fbevnts Paolo Di Lucia, Lorenzo Passerini Glazel, Hans Kelsen. Giustizia, diritto e realtà sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2024, pp. 200

Paolo Di Lucia, Lorenzo Passerini Glazel, Hans Kelsen. Giustizia, diritto e realtà sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2024, pp. 200

31.10.2024

 

RECENSIONE

 

 

Paolo Di Lucia, Lorenzo Passerini Glazel, Hans Kelsen. Giustizia, diritto e realtà sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2024, pp. 200 (Giorgio Lorenzo Beltramo)

 

Una “introduzione filosofica all’opera di Hans Kelsen” chiara e autorevole. Il volume è il frutto maturo di una collaborazione oramai più che decennale tra Paolo Di Lucia e Lorenzo Passerini Glazel sull’opera del pensatore praghese; collaborazione che ha prodotto, oltre a numerosi articoli, l’edizione italiana di due opere di Kelsen: Religione secolare nel 2014 e Che cos’è la giustizia? nel 2015[1].

Il testo si rende apprezzabile per la chiarezza espositiva e per l’ordinata organizzazione della materia, che ne fanno uno strumento d’indubbio valore didattico e orientativo per il giurista e per il filosofo. Entrambi sono, infatti, nell’intenzione degli Autori, i destinatari ideali del presente volume: dacché Kelsen è presentato quale filosofo a tutto tondo – e non solo come l’interprete maggiore del positivismo giuridico. Sono pertanto resi espliciti, anche grazie a brevi ma puntuali confronti con altri autori contemporanei o successivi, i fondamenti e i presupposti epistemologici e metodologici del pensiero di Kelsen. Pur non essendo critico l’intento generale – considerato il tenore programmaticamente introduttivo e l’agile dimensione del volume –, proprio il lavoro riuscito di esplicitazione della posizione filosofica di Kelsen espone quest’ultima allo sviluppo critico personale del lettore interessato.

Il percorso attraversa, ora soffermandosi di più ora di meno, i nodi fondamentali del pensiero di Kelsen: dalla filosofia della realtà sociale alla difesa della modernità e della scienza, dall’indagine sulla giustizia alla teoria pura del diritto, fino alle ricerche sulla vendetta di sangue. Di tale percorso ragionato non si possono che fornire qui alcuni brevi cenni evocativi, seguendone l’ordine.

 

In tema di filosofia della società, utile risulta il confronto interpretativo proposto dagli Autori con la filosofia di John R. Searle[2]. La divisione da questi avanzata tra una “realtà di base” ontologicamente oggettiva (per esempio, un albero) e una “realtà umana” ontologicamente soggettiva, la cui esistenza è cioè dipendente dai comportamenti e dai pensieri dell’uomo (per esempio, una banconota), permette di cogliere la realtà sociale del diritto e dello Stato in Kelsen come ontologicamente soggettiva, dacché tali ordini sociali dipendono dall’esistenza valida ed effettiva di un ordinamento. Searle pone un’ulteriore differenza di preziosa utilità ermeneutica rispetto a Kelsen: una realtà, sia essa di base o umana, può essere epistemicamente soggettiva (cioè restare nella credenza o pretesa del singolo) o epistemicamente oggettiva (verificata pubblicamente all’interno dell’ambito di riferimento). Il diritto – se inteso come sistema di norme – è per Kelsen epistemicamente oggettivo: è dunque oggetto di una scienza che si vuole rigorosa.

Solidale col contesto culturale del Circolo di Vienna, Kelsen intende le scienze sociali sul modello delle scienze dure (modello che, tuttavia, egli adatta in modo originale alle scienze sociali normative, per le quali  invece della causalità vige il principio di imputazione, come vedremo infra): “la scienza deve prescindere da qualsiasi subordinazione a concezioni metafisico-religiose, deve escludere ed essere indipendente da qualunque giudizio di valore e deve fondarsi solamente su ciò che è accessibile a una conoscenza empirico-razionale” (p. 33). È il principio weberiano della avalutatività (Wertfreiheit) o neutralità della scienza, che Kelsen riformula come purezza della sua teoria del diritto (la reine Rechtslehre): pura, cioè, dal riferimento a valori; ma pura altresì dalla contaminazione con altre scienze, dacché l’oggetto diritto ha una sua specificità e richiede dunque uno specifico metodo scientifico. È precisamente la scienza del diritto a poter chiarire che cos’è la realtà sociale chiamata Stato: essa coincide con l’ordinamento giuridico, dacché solo le norme di un ordinamento giuridico permettono l’imputazione di azioni umane all’entità Stato e determinano l’appartenenza ad esso di tutti coloro per i quali l’ordinamento stesso è valido.

 

In tema di difesa della scienza moderna, gli Autori presentano il contenuto dell’opera succitata Religione secolare, pubblicata postuma dall’Istituto Hans Kelsen di Vienna nel 2012. “Se non si tiene conto della Teoria generale delle norme, l’altra importante opera alla quale egli lavorò negli ultimi anni della sua vita, ma che di fatto rimase incompiuta, Religione secolare è l’ultimo grande libro che Kelsen ha portato a termine dopo la pubblicazione, nel 1960, della seconda edizione del suo capolavoro, La dottrina pura del diritto” (p. 45). Come chiarisce il sottotitolo, l’opera intende criticare quelle interpretazioni definite “errate e pericolose” che vedono nel pensiero illuministico e post-illuministico (filosofia sociale, scienza e politica) nuove – ma mascherate o snaturate – religioni: religioni secolari, appunto.

Kelsen ingaggia così una battaglia contro pensatori quali Löwith, Gerlich, Aron, Voegelin, Brinton et alii – assieme ovviamente al Carl Schmitt della teologia politica – per difendere la novità assoluta della modernità e il rigore veridico del metodo scientifico. L’argomento principale di Kelsen è l’autocontraddittorietà del concetto stesso di religione secolare, ovvero di religione senza credenza nel sovrannaturale – andando contro l’idea del sacro proposta da pensatori quali Huxley e Otto, come esperienza del numinoso e come timore reverenziale, non necessariamente legato al divino. Anche falsi parallelismi quali l’idea di un’escatologia del progresso come nuova fede messianica sono per Kelsen contraddittori: il progresso scientifico non attende l’intervento divino alla fine del mondo, ma opera per la realizzazione della potenza razionale umana senza nessun éschaton. Kelsen poi distingue tra i valori assoluti e i valori supremi: i primi hanno un fondamento trascendente e sono propri della religione; i secondi sono invece relativi a una gerarchia di cui sono semplicemente i più elevati.

Kelsen ribadisce dunque i “due principi fondamentali della concezione moderna della scienza”: la avalutatività, per cui la scienza è descrittiva e mai prescrittiva, e la base rigorosamente empirico-razionale. Ciò lascia, dice Kelsen, aperto uno spazio d’impenetrabilità che è l’assoluto: ciò che per la scienza è “circondato da tutti i lati da un segreto [by a secret]” (p. 77).

 

In tema di giustizia, si presenta innanzitutto la critica mossa a più riprese da Kelsen a Platone. Platone subordina la verità alla giustizia, dacché – operando un dualismo metafisico – oppone il mondo delle Idee, con al vertice il Bene, al mondo sensibile: nei termini di Kelsen, la ricerca della giustizia come dovere (Sollen) orienta e precede la conoscenza della realtà empirica, ovvero di ciò che per Kelsen è l’essere (Sein). Tale dualismo, dal potenziale esito pessimistico antisociale, è mitigato da mediatori o termini intermedi, tra cui il più importante è secondo Kelsen l’amore (eros), a cui sono legati l’ordine sociale, le leggi e la giustizia.

I filosofi, che grazie alla loro educazione conoscono il bene, sono legittimati a governare, secondo Platone. Ma Kelsen denuncia il “fallimento” di tutti i tentativi di individuare che cosa sia il Bene e quale sia la soluzione ai problemi specifici di giustizia; la giustizia resta così “un’ideale irrazionale e una mera illusione” (p. 92). Si conferma in Platone il rapporto tra la metafisica e i totalitarismi (si noti che il saggio in questione è scritto da Kelsen nel 1933), speculare a quello tra relativismo e democrazie; diversa è infatti la posizione del capo: o assoluto e trascendente la comunità, o ad essa immanente).

Gli Autori presentano quindi la filosofia relativistica della giustizia di Kelsen, anche attraverso il succitato Che cos’è la giustizia?. Essa è innanzitutto una qualità dell’ordinamento; alla giustizia è legata la felicità sociale oggettivo-collettiva, ovvero il soddisfacimento di interessi e bisogni meritevoli (stabiliti non in modo cognitivo-razionale bensì emotivo-irrazionale, vale a dire con giudizi di valore non apofantici e dunque non verificabili). Questo richiede, secondo Kelsen, la consapevolezza del carattere relativo e soggettivo dell’idea di giustizia. Contro la critica antirelativistica di amoralità se non immoralità del relativismo, Kelsen oppone il valore intrinseco della tolleranza come comprensione simpatetica delle credenze e libertà di espressione; ma pur sempre all’interno dell’ordinamento giuridico, dunque come tolleranza limitata e non assoluta. Contro la critica di solipsismo etico (soggettivismo estremo e asintotico dei valori), Kelsen oppone la socialità intrinseca dei valori come sistema condiviso. Contro la critica dell’impossibilità di valori morale se non di origine divina, Kelsen oppone il concetto psicologico del Geltungstrieb, la “pulsione a ottenere l’approvazione, la stima e il rispetto degli altri” (p. 117), come motivazione al rispetto delle norme morali più forte della religione.

 

In tema di teoria pura del diritto, gli Autori evidenziano “la matrice kantiana e neokantiana della riflessione filosofica di Kelsen: nella prospettiva di Kelsen, l’essenza del diritto si definisce, infatti, nella sua relazione costitutiva con la scienza di cui il diritto è oggetto” (p. 128). Rispetto alle scienze naturali, in cui vige il principio di causalità (se A, allora B: dove A è causa e B effetto necessario), le scienze sociali possono essere o causali – come la sociologia o l’antropologia, per cui le idee “esistono nella mente degli uomini e operano come cause del loro comportamento” (p. 131) – o normative. Queste ultime – quali la scienza del diritto, l’etica, la scienza politica, la teologia – si occupano di norme, ovvero di proposizioni in cui opera il principio di imputazione (se A, allora deve B, dove il nesso tra la fattispecie A e la conseguenza B è non necessario ma doveroso: non è Sein ma Sollen). “La società è, nel significato di queste scienze normative, un ordinamento normativo [a normative order]; gli uomini appartengono a una società di questo tipo solo in quanto il loro comportamento è determinato dalle norme di un ordinamento morale, religioso o giuridico” (p. 135).

Kelsen divide tra Rechtsnormen (legal norms, norme giuridiche) prescrittive, opera dell’autorità giuridica, e Rechtssätze (rules of law, regole di diritto) descrittive, opera della scienza del diritto. La norma è qualificata da Kelsen come specifico contenuto di significato (Sinngehalt) “degli atti che le autorità creatrici di diritto rivolgono agli individui dei quali esse regolano il comportamento” (p. 145), ovvero il significato normativo di dovere. In altre parole, l’atto di volontà (un fatto dell’essere, Sein) crea la norma (il significato di dovere, Sollen). La norma esiste se è valida; ciò accade se sussistono tre condizioni: la creazione, la non abrogazione e l’appartenenza a un ordinamento complessivamente effettivo (ma “Kelsen precisa che non soltanto l’effettività complessiva dell’ordinamento, ma anche l’efficacia della singola norma è condizione necessaria della validità di essa” [p. 147])[3].

Fondamento o ragione di validità-esistenza della norma è la norma superiore che ne disciplina le condizioni di creazione, poste in essere dall’atto di volontà nomopoietico. Si delinea una struttura a gradi (Stufenbau), il cui inevitabile recursus ad infinitum porta all’ipotesi della norma fondamentale (Grundnorm): “Il recursus ad infinitum della validità delle norme può essere interrotto infatti, secondo Kelsen, soltanto se si presuppone una norma fondamentale ultima (ultimate), che conferisce all’atto del primo costituente storico il significato di produzione di una costituzione valida (della costituzione storicamente prima)” (pp. 151-152). L’ipotesi è formulata dalla scienza del diritto al fine d’interpretare come norme valide le norme di un determinato ordinamento effettivo: in altri termini, stando a Kelsen, la scienza del diritto prima opera una osservazione della regolarità dei comportamenti (fatto), poi formula un’ipotesi esplicativa tramite la norma fondamentale, infine descrive le norme valide presupponendo tale Grundnorm.

Tra gli altri sistemi di norme, quali la religione e la morale, il diritto si distingue per il suo contenuto: “il contenuto specifico del diritto consiste nell’imputazione di una sanzione socialmente organizzata”, ovvero “il diritto è un ordinamento coercitivo che prevede atti coercitivi come sanzioni socialmente organizzate” (p. 165). Se il dovere morale costituisce un obbligo diretto (a fare o non fare), il dovere giuridico consiste nell’imputazione della sanzione (fattispecie astratta) all’illecito (fattispecie astratta); ne consegue che l’obbligo nel diritto è indiretto. “In altri termini, secondo la concezione di Kelsen, l’esistenza di un obbligo giuridico di fare A coincide non con l’esistenza di una norma che prescrive di fare A, bensì con l’esistenza di una norma che imputa all’omissione di A la sanzione giuridica B” (p. 167). Il diritto risulta essere un’organizzazione in monopolio dell’uso della forza.

 

In tema di vendetta di sangue, si mostra la concezione evoluzionistica del diritto in Kelsen, secondo il quale l’autotutela vendicatoria propria di società definite “primitive” sarebbe un diritto in statu nascendi. Essa, infatti, lungi dal ridursi a mero istinto, è la prima forma di sanzione giuridica. Kelsen mostra come nella vendetta di sangue si presupponga una valutazione reciproca e sociale, dacché si percepisce una violazione dell’ordine istituito: ciò che rende lecito se non socialmente doveroso l’atto vendicativo. Chi vendica agisce dunque come organo della comunità, e la responsabilità del fatto illecito si estende alla famiglia e finanche al gruppo di appartenenza del reo. Proprio nella minaccia della coercizione e nella sanzione socialmente organizzata Kelsen vede emergere il diritto[4].

Il significato giuridico degli atti in tali società è dato da un ordinamento di formazione consuetudinaria. La gestione è dunque decentrata tanto per la creazione (consuetudine) quanto per l’applicazione (autotutela) del diritto. Sarà proprio il progressivo accentramento, secondo Kelsen, un tratto evolutivo del diritto.

 


[1] Hans Kelsen, Religione secolare. Una polemica contro l’errata interpretazione della filosofia sociale, della scienza e della politica moderne come “nuove religioni”, a cura di Paolo Di Lucia, Lorenzo Passerini Glazel, Raffaello Cortina, Milano, 2014; Hans Kelsen, Che cos’è la giustizia? Lezioni americane, a cura di Paolo Di Lucia, Lorenzo Passerini Glazel, Quodlibet, Macerata, 2015,22021.

[2] Si vedano John R. Searle, Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana, Raffaello Cortina, Milano 2010; Id., Il mistero della realtà, Raffaello Cortina, Milano, 2019; Paolo Di Lucia, Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, Quodlibet, Macerata, 22005; Paolo Di Lucia, Edoardo Fittipaldi, Revisiting Searle on Deriving “Ought” from “Is”, Palgrave Macmillan, Cham, 2021.

[3] Sul problematico rapporto tra validità ed efficacia della norma, il riferimento interno è a Lorenzo Passerini Glazel, Le realtà della norma, le norme come realtà, LED, Milano, 2020.

[4] Sulla vendetta, il riferimento interno è a Paolo Di Lucia, Letizia Mancini, La giustizia vendicatoria, ETS, Pisa, 2015; Paolo Di Lucia, Riccardo Mazzola (a cura di), Vindicta. Studi e testi sulla giustizia vendicatoria, LED, Milano, 2019.

Beltramo Giorgio Lorenzo



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