fbevnts Administrative control of rescue at sea: Port State Control and SAR operations carried out by non-governmental organizations

Il controllo amministrativo del soccorso in mare: esercizio dei poteri di controllo dello Stato d’approdo e operazioni di salvataggio effettuate da or

30.06.2021

Giammarco Sigismondi

Professore associato di Diritto amministrativo,

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

Il controllo amministrativo del soccorso in mare: esercizio dei poteri di controllo dello Stato d’approdo e operazioni di salvataggio effettuate da organizzazioni non governative*



English title: Administrative control of rescue at sea: Port State Control and SAR operations carried out by non-governmental organizations

DOI: 10.26350/18277942_000036

 

Sommario: 1. La vicenda. 2. Le questioni poste e il rinvio alla CGUE. 3. Le altre questioni rilevanti. 4. La disciplina dei poteri di controllo dello Stato di approdo e il quadro giurisprudenziale. 5. Poteri di controllo dello Stato di approdo e interventi di soccorso in mare. 6. Le funzioni delle società di classificazione e la rilevanza dei relativi certificati. 7. Certificato di classe e impiego della nave. 8. Le possibili ragioni dell’autorità dello Stato d’approdo nel caso specifico. 9. L’emersione di un contrasto di difficile soluzione.

 

 

1. La vicenda

 

Dopo i fatti dell’estate del 2019[1] è recentemente tornato all’attenzione della giustizia amministrativa un contenzioso che oppone le organizzazioni non governative umanitarie impegnate con le proprie navi nell’attività di soccorso nell’area del Mediterraneo[2] all’autorità amministrativa italiana.

La questione riguarda l’esercizio dei poteri di controllo dello Stato di approdo (Port State Control) previsti rispettivamente dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, n. 2009/16/CE e dal d.lgs. 24 marzo 2011, n. 53 – che costituisce la normativa interna di attuazione – su alcune navi che avevano soccorso migranti in pericolo ed erano poi state dirette dal centro di coordinamento del soccorso marittimo verso porti italiani per lo sbarco delle persone tratte in salvo.

Dopo l’approdo o il trasferimento dei naufraghi, in numerose occasioni l’autorità marittima italiana ha sottoposto le navi ad ispezioni, spesso ripetute anche a breve distanza di tempo, non limitandosi alla sola verifica dei certificati di conformità alle convenzioni internazionali sulla sicurezza del trasporto marittimo e dell’esistenza dei documenti che devono obbligatoriamente essere conservati a bordo (c.d. certificati statutari o obbligatori[3]), ma estendendo l’ispezione a un controllo più approfondito, diretto a verificare la corrispondenza delle condizioni effettive della nave a quanto certificato.

In tutti i casi le ispezioni hanno evidenziato carenze tecniche e operative, che in sette occasioni sono state giudicate idonee a giustificare il provvedimento di fermo amministrativo della nave ispezionata[4].

I provvedimenti di fermo disposti nei confronti delle navi Sea Watch-3 e Sea Watch-4 sono stati tuttavia impugnati dall’organizzazione proprietaria, che ha proposto due distinti ricorsi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia.

Le contestazioni dell’autorità dello Stato d’approdo che emergono dai provvedimenti impugnati seguono uno stesso schema di fondo. Pur nell’ambito di provvedimenti emessi e motivati con la compilazione di formulari conformi ai modelli previsti dagli accordi di riferimento che costituiscono il fondamento normativo dei poteri di controllo dello Stato d’approdo, traspare infatti una linea di condotta ben definita: il controllo non è effettuato sulla base dell’applicazione dei criteri ordinari che – attraverso una banca dati e un sistema informatico condiviso – individuano le navi da sottoporre a ispezione in funzione di specifici parametri temporali e fattori di rischio[5], ma sulla base dei criteri straordinari che giustificano una deroga (che possono essere fattori di priorità assoluta – overriding factors –  o fattori imprevisti – unexpected factors); l’ispezione è quindi condotta al secondo livello di approfondimento (ispezione più dettagliata, more detailed inspection) e conclusa con il rilievo delle carenze riscontrate, alcune delle quali valutate di natura tale da fondare il fermo amministrativo della nave (detention) e da richiedere di essere corrette per ottenere la rimozione del provvedimento restrittivo.

Al di là delle specifiche deficienze riscontrate per le singole navi, e il cui accertamento costituisce una tipica espressione dei poteri di valutazione tecnica dell’autorità amministrativa, inoltre, sia le note che accompagnano il rilievo di un criterio di priorità assoluta (overriding factor), sia le osservazioni relative alle richieste di correzione più rilevanti rispetto alle condizioni effettive della nave seguono una strategia comune: in entrambi i casi al rilievo dell’esistenza di un fattore di priorità assoluta è unito un riferimento alla circostanza che la nave in più occasioni successive e a breve distanza di tempo avrebbe compiuto operazioni di soccorso in mare, che la nave è classificata[6] come nave da carico (dalla ricostruzione dei fatti che hanno portato alla causa emerge che sia Sea Watch-3, sia Sea Watch-4 risultano classificate come general cargo/multipurpose[7]) e che pertanto la nave è impiegata per un servizio diverso da quello per il quale è stata classificata e, conseguentemente, certificata. Nel caso di Sea Watch-3, inoltre, è fatta menzione di una specifica notifica inviata allo Stato di bandiera (la Germania) per provvedere a rendere conforme la nave ai requisiti richiesti per il servizio effettivamente svolto. In secondo luogo, riguardo alle condizioni della nave rispetto alle certificazioni di conformità relative alle dotazioni di sicurezza a bordo[8] e ai dispositivi di trattamento e di raccolta delle acque reflue[9] viene contestato il fatto che la certificazione è stata rilasciata tenendo conto della presenza a bordo di un numero di persone molto inferiore a quelle che possono effettivamente essere imbarcate e vengono abitualmente tratte in salvo nel corso delle operazioni di soccorso, richiedendo quindi un adeguamento delle strutture e delle dotazioni all’utilizzo effettivo della nave.

In sostanza, quindi, l’autorità marittima rileva una difformità tra l’effettivo servizio nel quale le navi sono impiegate, che è ritenuto essere il soccorso in mare, e il servizio che risulta dal certificato di classe della nave e (almeno nel caso delle certificazioni ISPP e CSSE) contesta l’adeguatezza dei certificati statutari rilasciati, perché non corrispondenti alla effettiva situazione operativa delle navi. In più, sono rilevate una serie di carenze che non riguardano l’impiego effettivo della nave, ma interventi di modifica, malfunzionamenti dell’equipaggiamento, omissioni nella documentazione di bordo.

Anche i ricorsi condividono un’impostazione simile. In primo luogo sono ritenute insussistenti le condizioni sia per procedere a un’ispezione, sia per estendere l’ispezione oltre la verifica dell’esistenza a bordo dei certificati di conformità e dei documenti richiesti; in secondo luogo è considerato illegittimo il modo in cui è stata fatta applicazione dei poteri di controllo riconosciuti allo Stato di approdo, perché nel riservarsi la possibilità di valutare la conformità della certificazione statutaria all’effettivo impiego della nave invece che alla classe assegnata l’autorità dello Stato di approdo avrebbe compiuto una sorta di riclassificazione delle navi ispezionate, mentre l’attribuzione della classe sarebbe un atto riservato alle società di classificazione a ciò autorizzate; in terzo luogo è contestata la sussistenza di alcune delle difformità rilevate e la legittimità delle conseguenti richieste di rettifica, in particolare per quelle relative all’inadeguatezza delle certificazioni ISPP e CSSE: sia perché la conformità va valutata rispetto alla classe attribuita alla nave, sia perché la presenza di persone imbarcate per cause di forza maggiore o a seguito dell’adempimento dell’obbligo di prestare soccorso in mare non può essere presa in considerazione al momento del controllo del rispetto delle prescrizioni previste dalle convenzioni internazionali[10].

Le modalità e la ricorrenza dei controlli da parte della capitaneria di porto, infine, vengono ritenute indice della volontà da parte dell’amministrazione di esercitare il proprio potere con l’intenzione di ostacolare l’attività svolta dalle organizzazioni non governative e non di garantire la sicurezza della navigazione: in sostanza, un caso esemplare di eccesso di potere secondo la figura sintomatica dello sviamento.

Si tenga inoltre presente che lo svolgimento della vicenda presenta un’ulteriore particolarità: mentre nel caso del fermo della Sea Watch-4 il provvedimento è stato tempestivamente impugnato e sia la società di classificazione che ha classificato la nave, sia l’autorità competente dello Stato di bandiera che ha rilasciato i certificati statutari hanno contestato formalmente la sussistenza di deficienze riguardanti le dotazioni di sicurezza e l’impianto di trattamento delle acque reflue, nel caso del fermo della Sea Watch-3 la società di classificazione, informata del provvedimento, inizialmente non si è opposta ai rilievi, proponendo invece che la nave potesse essere autorizzata a trasferirsi in un altro porto per l’effettuazione dei lavori necessari. Solo dopo il trasferimento e a seguito di un confronto con l’autorità dello Stato di bandiera è stata ribadita la regolarità dei certificati e dello stato di navigabilità della nave, e solo a quel punto è stato proposto ricorso.

Il quadro che si delinea è quindi articolato e coinvolge diversi soggetti, pubblici e privati, con diverse funzioni e poteri: la società (o ente) di classificazione, che ha rilasciato il certificato di classe ed è responsabile delle verifiche e dei controlli necessari per il mantenimento della classe stessa; l’autorità amministrativa dello Stato di bandiera che ha rilasciato i certificati statutari; l’autorità marittima italiana. La normativa di riferimento è costituita principalmente da fonti internazionali e del diritto dell’Unione Europea, mentre le disposizioni interne sono prevalentemente norme di attuazione o emanate per l’adempimento degli obblighi assunti in sede internazionale. Tuttavia il controllo è esercitato da organi dell’amministrazione italiana, con provvedimenti che sono destinati a essere giudicati da giudici nazionali, secondo categorie proprie del diritto interno. Infine le organizzazioni non governative coinvolte nei soccorsi operano per scopi umanitari e senza fini commerciali, e l’assistenza in mare nelle situazioni di pericolo corrisponde a uno specifico dovere per ogni nave, mentre il soccorso costituisce un servizio che tutti gli Stati si sono impegnati a garantire.

 

2. Le questioni poste e il rinvio alla CGUE

 

Anche le questioni giuridiche da definire sono notevolmente complesse: si tratta infatti di stabilire quali siano i confini dei poteri di controllo dello Stato d’approdo e i presupposti per il loro esercizio, soprattutto in relazione alle peculiarità del caso specifico: l’approdo era stato conseguenza di un intervento di soccorso e non di uno scalo programmato e il controllo aveva messo in dubbio la conformità della nave all’impiego effettivamente svolto. Rispetto a quest’ultimo profilo, inoltre, si pone la necessità di individuare l’eventuale disciplina di riferimento cui conformarsi per effettuare gli adeguamenti richiesti.

Considerato che la normativa che disciplina l’esercizio dei poteri di controllo dello Stato di approdo è attuazione di una direttiva e che la sicurezza marittima rientra nell’ambito della competenza concorrente tra Unione Europea e Stati membri in materia di trasporti e ambiente prevista dall’art. 100 § 2 TFUE, il giudice nazionale già in sede di esame dell’istanza cautelare ha quindi deciso di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale di interpretazione ai sensi dell’art. 267 TFUE[11].

La questione è stata formulata sul presupposto di fatto dato come acquisito che le navi sottoposte a fermo sono effettivamente impiegate in modo sistematico in attività di soccorso, e non di trasporto.

Su tale presupposto, come base di rilevanza rispetto alla quale formulare le questioni interpretative da sottoporre alla Corte di Giustizia il giudice rimettente ha ritenuto che il provvedimento di fermo disposto dall’autorità marittima sarebbe illegittimo:

a) se il potere di controllo sulle navi da parte dello Stato d’approdo non potesse essere riferito a navi utilizzate per scopi non commerciali, quali sono le operazioni di soccorso svolte volontariamente;

b) se la contestazione dell’adeguatezza dei certificati statutari in materia di sicurezza[12] non possa rientrare tra i fattori di priorità assoluta o tra i fattori imprevisti che consentono un’ispezione più dettagliata[13];

c) se il potere di controllo sulle navi da parte dello Stato d’approdo escludesse la possibilità di valutare l’effettivo impiego della nave e fosse invece limitato a verificare la corrispondenza delle condizioni della nave a quanto attestato dai certificati statutari;

d) se la conformità delle condizioni della nave a quelle richieste per l’impiego effettivo non potessero essere legittimamente contestate in mancanza di norme di riferimento (internazionali, europee o nazionali) applicabili all’attività di soccorso (in sostanza il giudice presuppone la necessità di individuare un contesto normativo che definisca i requisiti che le navi destinate a svolgere attività di soccorso devono soddisfare).

Conseguentemente, sono stati articolati cinque quesiti interpretativi, presentati con richiesta di essere definiti con il procedimento accelerato previsto dall’art. 105 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia e pertanto accompagnati dal punto di vista del giudice del rinvio sulla risposta da dare alle questioni sollevate[14].

In sintesi, il giudice del rinvio chiede di chiarire:

a) se la direttiva 2009/16/CE sia applicabile anche alle navi che non siano utilizzate per scopi commerciali.

La questione (alla quale nella ricostruzione dei fatti di causa non pare corrispondere uno specifico motivo di ricorso) è fondata sulla circostanza che l’art. 3, comma 1, del d.lgs. 53/2011 nel definire l’ambito di applicazione oggettivo dei poteri di controllo dello Stato di approdo fa riferimento «alle navi e alle unità da diporto utilizzate a fini commerciali di bandiera non italiana», mentre il successivo comma 4 esclude espressamente «[al]le navi da pesca, [al]le navi da guerra, (…) [al]le navi dello Stato usate a fini non commerciali e [al]le unità da diporto non adibite a traffici commerciali»[15]. La direttiva, all’art. 3 § 1 fa invece riferimento alle sole navi, senza altra specificazione, mentre al successivo § 4 definisce le esclusioni indicando «i pescherecci, le navi da guerra, (…) le navi di Stato usate per scopi non commerciali e le imbarcazioni da diporto che non si dedicano ad operazioni commerciali». Il dubbio riguarda quindi la possibilità di interpretare l’art. 3 § 1 della direttiva come se comprendesse implicitamente il riferimento all’impiego commerciale della nave, che secondo il giudice del rinvio potrebbe comunque essere desunto in via sistematica dal contesto generale definito dai considerando e dalla funzione sussidiaria che la direttiva assegna al controllo dello Stato di approdo rispetto ai poteri di certificazione e controllo dello Stato di bandiera. Il giudice ritiene quindi che la normativa interna di attuazione interpreterebbe meglio della direttiva stessa lo spirito della normativa dell’Unione Europea in materia di Port State Control, e che le navi impegnate sistematicamente in operazioni di soccorso, al di là della loro classificazione formale, non dovrebbero essere sottoposte a controllo dall’autorità dello Stato di approdo, perché non impegnate in operazioni commerciali;

b) se la circostanza rappresentata dal fatto di aver trasportato un numero di persone significativamente superiore a quello indicato nei certificati di sicurezza, anche se imbarcate in occasione di operazioni di soccorso, possa essere considerato come fattore di priorità assoluta o come fattore imprevisto, tale da giustificare il controllo.

Il giudice, al riguardo, ritiene che la circostanza potrebbe aver determinato una situazione di pericolo, come tale apprezzabile dall’autorità marittima, integrando pertanto una delle fattispecie che determinano la sussistenza di un fattore imprevisto;

c) se il potere di controllo esercitabile in occasione di un’ispezione più dettagliata possa estendersi fino a valutare l’effettivo impiego della nave, o se debba arrestarsi alla verifica della corrispondenza dello stato di navigabilità con quanto attestato dai certificati statutari.

Il giudice, sul punto, dopo una ricostruzione analitica dei poteri di controllo previsti dalla direttiva 2009/16/CE, dal d.lgs. n. 53/2011 e dalla normativa internazionale di riferimento conclude – in un modo che evidenzia la difficoltà di trovare una lettura di sintesi convincente[16] – che il controllo dovrebbe limitarsi alla verifica della conformità a quanto attestato dai certificati statutari; riconosce tuttavia che tale interpretazione aprirebbe la strada a possibili abusi, perché la classificazione della nave potrebbe essere usata come copertura per ottenere certificazioni formalmente corrette, ma non corrispondenti ai requisiti richiesti per l’attività effettivamente esercitata; conclude che l’eventuale conseguente riconoscimento di un potere di controllo così incisivo dovrebbe comunque essere escluso nel caso di navi impiegate in operazioni di soccorso, in considerazione della finalità in concreto perseguita, diretta a salvaguardare la vita di chi si trova in pericolo in mare e della circostanza che le convenzioni internazionali, in occasione di interventi di salvataggio, consentono di derogare ai requisiti richiesti;

d) se un potere di controllo esteso alla verifica dell’effettivo impiego della nave e dell’adeguatezza delle certificazioni statutarie possedute rispetto a tale impiego si possa fondare sull’Articolo I § b) della Convenzione internazionale sulla sicurezza della vita in mare (SOLAS 1974) con la quale gli Stati contraenti «si impegnano a emanare tutte le leggi, tutti i decreti, ordini e regolamenti e a prendere tutte le altre disposizioni necessarie per dare alla Convenzione la sua piena e intera applicazione, al fine di garantire che, dal punto di vista della sicurezza della vita umana, una nave sia idonea al servizio al quale è destinata»[17].

In particolare, il giudice del rinvio si interroga sulla possibilità che i poteri di controllo da parte dello Stato di approdo siano esercitati in modo funzionale a verificare il rispetto dell’impegno di garantire che la nave sia idonea al servizio al quale è destinata, e in tal caso se la destinazione al servizio debba essere intesa in senso astratto (ossia quale risulta dal certificato di classe della nave) o in senso concreto (ossia con riferimento all’impiego effettivo della nave). Anche su questo punto la linea interpretativa suggerita segue la sequenza individuata nel quesito precedente[18];

e) se l’autorità dello Stato di approdo possa, in sede di controllo e con specifico riferimento a una nave impiegata in operazioni di soccorso, richiedere il possesso di requisiti tecnici e di sicurezza ulteriori rispetto a quelli relativi al trasporto generico di merci; se tale richiesta possa essere effettuata solo in presenza di un quadro giuridico nazionale, relativo all’Unione Europea o internazionale che definisca in modo chiaro il servizio di soccorso in mare e i requisiti tecnici e di sicurezza delle navi destinate a svolgerlo; se (in caso negativo) la richiesta si possa fondare sulla normativa nazionale dello Stato di bandiera o dello Stato di approdo; se (in caso positivo) lo Stato di approdo sia tenuto a indicare puntualmente i requisiti da soddisfare in base alla normativa nazionale applicabile; se in mancanza di una normativa nazionale specifica i requisiti possano essere individuati dall’autorità marittima incaricata del controllo; se, infine, in mancanza di una normativa nazionale specifica dello Stato di bandiera l’impiego in operazioni di soccorso debba ritenersi autorizzato sulla base delle certificazioni possedute dalla nave.

A fronte di tale articolata questione, il giudice del rinvio ritiene tuttavia che in mancanza di una normativa internazionale o dell’Unione Europea di riferimento applicabile (della quale si esclude l’esistenza) da un lato l’attività di soccorso svolta anche in modo non occasionale con una nave classificata per servizi diversi non potrebbe essere considerata elusiva di alcuna disposizione, e dall’altro non sarebbe consentito allo Stato d’approdo di richiedere il rispetto di requisiti diversi da quelli stabiliti dalla normativa dello Stato di bandiera.

La ricostruzione definisce quindi un quadro complessivo orientato all’accoglimento del ricorso: sia (e in una prospettiva che rende le altre questioni irrilevanti) perché il potere di controllo dello Stato di approdo non riguarderebbe le navi non impiegate per scopi commerciali[19]; sia perché i poteri di controllo non potrebbero estendersi oltre la verifica delle condizioni di navigabilità rispetto a quanto risulta dai certificati statutari; sia perché, anche volendo ammettere poteri più incisivi, alle navi impiegate in operazioni di soccorso dovrebbero essere applicate le deroghe previste dalle convenzioni internazionali; sia perché mancherebbe un quadro giuridico che definisce in modo chiaro il servizio di soccorso in mare e i requisiti tecnici e di sicurezza delle navi destinate a svolgerlo e ai quali, conseguentemente, sarebbe richiesto di conformarsi.

Dopo una prima decisione interlocutoria, assunta contestualmente al rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione Europea e presa nell’eventualità di una definizione delle questioni pregiudiziali con procedimento accelerato[20], il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha infatti accolto l’istanza cautelare e sospeso gli effetti dei provvedimenti di fermo impugnati[21].

 

3. Le altre questioni rilevanti

 

Le questioni che emergono dalla vicenda meritano di essere approfondite per diversi ordini di ragioni.

Innanzi tutto le ordinanze di rinvio e le successive che sospendono i provvedimenti impugnati seguono un’impostazione che contrappone i poteri di certificazione e controllo dello Stato di bandiera ai poteri di ispezione dello Stato di approdo, e circoscrive il contesto normativo di riferimento alle sole fonti nazionali, dell’Unione Europea e internazionali. Resta invece in secondo piano il ruolo svolto dalle società di classificazione e dai relativi regolamenti tecnici, sia per quanto riguarda la funzione esercitata da tali società relativamente alle attività che non riguardano l’adempimento di compiti statutari, ovvero le certificazioni rilasciate in sostituzione dello Stato di bandiera, sia per quanto riguarda il rilievo che i regolamenti tecnici delle società di classificazione assumono nel contesto normativo delineato dalle convenzioni internazionali (e in particolare della Convenzione SOLAS del 1974).

In secondo luogo la vicenda evidenzia un contrasto di fondo che probabilmente va oltre la semplice interpretazione del quadro giuridico relativo alla sicurezza della navigazione. Si tratta di un aspetto che non emerge direttamente dalle ordinanze di rinvio, in quanto non rilevante per la decisione, ma che denota una radicale diversità di approccio tra i soggetti istituzionali coinvolti e le organizzazioni non governative. Una divergenza rispetto alla quale non è facile trovare una composizione.

Su queste basi è possibile sviluppare una riflessione che considera tre diverse prospettive:

i) il fondamento e la disciplina del potere di controllo dello Stato di approdo e la possibilità di sottoporre a controllo navi impegnate in operazioni di soccorso in mare;

ii) la rilevanza della funzione delle società di classificazione e dei relativi regolamenti tecnici;

iii) la possibilità di individuare uno spazio di azione per l’attività delle organizzazioni non governative impegnate nei soccorsi in mare che trovi fondamento o copertura diretta nelle fonti internazionali.

 

4. La disciplina dei poteri di controllo dello Stato di approdo e il quadro giurisprudenziale

 

Il controllo dello Stato di approdo attualmente disciplinato dalla direttiva 2009/16/CE e dal d.lgs. n. 53/2011 trova il proprio fondamento nelle regole della Convenzione SOLAS del 1974 e negli ulteriori accordi che ne sono seguiti.

La Convenzione SOLAS 1974 ha lo scopo di promuovere la sicurezza dei trasporti marittimi attraverso un sistema di regole e principi comune che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare. Il testo attuale costituisce il punto d’arrivo di un percorso iniziato nel 1914[22], e tuttora in evoluzione, soprattutto per quanto riguarda la definizione dei contenuti tecnici e dei requisiti di sicurezza[23].

L’obiettivo è perseguito innanzi tutto con l’impegno fondamentale assunto da tutti gli Stati contraenti di rispettare le disposizioni della convenzione e di assumere tutte le disposizioni necessarie ad assicurarne la piena applicazione per garantire che, dal punto di vista della sicurezza della vita umana, una nave sia idonea al servizio al quale è destinata[24].

In concreto, la convenzione stabilisce che il dovere di garantire la sicurezza delle navi ammesse alla navigazione internazionale spetta in primo luogo allo Stato di bandiera. Lo Stato di bandiera vi provvede svolgendo le verifiche preliminari e gli accertamenti periodici successivi rispetto al possesso di determinati standard di sicurezza strutturale, funzionalità dell’equipaggiamento e preparazione del personale di bordo[25].

La conformità della nave agli standard richiesti è quindi attestata attraverso il rilascio di specifici certificati[26], la cui validità è confermata all’esito positivo delle visite di controllo svolte secondo la periodicità prescritta[27].

Il sistema di certificazione si fonda a sua volta sul principio del mutuo riconoscimento: ai certificati rilasciati da uno Stato di bandiera – o a suo nome – a una nave deve essere riconosciuto dagli altri Stati contraenti lo stesso valore dei propri certificati[28].

A fronte degli obblighi e dei poteri dello Stato di bandiera relativi alla certificazione delle navi, allo Stato di approdo è attribuito un potere di controllo di regola circoscritto all’esistenza a bordo e alla validità dei certificati previsti. Il controllo può andare oltre l’aspetto formale solo se vi siano fondate ragioni di ritenere che lo stato di navigabilità non corrisponda a quello certificato[29]. In tali casi lo Stato di approdo ha il dovere (e il potere) di impedire che la nave possa ripartire prima che vengano rimosse le cause di pericolo per i passeggeri o l’equipaggio.

Su questo sistema di base si sono successivamente aggiunti altri impegni e disposizioni specifiche.

Le ragioni dell’evoluzione sono diverse e legate a diverse esigenze: da un lato il sistema definito dalla Convenzione SOLAS del 1974 ponendo a carico dello Stato di bandiera la responsabilità dei controlli sulle proprie navi comportava un corrispondente onere relativo ai costi e all’organizzazione del servizio, soprattutto per quanto riguarda le ispezioni periodiche previste per mantenere la validità dei certificati; in secondo luogo tale sistema esponeva al rischio legato alla diversa diligenza con cui gli Stati di bandiera adempivano ai propri obblighi di controllo, un rischio solo in parte compensato dalla previsione dei poteri di controllo dello Stato di approdo, dal momento che nel sistema della Convenzione si tratta di un potere il cui esercizio è subordinato a una scelta discrezionale dell’autorità marittima.

Su queste basi, anche su impulso dell’Organizzazione Marittima Internazionale, è stata promossa l’istituzione di organizzazioni per l’esercizio del potere di controllo dello Stato di approdo costituite con l’accordo delle autorità amministrative marittime degli Stati coinvolti e destinate a operare nell’ambito dell’area geografica interessata[30].

Nell’ambito della Seconda conferenza regionale sulla sicurezza marittima tenutasi a Parigi nel gennaio del 1982 è stato quindi sottoscritto dalle autorità marittime di quattordici Paesi il Memorandum of Understanding on Port State Control, destinato a entrare in vigore il 1° luglio 1982 e relativo all’area dell’Europa e dell’Atlantico del Nord, noto come Paris MoU 1982[31].

L’accordo si fonda su un sistema di condivisione delle operazioni relative ai controlli e alle visite periodiche. Ferma restando la responsabilità dello Stato di bandiera per l’ispezione iniziale e il rilascio dei certificati statutari, le autorità marittime partecipanti all’accordo si sono impegnate a garantire un numero minimo di ispezioni all’anno, calcolate in percentuale sul traffico marittimo e secondo precisi criteri di selezione in base ai quali vengono individuate le navi che presentano maggiori rischi per la sicurezza.

Di conseguenza, il controllo diffuso e a rotazione delle navi nei porti d’approdo è diventato a sua volta una regola; all’esito di tali ispezioni vengono inoltre associate specifiche conseguenze restrittive della possibilità di navigare e viene connessa la possibilità da parte degli Stati di negare l’approdo nei propri porti. I provvedimenti restrittivi decisi all’esito dei controlli, inoltre, contribuiscono a formare una graduatoria di affidabilità relativa agli Stati di bandiera e al livello di rischio delle singole navi.

In questo modo si è voluto creare un circolo virtuoso che da un lato ha l’obiettivo di allontanare progressivamente dalla navigazione nelle acque degli Stati aderenti le navi che risultano non conformi agli standard richiesti e dall’altro di promuovere l’attività di controllo degli Stati di bandiera.

In questo contesto, l’attività di ispezione dello Stato di approdo è pertanto una eventualità non solo espressamente prevista ma, entro certi limiti, dovuta. Si tratta comunque di un’attività che non può essere esercitata in modo da risultare penalizzante e discriminatoria, e a questo fine vengono stabilite regole precise da seguire per stabilire quali navi sono ispezionabili e, tra queste, per la selezione delle navi da sottoporre all’ispezione e quale livello di ispezione possa essere effettuato.

Un’ulteriore e significativa evoluzione si è avuta con l’approvazione di specifiche disposizioni di diritto dell’Unione Europea relative alla materia della sicurezza della navigazione e ai poteri di controllo dello Stato di approdo. Il primo intervento organico si è avuto con la direttiva del Consiglio del 19 giugno 1995 n. 95/21/CE[32]. Tale disciplina ha sostanzialmente fatto proprio il sistema di controllo definito dal Paris MoU 1982, conferendo al sistema stesso la forza vincolante propria delle fonti del diritto dell’Unione Europea e superando in questo modo – almeno per gli Stati membri dell’Unione Europea – i limiti operativi legati alla natura giuridica del Memorandum, considerato come uno strumento di soft law privo della forza obbligatoria delle convenzioni internazionali[33].

Tale base normativa nel corso del tempo è stata oggetto di modifiche e integrazioni[34], per poi essere sostituita dalla direttiva 2009/16/CE, entrata in vigore il 1° gennaio 2011.

Anche il sistema di regole definito dalla direttiva attualmente in vigore presenta evidenti corrispondenze con le disposizioni del Paris MoU 1982, nel testo risultante dalle modifiche successivamente introdotte[35], tanto da poter ritenere i due sistemi integrati[36]: la direttiva stabilisce i principi e la disciplina essenziale del sistema di controllo, mentre il Paris MoU 1982 fornisce gli strumenti tecnici di applicazione[37]. Attualmente, infatti, è condiviso il sistema di gestione delle informazioni e di selezione delle navi da ispezionare (THETIS: Hybrid European Targeting and Information System[38]), gestito dall’Agenzia Europea per la sicurezza marittima (EMSA).

L’aspetto maggiormente caratterizzante della direttiva è rappresentato dalla disciplina delle ispezioni e dei criteri di selezione delle navi.

Il regime di ispezione si distingue tra ispezioni periodiche, che seguono una frequenza temporale variabile in funzione del profilo di rischio della nave (definito da una combinazione di parametri: età, utilizzo, Stato di bandiera) e ispezioni supplementari, che sono invece determinate da eventi specifici, a loro volta distinti tra fattori di priorità assoluta (overriding factors)[39] e fattori imprevisti (unexpected factors)[40]. L’autorità dello Stato d’approdo individua quindi le navi da sottoporre a ispezione sulla base dell’ordine di priorità, garantendo l’ispezione per le navi di priorità I e decidendo discrezionalmente se procedere per le navi di priorità II.

I criteri per selezionare le navi da sottoporre a ispezione sono quindi articolati in due ordini di previsioni: quelle che riguardano i presupposti perché una nave debba essere sottoposta a ispezione[41] e quelli che riguardano la scelta tra le navi ispezionabili[42]. I presupposti dipendono o da criteri temporali (a loro volta variabili in funzione della classe di rischio), per le ispezioni periodiche, o da altri fattori (fattori di priorità assoluta e fattori imprevisti), per le ispezioni supplementari, che sono svolte indipendentemente dagli intervalli temporali trascorsi dall’ultima ispezione. La disposizione definisce quindi i presupposti in mancanza dei quali la nave non è ispezionabile: va tenuto presente, infatti, che il sistema si basa su criteri condivisi e applicati in modo funzionale a garantire i risultati perseguiti dalla direttiva. Un’ispezione non conforme a questi criteri è priva di presupposto legale e non è funzionale al sistema.

I criteri di scelta delle navi distinguono tra ispezioni obbligatorie (priorità I) e facoltative (priorità II), in base al livello di rischio della singola nave definito sulla base di parametri combinati e gestiti attraverso il sistema THETIS. Il fatto che l’ispezione per le navi di priorità II non sia obbligatoria non rende di per sé irragionevole la scelta di sottoporre a ispezione una nave, perché la scelta può essere considerata ampiamente discrezionale: l’obiettivo della direttiva, soddisfatti i presupposti stabiliti dall’articolo 11, è quello di garantire un numero minimo di ispezioni, privilegiando le navi con un livello di rischio più alto. Se ne vengono svolte in numero maggiore, si tratta comunque di un risultato conforme agli obiettivi della direttiva.

Il tipo di ispezione si distingue in ispezione iniziale (initial)[43], che è limitata al controllo dei documenti e delle certificazioni che devono essere tenute a bordo e a una verifica delle condizioni generali della nave, ispezione più dettagliata (more detailed)[44], che comprende una verifica più approfondita della conformità ai requisiti operativi, e ispezione estesa (expanded)[45], riservata alle navi con un profilo di rischio elevato, alle navi sottoposte a nuove ispezioni in conseguenza di un provvedimento di rifiuto di accesso al porto e alle navi passeggeri, petroliere, navi gasiere, chimichiere o portarinfusa di età superiore a dodici anni. L’ispezione estesa comprende anche alcune verifiche alle parti strutturali, secondo i criteri definiti dall’Allegato VII della direttiva 2009/16/CE, dal Regolamento (UE) n. 428/2010 della Commissione, del 20 maggio 2010, e dall’Allegato IX § 7 del Paris MoU 1982. Le navi che possono essere oggetto di un’ispezione estesa sono tenute a notificare preventivamente all’autorità marittima il proprio arrivo[46].

L’estensione dell’ispezione oltre il livello iniziale è deciso se vi sono «fondati motivi che le condizioni della nave, delle relative dotazioni o dell’equipaggio sostanzialmente non soddisfino i pertinenti requisiti di una convenzione»; la sussistenza dei fondati motivi è rimessa ancora una volta al giudizio professionale dell’ispettore[47], che pur orientato da un’indicazione esemplificativa[48] si esprime sulla base di una tipica valutazione tecnica.

Si tenga presente che nel caso di controllo fondato sull’esistenza di fattori di priorità assoluta o fattori imprevisti sono previste regole particolari: ai fattori di priorità assoluta è associata la priorità I, quindi l’ispezione è sempre obbligatoria; i fattori imprevisti determinano un ordine di priorità II, quindi l’ispezione è facoltativa. In entrambi i casi l’ispezione dovrà essere condotta come ispezione più dettagliata, con possibilità di procedere a un’ispezione estesa, secondo il giudizio professionale dell’ispettore, nel caso di navi passeggeri, petroliere, navi gasiere, chimichiere o portarinfusa di età superiore a dodici anni[49].

Al termine dell’ispezione viene redatto un rapporto, predisposto secondo il modello definito dal Paris MoU 1982[50] che deve essere consegnato in copia al comandante della nave.

L’esito dell’ispezione può evidenziare carenze che, in funzione della tipologia e (anche in questo caso) sulla base di un giudizio professionale dell’ispettore orientato dalle indicazioni esemplificative allegate alla direttiva, o dovranno essere corrette in un secondo momento, senza pregiudizio per la continuazione della navigazione, o determinano il fermo della nave[51].

I risultati dell’ispezione vengono quindi inseriti nel sistema, e contribuiscono a determinare il livello di rischio della nave e dello Stato di bandiera. La conseguenza di provvedimenti di fermo successivi disposti nei confronti della stessa nave è il rifiuto di accesso ai porti degli Stati parte dell’Unione Europea, dapprima temporaneo e, alle condizioni previste dall’Articolo 16 §§ 3 e 4 della direttiva 2009/16/CE, permanente.

Contro i provvedimenti di fermo e di rifiuto d’accesso, infine, è prevista la possibilità di proporre ricorso[52][53] ed è riconosciuto il diritto a un indennizzo per le perdite e i danni subiti in conseguenza di un fermo illegittimamente disposto[54].

Come già accennato, la disciplina dell’Unione Europea è stata attuata dal d.lgs. 53/2011 senza differenze significative[55].

La disciplina relativa ai poteri di controllo dello Stato di approdo è stata oggetto di numerosi approfondimenti, condotti secondo prospettive differenti: l’attenzione delle analisi svolte da un punto di vista giuridico ha riguardato soprattutto la descrizione teorica del sistema e del suo sviluppo, con particolare riguardo alla sovrapposizione tra le fonti internazionali e di diritto dell’Unione Europea[56]; altre prospettive d’analisi hanno invece condotto valutazioni maggiormente orientate al lato operativo e alle analisi statistiche finalizzate a valutare il grado di efficacia del sistema[57].

Sul piano applicativo, tuttavia, il sistema ha determinato un contenzioso apparentemente limitato e i precedenti giurisprudenziali in materia sono poco numerosi.

La ricostruzione più compiuta offerta dalla giurisprudenza si trova in una sentenza che ha affrontato la questione relativa ai poteri di controllo dello Stato di approdo in via incidentale: l’oggetto del ricorso riguardava infatti il diritto di accesso ai documenti amministrativi previsto dall’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che nel caso specifico era stato esercitato con riguardo ai documenti relativi a dati tecnici, calcoli e disegni connessi all’attività di certificazione di una nave svolta da una società di classificazione per conto dello Stato di bandiera[58]. Il sistema definito dalle convenzioni internazionali e dalla disciplina del diritto dell’Unione Europea è descritto come funzionale a garantire il bilanciamento tra i contrapposti interessi degli Stati di bandiera e degli Stati costieri: i primi interessati a sviluppare senza ostacoli le attività connesse al trasporto navale; i secondi attenti a che i traffici vengano svolti in condizioni di sicurezza per l’ambiente e le comunità costiere. Il compromesso si ritiene raggiunto attraverso il già descritto equilibrio tra il potere di certificazione riconosciuto agli Stati di bandiera, correlato al dovere di garantire la sicurezza delle proprie navi, e il dovere di mutuo riconoscimento della validità dei certificati combinato al potere di controllo attribuito agli Stati di approdo, potere che sarebbe attribuito anche a tutela «di interessi diffusi di carattere generale, non sempre adeguatamente salvaguardati dagli Stati di appartenenza della nave», come nel caso del personale imbarcato e delle persone trasportate[59]: un potere ritenuto quindi complementare al potere di certificazione e di controllo che spetta allo Stato di bandiera, ma non sussidiario o subordinato a questo.

I precedenti che hanno riguardato ricorsi proposti contro il provvedimento di fermo, invece, non hanno mai affrontato la questione relativa alla sussistenza in concreto e all’estensione dei poteri di controllo, limitandosi a qualificare il tipo di potere esercitato dagli ispettori dell’autorità marittima e i limiti entro cui ne possono essere sindacate le decisioni, in particolar modo per quanto riguarda la valutazione dei presupposti per disporre il fermo della nave. Come accennato, il giudice si richiama alla nozione di valutazione tecnico discrezionale dell’amministrazione, che ritiene sottratta al sindacato in sede giurisdizionale «al di fuori dei casi di palese difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza o di travisamento dei fatti»[60]. La giurisprudenza sembra quindi orientata a un approccio molto conservativo, evidenziando ancora una volta come al di là delle posizioni raggiunte rispetto ad alcuni specifici ambiti di materie – e in particolar modo quando il sindacato riguardi gli atti assunti dalle autorità amministrative indipendenti[61] – vi sia una linea di continuità con l’indirizzo interpretativo tradizionale, poco incline a superare i limiti di un sindacato di tipo debole, se non estrinseco[62].

 

5. Poteri di controllo dello Stato di approdo e interventi di soccorso in mare

 

Nel caso specifico la questione relativa al potere di valutazione esercitato dagli ispettori non ha tuttavia una rilevanza decisiva, perché l’aspetto centrale riguarda piuttosto i due aspetti già evidenziati: in primo luogo la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri di controllo e in secondo luogo l’oggetto del controllo stesso e la possibilità di estenderlo all’accertamento del servizio effettivamente svolto dalle navi.

Il primo punto si articola a sua volta in due ordini di valutazioni:

a) se la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/16/CE e del d.lgs. n. 53/2011;

b) se i poteri di controllo possano essere esercitati su navi il cui approdo sia conseguenza del coinvolgimento in operazioni di soccorso.

Al riguardo, non sembrano esserci dubbi sul fatto che tutte le navi che rientrano nella definizione dell’art. 2, n. 5) della direttiva 2009/16/CE e non sono comprese nelle eccezioni stabilite dall’art. 3 § 4 sono soggette al potere di controllo dello Stato di approdo indipendentemente dal loro impiego effettivo in traffici commerciali.

La diversa lettura che, valorizzando la formulazione letterale dell’art. 3, c. 1 d.lgs. n. 53/2011, riferisce tali poteri alle sole navi utilizzate a fini commerciali, escludendo quindi i mezzi impegnati in operazioni di soccorso condotte a scopi umanitari, sembra infatti supportata da argomenti che perdono consistenza se confrontati con il quadro sistematico e con il percorso che ha condotto all’attuale formulazione della norma in questione: da un lato l’ambito di applicazione definito dalla direttiva (con il riferimento alle navi e l’eccezione per i pescherecci, le navi da guerra, le navi di Stato usate per scopi non commerciali e le imbarcazioni da diporto che non si dedicano ad operazioni commerciali) corrisponde al quadro individuato delle convenzioni internazionali di riferimento[63]; dall’altro lato va tenuto conto del fatto che il testo originario dell’art. 3 c. 1 d.lgs. n. 53/2011 non differiva in modo significativo dal testo della direttiva. Il testo attuale della norma risulta infatti dalle modifiche introdotte dall’art. 56 c. 1 lett. b) d.lgs. 3 novembre 2017, n. 229[64], che ha aggiunto la precisazione «e alle unità da diporto utilizzate a fini commerciali». In questo senso la precisazione appare speculare all’eccezione prevista per le «unità da diporto non adibite a traffici commerciali» prevista dall’art. 3 c. 5 d.lgs. 53/2011, e conseguentemente limitata a quel tipo di imbarcazioni. In sostanza, l’utilizzazione a fini commerciali come presupposto di applicazione dei poteri di controllo dello Stato di approdo dovrebbe essere riferita solo alle imbarcazioni da diporto, che in caso contrario ne sono invece escluse. Quanto alla possibilità di qualificare come imbarcazioni da diporto le navi impiegate in operazioni di soccorso per scopi umanitari, infine, si tratta di una prospettiva che non è compatibile con la definizione dell’art. 1, c. 2 d.lgs. 18 luglio 2005, n. 171, che qualifica la navigazione da diporto (senza fini commerciali) come «quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro»[65].

Rispetto alla possibilità che lo scalo di una nave dovuto al coinvolgimento in operazioni di soccorso interferisca con i poteri di controllo dello Stato di approdo la prospettiva è più articolata.

Le norme che definiscono l’ambito di applicazione della direttiva 2009/16/CE e del d.lgs. 53/2011 non prevendono esclusioni al riguardo. In particolare, la direttiva 2009/16/CE fa un riferimento indiretto alla situazione all’articolo 21 § 6, nella parte in cui consente di permettere l’approdo anche in presenza di condizioni che imporrebbero di rifiutarlo (articolo 21 § 4). Non vi è invece alcun riferimento al potere di ispezione. La conclusione più lineare è quindi che tale potere permanga anche in caso di approdo dovuto a una causa di forza maggiore.

Ponendo la questione in una logica sistematica possono emergere argomenti che evidenziano una potenziale irragionevolezza della previsione (o della decisione di esercitare) i poteri di controllo: da un lato, infatti, l’articolo 8 autorizza lo Stato d’approdo a non svolgere l’ispezione (anche se teoricamente dovuta in base alle regole che definiscono i criteri per individuare le navi da sottoporre a controllo) nel caso che la sosta sia troppo breve, e l’eventualità di una sosta breve dovrebbe essere la regola nel caso di operazioni di sbarco o trasferimento di naufraghi, considerato che l’intervento di soccorso ha già imposto alla nave la deviazione dalla rotta e un ritardo (con conseguenti costi economici) rispetto ai tempi di viaggio previsti; in secondo luogo i costi dell’ispezione e dell’eventuale permanenza, nel caso emergano irregolarità e sia disposto un fermo, sono previsti essere a carico dell’armatore o del proprietario della nave (articolo 28). In questo caso a tali costi si aggiungerebbero anche quelli relativi al ritardo nel compimento del viaggio secondo la rotta originaria. Il rischio connesso a un fermo intermedio e imprevisto, quindi, potrebbe disincentivare gli interventi di soccorso, per quanto obbligatori. Dal punto di vista della sicurezza della navigazione, inoltre, di regola non ci sarebbero conseguenze rilevanti nell’omettere l’ispezione, perché i controlli periodici resterebbero garantiti secondo la sequenza che sarebbe stata seguita in mancanza della deviazione dovuta al soccorso: dal momento che la direttiva 2009/16/CE non prevede il diritto di controllo dello Stato d’approdo come isolato e funzionale agli interessi del solo Stato d’approdo, ma lo inserisce in un sistema organico, nell’ambito del quale il controllo diventa anche oggetto di uno specifico dovere, funzionale all’interesse comune di garantire la sicurezza della navigazione, tale interesse comune non sarebbe compromesso dalla mancata ispezione delle navi approdate in conseguenza di operazioni di soccorso in mare: il controllo avverrebbe all’approdo successivo.

La prospettiva tuttavia può variare nel caso che l’ispezione sia conseguenza di un fattore di priorità assoluta o di un fattore imprevisto, perché in tali circostanze molto dipende dall’evento oggettivo che ha costituito il presupposto che ha reso la nave ispezionabile.

Anche il quadro normativo internazionale contiene alcune disposizioni rilevanti.

In particolare, la Convenzione SOLAS del 1974 fa riferimento all’eventualità di interventi di soccorso nell’Articolo IV, § b), in cui stabilisce che le persone trasportate per causa di forza maggiore o in conseguenza dell’obbligo imposto al comandante di trasportare naufraghi o altre persone non debbano essere computate ai fini dell’applicazione di una qualsiasi disposizione della Convenzione stessa. Questa disposizione sembra effettivamente presupporre la permanenza di un potere di ispezione, perché in caso contrario la precisazione non sarebbe necessaria.

Un ulteriore riferimento si trova anche al successivo Articolo V, § b), che conferma il diritto di controllo degli Stati d’approdo anche nel caso di autorizzazione al trasporto di un numero di persone superiore a quello normalmente previsto. La situazione presenta alcune differenze con la fattispecie presa in considerazione dall’articolo precedente, perché mentre nelle ipotesi previste dall’Articolo IV l’approdo è un evento accidentale e non voluto, nel secondo è un evento previsto, pur nell’ambito di un trasporto autorizzato a essere svolto in condizioni eccezionali. Anche in questo caso la norma sembra confermare che i trasporti in condizioni di emergenza non privano gli Stati del diritto di ispezione[66].

Il contesto sistematico sembra in definitiva confermare la permanenza del potere di ispezione anche nel caso che l’approdo sia conseguenza di un soccorso.

Rispetto al caso specifico, al di là della configurabilità in astratto del potere di controllo si pone l’ulteriore questione relativa alla sussistenza in concreto delle condizioni per procedere all’ispezione. Il punto – ben evidenziato anche nelle ordinanze di rinvio – riguarda essenzialmente la possibilità di individuare un fattore di priorità assoluta o un fattore imprevisto negli eventi che hanno condotto all’approdo.

Al riguardo va considerato che i presupposti per le ispezioni supplementari, in quanto derogatori rispetto alla regola di base che segue il criterio della frequenza temporale, dovrebbero essere tassativi. Tra questi evidentemente non rientra l’aver compiuto operazioni di soccorso in mare.

La sequenza dei fatti può tuttavia essere inserita in un contesto più ampio, e in tale prospettiva un riferimento rilevante può essere individuato nell’eventualità che la nave sia stata gestita «in modo da costituire un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente»[67].

La formulazione della norma rinvia a un concetto giuridico indeterminato, che come tale deve essere necessariamente oggetto di interpretazione in relazione alle circostanze specifiche[68].

È però dubbio che la situazione di pericolo possa essere ricondotta al numero eccessivo delle persone salvate rispetto alle condizioni dell’imbarcazione[69]. È vero infatti che – come rilevato anche dalle ordinanze di rinvio – le convenzioni internazionali impongono il dovere di soccorso nei limiti in cui non costituisca un pericolo per la nave o le persone a bordo[70]. Ma, contestualmente, da un lato è riconosciuto al comandante della nave un potere di autonoma valutazione della situazione, che almeno al momento in cui viene assunta non ammette interferenze[71]; dall’altro resta la previsione generale dell’Articolo IV, § b), che è esplicito nell’escludere che delle persone tratte a bordo nell’ambito di un intervento di soccorso si possa tenere conto «ai fini dell’applicazione di una qualsiasi disposizione della Convenzione». L’esenzione ha una portata ampia e una formulazione che non ha margini di ambiguità. Se anche la condizione per l’ispezione supplementare rappresentata dalla gestione della nave in modo da costituire un pericolo è formalmente prevista dalla normativa dell’Unione Europea relativa alle procedure di controllo dello Stato di approdo (e dal Paris MoU 1982) e non dalla Convenzione SOLAS 1974, tali poteri di controllo trovano la propria base nella Convenzione stessa e sono funzionali agli obiettivi in termini di sicurezza della navigazione da essa perseguiti. Di conseguenza, è ragionevole ritenere l’esenzione pertinente anche nell’ambito di tali strumenti.

Questa conclusione appare coerente anche dal punto di vista sistematico: in questa prospettiva, infatti, il riferimento alla situazione di pericolo per la nave come limite al dovere di prestare soccorso si può agevolmente spiegare come parametro funzionale a valutare a posteriori la legittimità della scelta del comandante che abbia rifiutato il soccorso, cui potrebbe essere contestata l’omissione. Oppure, in una situazione speculare, a valutarne la responsabilità nel caso che al soccorso sia seguito un incidente alla nave o alle persone imbarcate potenzialmente collegabile alle condizioni e alle circostanze nelle quali si è compiuto l’intervento. Al contrario, il controllo esercitato dallo Stato di approdo persegue obiettivi diversi, che riguardano la sicurezza strutturale e l’adeguatezza dell’equipaggiamento della nave rispetto alle condizioni certificate: non vi sarebbe quindi alcuna correlazione tra l’evento che ha determinato l’ispezione supplementare (la decisione del comandante di prestare soccorso a un numero di persone notevolmente superiore a quelle che possono essere normalmente imbarcate) – senza che ciò abbia compromesso il buon esito del soccorso – e l’oggetto del controllo e dell’eventuale provvedimento di fermo, che non sarebbe comunque dovuto alla condotta tenuta in occasione del singolo intervento di soccorso, ma ad altro, essenzialmente riconducibile alle condizioni della nave. Conseguentemente l’aver eventualmente agito in modo pericoloso resterebbe in ogni caso un fatto privo di sanzione: sia perché la condotta non ha provocato alcun danno, sia perché non è la condotta in sé che può determinare provvedimenti restrittivi all’esito dell’ispezione.

La valutazione può invece essere differente se la situazione di pericolo non viene correlata al numero di persone imbarcate in occasione dell’intervento di soccorso, ma al fatto che il soccorso non sia un caso isolato, ma corrisponda all’impiego abituale della nave pur in presenza di certificazioni rilasciate – come nel caso specifico – per un generico servizio di trasporto di merci. In questa logica la gestione della nave costituirebbe un pericolo perché sarebbe impropria, in quanto si porrebbe al di fuori del perimetro definito dal certificato che classifica la nave stessa[72].

Questa chiave di lettura sembra trovare riscontro – sempre nei limiti della motivazione resa attraverso lo schema previsto dal Paris MoU 1982 – nelle note che accompagnano il provvedimento di fermo[73]. Si tenga presente che l’impiego della nave per un servizio diverso rispetto a quello per il quale è stata classificata, come già ricordato, è stata anche la ragione che ha portato a contestare l’adeguatezza rispetto allo stato effettivo della nave dei certificati statutari relativi al sistema di raccolta e trattamento delle acque reflue (ISSE) e alle dotazioni di sicurezza a bordo (CSPP). Si tratta però di due momenti di valutazione distinti: il primo, relativo all’accertamento della sussistenza di un presupposto per procedere a un’ispezione supplementare; il secondo, relativo all’ambito delle verifiche che possono essere compiute nel corso dell’ispezione stessa. La rilevanza della circostanza può essere diversa nei due momenti.

In ogni caso, entrambe le prospettive implicano la necessità di considerare la funzione svolta dalle società di classificazione e la rilevanza del certificato di classe che viene attribuito alla nave al seguito dell’attività di controllo o supervisione svolta dalla società stessa. Questo tanto in termini generali, quanto rispetto all’ambito delle verifiche che possono essere condotte in sede di controllo dallo Stato di approdo.

Inoltre, comprendere nel contesto entro il quale inquadrare la vicenda anche il ruolo delle società di classificazione comporta a sua volta l’ampliamento del quadro normativo di riferimento ai regolamenti tecnici delle società stesse. Di conseguenza, l’esistenza di prescrizioni riguardanti le caratteristiche e le dotazioni delle navi impiegate in operazioni di soccorso deve essere valutata anche in questa prospettiva. Si tratta, come già ricordato, di un aspetto non considerato dalle ordinanze di rinvio, ma che può assumere una rilevanza significativa.

 

6. Le funzioni delle società di classificazione e la rilevanza dei relativi certificati

 

La funzione delle società (o registri) di classificazione si è evoluta nel corso del tempo, seguendo un percorso articolato che ha accompagnato la progressiva crescita dei trasporti navali e della loro importanza dal punto di vista economico.

Sorte con finalità esclusivamente privatistiche, legate essenzialmente a esigenze assicurative, le società di classificazione hanno ampliato le proprie funzioni comprendendo anche compiti tipicamente pubblicistici[74], fino a essere espressamente comprese, in alcuni casi, nell’organizzazione statale[75]. Nel 1968 le principali società di classificazione hanno costituito la International Association of Classification Societies (IACS), che attualmente comprende dodici membri[76] e alla quale nel 1969 sono state riconosciute funzioni consultive nell’ambito dell’IMO.

Ruolo e organizzazione delle società di classificazione hanno subito un’ulteriore importante evoluzione a partire dagli anni ’90 sia per interventi di riforma decisi a livello (allora) comunitario (ora dell’Unione Europea), sia per modifiche introdotte al contesto normativo internazionale.

Nell’Unione Europea il settore di attività delle società di classificazione è stato oggetto di un primo intervento normativo di armonizzazione con la direttiva del Consiglio 22 novembre 1994, n. 94/57/CE[77], cui sono seguiti la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 aprile 2009, n. 2009/15/CE e il Regolamento (CE) n. 391/09 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009.

La riforma è stata finalizzata a garantire la sicurezza e la qualificazione degli enti autorizzati a svolgere i servizi di classificazione e certificazione delle navi e ad aprire il settore alla concorrenza.

Attualmente il Regolamento (CE) n. 391/09 stabilisce i requisiti che gli enti di classificazione devono soddisfare per poter essere autorizzati a operare come organismi riconosciuti[78]. La direttiva n. 2009/15/CE disciplina invece i rapporti tra Stati membri e organismi riconosciuti[79], in particolare per quanto riguarda l’autorizzazione a svolgere l’attività di controllo e ispezione e l’affidamento delle funzioni relativ

Sigismondi Giammarco



Download:
2021_3 jus online - ESTRATTO SIGISMONDI.pdf
 

Array
(
    [acquista_oltre_giacenza] => 1
    [codice_fiscale_obbligatorio] => 1
    [coming_soon] => 0
    [disabilita_inserimento_ordini_backend] => 0
    [fattura_obbligatoria] => 1
    [fuori_servizio] => 0
    [has_login] => 1
    [has_messaggi_ordine] => 1
    [has_registrazione] => 1
    [homepage_genere] => 0
    [insert_partecipanti_corso] => 0
    [is_ordine_modificabile] => 1
    [libro_sospeso] => 0
    [moderazione_commenti] => 0
    [mostra_commenti_articoli] => 0
    [mostra_commenti_libri] => 0
    [multispedizione] => 0
    [pagamento_disattivo] => 0
    [reminder_carrello] => 0
    [sconto_tipologia_utente] => carrello
    [scontrino] => 0
    [seleziona_metodo_pagamento] => 1
    [seleziona_metodo_spedizione] => 1
)

Inserire il codice per attivare il servizio.