Between system and practise. The civilists of the faculty of Cagliari between the 19th and 20th centuries

Tra sistema e prassi. I civilisti della facoltà di Cagliari tra Otto e Novecento

29.12.2022

Stefano Solimano*

           

Tra sistema e prassi.

I civilisti della facoltà di Cagliari tra Otto e Novecento**

 

English title: Between system and practise. The civilists of the faculty of Cagliari between the 19th and 20th centuries

DOI: 10.26350/18277942_000101

 

Sommario. 1. Enrico Lai (1842-1892) - 2. Francesco Atzeri Vacca (1860-1932).

 

1. Enrico Lai (1842-1892)

 

L’università di Cagliari ha festeggiato i quattro secoli. Mi è stato chiesto di analizzare la civilistica autoctona, il che, essenzialmente, significa scolpire le figure piuttosto interessanti di Enrico Lai e di Francesco Atzeri Vacca[1].

Negli anni Ottanta, Lai si inserisce nel dibattito sul metodo che anima la scienza privatistica[2] e che vede protagonisti non pochi giovani giuristi, come ad esempio il ventisettenne Gian Pietro Chironi (anche lui di Cagliari e proveniente dalla scuola di Loru), nel 1882 docente a Siena[3], o Enrico Cimbali, giurista dell’altra grande isola italiana, il quale pubblica a trent’anni, nel 1885, la celebre La nuova fase del diritto civile[4]. In quello stesso anno dà alle stampe il Sistema del diritto civile italiano. Alla stregua di Cimbali, egli manifesta una chiara insofferenza nei confronti dello strumento del commento ereditato dalla Francia[5], che è stato accolto anche dai civilisti italiani chiamati a sbozzare il codice civile del 1865[6], e invita, come Chironi, ad aprirsi alla pandettistica[7]. Nel 1888, in occasione del discorso inaugurale (dal titolo piuttosto impegnativo: Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato positivo), Lai continua a spronare l’Accademia, puntando soprattutto sull’indifferibile necessità di accogliere ladogmatische Konstruktion al fine di elevare la scienza giuridica italiana[8]. Il suo credo nei confronti del nuovo metodo merita di essere riportato:

 

Il giurista riceve come punto di partenza per il suo lavoro logico le disposizioni della legge e con un processo d’astrazione e d’induzione stabilisce i principii generali del diritto positivo, gli elementi comuni a tutti gli instituti e così pure i principii che reggono ogni speciale instituto.

Una lunga serie di deduzioni conduce a un’espressione algebrica la cui esattezza non può essere sempre a prima vista verificata e meno può esserlo da un profano, perché essa non ha soventi nel mondo esterno la sua verificazione pratica. Ma facendo in senso inverso il ragionamento e risalendo di deduzione in deduzione bisognerà logicamente riconoscere la verità e l’esattezza della formula se non si vuol negare che due quantità uguali ad una terza sono uguali fra loro. Il risultato di tutto questo lavoro d’induzione e di deduzione costituisce ciò che si chiama il sistema del diritto positivo[9].

 

Il sistema pandettistico appare a Lai uno strumento autopoietico, in grado di presidiare l’ordine proprietario visualizzato dal codice, seguendo una tendenza tipica della Begriffsjurisprudenz[10]. Di qui la sua più assoluta impermeabilità di fronte al problema della socializzazione del diritto privato, che invece sta tanto a cuore a Enrico Cimbali[11]. Lai denuncia «le pretese socialistiche che vorrebbero apportare alla libertà delle stipulazioni, regolando certi contratti di locazione e agognando, per sostenere la lotta contro il capitale, al ripristinamento delle leggi contro l'usura»[12].

Il nostro civilista è un pandettista che apprezza i codici[13]: tale circostanza non deve stupire più di tanto, poiché è da almeno vent’anni che gli esponenti tedeschi della giurisprudenza dei concetti, per impedire di essere sorpassati a destra dai germanisti, hanno imboccato la strada della codificazione. Nel 1887 è stato pubblicato il primo progetto del futuro BGB, che taluni giuristi tedeschi hanno irriso come un “piccolo Windscheid”, a voler stigmatizzare la stretta derivazione pandettistica[14]. Si consideri inoltre che, nella stessa misura di Emanuele Gianturco[15], egli si ispira all’esperienza giuridica austriaca[16], all’interno della quale il viennese Joseph Unger[17] ha mostrato di riuscire a innalzare le sue guglie dogmatiche muovendo dall’ABGB del 1811[18]. In altri termini, i civilisti italiani sono chiamati a costruire il sistema senza dover necessariamente buttare alle ortiche il testo del 1865. Pur guardando con favore al modello codice, Lai lancia due avvertimenti al legislatore: appare quanto mai opportuno evitare una legislazione di dettaglio per  «far sì che un certo campo rimanga allo spontaneo svolgersi del diritto, al suo atteggiarsi secondo le diverse condizioni»[19]; in secondo luogo è indispensabile astenersi dall’impiegare, «finché possibile, le proposizioni puramente scientifiche e quelle che appartengono al lato logico del diritto e quando vi mette mano deve badare che tali disposizioni non siano di ostacolo alla costruzione del sistema del diritto»[20]. Dietro queste considerazioni il convincimento che la scienza giuridica debba svolgere un ruolo costruttivo («l’opera della scienza deve precedere quella del legislatore»[21]), un pensiero che, nell’ora storica, al di fuori del recinto austrogermanico, ritroviamo condiviso, ad esempio, da Vittorio Polacco in Italia[22], da Raymond Saleilles e da François Gény in Francia[23]. Due ultimi rilievi, prima di passare a analizzare la sua produzione scientifica. Contrariamente a Bensa e a Fadda, che individuano nel corpus iuris civilis una miniera inesausta di princìpi ai quali ricorrere per risolvere le nuove questioni giuridiche emergenti dalle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche[24], Lai esibisce un atteggiamento più disincantato e misurato, in quanto, seguendo Jhering (da lui citato direttamente), afferma di voler superare il diritto romano per mezzo del diritto romano[25]. Il nostro civilista rifiuta, infine, un’altra tendenza dell’ora storica, e cioè il darwinismo e lo spencerismo[26], che, almeno inizialmente, hanno conquistato il suo conterraneo Chironi[27].

Quanto alle pubblicazioni, tralasciando le trattazioni giovanili o quelle minori, ad esempio il saggio del 1871 sulla cambiale[28], o quello sull’identità della persona per gli effetti della cosa giudicata[29], Lai si segnala alla civilistica peninsulare per due opere in particolare, vale a dire per una monografia sulla responsabilità civile e per il più volte richiamato Sistema del diritto civile italiano.

Ebbene, con riferimento al primo dei due lavori, intitolato Principii generali sulla risponsabilità civile per delitti e quasi delitti, dato alle stampe nel 1880[30], v’è di che rimanere sorpresi, in quanto Lai segue la strada battuta e consolidata in Francia[31]. La sua, sia chiaro, non è una recezione acritica: si perita di rilevare i punti deboli della ricostruzione dell’istituto compiuta da Toullier[32], oppure combatte le aperture del Sourdat[33], tuttavia, ciò che colpisce è che non ci siano riferimenti alla letteratura giuridica tedesca. Anche un altro corifeo della Begriffsjurisprudenz, il più volte menzionato Chironi, segue la medesima singolarissima impostazione[34]. Al di là di questo, l’obiettivo del nostro civilista è preservare l’equilibrio proprietario[35]: in tale prospettiva le aperture di Sourdat potrebbero minare l’ordine costituzionale incarnato nel codice. Egli teme il socialismo[36] e l’impiego dell’equità come strumento per temperare l’individualismo del diritto privato[37]. Della possibilità di ricorrere alla culpa levissima, in ciò una sostanziale differenza rispetto a Chironi, egli non vuol sentir parlare[38].

Passando all’analisi del Sistema del diritto civile italiano, esso si sostanzia in un volume di sole settantanove pagine, scorrevole, assolutamente non banale, destinato a rimanere il peristilio di un tempio che non sarà mai terminato, nel quale Lai espone taluni princìpi e categorie del diritto, quali il rapporto giuridico, l’istituto, la distinzione tra diritto oggettivo e soggettivo, fra legge morale e norma giuridica. Qui mostra di maneggiare disinvoltamente la produzione scientifica germanica: il già richiamato Unger, l’immancabile Sistema di Savigny citato nella traduzione di Scialoja[39], ma anche Neuner, Stahl, Puchta, Gerber, e gli austriaci Schiffner e Burckard. Una pagina di questa trattazione nella quale affronta la questione del diritto naturale merita una pur brevissima sosta. Giusta la dipendenza dalla dogmatica tedesca, ci saremmo aspettati un approccio positivistico. Del tutto inaspettatamente Lai esordisce censurando coloro che «sostengono non esista altra legge giuridica fuori che la legge positiva»[40]. V’è di più, in quanto Lai sferra un improvviso e duro attacco nei confronti di Unger, il quale, 

 

al pari di non pochi scrittori di diritto privato, han voluto negare il valore del diritto naturale, anche come fonte d’interpretazione: Unger ha sostenuto che l’analogia di diritto (Rechtsanalogie) basta per risolvere, secondo lo spirito del diritto vigente, qualunque questione, e che il § 7 del cod. austriaco non manifesta altro che il bisogno di soddisfare a una tendenza essenzialmente teorica dei compilatori di esso codice. La critica, se fosse giusta, verrebbe a colpire anche il nostro codice civile (art. 3 disp. prel.) il quale contiene la stessa disposizione, sostituendo però alle parole principii del diritto naturale, le parole principii generali del diritto[41].

 

Si tratta senza dubbio di un aspetto interessante: non dobbiamo pensare, tuttavia, di trovarci di fronte a un Portalis[42],  a un Borsari[43] o ancora a un Bianchi insulare, vale a dire a un giurista che si affida senza resipiscenze al diritto naturale[44]. Ai suoi occhi esso appare, seguendo Romagnosi, Karl von Rotteck e William Bélime, quale Vernunftsrecht[45]:

 

Del diritto naturale si faceva qual cosa di astratto e di assoluto in ogni senso, contradicendo così al concetto che sorge dal suo svolgimento storico. Noi invece per diritto naturale intendiamo il diritto quale deve essere, nelle diverse condizioni in cui l’uomo può trovarsi, e che con più proprietà, dovrebbe dirsi diritto razionale e filosofico. Abbiamo tuttavia conservato la denominazione di diritto naturale o di legge giuridica naturale per accennarne la fonte; perché, come diremo in seguito, essa vien dedotta dalla natura dell’uomo. Però noi riteniamo che quantunque il diritto sia assoluto nel suo principio, pure anch’esso segue la legge universale dell’evoluzione, e, non diremo si modifica, ma si atteggia nello spazio e nel tempo.

 

Come interpretare questo suo assunto? Non è agevole, ma non sembra azzardato ipotizzare che egli sia preoccupato di circoscrivere i confini del diritto naturale. In ogni caso è altrettanto importante notare come Lai voglia ridimensionare la questione dell’integrazione della lacuna[46]:

 

Si sta molte volte più alla forma, che alla sostanza, e non si tiene in debito conto del diverso atteggiarsi degli stessi e costanti principii.

 

Il nostro giurista affronta poi il tema dell’equità, da lui presentata quale naturalis ratio. Segue il medesimo copione: contesta l’impostazione restrittiva di Unger che ammette il ricorso all’equità esclusivamente se vi è un rinvio del legislatore[47]; successivamente ne restringe l’applicazione, in quanto teme che possa essere concepita come un espediente per scardinare i princìpi dell’ordinamento[48]:

 

come sinonimo della morale non ha luogo nella sfera del diritto; l'equità nel significato di diritto naturale può valere, anche senza un riferimento speciale, in tutti i casi nei quali occorre colmare una lacuna della legge. Come correttivo della formula della legge deve sempre farsi valere la ratio iuris e l'equità naturale solo in quanto sia ad essa conforme, varrà come fonte d'interpretazione. Ogni altro uso dell'equità nel diritto positivo non può essere che condannato.

 

Com’è noto, diritto naturale e equità rappresentano temi incandescenti che infiammano (e infiammeranno) gli animi dei civilisti italiani. Appare evidente che Lai tenda verso l’orientamento di Vittorio Scialoja[49], con qualche apertura, se pensiamo che il suo conterraneo Chironi (nel trattato redatto insieme a Abello) fa propria la tesi di Unger[50].

Il Sistema del diritto civile italiano viene recensito in termini entusiastici sull’Archivio giuridico, da Carlo Fadda[51]. Lai è presentato addirittura come un «teorico, (che) non ama le astrazioni, ma studia il diritto nella vita, come organismo»[52]. Del resto, è persuaso che Lai porterà a compimento l’opera: in lui coglie l’entusiasmo e il talento di un giurista pioniere.

Merita almeno un cenno un’altra iniziativa scientifica realizzata dal nostro civilista: intendiamo riferirci alla direzione della rivista sarda Il diritto. Benché sia dedicata esclusivamente alla giurisprudenza insulare, e nonostante vengano pubblicati due soli fascicoli, colpisce la raffinata rassegna bibliografica del primo volume che ospita la recensione di un volume di Bekker, redatto in occasione della giubilazione di Kaspar Bluntschli[53].

A cinquant’anni e qualche mese, Lai muore improvvisamente, lasciando un allievo, Francesco Atzeri Vacca[54]. Corre l’anno 1892.

 

2. Francesco Atzeri Vacca (1860-1932)

 

La carriera accademica di questo docente non è rapida, poiché è segnata da due incidenti di percorso. Innanzitutto, il suo primo lavoro, che si sostanzia nello sviluppo della tesi di laurea sul divieto degli atti di emulazione[55], viene recensito in termini piuttosto aspri da Vittorio Scialoja, il quale gli imputa di averlo seguito pedissequamente[56]. In realtà, Atzeri si è ispirato al suo maestro, che aveva affrontato la questione nel volume sulla responsabilità civile[57]. Si tratta di un tema legato a doppio filo con quello dell’abuso del diritto, rispetto al quale la maggior parte dei civilisti appare attestata su una posizione di netta chiusura, che è quella di Lai, di Scialoja e di Atzeri, in nome del principio di certezza del diritto[58]. Troviamo Gian Pietro Chironi, invece, tra i giuristi che manifestano l’esigenza di tenere in considerazione tale figura[59].

Torniamo a Atzeri e al suo secondo inciampo. Gli esiti dei concorsi di diritto romano svoltisi a Parma nel 1891 (è eleggibile, ma ultimo in graduatoria, distanziato dagli altri concorrenti tra i quali figurano astri della romanistica come Pietro Bonfante e Gino Segrè, allievi di Scialoja; i commissari sono Fadda, Brini, Delogu, Moriani e, ahimè, Scialoja[60])  e a Cagliari nel 1897 (sempre eleggibile, ma terz’ultimo) inducono Atzeri Vacca a compiere un aggiustamento di rotta, e cioè a puntare esclusivamente sul diritto civile[61]. La nuova monografia sulla gestione di affari altrui, che vede la luce nel 1904, visualizza la transizione: nella prima parte riproduce il saggio romanistico sulla negotiorum gestio pubblicato nel 1890, nella seconda indaga i contenuti civilistici[62].

Atzeri raggiunge la piena maturità scientifica nel 1910, pubblicando un volume sull’istituto della rinunzia. Si tratta di una chiara e asciutta ricostruzione sistematica del negozio unilaterale che supera le settecento pagine. Egli non indulge in orpelli, né ricorre a citazioni esornative della pandettistica. Ci troviamo di fronte ad un tipico trattato novecentesco nel quale si rinvengono, oltre ai classici della scienza tedesca e austriaca, la nuova letteratura civilistica italiana, quella francese dell’ultimo Ottocento e di inizio Novecento (exempli gratia, il Planiol: i punti di contatto con questo giurista sono molteplici[63]). Nella successiva edizione del 1915 lascia largo spazio alla giurisprudenza[64], sicché questo trattato è destinato ad assurgere a vero e proprio vademecum per teorici e pratici, citato ancor oggi. Non deve sorprendere l’attenzione al momento giurisprudenziale, poiché per venticinque anni egli anima il periodico La giurisprudenza (raccolta critica di giurisprudenza sarda), che assumerà successivamente l’intitolazione di Giurisprudenza Sarda[65].

Il nostro cattedratico cagliaritano è un civilista dalla produzione scientifica cospicua e minutissima.  Svolgendo assai intensamente la professione di avvocato, non poche questioni hanno la loro origine nella prassi (che, per sua natura, è sempre incandescente). Carlo Francesco Gabba, ad esempio, segnalerà con favore un’allegazione forense di Atzeri nella quale si dibatte sulla proprietà di una chiesa cagliaritana e che offre l’occasione di discettare sulla «estracommerciabilità delle cose sacre»[66]

Soffermiamoci brevemente sulla prolusione intitolata La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, tenuta alla fine del 1917, un momento assai triste della vita di Atzeri, in quanto ha perduto il figlio maggiore, laureando in giurisprudenza, perito in battaglia sul Carso due anni prima (e la prelezione è anche pensata come momento di commemorazione dei caduti della Facoltà)[67]. Egli affronta il problema della condizione giuridica della donna maritata, che dal 1860 divide ininterrottamente tanto la politica quanto l’accademia. Come è noto, il legislatore unitario, nonostante l’impegno del Guardasigilli Pisanelli e la resistenza dei lombardi che avrebbero voluto accogliere la disciplina progressiva del codice austriaco, ha inchiodato la moglie ad una paralizzante incapacità di agire. Le tragedie del terremoto calabro-siculo del 1908 (di qui un primo progetto avanzato da Scialoja) e della Prima guerra mondiale impongono di riaprire la questione (rimasta nell’ombra anche a causa dei ripetuti tentativi di introdurre il divorzio)[68]. Ebbene, Atzeri, battendosi per l’abolizione dell’autorizzazione maritale[69], reclama maggiore considerazione della donna nella società[70]:

 

La donna moderna non deve vivere racchiusa in una nicchia le cui vetrate colorate diano alla luce del di fuori un colore diverso dal reale. La cultura della donna è la prima condizione che assicura alla stessa la sua emancipazione e la sua indipendenza economica, la quale è il maggior presidio della sua dignità

 

Quanto alla famiglia, egli sprona il legislatore a innalzare la condizione dei figli naturali, invitando a esaminare quanto è stato realizzato in Francia nel 1907 e nel 1912[71]:

 

Negare ai figli adulterini il diritto di essere riconosciuti e legittimati anche in caso di susseguente matrimonio dei loro genitori: dichiararli incapaci di ricevere, dai medesimi, atti di liberalità, è inveire ingiustamente contro questi innocenti che l’altrui colpa rende doppiamente infelici, perché, reietti dalla famiglia, sono anche perseguitati dalla società che spietatamente li bolla con un marchio ignominioso ed indelebile

 

Abolire il divieto delle indagini per il riconoscimento della paternità è il primo provvedimento da adottare, una proposta di modifica del codice che sta facendo discutere i civilisti dagli anni Settanta[72], come ha ben illustrato Chiara Valsecchi[73]. In ciò Atzeri sembra seguire Cimbali molto più del suo maestro. Certo, sulla questione anche un giurista non rivoluzionario come Carlo Francesco Gabba è dello stesso avviso[74]. In secondo luogo, appare alquanto urgente affrontare il problema della condizione dei figli delle donne lavoratrici, ispirandosi al Children Act inglese del 1908[75].

Atzeri, infine, traccia un quadro drammatico delle condizioni in cui versano non poche famiglie indigenti in Italia, minate dalla piaga dell’alcolismo (a detta sua, a causa dell’industrializzazione del paese). Il rimedio avanzato è piuttosto radicale e oggi suona inaccettabile, in quanto si sostanzierebbe, seguendo l’esempio di trentasei Stati dell’America del nord, nell’impedire il matrimonio «ai pazzi, agl’imbecilli, ai sifilitici, agli alcolisti, ai delinquenti abituali, ai tubercolotici»[76]. Se è vero che Atzeri è profondamente colpito dalle statistiche statunitensi, è vero anche che egli si muove in quel brodo di coltura che porterà al concetto di sanità della stirpe[77]

Terminiamo il discorso facendo riferimento alla sua attività didattica. Già sappiamo che agli esordi ha insegnato diritto romano. Come era prassi della facoltà, e come era avvenuto anche per il suo maestro Enrico Lai, gli vengono affidati molteplici insegnamenti piuttosto eterogenei. È chiamato a professare il diritto processuale civile, la filosofia del diritto, il diritto finanziario e il diritto internazionale[78].

Dall’analisi delle lezioni conservate presso la biblioteca dell’università, si può notare che uno spazio non irrilevante è assegnato alla dimensione storico-giuridica generale e locale. Con riguardo, ad esempio, alla disciplina del diritto di proprietà, egli muove dal diritto romano per poi approdare non infrequentemente alla situazione storico-giuridica della Sardegna di antico regime[79]. Quanto alla dottrina, egli fa riferimento soprattutto alla letteratura francese (in particolare Marcadé e Laurent): della Rechtskultur, almeno in questa parte, non v’è traccia. Per ciò che concerne l’Italia, è Romagnosi il giurista italiano dal quale attinge in misura maggiore. Emerge in maniera altrettanto netta la volontà di confrontarsi con la giurisprudenza, volendo con ciò mettere a disposizione dei discenti la sua lunga e apprezzata esperienza professionale. Da una lezione sulla proprietà è possibile individuare un elemento che lo collega a Enrico Lai. Si tratta dell’equità, bollata da Atzeri come una teoria «alla quale si ricorre quando non si sa dare una congrua spiegazione di un istituto qualsiasi»[80]:  una boutade che il fedele annotatore della lezione non si è voluto lasciar sfuggire.

Mancano ancora due tasselli per completare la ricostruzione della figura di Francesco Atzeri-Vacca nel suo complesso. Per due anni, dal 1924 al 1926, è chiamato a guidare la facoltà nella quale si è formato e nella quale ha compiuto la carriera per più di trent’anni. Ed ecco l’ultimo elemento: nel 1931 si rifiuta di prestare giuramento al regime fascista[81]. A partire da quel momento chiede l’aspettativa per motivi di salute. Nel 1932, su sua domanda, è collocato a riposo per avanzata età e anzianità di servizio. Sette mesi dopo, nell’estate di quell’anno, scompare[82].

 

 

Abstract (ENG): Enrico Lai and Francesco Atzeri-Vacca represent the two native civilists present in Cagliari’s law faculty between the 19th and 20th century. Lai enthusiastically opened up to German Pandettistica, attempting to construct a civilist doctrine with a national character, to the same extent as Cimbali or Chironi. This project was interrupted by his untimely death. Atzeri Vacca, on the other hand, although a pupil of Lai’s, initially appears more aloof in comparison to the professors who in the Peninsula deal with the themes that animate national science; at the same time he is very attentive to the controversial dimension of law: in his eyes, the civilist must first and foremost solve concrete problems. Arriving later than his colleagues, he nevertheless consigned to Italian science a monograph on renunciation that is still cited by civilists dealing with this institution.

 

Keyword (ENG): Cagliari university history; Enrico Lai; Francesco Atzeri Vacca; italian legal science.


* Università Cattolica del Sacro Cuore (stefano.solimano@unicatt.it).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind review.

[1] Allievo dei romanisti Borgna e Loru, si laurea nel 1863. Gli vengono affidati molteplici insegnamenti: filosofia del diritto, procedura civile e infine diritto civile. Diviene ordinario di questa materia nel 1885: G. de Giudici, Lai, Enrico, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX Secolo), a cura di I. Birocchi - E. Cortese - A. Mattone - M. N. Miletti, I, Bologna, 2013, pp. 1135-1136, d’ora in poi DBGI. Più diffusamente G. de Giudici, Enrico Giuseppe Federico Ignazio Lai (1842-1892), in S. Borsacchi, G. S. Pene Vidari, Avvocati che fecero l’Italia, Bologna, 2011, pp. 830-833. Cenni in C. Cicero, Giuristi ‘notevoli’ dell’Università di Cagliari. Ritratti del Novecento, Napoli, 2021, ai nostri fini p. 58. Desidero ringraziare vivamente l’amica e collega Giuseppina De Giudici per avermi assistito nel reperimento e nell’invio delle fonti bibliografiche conservate presso la biblioteca e l’archivio dell’università di Cagliari.                                                                                                                                                                                                                                                                   

[2] V. P. Grossi, «La scienza del diritto privato». Una rivista progetto nella Firenze di fine secolo (1893-1896), Milano, 1988.

[3]  Su di lui v.  G. Cazzetta, Chironi, Gian Pietro, DBGI, I, Bologna, 2013, pp. 529-531. Celebre la sua prolusione tenuta a Siena agli inizi del 1882: v. G. Chironi, Il diritto civile nella sua ultima evoluzione, Siena, 1882, ai nostri fini, p. 21, pp. 26-27 e pp. 28-29.

[4] V.  P. Grossi, «La scienza del diritto privato», cit., pp. 20-24 e pp. 35-39; G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale. Percorsi e appunti per una storia delle codificazioni moderne, Torino, 2018, passim; si può anche vedere S. Solimano, Cimbali, Enrico, in DBGI, I, Bologna, 2013, pp. 540-543. Bibliografia in S. Solimano, Tendenze della civilistica postunitaria, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, a cura di P. Cappellini, P. Costa, M. Fioravanti, B. Sordi, Roma, 2012, pp. 381- 388.

[5]«In Italia come in Francia uno studio sistematico del diritto positivo vigente non esiste affatto, poiché la maggior parte di scrittori ha seguito, sotto la forma del commentario e sotto quella del trattato, presso che l’ordine del codice. […] E non è semplice questione di forma estrinseca. Senza sistema non c’è scienza: difetto di sistema significa dunque difetto della scienza. Quindi è che in simili libri le questioni vengono decise con la scorta di principii subordinati, dei quali è possibile stabilire i limiti precisi, se non si fanno risalire ai principii più generali, e questi all’unico principio di cui tutti gli altri non sono che conseguenze più o meno immediate. L’esposizione di un gran numero di teorie generali e di instituti giuridici fondamentali manca quasi del tutto, e tale mancanza produce il difetto, che abbiamo accennato, degli elementi indispensabili per la determinazione di frequentissimi rapporti giuridici concreti. Tali sono le teorie sulle condizioni assolute e contingenti del diritto, sulle sue qualità, sull’esercizio del diritto in generale, sulla classificazione e deduzione dei diritti, sul concorso e sulla collisione di essi, sul loro acquisto, sulla loro perdita e trasmissione, sull’indebito arricchimento, sul danno lecito ed illecito e così via»: E. Lai, Sistema del diritto civile italiano, Cagliari, 1885, pp. 5-6.

[6] Va tuttavia segnalato che il canone interpretativo dei civilisti italiani era in parte diverso da quello transalpino in quanto, come ha mostrato finemente Giovanni Cazzetta, era diretto a far riemergere la tradizione giuridica italiana preunitaria anche attraverso la disposizione del codice che consentiva di fare riferimento ai princìpi generali del diritto (G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, cit., pp. 29-33). Sotto altri aspetti era indubbio che tale canone, che per convenzione e per comodità continuiamo a definire esegetico, non agevolasse la ricostruzione sistematica del civilista in quanto l’analisi seguiva pedissequamente l'ordine del codice. Inoltre, è altrettanto indubbio che, quanto ai contenuti, i giuristi italiani erano condizionati dalla dottrina francese: v. S. Solimano, Tendenze della civilistica, cit., pp. 382-384.

[7] E. Lai, Sistema del diritto civile, cit., p. 7.

[8] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato positivo. Discorso per la inaugurazione degli studi nella Università di Cagliari letto il 20 novembre 1888, Cagliari, 1888, pp. 21-41. Sul ruolo delle prolusioni nell’ora storica v. G. Cazzetta, in Retoriche dei giuristi e costruzione dell’identità nazionale, a cura di G. Cazzetta, Bologna, 2013, ai nostri fini, pp. 19-23.

[9] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., pp. 29-30, corsivi nel testo.

[10]L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 38.

[11] S. Solimano, Cimbali, Enrico, cit., pp. 540-543.

[12] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 35. Più problematico Chironi: G. Cazzetta, Chironi, cit., p. 530.

[13] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 37.

[14] Sul processo di codificazione in Germania v. F. Wieacker, Storia del diritto privato moderno, II, Milano, 1980, p. 177 e ss.

[15] V. F. Treggiari, Gianturco, Emanuele, in DBGI, I, Bologna, 2013, pp. 992-995, ai nostri fini p. 992.

[16] S. Solimano, Tendenze della civilistica postunitaria, cit., p. 387.

[17] V. F. S. Meissel, Joseph Unger und das Römische Recht. Zu Stil und Methoden der österreichischen “Pandektistik”, in, Wie pandektistisch war die Pandektistik? Symposion aus Anlass des 80. Geburtstags von Klaus Luig am 11 September 2015,  a cura di H. P. Haferkamp, T. Repgen, Tübingen, 2018, pp. 17-33.

[18] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 31. Insiste persuasivamente su questo aspetto G. de Giudici, Enrico Giuseppe Federico, cit., p. 832; Ead., Lai, Enrico, cit., p. 1135.

[19] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 31.

[20] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 31.

[21] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 37.

[22] V. P. Grossi, «Il coraggio della moderazione». Specularità dell’itinerario riflessivo di Vittorio Polacco, in Quad. fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XVIII (1989), pp. 197-251, ora anche in Id., Nobiltà del diritto, Milano, 2008, pp. 131-188.

[23] V. P. Grossi, Ripensare Gény, in Quad. fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XX (1991), pp. 1-51. V. anche M. Sabbioneti, Democrazia sociale e diritto privato. La Terza Repubblica di Raymond Saleilles (1855-1912), Milano, 2011.

[24] Note a B. Windscheid, Diritto delle Pandette, trad. it. 1887-1902, I, Torino, 1926, p. 31. V. S. Solimano, Tendenze della civilistica, cit., pp. 385-386.

[25]«Se il diritto romano ci diede per la scienza più preziosi materiali e così sana e conveniente disposizione da poter essere ancora oggi adottato in gran parte come legge da nazioni civili, se meritò d’essere chiamato la ragione scritta, ciò non toglie che molti ostacoli non si frappongono alla costruzione di un sistema dello stesso diritto; perocché riguarda adesso non può più intervenire sapiente opera del legislatore che abbiamo invocato per il diritto nostro»: E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., p. 38.

[26] Su tale tendenza, v. P. Grossi, «La scienza del diritto privato», cit., pp. 18-19; pp. 96-98; Id., Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, 1860-1950, Milano, 2000, pp. 14-15 e p. 20.  

[27] V. G. Cazzetta, Gian Pietro Chironi, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, a cura di P. Cappellini, P. Costa, M. Fioravanti, B. Sordi, Roma, 2012, pp. 402-403.

[28] E. Lai, Della garanzia in materia cambiaria, Cagliari, 1871.

[29] E. Lai, Della identità di persona per gli effetti della cosa giudicata, Cagliari, 1878.

[30] E. Lai, Principii generali sulla risponsabilità civile per delitti e quasi delitti, Cagliari, 1880.

[31] V. l’analisi di G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana e frammentazione del diritto comune civilistico (1865-1914), Milano, 1991, p. 42, pp. 76-77, pp. 82-86, pp. 106-107, pp. 126-129.

[32] E. Lai, Principii generali, cit., pp. 11-12, p. 16, pp. 29-31.

[33] E. Lai, Sulle presenti condizioni degli studi di diritto privato, cit., pp. 31-32. Sull’impostazione del Sourdat, v. G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana, cit., pp. 39-40; p. 108 e a.i.

[34] Un aspetto evidenziato da G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana, cit., p. 229.

[35] V. G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, cit., pp. 224-225.

[36] G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana,cit., pp. 83-85 e p. 127.

[37] V. infra, testo corrispondente alla nota.

[38] G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana,cit., p. 107.

[39] V. P. Grossi, Scienza giuridica italiana, cit., a.i.; F. Furfaro, Recezione e traduzione della Pandettistica in Italia tra Otto e Novecento, Torino, 2016.

[40] E. Lai, Sistema del diritto civile, cit., p. 51.

[41] E. Lai, Sistema del diritto civile, cit., p. 51.

[42] V. R. Ferrante, Dans l’ordre établi par le code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’illuminismo giuridico, Milano, 2002, p. 272 e segg; Id., Codificazione e cultura giuridica, 2 ed., Torino 2011; Id., Un secolo sì legislativo, La genesi del modello otto-novecentesco di codificazione e la cultura giuridica, Torino, 2015, pp. 96-99.

[43] V. G. Cazzetta, Borsari, Luigi, in DBGI, I, pp. 308-309.

[44] V. S. Solimano, Tra esegesi e sistema? Cultura giuridica e metodo scientifico di Francesco Saverio Bianchi (1827-1908), in Jus, 1-2 (2010), ai nostri fini pp. 219-228.

[45] E. Lai, Sistema del diritto civile, cit., pp. 52-53.

[46] E. Lai, Sistema del diritto civile, cit., pp. 55-56.

[47]«Non andiamo d’accordo coll’Unger nel ritenere che, per poter essere invocata, ci sia bisogno di un riferimento espresso e speciale. In sostanza quando il codice si riferisce all’equità esprime in altri termini ciò che in generale è detto per tutti i casi che non possono essere decisi né con una disposizione di legge, né coll’interpretazione per analogia»: ivi, p. 65.

[48] Ibidem.

[49] V. P. Grossi, Scienza giuridica italiana, cit., pp. 43-44; G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, cit., p. 226.

[50] V. C. Latini, «L’araba fenice». Specialità delle giurisdizioni ed equità giudiziale nella riflessione dottrinale italiana tra Otto e Novecento, in Quad. fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 35 (2006), II, p. 649.

[51] Su Fadda, v. S. Solimano, Fadda, Carlo, DBGI, I, Bologna, 2013, pp. 813-814.

[52]«Il professor Lai è assai apprezzato dai pochi veri e seri nostri civilisti per i suoi scritti, specie per quelli sull’identità di persona in rapporto alla cosa giudicata e sui principi generali della responsabilità civile per delitti e quasi delitti. Il lavoro quindi di cui egli imprende la pubblicazione non può non avere fortunato successo: tanto più in quanto risponde a una vera necessità. L’A. nella prefazione tocca la questione di moda: quello del metodo. Sono poche parole, ma in sostanza colpiscono giusto. Qualcuno potrebbe temere che il far entrare l’elemento filosofico della trattazione, possa nuocere al lavoro. Ma la garanzia contro il pericolo di esagerate astrazioni sta negli scritti del Lai, e nell’indole di questo egregio civilista. Una brillante e lunga carriera forense accompagnata dall’insegnamento professato per più anni è arra sicura della riescita. Chi volesse formarsi un giusto concetto delle tendenze del Lai dovrebbe meritare una sua breve scrittura sulle regulae iuris pubblicata nel Diritto (anno I, fasc. 6) da lui diretto. Pratico, rifugge dall’empirismo delle regolette cozzanti fra loro, prive di esattezza scientifica: teorico, non ama le astrazioni, ma studia il diritto nella vita, come organismo. Questo primo fascicolo è relativo al diritto oggettivo. Si occupa della legge in generale, della legge morale e della giuridica e dei loro rapporti, della legge giuridica naturale nei suoi rapporti colla legge positiva, dell’equità. Poi comincia la trattazione del diritto positivo. La trattazione è ordinata, chiara, semplice, precisa: la forma e sobria, senza frangie, ma non priva di eleganza. È fatta la giusta parte alla teoria, e la giurisprudenza accompagna sempre la soluzione delle questioni. Il diritto romano è sfruttato con molta avvedutezza: proprio come raramente suole avvenire. Chè ora è di moda far sfoggio di erudizione a buon mercato, anche quando il diritto romano non ci ha assolutamente da vedere; come tal altra volta (e altrove anche ora) si usava tacere affatto su questo diritto. Il Lai ha perfettamente inteso, che il diritto romano non è solo una fonte del nostro diritto, ma un modello di metodo nel raziocinio giuridico. Appunti sopra questioni speciali potrebbero farsene: me ne astengo, trattandosi di diversità d’opinioni, in ordine alle quali nessuno può con certezza pretendere d’aver ragione. Finiamo col pregare il Lai a non volersi fermare nella buona a via, ma a darci con sollecitudine il seguito del sistema, certi che esso corrisponderà degnamente a questo primo saggio, e col rallegrarci di vedere finalmente (e n’era tempo) un segno di attività scientifica in una università che ha ottime tradizioni negli studi di diritto romano e civile»: C. Fadda, Recensione a Sistema del diritto civile italiano, dell’Avv. Enrico Lai prof. di diritto civile nella R. Università di Cagliari, in Arch. Giur. Filippo Serafini, XXXIV (1885), pp. 562-563.

[53] E. Lai, Un nuovo libro sulla questione possessoria in diritto romano, in Il diritto. Rivista mensile di giurisprudenza, I (1882), pp. 16-20.

[54]Nasce a Cagliari nel 1860, si laurea sotto la guida di Enrico Lai nel 1885, diventa aggregato al collegio di Giurisprudenza nel 1894. Nello stesso anno è professore incaricato di istituzioni di diritto romano; nel 1898 incaricato di diritto civile, nel 1900 è professore straordinario, nel 1906 professore stabile e nel 1910 ordinario. Preside dal 1924 al 1926, chiede di essere collocato a riposo nel 1932, per evitare di prestare giuramento al fascismo. V. U. Cao, Francesco Atzeri Vacca, in Annuario della Regia Università di Cagliari, XI, CCCXXXII dalla fondazione (1932-1933), pp. 253-256; A. Mattone, Atzeri Vacca, Francesco, DBGI, I, Bologna, 2013, p. 122; Id., Storia della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari (secoli XVI-XX), Bologna, 2016, p. 584.

[55] F. Atzeri Vacca, Sulla dottrina degli atti ad emulazione, Cagliari, 1886.

[56]«Io non posso che approvare in massima questi concetti dell’A., avendoli già sostenuti in più d’uno dei miei scritti. Né si creda che queste mie parole contengano una vanitosa rivendicazione di priorità; che anzi il signor Atzeri Vacca cita tante volte e con tali parole l’ultimo di tali miei scritti, che io credo necessario avvertire ch’egli se ne discosta assai più di quanto dalle sue modeste dichiarazioni apparirebbe. Anche là dove egli più si è giovato del mio lavoro, come nella parte storica e nelle notizie bibliografiche, quantunque egli abbia trattato questi punti molto più in succinto di me, ho potuto trovare parecchie notizie di cose a me sfuggite tra le quali quelle degli scritti de De Gioannis e del Lai, purtroppo a me ignoti. […] Sarebbe desiderabile che chi tornasse a scrivere su questo punto si fermasse a studiare alcuni punti che tanto da me quanto dal signor Atzeri furono troppo trascurati»: V. Scialoja, Sulla dottrina degli atti ad emulazione di F. Atzeri Vacca, in Riv. it. Sc. Giur., 1887, III, p. 289. Su di lui v. G. Chiodi, Scialoja, Vittorio, in DBGI, II, pp. 1833-1837.

[57] E. Lai, Principii generali sulla risponsabilità civile, cit., pp. 42-54.

[58] V. G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, cit., pp. 224-230.

[59] G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, cit., pp. 240-243.

[60]«Si appalesa una discreta intelligenza giuridica; una sufficiente attitudine agli studi romanistici […] ma a un tempo si nota talvolta una deficienza di cognizioni in specie riguardo a materie ausiliarie»: Relazione sul concorso alla cattedra di diritto romano nella R. Università di Parma (ordinario), in Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 17 aprile 1891, n. 90, p. 1458.

[61]«Sull’argomento della negotiorum gestio egli ci presenta ora un completo trattato dei requisiti essenziali del detto istituto. È da badare però che il diritto romano tiene nel lavoro una parte accessoria, talora anzi affatto secondaria; se anche non si badi che il piano fondamentale del lavoro è forse erroneamente concepito. E parte accessoria o secondaria ha egualmente il diritto romano in altri lavori di minor conto presentati pur ora dall’Atzeri, i quali tuttavia danno prova anch’essi di operosità varia, di coltura e di attitudine all’insegnamento»: Mariani, Fadda, Brini, Pampaloni, Ferrini, in  Bollettino ufficiale del ministero dell’istruzione pubblica, XXV n. 16, 21 aprile 1898, p. 664.

[62] F. Atzeri, I principi fondamentali della gestione d'affari, Cagliari, 1890; Id., La gestione d’affari nella dottrina e nella giurisprudenza, Torino, 1904.

[63] V.  J.L. Halpérin, Planiol Marcel Fernand, in P. Arabeyre, J. L. Halpérin, J. Krynen, Dictionnaire historique des juristes français, Paris, 2007, pp. 629-630.

[64] F. Atzeri, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, Torino 1910.

[65]«Il contributo della giurisprudenza, rappresentando la legge in azione di fronte ai fenomeni viventi, ch’essa prende a regolare, costituisce il più prezioso materiale per lo studio di qualsiasi istituto giuridico, giacché serve spesso, oltrecché a giustificare l’utilità dell’istituto in sé, a stabilire l’esattezza o l’insufficienza o l’insufficienza sia delle norme, colle quali è regolato, sia della formula stessa»: F. Atzeri, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, Torino, 1915, prefazione alla seconda edizione.

[66] C. F. Gabba, Questioni di diritto civile, I, Torino, 1909, p. 101. V. F. Atzeri, Le chiese possono essere oggetto di proprietà? Note sulla dottrina della estracommerciabilità delle cose sacre, 2 ed., Cagliari, 1900. Si tratta di un’allegazione di quasi duecento pagine strutturata in tre parti. Analizza la questione nella prospettiva del diritto romano, del diritto canonico e del diritto contemporaneo per replicare alle osservazioni degli arbitri. Merita di essere riprodotto l’incipit: «la quistione pregiudiziale, che si presentò nella controversia era questa: se le chiese siano beni e come tali capaci di dominio. Gli arbitri giudicarono negativamente questa quistione, perché non essendo in generale le chiese consacrate al culto divino beni commerciabili, epperciò suscettibili di privata proprietà, non poteva neppure la Chiesa di S. Lucifero in particolare essere oggetto di proprietà, né da parte dell’Ospizio Carlo Felice, né da parte del Municipio di Cagliari». Con riferimento al diritto giustinianeo evidenzia che «il carattere sacro delle chiese cristiane non impediva che potessero essere nel dominio, sovrattutto, di quelli enti che delle medesime doveano servirsi per raggiungere lo scopo del culto compreso nella loro destinazione» (ivi, p. 29). In riguardo al diritto canonico egli mette in luce come esso non avesse «alcuna disposizione che contraddicesse a quelle del diritto giustinianeo relativamente alla proprietà sulle res sacrae». Passa successivamente all’analisi della disciplina del codice civile albertino e di quello unitario: «per codice albertino anche le chiese e le cose sacre in genere sono beni che rientrano nella categoria di quelli che appartengono in proprietà ai singoli enti e stabilimenti ecclesiastici, ai quali servono di mezzo per raggiungere gli scopi di culto che formino uno dei fini della loro fondazione. Il codice civile vigente non ha nessuna disposizione che contraddica a questa regola: esso pure riconosce nei singoli enti ecclesiastici la capacità di avere beni propri: e mentre nel precedente codice Albertino l’amministrazione e l’alienazione di tali beni erano soggette alle regole del diritto canonico, secondo il codice vigente, ove non si fa più espresso richiamo di queste norme, sono soggette alle leggi civili» (ivi, p. 47).  Cede poi la parola alla dottrina per attestare che l’opinio magis quam communis va nel senso che le «res sacrae possono essere di proprietà tanto degli istituti ecclesiastici quanto dei privati» (ivi, p. 78).  Chi sono i civilisti citati? Ecco la risposta: il fior fiore della pandettistica, e precisamente Arndts, Unger, Wachter, Brinz e Windscheid! Tra gli italiani Chironi, Mortara, Scaduto e Giorgi. La giurisprudenza, invero, ritiene i che le chiese non sono suscettibili di dominio privato, osserva. Circostanza che nella causa non rileva poiché essa riguarda due enti. Tutta la seconda parte è destinata ad accertare se l’Ospizio Carlo Felice potesse essere qualificato come ente pubblico.

[67] F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, Cagliari, 1918.

[68] C. Valsecchi, In difesa della famiglia? Divorzisti e antidivorzisti in Italia tra Otto e Novecento,Milano, 2004, ai nostri fini, pp. 133-149. Sulle vicende dell’abrogazione v. il documentato lavoro di P. Passaniti, Diritto di famiglia e ordine sociale. Il percorso storico della “società coniugale” in Italia, Milano, 2011, pp. 372-383. In generale, sempre stimolante la lettura di P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna, 1974, pp. 180 e ss., pp. 198-203.

[69] Le osservazioni dell’Atzeri meritano di essere riprodotte, anche perché evidenziano talune criticità emerse durante l’applicazione del codice civile del 1865: «Il Pisanelli aveva nella Relazione del progetto del nostro codice civile, già dimostrato che le donne maritate del Lombardo Veneto, durante la funesta dominazione dell’Austria, dove non esisteva né esiste quest’istituto non avevano mai dato segni d’incapacità. Ciò perché la necessità dell’autorizzazione maritale non sussiste né pure dal punto di vista razionale. Nella pratica poi l’istituto dell’autorizzazione maritale, com’è oggi regolata, generalmente non riesce ad altro che, o far rescindere, in mala fede, atti compiuti dai terzi colla massima buona fede, o a far subire, alla stessa donna maritata e alla sua famiglia, le dannose conseguenze della grande diffidenza che queste frequenti rescissioni creano nei terzi intorno alla capacità giuridica della donna maritata, specialmente nei momenti in cui essa ha vero ed urgente bisogno di contrattare coi terzi per provvedere a improrogabili esigenze sue o della famiglia. È infatti in questi momenti che la diffidenza dei terzi accresciuta dalle incertezze e dalle fluttuazioni della giurisprudenza in materia, oppone delle trincee invincibili contro la capacità della donna maritata e la costringe a dannose perdite di tempo, sciupio di spese, per far sempre accompagnare i suoi atti non solo dall’autorizzazione maritale, ma anche da quella del Tribunale. E ciò quantunque non sia, secondo la nostra legge, rigorosamente prescritto. Così un istituto, introdotto per proteggere la donna maritata e la famiglia, si ritorce nella maggior parte dei casi, a danno dell’una e dell’altre»: F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, cit., p. 12. E ancora: «il ministro Sacchi, nella Relazione che precede il progetto di legge presentato in quest'anno per l'abolizione dell'autorizzazione maritale, ha detto: che questa riforma deve costituire il premio dovuto alle donne italiane per le alte benemerenze di cui hanno dato quotidianamente mirabile prova durante questa tremenda lotta di popoli. Questa ragione non è convincente. Il mantenimento o l'abrogazione dell'istituto dell'autorizzazione maritale non può dipendere che dalla necessità o meno di proteggere la donna maritata e la sua famiglia. Questa necessità secondo noi non sussiste» (ibidem).

[70] F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, cit., p. 19. Nonostante questa apertura, non può certo essere considerato un Giuriati insulare: v. D. Giuriati, Le leggi dell’amore, Torino, 1895, pp. 106-108. Su quest’ultimo, v. P. De Zan, DBGI, I, Bologna, 2013, pp. 1034-1035.

[71] F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, cit., pp. 16-17. Sulle riforme francesi v. A. Lefebvre-Teillard, Introduction historique au droit des personnes et de la famille, Paris, 1996, pp. 367-368, pp. 379-380, pp. 385-386 e p. 397.

[72] D. Giuriati, Le leggi dell’amore, cit., pp. 158-165.

[73] C. Valsecchi, Filiazione naturale e ricerca della paternità, in Avvocati protagonisti e rinnovatori del primo diritto unitario, a cura di S. Borsacchi, G. S. Pene Vidari, Bologna 2014, pp. 167-200; Ead., Padri presunti e padri invisibili. Filiazione e ricerca della paternità nel diritto italiano tra Otto e Novecento, in JusOnline, 1 (2015), pp. 11-13.

[74] V. E. Cimbali, Due riforme urgenti: il divorzio e la ricerca della paternità naturale, Torino, 1902 (pubblicato postumo); C. F. Gabba, La dichiarazione della paternità illegittima e l’articolo 189 del Codice civile italiano, in Annuario delle scienze giuridiche, sociali e politiche, 1881, ai nostri fini pp. 190 e ss. 

[75] F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, cit., p. 27 e pp. 47-54.

[76] F. Atzeri, La protezione della donna e della famiglia nella società moderna, cit., p. 21.

[77] Basti qui ricordare la non commendevole prova fornita, nello stesso senso, da un penalista liberale quale Karl Binding, autore, insieme con lo psichiatra Alfred Hoche, di un volume-manifesto dell’eugenetica, Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens, Leipzig, 1920.

[78]U. Cao, Francesco Atzeri Vacca, cit., p. 254.

[79] F. Atzeri, Lezioni di diritto civile, 1899-1900, fasc. I, e fasc. II, Biblioteca universitaria di Cagliari.

[80] F. Atzeri, Lezioni di diritto civile, cit., II, p. 56.

[81] R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, Torino, 1974, p. 109 e n. 3. G. Boatti, Preferirei di no: le storie dei dodici professori universitari che si opposero a Mussolini, Torino, 2017.

[82] Archivio Storico dell'Università di Cagliari, Regia Università degli Studi di Cagliari, Sezione II, Carteggio (1901-1946), s. 1. 33 (1932), pos. III, b. 215, n. 2300 e pos. IV, b. 216 n. 2311.

Solimano Stefano



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