Potenzialità della teoria classica del diritto nel ritorno al “diritto di natura
Ida Soldini*
Potenzialità della teoria classica del diritto
nel ritorno al “diritto di natura”**
English title: Potential of classical legal theory in the return to “natural right”
DOI: 10.26350/18277942_000207
Sommario: Sommario: 1. Un ponte fra “antico” e “nuovo” 2. La prospettiva giuridica “classica” 3. La giuridicità della legge naturale 4. Statuto della legge naturale: reciprocità dell’ordinamento giuridico e di quello morale 5. Legge naturale e legge eterna 6. Domande critiche.
- Un ponte fra “antico” and “nuovo”
Dopo la codifica introdotta dal Code Civile napoleonico, la legge scritta è diventata, in Occidente, la spina dorsale della società. La Chiesa cattolica adottò questa forma nel 1917, confermandola nel 1983, mentre nella legislazione statuale alla teoria del diritto positivo di Hans Kelsen – prima e dopo la seconda guerra mondiale[1] è seguito il pragmatismo di Richard Rorty[2]. Oggi assistiamo al collasso del diritto internazionale e, durante la pandemia di Covid, all’imposizione di comportamenti attraverso norme straordinarie[3]. A questi sviluppi fa eco un dubbio diffuso sulla legittimità del diritto[4]. Inoltre, dagli anni ’70 è in corso all’interno del diritto canonico un fervente dibattito sulla natura del diritto. Paradossalmente perciò, è l’ambito del diritto canonico a dimostrarsi più dinamico nella ricerca di una soluzione all’attuale impasse della teoria di una scienza giuridica. Tuttavia, questo non è strano: la ricerca sul diritto bizantino ha avuto come pionieri due avvocati francesi[5] che, stretti dai limiti del diritto napoleonico, cercavano un paradigma se non alternativo almeno complementare. Uno degli autori più attenti al rapporto fra teoria del diritto in ambito canonico e in ambito civile è Petar Popović, che ha proposto diversi spunti negli anni più recenti[6]. In questo articolo cerco di cogliere dal punto di vista della teoria della legge naturale il contenuto di una sua opera, al momento la più completa[7]. A mo’ di conclusione propongo anche alcune domande che potrebbero indicare piste di ricerca per costruire il ponte fra “antico e nuovo”, secondo l’intenzione espressa da Popović stesso.
Ci sono libri per comprendere il valore dei quali occorre leggere l’ultima riga. È il caso di questo di Petar Popović, professore di diritto canonico all’Università di Santa Croce in Roma, dove scrive[8]:
«Un concetto realista del diritto e della giuridicità, insieme all’argomento ad esso correlato di norme naturali di giustizia, è una piattaforma di argomentazione giuridica che, a mio giudizio, è capace di attraversare, come fosse un ponte, la distanza che con moltissime sfumature diverse separa il vecchio dal nuovo. Se questo studio contribuisse a costruire un simile ponte, avrei già ottenuto un ampio compenso alla mia fatica.»
Per identificare il passaggio dal “vecchio” al “nuovo”, Popović cita un intervento del 1958 di Yves Simon[9], un filosofo del diritto allievo di Jacques Maritain che insegnò al di qua e al di là dell’Atlantico: il passaggio qui inteso è un evento epocale nella storia della nozione di legge, accaduto nel corso del xix secolo, quando la parola “diritto” venne a significare “diritti soggettivi”, cioè la capacità – rivendicata o riconosciuta legalmente – di fare qualcosa[10]. Il “vecchio” è il realismo giuridico classico, che dalla classicità greca è stato trasmesso al diritto romano e a Tommaso d’Aquino. Qui il diritto è ipsa res iusta, la cosa stessa, corporea o incorporea, che appartiene in proprio al suo titolare e con ciò stesso fonda il rapporto sociale costituito dal correlativo debito: la necessità di riconoscere a ciascuno il dovuto. È la definizione dei giurisperiti romani nell’incipit del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano: la giustizia è una costante e perpetua volontà che rende a ciascuno il proprio diritto, ciò che gli è dovuto, «iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuens»[11]. Nella Summa Theologiae, Tommaso avrebbe poi pienamente sviluppato la teoria di legge naturale emersa da questa tradizione e su questa base Popović sviluppa la sua proposta.
Il “nuovo” è più difficile da identificare. Popović dialoga con alcuni filosofi contemporanei del diritto[12],Herbert L. A. Hart[13], Joseph Raz[14], Ronald Dwarkin[15] e John Rawls[16], identificandoli come esponenti di teorie che includono nella propria, più ampia filosofia del diritto, anche una teoria della legge naturale, e rappresentano quindi la scuola di una teoria minimalista della legge naturale. Questi autori difendendo l’identità della legge naturale classica, in un contesto che ormai le è estraneo, attribuendo al suo contenuto il nuovo nome di “legge superiore” o “ecologia umana”[17]. Il “ponte” che Petar Popović intende costruire è uno sviluppo della teoria tomista della legge naturale[18], riscoperta nella seconda parte del xx secolo da Michel Villey[19] e Javier Hervada[20].
Il primo è stato uno storico del diritto, grande estimatore del diritto romano e pensatore influente sulla storia della filosofia politica; il secondo è uno dei canonisti al centro della rinascita del dibattito sulla natura del diritto canonico fra la prima codifica, del 1917, e la seconda, del 1983. Ma benché si riconosca loro debitore, Popović afferma che il punto che intende chiarire è implicato ma non espresso nel loro insegnamento. Occorre andare oltre, ritrovando nei testi di Tommaso stesso un’idea di legge naturale in grado di intavolare un dialogo con il pensiero giuridico contemporaneo, del tutto estraneo alla teologia e alla metafisica di Tommaso.
La stima di Petar Popović nei confronti dell’Aquinate si documenta anche nella struttura del suo libro, perché lo organizza come uno degli articoli delle Quaestiones di cui è composta la Summa[21]. Inizia da una domanda precisa, proponendo poi come videtur quod una risposta supportata da affermazioni degli autori contemporanei, sopra citati come rappresentanti del “nuovo”[22]. A questa sezione fa seguire come sed contra le obiezioni che trae dalla concezione “classica” di Villey e Hervada[23]. La parte centrale del libro corrisponde al respondeo dicendum, al tommasiano corpus dell’articolo, e identifica il contributo proprio dell’Autore[24]. Qui rilegge alcuni testi di Tommaso interpretandoli in funzione di un completamento della dottrina “classica” propugnata da Villey e Hervada. Per sostanziare la sua proposta, analizza due casi di studio concreti: il diritto alla vita e la libertà religiosa[25]. Infine, invece della confutazione delle argomentazioni portate nel videtur quod, propone la piattaforma di dialogo alla quale il libro è dedicato: Popović delinea le intersezioni fra un concetto realista del diritto e della giuridicità e le teorie giuridiche contemporanee, e anche quali siano invece i punti di totale disaccordo con esse, quelli che ne rendono del tutto inaccettabili alcune[26]. La domanda che l’Autore intende mettere alla prova è la seguente[27]:
«La quaestio principale alla quale intende rispondere il mio studio è dunque, detto in poche parole, se possiamo validamente attribuire un ambito specificamente giuridico alla legge naturale.»
In questa frase la “giuridicità”, la chiave di volta della questione, appare tre volte: la valida attribuzione, la caratteristica della giuridicità stessa e il valore da attribuire alla legge naturale.
L’intero libro di Popović può essere letto come si ascolta una fuga di Bach: seguendo le variazioni del tema proposto in tutte le sue possibili composizioni. L’Autore scuserà perciò, spero, l’ardire di un non giurista, quale io sono, a trattare una materia così delicatamente sfumata. L’interesse per questo libro mi è stato destato da un suo articolo[28] su un tema di cui mi sto occupando: il dibattito sulla particolare natura del diritto canonico nel divenire della filosofia politica occidentale. Questo articolo, come il libro di cui qui si tratta, rivela con chiarezza l’apprezzabile intenzione al dialogo, anche con posizioni molto lontane dalle sue, che anima l’Autore. In questa recensione sottolineerò perciò liberamente prima i punti che mi paiono particolarmente significativi ad identificare la teoria “classica” del diritto. Nell’ultima parte proporrò una valutazione di questa impresa. Mi limiterò perciò a segnalare le caratteristiche salienti che Popović rinviene nella prospettiva giuridica classica e quelli con cui la completa. Prima di proseguire, vorrei però anche sottolineare un punto molto apprezzabile nella forma redazionale di questo volume: il riferimento in nota dei testi in lingua originale, un grosso favore fatto al lettore. Seguo perciò questo esempio.
- La prospettiva giuridica “classica”
Villey, Hervada e Popović stesso, affermano che la prospettiva giuridica classica è solidamente radicata nei testi di Aristotele, dei giureconsulti romani e di Tommaso d’Aquino. Anche il quadro della loro dottrina vi si riferisce perché è una prospettiva “realista”: il diritto è incorporato alla cosa stessa, alla res, e questa abbraccia l’estensione tanto naturale quanto positiva del “giusto” (right in inglese) e della legge[29]. Nel fenomeno costituito da ciò che è giusto, l’aspetto giuridico (positivo) e quello morale (pre-positivo) vanno distinti, ma non separati[30]. Popović contesta poi l’identificazione, usuale nella scuola tomista, della legge naturale con la legge morale. Rifacendosi al lavoro di Jean-Pierre Schouppe[31], identifica il realismo gnoseologico di Tommaso – sposato da Villey ed Hervada nella sua specificazione giuridica – non solo in un’epistemologia per cui la conoscenza attinge alle cose stesse, e non solo in una filosofia morale per cui la vita relazionale dell’uomo è valutabile oggettivamente, ma anche nel fatto che il “giusto”, l’oggetto della giustizia, è una res. Il dikaion di Aristotele[32] è quello che i romani hanno chiamato ius, il giusto, il diritto (right), che non è primariamente una legge o una facoltà morale, ma una cosa: ciò che deve essere ricevuto o dato in giustizia[33] (dove Popović cita Hervada[34]).
Precisamente questa è la riproposta “nuova” del “vecchio” che permetterebbe un dialogo fecondo con la filosofia del diritto contemporanea. Riprendo succintamente quanto Popović sottolinea della posizione di Villey e Hervada. Il neutro sostantivato di Aristotele, il dikaion, è considerato da Villey identico allo ius romano (p. 120). Il Digesto di Giustiniano cita[35] il giureconsulto Giulio Paolo (ii d.C.): il giusto non va assunto da una regola, ma dal giusto va assunto ciò che deve essere la regola; «non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat». Lo ius, nella lettura di Villey, deve essere ricavato dalla giustezza che è nelle cose stesse e non da una norma distinta da esso. Ma, ammonisce, non si può retroproiettare una concezione del diritto posteriore al xiii secolo, dove significa “facoltà soggettiva individuale, potere, libertà o immunità”. Al contrario, sostiene Villey[36], nei giureconsulti romani il linguaggio relativo ai diritti soggettivi è di una povertà estrema[37]. A Roma non viene chiamato ius il potere del creditore, il diritto corrispondente a un debito, ma l’obbligazione stessa, il vinculum iuris, la relazione oggettiva esistente fra creditore e debitore. Popović riporta un esempio: nel diritto romano lo ius altius non extollendi (il diritto corrispondente al non potere innalzare dove sottinteso è “un edificio”), appartiene alla cosa stessa, ad una costruzione non elevabile. Tale diritto appartiene a quell’edificio, non ai vicini che avrebbero diritto ad una vista senza ostruzioni. Hervada, sottolinea Popović[38], precisa sistematicamente il contenuto dello ius rispetto alla lettura fattane da Villey e in un modo che mi pare estremamente interessante per situare lo sviluppo del pensiero politico occidentale. Si tratta della priorità del diritto – ius – rispetto alla giustizia. Nella lettura che Hervada propone di testi di Tommaso, il diritto è l’oggetto della giustizia, senza ulteriori specificazioni: è l’esistenza stessa, la datità del diritto, dello ius, a permettere che la giustizia venga esercitata[39]. L’esistenza del diritto genera la virtù della giustizia, non viceversa[40]. Si tratta della giustizia particolare,[41] relativa a un determinato, preciso, singolare state of affairs, non invece di quella generale – cioè quella morale, non rilevante in quanto tale per il giurista – o di quella legale – pertinente alle leggi della comunità cui si appartiene.
Il concetto di giustizia classico che Hervada ripropone è racchiuso nella definizione che le Institutiones di Giustiniano adottano[42]: «suum cuique tribuendi», occorre rendere a ciascuno il suo. È sul pronome possessivo suum che si concentra l’attenzione di Hervada. Per determinare l’ambito della giuridicità, cioè di ciò che rende qualcosa rilevante dal punto di vista giuridico. Aggiunge infatti la nozione di possesso accanto a quelle che Tommaso enumerava: lo ius riguarda res exteriores enon perciò le realtà solo di coscienza; e l’alteritas, il riferimento ad un altro soggetto, e non perciò l’ordine interiore di un atto[43]. Il fenomeno giuridico emerge per Hervada dal fenomeno sociale del possesso. Riporto in nota un suo testo molto espressivo[44]. Non si tratta della legge perché, quando si intende il diritto come legge, si tratta della determinazione di un comportamento e non di proprietà di determinate cose[45]. Il possesso è identificato dalla titolarità di esso: è il titolo a identificare il possesso di una cosa[46]. È nel titolo che il diritto ha origine, ne è la sorgente, è ciò in cui la titolarità del dominio di un soggetto su una determinata cosa ha inizio. Ma non è la giustizia a distribuire il titolo: esso si trova dato da altra fonte, è un fatto, e la giustizia non fa che riconoscerlo e affermarlo. L’importanza di questa concezione di Hervada, nella quale condensa la sua intuizione a proposito della nozione classica di diritto, di giustizia e di giuridicità, mi pare consistere nel fatto che fa emerge l’oggettività assoluta inerente al diritto, ben distinta dalla soggettività di un suo riconoscimento. Il non riconoscere un diritto, una titolarità, infatti è perfettamente possibile e in questo consiste l’ingiustizia. La definizione di diritto proposta da Hervada è dunque la seguente[47]: “è quella cosa che, essendo attribuita a un soggetto che ne è il titolare, gli è dovuta in virtù di un debito inteso in senso stretto.”
Che liberazione! Il dovere in senso stretto, cioè in senso giuridico è una res – materiale o immateriale, non importa; importa solo che siano in gioco almeno due attori e che ci sia un’espressione esterna ad entrambi della res in questione–, è il debito dovuto a qualcuno di preciso, non un’idea, una massima universale, l’equilibrio di interessi giustapposti, una costrizione imposta da altri o da sé stessi per non si sa quale ragione. Posso capire perfettamente come su questo punto Hervada abbia rivisto e completamente rielaborato la propria cultura giuridica, precedentemente formalista se non addirittura positivista. Per lui si è trattato di un evento il cui impatto sulla conoscenza si situa a livello radicale, un fatto che può solo essere testimoniato e imitato[48], qualcosa di simile, ma in senso inverso, alla “rivoluzione copernicana” di cui fu protagonista Immanuel Kant[49].
Carlos-José Errázuriz, con cui Popović ha scritto un volume su questo tema[50], ripercorre le tappe della conversione di Hervada citando la sua stessa testimonianza: fu un’intuizione improvvisa e luminosissima, probabilmente dell’agosto 1979[51]. Il confronto con i testi di Tommaso gli confermò l’intuizione avuta.
Quali erano questi testi? Errázuriz suppone[52] che siano le questioni de iure e de iustitia, la 57.esima e la 58.esima della Summa ii.ii. Precedentemente Hervada si era riferito di preferenza alle Quaestiones de lege della i.ii, q. 90-108.
- La giuridicità della legge naturale
Il libro di Popović ha precisamente lo scopo di contribuire a consolidare ed estendere la scoperta di Javier Hervada, qualcosa che equivale dunque a una rivoluzione del pensiero giuridico contemporaneo. In quale modo? Costruendo un ponte fra le versioni della filosofia del diritto con cui ha scelto di dialogare – e che considera in qualche modo debitrici della tradizione classica, tuttavia amputata di una qualche sua parte – e la tradizione tomista della legge naturale. Intende cioè, fare dialogare due scuole di pensiero che sono “locked in a framework of arguments”, incastrate dai loro stessi argomenti in un vicolo cieco[53].
La questione verte sul significato giuridico di “legge naturale”, come indicato nella domanda formulata in testa alla quaestio e che sopra ho riportato. Da un lato, la scuola dei filosofi del diritto contemporanei considera come non vi sia alcun nesso, né giuridico né morale, con la legge naturale così com’è intesa da Tommaso; l’altra, quella dei tomisti, che adottano invece integralmente la teoria della legge naturale tommasiana, non considera che ci sia in essa alcun aspetto schiettamente giuridico, perché intendono la legge naturale unicamente in senso morale[54]. Popović, dunque, vuole mostrare che in Tommaso stesso è presente un aspetto giuridico della legge naturale. Sottolinea come Villey[55] e Hervada[56] abbiano già sottolineato il significato giuridico della legge naturale in Tommaso.
Per Hervada[57], una norma legale ha tre funzioni principali[58]: politica, per l’ordine al bene comune nella società; morale, per l’orientamento alla realizzazione della persona umana; giuridica, come regola del diritto. Esprimere e affermare la norma in quanto giuridica è un atto costitutivo della convivenza sociale, ed è compito del giurista[59]. La legge naturale è un fatto d’esperienza[60] e una norma è giuridica quando regola (cioè prescrive) la condotta conforme al diritto. Limitare la funzione giuridica all’applicazione della legge positivamente statuita da un’autorità, rende del tutto impossibile, secondo Hervada comprendere il fenomeno giuridico – di cui in nota cito un passaggio chiarissimo[61] che anche Popović sottolinea[62]. Proprio questo errore è tipico della scuola tomista che prende come punto di partenza esclusivamente la trattazione de lege nella Summa i.ii. Chi prende invece in considerazione anche la ii.ii, lo ius e la iustitia, riconosce alla norma giuridica l’ordinamento al giusto, alla res[63], da cui la norma stessa ricava la sua obbligatorietà e che Hervada chiama ordinatio rationis[64]. In questo senso, la legge è fonte del diritto. Popović scrive[65], seguendo Hervada, che la legge ha due funzioni: è causa e misura del diritto. “Causa” nel senso che crea diritti, precedentemente inesistenti[66]; “misura” nel senso che determina il diritto in tutte le sue caratteristiche[67]. Nell’ultima opera che Hervada ha dedicato alla legge naturale¿Qué es el derecho? La moderna respuesta del realismo jurídico, precisa il senso in cui la legge naturale ha, a suo giudizio, un definito ambito giuridico[68] e distingue, in modo più chiaro che non precedentemente, un ambito morale da un ambito prettamente giuridico della legge naturale. L’unico appunto che Popović gli muove, è di non integrare nella sua soluzione la dottrina della legge naturale di Tommaso[69]. A questo l’Autore ora si volge, a rileggere Tommaso da questa prospettiva[70]. Il primo testo che propone è ii.ii, q. 122 de praeceptis iustitiae, sottolineando l’importanza delle prime due obiezioni del primo articolo, di cui riporto il testo in nota[71]. Poi legge i.ii, q. 100, de singulis generibus praeceptorum veteris legis, componendo l’argomento disperso negli articoli 1, 11, 3 e 9 del testo tommasiano[72], dove rileva l’articolata distinzione e inclusione reciproca dei precetti della legge naturale e della legge morale rispetto alla promulgazione divina. Distinzione e reciproca inclusione che viene fatta rimontare (p. 204) a quella fra i principi primi e “conclusiones”[73].
La ragione per cui Popović si riferisce alla Quaestio 100 della i.ii è volta a verificare se l’Aquinate abbia inteso i praecepta iustitiae in senso giuridico. E trova la risposta nell’articolo 9, «utrum modus virtutis cadat sub praecepto legis», se il modo virtuoso di adempiere ai precetti sia prescritto dalla legge. Tommaso risponde di no, perché questo non è nell’intenzione del legislatore divino, che dà la legge a un uomo ancora incapace di virtù. Popović cita la risposta di Tommaso al primo argomento che, sottolinea, è tanto importante quanto concisa[74]: «Ad primum ergo dicendum quod modus faciendi actum iustitiae qui cadit sub praecepto, est ut fiat aliquid secundum ordinem iuris, non autem quod fiat ex habitu iustitiae.», alla prima obiezione rispondo che il modo in cui il precetto della legge prescrive di fare atti di giustizia è che siano fatti secondo l’ordine del diritto, non invece per l’habitus della giustizia. La legge non prescrive che l’uomo sia già lui stesso giusto. Alla legge – naturale – basta che l’ordine iuris – l’ordine giuridico iscritto nelle cose stesse – venga rispettato. C’è perciò un ordinamento giuridico naturale che non coincide affatto con l’ordinamento morale, ed era questa la conclusione a cui Popović tendeva: «per Tommaso i principi della legge naturale costituiscono precetti giuridici di giustizia e sono compresi – almeno implicitamente – nella sua dottrina dello statuto giuridico della legge naturale»[75]. Con parole mie: c’è un ordinamento a cui si può dare il nome di “beni giuridici naturali”, prescritti nella loro oggettività da una legge che non è stata promulgata dall’uomo, e questo ordinamento è anche precisamente distinto da quello morale.
- Statuto della legge naturale: reciprocità dell’ordinamento giuridico e di quello morale
Sulla base di questa lettura dei testi di Tommaso, Popović contesta che nella legge naturale si possa passare immediatamente e automaticamente dall’ambito morale a quello degli obblighi, senza distinguere affatto fra aspetti morali e giuridici, come fanno le teorie tomistiche contemporanee (p. 216). Che l’ambito dei “beni umani naturali” sia situato in ambito morale, è un’affermazione frequente per chi si rifà al pensiero di Tommaso, dice Popović[76] citando John Finnis[77]. L’Aquinate tuttavia è molto chiaro nel dire che ogni bene appartiene all’ambito giuridico[78]. Vi è infatti un particolare tipologia di giustizia in cui il bene è inteso in modo speciale, e la definizione che ne dà, identifica il bene giuridico come la cosa dovuta in giustizia[79]. Nella prospettiva del realismo giuridico le cose acquistano una proprietà giuridica non perché mutano in qualche modo il proprio statuto ontologico, ma in quanto si verifica in concreto una relazione giuridicamente determinata[80]. Le caratteristiche di una simile relazione giuridica sono A) che del bene in questione è titolare un altro (bonum alterius) – che sia un’altra persona (bonum sub ratione debiti ad proximum) o la comunità (facere bonum debitum in ordine ad communitatem)[81]; e che B) questo bene sia «secundum ordinem iuris, non autem quod fiat ex habitu iustitiae» secondo la concisa espressione della q.100 a.9 della i.ii. discussa sopra. Non necessita perciò, in chi compie un atto, l’habitus della giustizia, l’ordine morale già perfetto[82]. Il bene che è oggetto della giustizia esige che il titolare del possesso di una cosa sia rispettato nella sua dimensione esteriore, tangibile, misurabile. Per questo il diritto misura e denota quell’aspetto del bene che trascende le disposizioni interiori soggettive: la necessità implicata nella realizzazione della giustizia non è, e questa è l’obiezione che Popović muove ai tomisti contemporanei, quella di un meccanismo immediato.
Infine, una notazione importante è quella in cui Popović sottolinea che la contiguità (overlap[83]) fra bene morale e bene giuridico non è una coincidenza fortuita, perché «the underlying ordinatio or ratio of the good at both levels of human goods is ontologically and axiologically the same», l’ordine o la proporzione in entrambi i livelli del bene umano è ontologicamente e assiologicamente lo stesso.
- Legge naturale e legge eterna
La difficoltà del testo di Tommaso per un lettore odierno sta nel fatto che per “legge” si intende oggi paradigmaticamente quella positiva, formulata in un codice, che sia scritto o semplicemente attuato. La norma naturale, secondo Popović è diversa dalla norma positiva perché ha «the structure of multilayered modes of promulgation, which both ontologically and epistemologically, transcend the paradigm of positive law represented by the model of the abstract rational formula.»[84]. È difficile tradurre un’espressione simile. Il contenuto di “multilayered modes of promulgation” è esposto lungamente da Popović[85], che ricorre a diversi autori[86] per ricomporre i «three focal points of promulgation», i tre punti focali dell’atto di promulgazione sui quale si erge la teoria tomista della legge naturale[87]: la mente divina, la natura umana e la mente dell’uomo. La difficoltà del dialogo con la modernità sta nel fatto che questa triade, dopo Tommaso, si è disarticolata e le teorie moderne sono catalogabili a partire da quale di questi fattori escludono dalla loro prospettiva.
Popović afferma che l’aspetto normativo è, in una prospettiva tomista, stabilito dalla legge eterna nella mente di Dio che viene promulgata nella legge naturale, in cui vengono “naturalizzate” le norme di giustizia preesistenti[88]. Per la precisione, Tommaso scrive (i.ii q. 93 a. 1 co.): «sicut in quolibet artifice praeexistit ratio eorum quae constituuntur per artem, ita etiam in quolibet gubernante oportet quod praeexistat ratio ordinis eorum quae agenda sunt per eos qui gubernationi subduntur.», come per qualunque artefice preesiste la ratio di ciò che produrrà con la sua arte, così pure in qualunque governante è necessario che esista prima la ratio ordinis di ciò che va fatto da parte di coloro che sono governati. Di questo testo Popović cita però solo una parte: «there must pre-exist the type (ratio) of the order of those thing that are to be done.», deve esistere precedentemente il tipo di ordine delle cose che devono essere fatte[89]. Popović sembra voler dire: se esiste un ordine giuridico nella realtà in cui viviamo e se la sua forza imperativa non può essere fatta risiedere nella sua effettualità stessa (che sia naturale o positivamente voluta da un uomo), allora deve esserci un ordine che la precede. Tutto il suo sforzo è volto a mostrare che la giuridicità non proviene (solo) dalla sfera morale, ma sono le cose stesse, per il fatto di essere possedute dai propri titolari, ad essere ordinate giuridicamente. La rilettura di Tommaso da parte di Popović si chiude su questa affermazione. Gli esempi che porta – il diritto alla vita del bambino non nato e il diritto alla libertà religiosa[90] – sono volti a rendere concreta la sua conclusione.
- Domande critiche
Mi permetto ora di porre alcune domande – all’Autore e a chi mi legge – per evidenziare come il tema del diritto inteso in senso classico, secondo la proposta articolata in particolare da Javier Hervada, apra prospettive ampissime. Occorre perciò, a mio giudizio, iscriverla in un più ampio orizzonte:
- Cosa sia “natura” è così auto-evidente? Per “leggi naturali” si intende oggi – per chi non sia giurista – ciò che determina la fenomenicità: fisica, biologia, eventualmente sociologia e forse matematica. Si è riflettuto sufficientemente sulla differenza fra questa natura e l’oggetto del diritto?
- Il riferimento unico a Tommaso è adeguato al problema posto? Tommaso è certamente un grande erede, per come ha saputo formularlo, di un patrimonio che viene da lontano. È corretto non prenderlo in considerazione? Tutto il primo millennio di riflessione giuridica – in greco! – come è confluito nella sua sintesi? Proprio questa riflessione aveva una preoccupazione ad un tempo umanistica e teologica al suo centro: rifletteva sul fatto che un singolo uomo è Dio stesso.
- Cosa sia “possesso” è così auto-evidente? Il fatto che oggi diritto ed economia siano due rette sghembe e che nello stesso tempo siano così strettamente intrecciate nella realtà fattuale, non indurrebbe a chiedersi dove abbia avuto origine una simile separazione sotto lo stesso tetto? Nel primo millennio, “economia” significava “azione del divino nella creazione”. E Adam Smith, il padre della moderna teoria economica, ha scritto anche una Theory of Moral Sentiments (1759) e gli Essays on philosophical subjects (1795) oltre alla Inquiry into the nature and causes of the wealth of nations (1776). Non è forse necessario riprendere in mano il concetto di “cosa di proprietà; possesso di un soggetto” anche per come storicamente si è sviluppato?
- È proprio certo che il riferimento ad Aristotele – e a pochissimi dei suoi testi – permetta di avere un’idea sufficientemente chiara del fenomeno giuridico nel suo nascere? Aristotele non partecipò affatto all’apogeo dell’Atene democratica, un esperimento politico unico nel suo genere nel mondo antico, dove l’intenzione di Clistene (vi-v secolo a.C.) di unificare i demi attici sotto un unico governo, per ragioni probabilmente di natura bellica, per la difesa contro la Persia, ebbe come effetto, secondario e non direttamente voluto, la nascita di esperienze culturali del tutto originarie come la storiografia, la filosofia e il teatro?
- Il nesso fra diritto romano e giurisprudenza medioevale è un crogiolo di impulsi dal quale emerge, fra il xix e xx secolo, un elemento germanico di impatto gigantesco sulla modernità: sia Marx che Hitler scrivevano e parlavano in tedesco. Proprio questo fattore schiettamente moderno non ha potuto essere integrato nella sintesi giuridica moderna, e neppure in quella contemporanea, perché ha dato origine al peggiore dei sistemi politici, quello che ha come caratteristica esattamente quella di ignorare qualunque “diritto naturale” che non sia quello di chi è attualmente al potere. La legge del più forte non è forse la prima, e l’unica vera, “legge naturale”?
Spero che, come l’intuizione di Javier Hervada, anche questo contributo possa aprire nuove prospettive di ricerca in filosofia del diritto. Quella più feconda mi pare essere questa: occorre leggere l’opera di chi ha studiato il divenire nella storia del pensiero occidentale di τὸφύσειδίκαιον[91], il giusto per natura, facendone il criterio per identificare il “platonismo politico”, oscurato nella modernità da un indebito sospetto di utopia. Si tratta dell’opera di Ada Neschke-Hentschke, che ha il pregio di aver identificato la contiguità fra il costituzionalismo moderno e le Leggi di Platone[92]; di salvare Tommaso e la tradizione cattolica successiva dall’accusa di non essere puramente aristotelica[93]; di identificare un punto di svolta nel diritto romano, quello in cui Cicerone traduce in latino concetti greci, integrando una teoria del diritto solo positiva (quella greca) a quella di un diritto iscritto nella fattualità di un possesso reale, secondo la tradizione romana[94]; di identificare nella giurisprudenza e nella filosofia del diritto cristiane il punto in cui nel “platonismo politico” il diritto è stato chiaramente distinto dalla giustizia[95].
Abstract: Can the classical theory of law dialogue with contemporary legal thought, which in recent years has shown less and less authority both at a civil and international level? This article brings some reflections from the point of view of canon law, in which a vibrant discussion about the nature of ius is going on from the middle of the 20th century. It is part of a project financed by the Swiss National Fund. The starting point is the work of Petar Popović, one of the canonists most attentive to this question. His belief is that the most complete formulation of classical law, that of Thomas Aquinas, must be expanded for this purpose. The most complete formulation, that of Thomas Aquinas, must be expanded for this purpose. Differently from what is current in the Thomistic school, it is necessary to integrate the discussion on the law (Summa Theologiae, Quaestiones de lege I.II, q. 90-108) with that on the just, de iure and de iustitia, the 57th and the 58th of Summa II.II: the Greek dikaion. But if on the one hand the bridge between classical legal theory and the modern formalization of law can really be built in this way, questions remain open about the nature of "law" which modernity has radically distinguished from any legal meaning: in physics and economics for example. Ultimately it is the word "nature" itself that is called into question: how do you identify what is "possessed by nature"? For this reason, the Author's attempt discussed here should be brought to completion, beyond Roman law and beyond Aristotle himself.
Key Words: Justice, law, natural right, positivism, Thomas Aquinas, Javier Hervada.
* Università della Svizzera Italiana (ida.elvira.annamaria.soldini@usi.ch).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1]H. Kelsen, Reine Rechtslehre: Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Franz Deuticke, Leipzig 1934; H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Das Problem der Gerechtigkeit, Franz Deuticke, Wien 1960; H. Kelsen, Allgemeine Theorie der Normen, Ringhofer and Walter, Wien 1979.
[2]R. Rorty, Consequences of Pragmatism, Minneapolis University Press, Minneapolis 1982; R. Rorty, Philosophy and the mirror of nature, Princeton University Press, Princeton 1979; R. Rorty, Consequences of Pragmatism
[3]J.P. Balkenende – G. Buijs, Introduction: From the Challenge of 2015 to the Shock of 2022, in Capitalism Reconnected (Toward a Sustainable, Inclusive and Innovative Market Economy in Europe), Amsterdam University Press, Amsterdam 2024, 23-50.
[4]A. Giovannini, Sul diritto, sul metodo e sui princìpi, in Per princìpi. Dodici saggi di diritto tributario e oltre, Giappicchelli 2022, 4-23.
[5]J.A.B. Mortreuil, De Romain III à la prise de Constantinople (1028-1453) (Histoire du droit byzantin depuis la mort de Justinien jusqu’à la prise de Constantinople en 1453), vol. 3, 3 voll., Gustave Thorel, Paris 1847; J.A.B. Mortreuil, De Basile le Macédonien à Constantin XI (867-1028) (Histoire du droit byzantin depuis la mort de Justinien jusqu’à la prise de Constantinople en 1453), vol. 2, 3 voll., Gustave Thorel, Paris 1847; Depuis Justin II à Basile le Macédonien (565-867) (Histoire du droit byzantin depuis la mort de Justinien jusqu’à la prise de Constantinople en 1453), vol. 1, 3 voll., Gustave Thorel, Paris 1843; P. Collinet, Études historiques sur le droit de Justinien - 2: Histoire de l’école de Droit de Beyrouth, Tenin, Paris 1925; Études historiques sur le droit de Justinien - 1: Le caractère oriental de l’oeuvre législative de Justinien et les destinées des institutions classiques en Occident, Larose & Tenin, Paris 1912
[6]P. Popović, A Hervadian realistic argument for the juridical status of natural law, «Ius ecclesiae» 31/2 (2019), A. Giuffrè 567-587; P. Popović, Review of P. GHERRI, Introduzione critica alla teologia del diritto canonico (2019), «Ius ecclesiae» 32/1 (2020), A. Giuffrè 336-339; P. Popović, The goodness of rights and the juridical domain of the good. Essays in thomistic juridical realism, EDUSC Edizioni Santa Croce, Roma 2021; P. Popović, Il ruolo della giustizia nella strutturazione del concetto di diritto in Bobbio, Ferrajoli, Zagrebelsky e (d’altra parte) Cotta The Role of Justice in the Structure of the Concept of Law in Bobbio, Ferrajoli, Zagrebelsky and (Alternatively) Cotta - Archivio giuridico online, «Archivio giuridico online» 1/1 (2022) 95-133; P. Popović – C.-J. Errázuriz, Il diritto come bene giuridico. Un’introduzione alla filosofia del diritto (Subsidia canonica), EDUSC Edizioni Santa Croce, Roma 2022; P. Popović, Lo statuto epistemologico della deontologia professionale del giurista nella Chiesa e i principi deontologici fondamentali, «Ius Ecclesiae» 34/2 (2022) 623-658; P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism. Prospects for a dialogue with contemporary legal theory, The Catholic University of America Press, Washington D.C. 2022; P. Popović, Le norme prese sul serio nel giusnaturalismo neoclassico: la necessità della legge positiva secondo John Finnis e il giusrealismo tomista, «Ius Ecclesiae» 35/1 (2023) 83-108; Are there any elements of juridicity beyond positive law in Robert Alexy’s non-positivism?, «Journal for Constitutional Theory and Philosophy of Law / Revija za ustavno teorijo in filozofijo prava»/49 (2023), Klub Revus – Center za raziskovanje evropske ustavnosti in demokracije
[7]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism.
[8]Ivi, 282: “A realistic concept of right and juridicity, as well as the correlative argument concerning the natural norms of justice, constitutes a reproposal of a platform in juridical argumentation that, in my estimation, has the capacity to successful bridge the nuanced gap between the old and the new. If this study contributes to constructing such a bridge, I will consider that an ample reward for my efforts.”
[9]Y.R. Simon, The Tradition of Natural Law: A Philosopher’s Reflections, Fordham University Press, New York, NY 1965, 120; cit. P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, IX.
[10]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, IX.
[11]Giustiniano, Institutiones, The Latin Library, https://www.thelatinlibrary.com/justinian.html 2024, 1.1.
[12]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 12-92.
[13]H.L.A. Hart, The concept of law (Clarendon law series), Clarendon, Oxford 20072.
[14]J. Raz, Between authority and interpretation: on the theory of law and practical reason, University Press, Oxford 2009
[15]R. Dworkin, Justice for hedgehogs, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Mass 2013.
[16]J. Rawls, A theory of justice, Oxford University Press, London 19992.
[17]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 14-15: “natural-law inclusive theories” e “minimalist natural-law theories”.
[18]Ivi, 93-201.
[19]M. Villey, La nature et la loi: une philosophie du droit, Les Editions du Cerf, Paris 2014.
[20]J. Hervada Xiberta, Introducion critica al derecho natural, Universidad de Navarra, Pamplona 198111.
[21]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 7.
[22]Ivi, 12-92.
[23]Ivi, 93-201.
[24]Ivi, 201-239.
[25]Ivi, 239-260.
[26]Ivi, 261-279.
[27]Ivi, 7 “The main quaestio of my study, therefore, is, roughly speaking, whether we may validly predicate a specifically juridical domain to natural law.”
[28]P. Popović, Alcune piste per la maggior unità nella visione sull’essenza del diritto nella Chiesa, «Ius Canonicum» 60/120 (2020), Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra 647-693.
[29]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 93.
[30]Ivi, 94.
[31]J.-P. Schouppe, Le réalisme juridique, E. Story-Scientia 1987; cit. P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 102-104.
[32] Il luoghi citati sono Aristotele, Etica Nicomachea v.1 e 2, 1129 e 1130; P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 109 e 112.
[33]Ivi, 116.
[34]J. Hervada Xiberta, Historia de la ciencia del derecho natural (1987), Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 19963, 61.
[35]Giustiniano, Digesta, a cura di W. L. Carey, The Latin Library, https://www.thelatinlibrary.com/justinian.html 2024, 50.17.1.
[36]M. Villey, Les Institutes de Gaïus et l’idée du droit subjectif, in Leçons d’histoire de la philosophie du droit (1957) ( Philosophie du droit), vol. 6, Dalloz, Paris 19622, 167-188: 186.
[37]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 121.
[38]Ivi, 130-131.
[39]J. Hervada Xiberta, Lecciones propedéuticas de Filosofía del Derecho, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 20003, 110.
[40]J. Hervada Xiberta, La definición clasica de la justicia, in Vetera et Nova. Cuestiones de Derecho Canónico y afines (1958-2004), Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 20052, 633-643: 633.
[41]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 133-135.
[42]Giustiniano, Institutiones, 1.1.
[43]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 155 ss.
[44]J. Hervada Xiberta, Introducion critica al derecho natural, 16-17: «Es un hecho de experiencia que, en virtud de las multiformes posibilidades de las relaciones humanas, las cosas no siempre están en poder – al menos en ciertos momentos y bajo distintas formas – de su dueño, de aquél a quien pertenecen, o de su sujeto de atribución. Pero a la vez las cosas deben pasar a su dueño, deben pasar a manos del sujeto al que están atribuidas – res clamat domino –, pues esta necesidad – este deber o deuda – es efecto primario de que las cosas sean de alguien, sean suyas. Si no hubiera esta necesidad, ello sería signo evidente de que nadie podría hablar de lo suyo. ¿Qué sentido tendría hablar de mi cosa, si no pudiese disponer de ella, ni nunca pudiese reclamarla a quien me la quitó? Dar a cada uno lo suyo es una necesidad social; que los hombres dan lo suyo a cada uno – también que a veces no lo hacen, y esto es la injusticia – es un hecho social. Y que hay un arte de dar a cada uno lo suyo, como que hay quienes son expertos en ese arte, es otro hecho social. No estamos en el campo de las teorías, sino de los hechos.»
[45]J. Hervada Xiberta, ¿Qué es el derecho? La moderna respuesta del realismo jurídico (2002), Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 20153, 14: “Cuando el derecho se toma como ley, el principio no es el del reparto de las cosas, sino la ordenación de las conductas.”
[46]J. Hervada Xiberta, Introducion critica al derecho natural, 28.
[47]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 164; J. Hervada Xiberta, Lecciones propedéuticas de Filosofía del Derecho, 198: “derecho es aquella cosa que, estando atribuida a un sujeto, que es su titular, es debida a éste, en virtud de una deuda en sentido estricto.”
[48]C.-J. Errázuriz, La inspiración tomista del realismo jurídico de Javier Hervada, «Persona y derecho» 86/1 (2022) 27-44: 29, dove viene citata la sua testimonianza stessa da Hervada J. (Javier), Lecciones propedéuticas de Filosofía del Derecho, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 20003, xviii.
[49]I. Kant, Was heißt sich im Denken orientieren? (1786), in Abhandlungen nach 1781 (Akademieausgabe von Immanuel Kants Gesammelten Werken 8), Universität Duisburg-Essen, http://kant.korpora.org/Inhalt8.html 2024, 131-147.
[50]P. Popović – C.-J. Errázuriz, Il diritto come bene giuridico. Un’introduzione alla filosofia del diritto
[51]C.-J. Errázuriz, La inspiración tomista del realismo jurídico de Javier Hervada, 31-32; cfr. n. 18.
[52]Ivi, 32, n. 24.
[53]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 169.
[54]Ivi, 169-170.
[55]Ivi, 171-188.
[56]Ivi, 188-201.
[57]J. Hervada Xiberta, Introducion critica al derecho natural, 133 ss.; 136 : «una norma es jurídica, cuando la conducta que prescribe constituye una deuda justa.»
[58]J. Hervada Xiberta, Lecciones propedéuticas de Filosofía del Derecho, 311-313.
[59]Ivi, 313: «La filosofía jurídica es fundamentalmente la filosofía del oficio de jurista, de modo que su perspectiva es la perspectiva jurídica. Por lo tanto, debe estudiar la norma, tal como se presenta ante el jurista. Y lo propio del jurista es discernir y declarar lo justo, es decir el derecho.»
[60]J. Hervada Xiberta, Introducion critica al derecho natural, 139: «Lo que llamamos ley natural no es una doctrina,
sino un hecho de experiencia.»
[61]Ivi, 137, n. 40: «Cuando la filosofía jurídica ha adoptado – como ha ocurrido y ocurre tantas veces – la misma perspectiva que la filosofía política, se ha visto incapaz de explicar el fenómeno jurídico en su totalidad, cayendo en un reduccionismo – norma jurídica igual a ley del poder social – que deja sin clara explicación fenómenos normativos de indudable naturaleza jurídica (derecho internacional, negocios jurídicos normativos, convenios colectivos de trabajo, pactos entre el gobierno y los súbditos, etc.), porque engendran normas de verdadera y estricta justicia. No menos perturbador ha sido que la filosofía jurídica haya asumido la perspectiva filosófico-política en relación a la obligatoriedad de la norma jurídica, pues esta obligatoriedad se ha visto como fruto del mando, cuando, desde el punto de vista jurídico, la obligatoriedad de la norma jurídica es la propia del deber correlativo al derecho, a lo justo. Sin duda la norma obliga porque está mandada, pero, jurídicamente, lo mandado obliga porque el poder de mando tiene, como una de sus funciones, determinar lo justo legal.»
[62]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 190.
[63]Ivi, 191.
[64]J. Hervada Xiberta, Lecciones propedéuticas de Filosofía del Derecho, 362.
[65]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 192.
[66]J. Hervada Xiberta, ¿Qué es el derecho?, 21-22: «El acto de crear u otorgar el derecho – lo que presupone su inexistencia anterior – no es de justicia, sino de dominio o de poder. Ese acto creador o constituyente de un derecho es – en relación con la justicia – un acto primero y, anterior, el originario del derecho. En cambio, la justicia […] es un acto segundo, porque presupone el acto primero que constituye el derecho.»
[67]Ivi, 49: «No menos importante es la función que desempeña la ley como medida del derecho. Ser medida equivale a ser norma o regla del derecho; en otras palabras, la ley regula los derechos y el modo de usar de ellos: señala sus límites, prescribe los presupuestos de capacidad, establece los sistemas de garantías, etc.»
[68]Ivi, 70-81.
[69]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 201.
[70]Ivi, 201ss.
[71] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae ii.ii q. 122 a. 1 arg. 1: «Ad primum sic proceditur. Videtur quod praecepta Decalogi non sint praecepta iustitiae. Intentio enim legislatoris est cives facere virtuosos secundum omnem virtutem, ut dicitur in II Ethic., unde et in V Ethic. dicitur quod lex praecipit de omnibus actibus virtutum omnium. Sed praecepta Decalogi sunt prima principia totius divinae legis. Ergo praecepta Decalogi non pertinent ad solam iustitiam.»;arg. 2: «Praeterea, ad iustitiam videntur pertinere praecipue praecepta iudicialia, quae contra moralia dividuntur, ut supra habitum est. Sed praecepta Decalogi sunt praecepta moralia, ut ex supra dictis patet. Ergo praecepta Decalogi non sunt praecepta iustitiae.»
[72]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 203-204: «all the moral precepts belong to the law of nature, but not all in the same way… for there are certain things which the natural reason of every man, of its own accord and at once, judges to be done or not to be done – e.g. “Honor thy father and thy mother”, and “thou shalt not kill, thou shalt not steal” – and these belong to the law of nature absolutely.»; a. 11: «Now [of the moral precepts] there are three grades: for some are most certain, and so evident as to need no promulgation… wherefrom no man can have an erroneous judgement about them. Some precepts are more detailed, the reason of which even an uneducated man can easily grasp; and yet they need to be promulgated, because human judgment … happens to be led astray concerning them: these are the precepts of the Decalogue. Again, there are some precepts the reason of which is not so evident to anyone, but only the wise; these are moral precepts added to the Decalogue.»; a. 3: «the Decalogue also contains those very “first general principles” […] as “principles in their proximate conclusions”.»
[73] Vorrei sottolineare che Tommaso nel respondeo dell’articolo 3 afferma che dei “principi primi” «notitiam homo habet per seipsum a Deo», l’uomo ne ha notizia da Dio “per seipsum” e inteso è l’uomo stesso. Chiarisce poi: «Huiusmodi vero sunt illa quae statim ex principiis communibus primis cognosci possunt modica consideratione, et iterum illa quae statim ex fide divinitus infusa innotescunt.», tali sono le cose che si possono, con breve riflessione, conoscere dai principi primi comuni e sono le stesse che la fede – data da Dio – rende note. Tommaso fa risalire questa distinzione alla doppia promulgazione del Decalogo. Inizialmente la legge è scritta da Dio stesso, ma viene distrutta per l’idolatria del popolo nell’episodio narrato in Esodo 32 – dove Mosè polverizza le tavole con la scritta divina e le fa ingerire al popolo ribelle. Successivamente, la stessa legge viene promulgata da Mosè per iscritto: è quella che tutt’ora abbiamo. Popović ha ragione di parlare di «multilayered modes of promulgation», di ciò che è sempre un’unica e identica legge, vedi più oltre.
[74]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 204.
[75] «It is possible to conclude that Aquinas’ argument on the constitution of the principles of natural law as precepts of justice comprises his doctrine on the juridical status of natural law, at least implicitly.»
[76]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 219.
[77]J. Finnis, Natural law and natural rights, Oxford University Press, New York 20112.
[78]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 220.
[79] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae ii.ii. q 79, a 1. «Respondeo dicendum quod si loquamur de bono et malo in communi, facere bonum et vitare malum pertinet ad omnem virtutem. Et secundum hoc non possunt poni partes iustitiae, nisi forte iustitia accipiatur prout est omnis virtus. Quamvis etiam iustitia hoc modo accepta respiciat quandam rationem boni specialem, prout scilicet est debitum in ordine ad legem divinam vel humanam. Sed iustitia secundum quod est specialis virtus, respicit bonum sub ratione debiti ad proximum.»
[80]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 218.
[81] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae ii.ii. q.79, q. 1.
[82]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 222.
[83]Ivi, 224.
[84]Ivi, 226.
[85]Ivi, 226-239.
[86]R. Hittinger, Natural law and catholic moral theology, in A preserving grace. Protestants, catholics and natural law, Eerdmanns Publishing Co., Grand-Rapids (MI-USA) 1997; S.L. Brock, The light that blinds. A study in Thomas Aquinas’s Metaphysics of natural law, Pickwick Publications, Eugene, Oregon (USA) 2020.
[87]P. Popović, Natural Law and Thomistic Juridical Realism, 229.
[88]Ivi, 238-239.
[89]Ivi, 239.
[90]Ivi, 244-263.
[91]A. Neschke-Hentschke, Platonisme politique et théorie du droit naturel Vol. 1. Contribution à une archéologie de la culture politique européenne: Le platonisme politique dans l’antiquité (Bibliothèque philosophique de Louvain 189), Presses Universitaires de France 1999, IX.
[92]Ivi.
[93]Ivi, XI.
[94]Ivi, 233.
[95]Ivi, X.
IDA SOLDINI
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