fbevnts The right to education in pandemic times among limitations and recovery prospects

Il diritto all’istruzione in tempo di pandemia tra limitazioni e prospettive di rilancio

30.06.2021

Giuseppe Chiara

Professore associato, Università degli Studi di Catania

 

Il diritto all’istruzione in tempo di pandemia tra limitazioni e prospettive di rilancio*** 



English title: The right to education in pandemic times among limitations and recovery prospects

DOI: 10.26350/18277942_000034

 

Sommario: 1. L’incidenza della pandemia sul sistema delle fonti, anche con riferimento alla disciplina dell’istruzione. -  2. La “contaminazione” della didattica da parte della tecnologia al tempo dell’emergenza epidemiologica. - 3. Le incerte linee evolutive della disciplina sull’inclusione scolastica. - 4. Conclusioni.

 

1. L’incidenza della pandemia sul sistema delle fonti, anche con riferimento alla disciplina dell’istruzione

 

La pandemia ha amplificato diseguaglianze economiche e precarietà sociale, imponendo un improvviso allentamento dei legami interpersonali e generando un diffuso, perdurante stato di incertezza. Tale situazione ha coinvolto anche il nostro sistema nazionale d’istruzione, segnato, già in passato, da una legislazione dalla visuale corta, orientata, generalmente, al taglio delle risorse e al trasferimento delle responsabilità sulle istituzioni scolastiche in nome del potenziamento di un’autonomia, che si è rivelata, nel lungo periodo, fattore non risolutivo delle tradizionali inefficienze ed asimmetrie del settore[1].

Il segmento in esame ha rappresentato, peraltro, soltanto uno dei punti di emersione del più ampio progetto politico di riconfigurazione di quella «dimensione sostanziale della democrazia»[2], riferita ai diritti sociali, sulla quale le misure di austerità di bilancio, animate dall’intento di salvaguardare a tutti i costi l’equilibrio dei conti pubblici, hanno mostrato il loro volto più arcigno, erodendo in profondità lo spazio dei valori della cittadinanza sociale non solo nazionale, ma anche europea[3].

Alle fragilità già esistenti, la crisi epidemiologica ha aggiunto le incertezze derivanti da una normazione alluvionale, che ha interessato pressoché tutti i gangli vitali del nostro assetto economico-sociale. Ciò rende imprescindibile, prima di avviare l’analisi dei mutamenti imposti dalla pandemia ai servizi d’istruzione e dei relativi percorsi adattativi, una sia pur breve ricostruzione dei multiformi atti normativi posti in essere per contenere la diffusione del virus, impattando restrittivamente sui concreti spazi di fruizione di varie libertà costituzionali.

In riferimento alle situazioni di emergenza, il nostro ordinamento prevede, accanto allo strumento della decretazione d’urgenza normato dalla stessa Costituzione e lungamente modellato dalla giurisprudenza costituzionale, un variegato ventaglio di provvedimenti disciplinati dalla legge n. 833 del 1978 e, più organicamente, dal Codice della protezione civile (d. lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, nel quale sono confluite anche le disposizioni della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio nazionale di Protezione civile)[4]. Tale normativa individua, tra l’altro, una tipologia di eventi calamitosi[5] e definisce i presupposti e le condizioni per la dichiarazione, ad opera del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza di rilievo nazionale. Essa definisce, altresì, un sistema di poteri di ordinanza, assegnandoli in base a vari criteri al Presidente del Consiglio dei ministri, al Capo del Dipartimento per la Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio, ai Commissari delegati, ai Prefetti, ai Sindaci, ai Presidenti di Regione; entro tale varietà di organi preposti alla gestione delle situazioni di emergenza, il Codice attribuisce comunque al Presidente del Consiglio la potestà di adottare direttive finalizzate ad assicurare l’indirizzo unitario per l’esercizio della funzione e lo svolgimento delle attività di protezione civile (art. 15)[6].   

Nel definire i poteri di ordinanza “di protezione civile”, che possono esprimersi «anche in deroga ad ogni disposizione vigente», il Codice ha cura di precisarne i limiti sostanziali. L’art. 25 del Codice dispone, infatti, che l’esercizio dei poteri di ordinanza debba comunque avvenire «nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione Europea», prevedendosi, altresì, l’acquisizione dell’intesa delle Regioni e delle Province autonome territorialmente interessate, nonché l’indicazione preventiva e tassativa delle principali norme a cui si intende derogare e l’obbligo di specifica motivazione. La cautela usata per la determinazione delle modalità di esercizio dei poteri derogatori di emergenza induce a ritenere incompatibile con la ratio di fondo del Codice qualsiasi ipotesi di sospensione di disposizioni di garanzia dei diritti costituzionali, «meno che mai di rango costituzionale»[7].

Precise indicazioni sono rivolte, poi, ad evitare sovrapposizioni tra gli interventi posti in essere dai vari livelli di governo. A questo fine, il potere di ordinanza degli enti sub-statali è individuato secondo un preciso ordine di riparto delle competenze e opera nei limiti e con le modalità indicate dalle direttive del Presidente del Consiglio[8]. La disciplina del Codice offre, dunque, un’adeguata definizione dei criteri di riparto delle competenze emergenziali tra gli enti territoriali.

In questa cornice, e in particolare seguendo la traccia offerta dall’art. 24 del Codice[9], è stata adottata la delibera del Consiglio dei Ministri dichiarativa dello stato di emergenza sanitaria[10], con la quale si è anche autorizzata l’emanazione delle ordinanze di protezione civile da parte del Capo del Dipartimento della Protezione civile «in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico» (punto 2)[11]; per questa via sono state varate diverse ordinanze produttive di effetti immediati sulla disciplina dei servizi di istruzione[12].

La linea di produzione normativa di gran lunga più rilevante ai nostri fini si è sviluppata, peraltro, secondo altri itinerari, segnati dalla ricca decretazione d’urgenza e dal correlato ricorso, in forza delle “deleghe” a maglie più o meno larghe[13] ivi contenute, a strumenti giuridici ibridi e ampiamente deformalizzati (decreti del Presidente del Consiglio, decreti ministeriali[14], ordinanze del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, ordinanze dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci), dal carattere normativo, ma anche provvedimentale e talora assimilabili a semplici raccomandazioni[15].

Il primo intervento, in tal senso, è stato rappresentato dal d.l. 23 febbraio 2020, n. 6[16], che ha individuato, ma solo in via esemplificativa, le ipotesi di intervento in deroga mediante d.P.C.M., lasciando peraltro imprecisati i ruoli delle diverse autorità coinvolte nell’azione di contrasto all’epidemia, ricondotte entro la generica formula di «autorità competenti»[17], facoltizzate ad adottare, con una clausola residuale di più che dubbia  legittimità, «ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza […] anche al di fuori dei casi elencati dall’art. 1, comma 1» (art. 2).

Il d.l. n. 6 è stato abrogato dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, che ha sanato gli effetti prodotti dal precedente atto, tentando di correggerne le incongruenze più evidenti. Sono state così indicate in maniera più dettagliata le misure adottabili nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, precisati i casi e i modi di intervento e fissati in modo espresso i termini di efficacia temporale dei provvedimenti via via posti in essere[18]. Lo stesso ruolo del Parlamento è stato significativamente rivalutato ad opera della legge di conversione n. 35 del 2020, secondo cui il Governo è tenuto a «illustrare preventivamente alle Camere il contenuto dei procedimenti da adottare al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati», ferma restando comunque la possibilità, per ragioni di urgenza, che l’informativa parlamentare avvenga con la semplice comunicazione quindicinale sulle misure assunte (art. 2, comma 1).

Ciò non ha impedito, peraltro, il perpetuarsi di fattori critici, offerti dalla dubbia legittimità della sanatoria di misure, limitative di diritti fondamentali e per di più assistite da sanzioni penali, adottate con strumenti atipici e in difetto di una puntuale copertura legislativa; dall’opzione favorevole alla stabilizzazione dell’uso dei decreti presidenziali, assunti quali ordinari strumenti di normazione per l’intero periodo emergenziale, di durata indeterminata; dal riferimento, inevitabilmente generico e suscettibile di disparate interpretazioni, alla proporzionalità e adeguatezza degli stessi decreti presidenziali, inidoneo ad assicurarne un efficace controllo giurisdizionale[19].

Le ambiguità hanno intercettato anche la dimensione dei rapporti tra i vari livelli di governo[20], alimentando fenomeni di sovrapposizione tra i più disparati interventi normativi incidenti sulle libertà costituzionali, secondo dinamiche in genere poco coordinate, che hanno assunto, a tratti, carattere alluvionale.

L’emergenza epidemiologica ha così acuito la crisi in cui già in precedenza versava il  nostro sistema delle fonti, facendo assumere al ben noto fenomeno della «fuga dal regolamento»[21] un carattere inedito, attestato dal profluvio di atti atipici adottati da varie autorità monocratiche (centrali, regionali e locali) dotate non solo del potere di precisare e concretizzare lemisure determinate dagli stessi decreti legge, ma anche di apportarvi deroghe, ampliative o restrittive, al fine di massimizzare, volta per volta, la sicurezza[22]. Il contenuto cangiante di tali provvedimenti ha reso e rende molto ardua la raffrontabilità degli stessi con le disposizioni-parametro di rango primario, ponendosi quale ulteriore ostacolo alla loro giustiziabilità e connotando linee di produzione normativa non pacificamente armonizzabili con i tradizionali strumenti di tutela delle libertà costituzionali offerti dal principio di legalità sostanziale[23] e dall’istituto della riserva di legge[24].

Si può dunque ben dire che i pubblici poteri abbiano “inseguito” l’epidemia, percorrendone le altalenanti fasi di sviluppo e dando luogo a provvedimenti di portata generale o limitati a determinate aree del paese, secondo percorsi difficilmente suscettibili di composizione organica.      

In tal senso, lo stesso tentativo di fondare gli atti espressivi del potere di ordinanza (e, in specie, i decreti del Presidente del Consiglio) sulla doppia legittimazione, offerta dal Codice della protezione civile e dai singoli decreti legge via via adottati dal Governo[25], non appare del tutto appagante, sebbene evidenzi una innegabile coerenza sul piano formale: sotto questo profilo risulta, infatti, ben possibile ricostruire una catena normativa composta dai suddetti atti con forza di legge, fin dalla dichiarazione dello stato di emergenza. Al di là del dato formale, però, guardando al singolare impatto che le misure di contenimento del contagio hanno avuto sugli spazi di varie libertà costituzionali, compressi per lungo tempo e in maniera tanto radicale, appare difficilmente contestabile che l’azione dei pubblici poteri abbia ampiamente oltrepassato i confini della normativa base della protezione civile[26]. La dimensione finalistica degli atti via via varati per fronteggiare la pandemia, dai primi decreti legge emergenziali alla produzione normativa delle autorità locali (oltre che di altri organi dell’apparato statale), ha assunto quale cifra qualificante la tensione a secondare l’istanza di sicurezza massima, astraendo in non pochi casi dal criterio di ragionevole bilanciamento nel confronto tra i diversi interessi di rango costituzionale e consentendo soltanto le condotte espressamente concesse dalle autorità seguendo una logica di prevenzione[27].

Il “disordine” del sistema delle fonti accresciuto dall’emergenza epidemiologica[28] si è manifestato, “a cascata”, anche sulla gestione dei servizi d’istruzione, sui quali si è riflessa la moltiplicazione dei centri decisionali, regionali o locali, in difetto di stringenti regole di coordinamento. Per fronteggiare la crescita autunnale della curva dei contagi, vari provvedimenti dell’esecutivo hanno prescritto, in tutto il Paese, la limitazione e, successivamente, la sospensione dell’attività didattica in presenza per gli studenti delle scuole superiori e per quelli di seconda e terza media delle c.d. “zone rosse”,individuando nella Dad la modalità “ordinaria” di erogazione dei servizi d’istruzione per gli studenti delle superiori[29]. Anche in questo settore, peraltro, avvalendosi del già ricordato potere delle autonomie locali di introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle adottate a livello centrale[30], numerose amministrazioni territoriali hanno previsto misure maggiormente limitative della didattica in presenza in determinate aree geografiche, scelta che ha innestato un contenzioso endemico, promosso dallo stesso esecutivo nazionale o da segmenti della società civile[31]. Si è trattato di provvedimenti giustificati alla luce del principio di precauzione (e ribaditi anche recentemente, alla ripresa delle lezioni dopo le festività natalizie), ma spesso senza nessuna correlazione con quello di proporzionalità, in maniera del tutto irrelata con un’istruttoria che consentisse di pervenire, sulla base di dati oggettivi e scientificamente attendibili, a una motivazione congrua in ordine alla necessità della sospensione generalizzata della didattica in presenza nel territorio dato. Non di rado tale principio si è rivelato essere, dunque, una sorta di “panacea”, la «formula risolutoria» di situazioni complesse non programmate tempestivamente[32], laddove proprio la centralità del diritto all’istruzione avrebbe imposto, da parte delle autorità territoriali, un’attenta ponderazione dei singoli “eventi” significativi sul piano epidemiologico, valutati alla luce di un quadro assiologico complesso, onde preservare, appunto alla luce dei valori costituzionali, la congruità della misura al “fatto” nuovo prodottosi, del tutto inaspettatamente, in sede locale[33].

Guardando allo sviluppo della produzione normativa dettata per contrastare la diffusione dell’epidemia, la figura evocativamente più calzante sembra quindi quella del «flusso per linee spezzate che scaturisce in un delta reticolare»[34], piuttosto che l’altra, più rassicurante, ma inidonea a descrivere la situazione concretamente venutasi a creare, dell’ordinata «catena normativa».

 

2. La “contaminazione” della didattica da parte della tecnologia al tempo dell’emergenza epidemiologica

 

Sul versante delle modalità di erogazione dei servizi d’istruzione, la pandemia ha aperto scenari del tutto inediti, imponendone una riconfigurazione connotata in profondità dalle nuove tecnologie informatiche e multimediali, che hanno salvaguardato, in molti casi, la continuità delle lezioni[35]. La sospensione dell’attività didattica in presenza, che avrebbe dovuto rappresentare una soluzione temporanea, si è di fatto protratta per tutto lo scorso anno scolastico, anche a motivo delle profonde carenze strutturali del settore in esame. Con l’avvio del nuovo anno scolastico, l’utilizzo della piattaforma digitale ha seguito una logica incrementale, segnata dall’andamento del virus.

Nonostante tale sviluppo, il percorso di valorizzazione della Dad si è dovuto confrontare con alcune “ataviche” difficoltà che hanno inciso e incidono sulla stessa effettività del diritto di accesso al mezzo informatico, condizionato da “fragilità” sia infrastrutturali, che organizzative. Su queste ultime, in particolare, ha pesato considerevolmente l’esigenza impellente di ridefinire i rapporti tra autonomia didattica del docente e diritto all’apprendimento del discente.

Quanto al primo profilo, il nostro sistema d’istruzione post-covid ha risentito della tradizionale sottovalutazione delle specificità della didattica a distanza e gli stessi recenti interventi di potenziamento della dotazione informatica delle scuole hanno prodotto risultati significativi, ma ancora non sufficienti a colmare ritardi decennali[36]. La Dad presuppone, infatti, il possesso di requisiti specifici (strutture, skills, pratiche consolidate, una formazione adeguata), che il nostro sistema di istruzione non possedeva, supplendo non di rado con iniziative individuali, che hanno peraltro mostrato una non comune capacità progettuale e di adattamento. Ha scolpito questo “storico” ritardo la previsione contenuta nel d.l. n. 22 del 2020, adottato nella fase iniziale della pandemia, secondo cui, a seguito della sospensione delle attività didattiche in presenza, «il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione», formula dalla quale traspare il profondo disagio e l’impreparazione del nostro sistema-scuola a fronteggiare con modalità nuove l’erogazione del servizio di istruzione. Solo in un secondo momento, in sede di conversione, si è prevista la possibilità di disporre, per l’acquisto di servizi di connettività, delle risorse di cui alla carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di cui all’art. 1, comma 121, l. n. 107 del 2015[37].

Più in generale, sull’effettività del diritto all’istruzione e sulla qualità della didattica a distanza ha pesato, e pesa tuttora, il nodo offerto dal divario digitale(nella duplice dimensione del digital divide tecnologico[38] e di quello culturale[39]), che, nell’utilizzo delle risorse analogiche, penalizza in primo luogo i gruppi sociali più deboli, con immediate ricadute proprio sulla fruizione del servizio di istruzione. Si tratta di un nodo mai completamente sciolto - come dimostrato, tra l’altro, dalle perduranti difficoltà che ancora incontra l’inserimento dell’accesso alla banda larga nel novero dei servizi universali[40] - che certo può produrre, e di fatto ha prodotto, un impatto significativo sullo stesso percorso scolastico dell’alunno, aggravandone ulteriormente lo sviluppo. In tal senso, risulta particolarmente apprezzabile un recente orientamento del giudice amministrativo nel quale, proprio assumendo come premessa l’incidenza del digital divide sul percorso scolastico, si è escluso che la carenza di elementi valutativi in capo ai docenti dovuta esclusivamente a carenze nella disponibilità di apparecchiature tecnologiche o a problemi di connettività di rete nella fase dell’emergenza sia sufficiente ad inibire l’ammissione dell’alunno alla classe successiva[41].

Sul versante organizzativo, la didattica a distanza ha risentito, in passato, di una sorta di «oblio normativo», non essendo stata prevista dall’ordinamento didattico, tranne sporadici riferimenti ad essa riguardanti i casi, molto limitati, di scuola a domicilio e in ospedale. La pandemia ha dunque colto impreparato il sistema d’istruzione: in mancanza di norme che sancissero l’obbligatorietà della didattica a distanza non solo per gli studenti, ma anche per i docenti, e ne disciplinassero le declinazioni applicative sul piano delle modalità di erogazione e della valutazione, l’autonomia didattica dei docenti e delle scuole ha comportato, nella prima fase dell’emergenza epidemiologica, una forte disomogeneità nella strutturazione delle lezioni da parte dei singoli istituti scolastici, soprattutto in riferimento al numero di ore in video-lezione e all’uso degli strumenti. Solo in momenti successivi, e dopo non poche tensioni[42], tale varietà ha trovato una composizione unitaria con l’approntamento delle Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata dell’agosto 2020, cui ha fatto seguito, in tempi più recenti, la sottoscrizione del contratto integrativo sulla Didattica Digitale Integrata[43]

 

3. Le incerte linee evolutive della disciplina sull’inclusione scolastica

 

La situazione di emergenza sanitaria, polarizzata intorno alle ragioni dell’hic et nunc, tratto precipuo dell’azione di contenimento della diffusione del virus, ha esacerbato le già note fragilità del nostro modello di inclusione scolastica e, più ampiamente, sociale degli alunni con disabilità. Se è vero, infatti, che nel dettare le prime raccomandazioni dopo la sospensione della didattica in presenza, il Ministero dell’istruzione ha confermato l’esigenza di prevedere forme di assistenza differenziate nei riguardi degli alunni disabili, DSA e BES[44], è altresì vero che la scelta delle concrete modalità operative in questo ambito delicatissimo è stata demandata alle istituzioni scolastiche e che per l’intero anno scolastico 2019-’20 nessuna presenza o vicinanza è stata introdotta con riguardo all’insegnante di sostegno[45]. A ciò si aggiunga che la stessa possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale del diritto al sostegno è stata profondamente condizionata, seppure temporanea, dalla sospensione dell’attività giudiziaria prevista dai decreti legge n. 9, 11 e 18 del 2020[46].

Tra i lasciti più amari del c.d. lockdown può annoverarsi, poi, la sospensione dei servizi educativi della prima infanzia, cui un ormai consolidato orientamento dei giudici della Consulta ha attribuito una valenza ulteriore rispetto a quella tradizionale di sostegno alle famiglie, colta nella finalità formativa dell’asilo nido. Questo è «rivolto a favorire l’espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino di età inferiore ai tre anni», sicché la frequenza dello stesso si pone quale «essenziale fattore per il recupero del bambino disabile e per il superamento della sua emarginazione»[47]. Sebbene l’impatto di tale scelta sia stato attenuato dalla previsione di attività organizzate anche con la collaborazione delle famiglie, finalizzate a privilegiare la dimensione ludica e la cura educativa attraverso il contatto dei docenti mediato da messaggi vocali o video, rimane il vulnus al percorso di integrazione dei bambini in età prescolare, e in specie di quelli con fragilità psico-fisiche, prodotto dalla sospensione,con effetti peraltro diversificati da un territorio all’altro, essendo stato lasciato alla capacità e sensibilità degli enti locali l’eventuale offerta di attività a distanza[48].

In tempi più recenti, di fronte ad una preoccupante ripresa dei contagi, le previsioni rivolte a generalizzare il ricorso alla didattica digitale integrata nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado hanno comunque fatto salva la possibilità di svolgere attività in presenza per mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali,  garantendo il collegamento on line con gli alunni della classe[49]. La soluzione, condivisibile nel merito, si è dovuta peraltro confrontare con il rischio di trasformare le classi in centri diurni frequentati esclusivamente da studenti disabili, con la partecipazione dell’insegnate di sostegno, ma non del gruppo classe, collegato da remoto[50]. L’ulteriore sospensione dell’attività didattica in presenza disposta, dopo la pausa delle festività natalizie, da varie ordinanze regionali anche per le istituzioni scolastiche primarie e secondarie di primo grado, acuisce tale rischio, pur prevedendo delle clausole di esclusione per la didattica rivolta agli alunni con disabilità o con disturbi dello spettro autistico, il cui svolgimento in presenza è consentito, ma pur sempre previa valutazione delle specifiche condizioni di contesto da parte dell’Istituto scolastico. Si tratta di esiti preoccupanti, che aggravano un quadro già segnato da croniche carenze strutturali e rischiano di favorire inquietanti spirali regressive nella tutela dei diritti fondamentali dei soggetti (in specie minori) disabili[51].

 

4. Conclusioni

 

L’effluvio normativo prodotto dall’emergenza sanitaria ha intercettato pressoché tutti i gangli essenziali della Costituzione scolastica: il diritto d’istruzione di cui all’art. 33 Cost. e i tratti organizzativi dei servizi ivi definiti; il diritto all’istruzione che coinvolge gli utenti e le loro famiglie, sintetizzato nella formula, scultorea e di straordinario impatto sistemico, «La scuola è aperta a tutti»; la dimensione inclusiva dell’educazione e dell’istruzione espressa dalla previsione di cui all’art. 38 Cost., comma 3, secondo cui «Gli inabili e minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale». Tali principi si inscrivono entro la più ampia cornice assiologia offerta dagli art. 2 e 3, comma 2, Cost., della quale costituiscono imprescindibile declinazione applicativa nello specifico campo in esame, manifestando anche nei servizi d’istruzione la matrice solidale della Costituzione. Questa definisce l’ordito di un modello di società aperta, capace di accogliere le varie forme di diversità presenti nella realtà, impegnando tutti, istituzioni e consociati, a promuovere la personalità di ciascuno nella sua pienezza e a garantirne l’effettiva partecipazione politica, economica e sociale[52]. In questa direzione, anche in tempo di pandemia deve essere ribadito il fondamentale ruolo educativo riconosciuto dalla stessa Carta fondamentale ai genitori, secondo una lettura non segmentata degli artt. 30, 33 e 34 Cost., ma che nel dettato costituzionale colga il «filo rosso» su cui radicare una concezione della scuola come comunità scolastica, costituita da un sistema di rapporti e interazioni tra genitori, insegnanti ed alunni, che si avvalgono di un complesso di elementi materiali organizzati in vista della sviluppo della personalità del discente[53].

La normativa emergenziale ha prodotto evidenti scostamenti da tale modello, incidendo sulla «tenuta» del diritto sociale all’istruzione, che «si nutre» della concretezza di una scuola effettivamente accessibile a tutti. Le restrizioni indotte dalla pandemia hanno acuito antichi ritardi, non solo e non tanto con riferimento alla disponibilità degli strumenti informatici per lo svolgimento della didattica a distanza, quanto soprattutto - come detto - sul piano delle carenze infrastutturali e delle competenze digitali.  

Non si tratta di problemi del tutto nuovi, dunque. Oggi però, rispetto al passato, l’emergenza ha posto in evidenza che la compromissione del diritto all’istruzione non è dovuta soltanto a motivi culturali o alla carenza di risorse finanziarie, secondo percorsi causali ben noti e fatti oggetto di una lunga opera di correzione da parte di una consolidata giurisprudenza costituzionale[54] e amministrativa[55], ribadita anche al tempo della pandemia[56].

Il contrasto al virus impone, infatti, una strategia articolata, realizzata su piani diversi, in un continuo sforzo di programmazione, che passi dall’analisi dei dati e delle evidenze tecniche e scientifiche e si sostanzi in interventi coordinati tra i vari livelli di governo per lo svolgimento delle funzioni necessarie ad assicurare i servizi d’istruzione. In uno scenario complesso come quello determinato dal Covid-19, alle (pur opportune, in determinati casi)  sospensioni dettate dal principio di precauzione deve affiancarsi un continuo sforzo di collaborazione nell’esame del dato fattuale, in vista di soluzioni condivise, anch’esse complesse e articolate, che vedano coinvolte istituzioni e comunità nella realizzazione di interventi «trasversali» (dall’adeguamento del trasporto urbano e interurbano all’approntamento di presidii sanitari adeguati nelle scuole, fino alla valorizzazione della medicina di prevenzione, con una particolare attenzione rivolta all’individuazione di percorsi diagnostici differenziati per gli studenti con disabilità, solo per fare qualche esempio).

Ad un livello diverso, l’efficacia della risposta del nostro paese alla crisi pandemica si gioca anche sulla capacità di utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dall’UE per rilanciare le opportunità di sviluppo culturale, sociale e di crescita economica. Già prima del manifestarsi della pandemia, nell’ambito delle iniziative auspicate durante il vertice sociale di Göteborg del 17 novembre 2017, incentrato sull’istruzione e la cultura, e dal Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2017, la Commissione era venuta elaborando la strategia dedicata ai giovani per il periodo 2019-2027 e la comunicazione dal titolo Costruire un’Europa più forte: il ruolo delle politiche in materia di gioventù, istruzione e cultura,  definendo obiettivi e strumenti per la realizzazione di uno spazio europeo dell’istruzione entro il 2025. In tale ambito, la Commissione ha elaborato anche un’Agenda contenente il quadro di riferimento per la cooperazione in materia culturale all’interno dell’Unione, al fine di affrontare le attuali sfide sociali attraverso il potere trasformativo della cultura[57]. Si tratta di intenti ambiziosi, ma ormai irrinunciabili, che l’emergenza ha solo rallentato: creare uno spazio europeo dell’istruzione, che per mezzo della cooperazione arricchisca ulteriormente la qualità, l’inclusività, nonché la dimensione verde e quella digitale dei sistemi di istruzione degli Stati membri. L’Agenda evidenzia un approccio fondato sul principio della capacità culturale, che consiste nel tendere a rendere fruibile una vasta gamma di attività culturali di qualità, promuovendo le opportunità di partecipare e creare[58].

Le nuove misure di stimolo finanziate dall’UE in risposta alla pandemia imporrano di compiere scelte strategiche, nelle quali le politiche per l’istruzione dovranno collocarsi in un quadro più generale di riforme. Il pensiero corre subito, naturalmente, al Next Generation - EU, in cui si inserisce il programma Recovery and Resilience Facility (RRF), configurabile al contempo come opportunità e come sfida, che sollecita la predisposizione e la finalizzazione di Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR), sottoposti alla valutazione della Commissione Europea e alla approvazione del Consiglio della UE. La delicatissima situazione finanziaria del nostro paese impone al PNRR dell’Italia di comporre un quadro complesso in cui lo spazio per la crescita si coniughi con il progressivo contenimento del debito pubblico a medio termine[59]

Sotto questo profilo, qualsiasi intervento strutturale presuppone la capacità di definire un disegno strategico e il correlato pacchetto di riforme e di investimenti rivolti a superare i vincoli alla crescita con l’apporto imprescindibile delle istituzioni e dei corpi intermedi, evitando accuratamente, peraltro, la prevalenza di interessi particolaristici. La considerazione dei vari punti di vista necessita poi di momenti di sintesi, imputabili all’autorità politica centrale, cui spetta la responsabilità ultima di scegliere i progetti secondo precise priorità e di raccordare i vari interventi conformemente alle regole e alle linee guida fissate in sede sovranazionale.

Anche a questo livello di indagine degli assetti organizzativi, ritorna centrale la capacità di programmazione, riferita a interventi epocali, in relazione ai quali i pressoché inevitabili processi di accentramento dei percorsi decisionali, anche al fine di assicurare complementarità fra la governance italiana e i nuovo presidii organizzativi della Commissione europea, dovranno comunque confrontarsi con l’esigenza di mantenere in capo al Parlamento un effettivo potere di controllo (svolto secondo procedure agili, ma non per questo meramente formali) sui processi di spesa e sulle strategie sottostanti, esteso anche alla fase attuativa in sede amministrativa[60]

Su questa capacità di programmare e coordinare gli interventi, accettando la sfida del cambiamento,  si gioca il presente e il futuro della lotta alla pandemia: oggi per affrontare l’emergenza, domani (ma cominciando già da ora) per fronteggiare, su più larga scala, le fragilità del sistema e le correlate diseguaglianze che l’emergenza sanitaria ha drammaticamente accresciuto, finanziando progetti ampiamente condivisi, in cui il necessario apporto della tecnica non si sostituisca alle sintesi politiche e alla partecipazione della società civile.

Pur in frangenti tanto drammatici, le misure di ripresa offrono così l’occasione per rilanciare efficaci politiche di coesione sociale e per rivalutare nel nostro ordinamento la portata strategica e la dimensione intergenerazionale dell’istruzione[61].

 

Abstract: The work examines, in the light of a very complex regulatory framework characterized by the sometimes "alluvial" production of widely deformed acts, the impact of the pandemic on our national education system, highlighting long-standing infrastructural and organizational "fragility", which the health emergency has aggravated. After a long period marked by measures inspired almost exclusively by the precautionary principle, it is no longer possible to postpone the start of a new phase of planning the reforms, which takes into account the strategic scope and the intergenerational dimension of education.

 

Key words: Right to education, Sources of law, Social rights, Precautionary principle, Planning.


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

** Il presente contributo rientra tra le attività del progetto “La tenuta dello Stato costituzionale ai tempi dell'emergenza da Covid-19. Profili giuridico-finanziari” (P.I. Prof.ssa A. Ciancio), finanziato grazie al Programma ricerca di Ateneo UNICT 2020-22 linea 2 ed è destinato al Liber Amicorum per G. Cocco.

 

[1] Cfr. R. Calvano, Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato, Roma 2019, p. 49, dove si afferma perspicuamente come l’autonomia sia stata «una mela avvelenata per la scuola, apparentemente promettendo alleggerimento e libertà dagli oneri burocratici e dai controlli ministeriali, in concreto […] lasciando la scuola, e chi in essa operava, in condizioni di crescente difficoltà di garantire il funzionamento dell’istituzione».

[2] Così, con formula efficace e felice, L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Teoria politica, XIV, Roma-Bari, p. 7 ss.

[3] In argomento cfr., per tutti, A. Ciancio, Verso un “pilastro europeo dei diritti sociali”, in www.federalismi.it, 22 giugno 2016, p. 3 la quale, all’interno di un sistema causale molto complesso, individua essenzialmente nella debolezza strutturale degli strumenti sovranazionali di coordinamento delle politiche economiche nazionali, negli obblighi stringenti in termini di contenimento della spesa pubblica e di mantenimento dell’equilibrio di bilancio gravanti sugli Stati aderenti ai vari sistemi di salvataggio finanziario «via via escogitati persino al di fuori del diritto europeo primario», nonché nella gestione della politica monetaria da parte di una Banca Centrale europea ancorata al criterio della stabilità dei prezzi ed indipendente dagli interessi economici nazionali, le condizioni che hanno imposto ai paesi più indebitati di «compensare i deficit commerciali con drastici interventi nel settore pubblico, che si risolvono in ampi tagli ai servizi sociali (a cominciare dalla salute e dall’istruzione) e all’occupazione; nel contenimento dei salari e delle pensioni; persino nelle privatizzazioni dei beni pubblici»; G. Grasso, I diritti sociali e la crisi oltre lo Stato nazionale, in M. D’Amico, F. Biondi (a cura di), Diritti sociali e crisi economica, Milano 2017, p. 58 ss., in specie 84, il quale qualifica espressamente come “devastante” l’impatto della crisi economico-finanziaria sulla «cornice già assai complicata dei diritti sociali nello spazio giuridico europeo».

         [4] Per un’ampia ricostruzione dell’evoluzione del potere di ordinanza extra ordinem, fin dall’età statutaria, cfr. E. Raffiotta, Norme d’ordinanza. Contributo a una teoria delle ordinanze emergenziali come fonti normative, Bologna 2019, p. 33 ss., ma passim.

[5] L’art. 7 del Codice prevede tre tipi di eventi emergenziali, a seconda che a) siano fronteggiabili mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; b) comportino l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni e debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo; c) riguardino emergenze di rilievo nazionale, che debbano essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.

[6] Sul punto, cfr. F. Bilancia, Le conseguenze giuridico-istituzionali della pandemia sul rapporto Stato/Regioni, in Dir. pubbl., 2/2020, p. 335, il quale rileva, criticamente, il mancato esercizio di tale potere di indirizzo e coordinamento mediante atti formali del Presidente del Consiglio «a meno di non voler considerare, a tal fine, l’adozione dei diversi decreti legge».

[7] Così F. Bilancia, op. cit., 337, ma passim; cfr. anche V. Baldini, La gestione dell’emergenza sanitaria: un’analisi in chiave giuridico-positiva dell’esperienza…., in www.dirittifondamentali.it, 3/2020, p. 418, il quale, in riferimento alla disciplina contenuta nel Codice della Protezione civile, osserva come«la previsione del ricorso ad atti formalmente amministrativi, da parte del Governo o di un singolo Ministro, sembra […] lasciare intendere che nella specie non di un’emergenza costituzionale si tratti, con la conseguenza che non sono ammesse, in tal caso, deroghe alla disciplina costituzionale. A ritenere diversamente, peraltro, occorre anche chiarire entro che termini una siffatta disciplina possa ritenersi compatibile con la cornice della normativa costituzionale. In ogni caso, la presenza di un complesso normativo mirato tra l’altro alla razionalizzazione dell’emergenza nei suoi aspetti fondamentali lascia capire il perché quella dello stato d’eccezione è ormai da tempo ritenuta una categoria altmodisch, dunque di rilievo marginale nel contesto dello stato costituzionale di diritto».

[8] Cfr. ancora F. Bilancia, op. cit., 337 ss., il quale richiama, a questo proposito, l’art. 6 della legge n. 833 del 1978, che, perfettamente in linea con quanto disposto dall’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., fissa in capo allo Stato le competenze in materia di rapporti internazionali e profilassi internazionale, marittima, aerea e di frontiera, nonché di profilassi delle malattie infettive e diffusive, per le quali siano imposte la vaccinazione obbligatoria o misure quarantenarie, nonché gli interventi contro le epidemie e le epizoozie. Come ricorda lo stesso A., in argomento assume particolare rilievo anche la previsione di cui all’art. 32 della stessa legge n. 833 cit., che fa espressamente riferimento al parallelismo tra le attribuzioni legislative regionali e la facoltà di ricorrere a poteri di ordinanza «nelle medesime materie», riservando al Ministro della sanità il potere di ordinanza per gli interventi da estendere a tutto il territorio nazionale o a parte di esso comprendente più Regioni.

[9] Cfr. l’art. 24, comma 1, del Codice: «Al verificarsi degli eventi che, a seguito di una valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile sulla base dei dati e delle informazioni disponibili e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, presentano i requisiti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d'emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25».

[10] Come noto, l’emergenza sanitaria in Italia è stata dichiarata con delibera del CdM del 31 gennaio 2020, dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 30 gennaio 2020 aveva definito l’epidemia da Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. La scadenza dello stato di emergenza, fissata originariamente al 31 luglio 2020, è stata prorogata varie volte: al 15 ottobre (delibera del CdM del 29 luglio 2020); al 31 gennaio 2021 (delibera del CdM del 7 ottobre 2020); al 30 aprile 2021 (delibera del CdM del 13 gennaio 2021). Le misure di contenimento connesse con la proroga dello stato di emergenza epidemiologica sono state definite con i dd.ll. 30 luglio 2020, n. 83; 7 ottobre 2020, n. 125; 14 gennaio 2021, n. 2.

[11] Cfr. l’art. 5 del Codice, che riconosce al Presidente del Consiglio dei ministri la facoltà di esercitare i poteri di ordinanza per il tramite del Capo del Dipartimento della Protezione civile.

[12] Cfr., a titolo esemplificativo, l’ord. n. 631 del 6 febbraio 2020, in base alla quale «Il Ministero dell'istruzione, anche in deroga all’art. 4, commi 1 e 2, e all’art. 14, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, adotta i necessari provvedimenti al fine di assicurare la validità dell’anno scolastico 2019/2020 degli studenti impegnati nei programmi di mobilità internazionale nelle aree a rischio di contagio da agenti virali trasmissibili di cui all'emergenza in rassegna»; l’ord. n. 633 del 12 febbraio 2020, che ha attribuito al Ministero dell’istruzione il potere di adottare «i necessari provvedimenti al fine di assicurare la validità dell’anno scolastico 2019/2020 degli studenti di ogni ordine e grado, che, di ritorno dalle aree a rischio di contagio da agenti virali trasmissibili di cui all’emergenza in rassegna, siano sottoposti a misure di sorveglianza da parte del Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria locale di riferimento, ovvero si sottopongano autonomamente ad una quarantena volontaria nel proprio domicilio»; l’ord. n. 17 del 24 luglio 2020, che ha individuato nel Ministro dell’istruzione il soggetto attuatore incaricato di fornire alla Ragioneria generale dello Stato i dati relativi al personale docente e non docente delle scuole statali e delle scuole paritarie destinatario dell’effettuazione, su base volontaria e con consenso informato, del test sierologico, dati raccolti in un data-base finalizzato ad interfacciarsi con il sistema informativo Tessera sanitaria, al fine di fornire a ciascun medico di medicina generale il numero di kit sierologici necessari; l’ord. n. 702 del 15 settembre 2020, che, al fine di favorire l’avvio dell’anno scolastico 2020-2021, consente agli enti locali la stipula di contratti di locazione per spazi ulteriori da destinare allo svolgimento delle attività didattiche, anche in deroga agli articoli 27 e 42 della legge 27 luglio 1978, n. 392.

         [13] Cfr., sul punto, G.M. Salerno, Coronavirus, decreto del Governo/Caos e scontro tra poteri: 4 domande a Conte, in www.ilsussidiario.net, 26 febbraio 2020; I. Massa Pinto, La tremendissima lezione del Covid-19 (anche) ai giuristi; in Questione giustizia, 18 marzo 2020, www.questionegiustizia.it.;G. Tropea, Il Covid-19, lo Stato di diritto, la pietas di Enea, in Federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid-19, 18 marzo 2020, p. 10 ss.

[14] Si può in questa sede ricordare, a titolo esemplificativo, che il d.l. 8 aprile 2020 ha attribuito diffusi poteri di ordinanza al Ministro dell’istruzione e al Ministro dell’università e della ricerca, riconoscendo, al primo, la possibilità di prevedere misure urgenti per gli esami di Stato e la regolare valutazione dell’a.s. 2019-2020, oltre che per l’ordinato avvio dell’a.s. 2020-2021 e, al secondo, la potestà di definire misure urgenti per lo svolgimento degli esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni e dei tirocini professionalizzanti e curriculari, nonché per assicurare la continuità, pur in costanza dell’emergenza epidemiologica, delle attività formative delle Università.

[15] Sottolinea il carattere ambiguo dei decreti del Presidente del Consiglio limitativi di diritti costituzionali, «per molti assimilabili ai regolamenti governativi, per altri riferibili addirittura al genus delle ordinanze, e quindi privi di natura regolamentare», G. Brunelli, Democrazia e tutela dei diritti fondamentali ai tempi del coronavirus, in Pandemia e mutazioni del diritto, volume inserito in Diritto virale, Collana online del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, p. 50.

         [16] Cfr., in senso critico sulle previsioni del d.l. in oggetto, ex multis, L.A. Mazzarolli, “Riserva di legge” e “principio di legalità” in tempo di pandemia nazionale. Di un parlamentarismo che non regge e cede il passo ad una sorta di presidenzialismo extra ordinem, con ovvio, conseguente strapotere delle pp.aa. La reiterata e prolungata violazione degli artt. 16, 70 ss., 77 Cost., per tacer d’altri, in Paper - 23 marzo 2020, «Osservatorio Emergenza Covid-19» di federalismi.it, p. 2 ss., 13 ss., ma passim,il quale evidenzia l’anomalia di un d.l. che delega l’attribuzione di poteri dal Governo a soggetti terzi (tra cui lo stesso Presidente del Consiglio), perdendo così la parte più importante della sua natura, che è quella dell’immediatezza degli effetti che intende ottenere, «essendo quelli differiti all’adozione di questo o quel d.P.C.M.» (p. 15); C. Tripodina, La Costituzione al tempo del coronavirus, in Costituzionalismo.it, 1/2020, 31 marzo 2020, p. 83, la quale rinviene nel decreto in oggetto «una delega in bianco di pieni poteri al Presidente del Consiglio, che legittimamente  suscita più di un dubbio di legittimità costituzionale: non tanto sotto il profilo dei contenuti delle misure restrittive e della loro necessità, quanto sotto il profilo della fonte che le dispone»; di decreto legge «a maglie larghe, anzi… larghissime» con riguardo alla tecnica di produzione normativa seguita con il d.l. n. 6 del 2020 parla G. Silvestri, Covid-19 e Costituzione, www.unicost.eu , 10 aprile 2020, p. 6; F. Bilancia, op. cit., 333 ss., 339 e 342, il quale ritiene che il d.l. n. 6 cit. sia da considerare «senz’altro incostituzionale e tale da compromettere la legalità degli stessi provvedimenti non più di sua esecuzione, ma addirittura di integrazione ed attuazione, con contenuto quindi illegittimamente innovativo»; A. Vernata, Decretazione d’urgenza e perimetro costituzionale nello stato di “emergenza epidemiologica”, in Biolaw Journal, 2/2020, p. 4 ss., che, dopo aver sollevato vari dubbi sulla conformità a Costituzione della decretazione presidenziale in ambiti coperti anche da riserva di legge assoluta, propone l’inserimento nella Carta di un’apposita previsione relativa allo “stato di emergenza epidemiologica”; M. Cavino, Covid-19. Una prima lettura dei provvedimenti adottati dal Governo, in Federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid-19, paper, 18 marzo 2020, p. 8, ma passim, chemanifesta qualche perplessità sulla catena di provvedimenti che ha il suo primo anello nel d.l. n. 6 del 2020, in specie sulla adeguatezza dello stesso decreto ad autorizzare l'adozione di atti derogatori di norme primarie poste a presidio di diritti fondamentali; D. Trabucco, Il «virus» nel sistema delle fonti: decreti legge e DPCM al tempo del Covid-19. Tra principio di legalità formale e principio di legalità sostanziale, in Nomos. Le attualità del diritto,2-2020, p. 7, secondo cui l’atto in esame conterrebbe una intrinseca contraddizione: «un decreto-legge, infatti, che abbisogni di un d.P.C.M. attuativo, difficilmente può dirsi fondato su presupposti di straordinaria necessità e urgenza»; M. De Nes, Emergenza Covid-19 e bilanciamento di diritti costituzionali: quale spazio per la legalità sostanziale?, in BioLaw Journal – Rivista di Biodiritto, n. 2/2020, p. 1 ss., in specie 4 ss., il quale esprime una posizione più articolata e ritiene che i primi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (ossia quelli del 23 e 25 febbraio, dell’1 e 4 marzo 2020) rispettino il principio di legalità sostanziale in quanto riproducono, in buona parte, le misure indicate in modo dettagliato dal d.l. n. 6; quelli successivi (dell’8, 9 e 11 marzo), esprimendo un potere amministrativo alquanto indeterminato, sia nel contenuto che nelle modalità, pongano, invece, più di una perplessità sull’effettivo rispetto del principio di legalità sostanziale; L. Fabiano, La catena della normativa emergenziale in risposta alle minacce di diffusione del COVID 19. Riflessioni sulla tenuta in termini di legittimità e di opportunità delle scelte normative del Governo italiano, in BioLaw Journal, 2/2020, 16 marzo 2020, pp. 4-5, ma passim, che, pur ritenendo complessivamente legittimi sia il d.l. n. 6 cit., che i successivi decreti del Presidente del Consiglio incidenti su diritti costituzionali, nutre qualche dubbio proprio sulla formula aperta di cui all’art. 2 del suddetto d.l.; V. Angiolini, Il trattamento dell’epidemia di “coronavirus” come problema costituzionale e amministrativo, in Forum di Quaderni Costituzionali, 1, 2020, p. 457 ss., in specie p. 460 ss. esprime un giudizio sostanzialmente positivo sul contenuto del d.l. e, più in generale, sulla “gestione” della pandemia fin dai primi momenti, pur rilevando, in alcuni provvedimenti, elementi critici in ordine al rispetto del criterio di proporzionalità tra i diritti la cui prevalenza determina i sacrifici legittimi e i diritti sacrificati; anche E. Raffiotta, Sulla legittimità dei provvedimenti del Governo a contrasto dell'emergenza virale da Coronavirus, in BioLaw Journal, Special Issue, 1/2020, p. 95 ss., propende per la legittimità del d.l. n. 6 e delle ordinanza da esso derivate, pur condividendo l’opinione secondo cui «alcuni dei poteri emergenziali definiti dal legislatore non sono sufficientemente precisati» (p. 99).

[17] Cfr. l’art. 1, comma 1: «[…] le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica».

[18] Secondo quanto riferito dal Presidente del Consiglio in un’informativa alla Camera dei deputati del 25 marzo 2020, il d.l. n. 19 ha «trasferito in fonte di rango primario, tipizzandole, le misure di contenimento da adottare per contrastare i rischi derivanti dalla diffusione del virus, […] introdotto una più puntuale procedimentalizzazione nell’adozione dei d.P.C.M., prevedendo, tra l’altro, l’immediata trasmissione dei provvedimenti emanati ai Presidenti delle Camere, oltre all’obbligo del Presidente del Consiglio, o del Ministro da lui delegato, di riferire ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate». È stato altresì precisato il senso della formula «nelle more dell’intervento con d.P.C.M.», limitando «fino al momento» dell’adozione di tale atto l’efficacia dei provvedimenti adottabili dal Ministro della salute «in casi di estrema necessità e urgenza per situazioni sopravvenute» (art. 2, comma 2) o, in ambito regionale, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel territorio della Regione o in parte di esso (art. 3, comma 1). In questo caso, le Regioni «possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’art. 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale» (ancora art. 3, comma 1). Al medesimo intento di razionalizzazione degli interventi emergenziali risponde, poi, la previsione che dispone l’inefficacia di ordinanze contingibili e urgenti dei Sindaci dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali o eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1» (art. 3, comma 2), previsione abrogata, peraltro, dall’art. 18 del d.l. n. 76 del 16 luglio 2020.

[19] In argomento, ex  multis, cfr. A. D’Aloia, Lemergenza e… i suoi “infortuni”, in dirittifondamentali.it , 26 marzo 2020, p. 5, che, con riguardo alle chiusure generalizzate successive alla dichiarazione dello stato di emergenza, si chiedeva: «Ha ancora un senso il principio di proporzionalità, la valutazione di non eccessività delle misure limitative dei diritti fondamentali, il principio della necessaria e ragionevole ricerca del mezzo meno invasivo possibile?»; Id., Lart. 120 Cost., la libertà di circolazione e linsostenibile ipotesi delle ordinanze regionali di chiusura dei “propri confini”, ivi, 18 aprile 2020, p. 1 ss.; rileva le perduranti ambiguità presenti nel d.l. n. 19 anche A. Morelli, Il Re del Piccolo Principe in tempi di coronavirus. Qualche riflessione su ordine istituzionale e principio di ragionevolezza nello stato di emergenza, in Dir. regionali, 1/2020, p. 525 ss.; secondo G. Brunelli, op. cit., 51, anche ammettendo che il d.l. n. 19 abbia sanato la catena di d.P.C.M. adottati fino al momento della sua entrata in vigore, elevando il loro contenuto a norme di rango primario, «resta il fatto che l’art. 2 conferma l’utilizzazione di tali strumenti per il futuro, prevedendo soltanto una blanda informazione al Parlamento. Una procedura ad hoc che non sembra affatto in grado di soddisfare i principi costituzionali, lasciando nelle mani del Governo la possibilità di (continuare a) dar vita a provvedimenti limitativi dei diritti fondamentali, con il solo vincolo - del tutto generico e di incerta interpretazione - della adeguatezza e proporzionalità», cui sopra si è fatto riferimento; solo in parte analoga la posizione di G. Menegatto, Diritto e diritti nell’emergenza: ripartire dalla Costituzione, in BioLaw Journal, 2/2020, pp. 5-6, secondo cui «Dinanzi ad una palpabile insicurezza […] sembra improponibile che si richieda al legislatore o all’autorità amministrativa di agire seguendo rigidamente il vago sentiero della proporzionalità: quest’ultima dovrà senz’altro rappresentare, per quanto possibile, il principale criterio di orientamento, nella consapevolezza, tuttavia, che, se valutate al termine della situazione emergenziale, le misure adottate potranno rivelarsi sproporzionate, o perché eccessive o, al contrario, perché troppo blande», ammettendo su queste basi il ricorso «a quella logica di prevenzione da più parti criticata, anche al costo di una limitazione dei diritti individuali “non perfettamente proporzionata”»; si esprime a favore della legittimità del d.l. n. 6 e della normativa di attuazione, adottata sia dal Presidente del Consiglio, che dai Presidenti delle Regioni e dai Sindaci, A. Candido, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID-19, in Forum di Quaderni Costituzionali, 1, 2020, p. 420 ss.

[20] Cfr. S. Staiano, Nè modello né sistema. La produzione del diritto al cospetto della pandemia, in Rivista AIC, n. 2/2020, 11 giugno 2020, p. 541, il quale, con riguardo alla formula di cui all’art. 3, comma 1, del d.l. n. 19, che richiama le «attività di competenza» regionale, osserva come essa abbia alimentato nei Presidenti delle Regioni l’idea di una competenza senza residui in materia sanitaria. L’A. obietta, peraltro, che «Non si vede […] con quale legittimazione i Presidenti delle Regioni avrebbero mai potuto agire fuori delle «competenze» regionali, non fosse stato per quelle “ulteriori misure” contenuto nel d.l. n. 6 del 2020, sicché sarebbe bastato sopprimerlo con il d.l. n. 19 del 2020 per privare di fondamento gli interventi centrifughi messi in campo in sede regionale. Mentre dire di “attività di competenza” delle Regioni è altamente fuorviante: non v’è dubbio infatti che, trattandosi di una situazione qualificata come “stato di emergenza di rilievo nazionale”, la competenza per come è configurato il sistema sanitario, piuttosto che essere sempre, non è mai regionale» (corsivi dell’A.).

[21] Cfr., per tutti, A. Vernata, op. cit., p. 3, ma passim, che svolge, in termini generali, una diffusa analisi dell’ampio ricorso alla decretazione ministeriale quale modalità “naturale” di attuazione della normativa di rango primario, anche da parte delle leggi di conversione di decreti legge o in riferimento ad importanti riforme.

[22] In tal senso, cfr., a titolo esemplificativo, l’art. 1, comma 16, del d.l. 16 maggio 2020, n. 33; l’art. 1, comma 2, lett. a) del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125.

[23] In argomento, cfr. R. Romboli, L’incidenza della pandemia da coronavirus nel sistema costituzionale italiano, in Consultaonline, 2020, III, p. 513 ss., in specie p. 522 ss., il quale osserva come «Mentre pare pacifico che il d.P.C.M. non possa disporre in difformità a quanto stabilito nel decreto legge, il principio di legalità richiede che, pur residuando certamente un margine di discrezionalità nella scelta di certe misure, ne siano esattamente stabiliti i limiti e le condizioni»; propende per una configurazione del principio di legalità, nel nostro ordinamento, in senso non solo formale M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, Consultaonline, 11 aprile 2020, p. 5 ed ivi ampi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

[24] Cfr. A. Ruggeri, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in Consultaonline, 2020, I, p. 210 ss., in specie p. 212, dove si rileva che «I diritti fondamentali dei cittadini (e non) hanno subito e subiscono a causa della accelerata incontenibile diffusione del virus gravi compressioni aventi sì la loro radice in atti di forza primarie, ma in buona sostanza definite nei loro concreti contorni da atti […], la cui natura di fonti del diritto, perlomeno per la loro ristretta e severa accezione, quando pure la si ammetta, con molta buona volontà ed una oggettiva forzatura, porta gli atti stessi che ne sono dotati ai gradi più bassi del sistema, con buona pace delle riserve di legge a riguardo stabilite nella Carta»; rilevano il vulnus arrecato alle riserve di legge dall’uso massivo delle ordinanze emergenziali, più in generale, L.A. Mazzarolli, op. cit., p. 2 ss., in specie p. 18 ss.; L. Di Maio, La tecnica normativa nel contesto della crisi epidemiologica da Covid-19, in Diritti regionali, 2/2020, 4 luglio 2020, p. 141 ss.; V. Baldini, Emergenza costituzionale e Costituzione dell’emergenza. Brevi riflessioni (e parziali) di teoria del diri

Chiara Giuseppe



Download:
2021_3 jus online - ESTRATTO CHIARA.pdf
 

Array
(
    [acquista_oltre_giacenza] => 1
    [can_checkout_only_logged] => 0
    [codice_fiscale_obbligatorio] => 1
    [coming_soon] => 0
    [disabilita_inserimento_ordini_backend] => 0
    [fattura_obbligatoria] => 1
    [fuori_servizio] => 0
    [has_login] => 1
    [has_messaggi_ordine] => 1
    [has_registrazione] => 1
    [homepage_genere] => 0
    [homepage_keyword] => 0
    [insert_partecipanti_corso] => 0
    [is_login_obbligatoria] => 0
    [is_ordine_modificabile] => 1
    [libro_sospeso] => 0
    [moderazione_commenti] => 0
    [mostra_commenti_articoli] => 0
    [mostra_commenti_libri] => 0
    [multispedizione] => 0
    [pagamento_disattivo] => 0
    [reminder_carrello] => 0
    [sconto_tipologia_utente] => carrello
    [scontrino] => 0
    [seleziona_metodo_pagamento] => 1
    [seleziona_metodo_spedizione] => 1
)

Inserire il codice per attivare il servizio.