Normativa dell’Unione Europea e incidenza sulle regole processuali nazionali: note in tema di nozione di “oggetto della domanda” e litispendenza
Maria Luisa Serra
Professoressa associata di Diritto processuale civile,
Università degli Studi di Sassari
Normativa dell’Unione Europea e incidenza sulle regole processuali nazionali: note in tema di nozione di “oggetto della domanda” e litispendenza* **
English title: EU legislation and its impact on national procedural rules: remarks on the notion of “object of the claim” and of lis pendens.
DOI: 10.26350/18277942_000029
Sommario: 1. Considerazioni preliminari in tema di oggetto del processo e litispendenza. 2. La nozione di litispendenza nelle pronunce della Corte di Cassazione. 3. La litispendenza comunitaria nelle pronunce della Corte di Giustizia. 4. Il recepimento dell’orientamento della Corte di Giustizia nelle pronunce della Corte di Cassazione. 5. segue: nelle pronunce della Corte austriaca. 6. segue: della Corte tedesca. 7. Il superamento della concezione basata su criteri “formalistici” della nozione di identità di domande rilevante ai fini della litispendenza. 8. La nozione di identità di cause secondo la Corte di Giustizia: verso un concetto unitario di giudicato? 9. La centralità dei valori funzionali del processo nell’individuazione e delimitazione degli istituti processuali.
1. Considerazioni preliminari in tema di oggetto del processo e litispendenza
Per orientamento ormai consolidato “da quando il meccanismo di integrazione europea ha investito la materia della cooperazione giudiziaria civile (oltre che di quella penale), il fenomeno dell’incidenza della normazione e della giurisprudenza europea sulle legislazioni processuali nazionali ha assunto dimensioni sempre più rilevanti[1]”. Non è dato dubitare, pertanto, che la giurisprudenza europea abbia inciso anche sulla nozione di “oggetto del processo”, inteso quale specifico istituto processuale, che svolge le sue funzioni concrete nei confronti di tutti gli altri istituti quali, in estrema sintesi, il cumulo oggettivo di domande, la modificazione della domanda, la litispendenza e il giudicato materiale che si caratterizzano per il fatto di porre al loro fondamento il concetto dell’identità della domanda[2].
Risulta così superata anche l’idea che il tema dell’oggetto del processo – come un po’ troppo frettolosamente si è scritto[3] – sia tipica espressione del concettualismo, l’argomento prediletto della c.d. giurisprudenza dei concetti (Lieblingskind der Begriffsjurisprudenz)[4]. È innegabile, piuttosto, che il dibattito scientifico sviluppatosi intorno a tale tema, in un così lungo arco di tempo, proprio per la centralità della questione, si sia espresso nelle varie forme e con gli strumenti del pensiero che hanno caratterizzato la dottrina processualistica tutta nel suo sviluppo, e che questo avvenga ancor oggi.
In questa prospettiva si colloca un rinnovato interesse per la materia, suscitato dall’esame della giurisprudenza nazionale e comunitaria, specie per quanto riguarda i profili applicativi che di quel (ritenuto astratto) concetto costituiscono concreta esplicazione: si pensi da un lato alle questioni, tutt’altro che chiuse, in tema d’identità della domanda e, dall’altro, ai riflessi in punto di giudicato, di litispendenza, di continenza e, infine, di modifica della domanda, nella prospettiva di valutare se le soluzioni accolte nei differenti ordinamenti siano frutto di (o quanto meno consentano di proporre) una nozione comune di oggetto del processo. Di qui altresì la possibilità, in questa sede, di limitare l’attenzione al tema dell’oggetto del processo al solo riferimento alla disciplina dell’istituto della litispendenza e ai relativi effetti.
E’ conclusione condivisa nella dottrina italiana e in quella di lingua tedesca che l’oggetto del processo (Streitgegenstand) segni soprattutto quello che può definirsi il limes del processo, nel senso che tale nozione assolve un duplice compito.
All’interno del procedimento, l’oggetto del processo delimita l’ambito della controversia, fissando, di conseguenza, il confine del potere di istruzione e decisione del giudice; all’esterno del procedimento determina il limite della decisione in relazione ai processi futuri[5]. Di qui l’ulteriore precisazione per cui, all’interno del processo, il suo oggetto si identifica con l’oggetto della trattazione e della (potenziale) decisione della causa, nell’ambito del quale si inserisce il materiale dei fatti rilevante per la trattazione e decisione della stessa. Al contrario, ponendosi in un’ottica esterna al processo, l’oggetto dedotto nella causa fa sì che lo stesso non possa di nuovo (i.e., in un secondo e successivo giudizio) essere trattato e deciso. In altre parole l’oggetto individua i confini di ciò che può essere trattato e deciso solo una volta. Se dunque il divieto del “ne bis in idem” si impernia sulla nozione di oggetto così intesa, ne consegue che dalla sua concreta applicazione dipende la risoluzione dei problemi relativi all’identità della domanda[6].
In questa ottica può essere utile – attese le difficoltà applicative che derivano dalle differenti nozioni di identità della domanda – soffermare l’attenzione su uno specifico punto di osservazione, rappresentato dall’elaborazione giurisprudenziale del concetto di identità di oggetto del processo in funzione dell’applicazione dell’istituto della litispendenza nell’ambito del diritto interno, comunitario e internazionale.
L’interesse per tale profilo dell’indagine è accresciuto dalla diversità di soluzioni prospettate dalle Corti nazionali degli Stati presi in considerazione (in particolare, dalla Suprema Corte italiana, austriaca e tedesca), con particolare riferimento all’applicazione della disciplina della litispendenza di diritto interno e internazionale (extracomunitaria), al contrario di quanto si verifica in materia di applicazione della disciplina della litispendenza comunitaria, per la quale è dato riscontrare una sostanziale conformità di soluzioni.
L’analisi della giurisprudenza consente da un lato di riscontrare indicazioni utili per giungere ad una soluzione della questione in via generale e, dall’altro, di valutare l’influenza che, rispetto a tale soluzione, continuano ad avere le elaborazioni concettuali della dottrina al fine di individuare gli elementi qualificanti il concetto di identità della domanda e di oggetto del processo.
2. La nozione di litispendenza nelle pronunce della Corte di Cassazione
Nella prospettiva qui assunta, occorre pure preliminarmente avvertire che le pronunce giurisprudenziali sulle quali si soffermerà l’attenzione consentono di evidenziare come le soluzioni accolte dai singoli ordinamenti dipendano non soltanto dalla differente nozione di oggetto della controversia in essi accolta, ma anche dalle peculiari norme dettate in tema di (conflitto di) giudicati.
Coerente con tale premessa, il primo dato oggetto di esame riguarda l’analisi del concetto di identità di domanda, ai fini della dichiarazione della litispendenza secondo il diritto interno, in caso di pendenza della (stessa) causa davanti a giudici appartenenti allo stesso Stato nell’ipotesi di proposizione di una domanda di condanna successivamente alla pendenza della domanda di accertamento negativo in relazione al medesimo rapporto giuridico.
Ai sensi dell’art. 39 c.p.c., se la stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, il giudice successivamente adito deve dichiarare la litispendenza spogliandosi del potere di decidere la causa in favore del giudice preventivamente adito[7].
La nozione di “identità di causa” ai fini della dichiarazione della litispendenza presuppone la sussistenza di identità degli elementi di identificazione delle domande pendenti davanti a giudici diversi: soggetti, petitum e causa petendi, in conformità all’orientamento giurisprudenziale consolidato che si pronuncia a favore di un’interpretazione rigorosa della norma[8].
A sua volta la nozione di identità di causa, con minore rigidità, è presupposta nell’ipotesi di continenza, per la cui sussistenza si richiede – come si ricava dalla stessa denominazione dell’istituto – che due o più cause, pur identiche nelle persone e nella causa petendi, differiscano nel petitum delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra (art. 39, co. 2, c.p.c.).
Minore rigidità che trova riscontro nell’orientamento più recente, che oggi appare consolidato in giurisprudenza, a favore di una nozione ampia di continenza di cause, nel senso che tale nozione “comprende le situazioni caratterizzate dalla pendenza di cause le cui questioni dedotte con la domanda proposta anteriormente costituiscano il necessario presupposto della definizione del giudizio successivo, nel senso cioè della sussistenza tra le due cause di un nesso di pregiudizialità logico giuridica”[9]. In altre parole il rapporto di continenza fra le due cause è da ravvisare “nel nesso di pregiudizialità logico – giuridica” esistente tra le stesse, in quanto “le questioni dedotte con la prima domanda costituiscono presupposto necessario per la definizione di quelle dedotte con la seconda”. In conformità a tale principio, secondo la Corte di legittimità, trova applicazione l’istituto della continenza di cause nel caso di controversie instaurate con domande contrapposte relative allo stesso rapporto giudiziale (come nell’ipotesi in cui le parti agiscano rispettivamente per la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno per il pagamento del corrispettivo)[10].
Di qui la conclusione per cui – con riferimento alla fattispecie in esame – a giudizio della Corte di Cassazione non sussiste la litispendenza – a causa della diversità di petitum – nel caso di proposizione della domanda di accertamento negativo della sussistenza del credito promossa dal debitore e la successiva instaurazione della domanda di condanna da parte del creditore[11]. Tale ipotesi, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali pronunciatisi in particolare con riferimento al caso della pendenza di un’azione di accertamento negativo e di pendenza del procedimento monitorio in relazione al medesimo rapporto negoziale deve essere ricondotta nell’ambito di applicazione dell’istituto della continenza e non della litispendenza[12].
Nella diversa ipotesi in cui il rapporto esistente tra due giudizi, pendenti tra le stesse parti innanzi a differenti uffici giudiziari, in cui la speculare contrapposizione di domande non ne esaurisca l'oggetto, perché si aggiungono ulteriori pretese che, pur se strettamente collegate alle prime, hanno un titolo diverso, la fattispecie non è qualificabile né in termini di litispendenza né di continenza, rientrando, invece, nella più ampia nozione di connessione oggettiva di cui all'art. 40, co. 1, c.p.c.[13].
In conclusione del discorso può notarsi che la pluralità di soluzioni applicative presente anche se in termini diversi – come si vedrà più avanti – nell’ordinamento italiano e in altri ordinamenti (austriaco e tedesco) ha avuto un’incidenza decisiva nella soluzione adottata dalla Corte di Giustizia chiamata a interpretare le norme dettate in tema di litispendenza comunitaria.
3. La litispendenza comunitaria nelle pronunce della Corte di Giustizia
Il c.d.Kernpunkt: I) profilo oggettivo. La nozione di oggetto della domanda nell’applicazione fattane dalla Corte di Giustizia in punto di litispendenza comunitaria (regolata dall’art. 21 della Convenzione di Bruxelles e, successivamente, dall’art. 27 reg. n. 44/2001, oggi art. 29 reg. n. 1215/2012) nell’ambito di situazioni analoghe rispetto a quelle finora esaminate[14], risale alla sentenza Gubisch/Palumbo[15]. Si tratta della prima pronuncia della Corte in tema di individuazione del rapporto fra due domande instaurate presso uffici giudiziari appartenenti a differenti Stati membri dell’Unione, aventi ad oggetto rispettivamente la domanda di accertamento negativo e la domanda di condanna relative al medesimo rapporto negoziale. Con tale pronuncia la Corte di Giustizia ha dichiarato riconducibile nell’ambito applicativo dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles (che regolava all’epoca la fattispecie in esame) e, quindi, nella nozione di litispendenza da esso disciplinata, la fattispecie sottoposta al suo esame, relativa all’azione, per ottenere l’esecuzione della prestazione derivante di un contratto di vendita, proposta davanti al giudice tedesco e la successiva domanda proposta davanti al giudice italiano per ottenere l’accertamento dell’inefficacia di tale contratto[16].
L’interpretazione della nozione di litispendenza comunitaria proposta dalla Corte muove da una valutazione dei principi posti a fondamento della Convenzione e delle finalità da prefiggersi nella sua applicazione e, in particolare, dalla finalità di perseguire “la semplificazione» del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni giudiziarie nonché il potenziamento all’interno della Comunità Europea della tutela giuridica delle persone residenti nel suo territorio. Con specifico riferimento all’art. 21, si è altresì precisato che la norma – unitamente all’art. 22, in materia di connessione – è inserita nella sezione delle Convenzione volta a tutelare l'interesse a una buona amministrazione della giustizia nella Comunità che, con riferimento al profilo in esame, si traduce nell’obiettivo di «evitare procedimenti paralleli pendenti dinanzi ai giudici di diversi Stati contraenti e il contrasto di decisioni che ne potrebbe risultare”[17]. Si sottolinea, altresì, il nesso sussistente fra litispendenza e possibile rifiuto del riconoscimento della sentenza di altro stato membro, atteso che la disciplina della litispendenza è «volta ad escludere, per quanto possibile e sin dall'inizio, che si verifichi una situazione come quella contemplata all'art. 27, punto 3, e cioè il mancato riconoscimento di una decisione in quanto “unvereinbar” (incompatibile) [la traduzione italiana utilizza l’espressione “in contrasto”] con una decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto».
Al di là della peculiarità del caso specifico, la conclusione della Corte è nel senso della riconducibilità, nell’ambito applicativo della litispendenza, delle domande pendenti rispetto alle quali la questione centrale (Kernpunkt) risulti configurabile come “identica pretesa” formulata da una parte nei confronti dell’altra. Ciò perché identità di pretese sussiste nel caso in cui la domanda successivamente proposta nei confronti del convenuto ha lo stesso titolo e lo stesso oggetto della precedente domanda proposta dal medesimo convenuto – in veste di attore – per conseguire l’accertamento (negativo) dell’inesistenza dei presupposti sui quali si fonda la pretesa fatta valere nei suoi confronti dall’attore nel successivo giudizio. Con specifico riferimento alla fattispecie concreta, la conclusione cui giunge la Corte è nel senso della riconducibilità del caso sottoposto al suo esame nell’ambito applicativo della litispendenza, poiché la questione centrale (Kernpunkt) per entrambe le domande pendenti è rappresentata dalla validità del contratto[18].
In altre parole vi è “pretesa identica” ogni qual volta la domanda anteriormente proposta richieda che sia accertato un fatto che, esplicitamente o implicitamente, contesta e nega l’esistenza del titolo e dell’oggetto della domanda successivamente proposta.
Di qui l’’ulteriore rilievo per cui, ai fini dell’interpretazione della nozione di litispendenza, le condizioni per valutarne la sussistenza devono essere interpretate in via autonoma e non secondo il diritto interno dei singoli Stati. Ciò perché – come riscontrabile nei diversi ordinamenti – la nozione di identità di domande, al fine della dichiarazione di litispendenza, non è la stessa in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati contraenti e per di più, come notato dalla stessa Corte di Giustizia, “non si può desumere una nozione comune della litispendenza attraverso l'accostamento delle varie norme nazionali pertinenti”[19].
I principi richiamati in tema d’interpretazione della nozione di litispendenza sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia nel caso Tatry[20], ove è stata ravvisata la sussistenza della “identica pretesa” e, pertanto, la litispendenza, nell’ipotesi di domanda di condanna al risarcimento del danno successiva alla proposizione di domanda di accertamento dell’insussistenza della responsabilità già proposta davanti ad altro Tribunale da parte del convenuto[21].
Anche in questo caso la Corte di Giustizia ha dichiarato di trovarsi di fronte a “identica pretesa” avente lo stesso titolo ed oggetto della domanda precedente, in quanto per “la parte relativa al riconoscimento di responsabilità, la seconda domanda ha lo stesso oggetto della prima, poiché la questione dell'esistenza o meno di una responsabilità costituisce il fulcro dei due procedimenti”[22] atteso che “la domanda di una parte volta a far dichiarare che essa non è responsabile di un danno contiene implicitamente conclusioni che contestano l'esistenza di un obbligo al risarcimento dei danni”[23]. Circa la definizione di oggetto della controversia per la Corte esso consiste, pertanto, nello scopo della domanda[24] da individuare, più in generale, nella coincidenza del fulcro delle domande proposte, secondo la regola della c.d. “Kernpunkttheorie”[25].
II) profilo soggettivo. E’ interessante notare che, ai fini della dichiarazione di litispendenza, l’evoluzione del concetto di identità di domande non è rimasta circoscritta al profilo oggettivo (c.d. Kernpunkttheorie), ma ha riguardato anche il profilo soggettivo, ossia l’individuazione del significato da attribuire alla nozione di “stesse parti” in causa.
Nella pronuncia Drouot assurances[26], la Corte di Giustizia - pur negando che nel caso di specie potesse ritenersi sussistente il requisito dell’identità delle parti richiesto ai fini della sussistenza della litispendenza - ha affermato che tale circostanza sussiste quando gli interessi delle diverse parti possano essere considerati identici e inscindibili, fermo restando che spetta al giudice nazionale verificare se tale coincidenza di interessi ricorra[27].
Alla luce dei casi qui richiamati, si può affermare che il tratto che caratterizza le pronunce, nelle quali la Corte di Giustizia ha ravvisato la riconducibilità della fattispecie sottoposta al suo esame nell’ambito dell’istituto della litispendenza, sono le ipotesi nelle quali la Corte valuta che l’eventuale decisione delle controversie pendenti davanti a giudici diversi avrebbe lo stesso effetto. Al riguardo per la Corte sussiste litispendenza ogni volta in cui, a seguito di un giudizio prognostico, il giudicato delle due pronunce potrebbe produrre il medesimo effetto e, quindi, la prosecuzione parallela dei due giudizi potrebbe determinare una violazione del principio del ne bis in idem. Principio questo, che “esclude che entri a far parte del mondo giuridico un atto che abbia la stessa direzione di un altro già posto in essere, e nel quale si trova espressa, in maniera esemplare, l’idea che l’atto di esercizio di un potere rappresenta sempre, e non solo sul piano materiale ma anche su quello processuale, un ostacolo al reiterato esercizio del potere medesimo”[28]. A ciò si aggiunga che la prosecuzione dei due procedimenti per vie parallele comporterebbe il rischio di un eventuale diniego di riconoscimento della seconda decisone per “contrasto” (incompatibilità) delle decisioni a norma dell’art. 27, punto 3, della Convenzione di Bruxelles (oggi art. 45, par. 1, lett. c), reg. n. 1215/2012).
In altre parole la Corte di Giustizia applica la disciplina della litispendenza non solo all’ipotesi di identità di domande (ipotesi nelle quale potrebbe porsi un problema di ne bis in idem), ma anche alle ipotesi in cui le due pronunce potrebbero raggiungere il medesimo effetto. Lo scopo è dunque quello di attribuire la decisione ad un unico giudice al fine di evitare la contraddittorietà dei giudicati.
Nelle ipotesi in cui, al contrario, la Corte non dovesse ravvisare la sussistenza della litispendenza, la prosecuzione dei due procedimenti per vie parallele pone il diverso problema dell’efficacia vincolante della prima decisione nei confronti della decisione successiva, ovvero – in altri termini – il problema di stabilire in quale caso il secondo giudice debba conformarsi al precedente giudicato.
Tale principio pare implicitamente ricavabile anche dalla pronuncia della Corte di Giustizia nel caso Mærsk [29], con la quale è stata esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles, la fattispecie avente per oggetto, da un lato, l’azione promossa dal proprietario di un natante dinanzi al giudice di uno Stato contraente, diretta alla costituzione di un fondo di limitazione della responsabilità, che designa nel contempo la vittima potenziale del danno e, dall’altro, l’azione di risarcimento del danno avviata da tale vittima dinanzi all'autorità giudiziaria di un altro Stato contraente nei confronti del proprietario del natante[30].
4. Il recepimento dell’orientamento della Corte di Giustizia nelle pronunce della Corte di Cassazione
E’ opportuno precisare fin d’ora che saranno esaminati in questa sede soltanto gli orientamenti delle Corti nazionali in tema di litispendenza comunitaria (ipotesi di litispendenza riguardanti controversie soggette all’ordinamento di Stati membri) così tralasciando l’analisi della litispendenza internazionale (ossia il caso in cui la litispendenza riguarda controversie che coinvolgono uno Stato membro e uno Stato terzo) [31]. Ciò detto deve aggiungersi che l’orientamento della Corte di Giustizia in ordine alla nozione di identità di domande, rilevante ai fini della dichiarazione di litispendenza comunitaria, ha trovato riscontro nelle decisioni delle S.C.
In primo luogo per la Corte sussiste identità di cause nel caso di procedimenti pendenti davanti a giudici di diversi Stati membri anche “tra la domanda volta ad ottenere che il convenuto venga dichiarato responsabile di un danno e condannato al risarcimento ed una precedente domanda del medesimo convenuto, volta ad ottenere l’accertamento negativo della propria responsabilità”[32]. Più precisamente, muovendo dall’applicabilità al caso di specie dell’ art. 27 del reg. n. 44/2001 (sostituito oggi dal reg. n. 1215/2012), la Cassazione ha fatto propria l’interpretazione di tale disposizione offerta dalla Corte di Giustizia nel caso Tatry, per la quale la domanda, volta a ottenere che il convenuto sia dichiarato responsabile di un danno e condannato al risarcimento, ha lo stesso oggetto di una precedente domanda del medesimo convenuto con la quale si chiede che egli non sia dichiarato responsabile di tale danno[33]. Conseguentemente la Suprema Corte ha affermato il difetto di giurisdizione del tribunale italiano adito, in quanto – prima dell’instaurazione del giudizio in Italia – i convenuti avevano instaurato, nei confronti di parte attrice, dinanzi a un tribunale tedesco, che aveva dichiarato la propria competenza, un giudizio di accertamento negativo del danno da essa vantato con riferimento alle circostanze di fatto esposte nel ricorso (per sequestro conservativo).
Principio ribadito dalle Sezioni Unite[34], per le quali sussiste litispendenza, tra la causa avente ad oggetto l’accertamento negativo della responsabilità aquiliana dell’attore e la causa, pendente tra le stesse parti dinanzi al giudice di altro Paese dell’Unione, proposta dal medesimo soggetto convenuto in altro giudizio, volta a ottenere la condanna della controparte al risarcimento dei danni.
La Cassazione, muovendo dal presupposto per cui compete al giudice della causa proposta per prima interrogarsi sulla propria giurisdizione, mentre il giudice della causa instaurata successivamente deve limitarsi a sospendere il giudizio, declinando quindi la giurisdizione nel caso in cui sia stata definitivamente accertata quella del primo giudice, ha ritenuto che, in applicazione di tali principi, dovesse essere disposta la sospensione della causa promossa davanti al tribunale italiano, perché introdotta in pendenza dell'azione risarcitoria già promossa in Germania. Riguardo all’identità di domande, requisito indispensabile per la dichiarazione della litispendenza comunitaria, la Suprema Corte afferma che in tal caso «sussiste la necessaria identità di petitum e parti». Segnatamente, quanto al petitum,la Cassazione ribadisce l’orientamento della Corte di Giustizia (espresso nel già richiamato caso Tatry) secondo cui vi è “identità di causa fra la controversia promossa per accertare la dannosità di un determinato comportamento del convenuto e la controversia da costui proposta per far accertare che dal predetto comportamento non è invece derivato alcun pregiudizio all'attore”.
Per quel che concerne invece l’identità di parti, il giudice di legittimità ha ritenuto che tale identità non venga meno nel caso in cui l’azione di accertamento negativo sia proposta da società costituita (anche fittiziamente) solo a tal fine[35].
5. Segue: nelle pronunce della Corte austriaca
Conclusione sostanzialmente analoga è accolta dall’OGH, nonostante che, per diritto interno, la litispendenza sussista (soltanto) allorché la pretesa contenuta nella seconda domanda sia pienamente ricompresa nella prima e sia, quindi, da negare se la proposizione dell’azione di condanna sia successiva all’azione di accertamento negativo. Ed infatti la nozione di identità di cause è intesa in senso più ampio nelle ipotesi in cui la Suprema Corte austriaca sia chiamata ad interpretare tale nozione al fine di applicare la disciplina della litispendenza comunitaria.
In materia occorre ricordare che, a norma del § 233 öZPO, a seguito della pendenza della lite, non può essere instaurata davanti allo stesso o ad altro giudice una controversia avente ad oggetto la medesima domanda (Anspruch). Con riferimento agli sviluppi applicativi derivanti dall’interpretazione giurisprudenziale del concetto di oggetto della domanda, l’orientamento consolidato della Suprema Corte austriaca è, pertanto, nel senso di ritenere che la proposizione di una successiva domanda di condanna rispetto all’instaurazione di un giudizio di accertamento negativo non concretizzi un’ipotesi di litispendenza, poiché trattasi di due domande differenti[36].
La Corte, al fine della decisione[37], muove da un lato dal dato testuale (§ 233 öZPO) che identifica il presupposto per la dichiarazione della litispendenza nell’identità della domanda e, dall’altro, dal consolidato principio per cui sussiste la stessa pretesa nel caso di identità delle parti, purché la pretesa processuale, fatta valere con la nuova domanda, coincida sia per il petitum (Begehren) sia per il fatto costitutivo del diritto (rechtserzeugender Sachverhalt) con quella dedotta nel primo processo. La pretesa di natura sostanziale è sotto questo profilo irrilevante, poiché il giudice non decide sui rapporti di diritto privato come tali, ma sulle domande (Begehren) che da questi derivano. La nozione processuale di oggetto della domanda è determinata dal Klagebegehren (il petitum della domanda) e dal rechtserzeugenden Sachverhalt (fatto costitutivo del diritto)[38].
Ciò premesso, l’OGH chiarisce che vi è litispendenza però anche qualora il petitum (Begehren) – come accade, di regola, quando le parti invertono i ruoli di attore e convenuto – sia opposto (ovvero, il petitum di una domanda sia l’opposto dell’altra)[39] e in particolare nel caso in cui, successivamente alla proposizione di un’azione di accertamento negativo, sia fatta valere una domanda di accertamento positivo avente per oggetto la medesima pretesa (di diritto sostanziale) o lo stesso rapporto giuridico. In via generale, conclude la Corte, questa situazione ricorre quando la decisione sulla prima domanda ricomprende pienamente anche la decisione del secondo procedimento[40]. Ciò è evidente nel caso in cui la domanda di accertamento negativo precedentemente proposta sia accolta, ma vale anche nell’ipotesi di rigetto di tale domanda, poiché dalla doppia negazione discende anche l’accertamento con efficacia di giudicato della sussistenza della pretesa o del rapporto giuridico[41]. Di qui anche la conclusione per cui la domanda di accertamento negativo non compromette, per mancanza di identità del petitum, la proposizione di una successiva azione di condanna[42].
Al contrario, non è sufficiente al fine di dichiarare la litispendenza, la potenziale efficacia vincolante (die potentielle Bindungswirkung) della decisione che sarà adottata nel primo giudizio, nel senso che non vi è litispendenza se l’accertamento, compiuto dal giudice nel giudizio preventivamente instaurato, non coincide pienamente con il possibile contenuto dell’accertamento della domanda successivamente proposta davanti ad altro giudice e, quindi, quando il giudicato non produce l’effetto del ne bis in idem, ma produce unicamente l’effetto di efficacia vincolante[43].
All’opposto dell’interpretazione generalmente accolta rispetto alla nozione di litispendenza “domestica”, è principio costante e consolidato nella giurisprudenza della Corte Suprema che debba ammettersi il riconoscimento della sussistenza della litispendenza comunitaria nel caso di coincidenza del Kernpunkt delle domande pendenti presso giudici di diversi Stati membri dell’Unione. In applicazione di tale principio l’OGH ha ritenuto che, nell’individuazione del concetto di identità di domande, debba essere tenuta in considerazione l’interpretazione della Corte di Giustizia che individua un concetto ampio di “Verfahrensgegenstand” (oggetto del procedimento). Da ciò consegue, secondo l’OGH, che nel caso in cui il tenore letterale dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles, come avviene nella versione tedesca, non preveda espressamente la distinzione fra “Gegenstand” (oggetto) e “Grundlage” (fondamento) del diritto/pretesa/domanda (Anspruch), ciò non di meno ad essa debba essere riconosciuto lo stesso significato attribuitole nelle altre versioni (ad es. quella italiana e quella francese) che prevedano tale distinzione (petitum e causa petendi).
Pertanto sussiste identità di causa petendi e petitum quando, rispettivamente, le cause/domande si basino sullo stesso Vertragsverhältnis (rapporto contrattuale) e quando coincida l’oggetto della domanda, come si verifica allorché coincide il Kernpunkt (fulcro delle domande). Vi è dunque identità quando le domande abbiano lo stesso scopo (Zweck), che si individua in base al petitum posto al centro di entrambi i procedimenti (“welche Begehren im Mittelpunkt beider Verfahren stehen”)[44]. In applicazione di tali principi è stata esclusa la litispendenza per mancanza di identità di causa petendi nel caso di domanda proposta davanti a un Tribunale spagnolo diretta ad accertare la simulazione di un contratto di cessione rispetto alla precedente domanda proposta davanti ad un Tribunale austriaco volta da ottenere l’accertamento della lesione ultra dimidium, patita dal contraente per violazione dei doveri di buona fede e correttezza da parte dell’altro contraente[45]. La litispendenza è stata invece ritenuta sussistente fra la domanda pendente in Italia di accertamento negativo della sussistenza del diritto al risarcimento del danno e la domanda successivamente proposta dal medesimo convenuto, davanti al giudice austriaco, volta ad ottenere la condanna dell’attore del procedente giudizio al risarcimento del danno derivante dal medesimo rapporto contrattuale[46].
6. Segue: e della Corte tedesca
Anche l’orientamento del BGH in tema di litispendenza comunitaria si distingue dalla soluzione accolta dalla stessa Corte con riferimento al diritto interno, secondo la quale la proposizione della successiva azione di condanna fa venire meno l’interesse ad agire nell’azione di accertamento negativo[47].
Non diversamente da quanto disposto dal codice di rito austriaco, il codice di procedura civile tedesco prevede che durante la pendenza della causa non possa essere instaurata altra controversia relativa alla medesima domanda (§ 261 Abs. 3, n. 1dZPO). In punto di rapporti fra azione di accertamento negativo e successiva azione di condanna, peraltro, è principio consolidato in Germania che, in caso di pendenza di una domanda di accertamento negativo e successiva proposizione di una domanda di condanna avente per oggetto le medesime questioni controverse, prevalga quest’ultima, in quanto l’oggetto della domanda di accertamento negativo è interamente coperto/assorbito nell’azione di condanna[48]. La domanda di accertamento negativo, pertanto, va dichiarata inammissibile per difetto di interesse (ad agire) [49]. La ratio sottesa a tale orientamento è di evitare decisioni contraddittorie, come pure – tenendo conto dell’esigenza essenziale di economia processuale, dal punto di vista sia dell’interesse delle parti sia della giustizia – quella di scongiurare che si svolgano procedimenti paralleli sullo stesso oggetto della domanda[50].
Principio ribadito anche di recente dal BGH per il quale, fino al momento in cui la richiesta di condanna copre l’oggetto della domanda, non vi sono ragioni per non far prevalere tale azione rispetto a quella di accertamento negativo, salvo – come più volte affermato dalla stessa Corte – che la causa di accertamento sia matura per la decisione prima che l’azione di condanna non possa più essere unilateralmente ritirata dalla parte[51]. Al riguardo può aggiungersi che l’orientamento del BGH è chiaramente indirizzato verso un favor nei confronti dell’azione di condanna, in quanto si ritiene che la permanenza dell’interesse ad agire in accertamento venga meno, con conseguente declaratoria di inammissibilità della relativa domanda, a seguito di pronuncia di condanna (anche se) generica, nei limiti in cui la domanda di condanna corrisponda (entspricht) alla domanda di accertamento (il che si verifica anche quando l’importo indicato nella pronuncia di condanna sia minore rispetto a quello oggetto dell’accertamento negativo[52]).
Per quanto riguarda la nozione di identità di domande nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria, invece, il principio affermato dal BGH fa leva su una interpretazione più ampia di tale nozione, giustificata dallo scopo, più volte ribadito nelle diverse pronunce, di evitare un potenziale conflitto di giudicati e, in particolare, il rischio del rifiuto del riconoscimento della sentenza a causa della sua “incompatibilità” con quella pronunciata nello Stato presso il quale il riconoscimento è richiesto.
Sulla base di tale presupposto il BGH ritiene che la nozione di litispendenza di cui all’art. 21 della Convenzione di Bruxelles [a tale Convenzione era attribuita la regolamentazione della fattispecie, poi disciplinata dal reg. n. 44/2001 e oggi dal reg. 1215/2012] comprenda nel suo ambito il caso di proposizione di una domanda di accertamento dell’inefficacia del contratto mentre è pendente presso un giudice di altro stato membro la domanda di condanna alla restituzione della prestazione effettuata sulla base del medesimo contratto[53]. Sotto questo profilo, afferma il BGH, decisiva al fine di valutare l’identità delle cause non è l’identità delle domande, quanto piuttosto la coincidenza del Kernpunkt delle relative controversie. A ciò si aggiunga che, secondo il BGH, la nozione di identità di domande, riconducibile – secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia – nell’ambito applicativo dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles, va interpretata in senso ampio, attribuendo a essa un significato volto a evitare la contraddittorietà di sentenze ai sensi dell’art. 27, punto 3, della Convenzione di Bruxelles. Contraddittorietà che si potrebbe verificare nel caso in cui fosse proposta domanda di condanna all’adempimento di un contratto, mentre in un altro stato membro fosse stata accertata l’inefficacia di tale contratto. La domanda della parte che abbia ottenuto il provvedimento di condanna dovrebbe tenere conto che la sentenza di condanna a lei favorevole non potrebbe ottenere il riconoscimento in quello stato ai sensi dell’art. 27, punto 3, della Convenzione[54].
Giova inoltre sottolineare come il BGH abbia precisato che ai fini della sussistenza della litispendenza ai sensi dell’art. 21 della Convenzione, non rileva il momento in cui sia stata proposta la domanda di accertamento negativo perché il diritto comunitario non prevede, a differenza di quello interno, la priorità della domanda di condanna rispetto a quella di accertamento negativo, con la conseguenza che la litispendenza deve essere dichiarata anche quando sia stata proposta per prima la domanda di accertamento negativo[55]. In applicazione di tali principi il BGH si è pronunciato anche di recente per l’identità di domande, sempre che vi sia identità di parti[56], quando le due domande abbiano ad oggetto l’accertamento dell’inefficacia o efficacia del contratto[57], come pure nell’ipotesi in cui presso uno stato membro sia proposta domanda di accertamento della sussistenza di una giusta causa di risoluzione del contratto e, successivamente, sia stata promossa in Germania un’azione di condanna al risarcimento del danno per essere stata la risoluzione del contratto (di agenzia) non conforme alle prescrizioni di legge (§ 539 ZPO)[58].
7. Il superamento della concezione basata su criteri “formalistici” della nozione di identita’ di domande rilevante ai fini della litispendenza
Le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione in tema di litispendenza comunitaria e internazionale sono il risultato di una progressiva elaborazione sfociata nel superamento della nozione di litispendenza intesa come identità formale degli elementi di identificazione della domanda in favore di una nozione di litispendenza più ampia. Giova, infatti, ricordare che sino alla fine degli anni novanta la nostra Corte Suprema escludeva – “per mancata identità di petitum” – la litispendenza tra cause aventi ad oggetto, rispettivamente, il mero accertamento negativo della sussistenza di una obbligazione e l’accertamento della sussistenza e della validità della medesima obbligazione nonchè la richiesta di condanna della controparte all’adempimento (ovvero al risarcimento dei danni da inadempimento)[59].
A tale periodo può farsi risalire il superamento della nozione formale di identità di cause ai fini della dichiarazione di sussistenza della litispendenza in tema di litispendenza comunitaria, perché la Corte di Cassazione recepisce l’interpretazione della Corte di Giustizia in tema di individuazione del concetto di identità di domande[60]; interpretazione che viene estesa dalla S.C., a partire dagli inizi del secolo, anche all’ambito internazionale, al fine di valutare la sussistenza del requisito dell’identità di domande pendenti tra le stesse parti dinanzi al giudice italiano e ad un giudice di uno Stato terzo/extracomunitario.
Si viene così consolidando in campo comunitario e internazionale l’orientamento per una nozione di litispendenza fondata su un concetto di identità di domande che supera il concetto formale di identità di cause e, quindi, prescinde dalla piena coincidenza degli elementi di identificazione della domanda. Risultato al quale la S.C. perviene facendo proprio il principio affermato dalla Corte di Giustizia, per cui il concetto di litispendenza non va accertato alla stregua di «criteri formalistici e restrittivi», perché sussiste identità di domande quando vi sia «identità dei risultati pratici perseguiti». Conclusione che s’impone in funzione dell’obiettivo da perseguire, diretto a evitare la formazione di decisioni parallele e parzialmente contrastanti in grado di ostare al reciproco riconoscimento e alla conseguente esecuzione delle decisioni dei diversi Stati, e che viene conseguito tramite il recepimento, anche in materia di litispendenza internazionale, dell’interpretazione armonizzatrice della Corte di Giustizia in punto di definizione della nozione di identità di domande.
La portata generale delle conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione italiana appare maggiormente indirizzata verso un concetto più elastico di identità di domande, quando si considerino le diverse soluzioni proposte dalle Supreme Corti austriaca e tedesca con riferimento alla litispendenza internazionale. Al riguardo, infatti, si deve ricordare che[61] l’OGH esclude che possano trovare applicazione in campo internazionale le regole della litispendenza comunitaria e, conseguentemente, conclude nel senso che in pendenza della domanda presso uno stato terzo, debbano trovare applicazione le regole nazionali o quelle pattizie della lex fori (ovvero dell’ordinamento austriaco)[62].
Soluzione sostanzialmente non diversa emerge nell’orientamento del BGH il quale ammette l’applicabilità del concetto di litispendenza valido in ambito comunitario soltanto con riferimento alle controversie fra gli Stati membri. In relazione a Stati terzi, invece, trovano applicazione le regole dell’ordinamento nazionale o le convenzioni internazionali (bi o plurilatelarali) [63]; quindi, al di fuori di tali ipotesi, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze di Stati terzi sono subordinati al principio di reciprocità[64].
8. La nozione di identità di cause secondo la Corte di Giustizia: verso un concetto unitario di giudicato?
Esaminando le pronunce della Corte di Giustizia, si evince che le ipotesi in cui si è affermata la riconducibilità della fattispecie nell’ambito dell’istituto della litispendenza comunitaria, coincidono con quelle nelle quali la Corte ha valutato che l’eventuale decisione delle controversie pendenti davanti a giudici diversi e, quindi, la prosecuzione dei procedimenti per vie parallele, avrebbero potuto avere l’effetto di condurre a decisioni in contrasto fra loro e quindi non riconoscibili a norma dell’art. 45, par. 1, lett. c) reg. n. 1215/2012. In altre parole, la litispendenza va dichiarata allorché sussiste il rischio di un eventuale diniego di riconoscimento della seconda decisone per “contrasto” o “incompatibilità” delle decisioni a norma dell’articolo ora citato (già art. 27, punto 3, della Convenzione di Bruxelles e, successivamente, art. 34, n. 3 reg. n. 44/2001). In tale caso, infatti, il giudicato delle due pronunce potrebbe produrre il medesimo effetto e, dunque, la prosecuzione parallela dei due giudizi potrebbe condurre a una violazione del principio del ne bis in idem. Nel caso in cui, al contrario, la Corte non abbia ravvisato la sussistenza della litispendenza, la prosecuzione dei due procedimenti per vie parallele sembra porre piuttosto un problema di efficacia vincolante della prima decisione nei confronti della decisione successiva.
Alla luce di queste premesse si ricorda che per la Corte di Giustizia (caso Gubisch/Palumbo) sussiste la litispendenza fra l’azione di condanna e l’azione di accertamento negativo successivamente proposta. In tale occasione la Corte di Giustizia ha riconosciuto innanzitutto l’esigenza di individuare un concetto di litispendenza autonomo, al cui riguardo non si è avvalsa del metodo della mera comparazione basata sull’analisi degli ordinamenti processuali dei singoli Stati membri, ma ha utilizzato un approccio “teologisch-funktionell”[65]. Approccio che ha portato la Corte di Giustizia a enunciare, allo scopo di evitare decisioni contrastanti fra gli Stati membri, il principio della c.d. Kernpunkttheorie, ribadito anche nell’ipotesi inversa (nella controversia Tatry) ossia nel caso di proposizione di una domanda di accertamento e di una successiva domanda di condanna.
Come da altri sottolineato, l’impostazione della questione adottata dalla Corte consente di garantire la “prozessuale Chancengleichheit” (parità delle occasioni processuali) delle parti. Infatti, la negazione del principio della priorità dell’azione di condanna rispetto a quella di accertamento – chiaramente espressa dalla Corte di Giustizia nel caso Tatry – garantisce la “Waffengleichheit” (parità delle armi) delle parti, evitando di attribuire una posizione di vantaggio nella scelta del giudice a favore della parte che abbia proposto azione di condanna[66]. Anche in tale ipotesi la Corte di Giustizia ribadisce che l’affermazione di un concetto ampio di identità di domande nasce dall’esigenza di evitare decisioni contrastanti fra gli Stati membri. Emerge dunque – come osservato da un’attenta dottrina – una connessione interna al sistema (“intrasystematischer Zusammenhang”) fra interpretazione delle norme in tema di litispendenza e riconoscimento delle sentenze fra Stati contraenti[67]. Nesso che dovrebbe presupporre – seppure oggi in fase iniziale/embrionale – una nozione europee di cosa giudicata[68].
Sotto questo profilo si sottolinea che la Corte di Giustizia, nelle ultime due pronunce evocate, non si sofferma sul concetto di cosa giudicata bensì sulla nozione di decisione “inconciliabile” “contrastante”, (nel senso dell’art. 27, punto 3, della Convenzione, oggi dell’art. 45, par. 1, lett. c) reg. n. 1215/2012). Più precisamente nel caso Gubisch/Palumbo la Corte di Giustizia afferma che «non è possibile porre in dubbio che il riconoscimento di una decisione giudiziaria resa in uno Stato contraente e che disponga la condanna all'esecuzione di un contratto sarebbe rifiutato nello Stato richiesto qualora esistesse una decisione di un tribunale di quest'ultimo Stato che disponesse l'annullamento o la risoluzione del medesimo contratto»[69], in quanto le decisioni si porrebbero tra loro in contraddizione logico-giuridica. Nel contempo, si statuisce che un’interpretazione restrittiva del motivo di rifiuto del riconoscimento della decisione di cui all’art. 27, punto 3, della Convenzione (oggi art. 45, par. 1, lett. e) reg. n. 1251/2012/) permetterebbe una corrispondente limitazione dell’effetto dell’impedimento della decisione della causa derivante dalla litispendenza, ai sensi dell’art. 21 della stessa Convenzione (oggi art. 29 del Regolamento sopra citato). In proposito è da notare che, se la Corte di Giustizia avesse trasposto sul concetto di “inconciliabilità” delle decisioni quello di “efficacia di giudicato”, probabilmente il risultato sarebbe stato un altro, nel senso che il vincolo del giudicato in molti ordinamenti è meno ampio rispetto a quello derivante dalla nozione di “inconciliabilità” delle pronunce[70].
Se certamente è condivisibile l’opinione ora enunciata, secondo la quale a un diverso concetto di identità di domande con riferimento alla litispendenza comunitaria deve corrispondere un nuovo concetto europeo di cosa giudicata, più difficile è l’ulteriore passo compiuto da una autorevole, sebbene minoritaria, dottrina austriaca. Ci si riferisce alla possibilità che gli Stati membri si impegnino a far convergere la nozione di giudicato interno verso il concetto europeo di cosa giudicata, al fine di raggiungere una necessaria armonizzazione dei singoli ordinamenti[71]. In particolare, l’esigenza di armonizzazione emerge, con riferimento al nostro tema, dall’osservazione che si svuoterebbe di significato il concetto “autonomo” di litispendenza, se una volta riconosciuta la litispendenza ai sensi dell’art. 21 della Convenzione (oggi art. 29 reg. n. 1215/2012), dovesse poi negarsi il riconoscimento della decisione in base al principio del ne bis in idem o dell’efficacia vincolante del giudicato secondo il diritto processuale nazionale[72].
A sostegno di questa tesi si osserva che il concetto di cosa giudicata materiale non può restare immutato, se considerato alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia con riferimento al concetto di “identica pretesa” ai fini della sussistenza della litispendenza. E ciò perché, se ai sensi dell’art. 27, punto 3, della Convenzione il rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni è basato sul fatto che la decisione pronunciata nel primo Stato, sia incompatibile nel merito (sachlich unvereinbar)con quella emessa dal giudice del secondo Stato, ciò significa inequivocabilmente che la ratio fondante di tale rifiuto è evitare il conflitto delle due domande (e dei loro effetti). Poiché, però, il concetto di “inconciliabilità” ricomprende non solo la pronuncia di segno opposto (das kontradiktorische Gegenteil) ma anche la violazione dell’efficacia vincolante, questo significa che esso non può intendersi in senso più stretto del concetto di identità delle domande individuato dalla Corte di Giustizia con riferimento all’art. 27, punto 3[73]. In particolare, al fine di individuare tale concetto, si richiama la pronuncia con la quale la Corte di Giustizia ha ritenuto che “una decisione straniera che condanna un coniuge alla corresponsione degli alimenti all'altro coniuge in forza del suo obbligo al mantenimento risultante dal matrimonio è inconciliabile, ai sensi dell'art. 27, punto 3, della Convenzione, con una decisione nazionale che ha pronunziato il divorzio fra i coniugi interessati”[74]. In questa decisione la Corte non fa riferimento al concetto di cosa giudicata, bensì a quello di inconciliabilità delle pronunce, che assume dunque rilevanza al fine di regolamentare il conflitto fra decisioni dei singoli Stati. Di qui, pertanto, l’esigenza di individuare una nozione di giudicato nazionale che si avvicini al concetto europeo anche per rispetto al principio desumibile dall’art. 26 della Convenzione di Bruxelles, in base al quale una decisione straniera, riconosciuta in forza di tale articolo, deve avere nello Stato richiesto, in linea di massima, la medesima efficacia che ha nello Stato di origine[75](principio ricavabile oggi dall’art. 36 reg. n. 1215/2012). Una volta chiarito, quindi, che deve prevalere la decisione assunta per prima, sia essa di diritto interno o sia stata pronunciata da altro Stato, è allora necessario individuare un concetto di giudicato interno da porre in relazione con il concetto in precedenza ricordato di “inconciliabilità nel merito” di cui all’art. 27, punto 3.
In tale prospettiva, il quesito cui rispondere è come pervenire a un concetto europeo di giudicato[76]. La risposta, per quanto non agevole, può essere soltanto nel senso che tale obiettivo sia perseguibile non con riferimento alle peculiarità dei singoli ordinamenti nazionali, ma attraverso l’elaborazione di categorie e di concetti comuni al “sentire giuridico comunitario” nella prospettiva, certamente condivisibile, per la quale le categorie giuridiche (processuali) non sono immutabili, ma devono evolversi tenendo conto dell’evoluzione del diritto e delle esigenze “politiche” da esso tutelate[77].
Tale prospettiva appare del resto la più rispondente all’interpretazione delle categorie processuali proposta da parte della Corte di Giustizia, espressione dell’esigenza volta ad armonizzare, specialmente in un ambito europeo, gli istituti (non solo processuali) dei singoli ordinamenti degli Stati membri. Un’impostazione certamente non agevole, come ha dimostrato l’esperienza giurisprudenziale, in relazione al recepimento del concetto di identità di domande comune ai singoli Stati membri, per la cui affermazione – quanto alla litispendenza comunitaria – un ruolo fondamentale è stato svolto dalla Corte di Giustizia [78], con la scelta di porre la tutela dei c.d. valori funzionali del processo alla base dell’interpretazione delle norme giuridiche.
9. La centralità dei valori funzionali del processo nella individuazione e delimitazione degli istituti processuali
Alla luce delle considerazioni sinora esposte può ribadirsi la necessità che l’interpretazione delle norme processuali e sostanziali vada condotta tenendo presenti i valori funzionali del processo. E’ quanto già emerso nella determinazione del concetto d’identità della domanda ai fini della dichiarazione di litispendenza comunitaria e internazionale, nel qual caso l’interpretazione di tale concetto, di fronte alle diversità delle leggi applicabili negli stati membri, è da compiersi in una prospettiva strumentale alla realizzazione di tali valori. In particolare, la lettura sistematica delle norme sulla litispendenza ha portato a privilegiare una definizione di identità di domande finalizzata ad evitare che sullo stesso oggetto della domanda si svolgano procedimenti paralleli con conseguente rischio del formarsi di giudicati contraddittori e, pertanto, a consentire il perseguimento di uno degli obiettivi primari della Corte di Giustizia.
Il risultato è stato, in ambito comunitario, la convergenza condivisa verso una nozione di oggetto del processo più ampia rispetto a quella utilizzata per il diritto interno, in quanto le Corti nazionali hanno recepito i principi enunciati dalla Corte di Giustizia. Si è di fronte, pertanto, a un’interpretazione non strettamente vincolata a “criteri formalistici e restrittivi», che supera la coincidenza formale degli elementi della domanda e che trova la sua ragione di essere nella «identità dei risultati pratici perseguiti”. La c.d. teoria del Kernpunkt – secondo la quale la coincidenza del fulcro delle domande costituisce il requisito che ne determina l’identità – pone l’accento sul profilo processuale rappresentato dall’efficacia vincolante del giudicato. L’applicazione di tale teoria nella determinazione della litispendenza ha così potuto perseguire il duplice scopo da un lato di impedire il contrasto fra due decisioni e, dall’altro, di evitare il mancato riconoscimento della decisione da parte di in un altro stato membro per contrarietà ad altra precedente sentenza.
In altre parole, la Corte di Giustizia ha ritenuto applicabile la disciplina della litispendenza non solo all’ipotesi di identità di domande (ipotesi in cui potrebbe porsi un problema di ne bis in idem), ma anche quando – secondo il diritto interno di alcuni ordinamenti – potrebbe porsi un problema di efficacia vincolante della prima decisione in un altro processo. Lo scopo è quello di attribuire la decisione ad un unico giudice al fine di evitare la contraddittorietà dei giudicati, il cui perseguimento comporta la necessità di ravvisare la sussistenza del requisito dell’identità delle domande indipendentemente dalla piena coincidenza del petitum, essendo sufficiente la coincidenza del fulcro delle domande, come attestato dai differenti casi oggetto di pronuncia della Corte di Giustizia e delle Corti Nazionali[79].
Tale interpretazione, proprio perché rispondente all’esigenza di fare salvi i valori funzionali del processo, ne consente altresì il recepimento anche relativo all’interno dei singoli ordinamenti, ogni qual volta – come ricordato – in ambito domestico siano previsti ed applicabili strumenti processuali atti ad evitare lo svolgimento di procedimenti paralleli aventi lo stesso oggetto.
Circostanza, questa, che contribuisce a spiegare perché i principi enunciati dalla Corte di Giustizia e, in particolare, quello fondamentale per il quale l’interpretazione delle norme deve essere orientata ai valori funzionali del processo, abbiano fortemente influenzato il diritto processuale civile interno attraverso le recenti pronunce della Corte di Cassazione[80].
Abstract: Since the process of European integration has concerned the judicial cooperation, the impact of the EU legislation and case law on the procedural national rules has significantly intensified. In particular, the EU case law has been influential even on the notion of “object of the proceedings” (“oggetto del processo”). This is the general category which encompasses the more specific functions of other important legal notions, such as, in short, the joinder of causes of action (“cumulo oggettivo di domande”), claim amendments (“modificazione della domanda”), lis pendens and res judicata, which are all based on the concept of “identity of actions” (“identità della domanda”).
In this perspective it is worth to reconsider the general theme of the object of the claim (“oggetto della domanda”), as resulting from the more recent domestic and EU case law, taking into consideration to the various practical profiles which are encompassed within the notion of “object of the proceedings”. Let’s just think, in particular, on the one hand, of the questions, which are still unresolved in the Italian debate, concerning the identity of actions, and on the other of the repercussions on res judicata, lis pendens, related actions and, finally, on claim amendments.
Based on this premise, in dealing with the “object of the proceedings” this essay will focus exclusively on the regulation on lis pendens and its effects. First of all the notion of “identity of actions” as related to the determination of lis pendens according to internal law will be explored. Finally the notion of “object of the claim” with regard to lis pendens will be analysed in order to identify the principles elaborated by the Court of justice and assess how they have been implemented by the different courts of the Member States.
Keywords: object of the proceedings – identity of actions – lis pendens in internal law – EU lis pendens – national courts – EU Court of Justice.
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
** L’articolo è pubblicato anche negli Studi in Memoria di Franco Cipriani.
[1] In questo senso, P. Biavati, Le categorie del processo civile alla luce del diritto europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4 (2018), p. 1323.
[2] E’appena il caso di ricordare la centralità attribuita al processo, al cui riguardo, cfr. A. Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto, in Commentario Allorio, II, Torino, 1980, sub art. 99, p. 144.
[3] L’espressione, spesso ripetuta, è di P.O. Ekelöf, Der Prozeßgegenstand – ein Lieblingskind der Begriffsjurisprudenz, in ZZP, 85 (1972), p. 145, ed è stata poi ripresa da P. Böhm, Die Ausrichtung des Streitgegenstandes am Rechtsschutzziel, in W.H. Rechberger - R. Welser (a cura di), Festschrift für Winfried Kralik zum 65. Geburtstag. Verfahrensrecht – Privatrecht, Wien 1986, p. 83; analoga impostazione è in A. Cerino Canova, in Commentario Allorio, II, cit., p. 108.
[4] Riflessione che trova conforto nell’attenzione prestata al tema in question
Serra Maria Luisa
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