Alcune note di confronto in tema di Beugestrafe e misure coercitive tra Austria e Italia
Maximilian Dallago
Dottorando di ricerca presso le Università di Innsbruck e Padova
Alcune note di confronto in tema di Beugestrafe e misure coercitive tra Austria e Italia*
English title: The Austrian Beugestrafe and the Italian misura coercitiva – a legal comparison on indirect coercive measures
DOI: 10.26350/18277942_000030
Sommario: 1. Introduzione. 2. La diversa concezione dell’esecuzione forzata negli ordinamenti austriaco ed italiano. 3. Il (non più richiesto) requisito dell’infungibilità dell’obbligazione ai fini dell’applicazione delle misure coercitive. 4. L’istanza di parte come requisito imprescindibile in entrambi gli ordinamenti. 5. La misura coercitiva italiana; applicazione concreta e problematiche. 5.1 L’esecuzione della misura coercitiva. 6. La Beugestrafe austriaca. 6.1. (Segue) Gli obblighi infungibili di fare. 6.2. (Segue) Gli obblighi infungibili di non fare. 7. Conclusioni.
1. Introduzione
Tanto si è discusso della misura coercitiva introdotta in Italia dall’art. 614-bis c.p.c., anche alla luce dei più recenti interventi legislativi[1] e giurisprudenziali[2]. E in questa direzione appare assai utile ritornare alla comparazione giuridica[3], confrontando la misura in questione con quelle, ad esse equivalenti, presenti in altri ordinamenti. Invero, è stato sempre prediletto sul tema il confronto anzitutto con l’ordinamento francese, che senza dubbio ha esercitato una influenza particolarmente forte su quello italiano, e poi con l’ordinamento tedesco[4]; è stata invece trascurata la comparazione con il sistema austriaco, questo forse anche in ragione del fatto che il diritto austriaco e quello tedesco vengono spesso superficialmente accomunati. In realtà, pur essendovi certamente dei tratti comuni a tutti i cosiddetti ordinamenti di famiglia germanica[5], quello austriaco, ed in particolare la sua disciplina dell’esecuzione con la Beugestrafe in questione, ha proprie peculiarità che verranno in seguito analizzate[6]. Questo contributo intende pertanto concentrarsi sul sistema di coercizione indiretta di questo ordinamento, oltre che sulla misura coercitiva di cui all’art. 614-bis nelle sue attuali sembianze, mettendo in luce tratti comuni e diversità, affinché possa trarne profitto lo stesso dibattito italiano in materia.
Del resto, la comprensione delle reciproche vicinanze e diversità deve muovere proprio dalla descrizione del contesto in cui esse sono venute in essere. Quanto alla misura coercitiva italiana, essa ha trovato ingresso in via generale solo nel 2009[7], tramite l’articolo 614-bis c.p.c., poi modificato nel 2015[8], andandosi a colmare una rilevantissima lacuna, in quanto prima difettava una forma di tutela coercitiva atipica con riguardo agli obblighi di fare o non fare infungibili[9].
Si è ritenuto, fin da subito,che la misura coercitiva in questione non avesse funzione risarcitoria, bensì coattiva[10], essendo volta a garantire tutela giurisdizionale anche a coloro cui fanno capo diritti di credito aventi ad oggetto obblighi incoercibili, quindi insuscettibili di esecuzione forzata diretta, ovvero attraverso modalità surrogatorie[11].
L’introduzione della misura coercitiva nel c.p.c., in una prospettiva storica[12], è l’esito di una lunga diatriba durata quasi cento anni[13], la quale è stata sollecitata anche dal precetto costituzionale di effettività della tutela esecutiva[14]. L’esigenza di un “giusto processo” non solo con riferimento al processo di cognizione, ma anche a quello di esecuzione[15], costituisce - si potrebbe dire - la matrice costituzionale delle misure di esecuzione indiretta[16], in quanto “una decisione di giustizia che non possa essere portata ad esecuzione […] altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi” [17]. Si può pertanto affermare che è stato un impulso di natura pubblicistica a portare all’introduzione dell’art. 614-bis, e che la misura in questione è nata da una triplice spinta costituzionale, giurisprudenziale e dottrinale.
L’ulteriore scelta, poi, compiuta dal legislatore nel 2015, di reagire alla scarsa incisività della norma attribuendo all’istituto una portata più ampia, evidenzia ancora tale propensione[18]. Infatti, la misura coercitiva ex 614-bis c.p.c. funge attualmente, almeno per una parte di obbligazioni, anche da strumento volto ad evitare e snellire il processo esecutivo, in modo da porre rimedio alla notoria lunghezza e onerosità (anche dal punto di vista delle spese) del “classico” processo di esecuzione diretta.
Ne risulta la duplice funzione dell’art. 614-bis, che nella nuova formulazione mira sia a supplire alla mancanza di uno strumento di esecuzione in forma specifica per le obbligazioni di fare e non fare infungibili, sia a indurre l’obbligato ad adempiere a prescindere dalla possibilità di eseguire direttamente in via forzata la relativa prestazione[19].
Come emergerà dall’indagine comparata, la misura coercitiva disciplinata all’art. 614-bis ha tuttavia carattere ibrido, nel senso che essa ha particolare riguardo alla situazione giuridica soggettiva del creditore, circostanza che ne accentua il carattere privatistico. Il legislatore italiano sembra dunque essersi ispirato, anche questa volta, soprattutto al sistema delle astreintes francesi[20].
Totalmente diverso - come noto - è il background storico della Beugestrafe austriaca, la quale ha delle fondamenta solide, risalenti al dibattito ampiamente svoltosi già alla fine dell’Ottocento. Infatti, i §§ 354 ss. della Exekutionsordnung (EO) sono presenti in quel testo normativo fin dal momento in cui esso è entrato in vigore il primo gennaio 1898. La EO - e questo è molto rilevante anche con specifico riferimento alla Beugestrafe - era parte dell’ampio progetto di riforma dell’intero processo civile austriaco realizzato tra il 1891 e 1898, che grazie soprattutto a Franz Klein[21] è riuscito a superare il precedente processo civile risalente al 1781 e dunque all’epoca “giuseppina” (Allgemeine Gerichtsordnung), il quale peraltro già prevedeva al § 310 una misura coercitiva per gli obblighi infungibili di fare[22]. Ovviamente, anche per quanto riguarda le norme austriache in questione vi sono state delle riforme, da ultimo quella del 2008, ma esse non sono mai andate a stravolgere l’impianto originario del sistema di coercizione indiretta. Si potrebbe pensare, essendo trascorsi più di cento anni, che anche questo processo sia ormai obsoleto; in realtà il processo civile austriaco è ancora oggi uno dei più snelli e meglio funzionanti processi d’Europa[23].
2. La diversa concezione dell’esecuzione forzata negli ordinamenti austriaco ed italiano
Il tema delle misure coercitive in Austria si lega, pertanto, strettamente all’analisi della concezione dell’esecuzione forzata. e, in particolare, a quell’accentuato carattere pubblicistico che sembra essere preminente: l’esecuzione forzata è concepita come estrinsecazione della sovranità dello Stato[24], e si vedrà come tale caratteristica si riverberi anche sulle misure coercitive. Questo significa che viene riconosciuta al creditore non solo la “classica” pretesa materiale privatistica che si esplica nel titolo esecutivo (c.d. vollstreckbarer Anspruch), ma anche e soprattutto una pretesa nei confronti dello Stato affinché esso si attivi per predisporre un sistema di tutela adeguato (c.d. Vollstreckungsanspruch); quest’ultima è una pretesa di carattere pubblicistico (öffentlichrechtlicher Anspruch).
Basti una semplice osservazione al riguardo: mentre in Italia per promuovere l’esecuzione forzata è sufficiente disporre del titolo esecutivo, in Austria il procedimento esecutivo ha natura bifasica e pertanto più complessa, in quanto il creditore per procedere alla vera e propria esecuzione (Vollzugsverfahren) deve prima, sempre munito di titolo esecutivo, richiedere al tribunale dell’esecuzione (Exekutionsgericht) l’autorizzazione a procedere. Solo quando è stata rilasciata l’autorizzazione (Bewilligung), ha inizio la vera e propria esecuzione; l’autorizzazione giudiziaria a procedere, la Bewilligung ex § 68 EO,è pertanto presupposto sostanziale per l’esecuzione, il Vollzug[25]. Ne risulta che il titolo esecutivo costituisce soltanto un pre-requisito per l’avvio del procedimento esecutivo[26]. In un’ottica di confronto questo aspetto è indicativo dell’accentuazione, da parte dell’ordinamento austriaco, del ruolo del potere statale nell’esecuzione forzata. In Italia una soluzione analoga rischierebbe peraltro, probabilmente, di rendere ulteriormente complesso il già appesantito procedimento esecutivo. In questo quadro, la Beugestrafe austriaca trova applicazione esclusivamente nel processo esecutivo come fin qui a grandi linee illustrato; quella italiana, invece, è applicata con il “provvedimento di condanna” e pertanto, a monte dell’esecuzione[27], già nel processo di cognizione, ciò che ne accentua la funzione preventiva. Da questo punto di vista la misura italiana va piuttosto avvicinata alle Zwangsstrafen tedesche previste ai §§ 888 ZPO ss., che vengono applicate dal giudice del processo di cognizione e non invece, come in Austria, solamente in fase esecutiva[28]. Ecco che emerge una rilevante peculiarità del sistema austriaco.
Alla luce delle precisazioni fatte, risulta essere poco coerente la collocazione sistematica della misura coercitiva all’art. 614-bis c.p.c., ossia nel libro III del codice di rito, dedicato all’esecuzione. Se da una parte è vero che si tratta di esecuzione indiretta, dall’altra è però anche vero che la misura coercitiva viene disposta al di fuori del processo esecutivo, in sede di cognizione; inoltre, proprio perché quella in questione è una forma di esecuzione indiretta, non si tratta di vera e propria esecuzione. La misura coercitiva ex 614-bis è volta a coartare la volontà dell’obbligato, esercitando una pressione su esso affinché adempia di sua iniziativa[29]. Solo in un secondo momento, ove vi sia violazione od inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento di condanna, quindi nel caso in cui l’inadempimento si protragga, il provvedimento acquista efficacia esecutiva e per volere del creditore può avere inizio il procedimento di esecuzione forzata diretta[30].
La collocazione dell’art. 614-bis nel libro III del codice, se poteva giustificarsi (almeno sul piano funzionale) con riferimento alla versione originaria della norma riferita alle sole obbligazioni di fare e non fare infungibili, risulta essere invece difficilmente spiegabile dopo che l’ambito applicativo della misura è stato esteso a tutti gli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro. E tuttavia il cauto legislatore, senza stravolgere il sistema, ha soltanto leggermente “staccato” la norma dal suo contesto, creando un nuovo titolo, il IV-bis, dedicato alle “misure di coercizione indiretta”. L’articolo 614-bis appare oggi essere una norma che va collocarsi sulla linea di confine tra cognizione ed esecuzione, assumendo una duplice natura che emerge anche dal testo della disposizione.
Assolutamente rigorosa è da ritenere la scelta del legislatore austriaco di collocare la propria misura coercitiva nella Exekutionsordnung: la Beugestrafe può infatti trovare applicazione solo nel procedimento esecutivo ed è stata inserita ai §§ 354 ss. EO all’interno della sezione dedicata all’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare.
3. Il (non più richiesto) requisito dell’infungibilità dell’obbligazione ai fini dell’applicazione delle misure coercitive
Prima di addentrarsi nell’analisi dell’applicazione concreta delle due comminatorie, è necessario chiarire un concetto fondamentale, che nell’ordinamento austriaco rimane tuttora requisito imprescindibile per il ricorso alla coercizione indiretta. La misura coercitiva nasce con lo scopo di dare attuazione ad obbligazioni per le quali la classica esecuzione forzata risulta inappropriata e inefficiente. Fondamentale è, pertanto, l’analisi della nozione di infungibilità, che anche se ormai superata come presupposto applicativo della misura coercitiva italiana per effetto della riforma del 2015, rimane di centrale rilievo per la Beugestrafe austriaca.
Appare utile ricordare che sia nel codice civile italiano che nell’ABGB austriaco vi sono diversi riferimenti alla fungibilità, ma non si parla mai di infungibilità; per di più, quelle volte in cui nei codici il concetto viene richiamato, non ne viene data tuttavia una definizione.[31] Il contesto in cui le norme richiamano tale nozione, rimane comunque quello della disciplina della cosa in senso naturalistico[32]; ad essa è attribuito il significato di bene interscambiabile[33], proprio come la nozione era originariamente intesa nel diritto romano[34].
Il concetto, se riferito alla stessa obbligazione - ovvero alla prestazione - non è peraltro molto diverso, anche se certamente più dinamico. Nell’ambito del processo civile per prestazione fungibile s’intende proprio la possibilità di adempiere l’obbligazione sostituendo la prestazione originaria con una equivalente, eventualmente anche non compiuta dal debitore, senza che ciò comporti un pregiudizio giuridico o pratico per il creditore[35].
Come ulteriore variabile in un concetto già intrinsecamente complicato, si aggiunge il fatto che la nozione di fungibilità/infungibilità, soprattutto per quanto riguarda le obbligazioni di fare, è un concetto storicamente e socialmente determinato[36]. Non sempre, infatti, quel che oggi è pacificamente ritenuto infungibile o fungibile, è stato ritenuto tale anche in passato[37]. Ed è proprio da questo punto di vista che la giurisprudenza[38] e la dottrina[39] italiana sono andate ad ampliare la portata dell’infungibilità, che si riteneva essere un requisito per l’applicazione della astreinte italiana come introdotta nel 2009[40], considerandola sotto il profilo processuale, e cioè collegando il profilo dell’infungibilità sostanziale a quello della effettività processuale. L’interpretazione estensiva del concetto di infungibilità si spiega forse anche come tentativo di porre riparo alla situazione del processo civile italiano: in questo contesto la misura coercitiva, se interpretata in modo restrittivo, sarebbe rimasta praticamente priva di concreta applicazione.
Da ultimo, nel 2015, il legislatore - forse in considerazione della scarsa applicazione dell’art. 614-bis (seppur fatto oggetto della descritta interpretazione estensiva) e delle molteplici e puntuali critiche sollevate in dottrina – ha ampliato la portata della misura, ora applicabile “agli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro”. È quindi oggi possibile applicare la misura coercitiva italiana in questione sia congiuntamente alla condanna ad un fare o ad un non fare[41], a prescindere dal carattere infungibile della prestazione, sia in aggiunta alla condanna alla consegna o al rilascio di beni[42]. Rimangono esclusi gli obblighi che hanno ad oggetto il pagamento di somme di denaro, per i quali l’esecuzione tramite espropriazione forzata rimane l’unico strumento possibile.
Molto più circoscritta e tradizionale è, invece, la nozione di infungibilità accolta dalla giurisprudenza e la dottrina austriache: infatti, mentre i giuristi italiani hanno reinterpretato la nozione fornendone una nuova lettura, in Austria al concetto continua ad essere attribuita una portata strettamente materiale, ed esso è decisamente meno discusso. Così, se con riferimento agli obblighi di non fare si ritiene anche ivi che essi siano in un certo senso implicitamente infungibili, per quanto riguarda la infungibilità delle prestazioni di fare la giurisprudenza austriaca ha elaborato una sorta di catalogo[43]: in base ad esso la prestazione è ritenuta infungibile quando dipende esclusivamente dalla volontà dell’obbligato e pertanto quando l’eventuale adempimento di un terzo non garantirebbe al creditore la stessa soddisfazione (fattuale, economica e giuridica) che sarebbe, invece, derivata dall’adempimento del debitore[44]. Si parla in questo contesto anche di “Höchstpersönlichkeit”[45], e cioè di obbligazioni personalissime[46]. La circostanza del carattere in concreto difficoltoso dell’esecuzione forzata diretta certamente non consente di ritenere la prestazione come giuridicamente infungibile[47], al contrario di quanto è accaduto nell’ordinamento italiano in base alla nozione di infungibilità processuale.
Così in Austria non vengono ritenute infungibili generalmente le prestazioni “complesse”[48] richiedenti la collaborazione di terzi, perché non dipendenti esclusivamente dalla volontà dell’obbligato[49].
Concludendo, si può dire che la diatriba sul concetto di infungibilità risulti ormai superata in Italia, per effetto della modifica apportata all’art. 614-bis nell’anno 2015. Emerge inoltre come la diversa ampiezza della nozione di infungibilità accolta negli ordinamenti austriaco ed italiano sia il portato del diverso contesto normativo in cui la misura coercitiva si è trovata ad operare: l’astreinte italiana, a causa del contesto nel quale è andata ad inserirsi, ha dovuto svolgere un compito di portata molto più generale rispetto alla Beugestrafe, e questo è inizialmente avvenuto proprio estendendo nella massima misura possibile la nozione di infungibilità. In Austria la nozione di infungibilità ha potuto, invece, continuare ad essere intesa nel suo significato originario, esclusivamente materiale e l’applicazione della misura coercitiva è rimasta quindi molto più puntuale. Dall’analisi svolta emerge comunque che, nonostante siano state tipizzate delle ipotesi di prestazione infungibile, il concetto di infungibilità non può essere mai valutato in astratto.
4. L’istanza di parte come requisito imprescindibile in entrambi gli ordinamenti
Dopo questa cornice introduttiva, senza dubbio necessaria per comprendere il fulcro della questione, ci si potrà ora addentrare nell’analisi delle previsioni normative per descrivere l’applicazione concreta dell’istituto.
Primo presupposto applicativo, comune ad entrambe le misure, è l’istanza di parte, prevista esplicitamente dalle relative disposizioni normative. Il giudice non potrà pertanto applicare ex officio né la misura coercitiva ex 614-bis c.p.c. né le Beugestrafen di cui ai §§ 354 ss. EO. Il rispetto del principio della domanda, ossia della Dispositionsmaxime, rimane perciò requisito imprescindibile anche nel processo civile austriaco. Mentre tuttavia la misura italiana ha carattere accessorio[50], in quanto la sua applicazione viene richiesta congiuntamente alla condanna dell’obbligato, l’istanza di esecuzione e pertanto di applicazione della Beugestrafe austriaca ha carattere autonomo (c.d. Exekutionsantrag), ed è l’atto che dà inizio al processo esecutivo bifasico, cui già supra si è accennato. La circostanza che in Italia la misura coercitiva sia strettamente connessa alla condanna, accentua il suo carattere preventivo rispetto alla Beugestrafe austriaca, il cui carattere preventivo, sotto questo punto di vista, pare meno evidente.
In ogni caso, sia nel caso dell’art. 614-bis c.p.c., sia in quello del § 354 EO (Beugestrafe, concernente le obbligazioni di fare infungibili), la domanda con la quale si chiede l’applicazione della relativa misura coercitiva è una “mera istanza” o “mera azione”, in quanto si tratta di una mera “astratta” richiesta d’applicazione dell’istituto[51]. E proprio per questa ragione residuano in capo al giudice ampi poteri istruttori officiosi, cosicché ai fini della individuazione e quantificazione del contenuto della misura coercitiva egli potrà disporre indagini istruttorie senza particolari limitazioni[52].
Considerata comunque la percettibile differenza fra le due comminatorie, pare a questo punto necessario analizzarle separatamente, riproponendosi di cercare puntualmente dei punti di contatto fra esse.
5. La misura coercitiva italiana; applicazione concreta e problematiche
Si vuole allora focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti della disciplina italiana particolarmente interessanti, ossia il metodo di coartazione applicato e l’eventuale procedura esecutiva.
Dopo aver ponderato l’ammissibilità della misura, e quindi l’an debeatur[53], il giudice dovrà svolgere un’analisi e determinazione non meno importante: in concreto si tratta di valutare, da una parte, il quantum, ossia l’ammontare, della misura stessa, e dall’altra, la relativa modalità operativa e quindi il quomodo o modus.
Caratteristica della misura coercitiva italiana, ispirata alla astreinte francese, è il pagamento della somma dovuta a titolo di misura coercitiva direttamente al creditore. Infatti – nonostante ciò non sia espressamente previsto dall’art. 614-bis - è pacificamente condivisa l’opinione secondo la quale la somma di denaro dovuta verrà versata dall’obbligato al creditore, e non perverrà invece alle casse dello Stato come accade in Austria. Questa certezza la dottrina maggioritaria la desume dal fatto che sarebbe altrimenti privo di senso il requisito dell’istanza del creditore, requisito avvalorato – più in generale - dal fatto che il processo civile è regolato dal principio della domanda. Quest’ultimo comporta proprio che – salva espressa e diversa previsione di legge - il giudicante “non può disporre che la condanna a favore di colui che propone domanda”[54]. Anche il fatto che il provvedimento contenente la misura coercitiva va a formare titolo esecutivo richiama “un quadro di rapporti tra parti contrapposte”[55].
Questa certezza è di difficile comprensione per i giuristi austriaci, posto che il creditore può contare per la propria soddisfazione su altri appositi strumenti[56]. Tale peculiarità sottolinea l’impronta privatistica dell’istituto italiano.
Per quanto riguarda il modus, in ogni caso il giudice dovrà stabilire la data di decorrenza dell’operatività della misura, specificando l’unità temporale di riferimento[57].
Con riguardo al quantum, il giudice dovrà tenere conto dei parametri stabiliti al comma 2° dell’art. 614-bis c.p.c., ossia “del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.” È evidente anche in questo caso il richiamo alla valutazione del fatto, della situazione concreta. Proprio per garantire uno spazio di discrezionalità[58] – anch’esso criticato[59] - all’organo giudicante, che specialmente per quanto riguarda il campo di applicazione della misura coercitiva può trovarsi di fronte a situazioni sostanziali atipiche[60], non è stato stabilito un massimo edittale, che invece è fissato per la misura austriaca.
Nel tener conto della situazione concreta sarà così imprescindibile per il giudice prendere in considerazione anche parametri soggettivi, e quindi le condizioni personali, anche economiche, delle parti e soprattutto del debitore[61]. Si vedrà pertanto sub 6. che con riguardo alla quantificazione vi è a grandi linee sintonia tra le misure coercitive disposte in Italia ed in Austria.
Il legislatore ha voluto così stabilire delle linee guida generiche per il giudice, da un lato per non lasciargli una discrezionalità assoluta, ma soprattutto per consentirgli di adattare la misura alle svariate ipotesi che si possono verificare in concreto, e renderla così maggiormente incisiva[62].
Il richiamo testuale al fatto che il giudice dovrà valutare il “danno quantificato o prevedibile” va a rimarcare la linea di confine, discussa, tra misura coercitiva e risarcimento del danno[63].
5.1 L’esecuzione della misura coercitiva
La misura coercitiva ha una funzione preventiva, e questo è assodato. Il debitore proprio perché condannato e proprio per non andare incontro ad ulteriore aggravamento della sua posizione – dato dal fatto di dover pagare la somma imposta con la misura coercitiva – normalmente, adempirà i suoi obblighi. Tuttavia, può succedere che anche dopo la condanna, sempre secondo il principio “liberal-individualista e giusnaturalista”[64] nemo ad factum praecise cogi potest, il debitore ancora non voglia adempiere nonostante l’ordine del giudice. Ed è proprio in questo caso che il creditore può mettere in moto il processo di esecuzione forzata, questa volta diretta, per espropriazione, andando a riscuotere le somme dovute a titolo di misura coercitiva.
Per poter procedere all’esecuzione forzata l’art. 474 c.p.c. richiede la sussistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Ed è invero la liquidità che in un primo momento sembra mancare.
La norma infatti difetta di una previsione riguardo a chi sia competente per valutare l’esistenza dei presupposti per il sorgere del credito da misura coercitiva, e a come si possa procedere poi eventualmente alla liquidazione delle somme dovute dal debitore recalcitrante. Nell’assenza di una espressa previsione di legge, la tesi più accreditata in dottrina – e confermata da recente giurisprudenza[65] - sembra risolvere la problematica nella seguente maniera: sarà rimesso al creditore attivarsi per procedere con l’esecuzione forzata, “semplicemente adducendo l’inadempimento o la violazione/inosservanza del provvedimento di condanna”[66]. Sempre lo stesso creditore sarà poi legittimato a procedere con la liquidazione al momento della redazione del precetto[67], attendendosi a quanto stabilito dal giudice riguardo al quomodo e al quantum. Ecco perché si è anche parlato di “auto-determinazione”[68] da parte del creditore.
Questa tesi giustamente tiene bene a mente che se non si andasse a procedere in questa maniera, si andrebbe ad eludere quello che è il senso della norma, ossia il rendere effettiva e snella la tutela di una posizione soggettiva particolare.
Proprio per prevenire eventuali problematiche, ossia per far fronte ad una possibile opposizione ex art. 615 c.p.c. da parte del debitore, il provvedimento di condanna, arricchito di misura coercitiva, dovrà essere formulato dal giudicante nel modo più preciso possibile. La decisione dovrà essere formulata in maniera tale da far sì che la successiva attività del creditore si riduca a un semplice calcolo aritmetico[69].
È il provvedimento di condanna originariamente disposto che andrà a formare il titolo esecutivo[70], arricchito però dell’ordinanza di liquidazione[71]. La concessione e la liquidazione spettano in base a quanto detto al giudice della cognizione, mentre l’espropriazione forzata è affidata all’organo esecutivo[72].
È proprio per l’accennata correlazione tra cognizione ed esecuzione che a valere come titolo esecutivo è comunque l’originario provvedimento di condanna, già predisposto dal giudicante come titolo legittimante un eventuale procedimento di esecuzione forzata.
Le criticità della disciplina quanto a liquidazione ed auto-esecuzione della misura coercitiva rendono comunque auspicabile un intervento del legislatore a tal riguardo[73].
Si segnala inoltre che a seguito della modifica apportata all’art. 614-bis con la riforma del 2015, il rapporto fra coercizione indiretta ed esecuzione forzata diretta è divenuto problematico. Infatti, il confine tra le due forme di tutela pare non essere più così netto[74].
6. La Beugestrafe austriaca
Opera diversamente la Beugestrafe austriaca, la quale ha un campo di applicazione molto più circoscritto. Innanzitutto, come accennato, essa trova applicazione solamente nel corso del processo esecutivo, quindi presuppone una esecuzione avviata.
La nozione usata per qualificare le misure coercitive in Austria proviene dal verbo “beugen” e dal sostantivo “Strafe”, che rispettivamente significano coartare/flettere – la volontà dell’obbligato - e penalità o pena. In effetti la “penalità coercitiva” vera e propria pena forse non è, ma essa ha quale scopo preminente – come si è visto anche per il diritto italiano - la coartazione della volontà[75]. Forse il termine italiano più frequentemente usato di “misura” è per questo motivo più chiaro rispetto a quello più comune in Austria di “pena” o “penalità”, e lascia meno spazio ad eventuali dubbi sulla natura dell’istituto. Invero anche in Austria viene usato pure il termine “Beugemittel”[76], che corrisponde esattamente al termine “misura coercitiva” italiano. In Austria la natura del Beugemittel non è però del tutto pacifica: mentre in passato la dottrina austriaca era sostanzialmente unanime nell’attribuire alla misura funzione solamente coercitiva/preventiva[77], dalla fine dello scorso millennio la tesi per la quale la misura coercitiva per gli obblighi di non fare abbia altresì carattere repressivo/sanzionatorio è stata sempre più seguita, sia in dottrina che in giurisprudenza[78], e si vedrà il perché di questo in seguito. La diatriba peraltro non può dirsi ancora conclusa[79].
Ciò che è certo, tuttavia, è che la EO distingue tra misura coercitiva per quanto riguarda il fare infungibile (§ 354 EO) e misura coercitiva per il non fare (§ 355 EO). È opportuno analizzare separatamente l’esecuzione dei due tipi di obbligazioni, vista la natura sensibilmente diversa delle due Beugestrafen. L’infungibilità mantiene quindi in Austria rilevanza fondamentale[80].
6.1. (Segue) Gli obblighi infungibili di fare
Con riguardo alla Beugestrafe per gli obblighi infungibili di fare, il § 354 EO dispone che l’esecuzione degli obblighi che non possono essere adempiuti da terzi e il cui adempimento dipende esclusivamente dalla volontà dell’obbligato, avviene tramite mezzi di coartazione della volontà, ovvero tramite pene pecuniarie o pene detentive fino alla durata complessiva di sei mesi, stabilite dal giudice. Il secondo comma sottolinea poi che l’esecuzione comincia con la diffida di sanzione per il caso di mancato adempimento. Innanzitutto viene minacciata l’eventuale applicazione della pena pecuniaria, e nel caso in cui l’inadempimento si protragga oltre i termini perentori concessi dal giudice per l’adempimento, la pena diventa effettiva ed eseguibile forzosamente su richiesta del creditore, il quale contemporaneamente potrà nuovamente minacciare l’applicazione di una misura coercitiva più gravosa e anche in questo caso, in seguito – sempre se il debitore persevera nel suo inadempimento- eseguirla[81].
Come accennato nell’introduzione, il processo esecutivo in Austria ha natura bifasica; e così il creditore, munito di titolo esecutivo, dovrà innanzitutto fare istanza di esecuzione, la quale contiene soltanto una richiesta generica di applicazione della misura coercitiva in caso di inadempimento[82] (v. Dispositionsmaxime sub 4.). Poi verrà rilasciata, ovviamente solo se ne sussistono i presupposti, l’autorizzazione a procedere, l’Exekutionsbewilligungsbeschluss, il quale contiene la diffida ad adempiere pena l’applicazione della misura coercitiva, ossia viene stabilito entro quando il debitore potrà adempiere senza incorrere in sanzione pecuniaria, la quale verrà anch’essa quantificata e specificata con l’Exekutionsbewilligung. Il tribunale non sarà comunque rigidamente vincolato a quanto stabilito nell’autorizzazione a procedere, ma potrà, qualora sopravvengano nuove circostanze, non attenersi a quanto stabilito in essa, ad esempio applicando in concreto una sanzione pecuniaria diversa, più adatta alla circostanza sopravvenuta. Tuttavia la norma prevede che con il protrarsi dell’inadempimento il giudice dovrà applicare sanzioni di crescente gravità.
Sarà la Bewilligung – ossia l’autorizzazione a procedere tramite ordinanza – che una volta rilasciata costituirà il presupposto per l’esecuzione materiale, il Vollzug, e non più il titolo esecutivo originario - a sua volta presupposto per la Bewilligung.
È pertanto necessario che nel processo di applicazione della misura coercitiva l’applicazione di quest’ultima venga in un primo tempo “solamente” minacciata; senza tale diffida sarà impossibile la stessa materiale applicazione della misura. Se poi il debitore continuerà a non adempiere, si passerà alla seconda fase dell’esecuzione forzata, che è l’esecuzione vera e propria, e cioè al Vollzug: in questo caso - sempre su istanza del creditore, il quale ora dovrà semplicemente allegare, o meglio, segnalare l’inadempimento - lo stesso tribunale dell’esecuzione emetterà una seconda o successiva deliberazione, che rende esecutiva la pena pecuniaria e “ri-minaccia” una eventuale sanzione più grave, che potrà ora essere, a discrezione del giudice, o un’altra sanzione pecuniaria più severa, o anche la pena detentiva, sulla quale si tornerà appresso[83].
Il modus operandi e la quantificazione della sanzione pecuniaria sono rimesse alla discrezionalità del giudice dell’esecuzione; tuttavia la sanzione pecuniaria - come stabilito dal § 359 EO - non può eccedere il massimo edittale di 100.000 euro per ciascunaistanza[84]; non è dunque stabilito un massimo edittale in toto, e quindi riferito a più istanze proposte nello stesso procedimento.
Vista la flessibilità nell’applicazione concreta, potrà essere stabilito un aumento esponenziale della sanzione pecuniaria per il caso di protratto inadempimento. Il giudice dovrà tener conto, ai fini della quantificazione della somma dovuta, della situazione economica del debitore, della gravità e della frequenza dell’inadempimento e anche del vantaggio derivato al debitore dal suo inadempimento[85].
Come si è già avuto modo di anticipare, la sanzione pecuniaria verrà versata, a differenza di quanto accade in Italia, nelle casse dello Stato[86]. Viene così rimarcata la natura pubblicistica dell’istituto, la quale emerge anche dalla possibilità d’irrogare una sanzione detentiva: infatti il giudice, come seconda o successiva misura coercitiva, potrà anche minacciare ed applicare la pena detentiva fino a un massimo di due mesi consecutivi (§ 361 EO) e comunque per una durata massima di sei mesi. Si vuole pertanto evitare che l’applicazione della misura coercitiva comporti un arricchimento per il creditore.
La possibilità di coartare la volontà del debitore recalcitrante anche tramite sanzioni detentive trova fondamento in Austria persino nella Costituzione: l’art. 2 co. 1° del PersFrG (legge di rango costituzionale che tutela la libertà personale)[87], al nr. 4 prevede la liceità della limitazione della libertà personale anche in caso di coartazione volta ad assicurare il rispetto di un dovere giuridico o di una statuizione giudiziale. Anche la CEDU, all’art 5 co. 1° lett. b, sembra ammettere una tale possibilità[88].
Tuttavia proprio la differenza fra misura coercitiva e sanzione penale – sulla quale si tornerà infra-, fa sì che ex § 360 EO, il debitore recalcitrante non potrà essere messo in cella con i responsabili di reati, ma dovrà essere detenuto in celle a parte.
6.2. (Segue) Gli obblighi infungibili di non fare
Leggermente diversa è l’applicazione della Beugestrafe per quanto riguarda gli obblighi di non fare ex § 355 EO. La norma prevede innanzitutto che in caso d’inottemperanza di un obbligo di non fare[89] il giudice dell’esecuzione, sempre su istanza di parte, applica una sanzione pecuniaria. Nel caso in cui l’inadempimento si protragga il giudice, sempre su richiesta del creditore, applica ulteriori sanzioni che possono essere sempre di natura pecuniaria, oppure anche di natura detentiva, in questo secondo caso per la durata massima di un anno. La quantificazione e il tipo della sanzione dipendono dalla gravità dell’inadempimento e dalla situazione economico-soggettiva dell’obbligato. La decisione del giudice che dispone la Beugestrafe dovrà indicare i motivi che rendono necessaria l’applicazione della misura. Poi, al secondo comma, la norma ammette la possibilità di richiedere, in via cautelare, una garanzia per l’ipotesi di un futuro inadempimento[90].
Innanzitutto è opportuno specificare che la giurisprudenza austriaca non pare essere particolarmente rigorosa nel distinguere il comportamento attivo da quello passivo. In effetti spesso il comportamento passivo presuppone anche un quid di attivo o viceversa: per esempio l’obbligo di non far abbaiare il cane presuppone anche che il padrone ponga in essere delle attività “educative”; oppure l’omettere immissioni può essere correlato anche da comportamenti attivi che possano impedire le stesse. Può così trattarsi concretamente di impedire – anche attivamente - il verificarsi di un determinato evento[91]. Pertanto la giurisprudenza è propensa a qualificare un’obbligazione infungibile di natura “mista” come obbligazione di non fare, anche se essa intrinsecamente presenta dei profili di condotta attiva, consentendo così l’esecuzione indiretta ai sensi del § 355 EO[92]. Questo a causa di plurimi motivi: innanzitutto l’esecuzione indiretta tramite la misura coercitiva prevista dal § 355 è più snella rispetto a quella prevista dal § 354 per gli obblighi di fare infungibili. Infatti, come si è visto analizzando il dato letterale della norma, la misura coercitiva di cui al § 354 trova effettiva applicazione solo una volta che sia stata svolta la procedura di diffida. Inoltre, il massimo di pena detentiva prevista dal § 355 è di un anno e quindi maggiore rispetto a quello previsto dal § 354 (che è di sei mesi). Si ritiene così che intraprendendo la strada dell’esecuzione indiretta ex § 355 EO il procedimento esecutivo sarà più snello ed incisivo. Il secondo motivo sta nel fatto che altrimenti si rischierebbe di dover scindere un’obbligazione in sé unica, e cioè di dover eseguire una parte di obbligazione ai sensi del § 354 e l’altra ai sensi del § 355. Si rischierebbe così di rallentare e complicare ulteriormente ed inutilmente l’esecuzione[93].
Dal punto di vista procedurale, è previsto anche in questo caso che il creditore, munito di titolo esecutivo, debba fare istanza di esecuzione. In questa però il creditore è ora tenuto a descrivere puntualmente l’inadempimento del debitore, riportando esempi concreti di violazione dell’obbligo di non fare. Un’istanza troppo generica, che non fa riferimento ad atti concreti, in questo caso non è sufficiente per il rilascio dell’autorizzazione a procedere (Exekutionsbewilligung). Inoltre, l’istanza deve contenere anche la richiesta di applicazione di una misura coercitiva, e necessariamente di una sanzione pecuniaria[94]; non deve tuttavia essere invece specificato l’ammontare della sanzione[95]. Come accennato, nel caso di obbligazioni di non fare infungibili, il giudice dovrà subito irrogare la misura coercitiva insieme all’atto di autorizzazione a procedere (Strafbeschluss zusammen mit Exekutionsbewilligung). Manca quindi in questo caso, a differenza di quanto previsto per gli obblighi di fare infungibili ex 354 EO, l’imposizione dell’obbligo di minacciare l’applicazione della sanzione pecuniaria[96]. Il procedimento si articola poi allo stesso modo di quello disciplinato al § 354 EO, ovvero il creditore farà istanza di applicazione di sanzione al verificarsi di ciascun atto di inadempimento, e il giudice applicherà la sanzione, che dopo la prima, la quale deve essere di natura pecuniaria fino al solito massimo edittale di 100.000 euro (§ 359 EO), potrà essere o sempre di natura pecuniaria, o di natura detentiva, con il massimo di un anno di detenzione complessiva, suddivisa in periodi della durata massima di due mesi[97]. Mentre la misura coercitiva prevista per l’esecuzione degli obblighi infungibili di fare deve essere applicata con crescente gravità ed incisività, le Beugestrafen previste per gli obblighi di non fare infungibili potranno essere sempre adattate al caso concreto e quindi, in caso di inadempimento meno grave, potranno essere anche diminuite.
Proprio la mancanza di una fase intimidatoria in cui l’applicazione della sanzione – pecuniaria o detentiva - sia solo minacciata, fa sì che la dottrina e la giurisprudenza[98] abbiano riconosciuto alla Beugestrafe, in questo caso, una natura non strettamente preventiva, ma anche repressiva di vera e propria pena. Infatti si è visto che la sanzione viene applicata ogni qualvolta il debitore abbia posto in essere un’attività a lui interdetta. In questo caso il termine “Beugestrafen”, ovvero pene/sanzioni coercitive, sembra pertanto più adatto.
È assai rilevante precisare che la stessa giurisprudenza distingue tuttavia nettamente le Beugestrafen, per il loroscopo compulsorio, dalle Kriminalstrafen, ossia dalle pene conseguenti ad un reato e perciò attinenti al diritto penale, come del resto si ritiene anche in Italia[99]. Tuttavia il fatto che in Austria la coercizione possa consistere anche nella limitazione della libertà personale, fa sì che per il giurista italiano il limite tra carattere sanzionatorio e coercitivo sia, con riguardo alla Beugestrafe, meno evidente rispetto alla misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c. Risulta comunque ora più chiaro perché sia stato giustamente osservato come il carattere repressivo sia più accentuato per la misura coercitiva riferita agli obblighi di non fare, rispetto a quella relativa agli obblighi di fare.
Per quanto riguarda la quantificazione si rinvia a quanto detto con riguardo al § 354 EO[100].
Il comma secondo del § 355 ammette poi la possibilità per il creditore di richiedere, sempre a condizione che egli sia munito di titolo esecutivo, che sia disposta in via cautelare una garanzia per l’eventuale danno causato dall’inadempimento del debitore[101]. Il valore e la durata temporale della garanzia verranno stabiliti dal giudice e tale Beschluss fungerà da autonomo titolo esecutivo[102]. Oltre che con il classico scopo di garanzia, la misura cautelare può essere intesa come rafforzamento della Beugestrafe, in quanto il debitore si renderà conto a questo punto ancor di più del rischio a cui andrà incontro se sarà inadempiente. Per questo motivo è possibile intendere tale garanzia come accentuazione o rafforzamento della misura coercitiva; taluni l’intendono persino come misura coercitiva a sé stante.[103]
Infine, come in Italia, anche il diritto austriaco ammette il cumulo con il risarcimento del danno, in via sussidiaria o alternativa; si tratta, come accennato, di figure con natura e scopi diversi: il risarcimento ha funzione reintegrativa ex post, mirando a ristabilire, per quanto possibile, lo status quo antecedente alla condotta illecita. La misura coercitiva o la Beugestrafe invece hanno, seppur in maniera differente e nell’ultimo caso meno marcata, funzione coattiva e pertanto preventiva[104]. Infatti, è palese che il creditore abbia primariamente interesse all’adempimento dell’obbligazione in forma specifica, ed è perciò senza senso procedere in via contemporanea con entrambi i rimedi[105]. Solo in via sussidiaria o alternativamente all’esecuzione, pertanto, il creditore avrà l’interesse e la possibilità di chiedere il risarcimento del danno, in Austria tramite c.d. Interessenklage prevista dal § 368[106].
7. Conclusioni
Si è potuto quindi osservare come le misure coercitive operino in modo differente nei due sistemi giuridici, e tuttavia siano accomunate dallo stesso scopo, ossia quello di coartare la volontà del debitore recalcitrante, spingendolo all’adempimento. Il carattere preventivo rimane pertanto la caratteristica essenziale delle misure coercitive. Trattasi, tuttavia, di preventività con portata assai relativa, poiché le rispettive misure coercitive troveranno applicazione solamente nel caso in cui l’esecuzione venga concretamente attuata e quindi in un momento successivo all’inadempimento.
Mentre in Italia la misura viene disposta in fase di cognizione in via accessoria rispetto alla condanna, circostanza che ne accentua ulteriormente la natura preventiva, in Austria essa trova applicazione in fase esecutiva e così in un momento successivo.
Nel caso della Beugestrafe concernente gli obblighi di non fare (§ 355 EO), alla finalità coercitiva si aggiunge anche un’indole sanzionatorio-repressiva; infatti, in questo caso non è richiesta la diffida ad adempiere e viene invece subito applicata la sanzione. La locuzione Beugestrafe rimane pertanto, soprattutto in ottica comparatistica, quella più appropriata.
Se da una parte è vero che l’accentuato carattere preventivo della misura coercitiva ex 614-bis c.p.c. vuole garantire tutela al creditore in modo particolarmente incisivo, è anche vero che al giudice italiano viene richiesto di essere in qualche modo un visionario, capace di prevedere l’eventuale comportamento recalcitrante del debitore inadempiente. Invece il giudice dell’esecuzione austriaco, che – come si è visto - è coinvolto nel processo dapprima di applicazione, e poi di esecuzione, della Beugestrafe, potrà modellare concretamente la misura in base alle circostanze attuali, tenendo conto maggiormente della situazione fattuale presente.
Sembra allora potersi dire che se la misura coercitiva italiana ex 614-bis c.p.c. cerca di spingere il debitore all’adempimento coartandone la volontà con sanzioni pecuniarie da versare direttamente al creditore, ne consegue che essa pare avere natura ibrida, al confine tra la realizzazione di interessi di carattere pubblicistico, data la sua finalità di garantire un sistema di tutela giurisdizionale effettiva, e di tipo privatistico, essendo volta in particolar modo alla tutela del diritto soggettivo del creditore. Quella austriaca ha invece lineamenti definitivamente pubblicistici, consistenti in sanzioni pecuniarie da versare allo Stato e perfino in sanzioni detentive (comunque differenti dalle sanzioni penali). La sanzione detentiva, limitante la libertà personale del debitore, permane in Italia un rimedio impensabile.
Ambedue le comminatorie, quella austriaca e quella italiana, sono soggette a parametri di quantificazione e modus d’applicazione poco rigidi (soprattutto quella italiana, sprovvista di massimo edittale per misura applicata), che consentono al giudice di esercitare in maniera particolarmente libera la sua discrezionalità nel tener conto della situazione concreta.
Ed è proprio la concretezza che rimane (e deve rimanere) comunque l’essenza dell’istituto in entrambi i sistemi. Pertanto, ad avviso di chi scrive, per garantire l’effettività della misura le sanzioni pecuniarie dovrebbero essere generalmente sprovviste di limiti edittali.
Concludendo, si è visto come in Austria la misura coercitiva per l’esecuzione indiretta possa funzionare nonostante il suo campo di applicazione sia circoscritto. Tuttavia la rigidità della previsione normativa preclude un’applicazione generale della misura, che potrebbe essere in certi casi utile.
Abstract: This article deals with indirect coercive measures as provided by the recently reformed article 614-bis of the Italian Code of Civil Procedure (Codice di procedura civile) and by paragraphs 354 ff. of the Austrian execution act (Exekutionsordnung). From a historical and critical comparative perspective, similarities and particularly differences are emphasised in order to highlight their practical impact. Hence, the nature of the examined measures and of the fluctuating concept of infungibility is analysed. While both the Italian and the Austrian measures share a common preventive function, the Austrian as opposed to the Italian measures turn out to have a strong public-law nature.
Keywords: Indirect coercive measure – Astreintes - 614-bis - Beugestrafe - Austrian execution act – Exekutionsordnung – Infungibility – Execution - Legal comparison - Civil procedure
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Art. 13, co. 1, lett. cc-ter), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla l. 6 agosto 2015, n. 132.
[2] Cass. 15 aprile 2015, n. 7613, in D. e giust., 16.4.2015.
[3] R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, Torino 2001, p. 13.
[4] E. Vullo, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia ed Unione europea, in Riv. d. proc., 3 (2004), p. 737; M. Taruffo, L’attuazione esecutiva dei diritti: profili comparatistici, in Riv. trim. d. proc. civ., 1 (1988), pp. 154 ss.
[5] R. Sacco - A. Gambaro, Sistemi giuridici comparati, Torino 2006, pp. 18, 341 ss., 396; K. Zweigert - H. Kötz, Einführung in die Rechtsvergleichung, Tübingen 1996, pp. 130 ss.
[6] Per esempio, la Exekutionsbewilligung, una sorta di autorizzazione a procedere, sulla quale si tornerà sub 2, costituisce peculiarità austriaca; v. W. Jelinek, Zwangsvollstreckung zur Erwirkung von Unterlassungen, Wien 1974, p. 25.
[7] L. 18 giugno 2009, n. 69, all’art. 49. Per un esame v. A. Chizzini, Art. 614-bis – Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, G. Balena - R. Caponi - A. Chizzini - S. Menchini (diretto da), La riforma della giustizia civile - Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino 2009, pp. 138 ss.
[8] L. 6 agosto 2015, n. 132, che è andata a convertire, con modificazioni, il d.l. 27 luglio 2015, n. 83.
[9] Erano tuttavia presenti nel sistema già da tempo misure coercitive speciali, ossia misure riguardanti la protezione di brevetti e marchi e del diritto d’autore (artt. 124 e 131 c.p.i. e art. 156 della legge 633/1940), misure di coartazione previste dal codice del consumo (artt. 37, 139 e 140 codice del consumo), o ancora quelle previste in tema di ritardo del pagamento nelle transazioni commerciali (art. 8, 3° co., d.lg. n. 231 del 2002), nel diritto del lavoro (art. 18 st. lav.) o nel diritto di famiglia (art. 709-ter c.p.c.).
[10] Ciò è stato confermato da Cass., sez. I, 15 aprile 2015, n. 7613, cit.
[11] C. Consolo - F. Godio, in L.P. Comoglio - C. Consolo - B. Sassani - R. Vaccarella, Commentario del Codice di procedura civile, VII, I, sub art. 614 bis – Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, Torino 2013, pp. 141, 145 s.
[12] Per un’approfondita analisi concettuale e storica a partire dal diritto romano si rinvia a S. Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano 1980.
[13] Le proposte di introduzione nell’ordinamento italiano di una misura coercitiva di portata generale sono state molteplici, partendo già dal “progetto Carnelutti” del 1926, passando per i progetti “Reale” del 1975 e “Liebmann” del 1981, arrivando ai d.d.l. delega della “commissione Tarzia” del 1996 e a quello elaborato dalla “commissione Vaccarella” del 2003. Tuttavia il legislatore italiano ha per lungo tempo preferito non allinearsi ai sistemi di misure coercitive presenti in altri Paesi europei (in particolare alle “astreintes“ francesi e alle “Zwangsstrafen“ o “Beugestrafen“ tedesche o austriache), che avrebbero sconvolto il dogma tradizionale del “nemo ad factum praecise cogi potest”, e ha invece ripiegato, ove non fosse possibile avvalersi delle forme di esecuzione diretta, su strumenti di tutela risarcitoria o addirittura penale; soluzioni, queste, che tuttavia non realizzavano l’obiettivo di assicurare al titolare del diritto, per quanto sia possibile praticamente, “tutto quello e proprio quello ch’ egli ha diritto di conseguire” (G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli 1940, p. 41). Per un’attenta disamina della questione, da cui emerge la necessità, ma anche le problematicità, dell’introduzione dell’istituto nell’ordinamento italiano, si rinvia agli atti del XXII convegno nazionale a cura dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, tenutosi a Lecce nel 1999: Tecniche di attuazione dei provvedimenti del giudice. Atti del XXII convegno nazionale, Milano 2001; v. più di recente F. Saccaro, La tutela cautelare degli obblighi infungibili di fare e di non fare, 13.11.2014 (aggiornato 12.2.2015), http://www.altalex.com/documents/news/2014/12/03/la-tutela-cautelare-degli-obblighi-infungibili-di-fare-e-di-non-fare (ultimo accesso: 17.4.2021).
[14] L’importanza di questo precetto è stata in particolar modo accentuata dalla modifica costituzionale dell’art. 111 realizzata nel 1999 in base ai principi sovranazionali, e dall’evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali verso la fine del secolo scorso. Si rinvia agli artt. 8 Dichiarazione universale dei diritti umani e 6.1 CEDU (e art. 47 CDFUE), fondamenti del c.d. “giusto processo” e agli artt. 3 e 24 Cost; in giurisprudenza Cass., sez. lav., 17 luglio 1992, n. 8721, in Giust. civ. mass., (1992), p. 1197.; Cass., sez. III, 13 ottobre 1997, n. 9957, in N. g. civ. comm., 6,I (1998), p. 871; Cass., sez. I, 1 dicembre 2000, n. 15349, in Giust. civ. mass., (2000), p. 2516; v. A. Chizzini, Art. 614-bis, cit., p. 154.
[15] L’applicazione del principio del giusto processo anche al processo esecutivo è stata ribadita altresì dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, in base alla concezione dell’esecuzione come corollario necessario della fase di cognizione, in concreto diretta a convertire la decisione nelle sue conseguenze materiali: C.E.D.U., 26 settembre 1996, Zappia c. Italia (n. 24295/94); C.E.D.U., 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia (n. 18357/91); C.E.D.U. 28 luglio 1999, Imm. Saffi c. Italia (n. 22774/93); tutte reperibili sul portale hudoc.echr.coe.int.
[16] C. Trapuzzano, Le misure coercitive indirette, Padova 2012, p. 11.
[17] C. cost. 15 settembre 1995, n. 435, in F. it., I (1995), cc. 2641 ss.; C.I. Risolo, L’effettività della tutela esecutiva e il problema delle misure coercitive, in R. Capponi(a cura di), L'esecuzione processuale indiretta, Milano 2011, p. 18.
[18] C. Mancuso, Circolazione in Europa delle misure coercitive indirette: la Cassazione torna sulla natura giuridica, in Riv. trim. d. proc. civ., 3 (2016), p. 1062.
[19] F. Saccaro, La tutela cautelare degli obblighi infungibili di fare e di non fare, cit.
[20] E. Vullo, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia ed Unione europea, cit., p. 727 ss.
[21] In estrema sintesi il pensiero del luminare Klein consisteva nella percezione del processo come male sociale (soziales Übel), il quale doveva essere risolto in modo svelto ed efficace proprio per rimuovere l’attrito sociale. La riforma era articolata in quattro parti: la Zivilprozessordnung (codice del rito civile), la Jurisdiktionorm (raccolta di leggi che regolano in particolare la competenza del giudice civile), il Gerichtsorganisationsgesetz (raccolta di leggi sull’organizzazione dei tribunali) e la già citata Exekutionsordung. Per approfondire la figura di Klein e la sua colossale opera si rinvia a: Die Aktualität der Prozess- und Sozialreform Franz Kleins, a cura di M. Marinelli - E.M. Bajons - P. Böhm, Wien 2015. Per una rilettura di tale concezione in chiave moderna di giusto processo v. in particolare nello stesso volume P. Böhm, Parteiautonomie versus Richtermacht: Die Verantwortung für die Programmierung des Verfahrensablaufs, p. 166; N. Trocker, Die Ideen Franz Kleins und die Entwicklung des Zivilverfahrensrechts in Europa, p. 225 s.; v. a. A. Carratta, La «funzione sociale del processo civile, fra XX e XXI secolo, in Riv. trim. d. proc. civ., 2 (2017), p. 579 ss. Per una trattazione generale sul giusto processo si rinvia invece a A. Andronio, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti Commentario alla Costituzione, III, subart. 111 Cost., Torino 2006, pp. 2099 ss.; S. Chiarloni, voce Giusto processo (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del diritto, Annali II - 1, Milano 2008, pp. 403 ss.; A. Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in F. it., V (2000), c. 241 ss.; N. Trocker, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il «giusto processo» in materia civile: profili generali, in Riv. trim. d. proc. civ., 2 (2001), pp. 381 ss. Per il diritto austriaco v. F. Matscher, Der Einfluß der EMRK auf den Zivilprozess, in W. Gerhardt - U. Diederichsen - B. Rimmelspacher - J. Costede (a cur
Dallago Maximilian
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