Visione del Concilio Vaticano II circa le Chiese Orientali Cattoliche e sviluppi successivi: le competenze della Congregazione per le Chiese Oriental
Cardinale Leonardo Sandri
Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali
1. La Congregazione per le Chiese Orientali, il Vaticano II e il CCEO. 2. CCO — situazione attuale. 2.1. Origini. 2.2 Composizione. 2.3. Uffici. 2.4 CCO secondo la Pastor Bonus e il CCEO. 2.5 Territori di competenza della CCO. 3. I rapporti Stato-Chiesa attraverso i concordati. 4. Riflessione sugli Statuti Personali delle comunità Cattoliche in Libano.
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, martedì 19 luglio 2016
Summer School “Diritto Canonico orientale e statuto personale libanese”
Ringrazio per l’invito ad intervenire nel contesto della Summer School del Dipartimento di Scienze Giuridiche, e saluto con riconoscenza anzitutto il Magnifico Rettore, Prof. Franco Anelli, di recente riconfermato nella carica, insieme a tutte le autorità accademiche della Facoltà che hanno preso la parola, oltre che la Prof.ssa Ombretta Fumagalli Carulli. Un pensiero riconoscente per gli altri docenti, le Autorità presenti e gli illustri ospiti, e tutti gli studenti, che rappresentano la speranza per il futuro.
Ho molto apprezzato i discorsi di saluto e di introduzione, perché hanno messo a fuoco alcune sfide importanti che aiutano a contestualizzare la vita delle Chiese Orientali Cattoliche, in riferimento al rischio dello svuotamento della presenza cristiana in Medio Oriente – che non sarebbe più lo stesso – con il conseguente fenomeno migratorio; la pratica quotidiana di un dialogo ecumenico ed interreligioso tanto più necessari ad una convivenza pacifica quanto sono tristemente messi in discussione dai fatti di questi giorni. Sono contento che sia stata citata la Lettera Apostolica Orientale Lumen di san Giovanni Paolo II, e mi permetto qui di sottolineare che questa stessa Summer School si pone nella scia del documento, quando invita i figli e le figlie della Chiesa Latina – quali noi siamo qui oggi nella quasi totalità – a dedicare tempo a conoscere il patrimonio disciplinare, teologico e liturgico delle Chiese Orientali.
Da quanto ascolterete, potrete anche capire i diversi contesti in cui si svolge la loro vita: da un lato, il Medio Oriente, con le dinamiche appena accennate, dall’altro, per esempio, l’Europa Orientale, ove durante gli anni dei regimi comunisti esse sono state soppresse e sepolte, e non pochi pastori e fedeli hanno trovato il martirio, ma ora vivono – pur tra tante difficoltà - un periodo di nuova fioritura e rinascita.
Questa mia breve relazione si articolerà in tre parti: dopo una presentazione del lavoro quotidiano svolto dalla Congregazione per le Chiese Orientali, metterò in evidenza i rapporti Stato-Chiesa attraverso concordati “sui generis”, per concludere con gli Statuti personali del Libano, che sono l’oggetto del presente corso.
1. La Congregazione per le Chiese Orientali, il Vaticano II e il CCEO
Papa Benedetto XV, il 1° maggio 1917, con il motu proprio Dei Providentis fonda la Congregatio pro Ecclesia Orientali[1]. Questo evento non è solo amministrativo e pratico, ma anche terminologico e in fondo soprattutto ecclesiologico. Gli Orientali vengono ora percepiti non solo come Greci, Armeni, Giacobiti, Ruteni ecc., e neanche solo come appartenenti ad un "rito", ma come appartenenti ad una Chiesa orientale. Ad onore del vero, la sovrapposizione fra la "Chiesa" e il "rito" continua ad apparire talvolta anche dopo la creazione di questa Congregazione, ma di solito si tratta ormai solo di questione di abitudine e di uso linguistico. Dal punto di vista canonico, nella vita della Chiesa cattolica, nel periodo fra le due guerre siamo testimoni di un rinnovato interesse per il diritto. La promulgazione del CIC '17 metteva in maggiore risalto la situazione precaria, dal punto di vista canonico, nella quale si trovavano in quel tempo le Chiese orientali cattoliche, che quasi dimentiche del proprio comune patrimonio, facevano sforzi per avere ciascuna un Codice proprio, approvato dalla Sede Apostolica. Pochi anni dopo papa Pio XI ritenne che la codificazione del diritto canonico orientale non solo era necessaria ma che era una questione urgente.
Nel periodo dopo la II guerra mondiale si arriva alla pubblicazione di quattro “Motu proprio” di Pio XII con le parti del Codice ormai preparato. IlConcilio Vaticano II ha portato un sostanziale cambiamento nella visione ecclesiologica delle Chiese orientali, sia cattoliche che ortodosse, testimoniato soprattutto dai decreti Orientalium Ecclesiarum e Unitatis redintegratio, ma anche dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Nel periodo postconciliare, attraverso un intenso lavoro durato 18 anni è stato preparato l'attuale Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato il 18 ottobre 1990 ed entrato in vigore il 1° ottobre 1991, che traduce in linguaggio canonistico l’ecclesiologia conciliare.
Come è ben noto, attualmente il CCEO raggruppa le Chiese sui iuris in quattro categorie:
a) Le Chiese patriarcali,
b) le Chiese arcivescovili maggiori,
c) le Chiese metropolitane sui iuris,
d) tutte le altre Chiese sui iuris
Abbiamo alcune Chiese ben strutturate:
6 chiese patriarcali (copta, maronita, melkita, sira, caldea, armena); 4 chiese arcivescovili maggiori (Ucraina, Malabarese e Malankarese, Romena); 5 chiese metropolitane sui iuris (Rutena USA, Slovacca, Etiope, Eritrea, Ungherese); mentre la categoria di altre Chiese sui iuris ècomposta da 7 unità con struttura gerarchica (Grecia, Macedonia, Repubblica Ceca, Serbia, Bulgaria, Croazia, Italo-Albanesi) e due senza una adeguata struttura gerarchica ed amministrativa (Bielorussia e Russia).
Dalla differenziazione del grado gerarchico delle singole Chiese sui iuris dipende — a norma del diritto - anche il modo, il livello e l'intensità del regolare coinvolgimento del Romano Pontefice e dei rispettivi organi della Sede Apostolica nella loro vita. Per esempio, mentre i Patriarchi, eletti dai rispettivi Sinodi, scrivono al Santo Padre una lettera in cui chiedono la ecclesiastica communio, che non pregiudica la validità della loro elezione, gli Arcivescovi Maggiori invece devono attendere che l’elezione venga confermata dal Romano Pontefice.
2. CCO — situazione attuale
2.1 Origini.
Come abbiamo detto, la creazione del Dicastero Orientale risale al 1917 – anno in cui fu fondato anche il Pontificio Istituto Orientale - ma già Gregorio XIII (1572-1585) volle una Congregazione speciale e propria per i cristiani di rito orientale. Egli, infatti, nel 1573 istituiva una Congregatio de rebus Graecorum. Clemente VIII (1592-1605) mutò questa in Congregatio super negotiis Fidei et religionis catholicae per gli affari dei Greci e altri orientali. La Congregazione generale de Propaganda Fide fu eretta da Gregorio XV il 22 giugno 1622. In seno alla medesima Congregazione generale Urbano VIII (1623-1644) istituì due Commissioni per gli Orientali. Pio IX con la Cost. apost. Romani Pontifices del 6 gennaio 1862 costituì in seno alla Congregazione de Propaganda Fide uno speciale Gruppo di Padri cardinali, denominato "Congregazione per la Propagazione della fede per gli affari di Rito orientale". Essa però non teneva presente che una cosa erano i latini residenti in Oriente e un'altra erano i cristiani di Oriente.
Il processo che portò alla fondazione della Congregazione per le Chiese Orientali rispondeva al desiderio dei cristiani orientali di essere riconosciuti nella loro diversità e nella loro ricchezza, senza indebite preferenze e senza umilianti discriminazioni. Benedetto XV la rese autonoma[2] e, come si stabiliva nel Codice di diritto canonico per la Chiesa latina, promulgato il giorno di Pentecoste del 1917, alla stessa attribuì "tutte le facoltà che hanno le altre Congregazioni per le Chiese di rito latino" (can. 257 §2). La sua competenza fu notevolmente accresciuta da Pio XI col Motu Proprio Sancta Dei Ecclesia del 25 mar. 1938. Con la Cost. apost. Regimini Ecclesiae Universae del 15 agosto 1967 di Paolo VI, venne mutato il nome in quello di Congregatio pro Ecclesiis orientalibus (artt. 41-45) in considerazione del fatto che ci sono diverse Chiese orientali aventi comunione con la Sede Apostolica.
2.2 Composizione.
Nel 1917 Benedetto XV aveva riservato a sé e ai suoi successori la prefettura. Nel 1966 Paolo VI diede ai Cardinali Segretari della Congregazione per la Dottrina della Fede, di quella Concistoriale e di quella per la Chiesa Orientale il titolo di pro-prefetti; con la Regimini Ecclesiae Universae rinunziò alla prefettura e queste ebbero un Cardinale Prefetto. Inoltre abbiamo un Segretario Arcivescovo, un Sottosegretario e altri officiali.
Membri di diritto: Patriarchi, Arcivescovi maggiori e il Presidente del Pontificio Consiglio per l'Unione dei Cristiani. A questi si aggiunge, per prassi, il Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Viceversa, il Prefetto della CCO è membro di questi Pontifici Consigli.
Il Segretario della CCO è membro della Commissione interdicasteriale permanente per la Chiesa in Europa Orientale e della Commissione interdicasteriale per la formazione dei candidati agli ordini sacri.
2.3 Uffici
Nel seno della Congregazione vi sono tre Commissioni speciali: a) Commissione speciale per la liturgia (costituita già dal 1931 da Pio XI e rinnovata da Papa Francesco il 1° settembre 2015); b) Commissione speciale per gli studi concernenti l'Oriente cristiano; c) Commissione speciale per la formazione del clero e dei religiosi. Inoltre, vi sono due organismi legati alla Congregazione: a) La Catholic Near East Welfare Association – Pontifical Mission con sede a New York, il cui Presidente è ex-Officio l’Arcivescovo di New York; b) la Riunione delle opere di aiuto alle Chiese orientali (R.O.A.C.O.).
2.4 CCO secondo la Pastor Bonus e il CCEO
La Congregazione tratta le materie concernenti le Chiese Orientali, sia circa le persone sia circa le cose. Esercita ad normam iuris e in virtù delle facoltà ad essa concesse dal Romano Pontefice sulle eparchie, sui Vescovi, sul clero, sui monaci e religiosi e sui fedeli delle Chiese orientali le funzioni che le Congregazioni per i Vescovi, per il Clero, per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e per l'Educazione Cattolica hanno sulle diocesi, sui Vescovi, sul clero, sui religiosi e sui fedeli della Chiesa latina. Inoltre essa ha autorità esclusiva sugli orientali e latini nelle «regioni orientali». Pertanto è da distinguere le «regioni orientali» - cioè quelle in cui ab antiqua aetate si osservano i riti orientali -, e i «territori di rito orientale», ossia quelle terre al di fuori delle regioni orientali, in cui sia stata eretta una circoscrizione ecclesiastica orientale (cf. CCEO, cann. 146 §1 e 916 §4).
Il CCEO rinvia più volte alla Sede Apostolica nel regolare diverse materie riguardanti le Chiese orientali cattoliche; nella fattispecie per «Sede Apostolica» si intende questa Congregazione, competente per trattare gli affari sia circa la struttura e l'ordinamento delle Chiese orientali sui iuris, sia circa l'esercizio delle funzioni di insegnare, di santificare e di governare, sia circa le persone, il loro stato, i loro diritti e doveri, nonché tutto ciò che è prescritto dagli articoli 31 e 32 della PB circa le relazioni quinquennali e le visite «ad limina» (cf. CCEO, cann. 92 §3, 134 §2, 208 §§1-2; 317). Questa competenza si estende a tutti gli affari, che sono propri delle Chiese orientali e che devono essere deferiti alla Sede Apostolica, anche se sono misti, cioè quegli affari che, si tratti di cose o di persone, riguardano anche i latini, come ad esempio il cambiamento di rito (cf. CCEO, can. 32; CIC, can. 112 §1,1°).
Negli affari, che riguardano anche i fedeli dipendenti dalla Chiesa latina, la Congregazione deve procedere dopo aver consultato, se lo richiede l'importanza della cosa, il dicastero competente per la stessa materia nei confronti dei fedeli della Chiesa latina.
Particolare sollecitudine compete a questa Congregazione per i fedeli orientali in territori latini. Essa vigila con premurosa attenzione, anche per mezzo di visitatori, sui nuclei non ancora organizzati di fedeli orientali e, per quanto è possibile, provvede alle loro necessità spirituali, anche costituendo una gerarchia propria, se il numero dei fedeli e le circostanze lo esigono; in questa prospettiva la Congregazione agisce dopo aver consultato la Congregazione per i Vescovi o la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli competenti per la costituzione di Chiese particolari nel medesimo rispettivo territorio.
L'azione apostolica e missionaria nelle regioni, in cui da antica data sono prevalenti i riti orientali, dipende esclusivamente da questa Congregazione, anche se viene svolta da missionari della Chiesa latina. Perciò, anche nel campo dell'opera stessa dell'evangelizzazione dei popoli e della cooperazione missionaria, di competenza della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, rimane salva la competenza della Congregazione per le Chiese orientali (cf. PB, art. 85), cioè sull'azione missionaria svolta dalle Chiese orientali. In pratica però nei territori di Propaganda, se i missionari orientali vogliono svolgere l'attività missionaria, sono -date le circostanze — costretti a svolgerla in rito latino, non avendo la loro Chiesa giurisdizione in tale territorio. Questo è particolarmente significativo in India e in alcune parti dell'Africa, dove i religiosi orientali svolgono la loro attività inseriti nel contesto missionario della Chiesa latina. Con eccezione della Chiesa siro-malabarese alla quale sono stati concessi alcuni territori missionari, formanti oggi le eparchie in India centrale e settentrionale, nessun'altra Chiesa orientale appare con le capacità e possibilità di svolgere la missione ad gentes, che viene percepita come esclusiva della Chiesa latina. Il decreto conciliare Orientalium Ecclesiarum 3 stabilisce: «Queste Chiese particolari, sia di oriente che d'occidente, sebbene siano in parte tra loro differenti in ragione dei cosiddetti riti, cioè per la liturgia, per la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale, tuttavia sono in egual modo affidate al pastorale governo del Romano Pontefice [ ], godono di pari dignità, così che nessuna di loro prevale sulle altre per ragione del rito, e godono degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi, anche per quanto riguarda la predicazione del vangelo in tutto il mondo (cf. Mc. 16, 15), sotto la direzione del Romano Pontefice».
Questa affermazione conciliare si integra — non senza tante difficoltà - con l'altra formulazione conciliare del decreto Ad Gentes 29 che stabilisce: «Per tutte le missioni e per tutta l'attività missionaria uno soltanto deve essere il dicastero competente, ossia quello di Propaganda Fide, cui spetta regolare e coordinare, in tutto il mondo, sia l'opera missionaria sia la cooperazione missionaria, nel rispetto tuttavia del diritto delle Chiese orientali».
Questo dettato conciliare si è tradotto in norma canonica nel can. 585 §1 del CCEO: «È compito delle singole Chiese sui iuris curare senza interruzione che il Vangelo sia predicato nel mondo intero, sotto la direzione del Romano Pontefice, per mezzo di messaggeri preparati accuratamente e inviati dall'autorità competente a norma del diritto comune». Il canone garantisce alle Chiese orientali la propria azione missionaria nella Chiesa universale. Implicitamente risulta che l'azione missionaria appartiene sia alla Chiesa latina sia alle Chiese orientali[3].
Alla luce della riforma della Curia Romana iniziata da Papa Francesco, sembrerebbe opportuno rivedere la questione dei «territori di missione» e del mandato da parte della suprema autorità della Chiesa alle varie Chiese, latina o orientali, di compiere in essi l'azione propriamente missionaria. Un maggior coordinamento tra i due Dicasteri assicurerà ad ogni Chiesa il diritto all'evangelizzazione secondo la propria indole rituale, garantendo al contempo l'unità di intenti.
2.5 Territori di competenza della CCO
Pio XI con il M.P. Sancta Dei Ecclesia del 25 marzo 1938, sottrasse alla giurisdizione di Propaganda Fide alcuni territori e li assegnò alla esclusiva competenza della Congregazione Orientale: Egitto e Penisola del Sinai, Eritrea ed Etiopia del Nord, Bulgaria, Cipro, Grecia, Iran, Iraq, Libano, Palestina, Siria, Giordania, Turchia ed Albania meridionale e la parte della Tracia soggetta ai Turchi[4]. Il 7 agosto 1950 papa Pio XII aggiunse l'Afghanistan, ma il 16 maggio 2002, con l'erezione dell'omonima missione sui iuris, papa Giovanni Paolo II ha posto l'Afghanistan sotto la giurisdizione della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Inoltre, le Conferenze Episcopali di Albania, Etiopia ed Eritrea, India, Paesi Arabi sono seguite congiuntamente dalle Congregazioni per le Chiese Orientali e per l'Evangelizzazione dei Popoli, mentre quella di Romania dalle Congregazioni Orientale e per i Vescovi[5].
Con Rescriptum ex audientia della Segreteria di Stato, datato 4 gennaio 2006[6], sono state riordinate le competenze dei vari Dicasteri per la costituzione e la provvista delle numerose circoscrizioni ecclesiastiche esistenti in Europa. Il n. 2 del Rescriptum ex audientia conferma la giurisdizione della Congregazione per le Chiese Orientali in Bulgaria, Grecia e Turchia Europea per la creazione e la provvista delle Chiese particolari di rito latino, ma non menziona, a differenza del precedente motu proprio, l'Albania meridionale e Cipro. L'Albania, a partire dal Rescriptum n. 4, è affidata, donec aliter provideatur, alla Segreteria di Stato, Sezione per i Rapporti con gli Stati, ma nulla è detto per Cipro, appartenente alla Comunità Europea; ma tenendo presente che vi si estende la giurisdizione del patriarcato latino di Gerusalemme ed è costituita una eparchia maronita, dipendenti a loro volta dalla Congregazione per le Chiese Orientali, si può presumere che il Dicastero abbia conservato la propria giurisdizione sull'isola.
Papa Benedetto XVI nel Rescriptum ex Audientia del 4 gennaio 2006, al n. 3 stabilisce che la Congregazione per le Chiese Orientali ha competenza per la costituzione e provvista di tutte le giurisdizioni ecclesiastiche di rito orientale esistenti in Europa, ad eccezione della Russia, Bielorussia, Ucraina, Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova, affidate, donec aliter provideatur, alla Seconda Sezione della Segreteria di Stato (n. 4), oltre ai Paesi dell'ex-Unione Sovietica che si trovano in Asia (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tadjikistan, Turkmenistan ed Uzbekistan). Inoltre, alla medesima Sezione, sono affidate, donec aliter provideatur, le giurisdizioni ecclesiastiche sia di rito latino che di rito orientale esistenti nei Balcani (Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro, Macedonia e Albania).
3. I rapporti Stato-Chiesa attraverso i concordati[7]
Il can. 4 CCEO afferma:
“Canones Codicis initas aut approbatas a Sancta Sede conventiones cum nationibus aliisve societatibus politicis non abrogant neque eis derogant; eaedem idcirco perinde ac in praesens vigere pergent contrariis Codicis praescriptis minime obstantibus”.
Il CCEO quindi non modifica per nulla le convenzioni, anche se riportano disposizioni abrogative o di deroga agli stessi accordi: questi continuano ad avere il loro valore nonostante la promulgazione (18 ottobre 1990) e l’entrata in vigore (1° ottobre 1991) del CCEO. Se qualche canone del CCEO fosse eventualmente contrario alle disposizioni di un accordo internazionale, questa stessa disposizione e l’accordo continuerebbero a rimanere in vigore, nonostante l’opposizione della legge canonica vigente che, in questo caso, non annulla parzialmente (derogare = revocatio legis partialiter)[8] o totalmente (abrogare = revocatio legis totaliter)[9] la legge. Continua ad essere in vigore, dunque, e vale sempre il postulato giuridico: Pacta sunt servanda. Il Legislatore, dunque, stabilisce quali debbano essere i criteri da seguire quando ci si trova davanti a quelle norme oggi comunemente denominate di diritto internazionale.
La responsabilità internazionale spetta sia alla Chiesa considerata nel suo concetto unitario di societas sia alla Santa Sede in quanto soggetto governante al vertice della stessa Chiesa. Agli effetti pratici è poi la Santa Sede che finisce per essere il centro di imputazione fondamentale dei rapporti e delle relazioni che la Chiesa instaura sia con gli Stati sia con altre realtà giuridiche e sociali. La Santa Sede sottoscrive il concordato per mezzo dello stesso Romano Pontefice o tramite suo legato ad hoc[10]; mentre da parte dello Stato è contraente lo Stato stesso come persona giuridica e sovrana mediante i suoi rappresentanti legittimi. Dunque, non è il capo del governo o dello Stato a stipulare il concordato, anche se è egli che lo firma; inoltre, negli stati costituzionali, è prevista la necessaria approvazione del concordato in parlamento. Il concordato deve essere pubblicato. Oggi, la pubblicazione è fatta tramite gli Acta Apostolicae Sedis, mentre per lo Stato tramite il suo bollettino ufficiale di leggi.
Le convenzioni possono essere stipulate o approvate dalla Sede Apostolica. Infatti, anche il Patriarca col consenso del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale e col previo assenso del Romano Pontefice può stipulare delle convenzioni con l’autorità civile; queste convenzioni saranno esecutive dopo l’approvazione del Romano Pontefice (can. 98 CCEO); questa clausola è stata aggiunta tenendo conto delle implicazioni di diritto pubblico e di quello interecclesiale di tali convenzioni[11]. Queste convenzioni sono in realtà vere e proprie forme di concordati anche se sui generis. Infatti, nonostante la Santa Sede, nella persona del Romano Pontefice, debba fornire l’assenso prima e l’approvazione poi, queste convenzioni sono piuttosto degli accordi bilaterali, che tuttavia non hanno natura internazionale poiché i firmatari sono il Patriarca e i rappresentanti del governo o delle autorità civili. Pur essendo importanti, esse non hanno i requisiti dei concordati, poiché sono accordi non già tra la Santa Sede e lo Stato, bensì tra una Chiesa e lo Stato. Tuttavia, non per questo sono di poca importanza; infatti, essi possono andare a modificare, anche profondamente, una certa situazione o delimitare la reciproca sfera di influenza della Chiesa e dello Stato su determinate materie. Il fatto che si conceda al Patriarca un tale diritto, rientra perfettamente nella tradizione orientale, in base alla quale i Patriarchi sono da sempre considerati anche come “etnarchi” (capi di una etnia) oltre che capi religiosi.
Il CCEO prosegue sul tema col can. 99:
§1. Il Patriarca abbia cura che siano osservati da tutti gli Statuti personali nelle regioni in cui sono in vigore. §2. Se diversi Patriarchi usufruiscono nello stesso luogo della potestà riconosciuta o concessa negli Statuti personali, conviene che negli affari di maggior importanza agiscano di comune intesa[12].
Il can. 99 CCEO prende in considerazione il fatto che più Patriarchi possono essere soggetti al medesimo regime civile. In tal caso è necessario che i Patriarchi agiscano di comune interesse. Al Patriarca spetta anche il compito di vigilare sugli Statuti personali affinché siano rispettati da tutti.
Secondo il Codice, le azioni contenziose si estinguono con la prescrizione dopo cinque anni, salvo il diritto comune non disponga diversamente e fermi restando su questa cosa gli Statuti personali (can. 1151). Inoltre, le cause riguardanti gli effetti meramente civili del matrimonio, se sono trattate in modo principale, spettano al giudice civile, fermi restando gli Statuti personali (can. 1358).
Per Statuti personali si intendono quegli accordi stipulati tra le varie comunità religiose e le autorità civili in alcuni paesi, specie islamici, che riguardano i diritti e i doveri delle persone fisiche e giuridiche di suddette comunità. Essi regolano specialmente in materia di diritto matrimoniale, familiare e patrimoniale[13]. I cristiani continuano cioè a fidanzarsi, a sposarsi, a praticare la tutela dei minori, l’affiliazione, l’adozione, l’interdizione, ad amministrare il diritto familiare, a succedere ab intestato, a ereditare, a osservare il proprio calendario, secondo la loro tradizione, guidati dal loro clero e dal loro Patriarca. Ad esempio, circa i matrimoni misti, secondo gli Statuti personali in Libano abbiamo:
- Per i cattolici, i matrimoni misti (parte cattolica e parte acattolica battezzata) sono proibiti senza il permesso esplicito dell’autorità competente. Il permesso è accordato per una causa giusta e ragionevole a precise condizioni che garantiscono gli impegni e gli obblighi delle parti (cann. 813-816 CCEO; 1124-1129 CIC).
- Per i greci e i siri ortodossi, quando uno dei due sposi è cristiano non ortodosso, egli deve presentare una domanda scritta d’adesione alla Chiesa ortodossa per mezzo della quale prometterà di sottomettersi a tutti i doveri correlativi, conformemente alle procedure civili e religiose in vigore, ed essere ammesso nella Chiesa ortodossa (Stat. Grec., 25/2; Stat. Syr., 23/2).
- Per la Chiesa armena, in caso di matrimonio misto, l’autorizzazione è data dall’Ordinario del luogo, se “gli sposi firmano un impegno scritto per mezzo del quale essi accettano di far parte della comunità armena ortodossa e di sottomettersi ai suoi regolamenti” (Stat. Arm., 25). Anche la parte armena ortodossa firma questo impegno per confermare la sua appartenenza continua alla comunità armena ortodossa.
- Per la comunità evangelica, in caso di matrimonio misto, nessuna restrizione o autorizzazione è posta. È richiesto solo lo stato libero della parte non protestante (Stat. Ev., 25).
- Per la comunità israelita, non vi è una distinzione fra differenza di religione (disparità di culto) e differenza di confessione (matrimonio misto): “La religione e la confessione (israelita) sono condizioni di validità del matrimonio che, sotto pena di nullità, non può essere concluso se una parte è di una religione o di una confessione differente” (Stat. Isr., 37).
A norma dell’art. 17 degli Statuti personali in Libano, sarà punito con ammenda il sacerdote che celebra il matrimonio di due persone non appartenenti alla sua comunità religiosa o che celebra il matrimonio senza essere autorizzato dall’autorità religiosa competente, oppure che celebra il matrimonio tra persone di cui una non appartiene alla sua comunità religiosa, senza che gli sia stata presentata un’attestazione da cui risulti che la parte contraente è libera dal vincolo precedente[14].
Il 14 ottobre 1996 i Patriarchi cattolici e ortodossi del Medio Oriente hanno firmato a Charfeh (Libano) un accordo su tre questioni pastorali, di cui la prima riguarda i matrimoni misti. I Patriarchi si impegnano a salvaguardare quanto segue:
- la libertà della sposa a restare membro della sua Chiesa se lo vuole;
- la celebrazione del rito del matrimonio nella Chiesa dello sposo; il sacerdote che presiede al matrimonio inviterà il parroco dell’altra parte, se è presente, a recitare con lui alcune preghiere;
- il battesimo dei figli nella Chiesa del loro padre;
- la promulgazione di decisioni che daranno forma a questa posizione, nei diversi sinodi[15].
Infine, abbiamo il can. 100 CCEO che statuisce:
Il Patriarca può avocare a sé gli affari che riguardano più eparchie e che interessano l’autorità civile; non può però prendere decisioni sugli stessi se non dopo aver consultato i Vescovi eparchiali interessati e col consenso del Sinodo permanente; se però la cosa è urgente e non resta il tempo per riunire i Vescovi membri del Sinodo permanente, ne fanno le veci in questo caso i Vescovi della curia patriarcale, se ci sono, altrimenti i due Vescovi eparchiali più anziani per ordinazione episcopale[16].
Questo canone conferisce ulteriori prerogative al Patriarca, anche se con delle limitazioni, in materia di problematiche inerenti i rapporti fra la sua Chiesa e le autorità civili. Infatti, si possono avverare dei casi in cui il Patriarca potrà risolvere egli stesso la questione, con la sua capacità e con la sua influenza. Tuttavia, prima di decidere, il Patriarca dovrà ottenere il consenso del Sinodo permanente[17] e dovrà consultare i Vescovi eparchiali interessati alla cosa; ma se la cosa è urgente, è prevista anche una procedura d’urgenza.
4. Riflessione sugli Statuti Personali delle comunità Cattoliche in Libano:
Lo Stato libanese mentre riconosce la propria incompetenza su alcune materie (persone, famiglia, persone e beni ecclesiastici, luoghi sacri…) afferma la competenza esclusiva (escludendo qualsiasi forma di concorrenza) della legislazione delle Comunità Cattoliche (le Chiese Orientali sui iuris e la Chiesa Latina), oltre che delle altre religioni. In tutte le comunità cattoliche orientali, il matrimonio per quanto riguarda la sua conclusione, gli obblighi che genera, la sua validità, il suo annullamento, e lo scioglimento dei legami matrimoniali, è regolato dalla legge sul matrimonio: CCEO in vigore dall'ottobre 1991 (che sostituisce le leggi allora in vigore, i due MM. PP. Crebrae Allatae e Sollicitudinem nostram), come pure le norme post ed extra-codiciali.
Per la comunità latina in Libano il matrimonio è regolato dal CIC in vigore dal 1983 che sostituisce il Codex Iuris Canonici del 1917.
In aggiunta e conseguentemente a ciò, mentre riconosce la propria incompetenza giurisdizionale in dette materie, lo stato libanese afferma la competenza dei tribunali confessionali cattolici. Esso, nulla delega alla Chiesa Cattolica ed anzi, prima ancora di riconoscerne la legislazione e l’ordinamento giudiziario, disconosce la propria competenza quanto a legiferare e decidere su quelle materie. Il presupposto è quello che almeno una parte sia libanese. Non si tratta di norme in qualche maniera “concordate” fra le parti, ma di norme sostanziali e processuali di natura confessionale (diritto canonico), da interpretarsi ed applicarsi secondo la loro origine confessionale.
Se l’articolo 9 della Costituzione libanese è il presupposto giuridico-istituzionale che fonda il riconoscimento degli Statuti Personali per gli appartenenti in generale a tutte le confessioni religiose “... lo Stato garantisce ai cittadini, di diverse confessioni, il rispetto del sistema dei loro Statuti Personali ...”, il presupposto giuridico specifico per il riconoscimento degli Statuti Personali per i cattolici (orientali e latini) libanesi, è la legge statale del 2-4-1951 che determina la competenza esclusiva per i cattolici libanesi dei rispettivi tribunali ecclesiastici in materia di statuto personale, inoltre alla cosiddetta Loi sur le statut personnel des communautés catholiques che rappresenta la raccolta normativa delle leggi ecclesiastiche cattoliche che deve essere applicata nella materia, ed è suddivisa come segue:
I. Riguarda le disposizioni generali relative alla competenza della presente legge e alla sua interpretazione, definendo il sistema istituzionale della Chiesa e evidenziano la volontà che in materia di Statuti Personali la norma canonica debba essere interpretata ed applicata nello spirito proprio dell’ordinamento canonico, senza alcun richiamo al diritto civile o anche soltanto ai suoi principi.
II. riguarda le persone in generale (persona fisica, persona morale, laici, ecclesiastici, religiosi, capacità, domicilio e quasi domicilio, ecc.).
III. il fidanzamento e il matrimonio (le sue regole, le obbligazioni che fa sorgere, il suo annullamento, la rottura e la dissoluzione dei legami matrimoniali) e costituisce la parte fondamentale e tipica degli Statuti Personali.
IV. la filiazione, la legittimità dei figli e i loro effetti;
V. l’adozione.
VI. la potestà genitoriale, e la cura dei figli fino alla maggiore età.
VII. la pensione alimentare (alimenti in generale, obbligazioni alimentari fra gli sposi, obbligazioni alimentari fra ascendenti e discendenti).
VIII. i danni-interesse in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio o di separazione.
IX. la “Wisaya”, un istituto sostanzialmente civilistico di tutela degli orfani e come tale non disciplinato dal CCEO.
X. le successioni e dei testamenti.
XI. i beni temporali della Chiesa e deve essere applicato ed interpretato alla luce del Titolo XIII CCEO (De boni Ecclesiasticis Temporalibus).
XIV. i luoghi santi, contenente l’articolo 287 che ne prevede l’immunità verso l’autorità civile.
XV. tutti i processi relativi ai dogmi religiosi ed agli affari ecclesiastici sono di competenza assoluta dell’autorità religiosa e che i membri del clero e i religiosi abbiano un tribunale privilegiato ecclesiastico per ogni azione sia penale che civile. Non possono essere giudicati da un tribunale laico se non previa autorizzazione del loro superiore competente. Inoltre i membri del clero ed i religiosi possono prestare giuramento soltanto innanzi al loro capo spirituale, e per essere arrestati ed imprigionati devono prima venire destituiti, dagli Istituti di appartenenza. Veniva inoltre previsto l’esonero dal servizio militare (che ora non esiste più).
XVI. la procedura da seguire nella materia degli Statuti Personali, e viene fatto rinvio ai Processi nel CCEO, ai regolamenti particolari della Santa Sede, alle eventuali leggi civili, al diritto canonico generale ed al diritto civile che non sia incompatibile con i dogmi e le leggi della Chiesa.
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Vi ringrazio per l’attenzione e formulo il migliore augurio per il proseguimento di questo corso, dei vostri studi come della vostra carriera professionale.
[1] BENEDETTO XV, Motu proprio Dei providentis, in AAS 9(1917)529-531.
[2]AAS, 1917, 529-531.
[3]Cf. G. NEDUNGATT, Evangelization of Peoples (cc. 584-594), in ID., A Guide to the Eastern Code. A Commentary on the Code of Canons of Eastern Churches, p. 414.
[4] PIO XI, motu proprio Sancta Dei Ecclesia, 25 marzo 1938, AAS (1938), 154-159: «Sacra Congregatio pro Ecclesia Orientali, cui praeest ipse Romanus Pontifex, pienam et exclusivam iurisdictionem habet in regionibus quae sequuntur: in Aegypto et in peninsula Sinaitica, in Erythraea et in parte septentrionali Aethiopiae, in Albania australi, Bulgaria, Cypro, Graecia, Dodecaneso, Iran, Iraq, Libano, Palaestina, Syria, Transjordania, asiatica Turearum republica et in Thracia Turcarum dicioni subiecta» (p. 157).
[5] Cf. Annuario Pontificio
[6] SEGRETERIA DI STATO, Rescriptum ex audientia, 4 gennaio 2006, AAS 98 (2006), 65-66.
[7] Cf. L. Lorusso, Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali e il diritto concordatario. Commento a un canone (can. 4), in Folia Canonica 9 (2006), 157-175.
[8] Derogare ricorre 6 volte nel CIC: cc. 3; 20; 33 §1; 34 §2; 1670. 3 volte nel CCEO: cc. 4; 1502 §§1-2.
[9] Abrogare ricorre 4 volte nel CIC: cc. 3; 6 §1; 20; 505. 3 volte nel CCEO: cc. 4; 6, 1°; 1502 §1.
[10] Il can. 365 §1 CIC afferma: E’ inoltre compito peculiare del Legato pontificio che esercita contemporaneamente una legazione presso gli Stati secondo le norme del diritto internazionale: 1) promuovere e sostenere le relazioni fra la Sede Apostolica e le Autorità dello Stato; 2) affrontare le questioni che riguardano i rapporti fra Chiesa e Stato; trattare in modo particolare la stipulazione e l’attuazione dei concordati e delle altre convenzioni similari.
[11] Cf. Nuntia 28 (1989) 37.
[12] CS, can. 271: §1. Statuta Personalis iis in regionibus in quibus vigent servari debent non solum in iis in quibus cum iure canonico, etiam particulari, conveniunt, sed etiam in ceteris, dummodo ea de re desit proprium iuris canonici praescriptum et Statuta Personalia iuri divino vel canonico non sint contraria. §2. Si plures Patriarchae eodem in loco potestate in Statutis personalibus concessa utantur, expedit ut de gravioris momenti negotiis collatis consiliis statuant. §3. Patriarcha potestatem civilis magistratus, probata consuetudine ita ferente, exercere valet.
[13] Cf. AL-MAWARDI ABŪ’L-HASSAN, Les statuts gouvernamentaux ou règles de droit public et administratif, tr. par E. FAGNAN, A. Alger 1915 (19822); A. FATTAL, Le statut légal des non-musulmans en pays de l’Islam, Beyrouth 1958; M. MAHMASSANI – I. MESSARRA, Statut Personnel. Textes en vigueur au Liban, Beyrouth 1970; G. SYRIANI, «L’execution des jugement et arrets emis par les tribunaux confessionnels des Communautés Orientales Catholiques au Liban», Apollinaris 65 (1992) 173-198; M. BASILE, Statut personnel et compétence judiciaire des communautés confessionnelles au Liban, Kaslik 1993 (con ampia bibliografia); V. POGGI, «Non musulmani nella società musulmana», in Il diritto romano canonico quale diritto proprio delle comunità cristiane, IX Colloquio internazionale romanistico canonistico, Pontificia Università Lateranense, Roma 1994, pp. 553-566.
[14] Cf. J. PRADER, Il matrimonio nel mondo, Padova 1986, p. 372.
[15] Per il contesto canonico e le osservazioni su questo accordo vedi D. SALACHAS, “I matrimoni misti nel Codice latino e in quello delle Chiese Orientali Cattoliche”, in I Matrimoni misti, (Studi Giuridici 47), Città del Vaticano 1998, pp. 57-91, hic pp. 86-91; testo in Le Lien ottobre-dicembre 1996, pp. 30-34.
[16] CS, can. 295 §4: 1° Negotia quae plures eparchias respiciunt civilem Auctoritatem tangunt Patriarcha ad se avocare potest; statuere autem de iisdem non valet nisi auditis locorum Hierarchis quorum res interest et de consensu Synodi permanentis; 2° Quod si res urgeat nec suppetat tempus ad coadunandos Episcopos Synodi permanentis sodales, horum vices in casu gerunt Episcopi in curia patriarchali officium cum residentia habentes.
[17] È un sinodo minore della Chiesa patriarcale, composto da cinque Vescovi, compreso il Patriarca. Esso è, in un certo senso, rappresentativo del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, il quale elegge tre dei suoi membri. Esso è, di regola, convocato per consultazioni in materie di ordinaria amministrazione o per sbrigare affari urgenti, che non possono attendere le costose e infrequenti sessioni del più ampio Sinodo dei Vescovi. I suoi membri vivono nella curia patriarcale o nelle vicinanze per favorire una pronta convocazione.
Card. Leonardo Sandri
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