’ordinamento tributario al principio di indisponibilità dell’obbligazione, principio investito in pieno dalla transazione fiscale, l’innovativo contemperamento di diversi interessi costituzionali con valori di pari rango non è venuto consolidandosi in tempi rapidi.

La ragione della disponibilità «controllata» del credito tributario, in ipotesi di crisi dell’impresa, ha trovato accettazione, in realtà, solo recentemente: ancora più recente è stata la effettiva conferma da parte dell’ordinamento all’istituto oggetto del presente lavoro, il quale aveva attraversato anche un momento nel quale si era dubitato della sua funzione, in esito ad alcune letture interpretative che la avevano notevolmente sminuita; ora, in seguito alle ultime due riforme, quella di fine 2016 e quella attuale che ha condotto al Codice della crisi, potrebbe iniziare a godere delle fortune da tempo auspicate anche da chi qui scrive[6].

Il legislatore ha colto opportunamente il potenziale della flessibilità[7] della pretesa tributaria nel momento della crisi liquidatoria o di ristrutturazione dell’impresa in termini di attuazione del principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Compreso come talora risulti più agevole per il creditore avere maggiore soddisfazione con la collaborazione del debitore rispetto alle possibilità offerte dalle azioni esecutive/coattive, la legge oggi consegna all’Amministrazione (ed alla Amministrazione soltanto) il potere/dovere di individuare tali circostanze dove, appunto, una disponibilità del tributo possa risultare conveniente.

Questa convenienza ispira la autentica ratio dell’istituto.

Del resto, essa è la sola a consentire una giustificazione, in attuazione al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, ad una deroga siffatta al ferreo e, astrattamente, intransigente principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria; da qui, dunque, il significato assunto da una analisi in chiave economica (ossia, in termini di gestione delle risorse) degli strumenti giuridici potenzialmente a disposizione dell’Amministrazione e del contribuente in una eventuale situazione di crisi d’impresa.       

Non potendosi in questa sede approfondire i profili storici dell’istituto, per le finalità del presente lavoro basti rilevare che la genesi dello stesso risale al 2002: il primo tentativo di introduzione nell’ordinamento di un istituto in certo qual modo di carattere negoziale per la definizione  dei tributi nell’ambito delle procedure concorsuali si è avuto con l’art. 3, co. 3, della legge n. 178/2002: la cosiddetta «transazione sui ruoli» o «condono esattoriale».

Tale norma avrebbe dovuto fungere da ulteriore strumento per incentivare il dialogo tra fisco e contribuente, in linea con la volontà di apertura del nostro sistema fiscale ad una nuova fase dei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente[8], della quale l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, introdotti alcuni anni prima, sono senz’altro gli esempi più noti e sistematicamente rilevanti[9].

Tuttavia, mentre i citati istituti intervengono per così dire «a monte» del rapporto impositivo, la transazione sui ruoli incideva nella fase successiva, dopo l’accertamento.

L’art. 3, co. 3, del d.l. n. 138/2002, convertito con modificazioni nella legge n. 178/2002, rappresentava, almeno nelle intenzioni, un rimarchevole tentativo di innovare il sistema tributario italiano; un tentativo rimasto tuttavia incompiuto, soprattutto per via di un testo di legge a dir poco farraginoso.

Il fatto che direttamente all’interno del dettato normativo venisse utilizzato il sostantivo «transazione»suscitò stupore, perché tale licenza lessicale risultava assolutamente nuova rispetto alla prudenza formalistica fino ad allora osservata per introdurre nell’ordinamento tributario istituti deflattivi del contenzioso[10].

La norma in esame attribuiva a chiunque, persone fisiche o giuridiche, la facoltà di «negoziare» il proprio debito nei confronti dell’erario[11]: essa prevedeva la possibilità di transigere i ruoli in caso di «accertata maggiore proficuità ed economicità rispetto all’esecuzione coattiva»[12], sempreché si fosse trattato di soggetti per i quali «nel corso della procedura esecutiva emerga l’insolvenza del debitore o questi è assoggettato a procedure concorsuali».

Nel corso della procedura esecutiva o concorsuale il fisco avrebbe dovuto compiere, dunque, una concreta valutazione prognostica sulla maggiore convenienza, in caso di accertata insolvenza del debitore, nell’utilizzo dello strumento transattivo rispetto ai metodi esecutivi tradizionali[13].

L’applicazione casistica dell’istituto fu estremamente rara, per non dire inesistente[14].

Diverse le ragioni: in particolare, e a tacer d’altro, il testo era privo del tecnicismo giuridico necessario per renderlo intellegibile agli operatori (peraltro, emersero gravi lacune anche dal punto di vista grammaticale, che non facilitarono il compito agli interpreti)[15].

Avuta scarsa fortuna la transazione sui ruoli, il legislatore non abbandonò il proposito di concedere ai contribuenti la partecipazione alle procedure liquidatorie o di ristrutturazione anche dei crediti di natura tributaria.

Il tentativo venne ripreso, proseguendo poi con progressivo vigore.

In occasione della complessiva ed organica riforma delle procedure concorsuali del 2006, è stata inserita nel R.D. n. 267/1942 una norma ad hoc, l’art. 182-ter, rubricata «transazione fiscale», in forza della quale, in sintesi e come noto, l’impresa debitrice versante in stato di crisi avrebbe potuto ottenere, in sede di concordato preventivo, il consolidamento del debito fiscale e la possibilità di soddisfare in misura parziale i debiti di natura fiscale.

Ulteriori modifiche di favore verso l’istituto hanno consentito un progressivo ampliamento dell’efficacia dello strumento.  

A seguito della sua introduzione, con la riforma di cui al d.lgs. del 9 gennaio 2006, n. 5, in rapporto di accessorietà esclusiva con il concordato preventivo, esso venne poi esteso anche agli accordi di ristrutturazione con il D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

L’ambito di applicazione oggettivo venne anch’esso ampliato dal D.l. 29 novembre 2008, n. 185 (oggetto di conversione in legge 28 gennaio 2009 n. 2), consentendo, d’ora in avanti expressis verbis, accanto al pagamento parziale, anche il pagamento dilazionato, nonché, e soprattutto, l’ammissione alla transazione pure dei crediti previdenziali.

Infine, e prima della riforma ultima, in favore di un decisivo «rilancio» di un istituto che pareva devitalizzato dai susseguitisi interventi interpretativi della giurisprudenza (su un testo che non aveva mai abbandonato totalmente ogni ambiguità), è stata la novella di fine 2016 (con la legge di bilancio 2017)[16], la quale ha sostituito il testo precedente con quello in vigore sino al Codice della crisi, modificando in parte lo schema dell’art. 182-ter e rimuovendo quei limiti oggettivi e quei dubbi che ostacolavano non poco le effettive potenzialità dello strumento, rendendone obbligatorio l’utilizzo ed estendendolo a tutte le imposte erariali.

Il testo, frutto della riforma del 2016, vale a dire l’ultima versione dell’art. 182-ter prima delle due nuove norme introdotte dal Codice della crisi, recava in rubrica «Trattamento dei crediti tributari e contributivi», e nelle sue linee portanti non si discostava molto dalla disciplina attuale.       

       

2. La duplice genesi della transazione fiscale e le tendenze partecipative dell’ordinamento.

 

L’istituto della transazione fiscale, oggi appunto “sdoppiato” in due distinte norme del Codice della Crisi (artt. 63 e 88 D.Lgs. n. 14/2019), è il risultato dunque di numerose modifiche susseguitesi a breve distanza negli ultimi anni, come abbiamo ora sinteticamente accennato.  

Si può dire che la sua genesi sia duplice: da una parte, essa va rinvenuta negli studi che, in particolare nell’ordinamento statunitense, ma non solo, portarono sul finire degli Anni Settanta[17] al convincimento per cui nelle procedure concorsuali occorresse favorire in massimo grado gli accordi tra soggetti in crisi e creditori, tra i quali quindi anche il fisco, sia pur con le particolarità del caso[18]; dall’altra, l’istituto costituisce, per così dire, il portato dell’evoluzione[19] che l’ordinamento tributario ha conosciuto negli ultimi decenni in punto di rapporto fisco-contribuente e di ammissibilità di definizioni «partecipate» del rapporto d’imposta. 

Ciò s’inserisce, d’altra parte, in un quadro più generale, nel quale è dallo stesso diritto amministrativo[20] che è dato cogliere - e da tempo - istanze nella direzione di consentire alla collettività una sempre maggiore partecipazione del cittadino nel procedimento di formazione del provvedimento amministrativo. 

La tendenza del sistema tributario in questa direzione è ormai irreversibile, anche alla luce del nuovo rapporto Amministrazione - contribuente e dei principi sulla partecipazione dei cittadini che, affermati appunto a chiare lettere nell’ambito del diritto amministrativo, sia pur con difficoltà vengono assorbiti anche nella materia tributaria[21].

Ci troviamo infatti in un contesto nel quale si assiste ad un progressivo mutamento di indirizzo del legislatore in tema di dialogo tra la posizione del contribuente e la potestà autoritativa dell’Amministrazione.

Per quanto attiene al momento di accertamento, non solo assumono un fondamentale rilievo sistematico in tema di partecipazione al procedimento[22] gli istituti dell’accertamento con adesione[23] e della conciliazione giudiziale[24], oltre ovviamente agli interpelli[25], ma anche si assiste all’innovativo riconoscimento di un potere discrezionale con l’istituto giustiziale del reclamo-mediazione[26]: qui emerge, nel momento di definizione dell’entità dell’obbligazione, il potere/dovere dell’Amministrazione di bilanciare, in base a convenienza, gli interessi coinvolti dalla conclusione del procedimento di definizione del rapporto giuridico d’imposta e dal dispendio di risorse nella prosecuzione dell’attività amministrativa (tanto esecutiva quanto giudiziaria) e di quella giurisdizionale[27].

In riferimento alla successiva fase di riscossione, poi, sempre maggiore è risultata essere la disponibilità ad un recupero rateizzato e dilazionato della pretesa fiscale.

È lecito dunque chiedersi, ed è ciò che ha condotto fra l’altro ad un istituto, quale quello della transazione fiscale, così dirompente rispetto al sistema, se sia possibile a contribuente ed Amministrazione finanziaria, in presenza di imposte già accertate (ed in certi casi anche in via definitiva), ridurre l’entità dell’obbligazione tributaria – perché di questo si tratta: con tutto quel che ne consegue in punto di (eventuale) violazione degli artt. 23, 53 e 97 Cost., e di compatibilità con il principio di ragionevolezza (e di parità di trattamento).

Tale analisi pare tanto più necessaria in quanto una corretta applicazione dell’istituto della transazione fiscale (o trattamento dei crediti tributari) – anche alla luce delle modifiche recenti apportate dal Codice della crisi – sarà possibile soltanto ove sia chiaro come esso si giustifichi in base ai principi costituzionali, e quali siano le condizioni poste da questi per una corretta applicazione della norma.

Se ciò sarà confermato, la transazione fiscale potrà efficacemente adempiere alla funzione per la quale è stata pensata ed introdotta nell’ordinamento, oltretutto nell’ambito di procedure a rilevanza pubblicistica quali quelle concorsuali[28].

La collocazione dell’istituto alla confluenza delle discipline tributaria e fallimentare comporta che le regole essenziali ai due settori siano rispettate o, quantomeno, contemperate. In altre parole, come dimostra l’esperienza di altri ordinamenti[29], alla remissione degli oneri tributari deve essere dedicata particolare attenzione, con conseguente maggiore rigidità di controlli e procedure, trattandosi della riduzione di una obbligazione pubblica. 

Ma la tendenza dell’ordinamento – confermata una volta di più dalle ultime riforme – è senz’altro nella direzione di favorire tali accordi, nell’ottica di un nuovo ruolo del fisco volto, tra l’altro, anche ad agevolare il risanamento dell’impresa in crisi[30]

La transazione fiscale, dunque, il cui obiettivo s’innesta nella strategia di lotta alla crisi, «risulta - come è stato efficacemente detto tempo fa - uno strumento per ridurre anche in misura rilevante il passivo gravante sull’impresa in crisi, e quindi è sicuramente uno strumento prodromico alla presentazione di un piano efficiente di uscita dalla crisi[31]».

 

3. I limiti originari dell’istituto e le novità (dirompenti e decisive) della riforma del 2016.

 

Tali finalità dell’istituto hanno trovato, in larga parte, riscontro nella riforma operata dal legislatore nel 2016 e, ora, potranno finalmente ricevere piena attuazione con l’entrata in vigore dell’innovativo Codice della crisi e dell’insolvenza.

Sino all’intervento del 2016, infatti, la transazione fiscale era stata notevolmente limitata nella sua pratica applicazione, essenzialmente per due motivi.

Innanzitutto, tra i tributi oggetto della stessa non era ricompresa – anzi, era espressamente esclusa – come noto, l’Iva (ai tempi, in maniera facilmente comprensibile, atteso che la giurisprudenza della Corte di Giustizia aveva affermato, a più riprese, il principio dell’indisponibilità assoluta del tributo comunitario[32] e che il nostro Paese aveva subito da poco le doglianze dell’Unione europea nell’ambito delle vicende sui condoni Iva); se si aggiunge che analogo divieto vigeva anche per le ritenute non versate, e in questo caso per via di una non meglio precisata “assonanza”, si comprende bene come l’istituto fosse assai limitato perlomeno da un punto di vista «quantitativo», vale a dire con riferimento alle imposte oggetto di applicabilità dello stesso.

In secondo luogo, nell’ultimo decennio vi era stato un dibattito realmente determinante delle fortune dell’istituto in ordine alla obbligatorietà o meno dell’avvio del procedimento di transazione fiscale per il concordato preventivo[33]: l’esito di tale contrasto interpretativo, nella giurisprudenza di legittimità[34], si era risolto nel senso di negare detta obbligatorietà, con tutta una serie di conseguenze negative in punto di certezza del diritto e stabilità dell’istituto di cui stiamo parlando.

Ebbene, come anticipato, il legislatore della riforma del 2016 si è fatto carico di risolvere entrambi i problemi, in primo luogo allargando l’oggetto della transazione fiscale anche all’Iva e alle ritenute[35], e, in secondo luogo, imponendo l’obbligatorietà del procedimento nell’ambito del concordato preventivo.

Se con riguardo all’Iva non è questa la sede ove soffermarsi[36], in merito al profilo della obbligatorietà val la pena invece spendere qualche parola, in quanto tocca direttamente uno dei punti maggiormente ribaditi dall’ultima riforma.

Alla conclusione per la obbligatorietà dell’istituto, come è agevole intendere, l’ordinamento non è pervenuto all’improvviso, ma al culmine di un percorso che va ben al di là del periodo occorso ai miglioramenti del vecchio art. 182-ter e che ha condotto alle due attuali norme del Codice della crisi e dell’insolvenza.

La consacrazione, nella norma positiva del 2016, della obbligatorietà dell’istituto costituisce per così dire la presa d’atto, da parte del legislatore, di quanto in dottrina era già emerso da tempo – e questo, nonostante il contrario orientamento della Cassazione del 2011.

L’obbligatorietà  del ricorso all’istituto discende da due fattori.

Il primo, evidente, va rinvenuto nella cautela che l’ordinamento riserva – e deve riservare - a questo particolare credito e alla tutela dello stesso, il credito fiscale; il secondo è il riconoscimento della funzione assegnata all’Amministrazione finanziaria, giustamente ritenuta fondamentale per l’intera procedura.

Questo anche ad ulteriore conferma della rilevanza pubblicistica delle procedure concorsuali[37], nelle quali l’Amministrazione esercita davvero un ruolo nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti.

E vedremo nel successivo paragrafo come, nuovamente, con la riforma operata dal Codice della crisi il ruolo dell’Agenzia sia stato ulteriormente rafforzato.

 

4. Gli ulteriori miglioramenti apportati dal Codice della Crisi e dell’insolvenza e la rilevanza del ruolo e della funzione dell’Amministrazione finanziaria nell’ultima riforma.

 

È del tutto evidente che con l’introduzione di tali previsioni nel 2017 l’istituto della transazione fiscale ha ritrovato quell’appeal che le altre procedure conciliative previste nell’ambito della crisi d’impresa avevano, oramai da tempo, acquisito, anche se rimanevano diversi profili “operativi” da risolvere, a cui, a distanza di qualche anno, ha provveduto il Codice della Crisi e dell’insolvenza[38].

Invero con la riforma del 2019 il legislatore ha fortemente incentivato la transazione fiscale (in particolar modo quella di cui all’art. 63 del Codice, che può accompagnare l’accordo di ristrutturazione dei debiti), superando quelle criticità che finora avevano sovente impedito al contribuente di avvalersi dell’istituto: vale a dire, da una parte, la ritrosia dell’Amministrazione Finanziaria nell’apprezzare la convenienza degli accordi di ristrutturazione dei debiti che prevedano la falcidia e/o la dilazione delle passività tributarie, e, dall’altra, i tempi - assolutamente incompatibili con la procedura - con i quali questa valutazione viene normalmente condotta[39].

Sicché il legislatore ha previsto, all’articolo 63 appunto del Codice della crisi d’impresa, che il debitore possa, nell’ambito delle trattative dirette alla stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, rivolgere all’Amministrazione finanziaria una proposta di transazione fiscale, accompagnata da una relazione di un professionista indipendente che ne attesti la convenienza per la Parte Pubblica rispetto alla procedura di liquidazione giudiziale, e che l’Amministrazione Finanziaria, per parte sua, abbia un termine (stringente) - ecco la prima delle due novità – di sessanta giorni per valutare tale proposta.

Ma la novità più dirompente risiede nella previsione di cui all’articolo 48, comma 5, del Codice della crisi d’impresa, a norma del quale il Tribunale, qualora l’Amministrazione Finanziaria non provveda entro il termine di sessanta giorni ovvero rigetti la proposta formulata dal debitore, possa, in ogni caso, omologare l’accordo di ristrutturazione allorquando, congiuntamente,  l’adesione della Parte Pubblica sia decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali necessarie e la proposta risulti più conveniente per l’amministrazione rispetto all’alternativa liquidatoria (quest’ultima, peraltro, diventa ora l’unico criterio per valutare la convenienza della proposta avanzata dal debitore). 

Ora, è evidente che tale ruolo suppletivo del giudice potrebbe trovare la ferma opposizione di quella parte della dottrina che propende per l’assoluta indisponibilità dell’obbligazione tributaria, ma, come è naturale che sia, eserciterà un notevole ruolo propulsivo - a parere di chi qui scrive - nella conclusione dei futuri accordi di ristrutturazione (facilitando, peraltro, il raggiungimento delle soglie prescritte dalla legge per l’omologazione), contestualmente “sollecitando” ulteriormente l’Amministrazione Finanziaria a valutare con attenzione le proposte di ristrutturazione formulate dai contribuenti (pena il rischio per l’Agenzia di subire l’omologazione da parte dell’autorità giudiziaria).

La novità ora menzionataè veramente di estrema rilevanza, perché il risanamento dell’impresa è stato fino ad ora non di rado ostacolato dai tempi molto lunghi per ottenere una risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, e – occorre dirlo – da numerosi dinieghi espressi dall’Agenzia delle Entrate.

Ecco perchè quanto previsto all’art. 48, comma 5, del Codice della crisi rappresenta una profonda innovazione rispetto a quanto previsto nella legge fallimentare vigente. Infatti, la norma richiamata, laddove stabilisce – come accennato - che il Tribunale può omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza dell’adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria quando l’adesione del Fisco sia indispensabile ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge, sempre che, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento dell’Amministrazione risulti conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, potrà davvero imprimere nuovo impulso all’istituto.

La ratio di tale innovazione, come espressamente evidenziato nella relazio-ne di accompagnamento alla riforma, è da ricondurre alla finalità “di supe-rare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi”, quando la proposta di ristrutturazione dei debiti tributari sia conveniente per l’Amministrazione finanziaria e per tutta la massa credito-ria coinvolta della ristrutturazione negoziale.

Si è accennato supra al ruolo dell’Amministrazione finanziaria nell’istituto, e più in generale nelle procedure concorsuali.

Ora, la transazione fiscale / trattamento dei crediti tributari, in quanto istituto eccezionale, si giustifica soltanto all’interno dei limiti posti dal procedimento delineato dalle norme che lo disciplinano nel Codice della crisi[40]; in tale ambito, è l’Amministrazione finanziaria l’unico organo deputato a compiere quelle valutazioni (in punto di bilanciamento di interessi e in applicazione dei principi di cui all’art. 97 Cost.) che consentono di far soggiacere il debito fiscale alle regole della maggioranza.

L’organo amministrativo, come in precedenza anticipato, è collocato in una posizione, per così dire, di supervisione nei confronti dell’impresa, e di conseguenza della crisi nella quale questa versi – e, quindi, dell’intera procedura concorsuale.

L’Amministrazione finanziaria è l’unico soggetto che possa attentamente compiere quell’imprescindibile bilanciamento di interessi, anche costituzionali, che le consentono di valutare la procedura con una visione d’insieme assente in tutti i creditori privati: dai quali essa si differenzia, infatti, oltre al resto, in quanto l’orientamento di questi ultimi in merito al voto è dettato solo ed esclusivamente dalle prospettive di recupero e dal miglior realizzo del credito[41].

Anche di qui, a tacer d’altro, il ruolo ad essa assegnato dalla norma, e la «specialità» del procedimento riservato a tale particolare credito, distinto da tutti gli altri.

È per questo, come è stato puntualmente rilevato – sia pure vigente la precedente formulazione della norma, ma le considerazioni allora svolte mantengono intatta la loro efficacia – che, con riferimento al coinvolgimento dell’Amministrazione, «la transazione fiscale vede il necessario coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate e del concessionario della riscossione - al fine, tra l’altro, di definire con esattezza l’esposizione debitoria, i termini ed i tempi del pagamento e, in generale, di ponderare i diversi interessi coinvolti - all’interno di un vero e proprio procedimento amministrativo in cui la Direzione Regionale delle Entrate assume il ruolo di play maker in virtù del parere vincolante richiesto dall’ultimo comma dell’art. 182-ter per perfezionare l’assenso della Pubblica Amministrazione all’accordo.»[42]

Infatti la proposta di transazione fiscale all’Amministrazione, secondo i principi dell’ordinamento, e ora anche per la formulazione delle due norme che la disciplinano,  è obbligatoria.

Si tratta di una obbligatorietà giustificata – in quanto deroga rispetto al trattamento riservato agli altri crediti – dalla particolarità del creditore e della funzione da questi esercitata: tale obbligatorietà è indispensabile quindi per la correttezza della procedura, che sola consente, tra l’altro, la corretta determinazione del debito fiscale e la partecipazione di quel credito alla procedura stessa.

È d’altra parte nell’interesse dell’intera procedura che l’Agenzia valuti ex ante la proposta di transazione fiscale, sia per la determinazione del proprio debito (la esattezza della cui entità riguarda tutti i creditori), sia – più in generale – per la funzione di organo super partes che in ogni caso essa può esercitare; è l’Amministrazione, assai meglio ovviamente dei creditori privati, come già detto, a poter fornire valutazioni d’insieme e prospettiche sia sulla situazione di un determinato debitore (del quale, in quanto contribuente, essa conosce tutto), sia su un determinato piano di rilancio dell’impresa.

Ecco perché, tra l’altro, più che di assenso o di diniego alla transazione fiscale, (già in passato, ma sicuramente ora) può parlarsi di collaborazione di contribuente e Amministrazione nella predisposizione della stessa[43].

Infine, sempre a proposito di ruolo del Fisco, e a riprova della accresciuta rilevanza della funzione dell’Amministrazione finanziaria nelle procedure concorsuali, va evidenziato quanto previsto dal nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza all’art. 15, nell’istituire le procedure di allerta finalizzate a rilevare tempestivamente lo stato di crisi dell’impresa.

Come noto, il sistema di allerta è stato pensato con la finalità di accelerare i tempi di emersione della crisi, nella prospettiva del risanamento e di un elevato soddisfacimento dei creditori.

Ebbene, il comma 1 dell’articolo 15 del Codice prevede una particolare procedura di segnalazione proprio da parte delle amministrazioni fiscali: l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia per la riscossione e l’INPS, - a pena diinefficacia del titolo di prelazionespettante sui crediti vantati per i primi due ediinopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione per il terzo – saranno chiamati ad avvisare tempestivamente il debitore con mezzi idonei della sua posizione debitoria critica.

Entro i novanta giorni successivi dalla ricezione dell’avviso, il debitore potrà regolarizzare interamente il suo debito, attivare una delle modalità previste dalla legge per il pagamento delle somme dovute (la dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo, la definizione agevolata, compensazione di crediti esistenti), presentare istanza di composizione assistita della crisi, oppure presentare domanda per accedere ad una procedura di regolazione della crisi stessa.

Decorso inutilmente tale termine, e quindi constatata la inattività del debitore, le amministrazioni menzionate dovranno procedere senza indugio ad inoltrare una segnalazione all’Organismo di composizione della crisi d’impresa (OCRI).

È evidente, da tale previsione, e al di là delle ulteriori considerazioni che sul punto potrebbero essere svolte, come il ruolo dell’Amministrazione finanziaria sia diventato davvero centrale – più ancora che in passato – nelle procedure concorsuali, manifestando i propri effetti sia prima della manifestazione della crisi (nel tentativo dunque di evitarla) sia successivamente alla stessa (con la finalità di comporla).

 

5. Brevi riflessioni conclusive di carattere sistematico dopo la recente rimodulazione dell’istituto, e proposte de jure condendo nel senso di una possibile estensione dell’applicazione dell’istituto.

 

Ebbene, con la recente conclusione – ci si augura – del travagliato iter normativo che ha condotto all’attuale formulazione delle norme sulla transazione fiscale, pare quindi opportuno soffermarsi sugli altri aspetti interessanti dell’istituto, che, come anticipato in avvio, consente riflessioni di tipo giuridico-sistematico di ampio respiro, che vanno al di là della portata pratica dello stesso.

Si è già detto dell’aspetto riguardante il rapporto tra fisco e procedure concorsuali, del quale appunto la transazione fiscale costituisce uno snodo fondamentale: essa è il punto di arrivo di una serie di esigenze manifestate sin dagli anni Novanta dalla dottrina più attenta ai profili del difficile e più volte citato contemperamento di rapporti tra tali due ambiti[44].

Del pari, e rimanendo in argomento, essa rappresenta bene l’evoluzione degli studi che hanno approfondito il tema della analisi economica del diritto e della sua applicazione alle procedure concorsuali, e, specialmente, alle soluzioni concordate della crisi di impresa, anche sulla scorta delle esperienze di altri ordinamenti.

Su tutti, quello statunitense.

La legge fallimentare nordamericana è il portato di quella tipica tradizione giuridico culturale che prevede la minima ingerenza dello Stato nei rapporti tra privati; difatti le procedure di insolvenza negli Stati Uniti sono disciplinate da poche norme, che lasciano comunque una grande libertà agli organi della procedura.

In particolare, la procedura di riorganizzazione contenuta nel Chapter 11 è potenzialmente pressoché interamente privata, essendo assai limitato il ruolo del giudice. E nell’ambito della stessa un ruolo importante riveste, insieme alla riduzione degli altri debiti, l’istituto del c.d. discharge dei debiti tributari.

Ma la transazione fiscale, innanzitutto, e rimanendo in ambito tributario nazionale, consente di analizzare l’evoluzione che vi è stata con riguardo al tema della indisponibilità dell’obbligazione tributaria[45].

Tale principio dell’indisponibilità, tradizionalmente fatto risalire agli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, se fosse inteso come immanente e assoluto nell’ordinamento, si porrebbe in irrimediabile contrasto con l’attribuzione all’Amministrazione di un potere dispositivo – ancorché controllato e limitato – del credito tributario.

Al contrario, tale principio, se correttamente inteso, non va letto come intangibilità assoluta dell’esistenza (an) e della misura (quantum) del debito: in tal senso, essa (l’indisponibilità) non esiste nell’ordinamento, perché le limitazioni alla stessa misura non si contano oramai più (si pensi agli istituti della mediazione e della conciliazione giudiziale, ai tanto vituperati - peraltro solo a parole - condoni fiscali, alle voluntary disclosure degli ultimi anni e a tutti quei metodi di determinazione forfettaria della base imponibile, etc.), con tendenza in questa direzione ormai irreversibile da parte dell’ordinamento.

Ed infatti la transazione fiscale costituisce punto d’osservazione privilegiato per alcune riflessioni sul delicatissimo tema della discrezionalità amministrativa in materia tributaria, che nel nostro caso può dirsi sì esistere, ma soltanto se intesa quale discrezionalità attinente i profili satisfattivi, vale a dire riguardanti il momento della esigibilità del credito, e non la genesi dell’obbligazione tributaria[46].

Infine, come anticipato, l’istituto offre ulteriori spunti di riflessione, appunto perché – sulla scia della evoluzione del diritto amministrativo e in linea con gli orientamenti comunitari – dà la misura della tendenza dell’ordinamento proprio in punto di nuova considerazione dei rapporti fra fisco e contribuente: ciò si ricollega chiaramente al superamento di una rigida visione dell’indisponibilità, e consente di guardare unitariamente ad una serie di istituti apparentemente diversi, ma in realtà rientranti in una nuova visione del rapporto amministrativo (tributario, nel nostro caso), nel quale la cooperative compliance (o regime di adempimento collaborativo)[47] è probabilmente l’ultimo ed il più innovativo, ancorché ad oggi quasi del tutto inesplorato. 

Basti rilevare, ai fini del presente lavoro, che nell’ambito di tale regime assistiamo ad un vero e proprio rovesciamento del rapporto tributario, nel quale l’atto amministrativo non giunge ex post, ma per così dire ex ante, rispetto alla presentazione della dichiarazione, e con un procedimento di accertamento che si svolge per lo più anticipatamente, appunto, e sempre in contraddittorio tra contribuente ed Amministrazione.

Concludendo, possiamo affermare che la transazione fiscale pare aver completato il proprio non semplice percorso iniziato quasi una ventina di anni orsono.

Le ultime riforme, in specie quella del 2016 e quella più recente del Codice della crisi, dovrebbero finalmente consentire all’istituto di adempiere alla funzione per la quale è stato pensato ed introdotto nell’ordinamento, vale a dire aiutare la fuoriuscita dell’impresa dalla crisi – con tutti i benefici che ciò comporta, non solo per il singolo contribuente ma per il sistema economico-giuridico in generale.

È probabile che nella concreta applicazione del diritto positivo emergano ancora qua e là spazi di miglioramento, alcuni di carattere meramente pratico (ma non per questo meno importanti, anzi, e ve ne sono), altri di carattere invece giuridico interpretativo.

E tra questi ultimi non possiamo non fare un cenno alla attuale limitazione della transazione fiscale (o trattamento dei crediti tributari) al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione, senza che ve ne sia una ragione di tipo sistematico: perché non estenderlo, ad esempio, all’amministrazione  straordinaria o al concordato nella liquidazione giudiziale[48]?

Senza tenere conto, poi, della inevitabile necessità di un migliore coordinamento normativo con la disciplina della composizione della crisi da sovrindebitamento, anche alla luce della recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2019.

Ora, in merito alla possibile estensione dell’istituto, sia essa di tipo interpretativo o legislativo, se torniamo per un momento a quanto abbiamo accennato in merito ai profili storici, non possiamo fare a meno di rilevare che si è assistito progressivamente ad una lenta e continua estensione dell’ambito applicativo della transazione fiscale, inizialmente riservata ai soggetti che si trovassero nella procedura di concordato preventivo, poi ampliata a coloro che avessero presentato domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti, e successivamente agli imprenditori agricoli e alle fondazioni liriche, estensione indicativa, in ogni caso, di una chiara tendenza. E in tutto questo, nel frattempo, la disciplina sulla composizione della crisi da sovrindebitamento aveva consentito la falcidia anche dei debiti tributari ai soggetti non ammessi alle procedure tradizionali (e qui, occorre ribadirlo, con notevoli problemi di coordinamento normativo).

Tra l’altro, nella prima versione dell’istituto, la transazione esattoriale del 2002, sulla base dei principi di maggiore economicità e proficuità, chiunque fosse stato assoggettato a qualsiasi procedura concorsuale, o anche solo si fosse trovato in stato d’insolvenza, poteva accedere alla transazione[49].

E dal punto di vista sistematico, è evidente, difficilmente pare potersi giustificare una successiva restrizione della portata della norma (a maggior ragione, rispetto ad un tendenziale allargamento, sotto tutti i punti di vista, degli istituti fallimentari – come rilevato retro a proposito anche della giurisprudenza della Cassazione[50]).

Se si pone mente, poi, alle due procedure per le quali attualmente è obbligatoria la transazione fiscale, vale a dire il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione del debito, si nota che intercorrono tra esse notevoli differenze: ciò quindi impedisce di considerare la attuale limitazione letterale della transazione fiscale (trattamento dei crediti tributari) come rivolta a due istituti facenti parte di un settore al suo interno omogeneo.

Si può quindi ricercare la vera volontà legislativa del 2007, allorquando l’istituto è stato previsto anche per gli accordi di ristrutturazione, nell’intenzione di estenderlo ad altre ipotesi, non necessariamente simili, ma caratterizzate dalla finalità del risanamento dell’impresa in crisi o comunque della soluzione della crisi stessa (intenzione, d’altra parte, che senza ombra di dubbio presiede in generale alle ultime riforme in materia concorsuale, ed è più conforme ai principi costituzionali), con l’unico vincolo che vi sia in ultima istanza un vaglio giurisdizionale[51].

E da questo punto di vista il caso della amministrazione straordinaria e quello del concordato nella liquidazione giudiziale potrebbero prestarsi ad alcune riflessioni importanti, proprio in quanto caratterizzate da una serie importante – sia pure diversificata - di controlli da parte di organi terzi[52].

 

Abstract: In January 2019, the Italian legislator enacted a comprehensive and organic reform of the bankruptcy code (with the Legislative Decree no. 14 of 12 January 2019). Some of the provisions of law included in the new code have a considerable impact on the institute of fiscal settlement (article 182-ter of bankruptcy law), whose role is now relaunched, and finally, it overcomes the executive difficulties that for years have prevented the usage of this instrument. In this perspective, the article aims to trace the historical evolution of the institute and propose innovative solutions, one of which is a further extension of the tax settlement in addition to the “concordato preventivo” and “accordo di ristrutturazione dei debiti”.

Keywords: Insolvency Code, Fiscal settlement, Tax liabilities, Compliance


* Il presente lavoro, sottoposto a double blind peer review, riproduce, con gli opportuni approfondimenti e l’introduzione delle note, la relazione tenuta dall’A. il 26 ottobre 2019 a Catania nel corso del convegno Accordi e azione amministrativa nel diritto tributario organizzato dall’Università degli Studi di Catania e dalla Società fra gli Studiosi di Diritto Tributario, che confluirà negli Atti del convegno.

[1] Introdotto con il D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, emanato in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155.

[2] È opportuna una preliminare precisazione di carattere terminologico, tanto più dopo le riforme apportate dal Codice della crisi. L’istituto nato come «transazione esattoriale», successivamente è diventato «transazione fiscale»: in tal modo è stato conosciuto ed utilizzato sino a che, con le riforme del dicembre 2016, la denominazione dello stesso è stata modificata in «Trattamento dei crediti tributari e contributivi». Ci permettiamo di rinviare sul punto, anche per i profili storici dell’istituto, al nostro M. Allena, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Milano-Padova 2017, passim. In seguito all’ultima riforma, quella del Codice della crisi d’impresa appunto, con lo sdoppiamento dell’istituto - come vedremo - sono state mantenute entrambe le denominazioni, “transazione fiscale” e “trattamento dei crediti tributari e contributivi”.

[3] Val la pena indicare qui alcune delle opere che negli anni hanno affrontato sistematicamente l’istituto. Vedi dunque, senza pretesa di esaustività, M. Cardillo, La transazione fiscale, Roma 2016; M. Cardillo, La transazione fiscale: problemi e possibili soluzioni, in Diritto e pratica tributaria, (5) 2012, pp. 137 e ss.; M. Cardillo, La transazione fiscale dei tributi locali, in F. Paparella.  (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano 2013, pp. 681 ss.; G. La Croce, La transazione fiscale, Milano 2011; M. Beghin, Giustizia tributaria e indisponibilità dell’imposta nei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. La transazione concordataria e l’accertamento con adesione, in Rivista di diritto tributario, (11) 2010, p. 679; V. Comerci – S. Chinaglia, Commento all’art. 182-ter della legge fallimentare, in A. Maffei Alberti(a cura di) Commentario breve alla legge fallimentare, Padova 2013, p. 1266; M. Basilavecchia, L’azione impositiva nelle procedure concorsuali: il caso della transazione fiscale, in M.  Miccinesi – M. Allena – M.  Logozzo (a cura di), Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli 2012, pp. 75 ss.; L. Del Federico, Articolo 182 ter. Transazione fiscale, in A. Jorio – M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, vol. II, Bologna 2007, 2561 ss.; L. Del Federico, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in A. Didone(a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino 2009; L. Del Federico, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Rivista di diritto tributario, (3) 2008, pp. 215-242; L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in A. Jorio – M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Bologna 2010, pp. 1223 e ss.; M.  Ferro – R. Roveroni, Transazione fiscale, in M. Ferro (a cura di), Le insinuazioni al passivo – Trattato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, vol. IV, Padova 2006, pp. 189 e ss.; F. Randazzo, Il «consolidamento» del debito tributario nella transazione fiscale, in Rivista di diritto tributario, (I) 2008, pp. 825; F. Amatucci, La transazione fiscale tra disciplina comunitaria dell’Iva e divieto di aiuti di Stato, in F. Paparella  (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano 2013, 687 ss.; P. Boria, La pronuncia europea sulla falcidia dell’Iva, in Rivista di diritto tributario, (I) 2016, pp. 461 e ss.; E. M. Bagarotto, L’ambito oggettivo di applicazione della transazione fiscale, in Rassegna tributaria, (6) 2011, pp. 1491 e ss.; G. Gaffuri,  Aspetti problematici della transazione fiscale, in Rassegna tributaria, 2011, p. 1115; L. Mandrioli, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, in Giurisprudenza Commerciale, (I) 2008, 301; C. Gioè, I limiti della transazione fiscale in materia di tributi locali, in Rassegna Tributaria., (1) 2011, pp. 94-109; L. Magnani, La transazione fiscale, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova 2007; G. Bersani, Il concordato preventivo: giudizio di fattibilità del tribunale - formazione delle classi dei creditori - transazione fiscale, Milano 2012; E. Mattei, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in L. Ghia – F. Severini – C. Piccininni (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, vol. IV, Torino 2011, pp. 745 e ss.; G. Marini, La transazione fiscale: profili procedimentali e processuali, in F. Paparella  (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, Milano 2013, p. 661 ss.; G. Marini, La transazione fiscale, in Rassegna tributaria, (5) 2010, pp. 1193-1211; G. Marini, Indisponibilità e transazione fiscale, in M. Miccinesi – M.  Allena – M. Logozzo (a cura di), Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli 2012, pp. 559 ss.; M. T. Moscatelli, Crisi dell’impresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale, in Rassegna tributaria., 2008, 1317 ss.; M. Pollio, La transazione fiscale, in G.  Fauceglia – L. Panzani (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Trattato, Vol. III, Torino 2009, pp. 1835 e ss.; U. Perrucci, La nuova transazione fiscale, in Bollettino Tributario d’informazioni, (23) 2009, p. 1761; L. Tosi, La transazione fiscale: profili sostanziali, in F.  Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, Milano 2013, pp. 647 ss.; D. Stevanato, Art. 182-ter, Transazione fiscale, inC. Cavallini(a cura di), Commentario alla legge fallimentare, vol. III, Milano 2010, pp. 835 e ss.; L.Tosi, La transazione fiscale, in Rassegna tributaria, (4)2006, fasc, pp. 1071-1092; L. Trombella, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, in Rivista di diritto tributario, (6) 2008, I, pp. 577 e ss.; V. Ficari, Riflessioni su «transazione fiscale» e «ristrutturazione» dei debiti, in Rassegna tributaria., (1) 2009, pp. 68 e ss.; M. Corvaja – A. Guerra, La transazione fiscale, in Il Fisco, (13) 2006, pp. 1907 e ss.; G. Rocco, La natura inscindibile della transazione fiscale. Profili applicativi, in Diritto e pratica tributaria, (1) 2015, pp. 10079 e ss.; F. Miconi, La transazione fiscale, in Il Fallimento, 6 (2015), pp. 729 e ss.; V. Zanichelli, La transazione fiscale, in Diritto fallimentare e delle società commerciali, (2) 2012, pp. 143 e ss.. Ci permettiamo di rinviare anche al nostro M. Allena, Profili costituzionali della transazione fiscale, in M.  Miccinesi – M.  Allena – M. Logozzo (a cura di), Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli 2012, pp. 1 ss.; ed al nostro M. Allena, La transazione fiscale, in F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli (diretto da) Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. IV, Torino 2014, 607 ss.; ed infine, più recente, al nostro M. Allena, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, cit..

[4] Sul tema del difficile contemperamento tra le istanze della materia tributaria ed il settore delle procedure concorsuali, si rinvia a M. Miccinesi, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano 1990, in particolar modo le pagine VI e VII. Vedi anche A. Fantozzi, Introduzione e note metodologiche, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano 2013.

[5] Rinviamo alle conclusioni del presente lavoro per alcune sintetiche considerazioni in ordine alla possibile, futura estensione della applicabilità soggettiva della transazione fiscale.

[6] Ci si permette di rinviare sul punto al nostro M. Allena, Profili costituzionali della transazione fiscale, cit., passim

[7] Cfr. M. Miccinesi, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, cit., pag. 6.

[8] Concorde, in dottrina, l’opinione sul carattere innovativo dell’istituto. Cfr. E. Belli Contarini, La transazione con il fisco sui ruoli della riscossione, in Bollettino Tributario, (20) 2003, p. 1464;L.Mandrioli, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell’esecuzione individuale, in Il Fallimento,  (10) 2003 e G. Ripa, Transazioni sui ruoli con ostacoli, in Italia Oggi del 25 luglio 2002.

[9] Per un esame completo sul punto, e per gli opportuni riferimenti bibliografici, si rinvia ancora a M. Miccinesi, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, cit..

[10] Per tutti F. Brighenti, La transazione dei tributi: Nuovo corso o stravaganza normativa?, in Bollettino Tributario, (18) 2002, p. 1301; L. Ferrajoli, Necessari chiarimenti sulla transazione dei ruoli, in Guida Normativa, n.127 del 27 luglio 2002; S. Capolupo, La transazione fiscale: aspetti sostanziali, in Il Fisco, (20) 2006, p. 3015; E. Stasi, Profili istituzionali della transazione fiscale, in A.Jorio – M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Bologna 2010, p. 1179. Oggetto di paragone con il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 178/2002 veniva ad essere l’art. 1965 c.c., relativo alla transazione civilistica che aveva in comune alcuni aspetti con l’istituto in analisi. Tuttavia la norma in esame aveva anche alcuni importanti aspetti di difficile od impossibile conciliabilità con il nomen juris richiamato dal legislatore stesso. In tal senso  F. Brighenti, La transazione dei tributi: Nuovo corso o stravaganza normativa?, cit.; E. Belli Contarini, La transazione con il fisco sui ruoli della riscossione, cit.; A. A. Dolmetta, Relatività dei Nomina in diritto civile e in diritto tributario: la nozione di transazione nella l. n. 178 del 2002, in Diritto e pratica tributaria, (6) 2004, p. 1515; M. T. Moscatelli, La disciplina della transazione nella fase di esecuzione del tributo, in Rivista di diritto tributario, (1) 2005, p. 483.

[11] Cfr. S. Capolupo, La Transazione fiscale: la procedura, in Il Fisco, (21) 2006, p. 3188.

[12] Cfr. la Circolare n. 8/E del 4 marzo 2005 dell’Agenzia delle Entrate, laddove si parla chiaramente di deroga al principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria per perseguire finalità di pubblico interesse. Sempre nella citata circolare, si legge che «Ai fini della valutazione di maggiore economicità e proficuità dell’accordo rispetto all’attività di riscossione coattiva, l’Agenzia si avvale delle informazioni fornite dal contribuente, dal Concessionario della riscossione, dagli uffici e dalle Direzioni regionali, nonché di quelle risultanti al sistema di Anagrafe tributaria secondo i criteri già stabiliti dall’Agenzia». Peraltro, in merito agli aspetti procedurali, valga per tutti quanto rilevato da M. Basilavecchia, La transazione dei ruoli, in Corriere Tributario, (15) 2005, p. 1216, per il quale il configurato iter procedurale pareva estremamente difficile e lungo per il contribuente, atto più che altro a farlo desistere dall’intenzione di avvalersi di questo istituto.

[13] In altre parole, si notava in dottrina, «l’Amministrazione potrà dar corso ad una transazione con il contribuente qualora dall’esecuzione individuale o concorsuale quest’ultimo non riesca a recuperare alcunché, ovvero quando il debitore offra una somma maggiore rispetto a quella che l’Amministrazione finanziaria stessa possa ipotizzare di recuperare anche in sede di esecuzione forzata» (L. Mandrioli, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell’esecuzione individuale, cit.).

[14] Infatti, come noto, meritevole di essere citato, a quanto consta, è il solo precedente riguardante una famosa società calcistica italiana, che si avvalse dell’istituto per dilazionare il proprio forte indebitamento nei confronti dell’erario.

[15] Ciò comportò un bassissimo numero di soggetti interessati a proporre la citata transazione; ma quando anche la proposta venne effettuata, solo in rarissime occasioni l’Amministrazione fu disponibile a trovare un accordo per transigere o dilazionare la propria pretesa creditoria, rimanendo ferma su posizioni rigide e preferendo assumere il rischio di dovere sopportare infruttuosamente l’onere economico e temporale dell’esperimento dei procedimenti esecutivi. Infine, tra tutte le problematiche, quella probabilmente più rilevante riguardava l’azione revocatoria ex art. 67 legge fallimentare, ed il rischio di subirla pendente sull’Amministrazione finanziaria in relazione alle somme incassate, prima del fallimento, a titolo di transazione, anche per il pagamento di imposte scadute (ciò in deroga all’art. 89 del D.p.r. n. 602/1973): sul punto era stata inequivocabile la stessa circolare n. 8/E, cit..

[16] Segnatamente, per il tramite dell’art. 1, comma 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.

[17] É del 1978 l’introduzione del Chapter 11.

[18] Nel nostro ordinamento, la soluzione alla quale poi è pervenuto il legislatore era stata già prefigurata da M. Miccinesi, Fisco e riforma delle procedure concorsuali, in Giurisprudenza delle imposte, (2) 2001, pp. 447 ss., il quale afferma che «É diffusa l’opinione che postula la necessità di valorizzare ed incentivare la definizione di accordi stragiudiziali tendenti a superare la crisi che ha afflitto l’impresa stessa. Certo è che, nel nostro ordinamento, simile soluzione è molto spesso impedita proprio dai vincoli di natura fiscale. Più in particolare, è dato constatare come il dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria lascia pensare che l’Amministrazione finanziaria non può aderire a convenzioni tra i creditori, comportanti la rinuncia ai propri crediti e miranti al salvataggio dell’impresa. Il fisco, di nuovo, diventa ostacolo verso il perseguimento di simili obbiettivi, nonostante la rilevanza pubblica degli interessi in gioco e sebbene tali soluzioni risultino, oltretutto, economicamente più favorevoli anche per l’erario dal momento che garantiscono un realizzo concreto e pronto del credito d’imposta. In questi termini, specie nella prospettiva di un controllo giurisdizionale (anche) sui concordati stragiudiziali, occorrerebbe riconoscere il potere per l’Amministrazione finanziaria di aderire ad accordi remissori intervenuti fra i creditori, ove ciò risulti proficuo per l’interesse erariale e per quello (del pari pubblico) alla conservazione dell’impresa».

[19] Per alcune considerazioni di carattere generale sul punto, vedi G. Tinelli, Istituzioni di diritto tributario, Padova 2016, in particolare alle pp. 273-275, nonché A. Di Pietro, Il contribuente nell’accertamento delle imposte sui redditi: dalla collaborazione al contraddittorio, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Atti del Convegno I settanta anni di “Diritto e pratica tributaria” - Genova 2-3 luglio 1999, Padova 2000, pp. 531 ss..

[20] Sul tema degli accordi nel diritto amministrativo, oltre alle opere classiche ed istituzionali, si veda, con particolare riferimento alla evoluzione dell’ordinamento nel susseguirsi degli interventi di rivisitazione della legge n. 241/1990, M. Renna, Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, in S. Civitarese Matteucci – L. Del Federico (a cura di), Azione amministrativa ed azione impositiva tra autorità e consenso. Strumenti e tecniche di tutela dell’amministrato e del contribuente, Milano 2010, pp. 161 ss.; nonché, tra gli altri, P. Grauso, Gli accordi della pubblica amministrazione con i privati, Milano 2007; R. Morea, Gli accordi amministrativi tra «norme di diritto privato» e princìpi italo – comunitari, Napoli 2008. Per il raccordo tra la disciplina amministrativistica e quella tributaria, vedi, per tutti, A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano 2010, passim, ma in particolare – su tale aspetto – le pp. 19 ss..

[20] Si rinvia alla migliore dottrina amministrativistica per gli opportuni riferimenti. Sulla speciale declinazione tributaria  della partecipazione, vedi F. Gallo, Verso il «giusto processo» tributario, in Rassegna tributaria, (1) 2003, in particolare p. 16. L’A. evidenzia come l’odierno interesse fiscale non possa prescindere dall’interesse privato alla partecipazione all’attività amministrativa. Ancora, in senso analogo, lo stesso A. segnala che nell’interesse fiscale «confluiscono gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella funzione tributaria» compreso quello dei consociati alla «partecipazione all’attività amministrativa» (F. Gallo, La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in Rivista di diritto tributario, (1) 2002, p. 427). Dello stesso A., vedi pure F. Gallo, Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in Diritto e pratica tributaria, (I) 2011, pp. 467 ss.. Sul tema, per tutti, vedi L. Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova 1990. L’A., sin dal ’90, ha evidenziato l’andamento evolutivo dell’ordinamento amministrativo - tributario nel senso di un rafforzamento della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, pure nella branca del diritto dove l’interesse fiscale aveva determinato il legislatore ad escludere il diritto della partecipazione garantito dalla l. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo) per la generalità dei procedimenti sviluppati dalla Pubblica Amministrazione. Della stessa A., vedi pure L. Salvini, La «nuova» partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Rivista di diritto tributario,  (1) 2000, p. 3; nonché, L. Salvini., Procedimento amministrativo (Dir. Trib.), in Dizionario di Diritto Pubblico, vol. V, Milano 2006. Vedi sul punto L. Del Federico, I rapporti fra lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in Rassegna tributaria, (6) 2011, pp. 1393 ss.. Sulla necessità di un confr

Allena Marco



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