Migrante soccorso in mare: indiziato di reato o testimone?
Roberta Casiraghi
Ricercatrice in Diritto processuale penale,
Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano
Migrante soccorso in mare: indiziato di reato o testimone?* **
English title: Migrant rescued at sea: suspect or witness?
DOI: 10.26350/18277942_000027
SOMMARIO: 1. La figura del migrante irregolare fra politiche securitarie ed esigenze processuali. 2. L’acquisizione dello status di indagato per lo straniero irregolare. 3. Evitato intervento del giudice e principio di obbligatorietà dell’azione penale. 4. Il giudice quale garante della legalità processuale e del diritto di difesa del dichiarante. 5. L’inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali rese dal migrante. 6. Dubbia configurabilità della contravvenzione a fronte del nuovo modus operandi dell’immigrazione irregolare via mare. 7. Ineffettività di un reato meramente simbolico.
1. La figura del migrante irregolare fra politiche securitarie ed esigenze processuali
Con la l. 15 luglio 2009 n. 941[1], è stato introdotto l’art. 10-bis d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (t.u. in materia di immigrazione e condizione dello straniero), a norma del quale è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro (non oblazionabile e sostituibile con l’espulsione) «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato» in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998, nonché dell’art. 1 l. 28 maggio 2007 n. 68, relativo ai soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio[2].
L’opzione legislativa di configurare come illecito penale, seppure di natura contravvenzionale, la condotta dello straniero che giunge irregolarmente in Italia ha delle rilevanti ripercussioni anche sul piano processuale, rendendo difficoltoso l’accertamento penale relativo al traffico di migranti via mare gestito dalle organizzazioni criminali, tanto che il reato di immigrazione clandestina è stato considerato un vero e proprio «ostacolo alle indagini»[3].
È indubbio che le dichiarazioni dei migranti risultino spesso fondamentali per ricostruire le reti del traffico e individuare coloro che hanno favorito l’ingresso irregolare sul territorio nazionale. Tuttavia, l’esistenza di un procedimento penale nei loro confronti impedisce di sentire i migranti come testimoni, depotenziando tanto l’acquisizione del loro contributo quanto il valore persuasivo di quest’ultimo[4]. Infatti, i migranti, una volta irregolarmente sbarcati sulle coste italiane, devono considerarsi indagati per un reato indubbiamente connesso o comunque collegato sul piano probatorio con il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, cosicché nell’altrui procedimento potranno essere sentiti - almeno inizialmente - solo con le forme previste dagli art. 210, 351 comma 1-bis e 363 c.p.p., cioè con il diritto di assistenza del difensore e con la facoltà di non rispondere[5].
Duplici sono gli effetti negativi: da un punto di vista “economico”, sono elevati i costi per garantire a tutti i migranti la necessaria nomina difensiva sin dalle prime audizioni e fintanto che il processo contra se e quello erga alios non si concludano[6]; con riguardo ai profili probatori, per un verso, il dichiarante ha la facoltà di non rispondere e non è tenuto all’obbligo di verità e, per l’altro, le eventuali dichiarazioni eteroaccusatorie, anche qualora fossero rese nella veste di testimone assistito ex art. 197-bis c.p.p. (assunta a seguito di precedenti dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, purché rilasciate previo avvertimento di cui all’art. 64 comma 3 lett. c c.p.p.), non sono liberamente utilizzabili, ma devono essere riscontrate da altri elementi di prova (art. 192 commi 3 e 4 e 197-bis comma 6 c.p.p.), affiché risulti colmato il deficit di attendibilità che caratterizza le deposizioni provenienti da una fonte di prova comunque coinvolta nei fatti oggetto di ricostruzione processuale. Né dovrebbe tollerarsi un riscontro incrociato fra le dichiarazioni rese dai diversi migranti: «un elemento di prova incapace di fondare da solo il convincimento giudiziale per la carente affidabilità della sua fonte non dovrebbe ragionevolmente ritenersi supportabile con un altro affetto dallo stesso vizio genetico»[7].
Neppure i tentativi di circoscrivere l’ambito di rilevanza penale della condotta del migrante che approda sulle nostre coste sono sempre idonei a permettere l’attribuzione della qualifica di testimone ordinario al migrante. In particolare, il ricorso alla causa di giustificazione dello stato di necessità (per effetto della quale il fatto non costituisce reato) e alla causa di improcedibilità per particolare tenuità del fatto[8] non permettono di porre nel nulla la precedente attribuzione dello status di indagato e/o di imputato. Infatti, è vero che il migrante, se definitivamente prosciolto, è sentito come testimone assistito con l’obbligo di verità: tuttavia, le sue dichiarazioni continueranno a necessitare del riscontro di altri elementi di prova[9]. Ancor meno efficace risulterebbe un provvedimento di archiviazione, a seguito del quale il migrante non acquisirebbe neppure la veste di testimone assistito, rimanendo dunque titolare del diritto al silenzio; soltanto la rinuncia allo ius tacendi sul fatto altrui (previo l’avvertimento di cui all’art. 64 comma 3 lett. c c.p.p.) permetterebbe di proseguire l’esame nelle forme della testimonianza assistita, fermi restando però i limiti valutativi.
2. L’acquisizione dello status di indagato per lo straniero irregolare
D’altronde, l’arrivo dello straniero in territorio italiano (superficie terrestre o mare costiero) senza un regolare documento implica inevitabilmente l’apertura di un procedimento penale, solo a seguito del quale il pubblico ministero potrebbe optare per escludere la fattispecie contravvenzionale e chiedere un provvedimento di archiviazione. L’autorità inquirente non potrebbe infatti ritenersi legittimata a effettuare degli accertamenti preliminari volti a soppesare la consistenza della notizia criminis: infatti, alcuna attività investigativa prodromica alle indagini preliminari può essere compiuta ai fini della valutazione della notizia di reato[10] e, dunque, va ritenuta indefettibile l’acquisizionedella veste di indagato per il migrante giunto in Italia sprovvisto di idoneo permesso.
Nè sembra che in questo caso sia legittima la cosiddetta “cestinazione” (altrimenti definita “archiviazione non garantita”[11]), ovvero l’iscrizione nel modello n. 45 delle cosiddette pseudo notizie di reato[12], contenenti la «descrizione di un fatto palesemente non inquadrabile in alcuna fattispecie criminosa (benchè qualificato come reato dall’esponente)»[13]: al contrario, il superamento dei confini nazionali senza i documenti legittimanti l’ingresso ictu oculi si presenta come notizia di reato vera e propria[14], cosicché non può essere elusa la considerazione del migrante irregolare quale indagato e il pubblico ministero potrà chiedere l’archiviazione solo qualora all’esito delle indagini preliminari si accertasse l’infondatezza della notizia oppure la particolare tenuità del fatto o un’altra causa di improcedibilità (ad esempio, per l’accoglimento della domanda di protezione internazionale o per il rilascio del permesso di soggiorno oppure per l’intervenuta espulsione amministrativa[15]) o, ancora, che il fatto non costituisce reato (se il fatto non dovesse ritenersi conforme alla fattispecie incriminatrice per mancanza di uno o più dei suoi elementi essenziali). L’imprescindibilità dell’instaurazione di un procedimento penale sembra desumersi pure dall’art. 10-bis comma 6 d.lgs. n. 286 del 1998, ai sensi del quale la presentazione di una domanda di protezione internazionale, indipendentemente dal momento della sua presentazione, sospende (ma non inibisce) il procedimento penale[16], il quale riprenderà il proprio corso in caso di rigetto dell’istanza. Nè l’art. 31 della Convenzione sullo status dei rifugiati, conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva con l. 24 luglio 1954 n. 722 ed entrata in vigore per l’Italia il 13 febbraio 1955, osta all’iscrizione nel registro degli indagati della persona richiedente asilo, in quanto ciò che la disposizione internazionale vieta è soltanto la previsione di una sanzione penale per l’entrata o il soggiorno irregolari di coloro che «si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari».
I profili dell’antigiuridicità e dell’infondatezza dovrebbero infatti ritenersi estranei alla valutazione relativa alla sussistenza di una notitia criminis[17]: saranno proprio le indagini preliminari a condurre a tali diagnosi e quindi a indurre il pubblico ministero a chiedere al giudice di pace l’esonero dall’esercizio dell’azione penale.
L’opzione di evitare il riconoscimento dello status di indagato al migrante irregolaresembra quindi essere determinata non tanto da questioni tecnico-giuridiche quanto dalla preoccupazione di salvaguardare il contributo conoscitivo - spesso decisivo - del migrante, preservando la sua compatibilità con l’ufficio testimoniale. Tuttavia, dietro tale (comprensibile ma non legittima) motivazione potrebbero celarsi atteggiamenti poco ortodossi, attraverso cui al soggetto interrogato sarebbe prospettato un vantaggioso “baratto”: il rilascio di dichiarazioni erga alios in cambio dell’impunità, a cui conseguirebbe altresì (a vantaggio degli organi inquirenti) l’attribuzione della veste di testimone, anziché di indagato[18]. Lo stato di soggezione psicologica dell’interrogato rappresenterebbe l’humus ideale a «crea[re] terreno fertile» per «dichiarazioni compiacenti o negoziate a carico di terzi»[19].
3. Evitato intervento del giudice e principio di obbligatorietà dell’azione penale
Simile atteggiamento apre due profili critici: l’elusione dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost. e la violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. del dichiarante. Quanto al primo profilo, va rammentato come il principio di legalità della norma incriminatrice previsto dall’art. 25 comma 2 Cost., imponendo come «doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale, abbisogna per la sua concretizzazione, della legalità nel procedere … [la quale] non può essere salvaguardata che attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale»[20], a cui «il pubblico ministero è soggetto»[21].
Per garantire effettività all’art. 112 Cost., è così contemplato un sistema di controlli qualora il pubblico ministero ritenesse di non dover attivare la giurisdizione. A tal riguardo, vengono in rilievo l’art. 409 commi 4 e 5 c.p.p. e l’art. 17 comma 4 d.lgs. n. 274 del 2000, i quali attribuiscono, rispettivamente al giudice per le indagini preliminari e al giudice di pace, il potere sia di indicare al pubblico ministero il compimento di ulteriori indagini, laddove non risultasse soddisfatto il principio di completezza delle indagini, sia di ordinare l’imputazione, allorché dissentissero dalla diagnosi di infondatezza formulata dal pubblico ministero con la richiesta di archiviazione.
Ma soprattutto, per quanto qui interessa, l’intervento giurisdizionale può collocarsi anche a monte del procedimento penale, attraverso l’ordine di iscrivere nel registro delle notizie di reato un soggetto non ancora indagato o un’ipotesi di reato fino a quel momento mai oggetto di investigazioni. Esemplificativo è l’art. 415 comma 2 c.p.p. (richiamato anche dall’art. 17 comma 5 d.lgs. n. 274 del 2000), ai sensi del quale, in caso di procedimento contro ignoti, «il giudice … se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato». Peraltro, in via interpretativa, tale potere non viene circoscritto alla sola ipotesi esplicitamente contemplata dal legislatore, essendo, viceversa, considerato espressione di una regola generale che trova attuazione «a prescindere dal ‘tipo’ di archiviazione richiesta dal pubblico ministero»[22]; infatti, il controllo giurisdizionale non può essere delimitato «all’interno dei soli confini tracciati dalla notitia criminis delibata dal pubblico ministero … quasi che la stessa integri una domanda a devoluzione rigorosamente circoscritta, che impedisce qualsiasi sconfinamento da quel … tema»[23]. Più precisamente, sulla scorta dei poteri assegnatigli dall’art. 409 commi 4 e 5 c.p.p., si ritiene che il giudice - quale garante della legalità del procedere - possa ordinare al pubblico ministero di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di soggetti diversi rispetto a quelli per cui è già stata richiesta l’archiviazione, essendogli invece impedito sia di rinviare ad altra udienza per l’ulteriore corso del procedimento sia di disporre l’imputazione coatta[24].
Tuttavia, è indubbio che «la richiesta di archiviazione sia atto imprescindibile affinchè [il giudice] eserciti i propri poteri, pur potendo estendere il controllo anche oltre i petita dell’organo dell’accusa»; «l’intervento del [giudice] ex officio, svincolato da una domanda di parte, appare evenienza avulsa dal sistema»[25]. Infatti, nonostante l’art. 335 comma 1 c.p.p. preveda che «il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito», manca una norma che affidi all’organo giurisdizionale il potere di controllare l’inerzia del pubblico ministero nel momento propulsivo delle indagini: a tal riguardo, la Corte di legittimità ha precisato, seppure in tema di ritardata iscrizione, che «l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione … rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del p.m.»[26]; invero, «il compito della ‘iscrizione’ è … soggettivamente demandato al pubblico ministero, cui pertanto viene conferito il relativo munus, senza che il disposto normativo consenta di intravedere altre figure, del processo o delle indagini, legittimate a surrogare il ‘ritardato’ esercizio di tale potere dovere»[27].
Analogamente, la giurisprudenza ha escluso un sindacato giurisdizionale sulla decisione del pubblico ministero di optare per l’iscrizione nel registro delle pseudo-notizie di reato: per un verso, «il controllo del g.i.p. sull’operato del p.m. è previsto dal codice di rito solo nell’ipotesi in cui il p.m. aziona la domanda (chiedendo l’archiviazione o il rinvio a giudizio) e non nell’ipotesi in cui il procuratore della Repubblica si avvalga della facoltà ex art. 109 disp. att. c.p.p. di iscrivere l’atto nel registro delle pseudo-notizie (mod. 45)»; per l’altro, «la natura di parte del provvedimento esclude la possibilità dell’intervento diretto del giudice di legittimità, dato che l’eventuale accoglimento si sostanzierebbe nel sostituire alla volontà della parte (nella specie di cestinare per inesistenza della notitia criminis) quella del giudice di legittimità (di iscrivere la notizia di reato nel registro delle notizie di reato previste dall’art. 335 c.p.p.)»[28]. In tali circostanze, la giurisprudenza individua quale rimedio per far fronte all’inerzia del pubblico ministero il potere di avocazione del procuratore generale, affermando che, benché l’intervento avocativo sia espressamente previsto dall’art. 412 c.p.p. soltanto quando il pubblico ministero non eserciti l’azione penale o non richieda l’archiviazione nel termine prescritto, esso «a fortiori è esercitabile quando l’inattività del p.m. si spinge al punto da non effettuare l’iscrizione nell’apposito registro o da effettuarla nel registro delle pseudo-notizie, facendo così un uso distorto del suo potere»[29]. Peraltro, trascurando i dubbi sulla legittimità di un’estensione analogica dell’istituto dell’avocazione[30], l’assenza in questo momento di un controllo giurisdizionale[31] sul comportamento omissivo dell’organo dell’accusa, ritenendo quest’ultimo «l’unico soggetto … legittimato a individuare nell’atto la notitia criminis»[32], non esclude indebite elusioni del canone di obbligatorietà dell’azione penale[33]; infatti, il completo rispetto del principio costituzionale esigerebbe, quali «‘presupposti’ del dovere di procedere»[34], non solo l’attivazione della giurisdizione allorché dalle indagini preliminari emergesse la fondatezza della notitia criminis, ma pure la completezza delle investigazioni e ancora prima l’instaurazione del procedimento penale.
Data la generale cornice normativa, ne deriva che la scelta del pubblico ministero di non perseguire il migrante sprovvisto di regolare documento non è oggetto di sindacato, cosicchè nel corso delle indagini preliminari relative al traffico di migranti non sarebbe possibile contrastare l’attribuzione a tale fonte di prova della veste di persona informata sui fatti, tenuta a rispondere secondo verità alle domande formulate dagli organi inquirenti: ma ciò vale solo con riguardo alla fase delle indagini preliminari.
4. Il giudice quale garante della legalità processuale e del diritto di difesa del dichiarante
Infatti, l’ampia discrezionalità di cui gode il pubblico ministero potrebbe incontrare un importante freno allorché l’organo dell’accusa volesse sfruttare il contributo conoscitivo del migrante al fine di dimostrare in giudizio la colpevolezza di soggetti imputati in reati concernenti il favoreggiamento e lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. In particolare, qualora si procedesse all’esame testimoniale non assistito in dibattimento o in incidente probatorio, il dichiarante potrebbe rendere affermazioni autoindizianti, a seguito delle quali sembra ragionevole affermare che il giudice sia tenuto a sospendere l’esame ex art. 63 comma 1 c.p.p. e, in qualità di pubblico ufficiale, a trasmettere gli atti al pubblico ministero a norma dell’art. 331 comma 1 c.p.p.[35].
Ma il sindacato giurisdizionale potrebbe collocarsi già in un momento precedente: infatti, per il vaglio di legittimità ex art. 190 c.p.p. delle acquisizioni probatorie richieste dalle parti, all’organo giudicante dovrebbe riconoscersi il potere di verificare la corretta veste formale con cui si deve procedere all’esame della fonte dichiarativa, considerato che vanno escluse le prove vietate dalla legge e che l’art. 197 c.p.p. sancisce un divieto processuale diretto a salvaguardare tanto i diritti individuali del dichiarante quanto l’attendibilità del risultato (minacciata dall’ingresso di un contributo spurio, in quanto proveniente da un soggetto che potrebbe essere indotto a mentire per non autoincriminarsi).
Tuttavia, una parte della giurisprudenza (contrastata da quella ricordata infra § 5) circoscrive l’applicabilità dell’art. 63 comma 2 c.p.p. alla fase delle indagini preliminari, ammettendola in dibattimento nelle sole ipotesi in cui giudice e parti si siano “scordati” del corretto status del dichiarante[36], cioè quando l’esaminato, pur formalmente indagato o imputato, venga sentito come testimone. Sul presupposto che il giudice, a differenza del pubblico ministero, non possa attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, ma sia tenuto soltanto a verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, si reputa insufficiente la preesistenza di indizi di colpevolezza nei confronti del dichiarante, ritenendo occorrente pure l’accertamento della successiva formale instaurazione di un procedimento a carico del dichiarante[37]. Detto altrimenti, affinché operi il divieto probatorio, gli indizi di reità devono aver trovato sbocco, benché tardivamente, in un procedimento penale nei confronti del dichiarante. Solo se quest’ultimo abbia assunto prima di essere sentito in dibattimento anche lo status formale di soggetto indagato o imputato, le dichiarazioni rese come testimone (o come persona informata sui fatti) sono inutilizzabili erga alios (rectius, nei confronti di coimputati e imputati in procedimento connesso o collegato[38]), sempre che gli indizi a carico del dichiarante fossero allora già sussistenti. Per risolvere la questione relativa all’inutilizzabilità delle dichiarazioni bisognerebbe dunque verificare, in un primo step, se - al momento in cui sono state rilasciate - fossero già esistenti indizi di reità e - successivamente - se sia stato aperto un procedimento penale nei confronti del dichiarante, essendo richiesto «un giudizio combinatorio: ex ante relativamente allo status di soggetto sostanzialmente indagato, ex post relativamente allo status di soggetto formalmente indagato»[39].
Nondimeno, quest’interpretazione dell’art. 63 comma 2 c.p.p., riduttiva del suo ambito applicativo, non permetterebbe il recupero delle dichiarazioni pregresse del soggetto sentito come testimone in dibattimento, comunque fisiologicamente inutilizzabili ai fini della condanna[40], risultando però compromessa la tutela del diritto di difesa. Infatti, il dichiarante, non avendo un indiscriminato diritto al silenzio ma un più limitato privilegio contro l’autoincriminazione ex art. 198 comma 2 c.p.p.[41], di cui, per di più, neppure viene informato all’inizio dell’esame[42], potrebbe rilasciare, mentre parla del fatto altrui, dichiarazioni contra se, a seguito delle quali il giudice, come già detto, è tenuto a trasmettere gli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 331 comma 1 c.p.p.
5. L’inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali rese dal migrante
Appare così apprezzabile quella giurisprudenza che afferma l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal migrante sentito come persona informata dei fatti, laddove il giudice del dibattimento dissentisse con la scelta del pubblico ministero di non procedere nei confronti del dichiarante, introducendo «un efficace deterrente (per l'appunto la inutilizzabilità assoluta) rispetto a possibili patologici mercanteggiamenti tra le autorità inquirenti e il soggetto raggiunto da indizi di reità che possano oggettivamente condizionarne il racconto sotto il profilo della genuinità. In buona sostanza, il legislatore introducendo una forma di inutilizzabilità patologica intende evitare che in siffatta ipotesi il propalante, avendo contezza della sussistenza di indizi a suo carico e della conoscenza di essi da parte dell’autorità procedente, si senta indotto a dichiarazioni accusatorie, compiacenti o negoziate a carico di terzi, rese nella speranza di conseguire una ‘obliterazione dei reati’ configurabili nei suoi confronti»[43]. Ma non deve peraltro sfuggire che l’accordo - proprio perché irrituale - è pure fortemente precario per il dichiarante, in quanto rischia di crollare innanzi all’organo giurisdizionale, che abbiamo già rilevato essere titolare del potere-dovere di denuncia.
Una volta emersi (o scoperti) gli indizi di reità e riconosciuti gli obblighi del giudice di interrompere l’atto probatorio, di formulare gli avvertimenti di cui all’art. 63 comma 1 c.p.p. e di tramettere l’informativa all’ufficio della procura, il controllo giurisdizionale va esteso - risultando ormai difficilmente eludibile l’imminente attribuzione formale al dichiarante dello status di persona indagata - alla verifica della retrodatabilità degli indizi di reità, con la conseguente inutilizzabilità ex art. 63 comma 2 c.p.p. delle pregresse dichiarazioni. La locuzione «sin dall’inizio» contenuta in tale ultima norma non presupporrebbe soltanto una già precedentemente avvenuta formale attribuzione al dichiarante della qualifica di indagato, bensì starebbe a indicare l’evenienza in cui il teste avrebbe dovuto essere sentito nella veste di persona indagata o imputata fin dalle prime battute dell’esame, essendo gli indizi nuovamente emersi dalla sua deposizione già anteriormente in possesso dell’autorità inquirente: non potendosi ritenere «un colpo di scena la self-incrimination»[44], tutte le dichiarazioni rese sino a quel momento sono inutilizzabili nei confronti di chiunque.
Ne deriva che, nonostante la reiterata inerzia del pubblico ministero rilevi solo sul piano penale o disciplinare[45], nell’ottica processuale la suddetta condotta del giudice avrebbe comunque l’effetto di neutralizzare i vantaggi probatori derivanti dall’omessa iscrizione.
E una volta riconosciute al giudice le sopracitate prerogative, proprio l’esigenza di salvaguardare il diritto di difesa (nonché di garantire un risultato conoscitivo spendibile per la decisione, sebbene con i limiti derivanti dall’art. 192 commi 3 e 4 c.p.p.) dovrebbe consentire di anticipare, già in sede di ammissione della prova, quindi in un momento antecedente all’esame, questa verifica, al fine di evitare che la deposizione testimoniale, da un lato, possa aggravare un già esistente (benché celato) quadro indiziario a carico del dichiarante e, dall’altra, determinando appunto la formale emersione di tale quadro, sia colpita dall’inutilizzabilità di cui all’art. 63 comma 2 c.p.p.
Resta il dubbio se un simile controllo sia attivabile pure in caso di acquisizione dei verbali delle precedenti dichiarazioni, allorché l’imputato (del reato per cui il migrante è stato sentito come persona informata sui fatti) presentasse istanza di rito abbreviato ovvero il pubblico ministero chiedesse la lettura ex art. 512 e 512-bis c.p.p. per sopravvenuta e imprevedibile (sempre che possa ritenersi tale l’assenza dibattimentale di un soggetto irregolarmente giunto sul territorio nazionale) impossibilità di ripetizione dell’atto: si potrebbe prospettare l’operatività dell’inutilizzabilità ex art. 63 comma 2 c.p.p. per già avvenuta violazione del diritto di difesa del dichiarante (costretto a deporre nonostante la sussistenza di indizi a suo carico), almeno laddove dalla lettura di tali verbali il giudice desumesse la sussistenza di indizi di reità giustificanti l’esercizio del potere-dovere di sollecitare il pubblico ministero ai sensi dell’art. 331 comma 1 c.p.p.
Innegabilmente, questa ricostruzione determina, da un lato, un considerevole aumento di costi, derivanti sia dalla necessità di assicurare per ogni straniero giunto irregolarmente l’assistenza difensiva sia dall’avvio di migliaia di procedimenti penali nei confronti di soggetti decisi a dirigersi in altro Stato o comunque a far perdere le proprie tracce il prima possibile e, dall’altro, un più difficile accertamento (a causa quantomeno della necessità di riscontrare le dichiarazioni dei migranti, ai fini della loro utilizzazione in chiave decisoria) di altri e ben più gravi reati legati al fenomeno migratorio: tuttavia, ragioni di convenienza pratica e investigativa dell’organo inquirente non possono giustificare soluzioni processuali palesemente contrarie al diritto di difesa, al principio di legalità processuale e al principio di obbligatorietà dell’azione penale[46].
6. Dubbia configurabilità della contravvenzione a fronte del nuovo modus operandi dell’immigrazione irregolare via mare
Tuttavia, le nuove modalità attraverso cui viene gestito il traffico via mare dei migranti sembrerebbero offrire qualche spazio alla possibilità di evitare l’attribuzione dello status di indagato allo straniero giunto sulle coste italiane senza essere in possesso del titolo legittimante l’ingresso, preservandone la compatibilità a testimoniare. Infatti, le organizzazioni criminali, al fine di eludere i controlli e facilitare l’arrivo dei migranti nel nostro Paese, utilizzano sempre più spesso, per la prima parte del viaggio, “navi madri” cariche di persone che partono dai Paesi costieri del Nordafrica e che, appena giunte in prossimità delle acque territoriali italiane, trasbordano i migranti in piccole e fatiscenti imbarcazioni prive di nazionalità che sono poi soccorse in acque internazionali dalle autorità nazionali o dalle navi di organizzazioni non governative.
In tali circostanze, la giurisprudenza non è univoca nell’affermare la sussistenza del reato di immigrazione clandestina. Un primo indirizzo, ormai minoritario, prende le mosse dalla giurisprudenza relativa al reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare di cui all’art. 12 d.lgs. n. 286 del 1998[47], la quale, ricorrendo al concetto di autorità mediata, afferma la giurisdizione italiana per i fatti commessi dai trafficanti, nonostante la loro condotta termini materialmente in acque internazionali; da tale premessa, anche al migrante soccorso in acque internazionali viene attribuito non il mero tentativo di ingresso irregolare (che, data la natura contravvenzionale della fattispecie, sarebbe penalmente irrilevante), bensì il corrispondente reato consumato, con la conseguenza che tale soggetto (al pari del migrante soccorso in acque territoriali o giunto direttamente sulla costa italiana) è sentito quale indagato di reato connesso[48]. Viceversa, un indirizzo più recente, avallato anche da una pronuncia delle sezioni unite[49], esclude l’ipotizzabilità del reato di ingresso illegale a carico del migrante soccorso in acque internazionali, non potendogli essere addebitata anche l’attività di salvataggio che lo conduce materialmente sul territorio italiano: questa soluzione ermeneutica è indubbiamente preferibile, in quanto il soccorso, almeno qualora sia disposto dall’autorità marittima, non può ritenersi né previsto né in qualche modo fatto proprio dal migrante. Negata la sussistenza di una fattispecie illecita, il migrante è dunque compatibile con l’ufficio testimoniale.
7. Ineffettività di un reato meramente simbolico
Più in generale, a dover essere evidenziato è l’ingiustificato aggravio all’accertamento derivante dalla configurazione della contravvenzione: infatti, senza soffermarsi sui dubbi di legittimità costituzionale[50], peraltro ritenuti infondati dalla Corte costituzionale[51], vanno evidenziati tanto la sua ineffettivitàquanto il suo carattere fortemente simbolico. Con riguardo al primo profilo, anzitutto, la pena pecuniaria è destinata a non essere eseguita, tenuto conto dell’altamente probabile condizione di indigenza del migrante; in secondo luogo, la sua sostituzione con l’espulsione ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 286 del 1998, la quale è stata considerata «la vera sanzione di questo reato»[52], è subordinata a condizioni - quali quelle previste dall’art. 14 d.lgs. n. 286 del 1998 - «quasi mai realizzabili»[53]; infine, lo stesso rimpatrio coattivo incontra il più delle volte ostacoli insormontabili, come «difficoltà di riconoscimento, assenza di risorse economiche (mezzi e personale), difficoltà sul piano degli accordi internazionali»[54].
Quanto alla forte carica simbolica del reato di “clandestinità”, essa emerge sia dalla ridondanza rispetto ai meccanismi amministrativi di repressione dell’irregolarità sia dalla sua inutilità. Con riguardo al primo aspetto, la previsione di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 si prefigge un obiettivo «già conseguibile a parità di condizioni in via amministrativa»[55]: infatti, nei confronti dello straniero irregolarmente giunto sul territorio italiano è prevista pure l’espulsione amministrativa a opera del prefetto, cosicché vengono a coesistere due procedimenti paralleli, quello penale e quello amministrativo, entrambi diretti all’allontanamento dal territorio nazionale. Ebbene, se nelle more dello svolgimento del processo penale viene eseguita l’espulsione amministrativa, il giudice pronuncia, ex art. 10-bis comma 5 d.lgs. n. 286 del 1998, sentenza di non luogo a procedere; altrimenti, il processo penale prosegue e, qualora sia accertato il reato, è irrogata la pena pecuniaria dell’ammenda, sostituibile con l’espulsione.
Vero è che la criminalizzazione della clandestinità pare rispondere all’obiettivo di sterilizzare gli obblighi imposti dalla dir. 16 dicembre 2008 n. 2008/115/CE (cosiddetta direttiva rimpatri) del Parlamento europeo e del Consiglio[56]. Tale direttiva, stabilisce la regola generale che prima modalità di allontanamento dei cittadini extracomunitari è la partenza volontaria (e non l’espulsione), salvo che il rimpatrio costituisca applicazione di una sanzione penale o comunque una conseguenza di essa: al ricorrere di tale ultima ipotesi, l’art. 2 comma 2 lett. b consente allo Stato di non applicare le disposizioni della direttiva. La previsione del reato di ingresso irregolare e della sanzione - sia pure sostitutiva - dell’espulsione permetterebbe dunque di procedere immediatamente all’allontanamento dello straniero per il tramite di misure coercitive.
Tuttavia, va rammentato come all’entrata in vigore della fattispecie contravvenzionale si fosse dubitato della sua idoneità a consentire l’inapplicabilità della disciplina sui rimpatri dettata dalla dir. n. 2008/115/CE del 2008 (in particolare, laddove dispone che l’espulsione coattiva debba essere preceduta dalla previsione di un termine per la partenza volontaria): infatti, si era sottolineato come un’interpretazione dell’art. 2 comma 2 lett. b conforme alla sua ratio dovesse indurre a escludere dall’ambito di operatività della suddetta disciplina generale soltanto gli stranieri condannati e sottoposti all’espulsione per aver commesso reati diversi dal mero ingresso o soggiorno irregolare[57]. In ogni caso, anche trascurando tale rilievo, l’elevata difficoltà di disporre i rimpatri coattivi (conseguenti sia a un procedimento amministrativo sia a un procedimento penale) rischia di rendere l’incriminazione «del tutto inutile rispetto agli scopi perseguiti …, non contribuendo in alcun modo all’allontanamento degli stranieri illegalmente residenti nel nostro paese, e non svolgendo alcun serio effetto deterrente rispetto a chi sia intenzionato a recarvisi»[58]: ne consegue che «l’unica ragion d’essere sta nel suo carattere simbolico, del tutto funzionale a politiche securitarie»[59] «ansios[e] di incamerare facili rendite demoscopiche o elettorali del senso di insicurezza diffuso»[60].
Abstract: The paper analyzes the controversial issue of the role in which migrants rescued at sea must be heard in the proceedings for the crime of aiding illegal entry: as witnesses or as suspects of a related crime, the latter represented by the illegal entry contravention ex art. 10-bis l. n. 941/2009. Considering that the arrival of the foreigner in Italian territory (land surface or coastal sea) without a regular document inevitably integrates the details of the aforementioned crime, the opening of a criminal proceeding appears to be a duty, with the consequence that the migrant must be questioned as a defendant in related proceedings. The opposite solution of hearing the migrant as a witness is detrimental to the right of defense, as well as to the principle that the rules of criminal procedure must be laid down by law.
Keywords: The migrant as source of evidence – witness or defendant of a connected or related crime - use and evidential value of his statements - right of defense – principle that the rules of criminal procedure must be laid down by law - principle of mandatory prosecution
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
** Il presente contributo costituisce il risultato degli studi sviluppati nell’ambito del “Progetto di ricerca di interesse d’Ateneo” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano su: “Immigrazione e integrazione. Società multietnica e tutela della dignità della persona”.
[1] Per un commento, cfr., tra gli altri, L. Ferrajoli, La criminalizzazione degli immigrati. Note a margine della legge n. 94/2009, in Quest. giust., 5 (2009), pp. 9 ss.; L. Pepino, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n. 94/2009, in Dir. imm. citt., 4 (2009), pp. 9 ss.; C. Renoldi, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, in P. Morozzo della Rocca (a cura di), Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali. Aggiornamento alla legge 15 luglio 2009 n. 94 recante “disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, Milano 2009, pp. 13 ss.
[2] La competenza a giudicare il reato spetta, ai sensi dell’art. 4 comma 2 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, al giudice di pace e il procedimento segue, qualora ricorrano i presupposti della flagranza di reato e dell’evidenza probatoria, le forme speciali previste dagli art. 20-bis, 20-ter e 32-bis d.lgs. n. 274 del 2000, con presentazione immediata al giudice di pace o citazione contestuale dell’imputato in udienza: in argomento, cfr. S. Lorusso, Strappi e scorciatoie nel trattamento processuale del migrante clandestino, in Dir. pen. proc., Speciale immigrazione, 2009, pp. 56 ss.; G. Varraso, Il nuovo rito a “presentazione immediata” dello straniero clandestino, in O. Mazza - F. Viganò (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009 (Commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 e alla legge 15 luglio 2009, n. 94), Torino 2009, pp. 83 ss., il quale, peraltro, sottolinea come l’adozione di questo modello procedimentale (in sostituzione dell’iter ordinario posto dagli art. 11 ss. d.lgs n. 274 del 2000) sia altresì subordinata all’identificazione certa e precisa dell’accusato, poiché la richiesta con cui la polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l’autorizzazione alla presentazione immediata deve indicare, ex art. 20-bis comma 2 d.lgs. n. 274 del 2000, le generalità dell’imputato (ivi, p. 97-98).
[3] L. Milella, Roberti: il reato di immigrazione clandestina? La legge che ha solo ostacolato le indagini sui trafficanti, in La Repubblica, 8 gennaio 2016, consultabile all’indirizzo internet https://www.repubblica.it (ultimo accesso il 9 dicembre 2020).
[4] Come evidenziato da L. Masera, Il diritto penale dei “nemici” - la disciplina in materia di immigrazione irregolare, in Riv. it. dir. proc. pen., 2 (2020), p. 824, pure il Ministro dell’interno, sentito in sede parlamentare nel 2014, in occasione della mancata depenalizzazione del reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998, era consapevole di come la configurazione dell’ingresso irregolare quale reato fosse dannosa ai fini di un’efficace lotta alle migrazioni irregolari, privando della natura testimoniale le dichiarazioni - accusatorie nei confronti degli scafisti - rese dagli stranieri giunti irregolarmente sulle coste italiane.
[5] Inoltre, in relazione alle sommarie informazioni di polizia, la «non menzione …dei comportamenti doverosi dell’interrogante» (S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, in G. Ubertis - G.P. Voena (a cura di), Trattato di procedura penale, XXXIII.2, Milano 2000, pp. 130, nota 223) è superabile estendendo in via interpretativa gli avvertimenti di cui all’art. 64 comma 3 c.p.p. (cfr. M. Bargis, sub art. 8, l. 1° marzo 2001, n. 63, in Leg. pen., 1/2 (2002), p. 238; C. Conti, Le nuove norme sull’interrogatorio dell’indagato (art. 64 c.p.p.), in P. Tonini(a cura di), Giusto processo.Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova (Legge 1º marzo 2001, n. 63), Padova 2001, p. 203). Nondimeno, sembra doversi escludere che tale estensione possa concernere pure l’avvertimento di cui alla lett. c della norma in oggetto, in quanto, considerato il suo contenuto sfavorevole nei confronti del dichiarante, vi osta il divieto di analogia in malam partem, con l’ovvia conseguenza che le eventuali dichiarazioni erga alios sono inidonee a permettere il passaggio allo status di testimone assistito (cfr., volendo, R. Casiraghi,Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non possono generare la figura del testimone assistito, in Ind. pen., 2 (2006), pp. 692-693. Anche A. Sanna, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti connessi alla luce del giusto processo, in Trattato di procedura penale, cit., VII.2.A, Milano 2007, p. 106, esclude tale mutamento di veste processuale, benché in ragione della non indefettibile presenza del difensore). V., però, in giurisprudenza, Cass., sez. I, 10 maggio 2012, in Cass. pen., 3 (2013), p. 1079, m. 262, con motivazione e con nota di M. Sculco, secondo cui devono essere resi tutti gli avvertimenti di cui all’art. 64 comma 3 c.p.p.
[6] Sull’enorme dispendio di risorse determinato da un’«onda travolgente» di nuovi procedimenti, v. P. Pisa, La repressione dell’immigrazione irregolare: un’espansione incontrollata della normativa penale?, in Dir. proc. pen., spec. 1 (2009), p. 6.
[7] G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Milano 2017, p. 128, anche sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
[8] Sul tema, a favore del ricorso alla causa di improcedibilità per particolare tenuità del fatto, v. I. Fonzio, Le garanzie dell’imputato nei procedimenti in materia migratoria, in I quaderni europei, 52 (2013), pp. 6-7; C. Renoldi,I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 4 (2009), pp. 54-55. Per una rassegna della giurisprudenza (anche contraria) in materia, v. L. Masera, Art. 10 bis TU Imm., in E. Dolcini - G.L. Gatta(a cura di), Codice penale commentato, Milano 2015, pp. 2651 ss.
[9] A seguito di Corte cost., sent. 21 novembre 2006 n. 381, in Giur. cost., 6 (2006), pp. 3972 ss., con osservazione di O. Mazza, e di Corte cost., sent. 26 gennaio 2017 n. 21, ivi, 1 (2017) pp. 142 ss., con osservazione di O. Mazza, le dichiarazioni rilasciate nella veste di testimone sono pienamente utilizzabili, anche in assenza di riscontri, soltanto quando l’imputato in procedimento connesso o collegato sia stato definitivamente prosciolto “per non aver commesso il fatto” o “perché il fatto non sussiste”.
[10] Come rileva F. Cassibba, Perduranti equivoci su notizia di reato e pseudo-notizia, in Cass. pen., 7/8 (2020), p. 2802, «in un sistema governato dal principio di legalità dell’azione amministrativa desunto dall’art. 97, comma 2, Cost., neppure dovrebbero essere immaginabili indagini ‘occulte’, prive di riscontro in alcun archivio».
[11] Questa definizione è di G. Giostra, L’archiviazione, Torino 1994, p. 46.
[12] È controverso se di fronte alle pseudo notizie di reato, il pubblico ministero possa procedere alla “cestinazione” (così F. Caprioli, L’archiviazione, Torino 1995, p. 394 ss.; L. Carli, La notitia criminis e la sua iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., in Dir. pen. proc., 6 (1995), p. 737; G. Fumu, sub art. 335 c.p.p., in M. Chiavario(coordinato da), Commento al nuovo codice di procedura penale, IV, Torino 1990, p. 58; G. Giostra, L’archiviazione, cit., p. 41 ss.; S. Sau, Fatti non previsti dalla legge come reato e archiviazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 3 (1992), p. 1169 ss.; nonché Cass., sez. un., 15 gennaio 2001, ignoti, in Dir. pen. proc., 2 (2001), p. 229 ss., con motivazione) o sia comunque tenuto a procedere all’iscrizione nel registro delle notizie di reato ed eventualmente a chiedere l’archiviazione (così F.R. Dinacci, Il controllo giurisdizionale sulla decisione del pubblico ministero di non esercitare l’azione penale, in Cass. pen., II (1991), p. 580; D. Potetti, Attività del p.m. diretta all’acquisizione della notizia di reato e ricerca della prova, ivi, 1 (1995), p. 136; P.P. Rivello, Perplessità e contrasti in ordine alla legittimità del cosiddetto potere di “cestinazione” da parte del p.m., in Dif. pen., 1 (1992), p. 50; C. Scaccianoce, Archiviazione o cestinazione delle pseudo notizie di reato: un problema ancora irrisolto, in Cass. pen., 12 (2000), p. 3474).
[13] F. Caprioli, L’archiviazione, cit., p. 394.
[14] È inclusa nel concetto di “ingresso illegale” pure la fattispecie di “respingimento differito” di cui all’art. 10 comma 2 lett. b d.lgs. n. 286 del 1998, cioè la situazione in cui allo straniero è consentito l’ingresso temporaneo nel territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso, in quanto il successivo art. 10-bis comma 2 d.lgs. n. 286 del 1998 esclude espressamente la rilevanza penale soltanto per la fattispecie contemplata dall’art. 10 comma 1 d.lgs. n. 286 del 1998, in cui il migrante è respinto al valico di frontiera (oltre che per quella in cui lo straniero è identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale): cfr., per tutti, G.L. Gatta, Il ‘reato di clandestinità’ e la riformata disciplina penale dell’immigrazione, in Dir. pen. proc., 11 (2009), p. 1327.
[15] L’art. 10-bis commi 5 e 6 d.lgs. n. 286 del 1998 prevede in queste ipotesi la pronuncia di non luogo a procedere da parte del giudice di pace; tuttavia, allorché l’azione penale non fosse stata ancora esercitata, nulla sembrerebbe ostare alla rinuncia al suo esercizio, attraverso la richiesta di archiviazione.
[16] Nondimeno, in dottrina si è distinto a seconda del momento di presentazione della domanda di protezione internazionale: il procedimento penale non dovrebbe essere neppure avviato nelle ipotesi in cui lo straniero in condizioni di ingresso o di soggiorno irregolari presentasse la domanda al valico di frontiera prima o dopo i controlli di frontiera, mentre il procedimento penale potrebbe essere avviato e poi sospeso nelle ipotesi in cui lo straniero irregolare fosse già destinatario di un provvedimento di respingimento disposto dal questore o di un provvedimento di espulsione e dopo l’adozione di tali provvedimenti presentasse tale domanda (così P. Bonetti,La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, in Diritto immigrazione e cittadinanza,4 (2009), p. 101 ss.).
[17] Cfr. G. Giostra, L’archiviazione, cit., p. 42; P.P. Paulesu, Notizia di reato, in Digesto delle discipline penalistiche, agg. VI, Torino 2011, p. 361. Peraltro, F. Caprioli, L’archiviazione, cit., p. 402 ss., sottolinea il rischio che la vis espansiva dell’istituto della cestinazione possa ricomprendere pure le ipotesi in cui fosse di immediata evidenza la sussistenza di una causa di estinzione del reato o di improcedibilità.
[18] Cfr. P. Nigro, L’indagato sentito come testimone: quali poteri al giudice in dibattimento, in Dir. pen. proc., 7 (2005), p. 885.
[19] A. Sanna, Ristretto l’uso delle dichiarazioni autoindizianti, in Dir. pen. proc., 5 (1997), p. 605, da cui è tratta pure la citazione precedente.
[20] Corte cost., sent. 15 febbraio 1991, n. 88, in Giur. cost., 1 (1991), p. 590.
[21] G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, cit., p. 168.
[22] Corte cost., sent. 18 maggio 1999 n. 176, in Giur. cost., 3 (1999), p. 1741.
[23] Corte cost., sent. 30 dicembre 1993 n. 478, in Cass. pen., 5 (1994), p. 1168.
[24] Cfr. Cass., sez. un., 28 novembre 2013, L., in Cass. pen., 9 (2014), p. 2768, m. 589.1, con motivazione e con nota di G. Cecanese; Cass., sez. un., 31 maggio 2005, Minervini, ivi, (10) 2005, p. 2860, m. 1226, con motivazione e con nota di F. Cassibba: In dottrina, per la legittimità di un simile ordine di iscrizione, cfr. F. Alonzi, Contenuti e limiti del controllo giurisdizionale sull’inazione del pubblico ministero, in Riv. it. dir. proc. pen., 3 (2006),p. 976; A. Ciavola, I poteri del g.i.p. in seguito al controllo della richiesta di archiviazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2 (2005), pp. 801-802. Contra, ritenendo decisivi il silenzio della norma sul punto e il carattere eccezionale della previsione di cui all’art. 415 c.p.p., cfr. A. Marandola, I registri del pubblico ministero, Padova 2001, p. 274; B. Nacar,Una ricostruzione sistematica degli spazi di intervento del G.I.P. in sede di archiviazione, in Giur. it., 2 (2019), pp. 438-439; R. Orlandi, Le singolari vicende dei procedimenti contro ignoti, in Dir. pen. proc., 5 (1999), p. 610.
[25] F. Cassibba, Sui poteri del g.i.p. ex art. 409 commi 4 e 5 c.p.p., in Cass. pen., 10 (2005), p. 2870, da cui è tratta pure la citazione precedente.
[26] Cass., sez. un., 30 maggio 2000, Tammaro, in Cass. pen., 12 (2000), p. 3267, in motivazione.
[27] Cass., sez. un., 24 settembre 2009, Lattanzi, in Cass. pen., 2 (2010), p. 508, in motivazione. Anteriormente, per l’opinone opposta, attributiva al giudice del potere di retrodatare l’iscrizione al momento in cui sarebbe dovuta avvenire, al fine di individuare in questo (e non in quello in cui è stata effettivamente eseguita) il dies a quo del termine di durata delle indagini preliminari di cui agli art. 405-407 c.p.p., sancendo l’inutilizzabilità ex art. 407 comma 3 c.p.p. degli atti eventualmente compiuti oltre il termine così individuato, cfr. Cass., sez. I, 17 marzo 2009, Salesi e altri, in Giur. it., 12 (2009), p. 2507 ss., con motivazione; Cass., sez. V, 21 settembre 2007, Boscarato, in CED, n. 236029; Cass., sez. V, 8 ottobre 2003, Liscai, in Cass. pen., 4 (2005), p. 1327, m. 516, con motivazione e con nota di R. Aprati.
[28] Cass., sez. un., 11 luglio 2001, Chirico, in Cass. pen., 3 (2002), p. 936, in motivazione, da cui è tratta anche la citazione precedente.
[29] Cass., sez. un., 11 luglio 2001, Chirico, cit., p. 937, in motivazione. Il potere di avocazione del procuratore generale sembrerebbe rafforzato dai nuovi art. 1 comma 2 e 6 comma 1 d.lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 (così come modificati dall’art. 1 commi 75 e 76 l. 23 giugno 2017 n. 103), i quali prevedono, rispettivamente, che spetta al procuratore della Repubblica il compito di assicurare «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione della notizia di reato» da parte dei magistrati appartenenti all’ufficio e che il procuratore generale presso la Corte di appello acquisisce in proposito dati e notizie dai procuratori della Repubblica del distretto e invia annualmente una relazione al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Resta tuttavia il dubbio sull’effettività di tali controlli: come sottolineato da F. Cassibba, La notizia di reato e l’avvio delle indagini preliminari, in Sistema di procedura penale, II, Persone, strumenti, riti, Milano 2020, p. 430, è «irrealistico immaginare un effettivo controllo in via gerarchica alla luce delle risorse scarse di cui dispongono gli uffici in rapporto all’enorme mole di notizie di reato».
[30] Cfr. F. Cordero, Procedura penale, Milano 2012, p. 201; M. Mercone, Sulla «avocazione per analogia» delle pseudo-notizie di reato, in Cass. pen., 3 (2002), pp. 942-944.
[31] Per il rilievo della mancanza di una rigida regolamentazione normativa delle valutazioni affidate al pubblico ministero in sede di iscrizione della notizia di reato, v. F. Cassibba, Perduranti equivoci su notizia di reato e pseudo-notizia, cit., pp. 2806-2807; nonché A. Marandola, Disfunzioni e rimedi nella gestione dei registri della notizia di reato, in Inazione, controlli, esecuzione. Atti del Convegno in ricordo di Giovanni Dean, Pisa, 2017, p. 80, la quale osserva come la disponibilità del registro destinato ai fatti non costituenti notizia di reato (mod. 45), «combinato con la (lamentata) assenza di una chiara nozione di notitia criminis, fornisce al pubblico ministero il salvacondotto per un incontrollato smistamento fra ciò che è penalmente illecito o meno, con inevitabili ripercussioni sulla fattibilità di un controllo procedimentale dell’attività de qua e del correlato principio di obbligatorietà dell’azione penale».
[32] Cass., sez. un., 22 novembre 2000, Buonarroti, in Cass. pen., 4 (2001), p. 1781, in motivazione.
[33] In materia di archiviazione, per l’opinione secondo cui il principio di obbligatorietà dell’azione penale imponga un controllo giurisdizionale sull’inazione, cfr. P. Ferrua, Il ruolo del giudice nel controllo delle indagini e nell’udienza preliminare, in Dif. pen., 1 (1989), p. 55; G. Giostra, L’archiviazione, cit., p. 9-10; V. Grevi, Archiviazione per “inidoneità probatoria” ed obbligatorietà dell’azione penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 4 (1990), p. 1302;R.E. Kostoris, Per un’obbligatorietà temperata dell’azione penale, in Riv. dir. proc., 4 (2007), p. 875. Diversamente, per la tesi che esclude l’indefettibilità di una verifica giurisdizionale al fine di assicurare il rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale, v. F. Caprioli, L’archiviazione, cit., p. 518 ss., secondo cui sarebbe costituzionalmente illegittimo, per un verso, l’assenza di una reale forma di controllo sull’inazione del pubblico ministero, e, per l’altro, una supervisione affidata a un organo gerarchicamente sovraordinato, tale non dovendo ritenersi il procuratore generale; in senso analogo, v. F. Dinacci, Il controllo giurisdizionale sulla decisione del pubblico ministero di non esercitare l’azione penale, in Cass. pen., II (1991), p. 582; E. Marzaduri, Azione IV) dir. proc. pen., in Enciclopedia giuridica Treccani, IV, Roma 1996, p. 2.
[34] M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione penale; il principio e la realtà, in Cass. pen., 11 (1993), p. 2661.
[35] Sulla doverosità di tale comportamento, qualora nel corso del procedimento il giudice ravvisi un reato diverso rispetto a quello oggetto del procedimento stesso, v. Cass., sez. VI, 3 giugno 2014, Grossi, in CED, n. 260254; Cass., sez. II, 23 giugno 1998, Digregorio, in Arch. n. proc. pen., 1 (1999), p. 80. In dottrina, si è ricorso all’art. 331 comma 1 c.p.p. anche per legittimare il giudice per le indagini preliminari aordinare all’inquirente, in sede di archiviazione, nuove iscrizioni soggettive od oggettive: cfr. M. Daniele, Poteri e controlli gip-p.m., ecco la mappa, in Dir. giust., 28 (2005), p. 41; G. Spangher, L’imputazione coatta: controllo o esercizio dell’azione penale, in Le riforme complementari. Il nuovo processo minorile e l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario,Padova 1991, p. 151. Diversamente, per la tesi che reputa non invocabile l’art. 331 comma 1 c.p.p., in quanto «la norma si rivolge ai pubblici ufficiali che svolgono la loro attivita` fuori dal ‘circuito penalistico’», v. B. Nacar,Una ricostruzione sistematica degli spazi di intervento del G.I.P. in sede di archiviazione, cit., p. 440, la quale auspica invece un’applicazione estensiva dell’art. 521 c.p.p. pure in sede di archiviazione (ivi, p. 441 ss.).
[36] M. Nigro, L'indagato sentito come testimone: quali poteri al giudice in dibattimento?, cit., pp. 888-890.
[37] Cass., sez. V, 19 marzo 2015, Migliaccio, in CED, n. 263908, secondo cui «il divieto di utilizzazione nei confronti di terzi di dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato non attiene alle dichiarazioni rese al giudice da soggetto che mai abbia assunto la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, considerato che, a differenza del p.m., il giudice non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, dovendo solo verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sussistendo in tal caso l'incompatibilità con l'ufficio di testimone; pertanto il riferimento alla posizione sostanziale del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell'art. 63 c.p.p., verifica che si estende alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico». Allo stesso modo, v. Cass., sez. V, 22 marzo 2019, B., ivi, n. 276856; Cass., sez. II, 27 gennaio 2005, Amelio, in Cass. pen., 6 (2005), p. 1036, m. 365; Cass., sez. VI, 12 maggio 2004, P.V. e altri, in Dir. pen. proc., 7 (2005), p. 879 ss., con motivazione e con nota di M. Nigro; Cass., sez. II, 14 ottobre 2003, Di Capua, in Cass. pen., 4(2005), p. 1325, m. 513.
[38] Cfr. Cass., sez. un., 25 febbraio 2010, Mills, in Cass. pen., 9 (2010), p. 2995, m. 927.2, con motivazione e con nota di F.M. Ferrari; Cass., sez. un., 13 febbraio 1997, Carpanelli, ivi,9 (1997), p. 2428, con motivazione e con nota redazionale di G. Tomei.
[39] R. Aprati, Riflessioni intorno all’art. 63 comma 2 c.p.p.: accertamento dello status di persona già indiziata e ripercussioni in tema di elusione dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato, in Cass. pen., 11 (2004), p. 3668.
[40] In quanto formate unilateralmente nel corso delle indagini preliminari.