fbevnts The subdivision of the Etruscan citizens in Spura

La suddivisione dei cittadini etruschi nelle Spura

30.06.2021

Alessandro Giacomini

Avvocato, Foro di Urbino

 

La suddivisione dei cittadini etruschi nelle Spura* **



English title: The subdivision of the Etruscan citizens in Spura

DOI: 10.26350/18277942_000031

 

Sommario: 1. Premessa: tra normativa etrusca e relazioni con il diritto romano. 2. Le prove a sostegno della ripartizione. 3. Le spura che possiedono indizi sulla suddivisione della popolazione. 4. Osservazioni conclusive.

 

Alla mia Mamma e al mio Papà

Fábián Dénes Etelka: Édesanyám Emlékére

 

1. Premessa: tra normativa etrusca e relazioni con il diritto romano

 

La tematica della suddivisione politica dei cittadini delle spura etrusche, come avveniva nelle polis greche o a Roma, costituisce oggi un’argomentazione di interesse tendenzialmente marginale sia per gli studiosi di storia del diritto sia più propriamente per tutti gli studiosi di storia antica. Le cause di questo disinteresse sono essenzialmente due: la scarsità della documentazione in materia e l’apparente poca spendibilità di queste ricerche nell’ambito della storia del diritto romano. Naturalmente con ciò non si vuole affermare che la tematica in trattazione sia una novità nel panorama scientifico. Infatti si devono comunque ricordare gli importantissimi, per non dire essenziali, contributi prodotti da illustri Autori del passato come Micali[1], Momigliano[2], Rosenberg[3] ed anche alcune recenti ricerche. Tuttavia questi contributi, ad eccezione di quelli prodotti dal Micali e dal Rosenberg, affrontano la tematica in esame solo in modo parziale ed indiretto, trattando codesta questione soprattutto come un’appendice del diritto pubblico romano. Sarà comunque utile tener presente i risultati delle precedenti ricerche e delle anteriori posizioni dottrinali. Su questo punto si può notare che la Dottrina si divide essenzialmente su due posizioni: vi è una prima opinione[4] costituita da coloro che ritengono reale una suddivisione della popolazione cittadina, ed una seconda formata da coloro che invece l’ipotizzano solo, poiché affermano l’impossibilità di una confutazione sicura[5]. Ora questo scritto si prefigge come obiettivo principale (sperando almeno di riuscirci in minima parte) quello di estendere la conoscenza dell’argomentazione ad un pubblico più vasto, facendo rivalutare questo aspetto del diritto degli Etruschi. In via subordinata, invece, tenterà di dimostrare che la scarsità della documentazione e la poco appetibilità accademica di questa ricerca non sono in realtà ragionamenti utili e sufficienti per escludere dall’ambito di studio una tematica di tale portata. Infatti questo argomento, soprattutto per le sue naturali ed implicite connessioni con il diritto pubblico romano, riveste un interessantissimo ruolo proprio nell’ambito dell’influenza degli istituti giuridici etruschi su quelli della Roma arcaica, non dimenticandosi mai che lo Stato romano è erede di una serie di istituti giuridico-religiosi del popolo etrusco.

 

2. Le prove a sostegno della ripartizione

 

Le prove, o meglio gli elementi di prova, che posso dimostrare l’effettiva ripartizione della popolazione etrusca all’interno delle spura sono di due tipi: un primo gruppo di prove o indizi ha un carattere eterogeneo ed è presente solo all’interno di alcune spura[6]; mentre il secondo tipo di prova deve ritenersi come generale ed omogeneo poiché si rivolge indistintamente verso tutte le città-stato etrusche. Si è convenuto, per semplicità e per ragioni di razionalità espositiva, di trattare subito in questo paragrafo dei principali elementi di prova, rinviando al successivo paragrafo la disamina degli indizi locali.

Fanno parte del gruppo delle prove principali o generali due testimonianze: la prima è costituita da un passo del De verborum significatu di Verrio Flacco, la seconda è contenuta direttamente nel testo etrusco del Libro di Zagabria.

Entrambe queste prove sono degli estratti dei Libri Rituales, cioè fanno parte di una delle tre sezioni dei libri sacri che regolavano la vita religiosa, sociale e politica degli Etruschi[7]ed avevano un’origine divina perché erano stati scritti grazie a “rivelazioni” attribuite a personaggi semidivini: come il genio Tagete, la ninfa Vegoia o il genio Tarchie[8]. Questi libri furono tradotti in latino nel I sec. a.C. da alcuni eruditi di origine etrusca[9] e contenevano una raccolta composita di argomenti giuridici[10] non solo di diritto pubblico ma anche di diritto civile. Inoltre i Libri Rituales erano ripartiti in sottosezioni[11]: Libri Fatales[12]cioè i libri relativi alla suddivisione del tempo e al destino degli uomini; Libri Acheruntici[13], quelli cioè riguardanti le norme riferite al mondo dell’aldilà; Libri Ostentaria[14] che riguardavano la divinazione e l’interpretazione dei prodigi; e forse anche i Libri Exercituales[15], che riguardavano i prodigi e i riti relativi alla guerra. Di questa raccolta di dottrine, norme e riti, di cui fanno parte le due testimonianze che verranno di seguito analizzate, sono giunti[16] solo alcuni brani attraverso materiale epigrafico, citazioni ed estratti di Autori antichi. Tornando alla trattazione, la prima testimonianza, considerata già dal Micali e dal Rosenberg[17], è costituita da un brano del De verborum significatu, cioè un lessico di termini rari ed eruditi, ordinati alfabeticamente e corredati di citazioni di Autori precedenti, realizzato da Verrio Flacco[18], un erudito di epoca augustea. Il testo è giunto tuttavia per il tramite di un compendio operato da Festo Sesto Pompeo, un successivo lessicografo del II secolo d. C. Il brano in esame, costituito dalla voce Rituales del lessico, afferma esplicitamente che gli Etruschi possedevano dei libri, chiamati in lingua latina libri Rituales, che avevano lo scopo di indicare le modalità sacrali per condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae, quomodo tribus, curiae, centuriae distribuantur, exercitus constituantur, ordinentur, ceteraque eiusmodi ad bellum ac pacem pertinentia[19]. Quindi secondo Verrio Flacco (ed anche per Festo Sesto Pompeo) gli Etruschi avevano delle norme per distribuire le tribù, le curie e le centurie, ammettendo quindi esplicitamente l’esistenza all’interno della spura di ripartizione dellacittadinanza. A sostegno della buona attendibilità della fonte si deve ricordare che Verrio Flacco fu, secondo una antica tradizione latina riportata negli Scholia Vergilii Veronensia[20], anche il primo romano a scrivere una storia specifica dell’Etruria intitolata Res Etruscae che tuttavia non ci è pervenuta. Anche se non siamo in possesso dell’opera Res Etruscae si deve comunque sottolineare che la testimonianza offerta dagli Scholia Vergilii Veronensia evidenziano la padronanza in materia etrusca di Verrio Flacco. Inoltre, secondo l’autore latino Macrobio[21], Verrio Flacco era “iuris pontificii peritissimus” cioè era un esperto del diritto pontificale romano, materia notoriamente derivante dalla disciplina etrusca. Un ulteriore elemento di prova dell’esistenza di forme assembleari, e di conseguenza di una ripartizione dei cittadini, all’interno delle spura è offerta dalla colonna XII del liber linteus di Zagabria[22], testo di natura religiosa del I secolo a.C. derivato direttamente dalle prescrizioni contenute nei libri Rituales[23], secondo il quale esistevano due diverse caθra (assemblee): eteric caθre e hilarθne caθre. Queste assemblee, a seconda dei vari Autori, assumono una differente tipologia di ripartizione della popolazione: secondo alcuni studiosi (Facchetti, Mastrocinque)[24] queste assemblee indicavano categorie sociali differenti; mentre peraltri Autori (Maggiani)[25] questi comizi rappresentavano classi di età diverse. Ma sicuramente, qualunque sia il concetto da attribuire ai termini eteric e hilarθne, il libro di Zagabria conferma l’esistenza di una suddivisione dei cittadini in almeno due gruppi distinti, rappresentati dalle su citate assemblee.

 

3. Le spura che possiedono indizi sulla suddivisione della popolazione

 

Il secondo gruppo di prove ed indizi è caratterizzato per essere costituito da un insieme eterogeneo di elementi. Con questa espressione si vuole indicare che le prove sono di varia natura (letteraria, epigrafica ed archeologica) ed inoltre che questi elementi hanno carattere locale, cioè dimostrano (o sono utili a dimostrare) la presenza di una strutturazione e suddivisione politica della popolazione etrusca solo in alcune spura. Sideve ulteriormente precisare che all’elenco delle spura citate si è aggiunto anche la città di Roma in virtù di una Dottrina[26], seppur oggi minoritaria, che ritiene l’Urbe essere stata, non solo influenzata o plasmata o governata nei suoi primordi, ma addirittura fondata dal popolo etrusco. Si inizia la disamina con la città di Manthva ( nome etrusco di Mantova ). In merito a questa città etrusca si possiede una prova esplicita e molto eloquente: la testimonianza di Servio, grammatico del IV-V sec. d.C., nell’illustrare un passo dell’Aeneide di Virgilio [X, 201-203][27]. Servio, infatti, nel Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [X, 202][28] afferma palesemente “quia Mantua tres habuit populi tribus, quae in quaternas curias dividebantur”. Sulla base di questo passo quasi tutti gli Autori[29] sono concordi, ad eccezione del Rosenberg[30], che la popolazione di Mantova era ripartita in tre tribù, le quali erano a loro volta divise in quattro curie, per un totale di dodici curie. Per il Rosenberg, invece, Mantova era a capo di una lega di dodici populi appartenenti a tre diverse etnie (Etruschi, Umbri e Veneti)[31]. La teoria del Rosenberg non ha tuttavia trovato seguito ed è stata anche criticata apertamente da Momigliano che l’ha definita come una “macchinosa congettura erudita”[32]. Inoltre, come ha già osservato Coli, si ignora “la composizione della curia e il nome che aveva in etrusco”[33] e naturalmente si deve ancora aggiungere che è oscura anche la composizione delle tribù e i relativi nomi. Dunque nel caso di Mantova si può solo dimostrare, con una relativa certezza, l’esistenza di una suddivisione in tribù e curie della cittadinanza.

Un’altra spura che presenta degli elementi di prova è Ceisra o Chaire (nome etrusco di Caere-Cerveteri). Per questa città etrusca si possiedono due epigrafi di epoca romana che attestano la presenza di una curia (CIL XI, 3614 e CIL XI, 3593) e i resti archeologici di una struttura teatriforme, che potrebbe avere la funzione di ekklesiasterion, cioè di sede di una qualche assemblea politica. Iniziando l’analisi dal materiale epigrafico e nello specifico dall’epigrafe CIL XI, 3593[34], datata in epoca claudiana ( 41- 54 d.C. ), si può attestare l’esistenza di una curia sia grazie al riferimento di una donazione del dictator di Caere alle divinità curiales, sia all’esplicita citazione nella dedica di una curia, chiamata: Aesernia. Il Rosenberg[35] partendo dall’espressione “deos Curiales” dimostra in modo assai convincente che le divinità della dedica non sono quelle dell’intera assemblea cittadina della spura (definita dall’Autore come senato), ma sono solo quelle di una sua partizione, definita nel testo epigrafico come curia, perché la dedica realizzata dal magistrato è un’offerta privata e non una donazione pubblica[36]. Nella seconda epigrafe CIL XI, 3614[37], di epoca successiva e datata 113 d.C., viene ancora menzionata una curia attraverso l’espressione “in curiam fuerunt”, che, secondo il Rosenberg[38], potrebbe indicare in questo caso l’intera assemblea cittadina. Si deve comunque precisare che i due testi epigrafici rappresentano una testimonianza molto più arcaica dell’epoca nella quale sono stati realizzati perché, come ha già osservato il Rosenberg[39], la città di Caere, dopo l’espansione romana nella penisola, aveva assunto un ruolo molto marginale nella politica dell’Urbe, comportando in pratica un sostanziale disinteressamento romano nel suo

riassetto istituzionale e di conseguenza “permettendo così che Caere conservasse la costituzione originaria”[40]. Oltretutto si deve considerare che la città di Caere ha sempre avuto delle strette relazioni diplomatiche con ROMA, come dimostrano infatti gli accordi stipulati di hospitium publicum[41] del 386 a. C. e la successiva concessione di isopoliteía[42] del353 a. C. Quindi si potrebbe anche ipotizzare la conservazione della ripartizione in curie, di origine etrusca, della spura in età imperiale. Un ulteriore indizio che va a suffragare questa ipotesi è la presenza nella città di una struttura del V secolo a. C. definita dal Colonna[43] come come teatriforme, cioè a forma quasi ellittica che ricorda vagamente un teatro, il quale aveva lo scopo secondo molti Autori[44] di contenere delle riunioni pubbliche. Questa opinione si basa essenzialmente sulle notevoli dimensioni dell’immobile, sull’assenza di partizioni interne che fanno presumere l’assenza di una copertura della struttura (rendendola di fatto a cielo aperto) e la sua vicinanza ad un tempio, necessario per i riti e gli auspici in occasione delle varie convocazioni assembleari. Dunque anche nel caso di Caere si può avvalorare, con una relativa sicurezza, la tesi di una sua partizione in curie.

Continuando la trattazione si analizzerà la città di Ruma (nome etrusco di Roma)[45]. L’Urbe degli albori, infatti, dovrebbe essere considerata più propriamente come una spura piuttosto che come un insediamento latino data la sua fondazione mediante i rituali prescritti nella Disciplina etrusca[46] e una presenza etnica etrusca considerevole. Ma tralasciando la querelle, se Roma sia stata effettivamente fondata dal popolo etrusco, o sia invece sorta da più componenti etniche, o sia anzi di origine latina, si deve al momento considerare solamente che la suddivisione dell’Urbe in tribù, curie e centurie presenta molteplici elementi di matrice tirrenica. Come è noto i nomi delle prime tribù romane erano Ramnes, Tities e Luceres[47] che secondo Varrone[48], grammatico ed erudito del I secolo a.C., basandosi a sua volta su un altro autore classico oggi purtroppo sconosciuto Volnius, erano vocaboli di derivazione etrusca. Questa testimonianza è sostenuta anche dalle ricerche compiute da Schulze[49], secondo il quale Ramnes, Tities e Luceres sono la latinizzazione dei gentilizi etruschi ramne, titie e luχre. Sempre in merito al nome delle tribù, si deve aggiungere anche l’osservazione compiuta dal Torelli[50] in merito alla tribù rustica Voturia, istituita successivamente al riassetto amministrativo e territoriale dell’Urbe, voluto dal re etrusco Servio Tullio[51]. Il Torelli ritiene che la denominazione Voturia (o Veturia) sia di derivazione etrusca ricollegandola al nome di un personaggio mitico originario di Veio: Mamurius Veturius, che potrebbe essere identificato anche con il re di Veio Morrius (o Mamorrius)[52]. L’Autore pone a sostegno di questa ipotesi un’iscrizione su una coppa d’argento rinvenuta in una tomba del VII secolo a.C. di Praeneste, meglio nota come Tomba Bernardini, che riporta in caratteri etruschi l'iscrizione Votusia, forma arcaica per Veturia. Ci sono ancora, come aveva già notato il Micali[53], altri elementi che indicano un’origine (od una possibile influenza) etrusca delle assemblee romane. Infatti secondo l’Autore esisteva una prescrizione giuridica di origine sacrale per non convocare le varie assemblee o per interrompere le sedute assembleari già iniziate. Questa norma veniva applicata in occasione di eventi atmosferici naturali quali i tuoni e i fulmini. A tal proposito Cicerone si esprime chiaramente “itaque in nostris commentariis scriptum habemus: << Iove tonante Augurante comitia populi habere nefas>>”[54] e ancora“Iove enim tonante cum populo agi non esse fas quis ignorat?”[55]. Quindi questa prescrizione di carattere giuridico-religiosa, contenuta molto probabilmente nei Libri fulgurales[56], cioè in una parte dei testi sacri etruschi dedicata all’interpretazione dei fulmini, dimostrerebbe che le assemblee romane erano regolate da norme etrusche. Per tanto nel caso di Roma, dove esisteva ed è naturalmente certa una suddivisione della cittadinanza, a differenza delle altre città menzionate, si può affermare che la ripartizione della popolazione era, con una relativa sicurezza, di matrice etrusca.

Anche un’altra città etrusca, Tarchuna (nome etrusco di Tarquinia), mostra segni dell’esistenza di assemblee cittadine sia dal punto di vista archeologico sia dal punto di vista storiografico[57]. Infatti Dionigi d’Alicarnasso[58], storico del I secolo a.C., narrando delle vicende di Tarquinio il Superbo dopo la sua cacciata da Roma e la sua fuga a Tarquinia, riferisce di un’assemblea popolare presente in questa città. Tito Livio[59] indica ulteriormente la presenza di un foro. L’episodio descritto dall’Autore riguarda il famoso massacro dei 307 soldati Romani fatti prigionieri nel 358 a.C. dall’esercito etrusco, quando furono frustati e decapitati nel foro di Tarquinia. Ci sono poi, secondo Torelli[60], anche delle tracce archeologiche nel centro della città, costituite da un’area aperta (databile forse X secolo a.C.), che dimostrerebbero l’esistenza di un foro o di una curia. Inoltre nell’ager tarquiniensis, precisamente nell’insediamento di Musarna, un piccolo centro etrusco collegato e subordinato alla spura di Tarquinia, vi è una testimonianza nell’epigrafe

AT. 1.105 – TLE 169 – CIE 5816[61] del III secolo a.C., contenuta nel coperchio del sarcofago di un importante magistrato locale Vel Aleθna, della probabile “partizione della popolazione in due categorie, i parχis e gli etera”[62] in virtù della presenza, all’interno del cursus honorum del magistrato, della pretura (o zilacato) sui parχis e di quella sugli etera, da intendere come due tipologie sociali differenti[63]. Dunque anche a Tarquinia si hanno elementi per dichiarare la possibile esistenza di un’assemblea, di un foro e di una bipartizione della popolazione sul modello di quella già osservata nella colonna XII del liber linteus di Zagabria, di cui si è già trattato precedentemente.

Infine si deve esaminare un gruppo di insediamenti (Veio, Arezzo, Volsinii, Falerii e pagus Arusnatium ), i quali possiedono dei semplici indizi sulla presenza di forme assembleari cittadine non sufficienti alla dimostrazione della reale esistenza di una ripartizioni della cittadinanza al loro interno, ma comunque utili per dare un quadro completo a codesta ricerca.

Iniziando dalla spura di Veis (nome etrusco di Veio) si devono citare due Autori latini, Tito Livio e Properzio. Secondo Properzio[64] esisteva a Veio un foro, nel quale vi era collocato un sedile aureo, riservato molto probabilmente a qualche magistrato o al sovrano. Tito Livio[65] ci informa inoltre che nella città si tenevano dei comizi e delle elezioni annuali di magistrati. Per di più in località Piazza d’Armi, dove era situata l’acropoli di Veio, è stata rinvenuta un’area centrale aperta, provvista di una cisterna[66] per l’acqua ed adiacente ad un tempio: forse questo era il luogo adibito a foro. Ma allo stato attuale si può solamente affermare che a Veio i cittadini si riunivano annualmente in assemblee presso un foro, non bene individuato archeologicamente.

Continuando con la spura di Aritim[67] (nome etrusco di Arezzo) si deve anche qui segnalare, secondo alcuni Autori[68], la presenza di un foro e di un’assemblea, sulla base di un passo molto eloquente di Tito Livio[69]. Lo storico latino nella sua narrazione dei fatti riguardanti la spura aretina nel 208 a.C., parla di un’assemblea, definendola“senatus”, la quale veniva convocata nel foro della città[70] e che aveva poteri deliberativi[71] in merito alla scelta degli ostaggi da dare allo Stato romano. Purtroppo non si hanno conferme archeologiche sull’esistenza di aree adibite a comizi, anche se esistono presso il santuario extraurbano di Castelsecco, località molto vicina ad Arezzo, i resti di un teatro monumentale datato metà del II secolo a.C. nel quale avrebbero potuto svolgersi delle assemblee cittadine[72].

Si prosegue ancora con la città di Velzna (nome etrusco di Volsinii). Di questa spura si possiede l’indicazione, offerta dall’erudito del I secolo a. C. Valerio Massimo[73], dell’esistenza di un ordine senatorio e di conviti e riunioni di cittadini liberi tenuti nella città di Volsinii. Secondo l’Autore latino i servi di Volsinii presero il potere entrando prima nella principale assemblea cittadina, denominata “senato”, e poi occupando tutte le pubbliche cariche di rilievo della città, raggiungendo un potere tale da riuscire a legiferare la proibizione delle varie assemblee. A sostegno di ciò vi sono inoltre: un brano del De viris illustribus Romae di Sesto Aurelio Vittore[74], nel quale si parla di una curia, da intendersi naturalmente come senato, e un passo dell’Epitome di Zonara[75], nel quale viene attestata l’esistenza di una βουλή. Quindi si può desumere che a Volsinii esistesse sia un assemblea superiore di tipo aristocratico, probabilmente equiparabile al senato romano, sia altre forme assembleari di matrice più popolare.

Un discorso simile a quello fatto per Roma può essere svolto anche per la città di Falerii[76] “che pur non” essendo “originariamente etrusca può includersi in questa rassegna”[77] in virtù dei molteplici legami sia geografici che leggendari[78] che storici[79] intercorsi proprio tra i Falisci e gli Etruschi. Sulla città di Falerii si dispone di testimonianze letterarie relative alla seconda resa della città ai Romani comandati da Camillo e avvenuta nel 394 a. C. Le fonti[80] latine e greche sono concordi nell’attribuire questa vittoria ai Romani per il grande spirito di giustizia di Camillo che si rifiutò di prendere dei ragazzini falisci in ostaggio offerti dal loro stesso precettore ma all’insaputa della comunità cittadina. Quindi la comunità di Falerii, visto questo gesto di estrema generosità, decretò la capitolazione. Nell’episodio descritto le fonti parlano di un’assemblea, di un senato, di un foro e di una curia: nello specifico Plutarco [X,6][81] parla dell’esistenza di un’κκλησίαν, che viene confermata da Tito Livio [V,27][82] con la menzione di un foro, e cita per due volte la βουλή [X,7][83], confermato ancora da Tito Livio con degli accenni proprio su un senatus e su una curia [ V, 27 ][84] da intendersi quest’ultima come luogo di riunione dell’assemblea superiore cittadina. Dunque anche a Falerii si potrebbe ritenere verosimilmente la presenza di almeno due assemblee: un senato ed un’assemblea popolare.

Infine si deve menzionare l’insediamento etrusco della comunità degli Arusnates in località Fumate, presso Verona, rinominato dai Romani come pagus Arusnatium. Codesto abitato[85] è stato inserito nella trattazione in analisi perché, secondo alcuni Autori[86], rappresenta una comunità originata da una gentes-tribù. A parere di Schulze[87] gli Arusnates discenderebbero infatti da una gens-tribù[88] della spura di Chiusi e più precisamente, secondo Valvo[89], dall’eroe chiusino Aruns o Arruns. Questo sembrerebbe confermato, sempre a parere di Valvo[90], anche dall‟impegno della spura di Chiusi nella colonizzazione dell’Italia settentrionale, avvenuto nell’arco temporale compreso fra il VI e il IV secolo a.C. Oltretutto la parola Arusnas si ritrova anche su di un’epigrafe[91] votiva incisa in caratteri etrusco-retici su un frammento di corno di cervo, ritrovata a Pergine in Valsugana in località Serso, e datata tra i secoli V e III a. C. che dimostra l’anteriorità del termine Arusnates alla colonizzazione romana.

 

4. Osservazioni conclusive

 

Compiendo infine una rapida sintesi globale e riassuntiva di tutti gli elementi probatori fin qui presentati, si può ritenere, con una relativa sicurezza, che le città etrusche possedevano effettivamente, sulla base delle fonti greco-romane e del Libro di Zagabria, delle assemblee politiche, le quali si riunivano in luoghi o spazi aperti equiparabili a dei fori o a degli ekklesiasterion. Questo è stato oltremodo dimostrato anche archeologicamente in molte delle principali spura, come ad esempio a Tarquinia o a Caere o a Veio. Per ciò che riguarda invece la distribuzione della popolazione etrusca all’interno delle spura, si può solamente affermarne l’esistenza, grazie ai moltissimi indizi in possesso. Tuttavia questi elementi non sono al momento in grado di dimostrare: 1) una presenza effettiva ed omogenea di tale ripartizione in tutte (o quasi) le città; 2) la reale strutturazione e funzione di questa suddivisione; nonché 3) la denominazione etrusca di questa distribuzione della popolazione[92]. Infatti l’unico elemento probatorio esplicito di una forma di suddivisione parla di tribus, curiae, centuriae, senza avere purtroppo alcuna spiegazione sul criterio distributivo e sul funzionamento di questi organi[93], ed utilizzando una terminologia chiaramente latina. Si deve però precisare che il brano di Verrio Flacco, pur non essendo esaustivo, trova comunque una conferma parziale in due città: Mantova, la quale, secondo Servio, era suddivisa (solamente) in tribù e in curie, e Caere, dove si trova un’epigrafe di epoca imperiale, che attesta la presenza di una curia chiamata Aesernia ed un’epigrafe etrusca del IV secolo a. C. che ipoteticamente dovrebbe indicare il termine etrusco per decuria, ma quest’ultima considerazione resta al momento solo una mera speculazione[94]. Ed inoltre anche il brano del liber linteus di Zagabria, che asserisce una bipartizione della popolazione etrusca, viene avvalorato grazie all’epigrafe AT 1.105, proveniente dal contado della spura di Tarquinia. Quindi allo stato attuale si può confermare la teoria dell’esistenza di una suddivisione della cittadinanza etrusca all’interno delle spura, senza purtroppo, poter aggiungere altro.

 

Abstract: The Etruscan society was complex, well structured and certainly had internal partition to better manage the family, political and military spheres. The aim of this paper is to deal with this legal aspect of Etruscan society through the examination of many and varied proofs: epigraphic, archaeological and ancient texts by Greek and Latin authors. The most important proofs are the surviving passages of the Etruscan Libri Rituales, which will be analyzed and correlated with the other proofs. We will therefore try to outline a regulatory framework (although still incomplete due to the absence of more exhaustive sources) capable of giving the reader a perspective on the issue.

 

Key words: spura, libri rituales, liber linteus of Zagreb, Verrio Flacco.


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

** Si ringraziano per il loro prezioso aiuto la Prof.ssa Lauretta Maganzani, il Prof. Giuseppe Giliberti e la Dott.ssa Rosa Maria Palavera.

 

[1] F. Bertini, Micali Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXIV, 2010. Questo Autore, poco conosciuto oggi ma molto celebre ai suoi tempi (vissuto tra il ‘700 e l’800), deve considerarsi un pioniere negli studi delle civiltà italiche con le sue due opere: Id., L’Italia avanti il dominio dei Romani, Firenze, 1810 e Id., Storia degli antichi popoli d’Italia, Firenze 1832. Micali intendeva rivendicare “l’autonomo e originale contributo delle popolazioni autoctone alla civilizzazione italiana” e “restituire alla storia quei popoli cui era mancato un Tucidide, un Livio e un Tacito e che avevano finito per essere del tutto ignorati”, F. Bertini, Micali Giuseppe, Dizionario Biografico degli Italiani, cit.

[2]. Momigliano, Quarto contributo alla Storia degli Studi classici e del mondo antico, Istituzioni e leggende di Roma arcaica, Roma 1969.

[3] A. Rosenberg, Lo Stato degli antichi Italici, a cura di L. Cappelletti – F. Senatore, Roma 2011.

[4] G. Micali, Storia degli antichi popoli Italiani, cit., pp. 79 e s.; A. Momigliano, Quarto contributo alla Storia degli Studi classici e del mondo antico, Istituzioni e leggende di Roma arcaica, cit., pp. 325 e s.; M. Torelli, Storia degli Etruschi, Roma-Bari 1981 pp. 56 e s.; Id., A comparative Study of thirty City-State culture, An Investigation, vol. XXI, Edited by Mogens Herman Hansen, 2000, Kgl. Danske Videnskabernes Selskab, 2000, p. 191.

[5] Essenzialmente A. Rosenberg, Lo Stato degli antichi Italici, a cura di L. Cappelletti – F. Senatore, cit., p. 120.

[6] A questo elenco si dovrà anche aggiungere la città di Roma e la città di Falerii Veteres, come verrà meglio illustrato nel successivo paragrafo.

[7] La suddivisione dei testi sacri etruschi è testimoniata da Cicerone, che li ripartisce nel De divinatione [I, 72] in haruspicini, fulgurales e rituales (“quod Etruscorum declarant et haruspicini et fulgurales et rituales libri, vestri etiam augurales”).

[8] Tra i contributi più significativi riguardanti questi personaggi mitici si segnalano: Censorino, De die natali, [IV, 13.]“nec non in agro Tarquiniensi puer dicitur divinitus exaratus nomine Tages, qui disciplinam cecinerit extispicii, quam lucumones tum Etruriae potentes exscripserunt”; Cicerone, De divinatione [II,23]“Omnem autem orationem fuisse eam qua disciplina contineretur: eam postea crevisse rebus novis cognoscendis, et ad eadem illa principia referendis”; Giovanni Lido, Περ διοσημειν o De ostentis [I, 3] “φησ τονυν  Tάρχων π το σγγράμματος, περ ενα τινες Tάγητος ποπτεουσιν, πειδήπερ κε κατά τινα διαλογικν μιλαν ρωτ μν δθεν  Tάρχων, ποκρνεται δ Tάγης ς προσκαρτερν κάστοτε τος ερος, ς [τυχν] συμβέβηκεν ατ κατά τινα χρόνον ροτριντι θαυμάσιόν τι”; FulgenzioPlanciade, Expositio sermonum antiquorum[voce manales lapides] “Labeo qui disciplinas etruscas Tagetis et Bacchetidis quindecim voluminibus explanavit”; Isidoro di Siviglia, Ethymologiae, [VIII, 9, 34-35] “Aruspicinae artem primus Etruscis tradidisse dicitur quidam Tages. Hic ex ÝorisÝ aruspicinam dictavit, et postea non apparuit. [35] Nam dicitur fabulose, arante quodam rustico, subito hunc ex glebis exiluisse et aruspicinam dictasse, qua die et mortuus est. Quos libros Romani ex Tusca lingua in propriam mutaverunt”; Ovidio, Metamorphoses [XV, 552-559]“Et nymphas tetigit nova res, et Amazone natus - haut aliter stupuit, quam cum Tyrrhenus arator - fatalem glaebam mediis adspexit in arvis - sponte sua primum nulloque agitante moveri, - sumere mox hominis terraeque amittere formam - oraque venturis aperire recentia fatis: - indigenae dixere Tagen, qui primus Etruscam - edocuit gentem casus aperire futuros”; Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [VI, 72]“Begoes nymphae, quae artem scripserat fulguritarum apud Tuscos”; Verrio Flacco - Festo Pompeo, De verborum significatu [voce Tages]“Tages nomine is geni filiu nepos lovis, puer dicitur discipulinam aruspicii dedisse duodecim populis Etruriae”.

[9] Secondo Ammiano Marcellino e Macrobio fu Tarquizio Prisco, augure di età cesariana ad operare questa traduzione: Ammiano Marcellino Res Gestae a Fine Corneli Taciti [XXV, 2, 7]“Confestim itaque ante lucis primitias Etrusci haruspices accersiti consultique, quid astri species portenderet nova, vitandum esse cautissime responderunt nequid tunc temptaretur: ex Tarquitianis libris in titulo de rebus divinis id relatum esse monstrantes, quod face in caelo visa committi proelium vel simile quicquam non oportebit”; Macrobio, Saturnalia [III, 7, 2] Traditur autem in libris Etruscorum, si hoc animal insolito colore fuerit inductum, portendi imperatori rerum omnium felicitatem. Est super hoc liber Tarquitii transcriptus ex Ostentario Tusco. Ibi reperitur: “purpureo aureoue colore ouis ariesue si aspergetur, principi ordinis et generis summa cum felicitate largitatem auget, genus progeniem propagat in claritate laetioremque efficit. Huius modi igitur statum imperatori in transitu uaticinatur”. Inoltre M. Cristofani, Tarquizio Prisco, in Dizionario della civiltà etrusca, Firenze 1985, p. 289. Un altro erudito di epoca cesarea, Aulo Cecina, è considerato da Cicerone quale autore della trasposizione in latino dei testi sacri etruschi. Cicerone, Epistularum ad familiares [VI, 6,] “Si te ratio quaedam Etruscae disciplinae, quam a patre, nobilissimo atque optimo viro, acceperas, non fefellit, ne nos quidem nostra divinatio fallet, quam cum confidimus, quod ea nos nihil in hi tam oscuri rebus tamque perturbatis umquamomnino fefellit”. Inoltre M. Cristofani, Cecina Aulo, in Dizionario della civiltà etrusca, cit., p. 64. Entrambi sono poi nominati da Plinio il Vecchio come ex auctoribus del libro II delle Naturalis Historia: “Caecina qui de Etrusca disciplina. Tarquitio qui item” ed afferma inoltre che “ Factum est semel, quod equidem in Etruscae disciplinae voluminibus invenio” [ II, 199 ].

[10] All’interno dei Rituales vi è era un libro dedicato specificatamente alla materia della proprietà fondiaria, come si può ricavare dalle indicazioni di Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [ I, 1, 2 ] nell’edizione del Danielino: “est enim in libro qui inscribitur Terrae Iuris Etruriae scriptum vocibus Tagae”. G. M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, Roma 2000, p. 171; S. Mazzarino, Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana, vol. II, Bari 1980, p. 273.

[11] M. Cristofani, letteratura, Dizionario della civiltà etrusca, cit., p. 156, aggiungendo anche i Libri Exercituales, relativi all’esercito; G. M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, cit., p. 167; M. Pallottino, Etruscologia, Milano 1984, p. 348 e s.

[12] Censorino, De die natali [XIV]“Etruscis quoque libris fatalibus”; Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [VIII, 398]“sed sciendum secundum aruspicinae libros et sacra Acheruntia, quae Tages conposuisse dicitur”; Tito Livio, Ab Urbe Condita [V, 15] “Sic igitur libris fatalibus, sic disciplina Etrusca traditum esse”.

[13] Arnobio, Adversus Nationes [II, 62, 1] “neque quod Etruria libris in Acheronticis pollicentur, certorum animalium sanguine numinibus certis dato divinas animas fieri et ab legibus mortalitatis educi”.

[14] Macronio, Saturnalia, [III, 7, 2] “Est super hoc liber Tarquitii transcriptus ex Ostentario Tusco”.

[15] Ammiano Marcellino, Res Gestae a Fine Corneli Taciti [XXIII, 5,10] “Etrusci tamen haruspices qui comitabantur, gnari prodigialium rerum, cum illis procinctum hunc saepe arcentibus non crederetur, prolatis libris exercitualibus ostendebant signum hoc esse prohibitorium principique aliena licet iuste invadenti contrarium”.

[16] Per ciò che riguarda i brani epigrafici si riporta A. Neppi Modona, Libri Rituali, Enciclopedia Italiana, 1936, che individua “una lamina plumbea lenticolare da Magliano in Toscana (Firenze, Museo arch.: Corp. Inscr. Etrusc., I, 5237), del sec. VI

a. C., dove pure ricorrono nomi di divinità, di anno e mese e di offerte e sacrifizî”, la“tegola da S. Maria di Capua Vetere (Berlino, Staatl. Museen), del sec. V a. C., ma relativamente a un determinato defunto” e “un'epigrafe latino-falisca su urna cineraria del sec. VI a. C. ( Corp. Inscr. Etrusc., I, 8079)” vedianche G.M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, Roma cit., pp. 50, 259-265. Mentre per brani derivanti dagli Autori classici si citano Giovanni Lido, De Ostentis [I, 3], Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [I, 1, 2] e il Gromatici Veters [348-350, L]. Infine si menziona il liber linteus di Zagabria di cui alla nota n. ²² di questo scritto, il quale rappresenta l’unico esempio di manoscritto.

[17] G. Micali, Storia degli antichi popoli Italiani, cit., p.79. A. Rosenberg, Lo Stato degli antichi Italici, a cura di L. Cappelletti – F. Senatore, cit., p. 114.

[18] Marco Verrio Flacco, grammatico, retore e studioso di antichità, vissuto in epoca augustea. Purtroppo le sue opere sono pervenute solo in modo frammentario o indiretto. Le poche informazioni sulla sua vita di cui si dispone giungono essenzialmente da Svetonio, De grammaticis et rhetoribus [I,17,1-4] ([1] M. Verrius Flaccus libertinus docendi genere maxime inclaruit; namque ad exercitanda discentium ingenia aequales inter se conmittere solebat, proposita non solum materia quam scriberent sed et praemio quod victor auferret; id erat liber aliquis antiquus, pulcher aut rarior. [2] Quare ab Augusto quoque nepotibus eius praeceptor electus, transiit in Palatium cum tota schola, verum ut ne quem amplius posthac discipulum reciperet, docuitque in atrio Catulinae domus, quae pars Palati tunc erat, et centena sestertia in annum accepit. [3] Decessit aetatis exactae sub Tiberio. [4] Statuam habet Praeneste in superiore fori parte circa hemicyclium in quo fastos a se ordinatos et marmoreo parieti incisos publicarat”.) Per ciò che riguarda più specificatamente il De verborum significatu si deve precisare che l’opera è giunta in due riduzioni: una realizzata da Festo Sesto Pompeo (II secolo d. C. ) e l’altra eseguita da Paolo Diacono (VIII secolo d.C.). G. Funaioli, Grammaticae romanae fragmenta, ed. B.G. Teubneri, vol. I, Lipsia 1907, p. 510; I. Lana, L’età di Augusto: fra restaurazione e innovazione, La vita culturale: «collegia iuvenum» e scuole; biblioteche e opere d’arte nella città imperiale, in I. Lana –E. V. Maltese, Storia della civiltà letteraria greca e latina, vol. II, Torino 1998, p. 643.

[19] Il testo completo: “Rituales nominantur Etruscorum libri, in quibus perscribtum est, quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae, quomodo tribus, curiae, centuriae distribuantur, exercitus constituantur, ordinentur, ceteraque eiusmodi ad bellum, ac pacem pertinentia”. Traduzione: “Si chiamano Rituales certi libri degli Etruschi, in cui è esposto con quale rito si debbano fondare le città o consacrare gli altari o i templi, con quale inviolabilità si debbano erigere le mura, con quali norme le porte, in che modo vadano distribuite le tribù, le curie e le centurie, in che modo vada costituito e organizzato l’esercito e tutte le altre attività civili, concernenti la guerra e la pace”.

[20] Gli Scholia Vergilii Veronensia sono una collezione di commenti, annotazioni e brevi spiegazioni, scritta a margine di fogli palinsesti dei Moralia di Gregorio Magno, ritrovati nella Biblioteca Capitolare di Verona, che contenevano le opere di Virgilio, C. Bascheria, Gli Scolii Veronesi a Virgilio, Verona 1999.

[21] Macrobio, Saturnalia, [I,15] “Sed Verrium Flaccum, iuris pontificii peritissimum, dicere solitum refert Varro, quia feriis tergere veteres fossas liceret, novas facere fas non esset; ideo magis viduis, quam virginibus, idoneas esse ferias ad nubendum”.

[22] Il liber linteus di Zagabria, o mummia di Zagabria, di epoca tolemaica, è il testo etrusco più lungo pervenuto. E’ costituito da un panno di lino suddiviso in dodici parti, lungo circa 13 metri, che fungeva da benda per ricoprire il corpo mummificato di una donna. E’ chiamato di Zagabria (o anche Agram, nome tedesco di Zagabria) perché è conservato presso il Museo Archeologico dell’omonima città croata. M. Cristofani, Zagabria, in Dizionario della civiltà etrusca, cit., p. 339; G. M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, cit., p.267; M. Torelli, Storia degli Etruschi, cit.,p. 66. Il brano etrusco citato: “θunχulem muθ hilarθune eteric caθre χim enac nχva meθlumθ puts muθ hilarθuna tecum etrinθi muθ nac θuca unχva hetum hilarθuna θenθ hurσic caplθu ceχam enac eisna hinθu hetum hilarθuna eteric caθra etnam aisna iχ matam”. Traduzione: “e in concordia raccogli nell’assemblea dei possidenti e dei plebei tutte quante le tue cose; (siano) poste tra il popolo; raccogli l’omaggio dei possidenti assieme a quello dei plebei, perché le tue (azioni siano) comuni; e purifica θenθ hurσic caplθu dei possidenti; e il servizio divino (si svolga) tanto sopra quanto sotto; e purifica l’assemblea dei possidenti e di plebei; il servizio divino è lo stesso come il matam”. G. M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, cit., p.278.

[23] G. M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, cit., p. 268; M. Pallottino, Il libro etrusco della mummia di Zagabria, in VAMZ, 3. s., XIX, 1986, p. 5.

[24] G. M. Facchetti, L’appellativo etrusco etera, in Studi Etruschi, vol. LXV-LXIII, Firenze 2002,p. 233; A. Mastrocinque, Servitus publica a Roma e nella società etrusca, in Studi Etruschi, vol. LXII, Firenze 1998, p. 255.

[25] A. Maggiani, Appunti sulle magistrature etrusche, in Studi Etruschi, vol. LXII, Firenze 1996, p. 119.

[26] Iniziando dagli Autori antichi si deve nominare essenzialmente Dionigi d’Alicarnasso, Antichità romane [I,29,2] che riferendosi su Roma afferma che “è stata considerata da molti storici città tirrenica” (“τήν τε Ρώμην αυτήν πολλόι τών συγγραφέων Τυρρηνίδα πόλιν είναι υπέλαβον”)ed anche Plutarco, Vita di Romolo, [I,1] ritiene Roma fondata dal popolo dei Pelasgi, che Dionigi d’Alicarnasso [I, 25,2] considera Etruschi: “καλοντο δπ τν λλων νθρπων τς τε χρας πικλσει φ’ ς ξανστησαν κα το παλαι γνους μνμ ο ατο Τυρρηνο κα Πελασγο. ν γ λγον ποιησν το μ τινα θαμα ποιεσθαι, πειδν ποιητν  συγγραφων κούῃ τος Πελασγος κα Τυρρηνος νομαζντων, πς μφροτρας σχον τς πωνυμας ο ατο. Invece tra gli studiosi “contemporanei” si devono indicare soprattutto V. Arangio Ruiz, Storia del diritto romano, Napoli 1940, p. 15 e s.; F. De Martino, Storia della costituzione romana, vol. I, Napoli 1951, p. 70 e s.; K. J. Neumann, Die hellenistichen Staaten und die römische Republik. Das 1. Jahrhundrt des Hellenismus und die Entstehung des römischen Staates, in Von Pflügk – Harttung (Hrsg), Ullsteins Weltgeschichte. Die Entwicklung der Menschheit in Staat und Gesellschaft, in Kultur und Geistesleben, vol. I, Berlino 1907, p. 362; R. M. Ogilvie, Le origini di Roma, 1984, p. 29.

[27]Virgilio, Aeneide, [X, 201-203]: Mantua dives auis, sed non genus omnibus unum: /gens illi triplex, populi sub gente quaterni, /ipsa caput populis, Tusco de sanguine vires.

[28] Servio, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros [X,202] “GENS ILLI TRIPLEX POPULI SUB GENTEQUATERNI quia Mantua tres habuit populi tribus, quae in

curias dividebantur: et singulis singuli lucumones imperabant, quos tota in Tuscia duodecim fuisse manifestum est, ex quibus unus omnibus praeerat. hi autem totius Tusciae divisas habebant quasi praefecturas, sed omnium populorum principatum Mantua possidebat:unde est 'ipsa caput populis'. ergo Vergilius miscet novam et veterem Etruriam, ut utriusque principatum patriae suae adsignet, cum alioquin Mantua ad haec auxilia pertinere non debeat, quia Aeneas nulla a transpadanis auxilia postulaverit, cum omnis exercitus adversum Mezentium uno loco consederit. et propterea putatur poeta in favorem patriae suae hoc locutus, ut de hac sola trans Padum pro Aenea adversum Mezentium auxilia faciat venisse, quod nec populorum nomina, nec lucumonum rettulerit”.

[29] U. Coli, Il diritto pubblico degli Umbri e le tavole eugubine, in Scritti di Diritto Romano, vol. II, Milano 1973, p. 825; S. Mazzarino, Il basso impero, antico, tardoantico ed era costantiniana, cit., p. 262; G. Micali, Storia degli antichi popoli Italiani, cit., p. 79; A. Momigliano, Quarto contributo alla Storia degli Studi classici e del mondo antico, Istituzioni e leggende di Roma arcaica, cit., p. 325.

[30] A. Rosenberg, Lo Stato degli antichi Italici, a cura di L. Cappelletti - F. Senatore, cit., p. 116.

[31] Id., Lo Stato degli antichi Italici, a cura di L. Cappelletti - F. Senatore, cit., pp. 117 e 118.

[32] A. Momigliano, Quarto contributo alla Storia degli Studi classici e del mondo antico, Istituzioni e leggende di Roma arcaica, cit., p. 326.

[33] U. Coli, Il diritto pubblico degli Umbri e le tavole eugubine, in Scritti di Diritto Romano, cit., p. 825.

[34] Tesi sostenuta anche da M. Torelli, A comparative Study of thirty City-State culture, cit., p. 191.

Epigrafe CIL XI 3593:

Deos Curiales / genium Ti(beri) Claudi Caisaris Augusti / p(atris) p(atriae) Curiae Aeserniae A(ulus) Avillius Acanthus / d

Giacomini Alessandro



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