The ‘canonical legal system’ as ‘the first principle of interpretation’ of Vatican City State law: a growing relevance

L’‘ordinamento canonico’ come ‘primo criterio di riferimento interpretativo’ del diritto vaticano: una rilevanza crescente

30.12.2022

Geraldina Boni*

 

L’‘ordinamento canonico’ come ‘primo criterio di riferimento interpretativo’ del diritto vaticano: una rilevanza crescente**

 

English title: The ‘canonical legal system’ as ‘the first principle of interpretation’ of Vatican City State law: a growing relevance

DOI: 10.26350/18277942_000102

 

Sommario: 1. Sulle orme dei Maestri. 2. Ritorno alle fonti. 3. Nuove epifanie nei rapporti tra ordinamento vaticano e ordinamento canonico. 4. L’‘ordinamento canonico’ come ‘primo criterio di riferimento interpretativo’: un ‘primato’ da valorizzare. 5. Perplessità su alcune norme recentemente promulgate. 6. Corte di Cassazione vaticana versus Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. 7. Epiloghi (interlocutori).

 

1. Sulle orme dei Maestri

 

Occuparsi, oggi, del ruolo del diritto canonico[1] nell’ordinamento vaticano rappresenta una sfida un poco temeraria. Perché su tale tema, certamente centrale e nevralgico per una comprensione adeguata del peculiarissimo sistema giuridico vigente nello Stato forse più atipico che si rinviene nel panorama mondiale, si sono cimentate le menti più acute, sovente tra gli ‘artefici’ (in qualità di consulenti) maggiormente stimati dello ius vaticanum. L’argomento è stato sviscerato brillantemente anche dal mio Maestro, il Professor Giuseppe Dalla Torre, nonché dal Professor Piero Antonio Bonnet, col quale, in particolare, ho goduto l’immeritata fortuna di confrontarmi proprio sul caratteristico crinale di quest’incrocio interordinamentale negli anni anteriori alla sua precoce dipartita. Nell’oramai lontano 2014, infatti, mi volsi all’illustrazione della giurisprudenza penale vaticana[2], all’epoca ancora poco nota e scarnamente analizzata dalla dottrina: eppure oggetto di un’attenzione massmediale sempre più consistente, divenuta in seguito, a tratti, quasi parossistica e ossessiva. E la griglia che impiegai prioritariamente per il mio sondaggio fu proprio quella a me più consentanea, ma che si rivelò invero illuminante: quella di scorgere, cioè, la filigrana dello ius Ecclesiae nell’ordito del procedere argomentativo dei magistrati vaticani[3], i quali, peraltro, erano precipuamente proprio i due Mentori cui dovevo l’incentivo della mia investigazione. L’ansia, tuttavia, di ripercorrere piste già solcate, non solo e non tanto da me ma, eccellentemente, da altri, è stata rapidamente fugata al cospetto di uno scenario normativo che è rimasto tutt’altro che staticamente immobile: al contrario, si è trasformato ancora intensamente secondo quella parabola di cui allora avevo esaminato le prime, sia pur notevolmente dirompenti, tappe, abbozzando ipotesi ricostruttive e additando le questioni insorgenti. Pertanto, dopo un iniziale sconcerto per il timore di annoiare riproducendo pedissequamente quanto già, soprattutto appunto da altri, sapientemente spiegato, il progetto di riflettere nuovamente sull’intreccio tra ordinamento canonico e ordinamento vaticano mi ha sedotta e appassionata: sollecitata da quella realtà, fattuale ma insieme autenticamente giuridica, continuamente mutevole e cangiante che non può non interpellare e pungolare senza posa il cultore della scienza del diritto, rimandandolo alla sua prioritaria vocazione.

 

2. Ritorno alle fonti

 

Partendo quindi dal testo normativo, che ho imparato possa squarciare inusitati scorci alla riflessione ogni volta che lo si calibri proprio allo status realitatis disciplinato, e segnatamente - accogliendo, sul punto, l’ancor valida lezione di Kelsen[4] - dalla legge sulle fonti n. LXXI del 1° ottobre 2008[5], l’art. 1, primo capoverso, non a caso ubicato proprio nell’incipit, recita: «L’ordinamento giuridico vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo». Dunque, l’‘ordinamento canonico’ è prospettato quale fonte che, pur collocata dalla rubrica tra quelle‘principali del diritto’, guadagna subito e incontrovertibilmente un’inopinabile pole position. Su questa prescrizione, dalla sua comparsa, si è appuntata abbondantemente la speculazione dei giuristi allo scopo di afferrarne ogni ripercussione, specialmente sul primo precetto in cui essa si articola. Così sulla tesi, minoritaria, secondo cui il diritto ecclesiale vigerebbe in Vaticano solo in virtù di tale comando normativo, e quindi di una discrezionale scelta sovrana del legislatore statuale che avrebbe potuto determinarsi altrimenti[6], ha prevalso pressoché unanimemente il postulato secondo cui, anche facendo leva su quel letterale, densissimo ‘riconosce’, il quale rimanda a un’insopprimibile e preesistente ‘connaturalità’[7], lo ius canonicum «ha nella statualità vaticana una forza più intima e organica di quella che potrebbe derivargli da qualunque forma di rinvio»[8]: una primazia, quindi, auctoritate propria[9], che l’art. 1, comma 1, non costituisce ma unicamente certifica in modo che se ne desumano le dovute conseguenze.

Di tale enunciazione è stata subitaneamente colta l’incisiva portata[10], assai più esatta e pregnante a confronto dell’anteriore disposto similare del 1929 che dichiarava «fonte principale» alla pari delle leggi emanate per la Città del Vaticano «il Codex iuris canonici e le costituzioni apostoliche»[11]: una dizione infatti, quest’ultima, alquanto riduttiva del peso riservato allo ius canonicum, il quale pure, anche anteriormente, andava ricompreso come vigente nella sua totalità - al di là della dicitura lessicalmente infelice, forse influenzata da scorie positivistiche ancora non rimosse -, nonché dinamicamente, in tutte le sue vicende evolutive: seppur sempre nei limiti della sua applicabilità di fatto nello Stato[12].

Per converso, se nel testo novellato taluno ha stigmatizzato come non del tutto appropriato[13] l’uso del vocabolo «ordinamento» piuttosto di quello di «diritto», io reputo, invece, che esso sia ispirato alla lucida e meditata accortezza - al fondo, del resto, dell’obiezione dell’accreditata dottrina appena menzionata - di rimarcare, da una parte, l’alterità e la non immedesimazione degli ordinamenti, quello canonico e quello vaticano, contro le reviviscenti e subdole tentazioni (di cui darò conto anche nel prosieguo) di unioni ambigue e ancipiti, deleterie oltre che seriamente lesive del dualismo cristiano. E al contempo, dall’altra, di non sottacere la non originarietà dell’ordinamento vaticano, il suo essere non autosussistente né autosufficiente, sia pur non in assoluto ma in rapporto alla scaturigine della propria esistenza: «posto che la stessa sovranità della Santa Sede implica il ricorso ad un ordinamento differente e superiore rispetto a quello vaticano»[14].

Insomma, una formula, quella adottata nel 2008, del tutto azzeccata, racchiudente la constatazione autoritativa che «il diritto canonico ha una preminenza, non solo quantitativa in ragione del numero delle disposizioni richiamate o richiamabili, ma anche logica e quindi anche, in qualche misura, gerarchica»[15]: ad esso essendo in primis demandata la ‘competenza delle competenze’[16], con lo stabilire la norma applicabile nelle disparate fattispecie. Un primato[17], peraltro, che non va certo calato nel letto di Procuste delle invalse tassonomie secolari in ordine alle fonti[18], ma che, in qualche modo, come si evincerà al termine di questo breve percorso, echeggia quell’altro ben più celebre in Ecclesia.

Quanto alla seconda asserzione in cui si snoda il disposto, a tenore della quale ‘l’ordinamento canonico’ è ‘il primo criterio di riferimento interpretativo’, essa, che pure invertiva diametralmente la precedente impostazione riguardo all’interpretazione delle norme italiane recepite[19] e risolveva la querelle, disputata addirittura tra i due ‘mostri sacri’ Federico Cammeo e Pio Ciprotti, relativamente a quella delle norme vaticane[20], mi sembra sia rimasta più in ombra nelle diatribe dottrinali, oscurata dall’enfasi di quel prima fonte normativa che, con la sottolineatura solenne della sanzionata graduatoria, ha quasi fatto aggio sul resto[21]: forse anche inducendo a sopravvalutare soverchiamente la diretta, empirica applicabilità «in blocco»[22] del diritto canonico in Vaticano[23]. Certo tale previsione, innovativa perché assente nell’antecedente versione, non è stata trascurata, se anche non canonisti di professione hanno potuto inferire come i parametri per il superamento delle antinomie, vere o apparenti, inesorabilmente serpeggianti nell’aggrovigliato crogiolo normativo dello Stato dovessero poggiare sulla connessione benefica col diritto canonico[24]. Non può più quindi essere dibattuto che esso valga a interpretare, oltre alle stesse norme ecclesiali, non solo quelle vaticane, ma anche tutte le fonti suppletive che entrano nell’ordinamento: tra l’altro ribaltando drasticamente - e di primo acchito in maniera un poco bizzarra - quanto normalmente avviene nel diritto internazionale privato, ove correntemente restano operanti le regole ermeneutiche degli ordinamenti di provenienza delle norme ‘importate’.

Ma spesso alla maturata intuizione di tale acquisizione non s’è accompagnata - almeno nella scienza giuridica, perché certa giurisprudenza vaticana è stata invece genialmente precorritrice[25] - un’identificazione esauriente di tutti i corollari dell’‘assioma’ secondo cui devono entrare in gioco, nel dispiegarsi dell’attività interpretativa (in campo penale, patrimoniale, processuale, ecc.), anzitutto i precetti di cui ai cann. 7-22 del Codex Iuris Canonici[26], ma altresì l’intero apparato sussumibile nella locuzione «ordinamento»: rectius, in questo caso,«diritto canonico». In esso annettendosi, potendo la vaghezza della perifrasi trarre in inganno oltre che ridurre - ma altresì ingrandire esageratamente e quindi adulterare - lo spettro del filtro, in primo luogo lo ius divinum naturale e positivo, della cui trascendenza metapositiva, anche rispetto al papa[27], nessuno del resto dubita e ha mai dubitato[28]. Ma include, con il diritto ecclesiale, segnatamente quello prodotto e promanante dal legislatore supremo - il quale lo è pure, ‘disgiuntamente’, per il Vaticano[29], a prescindere dalle forme -, le tecniche giuridiche più ‘classicamente’ canonistiche: quale, per rammentare forse la più inconsueta se traguardata con la lente del giurista secolare, quella che si traduce nell’ampio uso della dispensatio[30]. Non si tratta, come ognun vede, di direttiva di poco momento.

Gli effetti che ne discendono, perciò, vanno al di là della pur incontestabile deduzione secondo la quale il contrasto con le norme canoniche funge alla stregua di limite di «ordine pubblico»: come, del resto, si prescrive esplicitamente quanto alla recezione di norme non ‘autoctone’, per quelle di diritto internazionale nel comma 4 dell’art. 1 della legge sulle fonti[31], mentre per quelle italiane nel comma 2 dell’art. 3 della stessa legge[32] (ma cfr. pure gli artt. 4, 7, comma 1, 8 e 12). Lo stesso legislatore vaticano ne viene istantaneamente coinvolto, «costretto a seguire […] l’indirizzo segnato dal diritto canonico»[33], che irradia quasi quale luminosa stella polare de iure condendo. Inoltre, il vaglio attraverso il metro del diritto canonico, che in questi casi avviene ex ante, al momento genericamente nomopoietico ovvero per bloccare l’accesso di norme aliene, deve agire anche nello stadio, forse ancor più cruciale e dirimente, dell’applicazione del diritto a fattispecie specifiche: diffusamente e comunemente in ciascun caso, cioè, in cui la norma, ogni norma, debba trovare attuazione da parte di qualsivoglia autorità (o anche quivis de populo), ma specialmente nel momento culminante in cui i giudici vaticani assolvono l’altissimo officium loro commendato di rendere giustizia.

Pertanto, la seconda proposizione di cui all’art. 1, comma 1, della legge sulle fonti per la quale il diritto canonico è ‘primo criterio di riferimento interpretativo’ si rivela essere manifestamente il cuore pulsante del sistema giuridico vaticano, irrorante quel sangue arricchito di ossigeno grazie al quale gli arti si muovono in sincronico concerto: assurgendo, oltre che a ‘garante identitario’, a sorvegliante e infungibile custode della sua unità. Se posso anch’io avanzare una sorta di graduatoria, ponendomi sulla stessa lunghezza d’onda sintattica dell’art. 1, comma 1, non avrei esitazioni nel porre alla sommità della piramide non tanto il disposto con cui si dischiude la prescrizione. Infatti, come è stato opportunamente avvertito, il diritto canonico si applica senza alcuna interposizione, anche mediante coazione[34], nell’ordinamento vaticano - tralasciati i casi in ciò si dà (o dovrebbe darsi, secondo il magistero cattolico) natura sua in tutti quelli secolari in materiis suis[35] - in fattispecie certo di rilievo[36] ma episodiche e saltuarie, comunque ben profilabili: avvenendo ciò unicamente laddove esistano le condizioni di fatto della sua applicabilità[37] in quell’unicum singolarissimo che è la Città del Vaticano. Che invece attraverso il diritto canonico s’interpreti quella sorta di melting pot in cui si raccoglie e incanala la congerie delle eterogenee norme vaticane è criterio non sottostante a divieti o restrizioni, e diviene il fulcro attorno a cui rotea il dialogo tra le fonti vigenti in Vaticano, diffondendosi e propagandosi su tutti i precetti e imprimendo ai medesimi quel marchio che solo li rende del tutto confacentemente cospiranti allo scopo ultimo dello Stato: conquistando, così, il gradino più alto del podio.

 

3. Nuove epifanie nei rapporti tra ordinamento vaticano e ordinamento canonico

 

Tuttavia, come non raramente succede a certe norme che potrebbero dirsi non immediatamente precettive ma programmatiche o meglio orientative, di essa si è colta la straordinaria importanza, a mio avviso, lentamente e alla luce degli sviluppi successivi dell’ordinamento giuridico vaticano, i quali non potevano essere neppure preconizzati nel 2008: benché, curiosamente, si siano innescati a solo un biennio di distanza. E, paradossalmente, la vincolante indicazione impartita in ordine all’interpretatio del sistema giuridico vaticano, quell’interpretatio legis che sfocia nell’essere intesa onnicomprensivamente e a tutto tondo - quasi secondo l’assorbente accezione, briosamente creativa, che ad essa riservavano i canonisti dell’età aurea medievale -, mi pare possa assumere un peso ancor maggiore proprio con riguardo a questi ancora inimmaginabili, eppur incombenti, svolgimenti legislativi.

Su tali sviluppi, quindi, vale la pena ora indugiare: sia pur cursoriamente, essendo stati vastamente scandagliati in dottrina, anche dalla sottoscritta. D’altronde, se si dovesse sintetizzare in una sola frase, ovvero marcare il momento topico che condensi icasticamente l’imponente ciclo normativo di questi due lustri all’interno del portone di bronzo, credo si debba convenire sia da ravvisare proprio nell’incrementarsi esponenziale delle interrelazioni normative tra diritto canonico e diritto vaticano. In qualche misura ex abrupto ma non troppo sorprendentemente, essendo la dimensione statuale del Vaticano quella che è sembrata rimbalzare sempre più alla ribalta sul palco europeo e internazionale e che è stata forse più retoricamente decantata[38].

Il moto, spronato specie dall’adempimento di impegni internazionali assunti stringentemente dalla Santa Sede con la sottoscrizione e ratifica di convenzioni bilaterali e multilaterali e da altre pressanti necessità sulle quali ora non si può se non sorvolare[39] - in quell’accelerazione che la prorompente globalizzazione e transnazionalità (oramai «tutti gli Stati tendono ad essere una enclave della stessa realtà geo-politica planetaria»[40]) di quest’età hanno impresso anche ai processi giuridici, sulla spinta, non va mai dimenticato, più delle economie che dei diritti -, s’avvia col pontificato di Benedetto XVI: in particolare a seguito della stipulazione della convenzione monetaria con l’Unione Europea del 17 novembre 2009[41]. Esso prende l’abbrivo con le leggi - volendo ora velocemente inventariare le più corpose - della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano del 30 dicembre 2010, la n. CXXVII[42] sulla prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo e la n. CXXVIII[43] sulla frode e la contraffazione delle banconote e monete in euro: la prima modificata e integrata dalla legge n. CLXVI del 24 aprile 2012[44] di conferma del decreto del presidente del Governatorato n. CLIX del 25 gennaio 2012, e, dopo ulteriori interventi correttivi e aggiuntivi, dalla legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013[45], recante norme in materia di trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria, ritoccata ancora posteriormente con quella n. CCXLII del 19 giugno 2018[46]. Pur essendo nel frattempo, come trapela dalla cronologia, succeduto Bergoglio a Ratzinger sul trono di Pietro - e, quindi, anche al timone dello Stato della Città del Vaticano -, la Pontificia Commissione vaticana ha proseguito poi a ritmo incalzante con le tre leggi dell’11 luglio 2013: la n. VIII[47], contemplante norme complementari in materia penale, la n. IX[48], di modifica al codice penale e al codice di procedura penale, e la n. X[49], sancente norme generali sulle sanzioni amministrative. Ma, per quanto qui preme, contestualmente - ed è questo l’evento normativo un poco inatteso cui ho appresso alluso - si è dilatato vorticosamente lo spazio di imperatività del diritto vaticano insieme con la cospicua lievitazione della giurisdizione statuale: protendendosi verso i lidi, sino ad allora pressoché mai neppure lambiti, dell’ordinamento canonico.

Del resto, sin dalla genesi dello Stato d’Oltretevere, l’ordinamento canonico si è posto come ben distinto - anche sul versante giudiziario, tagliando gradualmente i cordoni ombelicali[50] con la divisione sempre più netta tra ‘foro canonico’ e ‘foro civile’[51] - dal primo, ancorché inevitabilmente non separato. Si consideri solo, a suffragio dell’inestricabile alleanza, che, ad esempio sul piano dell’azione a livello internazionale, «in più casi, organi ed uffici propri dell’ordinamento giuridico della Chiesa sono al contempo enti, organi e uffici dello Stato»[52]: ma si è trattato sinora di casi certosinamente perimetrati. Quindi se, come anticipato, lo ius Ecclesiae ha sempre avuto vigore nell’ordinamento vaticano, ne ha anzi rappresentato una componente essenziale e ineliminabile, anzi potrebbe dirsi ‘egemonica’, per contro in quello canonico la legislazione vaticana è sempre stata non obbligante, senza alcuna reciprocità[53]: esso e i suoi soggetti erano - eccettuati casi alquanto circoscritti[54] - del tutto esenti, impermeabili e impenetrabili da parte di norme e poteri del Vaticano. Il diritto dello Stato è ex se totalmente inefficace quanto alla compagine ecclesiale: il Vaticano, d’altro canto, essendo appunto uno Stato[55], sia pur peculiare, non poteva né può quasi neogiurisdizionalisticamente interferire negli interna corporis della Chiesa, tradendo tra l’altro, in tal modo, e macroscopicamente, il mandato, ricevuto il giorno del suo battesimo, di porsi accessoriamente a scudo e usbergo dell’assoluta e visibile indipendenza della Sede di Pietro proprio da ogni opprimente aggressione secolare. Questo recinto, per converso, antecedentemente difeso con tenacia, è stato abbattuto con un varco viepiù ingigantitosi: infatti il legislatore supremo, ‘comune’ (nella diversità) a entrambi gli ordinamenti, ha voluto che persone fisiche e giuridiche ascrivibili e orbitanti nell’ordinamento canonico, afferenti alla Santa Sede in senso lato, anche ben oltre il diametro del can. 361 del Codex Iuris Canonici, fossero tenuti a ottemperare ad alcune norme vaticane e sottoposti alla relativa giurisdizione. Tanto che quest’ultima, in particolare, investita del giudizio su fatti o atti consumatisi altresì al di fuori delle frontiere del lillipuziano Stato[56], ha finito per assumere la fisionomia, si è glossato[57], di autorità giurisdizionale ultrastatuale[58] ovvero ultraterritoriale.

Si è insediata, pertanto, una ‘bidirezionalità’ di rimandi sino ad allora pressoché mai osata, che si è viepiù accentuata e potenziata con il sopravvenire, a ruota e a cascata rispetto alle suddette numerose leggi vaticane, di simmetrici atti normativi pontifici involventi direttamente l’ordinamento ecclesiale: nel quale, appunto, esse sono state ‘canonizzate’ sulla falsariga del can. 22 della codificazione latina. Un’etichettatura catalogatoria su cui ora non mi soffermerei sia per non ripetermi[59], sia perché oramai pressoché pacificamente accettata[60]: stante peraltro che le variegate tesi accampate e più o meno plausibili - come quella di chi congettura la nascita «di un nuovo “centro” di produzione di norme canoniche»[61] - o le difformi nomenclature utilizzate - taluno disquisisce di ‘statalizzazione’[62] - non mi sembra comunque ostendano l’adozione di una visione ragguardevolmente discrepante circa il procedimento normativo attivato. Semmai, l’anomalia rispetto alla canonizatio risiede proprio nei criteri interpretativi che, attraverso il diritto vaticano, ‘tornano’ significativamente al diritto canonico[63].

Non è questa la sede neppure per risolcare nel dettaglio sentieri che peraltro ho già perlustrato[64]: salvo annotare che questo movimento ha sperimentato via via un massiccio potenziamento, assumendo quasi le sembianze di una sorta di magma elasticamente strabordante e proteiforme. In un primo tempo, con il motu proprio La Sede Apostolica (30 dicembre 2010)[65], il richiamo testuale per la canonizatio è alla legge n. CXXVII, sia pur coprendo altresì le sue «future modificazioni», e i soggetti vincolati non sono elencati nominativamente né tipologicamente ma si rinvia alle attività svolte, la cui enumerazione, pur minuziosa, è suscettibile di aggiustamenti e limature da parte del legislatore vaticano; si parla, poi, di «delega» del papa a vantaggio dei competenti organi giudiziari statuali nei confronti dei soggetti tenuti alla norma sostanziale vaticana, mentre la giurisdizione nei confronti dei medesimi può essere esercitata solo per le ipotesi delittuose, non per i reati contravvenzionali. Nel susseguente motu proprio Ai nostri tempi dell’11 luglio 2013 non si rinviene invece l’espressa previsione della cogenza della legge sostanziale vaticana, ma si sancisce, senza far parola della delega pontificia, l’ampliamento della giurisdizione penale degli organi giudiziari nei confronti di una serie di illeciti, ciò che sottende il previo obbligo di osservanza della norma - nulla poena sine praevia lege - per la cui trasgressione s’intraprende l’esercizio dell’azione penale da parte della magistratura vaticana: due omissioni che nulla compromettono, ma che nondimeno appaiono legislativamente eccentriche. L’enucleazione degli illeciti - «reati» in questo caso, cioè delitti e contravvenzioni - si frange ora in più criteri: al nesso allacciato con le leggi nn. VIII e IX del 2013 s’accosta un criterio ben più largo che sussume classi di reati delimitati attraverso il loro contenuto, descritto inoltre genericamente. Anche per quanto afferisce alla platea dei soggetti canonici passibili della coercizione penale i criteri si divaricano: per i reati di cui alle leggi nn. VIII e IX sono solo «le persone indicate al punto 3 in occasione dell’esercizio delle loro funzioni», che «sono equiparat[e] ai pubblici ufficiali»; per gli altri reati, invece, la giurisdizione vaticana è sganciata da un rapporto personale dell’agente con dicasteri o organismi della Santa Sede; peraltro, per quelli la cui repressione è richiesta da un accordo internazionale, l’autore deve trovarsi nel territorio vaticano e non essere estradato all’estero[66]. Infine, il motu proprio La promozione dello sviluppo (8 agosto 2013) si riconnette alla normativa vaticana emanata tra l’agosto e l’ottobre 2013 su trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria: mentre il ‘gruppo’ dei soggetti canonici astretti aumenta ancora[67], anche qui il riferimento non è a una precisa fonte normativa ma alle leggi vaticane, presenti e future, su certe materie[68] comportanti un ventaglio di misure di cui si tracciano concisamente i contenuti; la canonizzazione perciò diviene in qualche modo fluida e priva di contorni rigidamente scanditi, così come in straripante propagazione si mostra anche l’abbinata amplificazione della giurisdizione degli organi giudiziari vaticani, che tra l’altro ora non è più confinata al penale ma s’allunga all’ambito civile o amministrativo[69]. E sempre a proposito di quest’ultima la dottrina, al di là dell’appellativo, certamente acconcio, di ‘ultrastatuale’, inizia serratamente e con inquietudine a interrogarsi sulla sua qualificazione tecnico-giuridica e sui poteri ad essa correlati, proprio nell’esplicazione di tali inedite competenze: più che extra fines Civitatis Vaticanae, nell’‘area ecclesiale’, per la quale sarebbe, più che deficitaria, carente. Se essa dovesse, cioè, configurarsi come giurisdizione comunque statale, ovvero quale giurisdizione canonica, sia pur eccezionale, delegata o vicaria, da orchestrarsi poi con altre giurisdizioni eventualmente concorrenti[70]: un punto ostico, su cui addirittura i due giudici vaticani forse più autorevoli, prematuramente scomparsi, Giuseppe Dalla Torre e Piero Antonio Bonnet, arrivavano a schierarsi su fronti apposti, l’uno rigettando il ‘mutamento’ del magistrato vaticano in giudice canonico[71], l’altro, invece, avallandolo[72].

Commentando il fenomeno ancora nel 2014, agli albori delle già plurime promulgazioni normative, mi azzardai a bollarlo come l’inaugurazione di una vera e propria «metamorfosi» implementatasi nei rapporti tra diritto canonico e diritto vaticano di cui denunciavo, come doveroso nelle indagini dottrinali, talune criticità concettuali e gli intralci applicativi emergenti[73]. Lamentando una proliferazione pletorica della legiferazione vaticana, anteriormente sobria e parsimoniosa per essere in qualche modo proporzionata al volume - ‘francescano’ e non solo in chilometri quadrati - dello Stato e non rivelarsi ingombrante se non soffocante in quanto non componibile con la sua indole ancillare, o meglio teleologica, di mero «piedistallo terreno»[74] della sovranità della Santa Sede[75]. E specialmente avvertendo come l’alluvionale debordamento di tali norme disciplinari e penali nell’ordinamento canonico, dilagante irrefrenabilmente per il suo sagomarsi via via evanescente e un poco criptico - talora quasi a ‘scatole cinesi’[76] -, rischiasse proprio di travolgere quella finalità per la quale il Vaticano è stato eretto e lo legittima a operare attraverso il suo peculiare ordinamento giuridico, di cui è stato equipaggiato ad hoc.

D’altro canto, mi rendevo perfettamente conto già allora di come questa stagione un poco convulsa e frenetica di cambiamenti legislativi fosse dettata da impellenze improcrastinabili[77] cui la Santa Sede e il Vaticano non potevano sottrarsi[78] per agire convenientemente pleno iure e responsabilmente inserirsi in quella scena internazionale nella quale la Chiesa cattolica ricopre un ruolo, innanzitutto di ammaestramento morale e quindi di testimonianza esemplare[79], certo non secondario, per cooperare al bene comune[80]. Anzi, in tal modo, come intelligentemente ha delucidato lo stesso Dalla Torre in vari saggi, si è meritevolmente provveduto a rendere possibile l’inibizione e la persecuzione di comportamenti delittuosi che artatamente e maliziosamente si insinuassero, per ottenere l’impunità, nelle pieghe di guarentigie e immunità funzionali, reali o anche personali garantite alla Sede Apostolica per la sua missione di governo della Chiesa universale: corroborando ed esaltando, in tal modo, la sua credibilità e affidabilità[81]. La legge vaticana (e canonica) e la giurisdizione statuale, pertanto, sono state piegate al conseguimento di risultati - peraltro di carattere prettamente e squisitamente temporale - che non potevano essere disattesi[82].

Così, benché continuassero ad agitarsi turbati quesiti dottrinali, anche negli anni posteriori il legislatore ha imperterritamente e consistentemente proceduto nell’itinerario della canonizatio del diritto vaticano e dell’accrescimento speculare della giurisdizione corrispettiva. Il pacchetto di norme più eclatante della temperie riformatrice ha fatto irruzione nel contesto oggi più tragicamente sotto i riflettori, quello degli abusi sessuali, di potere e di coscienza: su L’Osservatore Romano del 30 marzo 2019sono stati pubblicati tre provvedimenti, datati 26 marzo e tutti firmati dal romano pontefice[83]. Oltre a Linee guida per il Vicariato della Città del Vaticano, sono stati emanati dallo stesso Francesco la legge vaticana n. CCXCVII Sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili e il motu proprio La tutela dei minori [84]: il ‘meccanismo di rimando’ al diritto e alla giurisdizione vaticana per certi soggetti canonici determinati con rinvio al motu proprio Ai nostri tempi dell’11 luglio 2013 è analogo a quelli anteriormente instaurati[85]. Va ricordato, da ultimo, come la giurisdizione degli organi giudiziari vaticani è stata estesa, con il motu proprio La diligenza del buon padre di famiglia del 19 maggio 2020[86] - normativa, insieme, canonica e vaticana -, anche alle vertenze[87] che riguardino enti della Curia romana aventi a oggetto atti e provvedimenti delle procedure di cui alle Norme sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano[88], approvate dalla legge pontificia medesima e valevoli simultaneamente in entrambi gli ordinamenti, canonico e vaticano[89]. Si è così saltato, in questo frangente, l’oramai routinario ‘passaggio doppio’: e, nonostante lo stesso legislatore avvisi e metta in guardia sulle «necessarie differenze» tra le due ‘sfere’, la demarcazione non è sempre facile da intagliare[90]. Certamente, comunque, l’‘impasto’ tra ordinamento canonico e vaticano non si è interrotto[91]: tutt’al contrario, poiché la mole delle mutue intromissioni si è patentemente ingrossata. Tale da far trasmutare quella che doveva essere un’eccezione quasi in ‘ordinarietà’, sia pur, canonicamente, sempre con esclusivo riguardo alla Santa Sede e a quello che si è plasticamente denominato il suo «staff operativo»[92]: anch’esso, invero, davvero flessibilmente e malleabilmente inteso.

 

4. L’‘ordinamento canonico’ come ‘primo criterio di riferimento interpretativo’: un ‘primato’ da valorizzare

 

Nonostante nutra il parere che si potesse profilatticamente approcciare qualche alternativa normativamente meno invasiva (e forse anche un poco meno tracimante e slabbrata)[93] e che una maggiore abilità nella tecnica redazionale su alcuni aspetti sarebbe stata auspicabile - ma non è questa la sede per dilungarsi al riguardo[94] -, hoc iure utimur: e con esso ci si deve realisticamente confrontare. Un diritto frutto di un mosaico di tasselli oramai caleidoscopicamente multicolore, tra l’altro mobili e non irreversibilmente incollati, al quale devono attenersi, trattandosi anche di norme canonicamente coattive, pure soggetti ed enti ecclesiali, agenti anche fuori del minuscolo territorio vaticano, e gravitanti come ‘satelliti’ intorno alla Santa Sede.

Ecco allora che per la dottrina canonistica si affacciano terreni di ricerca e di studio tutti da ispezionare e da setacciare: nei quali, anzi, sono persuasa, il suo apporto sarà perentoriamente impreteribile. Per captare in tutte le loro ramificazioni i casi di rilevanza del diritto vaticano nell’ordinamento canonico, ma eminentemente per rendere effettiva e pienamente esecutiva quella chiave di lettura, lapidariamente incastonata nell’art. 1, comma 1, della legge sulle fonti, che deve guidare l’attività ermeneutica in generale e dunque la messa in pratica di ogni disposto vaticano sia nell’ordinamento dello Stato, ma ora altresì, pure per prescrizione vaticana, all’interno dello stesso ordinamento canonico. Se dunque sono, in ultima istanza, i magistrati vaticani a ergersi quali paladini del rispetto e dell’applicazione delle leggi, fungendo anche da sentinelle dell’intima coerenza delle concatenazioni interordinamentali sì che la giustizia, eventualmente infranta, sia prontamente restaurata, alla scienza canonistica spetta vigilare solertemente e porgere generosamente il suo aiuto: in quanto è nello ius canonicum, nell’assommarsi delle sue componenti, che si devono rinvenire gli arnesi a disposizione per condurre in porto l’arduo contemperamento di tutte le possibili norme chiamate in causa, anche nei loro incastri e intersezioni.

Si tratta, infatti, di un apparato normativo di tale articolazione che dubito possa essere eguagliato o anche solo remotamente comparato a qualsiasi altro, con le sue fonti di matrice ordinamentale diversa, pure con risalenze cronologiche diversificate: e che occorre evitare si converta in un coacervo babelico e anarchico. La focalizzazione del quale, nelle sue davvero labirintiche e quasi tentacolari confluenze e sovrapposizioni di diritti e giurisdizioni, sottende anzitutto una cognizione capillare e accurata di questa complessità. Si pensi, quanto all’ambito penale che risulta particolarmente archetipico, alla previa delineazione della fattispecie di reato e della decorrenza temporale della sua vigenza (non potendosi pregiudicare il principio dell’irretroattività della legge), ovvero alla, sovente tortuosa, individuazione del soggetto canonico virtualmente colpevole, rectius imputabile, rientrando nell’ipotesi normativa estrapolabile dal combinato disposto della legge vaticana e del motu proprio pontificio. In più, secondo quanto da taluno perspicacemente notato, «laddove non risultino contraddittorie con le prescrizioni esplicitamente date dal Legislatore dello Stato e risultino complementari rispetto alla normativa codiciale, sono pure di applicazione le norme del Libro VI del codice di diritto canonico, che contengono una disciplina più completa e tecnicamente elaborata che meglio aderisce all’ordinamento giuridico vaticano»[95]. Tale Libro, come risaputo, è stato appena varato dopo una revisione non modesta che ha visto, ad esempio, la formalizzazione della presunzione di innocenza: la quale pure, insieme invero al giusto processo e allo ius defensionis, già plasmava l’ordinamento canonico in virtù del diritto divino naturale[96]. Ma ben oltre alla signoria su tale armamentario, è palese come questi riscontri, insidiosamente accavallantisi nella «congiunzione di ordinamenti»[97], presuppongano specialmente e irrinunciabilmente, per adoperare e dominare tale corpus normativo un poco farraginoso, una capacità di discernimento e una sensibilità del tutto peculiari: proprio quelle che conferisce il principio del diritto ecclesiale come primo criterio di riferimento interpretativo[98]. Con tale precetto si è asseverato che non solo il legislatore vaticano deve procedere in impeccabile e solidale coesione con quello canonico, ma tutte le norme prodotte vanno poi, nel delicatissimo momento applicativo, cesellate col regolo affilato fornito dallo ius Ecclesiae: permettendo, così, a quello vaticano di mantenere la stessa direzione, correndo entrambi su binali paralleli, rivolti a un traguardo ontologicamente coincidente. Recidere tale ‘ponte’, per usare una metafora ricorrente in materia[99], arrecherebbe effetti esiziali e pervasivi: anche se qui i ponti si moltiplicano, cementando, peraltro robustamente, l’intera impalcatura, che getta nello ius divinum le sue fondamenta[100].

Esempi lampanti di questo modus procedendi ovvero interpretandi pullulano nelle sentenze del passato prossimo[101]: così in quelle penali pubblicate e che si possono direttamente compulsare e ammirare nell’affascinante squadernamento delle motivazioni[102]. Se si leggono le pronunce stese segnatamente da Dalla Torre[103] e da Bonnet[104] davvero si resta sbalorditi da come il tessuto connettivo entro cui s’innerva e alimenta l’applicazione del diritto vaticano alla fattispecie in giudizio affondi le radici nello ius canonicum,il quale - del resto parimenti al diritto vaticano nell’ordine suo proprio - «contenutisticamente, incarna immediatamente o più frequentemente mediatamente, in via deduttiva o più spesso determinativa, una prescrizione di diritto divino: “veritas et non auctoritas facit legem”»[105]. Se si scorrono poi le citazioni dottrinali che le punteggiano - una ‘stranezza’ invero ai nostri occhi, ma con modelli famosi nell’ordinamento canonico, quale quello rotale -, meraviglia la loro pertinenza; non sono rare, altresì, le dotte incursioni - anche queste spaesanti per un giurista secolare[106] - fin nel Corpus Iuris Canonici, nella Summa di San Tommaso e nella canonistica medievale e moderna, ovvero altresì in quella coeva alla codificazione piano-benedettina. Citazioni mai ad pompam[107], a suggello anzi di un’assimilazione e di una frequentazione assidua e non improvvisata dello ius Ecclesiae, pure, diacronicamente, nella sua secolare sedimentazione storica[108]. Entrambi, Dalla Torre e Bonnet, certamente, cultori del diritto ecclesiastico, affinati nel transitare con agilità e senza traumi da un ordinamento all’altro: e soprattutto, essendo il diritto ecclesiastico attitudinalmente interdisciplinare perché vocato a riguardare l’intero sistema giuridico sotto l’angolo prospettico del fattore religioso, in possesso di «adeguate conoscenze nei diversi settori della juris-prudentia (costituzionale, civile, penale, processuale, amministrativo, tributario, internazionale, diritto dell’Unione Europea ecc.)»[109]. Ma erano precipuamente canonisti finissimi[110], in grado di rendere il diritto canonico l’enzima per far possentemente fermentare il loro munus interpretativo e applicativo in ogni causa. E, assai indicativamente, questa loro inclinazione professionale di optimi interpretes iuris canonici li esortava prima di tutto ad autolimitare ferreamente il raggio della loro stessa potestas iudicandi laddove intravvedessero il difetto della giurisdizione vaticana: la quale, quindi, sulla soglia delle res Ecclesiae irremovibilmente si arrestava e ligiamente arretrava[111].

Tale diuturno zelo, che altrove ho doviziosamente recensito[112], ci riporta alla nostra quaestio: infatti, già eccepivo e ancora ribadisco, nella legislazione di questi anni non scarseggiano zone grigie, ma anche incongruità, discrasie, stridori, forzature[113]. E resto pure graniticamente ferma nell’idea che la rimozione di ogni diaframma tra ordinamento vaticano e ordinamento canonico sia, poiché foriera di pericoli, opzione da maneggiare con oculata cura per non intaccare il coriaceo baluardo alle prerogative di libertà della Santa Sede, quale organo presiedente la Chiesa universale, che il Vaticano in sé stesso materializza[114]: che debba essere, insomma, parcamente distillata. Magari è vero che, se ci si inoltra diligentemente nei meandri involuti di quest’intricato amalgama di ‘fonti’ e crocevia di ‘titolarità’ e si riesce ad afferrare il filo d’Arianna che consente di orizzontarsi senza titubanze, dipanando la matassa con acribia e puntiglio, si perviene a disamine di apprezzabile e lodevole purezza cristallina. Eppure, anche chi attinge tale invidiabile meta, non può tacere, oltre alla persistenza di qualche residuale e ineliminabile scricchiolio e non dissimulabile incrinatura, la complicazione un poco astrusa dell’architettura imbastita, con l’alea non troppo improbabile che interpreti maldestri o poco avveduti - o anche, talora, più o meno larvatamente ostili - possano farla vacillare, se non disastrosamente franare: non potendo quindi esimersi, al cospetto di una «linea di confine […] sempre più debole e incerta»[115], dall’invitare alla circospezione e al prudente ‘self-restraint’ allo scopo di non «indebolire la barriera di separazione tra i due ordinamenti»[116] in misura eccessiva e indomabile, con effetti perversi e nefandi per la Sede romana.

Insomma, i rischi che avevo precedentemente segnalato con allarme non sono, a tutt’oggi, da sottovalutare. Non solo quelli, sui quali già mi sono diffusa, ab extra[117]: qui, incuneandosi in artificiose anfibologie tra Santa Sede e Stato della Città Vaticano, si sono talora capziosamente stravolte le interferenze ordinamentali e travisata la dilatazione della giurisdizione vaticana per tentare di condizionare bellicosamente il diritto della Chiesa e di coartare altresì la sua libertà di magistero pastorale e spirituale verso l’universale societas baptizatorum[118]. Ma anche ad intra le non irrisorie difficoltà insite nella decifrazione di un non semplice coordinamento normativo reclamano mani dotate di collaudata perizia che sappiano ponderatamente gestire tale reticolo impalpabile ma così diramato oltre che, come riscontrato, in via di incontenibile estensione.

Tra l’altro, in questi lustri, in concomitanza all’avvinghiarsi normativo dei due ordinamenti, è divenuta sempre più frequente - in secca controtendenza rispetto a un passato non troppo remoto[119] - anche una mescolanza a livello di istituzioni[120] che, inquadrate nello Stato oppure nella Curia romana, vantano attribuzioni promiscuamente su organismi canonici e su organismi della Città del Vaticano ed enti dipendenti. All’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF)[121], collegata con la Curia romana[122] e con personalità giuridica canonica pubblica e civile vaticana, e al Comitato di Sicurezza Finanziaria (Co.Si.Fi.), organismo misto nella composizione e nelle incombenze[123], si sono poi in particolare sommati, a seguito del motu proprio Fidelis dispensator et prudens del 24 febbraio 2014[124], tre organismi economici - il Consiglio per l’economia, la Segreteria per l’economia e l’Ufficio del Revisore generale - che, secondo anche quanto ragguagliano i rispettivi statuti[125], espletano i loro compiti, pur con qualche differenza, su enti canonici e vaticani: nonostante qui, invero, si capovolga la ‘cinematica’, per così dire, dell’espansione di un ordinamento nell’altro che sopra ho tratteggiato[126]. Si fomenta in tal modo una miscela e un’ibridazione che si erano guardingamente rifuggite in precedenza, allorquando dominante era «la scrupolosa cautela di tener distinti gli ordinamenti statuale e canonico e, soprattutto, le autorità di governo e le rispettive strutture incardinate nella Curia romana o nello Stato della Città del Vaticano»[127]. E tuttavia, a queste latitudini, qualche impasse non lieve deve essere stata registrata poiché pare si sia addivenuti recentemente a una brusca inversione, per quanto non ancora corredata da chiose ufficiali: e infatti la costituzione apostolica Praedicate Evangelium[128] omette di annoverare, per leIstituzioni curiali competenti in materia economica (artt. 205-227) - tra cui i tre organismi suddetti -, mansioni che involgano le amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano o le istituzioni vaticane. È vero che la costituzione concerne la Curia romana, eppure il dato potrebbe non essere irrilevante. Occorre aspettare che la cornice sia chiarita ed eventualmente rifinita con gli emendamenti da apportare agli statuti[129]: ma in questo ‘dietrofront’ che certamente parrebbe involvere, secondo il suo prefetto, il Consiglio per l’economia[130] (per gli altri organismi economici urgono puntualizzazioni[131]) si potrebbe scovare una prova che forse, nella frammistione di competenze, qualcosa si è inceppato o ha generato frizioni e inconvenienti, stimolando un repentino revirement. In ossequio, peraltro, ai suggerimenti di non esigua dottrina[132], alquanto titubante e dubbiosa dinanzi a tali combinazioni e fusioni, paventando anche e proprio una filiera di strascichi negativi sull’ufficio del sommo pontefice[133].

Squilla pertanto nitido un campanello d’allarme, il quale ancora una volta non può non allertare sul binomio scorrevole, in una direzione e nell’altra come riscontrato, di ordinamento canonico e vaticano, oramai indivisibile ma di tutt’altro che banale o agevole sbrogliamento. Discontinuità o iati normativi che, però, mai si potrà ambire a diradare facendo leva sugli strumenti, al fondo immancabilmente segnati (e fuorviati) dall’influsso giuspositivista, dei diritti secolari, di quei diritti statuali alla cui categoria quello vaticano inconfutabilmente pertiene: pur nella sua spiccata originalità e pur rimanendo unito con una parentela ‘di sangue’, perpetua e viscerale, per così dire, con lo ius canonicum. Per contro è a quest’ultimo, secondo la strategia lungimirantemente escogitata, o meglio inoppugnabilmente chiarita dalla legge sulle fonti, che è anzitutto - come si è già sottolineato - «rimessa la “competenza” ad individuare il diritto applicabile al singolo caso»[134], colmando poi eventuali lacune ex can. 19 della codificazione[135]: ma soprattutto è sempre il medesimo a manuducere pazientemente l’interprete qualunque sia la norma statuale selezionata[136]. E a fortiori questo deve accadere quando si esce dalle mura leonine o comunque ci si spinge entro la cinta della cittadella fortificata dell’ordinamento canonico stesso: ciò che, come anticipato, forse nel 2008 non si era ancora pronosticato o del tutto prefigurato.

Pure qui un solo esempio particolarmente emblematico è quello che vede i magistrati vaticani giudicare su reati[137] - viepiù dissomiglianti tra loro, spaziandosi da quelli finanziari a quelli di abusi sessuali - commessi da una sequela di persone canoniche, perequate a pubblici ufficiali[138], ‘in occasione dell’esercizio delle loro funzioni’: d’altro canto proprio e solo grazie alla canonizzazione e alla concessione della giurisdizione tali soggetti canonici possono essere perseguiti per attività talora riconducibili a quelle «jure imperii, che di per sé comporterebbero l’immunità rispetto alla giurisdizione statale»[139]. Mi pare palmare, tuttavia, che anche solo stabilire, oltre alla qualifica di pubblico ufficiale, cosa s’intenda per tale esercizio richieda, ancor più della consultazione minuta e della trascrizione pedissequa delle norme canoniche che formalmente lo definiscono - oltre a tutte quelle che dipingono il non elementare ‘organigramma ecclesiale’ -, la percezione sottile delle dinamiche profonde che quelle funzioni forgiano e permeano entro l’ordinamento in cui esse stesse sono state concepite e destinate a essere assolte: eventualmente prevaricando e approfittando altresì delle medesime. E tale ricognizione è imprescindibile, prima ancora che per sindacare sulla fattispecie, per preliminarmente assodare se si possa estrinsecare la giurisdizione vaticana[140]. Ma gli esempi davvero ridondano: nei quali può essere unicamente il diritto canonico a fornire gli ‘occhiali 3D’ per ‘vedere’ a 360 gradi, con un’‘immersione’ nella realtà giuridica che non sia dimidiata e, quindi, sviata e inquinata.

 

5. Perplessità su alcune norme recentemente promulgate

 

Insomma, oggi ancor più che in quel passato ove i canonisti ed ecclesiasticisti che ho sopra rimembrato adempivano laboriosamente il loro ufficio giudicante al servizio dello Stato del papa, si dovrà far leva sull’esegesi canonicamente improntata perché l’ordinamento vaticano possa coagularsi con quella solidità e linearità che tutti s’attendono, dissolvendo ogni aporia: e soprattutto non smarrisca la bussola che sola gli permette di non perdere la rotta. La regola aurea del diritto canonico come primo criterio di riferimento interpretativo si innalza - ne sono convinta - a clausola di sicurezza che è stata stilata expressis verbis dal legislatore vaticano davvero provvidenzialmente: nonostante tale positivizzazione non fosse, a rigore, indispensabile. Perché, a monte, la ratio intrinseca a questo congegno di salvaguardia di una non frangibile compattezza ordinamentale consiste proprio in quel riportare il diritto vaticano - e quindi ogni norma[141] in esso acclusa - nonché lo Stato che di esso si giova al fine strumentale per il quale è stato concepito e per il quale vale la pena perseveri. Così che la ragionevolezza normativa vaticana divenga effigie della rationabilitas canonica[142], e le diversificate eziologie e gli obiettivi delle leggi vaticane (preventivi, repressivi, promozionali…) finiscano per convergere, in ultima istanza, verso quella salus animarum che svetta quale suprema lex del diritto canonico.

Nel paesaggio così pennellato stona clamorosamente e in modo stupefacente che l’art. 8, n. 2, e l’art. 12, n. 2 della nuova legge 16 marzo 2020 n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario[143] protesa a massimizzare la professionalizzazione dei magistrati[144], prevedano - con riguardo al tribunale, «ma, dati i rinvii, dovrebbe essere lo stesso in Corte d’Appello»[145] - che sia tra quelli giudicanti sia tra quelli requirenti «in ogni caso, è assicurata la presenza di almeno un magistrato esperto di diritto canonico ed ecclesiastico». Perché se il richiamo - per nulla scontato, attesi i ‘chiari di luna’ odierni[146] - al diritto ecclesiastico, evidentemente italiano, si giustifica per la circostanza che buona parte delle norme che impiantano l’ordinamento vaticano, a cominciare da quelle contenute nel Trattato lateranense, sono aggregabili appunto al diritto ecclesiastico italiano, l’esserci un solo magistrato provvisto di dimestichezza con il diritto canonico pare francamente ottuso. Questi, infatti, dovrebbe soggiacere a massacranti tours de force, potendo lui solo assicurare nel collegio che la ‘sovraordinazione’[147] normativa dell’«ordinamento canonico» nonché il suo essere provetto ostetrico di ogni ‘parto interpretativo’ non vengano ottenebrati o traditi nel diritto applicato in tutte le cause. Giuseppe Dalla Torre non si era peritato di censurare duramente tale abnormità, replicando ancora una volta come, per ricoprire idoneamente tali incarichi, non si potesse transigere non soltanto sulla padronanza dell’intero plesso normativo canonico - «comprovata» conoscenza peraltro richiesta agli stessi avvocati[148] -, ma, ben più, su una familiarità consolidata, «formata da una lunga consuetudine con il diritto della Chiesa, che ne faccia cogliere in definitiva quello “spirito”, la cui percezione può sola garantire una interpretazione correttamente orientata»[149]: biasimando come sul punto si fosse remissivamente ceduto a raccomandazioni esterne, occhiute oltre che equivoche, perché ignare della «natura peculiarissima di Stato-mezzo, strumentale alla missione della Santa Sede», del Vaticano, nonché delle «situazioni di diritto e di fatto in cui concretamente si trova»[150].

Tra l’altro, è oltremodo eloquente come il pontefice medesimo, dal quale i magistrati tutti sono designati, in premessa della stessa legge ribadisca sonoramente il principio fondamentale consacrato «nell’articolo 1 della Legge N. LXXI sulle fonti del diritto, del 1° ottobre 2008, laddove si afferma che “L’ordinamento giuridico vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo”. È questo un collegamento fondante e prezioso che auspico possa essere sempre più esplorato dagli organi giudiziari di questo Stato, al fine di esprimerne le potenzialità ad esso sottese e che la norma giuridica rimette all’opera dell’interprete». La frase è enormemente sintomatica[151] proprio perché ingiunta quale incentivazione e monito vincolante ai magistrati[152], per pilotarli con fermezza al bersaglio che non devono fallire. Mi sembra che essa ricapitoli in maniera asciutta e scultorea, col ‘piglio’ ancora una volta ‘imperativo’ del legislatore supremo, quanto ho tentato di lumeggiare in queste pagine. Condivido pertanto appieno il rilievo, ancora una volta del mio Maestro, secondo il quale «perché questa disposizione divenga diritto vivente, e non rimanga diritto scritto, è necessario che tutto il collegio, o quantomeno la maggioranza di esso, sia canonisticamente attrezzata»[153]. Egli, poi, a coronamento della sua opinione, si catalizzava non a caso sulle due norme che forse più vividamente di qualunque altra sunteggiano l’irriducibilità dell’ordinamento vaticano agli altri secolari: «Le stesse previsioni della legge sulle fonti del diritto che prevedono - singolarmente, ma proprio su paradigmi canonistici [l’art. 6, Poteri del giudice in materia civile e l’art. 7, Poteri del giudice in materia penale: N.d.A.[154]] - che nel civile come nel penale il giudice possa farsi legislatore[155], assai difficilmente potranno trovare giusta applicazione da parte di un giudice digiuno di diritto canonico. Lo stesso dicasi in tema di applicazione dell’aequitas canonica nella definizione di controversie»[156]. Il ‘verdetto’, quindi, del presidente del tribunale vaticano, pronunciato quando era oramai in pensione, suona tranchant ma ineccepibile.

 

6. Corte di Cassazione vaticana versus Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

 

Del resto, in una circolarità che appare quanto mai suggestiva sempre sullo sfondo dell’inderogabilità del ‘test canonico’ nell’ordinamento vaticano, non va obliato come il vertice della giustizia statuale, la Corte di Cassazione, sia stato ancora una volta[157], nonostante i sussulti attraversati dalla giustizia statuale, conservato strettamente e indissociabilmente avvinto alla Segnatura Apostolica, Supremo Tribunale che presiede apicalmente all’applicazione del diritto canonico nella Chiesa universale. È vero che, a partire dell’ordinamento giudiziario pacelliano, si abbandona lo schema di quello pontificio «istituendo, ad instar dell’ordinamento italiano, due organi nuovi la Corte d’Appello […] e la Corte di Cassazione»[158], abradendo ogni «commistione [..] tra organi canonici ed organi vaticani[159], in quanto non è la Segnatura Apostolica ad essere costituita come giudice di ultimo grado, ma è solo l’appartenenza alla Segnatura Apostolica che costituisce il requisito soggettivo per essere nominati giudici della cassazione vaticana»[160]. Ma, pur nella distinzione, una connessura, e non affatto labile, resta. Infatti, come noto, la Cassazione vaticana è presieduta dal prefetto della Segnatura che designa per un triennio - e non più solo annualmente[161] - due cardinali membri del medesimo Tribunale[162]: una (parziale) ‘comunione di persone’, per così dire, che non si è voluta troncare neppure nelle ultime riforme[163]. E, come noto, tali cardinali sono «particolarmente esperti in materia giuridica e nell’amministrazione della giustizia»[164]; l’attributo che la Lex propria (art. 1 § 2) domanda per i chierici[165], l’essere cioè «in iure canonico doctores atque eximia doctrina canonica praediti»[166], non deve ovviamente mancare nei primi: a maggior ragione sotto il regime della Praedicate Evangelium che insiste sulla preparazione e sulla professionalità - commisurata alle materie da affrontare - del personale curiale[167].

Non siamo dinanzi quindi, come si potrebbe frettolosamente arguire, a un arcaico superstite di quella progressiva «emancipazione dal sistema di giustizia del diritto canonico»[168] di quello vaticano, ovvero a un relitto di un’incompiuta secolarizzazione della giurisdizione statuale: una secolarizzazione, tra l’altro, che proprio l’infittirsi dei fili con lo ius Ecclesiae e le inframettenze statuali nell’ordinamento canonico in qualche misura potrebbero far retrocedere[169]. Al contrario, tale cerniera di giunzione, imperniata sull’investitura dei soggetti deputati comunque a giudicare secondo normative statuali[170], mi pare ora, assai più che in passato, risaltare quale limpido specchio e incancellabile testimonianza di quel raccordo assiologicamente ermeneutico con lo ius canonicum di cui si è discorso, per accordare ‘l’antico e il moderno’ nell’ordinamento vaticano[171]. Ciò che riporta potentemente alla ratio stessa dell’esistenza dello ‘Stato del papa’ e, consequenzialmente, delle sue strutture, innestandosi quindi nel suo ministerium servitii: senza tuttavia che questo cagioni un caotico accavallamento delle funzioni, anche quella stessa nomofilattica, rispettivamente, della Segnatura e della Cassazione nei due ordinamenti[172]. Nella Segnatura versus Cassazione riverbera quasi, sia pur traslatamente, in quel legame indissolubile che non scivola però nella confusione[173], l’icona del rapporto tra ordinamento canonico e ordinamento vaticano[174].

Quell’unitarietà della figura del supremo legislatore[175], primigenia fonte - al netto, ovviamente, del diritto divino - che salda inscindibilmente i due ordinamenti si riproduce, sia pur nel modo che si è detto e mutatis mutandis, nell’istanza terminale di giustizia, in qualche misura chiudendo il cerchio nella fase del controllo applicativo di conformità e coerenza. Presidiando, così, costantemente e meticolosamente in apicibus, l’irrinunciabile armonia interiore a un edificio estremamente sofisticato nel suo groviglio avviluppato di norme e giurisdizioni: il quale, senza questo ‘mastice’ adesivo, rischierebbe altrimenti di crollare al primo inciampo esegetico come un fragile castello di carte. È la Cassazione che preserva, dirimendo le questioni di diritto, la corale eufonia interordinamentale, scovando e rettificando le possibili violazioni o erronee applicazioni di norme determinate da ignoranza o non appropriata apprensione di tutte quelle che integrano l’ordinamento vaticano, nonché, per così dire, del senso canonico delle disposizioni applicate, specie quelle eteronome, mutuate e trapiantate: lo ius canonicum, potendo esse provenire da ordinamenti diversi e quindi essere sovente eteroclite e, tra loro, accidentalmente discordi o conflittuali, ausilierà - quasi quale abituale forma mentis[176]- nel raggiungimento della conciliazione e della certezza del diritto, per poter alfine proficuamente soddisfare concrete esigenze di giustizia nell’interesse generale.

Il fatto, poi, che alla Cassazione vaticana sia stata sottratta la competenza a giudicare in via esclusiva i cardinali e i vescovi nelle cause penali fuori dei casi previsti dal can. 1405 del Codex Iuris Canonici[177], assoggettati ora altresì al tribunale, previo assenso del sommo pontefice[178], non inficia in alcun modo il pattern che si è appena disegnato. Esso si àncora oggi[179] solo alla preminenza del diritto canonico, e non certo a caduche sopravvivenze di anacronistici privilegia clericorum - semmai si potesse ad essi la norma abrogata ancorare[180] -, portando a compimento la ‘laicizzazione’, concetto ben diverso da quello di secolarizzazione a cui sopra si è fatto cenno, della giustizia vaticana. Anzi, in quest’ottica, la possibile composizione del collegio giudicante allargata a due giudici applicati[181], anche laici[182], i quali, prima dell’ultima novella, avrebbero dovuto presumibilmente astenersi laddove imputati fossero stati vescovi o cardinali[183], abolisce un elemento di distonia che, sia pur latentemente, affiorava. Anche per loro, però, similmente ai cardinali membri della Segnatura - che nell’assetto giuridico vaticano sortito dalle recenti riforme non potrebbero forse più essere ‘cooptati’ alla carica di giudici cassazionisti solo per tale loro dignità[184] -, è la fidata maestria nel diritto canonico (oltre che ovviamente nelle branche del diritto implicate nella causa de qua[185]) a dover essere (non solo certificata ma) universalmente indiscussa. E non nel diritto canonico inteso normativisticamente, ma in aderenza, anche qui, a quel diagramma ben preordinato e autenticamente pastorale[186] per il quale «l’apparente eterogeneità delle molteplici competenze della Segnatura Apostolica, lungi dall’essere casuale accumulo di funzioni, risponde ad un preciso e proficuo progetto a favore della giustizia»[187]: non, quindi, difesa della legge in se stessa, ma «afin de protéger la justice»[188].

 

7. Epiloghi (interlocutori)

In definitiva, esclusivamente sotto l’insegna unificante e omogeneizzante[189] dell’interpretazione canonicamente contrassegnata si ripristina quell’intrasgredibile compattezza, quella reductio ad unum in grado di permettere che la Città del Vaticano, con il suo diritto e i suoi organi[190], sia «realtà funzionale al munus petrino»[191]. Ogni obnubilarsi o appannarsi di quest’attitudine servente e genuinamente diaconica non può non porre in crisi la permanente sussistenza di questo Stato, che, con tali esorbitanze, finirebbe per negare lo stesso, già evocato, dualismo cristiano[192] per il quale Cesare non deve ingerirsi in quello che è di Dio, l’imperium non deve soggiogare il sacerdotium.

Se infatti per avventura ciò si verificasse e se, dunque, lo Stato - che tale è, per quanto sui generis e per quanto cattolico[193], e proprio per questo informato a quel capitale principio evangelico[194] - col suo diritto comprimesse, fraintendesse, distorcesse lo ius canonicum di cui la Santa Sede si avvale per reggere la Chiesa universale, ciò dovrebbe indurre a lasciar infine ineluttabilmente cadere anche quest’ultimo, pressoché simbolico eppur tangibile e non di rado oneroso, lembo[195]: sospingendo ulteriormente sulla scia della lettura provvidenzialistica della perdita del potere temporale di montiniana memoria[196]. Senza peraltro scandalo né dramma alcuno, non appartenendo esso «minimamente alla essenza della fede cristiana»[197], come ha anche finito per avvalorare - archiviate le primigenie asprezze - l’oltre mezzo secolo di ‘questione romana’. Del resto, un ordinamento vaticano che col suo diritto - e la sua giurisdizione[198] - travalicasse, alterasse, addirittura calpestasse e asfissiasse quello canonico cui prodest, anzi cui bono? Qualora la sovranità e la realizzazione dei fini della Santa Sede fossero scalfite o messe a repentaglio dallo Stato o dal diritto vaticano - il cui scopo non può in alcun modo essere divergente[199] -, per ciò stesso essi risulterebbero depauperati se non proprio spogliati d’ogni ragion d’essere: tanto più se le involuzioni giuridiche fossero in qualche modo subite perché intimate ab extrinseco.

Non è tale, a mio avviso, l’esito che si deve sperare[200], e neppure sospetto che sia mai stato neppure ventilato da chi forse ne avrebbe la disponibilità, come anche altrove ho risolutamente postillato[201]. Ed è anzi proprio per scongiurare questa sfortunata evenienza che ritengo sia stato provvidamente ideato il caposaldo poi trasfuso nell’art. 1, comma 1, della legge sulle fonti con cui ho esordito e adibito a fil rouge dell’esposizione: per impulso del quale si deve continuare con pervicacia nella ricerca di quel bilanciamento tra ordinamenti su cui si sono intessuti i presenti ragionamenti. Essi si intersecano variamente nell’arco degli anni, con corsi e ricorsi di reciproco «allontanamento ovvero di avvicinamento»[202], ma sempre con la precauzione di non vulnerare la distinzione e in rigoroso omaggio alla priorità alla quale il Vaticano è e deve restare comunque subordinato, e quindi alla sua sussidiarietà[203].

Non si può tuttavia concludere senza un’appendice che scenda, per così dire, dall’empireo delle teorizzazioni astratte alla prosaica e usuale prassi giuridica. Perché se il ‘segreto’ si cela nello ius canonicum, parrebbe che ogni preoccupazione circa il futuro normativo vaticano potrebbe diradarsi allorquando la scienza canonistica riacquisisca consapevolezza del suo insostituibile ministero, anche e proprio con riguardo all’ordinamento vaticano, e allorquando, ovviamente, ad essa venga accordata la fiducia che merita. Insieme al recuperato protagonismo del Dicastero per i testi legislativi, per il quale, ‘elevato’ a tale ‘dignità’ con la qualificazione espressa della costituzione apostolica Praedicate Evangelium, si aprirebbe un insolito ruolo, anzitutto, di ‘controllo di conformità canonica della normativa vaticana’, per parafrasare il titolo indovinatissimo di un recente saggio del cardinale Pietro Parolin[204], che mi sembra del tutto in sintonia con quanto ho, sin qui, mirato a dimostrare. Ad esso - ma, soggiungo, con la collaborazione e il sostegno della canonistica, mancando i quali, forse, avrebbe risorse impari al gravoso onere - spetterà previamente appurare, per un versante, la ‘corrispondenza canonica’ di tutte le norme che accedono e fluiscono nell’ordinamento vaticano nonché, ex post, se la loro applicazione avvenga in sinergica consonanza; per l’altro versante, tale organo dovrà accertare l’‘inoffensività’[205] della canonizzazione delle leggi vaticane e se la loro interpretazione non sia ‘canonisticamente cacofonica’: segnalando le antitesi e le intollerabili diastasi con l’ordinamento canonico, in modo che i nodi possano essere sciolti. Non si profilerebbe affatto un’immistione o un’intrusione di un ente canonico nello Stato - eventualmente anche ‘corrodendo’ indebitamente le spettanze della Cassazione vaticana -, in quanto tale ‘consulenza qualificata’ non si tradurrebbe in alcun modo in un atto di governo stricto sensu: essendo, del resto, questo compito di mero supporto già consolidato nella pratica, oltre che uniforme ai lineamenti dell’Istituzione curiale scolpiti dalla Praedicate Evangelium[206]. Si staglia una nuova concordia di possibili ‘discordanze’, questa volta entro il diritto vaticano, che non può non aspirare a toccare «quelle vette dell’aequitas canonica in cui è la perfetta giustizia»[207]: tra l’altro, come altrove ho documentato, l’evocazione dell’equità[208] è reiterata e martellante, senza alcuna ritrosia, sulla ‘bocca’ dei magistrati di questo Stato, quell’aequitas che nihil aliud este quam Deus[209].

Resta un problema, forse, oggi, il problema: quello per il quale il diritto canonico non solo non viene più coltivato e spesso esiliato ai margini dei curricula accademici negli Atenei statali, ma è pure trascurato se non mortificato in Ecclesia. Chi mi frequenta sa che si tratta di una ‘crociata’ da me propagandata con ostinazione da vari anni contro l’estinzione, o meglio per favorire il rilancio del diritto canonico nelle sue tradizionali sedi di insegnamento e di ‘fruizione’[210]; non con petizioni di principio, ma svelando i pesanti danni che l’oblio e l’incuria in cui versa lo ius Ecclesiae provoca[211]: e questo, pur in un mulinare inesausto di leggi canoniche. A proposito, proprio la dimestichezza canonistica ineludibile per maneggiare in maniera appropriata il diritto vaticano è un’ulteriore, l’ennesima, rassicurante conferma di come tale scienza non sia accademico divertissement ovvero orpello puramente culturale da proporre nelle Università: lo attestano, a contrario, le elucubrazioni improbabili sul diritto vaticano - oramai incessantemente sotto il fuoco di fila dei mass media -, di giuristi secolari anche esimi e ferrati in altri horti specialistici, ma sguarniti di nozioni canonistiche quanto meno embrionali. Per contro essa può degnamente e senza pudori fregiarsi dell’agognato ‘bollino’ di disciplina ‘professionalizzante’, ma soprattutto può e deve divenire laboratorio giuridico d’impareggiabile vitalità e fecondità.

Sulla stessa lunghezza d’onda, in un contributo edito all’indomani della promulgazione della vigente legge sulle fonti, con grande sagacia si presagì, nella configurazione dell’ordinamento canonico come primo criterio di riferimento interpretativo, un caloroso“invito alla canonistica per confrontarsi sull’intero campo della esperienza giuridica senza arroccarsi su tematiche specificamente ecclesiastiche”[212]: forse tale incoraggiamento non è stato ancora appieno abbracciato ed energicamente attuato. Eppure, se non si è coscienziosamente muniti di questo insurrogabile bagaglio davvero maieutico, le più ardite geometrie normative radicate negli equilibri raffinati tra ordinamenti e diritti possono rovinosamente frantumarsi sull’incudine della quotidiana vita associata. Non solo facendo un grave torto alla giustizia che scevera il bene dal male, il lecito dall’illecito[213], la «giustizia giusta, sostanziale, non meramente formale, come postula in maniera intransigente quell’ordinamento canonico, base dell’ordinamento vaticano, il quale da secoli pretende che il magistrato all’atto della decisione “solum Deum prae oculis habens”»[214]: ma si minano altresì i pilastri portanti dello Stato che per quasi un secolo ha ottimamente servito la Santa Sede e la libertas Ecclesiae nel perseguimento di quel bonum publicum, la salus uniuscuiusque animae[215], entro il quale finiscono per collimare, in esso sublimandosi, fini solo apparentemente autonomi e autoreferenziali.

 

 

Abstract (ENG): The essay focuses on the many implications of the legislative provision that was made explicit in the 2008 Vatican City State law on the sources of law, according to which ‘canonical legal system’ is ‘the first principle of interpretation’. Based on what also emerges in light of the latest legislative developments, such provision proves to be the beating heart of a juridical system in which canon law and Vatican City State law are closely intertwined, thus turning out as an overseeing and irreplaceable guardian of its unity.

 

Keywords (ENG): Vatican City State, Holy See, canon law, Vatican City State law, jurisdiction.

 


*Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (geraldina.boni@unibo.it).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review e costituisce il testo, ampliato e arricchito dell’apparato bibliografico, della relazione al convegno Il diritto vaticano, svoltosi a Roma il 20 ottobre 2022 presso la Libera Università Maria Santissima Assunta.

[1] Preciso subito che, salvo specifica puntualizzazione caso per caso, userò indifferentemente l’espressione «diritto canonico» (ius canonicum) e «diritto ecclesiale» (ius Ecclesiae) per non complicare eccessivamente i ragionamenti, nella consapevolezza tuttavia che alcuni Autori con «diritto ecclesiale» intendono riferirsi all’intero ordinamento della Chiesa, nella sua componente divina e in quella umana, e riservano la locuzione «diritto canonico» con riferimento solo a quest’ultima.

[2] V. G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, in Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, a cura di G. Dalla Torre - G. Boni, Torino, 2014, pp. 11-152.

[3] V. G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., specialmente p. 90 ss.

[4] Cfr. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1952, p. 134. Lo ricorda recentemente G.P. Milano, La conformazione del diritto vaticano al diritto internazionale, in 1929-2019 Novant’anni di rapporti tra Stato e confessioni religiose. Attualità e prospettive, a cura di M. d’Arienzo, Supplemento Rivista Diritto e religioni, XV, 1 (2020), pp. 90-91: «risalente autorevole dottrina aveva rilevato, in sede di teoria generale del diritto, come lo studio delle fonti costituisca per tutti gli ordinamenti non solo la chiave per valutare i fatti o gli atti dai quali scaturiscono le norme giuridiche, ma ben più per comprendere, lo affermava Hans Kelsen, “anche tutte quelle idee che effettivamente influenzano gli organi che creano il diritto, ad esempio, norme morali, principi politici, dottrine giuridiche, opinioni di giuristi, ecc.”».

[5] Cfr. Benedetto XVI, legge n. LXXI sulle fonti del diritto, 1° ottobre 2008, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXIX (2008), pp. 65-70. Si veda il commento di J. Landete, Las fuentes del derecho vaticano. Comentario legislativo de la nueva Ley LXXI de fuentes del derecho de 1 de octubre de 2008, in Ius canonicum, XLIX (2009), p. 636: «El tratado sobre las fuentes del Derecho constituye uno de los más importantes para comprender correctamente, no sólo el alcance o eficacia de la norma, sino incluso el sentido de la mens legislatoris, pues en él se refleja el “subconsciente” - permítaseme la expresión - del legislador. Efectivamente, cuando un legislador se regula a sí mismo, dotándose de procedimientos y reservándose materias, está persuadido de la necesidad de proporcionar una mayor seguridad, anticipando la solución a riesgos más o menos aparentes de antinomia o incongruencia, al ordenamiento jurídico que va a construir junto con los demás operadores del Derecho». Sui lavori preparatori della legge cfr. A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, in Iura orientalia, IX (2013), p. 211, nota 16.

[6] Cfr. A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., pp. 217-218: «se è vero infatti che innegabili ragioni di principio giustificano la vigenza del diritto canonico nell’ordinamento statuale vaticano, è tuttavia pure vero che la concreta applicazione del diritto della Chiesa da parte dello Stato discende dalla disposizione positiva dell’art. 1 della nuova legge delle fonti […]. È una scelta sovrana del legislatore statuale, suggerita da evidenti ragioni di opportunità, ma si potrebbe sostenere che non si tratti di una necessità assoluta. […] /Il fondamento giuridico positivo dell’applicazione del diritto canonico nello SCV non solo in ambito ecclesiastico, ma anche in foro secolare, si trova quindi nel rinvio operato dall’art. 1 della legge sulle fonti». Cfr. più ampiamente Id., Le fonti del diritto vaticano, Prefazione di S.E. Mons. G. Corbellini, Città del Vaticano, 2011, p. 108 ss.

[7] Cfr. W. Hilgeman, L’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Origine ed evoluzione, Presentazione di S.E. Mons. G. Corbellini, Città del Vaticano, 2012, p. 211: «L’espressione adoperata nella nuova legge sulle fonti, mediante l’uso del termine “riconosce”, non è casuale. Essa è indicativa di una primazia che è connaturata all’ordinamento canonico in rapporto alle altre fonti statuali. Non è infatti in forza di quanto legiferato che l’ordinamento canonico si pone quale “prima fonte” dell’ordinamento vaticano; in tal senso la legge sulle fonti può solo avere un effetto dichiarativo rispetto alla forza ed al valore normativo di quest’ultimo, limitandosi a riconoscerne il valore di corpus normativo fondamentale» (l’ultima frase in nota: N.d.A.).

[8] P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, in Archivio giuridico, CCXXIX (2009), p. 477, il quale richiamava altresì il pensiero di P.A. D’Avack, Vaticano e Santa Sede, a cura di C. Cardia, Bologna, 1994, p. 178. V. peraltro anche F. Cammeo, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, ristampa anastatica dell’ed. del 1932, con appendici di G. Dalla Torre - P.A. Bonnet - G. Marrone - N. Picardi - G. Boni, Città del Vaticano, 2005, p. 174: «la vigenza nello S.C.V. del diritto canonico non procede da un rinvio, sia pur ricettizio, ma da un rapporto ben più intimo e ben più organico, il quale neppure è suscettibile di classificazione, perché rappresenta un fenomeno unico nel mondo giuridico. /Occorre appena ricordare che il diritto canonico imperante nella Città del Vaticano non è quello solo vigente al momento della creazione del nuovo Stato, ma è anche quello che sia emanato in seguito». P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, Roma, 2020, p. 70, continua a parlare, al riguardo, di «rinvio normativo operato dall’ordinamento vaticano alle fonti canoniche: anche nella legge del 2008 esso è un rinvio mobile (o formale) che consente di tenere conto del diritto canonico attualmente vigente, anche se diverso e posteriore a quello vigente al momento dell’entrata in vigore della norma che dispone il rinvio».

[9] P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, in Ephemerides iuris canonici, LV (2015), p. 343. Cfr. anche Id., Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 477 ss., alla cui ampia trattazione, innervata nel magistero della Chiesa in merito ai rapporti tra ordine temporale e ordine spirituale, rimando.

[10] Invece l’art. 4 della nuova legge sulle fonti del diritto contiene sostanzialmente le stesse riserve materiali al diritto canonico che dettava l’art. 11 di quella previgente. Come rileva P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, in Studi sul diritto del governo e dell’organizzazione della Chiesa in onore di Mons. Juan Ignacio Arrieta, II, a cura di J. Miñambres - B. Ejeh - F. Puig, Venezia, 2021, p. 1446: «il richiamo del diritto canonico ha valore e produce effetti ben al di là delle materie che, in base all’art. 4 […], sono da quello esplicitamente disciplinate, vale a dire: la capacità a compiere qualsiasi atto giuridico dei chierici e dei religiosi, il matrimonio, la prescrizione quanto ai beni ecclesiastici, le donazioni ed i lasciti mortis causa a favore delle cause pie. Il diritto canonico si applica anche nelle materie per le quali vi è comunque una sua competenza esclusiva (per esempio nelle cause riguardanti cose spirituali o annesse alle spirituali, la violazione di leggi ecclesiastiche: can. 1401 del codex iuris canonici). Il diritto canonico, del resto, trova applicazione pure in tutti i casi nei quali esistano lacune dell’ordinamento positivo vaticano». Per un esame dettagliato delle materie riservate al diritto canonico dalla legge sulle fonti del diritto cfr. J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, Roma, 2021, p. 177 ss.

[11] Così recitava l’art. 1 della legge sulle fonti del diritto n. II, 7 giugno 1929: «1. Sono fonti principali del diritto oggettivo nello Stato della Città del Vaticano: /a) il Codex iuris canonici e le Costituzioni Apostoliche; /b) le leggi emanate per la Città del Vaticano dal Sommo Pontefice o da altra autorità da lui delegata, nonché i regolamenti legittimamente emanati dall'autorità competente». Le sei leggi emanate il 7 giugno 1929 vennero pubblicate sullo speciale Supplemento degli Acta Apostolicae Sedis con la data dell’8 giugno (I [1929], p. 5 ss.), entrando in vigore il giorno stesso della loro pubblicazione.

[12] V. le precisazioni di P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 344: «Una simile vigenza del diritto ecclesiale […] non attiene all’intero diritto ecclesiale, neppure nella sua sola componente umana ossia canonica, in quanto concernente l’ordine spirituale disciplinato anche divinamente da altre prescrizioni, ma riguarda unicamente la sfera che, pur relativa a cose immortali, abbia riflessi collegati a cose terrene (“res mixtae”); tuttavia il diritto ecclesiale, nel suo ambito di efficacia vaticana, non è circoscritto, né alla disciplina puramente umana - e tanto meno a quella vigente in un certo periodo di tempo per esempio a quello del richiamo positivamente espresso -, né solamente alla normativa prevista per la Chiesa latina con esclusione di quella vigente per le Chiese orientali cattoliche. /Il Legislatore vaticano - come ad esempio nell’art. 4 della legge sulle fonti - ha comunque voluto additare in modo espresso taluni richiami specifici al diritto ecclesiale. Nondimeno si deve sottolineare che quelle sancite normativamente in modo espresso non sono tutte le fattispecie nelle quali il diritto ecclesiale ha applicazione nello SCV, nel quale invece un simile diritto ha vigenza, considerata la peculiare natura di questo Stato, ogniqualvolta questo sia effettivamente possibile, trattandosi di fattispecie connesse con lo spirituale, e il Legislatore vaticano non abbia disposto altrimenti». Si veda altresì infra.

[13] Cfr. G. Dalla Torre, Aspetti della Giustizia Vaticana, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 20 maggio 2013, p. 5: «Giova notare che il novello legislatore pone come prima fonte normativa l’‘ordinamento canonico’, laddove il legislatore del 1929 faceva riferimento al diritto canonico; in particolare a quello contenuto in specifiche leggi, vale a dire il codice del 1917 e le Costituzioni Apostoliche. Si trattava, a mio avviso, di un riferimento più appropriato dal punto di vista tecnico-giuridico rispetto a quello attuale, perché tra ordinamento vaticano e ordinamento canonico non vi è rapporto di immedesimazione, né l’uno si colloca all’interno dell’altro o viceversa: si tratta invece di ordinamenti distinti, uno esterno all’altro, entrambi originari, chiamati ad organizzare società diverse. È dunque una realtà molto lontana dalla esperienza storica sviluppatasi in Europa tra età medioevale e prima età moderna, quella cioè definita dal diritto comune, laddove diritto romano e diritto canonico entravano nella disciplina della medesima compagine sociale». Non concordo totalmente, peraltro, sull’assoluta originarietà (secondo le invalse classificazioni) dell’ordinamento vaticano: cfr. infra.

[14] P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 58: «L’ordinamento dello SCV […] non può essere considerato “originario” in quanto riceve legittimazione ed esistenza dalla Santa Sede e, tramite essa, affonda le proprie radici nel diritto canonico. Esso non ha pertanto le caratteristiche di un ordinamento “autosussistente”, che si giustifica ex se, né “autosufficiente”, posto che la stessa sovranità della Santa Sede già implica il ricorso ad un ordinamento diverso e superiore rispetto a quello vaticano». Anche se, come accennato, le usuali tassonomie vanno adattate alla situazione specifica.

[15] P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1446.

[16] V. G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, in Winfried Schulz in memoriam. Schriften aus Kanonistik und Staatskirchenrecht, I, a cura di C. Mirabelli - G. Feliciani - G. Fürst - H. Pree, Frankfurt am Main, 1999, p. 160: «al diritto canonico è rimessa la “competenza delle competenze” in materia normativa, nel senso che in esso riposa il criterio distintivo, volto a individuare il diritto applicabile nelle singole fattispecie».

[17] Parla di ‘primato’ del diritto canonico anche G. Dalla Torre, Diritto penale vaticano e diritto penale canonico, in Annali di diritto vaticano 2015, a cura di G. Dalla Torre - P.A. Bonnet, Città del Vaticano, 2015, p. 12.

[18] Rilevavo in G. Boni, Il diritto penale vaticano della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 92: «Invero l’ordine delle fonti del diritto elencato nell’articolo citato non deve essere riguardato rigidamente come regola gerarchica di ‘forza attiva e passiva’ - secondo gli ordinari schemi tecnici cui i giuristi secolari sono adusi - delle enumerate fonti che sono tutte di provenienza sovrana: ma va inteso, semmai, quale designazione dell’ordine tendenziale di applicazione di fonti qualitativamente differenti». V. anche A. Gianfreda, La legge sulle fonti dello Stato Città del Vaticano del 1° ottobre 2008: prime note, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, XVII (2009), 2, pp. 368-369: «Tale osservazione deriva dall’assetto “costituzionale” dello Stato della Città del Vaticano, nel quale l’esistenza dell’autorità suprema del Sommo Pontefice, come Sovrano temporale - oltre che spirituale - esclude che una fonte del diritto possa costituire un limite giuridico alla potestà legislativa del Pontefice. Ciò sarebbe in contraddizione “col carattere assoluto della Monarchia Vaticana”. Mancherebbe del resto un’autorità competente per accertare l’eventuale invalidità di una norma per contrasto gerarchico ordinamentale. Nell’ordine temporale, come in quello spirituale, “Prima Sedes a nemine judicatur”. Alla luce di tale premessa, può essere meglio compresa la portata dell’art. 1 della legge del 2008 che identifica l’ordinamento canonico quale fonte “primaria e principale” e quale “primo criterio di riferimento interpretativo”».

[19] Infatti, come ricorda G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, 2ª ed., Torino, 2020, p. 86, «È evidente che, qualora si tratti di interpretare norme canoniche, si dovrà ricorrere alle disposizioni contenute nel vigente codex iuris canonici, ai cann. 7-22. Qualora, al contrario, si tratti di norme nascenti nell’ordinamento italiano e recepite materialmente dall’ordinamento vaticano, occorre notare che sulla base della Legge sulle fonti del 1929 si dovevano applicare i criteri di interpretazione contenuti nelle Disposizioni sulla legge in generale, di cui al codice civile italiano del 1865, oggetto di rinvio materiale ad opera dell’art. 3 di detta legge. Il criterio interpretativo tuttavia è mutato dopo la Legge sulle fonti del 2008, posto che questa all’art. 1 precisa che il diritto canonico è “il primo criterio di riferimento interpretativo”». Dalla Torre, invero, sin dall’inizio aveva colto l’innovazione di grande rilievo racchiusa in quest’ultima espressione, «potenzialmente produttiva di significative mutazioni dell’esperienza giuridica»: Id., Aspetti della Giustizia Vaticana, cit., p. 11.

[20] Per P. Ciprotti, Appunti di diritto privato vaticano, Roma, 1938, p. 42 ss., qualora si trattasse di interpretare norme vaticane si sarebbero dovuti seguire i criteri posti dalle Disposizioni sulla legge in generale del codice civile italiano, essendo quelle vaticane norme civili e non canoniche; secondo F. Cammeo, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 177 ss., invece, l’interpretazione andava effettuata secondo i criteri fissati dalle norme canoniche, «non solo perché esse, anche se valesse la legge italiana, ne sarebbero in gran parte la esplicazione, ma anche perché la materia, essendo per intiero regolata dal diritto canonico, questo prevale su quello del Regno»: opzione che la legge del 2008 ha espressamente sposato.

[21] Invero J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 9, nell’introduzione, assume proprio l’art. 1, comma 1, della legge sulle fonti come prospettiva a partire dalla quale gli otto capitoli in cui è strutturato il volume si sviluppano.

[22] J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 170.

[23] Per converso, come nota J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 171, «L’accezione della disciplina canonica in questi termini, tuttavia, aggiunge nuove complessità al sistema vaticano delle fonti, se si tiene conto che, negli ultimi decenni, l’ordinamento canonico si è reso più articolato, in ragione della dualità dei Codici ora esistenti (latino e orientale), della pluralità di fonti canoniche di produzione normativa (conferenze episcopali, vescovi diocesani) e del conseguente sviluppo del diritto particolare canonico, innescato dalla teologia sull’episcopato dopo il Concilio Vaticano II. /Il fatto che il riferimento alla disciplina canonica venga fatto in termini di “totalità”, inoltre, comporta logicamente che, “in linea di principio, il ricorso ad altre fonti [abbia] luogo solo per le materie in cui tale diritto non disponga, o per incompetenza, vale a dire nel caso delle materie mere temporales, o per scelta di ordine pubblico, come accade nei casi in cui si dà luogo alla canonizzazione della legge civile (can. 22 CIC)”. Alle fonti di rinvio è legittimo far ricorso, in definitiva, solo dopo aver escluso l’applicabilità delle fonti primarie». Lo stesso Autore, peraltro, di seguito commenta: «Malgrado tutto ciò, però, l’applicazione diretta delle norme generali del diritto canonico al sistema vaticano incontra limini di natura ovvia, sicché talvolta occorreranno norme specifiche vaticane, adeguate alla natura ed alle esigenze di una società statuale, per dare vigenza a principi e criteri del diritto canonico. Dette norme, ed è questo il punto centrale, devono essere non solo rispettose dei principi generali del diritto canonico, ma anche coerenti con esso, perché in tale coerenza si comprendono giuridicamente le specifiche caratteristiche dell’identità propria di questo Stato» (ivi, p. 172).

[24] Cfr., ad esempio, F. Clementi, Città del Vaticano, 2ª ed., Bologna, 2019, p. 103: «la natura disomogenea delle fonti […] ha portato a dinamiche applicative talvolta divergenti che, tuttavia, sono state sempre composte, non soltanto in ragione di un funzionale sistema giudiziario, quanto soprattutto perché i criteri per la risoluzione delle antinomie, in ultima istanza, hanno sempre privilegiato l’intima connessione del diritto vaticano con il diritto canonico».

[25] Infatti, sono rinvenibili varie pronunce in cui palesemente la giurisprudenza vaticana, anche durante la vigenza dell’abrogata legge sulle fonti del 1929, sottolineava «il primato del diritto canonico in sede di interpretazione delle norme, di diversa origine, che compongono l’ordinamento giuridico vaticano»: G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, cit., p. 169 ss. V. infra.

[26] V. la dettagliata disamina di J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 173 ss.

[27] Emblematiche le, notissime, parole di Benedetto XVI, Omelia nella Messa di insediamento alla Cattedra episcopale romana, 7 maggio 2005, in Acta Apostolicae Sedis, XCVII (2005), p. 752: «Il Papa non è un sovrano assoluto il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo». Per quanto la forma di governo dello Stato della Città del Vaticano sia correntemente inquadrata come monarchia assoluta elettiva, il sovrano, benché concentri in sé i tre tradizionali poteri dello Stato, non è legibus solutus, essendo sottoposto allo ius divinum e custode del depositum fidei: si tratta di concettualizzazioni scontate nella canonistica. Sul «ruolo primario ed assolutamente predominante nell’ordinamento vaticano del diritto divino» il rimando obbligato è all’insuperata trattazione di P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 466 ss., ove l’Autore argomenta, come già anticipato, muovendo dall’economia complessiva che, nella visione cristiana e nella dottrina cattolica, correla spirituale e temporale, Chiesa e comunità politica, con declinazione specifica riferita alla peculiarissima realtà dello Stato della Città del Vaticano.

[28] Sul fondamento del diritto vaticano, come del resto di quello canonico, sul diritto divino, rinvio ancora, per tutti, alle riflessioni di G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 78 ss.

[29] Sulla base del fatto che il papa è anche legislatore supremo vaticano P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1449, parlando del controllo di conformità con il diritto canonico di norme vaticane, spiega: «In questo caso occorre necessariamente distinguere tra disposizioni contenute in atti normativi vaticani promananti direttamente dalla suprema autorità, ovvero da disposizioni emanate da altra autorità statale (cfr. art. 3 della legge fondamentale). Perché è più che evidente che il Sommo Pontefice, nella cui persona sussistono sia l’ufficio di capo della Chiesa universale che quello di sovrano dello Stato della Città del Vaticano, può con un proprio atto di volontà porre norme vaticane derogatorie di norme canoniche, le quali viceversa non possono essere modificate o derogate dai soggetti inferiori cui è commessa in via ordinaria o speciale la produzione normativa vaticana. […] Diverso il caso in cui queste autorità operino in attuazione di uno specifico provvedimento pontificio o per espresso mandato del Pontefice […]. In questo caso evidentemente la forza derogatoria del provvedimento normativo vaticano è legittimata dalla stessa autorità che può porre norme speciali o particolari nell’ordinamento canonico, aventi dunque forza di derogare a norme di diritto canonico, particolare o speciale». È sufficiente, invero, al fondo, avere chiari e applicare i criteri che nell’ordinamento canonico e vaticano reggono la gerarchia delle fonti. Non ha molto senso affermare la prevalenza di una legge del legislatore supremo emanata per la Chiesa su quella emanata dallo stesso legislatore per lo Stato vaticano - come fa P. Lillo, Alcune riflessioni sull’ordinamento vaticano, Ricordando il Maestro, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 6 del 2021, p. 41, il quale asserisce che le «fonti canoniche» hanno «un primato normativo che sembrerebbe estendersi - almeno prima facie - nei confronti di tutti gli atti normativi vaticani, compresa (di conseguenza) la stessa “Legge fondamentale” dello S.C.V. (legge 7 giugno 1929, n. I, ora sostituita dalla legge 22 novembre 2000)» -. Le leggi vaticane, sempre se si tratta di disposizioni di uguale livello gerarchico, ad esempio si tratta appunto di ‘leggi pontificie’, e per materie non sottoposte in esclusiva al diritto canonico, prevalgono come diritto speciale; semmai, dovesse emergere un possibile contrasto, varranno i criteri interpretativi di cui sto trattando, incardinati sul diritto canonico. Sulle ‘leggi pontificie’ tra diritto canonico e diritto vaticano si sofferma ampiamente P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 75 ss., p. 189 ss., per il quale peraltro talora potrebbero prevalere le norme vaticane, anche non riconducibili al legislatore supremo, grazie a «valutazione in base al criterio di specialità». Per la prevalenza comunque della (speciale) norma vaticana propria, con il solo limite del diritto divino, si è invece nettamente pronunciato A. Sarais, Le fonti del diritto vaticano, cit., p. 116 ss.; Id., Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 222 ss.

[30] In questo senso J.I. Arrieta, La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano, in Parola - sacramento - carisma. Scritti in onore di Libero Gerosa in occasione del suo 70° compleanno, a cura di L. Bianchi - A. Cattaneo - G. Eisering, Siena, 2019, p. 633, il quale afferma che è il diritto canonico «a fornire all’ordinamento vaticano le proprie tecniche giuridiche come la rilevanza della consuetudine, l’uso della dispensa»; sulla consuetudine che, «in quanto fonte di diritto, ha una sua congruente disciplina giuridica nell’ordinamento vaticano mediante la normativa canonica» cfr. quanto rilevava P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 544 ss.

[31] P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., pp. 1447-1448, distingue al riguardo: «da un lato il caso delle norme cui si conforma l’ordinamento della Città del Vaticano, cioè il diritto internazionale generale e il diritto derivante da trattati ed altri accordi di cui la Santa Sede è parte (art. 1, n. 4, legge sulle fonti del diritto), che evidentemente sottostanno al filtro di non contrarietà al diritto canonico; dall’altro lato il caso delle norme di convenzioni internazionali bilaterali, nelle quali la Santa Sede ha certamente curato il non contrasto con norme di diritto divino e principi generali del diritto canonico. In quest’ultimo caso ricorrerebbe in sostanza il principio ricavabile dal can. 3 del codex iuris canonici, secondo cui “Codicis canones initas ab Apostolica Sede cum nationibus aliasve societatibus politicis conventiones non abrogant neque iis derogant”».

[32] Come spiega J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., pp. 196-197, «Un altro nuovo limite alla ricezione delle norme italiane è costituito “dai principi generali del diritto canonico” che la Legge sulle fonti del diritto richiama come parametro […]. Si tratta dei “generalia iuris principia cum aequitate canonica servanda”, come diceva il can. 20 CIC 1917, che il nuovo Codice canonico riproduce nel can. 19 CIC: un riferimento diverso dal diritto divino, con il quale si vuole individuare, come dice Lombardía, quelle “linee fondamentali che danno ragione delle soluzioni offerte dalle norme canoniche, emerse quale frutto di una elaborazione scientifica”, ed anche come frutto di una tradizione che ha consolidato lungo la storia criteri ispiratori delle diverse branche dell’ordinamento canonico. L’allusione all’equità fatta dai due codici, latino e orientale, come modo di concepire e di applicare tali generalia iuris principia, “deve portare a vedere quale è la giustizia per il caso specifico, tenendo conto delle specifiche circostanze, una giustizia caratterizzata dalla benevolenza e dalla misericordia della Chiesa”». Diversa la posizione di P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 531, secondo cui, conformemente alla sua visione, tali principi non formano un limite sostanzialmente diverso dal diritto divino, nel quale finiscono per ricadere.

[33] J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 173 ss. E più oltre lo stesso Autore ribadisce con riferimento al diritto penale: «il Legislatore vaticano è tenuto ad adeguare la propria produzione normativa ai criteri generali forniti dall’ordinamento canonico, che risultano direttivi sul modo di formulare i necessari accomodamenti legislativi alle relative esigenze sociali. È necessario, infatti, che le disposizioni date dal Legislatore vaticano per lo Stato siano in linea con la disciplina penale prevista dalla Chiesa per lo stesso ambito» (ivi, p. 256).

[34] Segnala, tra l’altro, A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 213: «Questo significa che nella Città del Vaticano la legislazione canonica, ove occorra, può ricevere applicazione coattiva, anche tramite l’autorità dello Stato. /Le norme canoniche vigono quindi come norme statuali e sono passibili di coazione, non solo attraverso il sistema canonico, ricorrendo all’inflizione di pene canoniche o ai mezzi di esecuzione previsti dal CIC, ma anche attraverso il sistema giurisdizionale dello Stato e tramite il ricorso alla forza pubblica. /Trattandosi di diritto vigente a tutti gli effetti nello Stato, i tribunali vaticani di foro secolare (diversi evidentemente dai tribunali ecclesiastici) sono tenuti ad applicarlo, anche attraverso l’emanazione di sentenze che, quali provvedimenti coattivi dell’autorità giurisdizionale, sono portate ed esecuzione se del caso forzosamente e anche contro una volontà difforme dei destinatari. /Dalla diretta applicazione del diritto canonico nello Stato discende anche che, su richiesta della competente autorità ecclesiastica, l’autorità statuale è tenuta a prestare esecuzione coattiva alle sentenze e alle pronunce giudiziarie del tribunale ecclesiastico, come pure agli altri atti e provvedimenti esecutivi diversi da quelli giudiziari emessi dagli organi ecclesiastici in applicazione del diritto canonico. /Questo fenomeno non può essere visto, come si è verificato storicamente in altri Stati, come una semplice assistenza temporale del “braccio secolare” alle sentenze ecclesiastiche: si tratta piuttosto di una esecuzione naturale e normale dei provvedimenti che discende dal ruolo assunto dal diritto canonico nell’ordinamento vaticano».

[35] La vigenza del diritto canonico nello Stato della Città del Vaticano «è anche considerata conseguenza dell’applicazione dell’insegnamento della Chiesa circa i rapporti tra la compagine statuale e quella ecclesiale, come pure del principio della confessionalità dello SCV. /Non vi è dubbio infatti che in uno Stato confessionale, in cui la religione cattolica è l’unica riconosciuta - si potrebbe dire connaturalmente e coessenzialmente - dall’autorità statuale, non può non tenersi conto del Magistero della Chiesa. L’insegnamento tradizionale della Chiesa sui rapporti tra autorità civile e autorità ecclesiastica è quello secondo cui si tratta di due poteri distinti ordinati al benessere della società: lo Stato si deve occupare delle realtà temporali, mentre alla Chiesa spetta la competenza sulle materie spirituali e su quelle miste»: A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 216.

[36] V. A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 215 ss., il quale pure, come sopra ho ricordato, accede ad un’impostazione diversa quanto al fondamento giuridico della vigenza del diritto canonico nell’ordinamento statuale, ricondotta ad una scelta sovrana del legislatore vaticano, aggiungendo altresì: «Se anche l’ordinamento statuale vaticano non prevedesse in termini espressi il diritto canonico tra le sue fonti, la conseguenza non sarebbe che esso non troverebbe applicazione nello SCV, quanto piuttosto che la sua vigenza (e la sua eventuale esecuzione coattiva) sarebbe limitata al solo ambito ecclesiastico, senza interessare direttamente le autorità e gli organi dello Stato. Non sembra che una situazione di questo genere - sebbene poco opportuna da un punto di vista pratico - sarebbe tuttavia in grado di snaturare l’essenza stessa dello SCV. Né tanto meno l’applicazione del diritto canonico come fonte del diritto dello Stato potrebbe derivare da una concezione metagiuridica dell’ordinamento vaticano, ove la vigenza in ambito statuale delle norme canoniche sarebbe una necessità connaturale alla sua stessa essenza» (ivi, p. 217). Tale impostazione, peraltro, lungi dal sovvertire la ‘gerarchia di importanza’ tra i due disposti che compongono l’art. 1, comma 1, della legge sulle fonti, finisce a mio avviso per corroborarla. Tra l’altro, se è vero che «l’applicazione del diritto canonico incontra anche nello SCV un limite, per così dire naturale: trattandosi infatti del diritto della Chiesa cattolica, in quanto tale, si rivolge direttamente solo ai suoi membri, e pertanto, almeno nella sua configurazione meramente ecclesiastica, trova applicazione immediata solo nei confronti dei battezzati» (ivi, pp. 221-222): questo limite è insussistente per il diritto canonico come primo criterio di riferimento interpretativo.

[37] V. A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 219 ss., che in seguito si sofferma sui casi nei quali la normativa canonica assume rilievo nello Stato della Città del Vaticano; cfr. anche ivi, p. 224 ss., ove si ridimensiona la portata della prescrizione secondo la quale l’ordinamento canonico è la prima fonte normativa.

[38] Ad esempio, parla di «accentuazione della dimensione statualistica» «che porterebbe l’ente territoriale a prevalere sull’ente spirituale» e di «rafforzamento della dimensione temporale dello SCV», C. Ventrella, Norme vaticane e “canonizzazione”: duttilità del sistema tra dimensione dualistica e tutela degli interessi, in Il diritto come “scienza di mezzo”. Studi in onore di Mario Tedeschi, IV, a cura di M. d’Arienzo, Introduzione di F.P. Casavola, Presentazione biografica di A. Fuccillo, Cosenza, 2017, rispettivamente p. 2435, asterisco iniziale, pp. 2439-2440, e p. 2442.

[39] V., per tutti, quanto pone in luce G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., specialmente p. 168 ss.

[40] G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 260. Sulle «preoccupazioni della Sede Apostolica per il bene comune in un mondo globalizzato» come impulsi ai provvedimenti legislativi, canonici e vaticani, degli ultimi anni cfr. quanto lo stesso Autore osservava in La nuova normativa vaticana sulle attività illegali in campo finanziario e monetario, in Ius Ecclesiae, XXIII (2011), pp. 109-116.

[41] Per il testo di tale convenzione v. Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 4 febbraio 2010; Convenzione monetaria tra l’Unione Europea e lo Stato della Città del Vaticano, 17 dicembre 2009, in Acta Apostolicae Sedis, CCII (2010), pp. 60-65; tale convenzione rinnovava quella firmata anteriormente con l’Italia, per conto della stessa Unione: cfr. Convenzione monetaria tra la Repubblica italiana, per conto della Comunità Europea, e lo Stato della Città del Vaticano e per esso la Santa Sede, 29 dicembre 2000, in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 25 ottobre 2001.

[42] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. CXXVII (concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo), 30 dicembre 2010, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXI (2010), pp. 167-201.

[43] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. CXXVIII (sulla frode e contraffazione delle banconote e monete in euro), 30 dicembre 2010, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXI (2010), pp. 203-213.

[44] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. CLXVI, 24 aprile 2012 (di conferma del decreto del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, n. CLIX, con il quale sono promulgate modifiche ed integrazioni alla legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo del 30 dicembre 2010, n. CXXVII), in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIV (2013), pp. 77-108.

[45] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. XVIII (recante norme in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria), 8 ottobre 2013, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIV (2013), pp. 233-296.

[46] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. CCXLII (recante modifiche alla legge n. XVIII in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria, dell’8 ottobre 2013), 19 giugno 2018, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIX (2018), pp. 89-101.

[47] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. VIII (recante norme complementari in materia penale), 11 luglio 2013, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIV (2013), pp. 77-108.

[48] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. IX (recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale), 11 luglio 2013, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIV (2013), pp. 109-131. Si veda, per una ricostruzione aggiornata, J.I. Arrieta, Introduzione, in Codice penale vaticano, Prefazione del Cardinale P. Parolin Segretario di Stato, Redazione e indici di M. Luisi, Città del Vaticano, 2020, pp. 7-27. Ma per un quadro completo comprensivo degli ultimi interventi (ad oggi, la legge n. CDLXII recante norme contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti del 16 dicembre 2021, e le leggi n. DXXXI - recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale - e n. DXXXII - raccolta di prove dichiarative all’estero mediante collegamento audiovisivo -, sempre della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano del 6 settembre 2022) si consulti il sito www.vaticanstate.va; si veda infine G. Pignatone, Il diritto penale vaticano, in corso di pubblicazione nel volume di raccolta degli atti del convegno Il diritto vaticano, svoltosi a Roma il 20 ottobre 2022 presso la Libera Università Maria Santissima Assunta, p. 15 ss. del dattiloscritto, il quale peraltro si sofferma su ulteriori leggi in questa trattazione non menzionate.

[49] V. Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, legge n. X (recante norme generali in materia di sanzioni amministrative), 11 luglio 2013, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXXIV (2013), pp. 133-144.

[50]  Sulle problematiche insorte nel tempo, quanto all’attività giudiziale, per l’intrecciarsi tra ordinamento canonico e ordinamento statale, tra foro ecclesiastico e foro vaticano v., per tutti, G. Dalla Torre, L’attività giudiziale nello Stato della Città del Vaticano e la legge fondamentale, in Ius Ecclesiae, XIII (2001), p. 347 ss.; N. Picardi, Nell’ottantesimo anniversario della giurisdizione vaticana, in Studi in onore di Giovanni Giacobbe, I, Teoria generale, persone e famiglia, a cura di G. Dalla Torre, Milano, 2010, p. 171 ss.; Id., Alle origini della giurisdizione vaticana, in Historia et ius, Rivista telematica (historiaetius.eu), n. 1 del 2012, specialmente p. 36 ss. Osservazioni anche in P. Grossi, La toga e la tiara. Su alcuni problemi, antichi e recenti, in tema di amministrazione della giustizia nell’ambito della Santa Sede e nell’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano, Modena, 2018; R. Turrini Vita, Il sistema giudiziario vaticano dopo le riforme dei pontefici Benedetto XVI e Francesco, in La riforma della Curia in cinque anni di pontificato di Papa Francesco, a cura di D. Leone - I. Sassanelli, Bari, 2018, pp. 33-50.

[51] V. ancora, per tutti, G. Dalla Torre, L’ordinamento giudiziario, in 1929- 2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, a cura di B. Jatta, Città del Vaticano, 2009, p. 135 ss.; Id., Aspetti della Giustizia Vaticana, cit., p. 9 ss.; nonché Id., Lezioni di diritto vaticano, cit., ove l’Autore sintetizza i passaggi dell’evoluzione dell’ordinamento giudiziario vaticano, a partire dai problemi nascenti dall’originale stesura della legge fondamentale del 1929 («Il nodo era costituito dal fatto che se da un lato si poneva la necessità di distinguere, a norma dei principi ispiranti l’ordinamento canonico, il foro ecclesiastico dal foro statale; dall’altro lato le competenze dell’uno e dell’altro finivano fatalmente per intrecciarsi e compenetrarsi in un ordinamento, come quello vaticano, che non è separato dall’ordinamento canonico ma che è invece integrato dalle norme del diritto canonico. Più precisamente il problema era di distinguere chiaramente gli organi giudicanti a seconda di cause riservate iure proprio et exclusivo al giudice ecclesiastico [can. 1553 codice canonico del 1917], di cause riservate al giudice ecclesiastico in ragione del privilegium fori a favore di ecclesiastici o religiosi [can. 120 § 1], di cause meramente secolari; e ciò, mantenendo al contempo integro il principio dell’unicità della giurisdizione nell’ordinamento vaticano»: ivi, p. 116), fino in particolare alle riforme del 1987 (il motu proprio Quo civium iura di Giovanni Paolo II del 21 novembre 1987, in Acta Apostolicae Sedis, LXXIX [1987], pp. 1353-1355 e, della stessa data, la legge che approva l’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, emanata dal segretario di Stato in virtù dei poteri attribuitigli dal pontefice con il chirografo Le sollecitudini crescenti del 6 aprile 1984: per il testo della legge cfr. Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LVIII [1987], pp. 46-50; per il chirografo cfr. Acta Apostolicae Sedis, LXXVI [1984], pp. 495-496). Un’ottima sintesi dei mutamenti dell’organizzazione giudiziaria vaticana in J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 148 ss., ove altresì si dimostra come sia stata «l’evoluzione dell’ordinamento canonico […] a smuovere le principali cause dell’impasto tra elementi statuali e canonici, presenti sin dall’inizio nell’ordinamento giudiziario vaticano» (ivi, p. 151). Più ampiamente, su foro ecclesiastico e foro vaticano, si veda N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, Bari, 2009, p. 103 ss.; e W. Hilgeman, L’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Origine ed evoluzione, cit., p. 128 ss.

[52] G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, cit., p. 162, alla cui illustrazione rinvio (cfr. pp. 163-164, con particolare riguardo alle rappresentanze pontificie). P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 44, puntualizza, ad esempio: «La distinzione tra le diverse ipotesi di possibile azione internazionale della Santa Sede per il tramite della Segreteria di Stato rileva in modo decisivo in riferimento all’ambito soggettivo degli effetti che tale azione produce. Quando la Santa Sede obbliga direttamente se stessa, infatti, gli obblighi scaturenti dalle convenzioni (tra cui anche quelli di cooperazione giudiziaria internazionale) riguarderanno principalmente la Curia Romana. Quando invece la Santa Sede impegna solo lo SVC e non anche se medesima, gli effetti convenzionali interesseranno gli organi dello SCV, senza estendersi alla Curia Romana. Una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale in questi casi, dunque, interesserà le competenze che rientrano nella giurisdizione degli organi giudiziari vaticani, senza coinvolgere anche le competenze relative alla giurisdizione canonica (quali, ad esempio, quelle della Congregazione per la Dottrina della Fede nelle ipotesi di delicta graviora)». Ma ci si deve chiedere se questa sottile distinzione sia sempre correttamente percepita all’esterno. Sul travisamento del rapporto tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano ab extra mi sono diffusamente soffermata in G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, in Jus. Rivista di scienze giuridiche a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, LXVI (2019), 2, pp. 45-89; Ead., Recenti evoluzioni dell’ordinamento giuridico vaticano: in particolare i rapporti con l’ordinamento canonico, in Santa Sede e Stato della Città del Vaticano nel nuovo contesto internazionale (1929-2019), Atti del Convegno, Roma, Università LUMSA, 7 febbraio 2019, a cura di M. Carnì, Roma, 2019, pp. 31-82.

[53] V. peraltro alcune considerazioni di S. Carmignani Caridi, Curia Romana, enti canonici operanti nello Stato della Città del Vaticano o negli immobili “immuni”, enti vaticani. Incerti confini e rapporti con il Giudice dello Stato italiano, in Recte sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, II, a cura di G. Boni - E. Camassa - P. Cavana - P. Lillo - V. Turchi, Torino, 2014, pp. 797-830.

[54] Invero, come ricorda P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., pp. 88-89, è talora «accaduto che con una legge vaticana approvata dalla Pontificia Commissione per lo SCV siano stati disciplinati diritti o poteri della Santa Sede o attribuite funzioni a organi o Istituzioni di Essa. /È quanto si è verificato con la Legge N. CXCVII sulla protezione del diritto di autore sulle opere dell’ingegno e dei diritti connessi, del 1° settembre 2017. […] /Un altro caso di “anomalia legislativa” può essere ravvisato nella recente Legge N. CCXI in materia di registrazione e di vigilanza degli enti senza scopo di lucro, del 22 novembre 2017».

[55] E il diritto vaticano è diritto secolare: per questo potrebbe risultare ambiguo il titolo del volume Diritto vaticano e diritto secolare. Autonomia e rinvii tra ordinamenti giuridici, a cura di R. Granata - F.S. Rea, Città del Vaticano, 2020.

[56] V. A. Sarais, Recenti modifiche al sistema penale e amministrativo dello Stato della Città del Vaticano: una prima lettura, in Ius Ecclesiae, XXVI (2014), pp. 165-166: «L’applicazione della legge vaticana assume uno specifico rilievo nei confronti di tutti gli organismi estranei in senso stretto agli organi dello Stato e afferenti invece alla Santa Sede o alla Curia Romana, quando questi - come il più delle volte accade - si trovano al di fuori dei confini dello SCV. Infatti per il principio della territorialità della norma penale, proprio di qualsiasi ordinamento statuale, non c’è bisogno di alcuna estensione perché la legge dello Stato sia applicabile a tutti coloro che commettono un reato all’interno dei confini dello Stato, si tratti di cittadini o stranieri o - in questo caso - di persone che svolgono il proprio ufficio a servizio dello SCV o piuttosto della Santa Sede o di altro ente. […] La portata innovativa operata dai Motu proprio citati, da quello di Benedetto XVI del 2010 a quelli di Papa Francesco del 2013, consiste essenzialmente nel dilatare il principio di territorialità, estendendo la soggezione alla legge penale vaticana - e alla giurisdizione dei relativi organi giudiziari - anche oltre i confini dello Stato, nei confronti di soggetti che operano per la Santa Sede, ma fuori del territorio vaticano». Si pone tuttavia anche il problema di superare l’immunità nascente dal poter essere persone ed enti canonici espressioni della sovranità della Santa Sede.

[57] Ha parlato per primo di ‘ultrastatualità della giurisdizione’, in specie penale, N. Picardi, già promotore di giustizia presso il Tribunale vaticano, nella Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario tenuta il 15 gennaio 2011 (Città del Vaticano, 14 gennaio 2012, passim). Cfr. anche Id., Manuale di diritto civile, 3ª ed., Milano, 2013, p. 28 ss.

[58] Ad esempio, su atti o fatti in immobili godenti della extraterritorialità, riguardo ai quali, osservava G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 198, «Proprio perché si tratta di immobili considerati come insistenti sul territorio dello Stato italiano, la legge ivi vigente è la legge italiana, così come la giurisdizione. Un reato commesso in un immobile extraterritoriale non è considerato come commesso all’estero, ma in Italia, in base alla legge penale italiana e rientra - in linea di principio - nella giurisdizione italiana. La garanzia […] è che gli agenti della forza pubblica non possono penetrare nell’immobile, né tantomeno procedere alla cattura del delinquente, a perquisizioni, a requisizioni, né alla adozione di misure di sequestro o di esecuzione. Per procedere a ciò occorre il consenso della Santa Sede», aggiungendo altresì in nota: «Ma […] in alcuni casi può esservi concorrenza della giurisdizione vaticana, in ragione della ultraterritorialità conferita a questa da parte di provvedimenti della suprema autorità dello Stato vaticano». Sui problemi che potrebbero insorgere, specie quanto all’esercizio della giurisdizione penale, si vedano i puntuali e del tutto condivisibili rilievi di P. Cavana, L’extraterritorialità tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, in corso di pubblicazione nel volume di raccolta degli atti del convegno Il diritto vaticano, svoltosi a Roma il 20 ottobre 2022 presso la Libera Università Maria Santissima Assunta, specie p. 8 ss. del dattiloscritto.

[59] V. in particolare G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 61 ss., ove anche replico ad alcune obiezioni.

[60] V. le ineccepibili argomentazioni di G. Dalla Torre, Il diritto penale vaticano tra antico e nuovo, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, XXII (2014), 2, p. 455 ss.

[61] J. Miñambres, Riorganizzazione economica della Curia romana: considerazioni giuridiche “in corso d’opera”, in Ius Ecclesiae, XXVII (2015), p. 150.

[62] Cfr. J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 252: «Più che di “canonizzazione” della norma civile, con la conseguente “ricezione” nell’ordinamento canonico, in queste circostanze si è determinato un ampliamento dell’ambito di efficacia della legislazione civile dello Stato in ambiti che prima erano principalmente sottoposti al diritto canonico». Subito dopo l’illustre canonista afferma pure che con provvedimenti pontifici dati motu proprio si è «estesa l’obbligatorietà delle norme statuali all’intero ambito di tutti gli organismi dipendenti dalla Santa Sede». Al proposito mi permetto altresì di rinviare a G. Boni, La rilevanza del diritto dello Stato nell’ordinamento canonico. In particolare la canonizatio legum civilium, Milano, 1998.

[63] V. per converso G. Boni, La rilevanza del diritto dello Stato nell’ordinamento canonico. In particolare la canonizatio legum civilium, cit., p. 169 ss., ma passim. Cfr. anche G. Dalla Torre - G. Boni, Conoscere il diritto canonico, Roma, ristampa del 2009, p. 132 ss.

[64] V. G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 52 ss., ove anche citazioni di ulteriore dottrina sull’argomento.

[65] V. Benedetto XVI, motu proprio La Sede Apostolica (per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario), 30 dicembre 2010, in Acta Apostolicae Sedis, CIII (2011), pp. 7-8.

[66] V. J.I. Arrieta, Legami inter-ordinamentali recenti tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano in materia sanzionatoria e di controllo finanziario, in Ephemerides iuris canonici, LV (2015), p. 312: «Il sistema penale introdotto con queste ultime tre norme è ora […] di applicazione generale all’intero ambito della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, sia nei confronti delle persone fisiche che delle persone giuridiche, avendo ricevuto i giudici del tribunale civile vaticano la giurisdizione a ciò necessaria».

[67] Come riferisce J.I. Arrieta, L’interazione tra norme canoniche e norme statuali nell’ordinamento vaticano, in Santa Sede e Stato della Città del Vaticano nel nuovo contesto internazionale (1929-2019), cit., p. 159: «Di fatto, per venir incontro alle esigenze di vigilanza degli enti senza scopo di lucro con sede nello Stato, che spesso sono persone giuridiche canoniche, venne successivamente predisposta la legge CCXI, del 22 novembre 2017, che affida detto compito alla Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, e anche al controllo dell’AIF e dell’Ufficio del Revisore generale negli ambiti di rispettiva competenza».

[68] Giudizio nettamente positivo esprime P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 152, per il quale tale motu proprio abbandona la tecnica«in sé farraginosa e limitativa per materie suscettibili di continue e frequenti rivisitazioni, per adottare la tecnica di un rinvio non più nominativo ma in relazione a materie determinate»: ma è proprio su quel ‘determinate’ che si concentrano le criticità, essendo la precisa identificazione non semplice, moltiplicando, insieme alla canonizzazione delle leggi vaticane, le incertezze sui confini della canonizatio medesima. Più oltre lo stesso Autore, a proposito del medesimo provvedimento, afferma che si consente «un adeguamento di carattere automatico del diritto canonico alle modifiche del diritto vaticano, beninteso sempre nei limiti delle materie (economico-finanziarie) tassativamente individuate all’art. 1 del Mp La promozione» (ivi, p. 223): anche qui nascono perplessità sulla ‘tassatività’ dell’individuazione, tenendo poi conto che si potrebbe finire per involvere altresì l’ambito penale.

[69] Oltre che, come si è già notato, non avere confini territoriali con riguardo ai soggetti vincolati. Come sottolinea P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 354, «con i ricordati provvedimenti pontifici talune importanti normative penali vaticane hanno vigenza - anche se in riferimento solo a determinate persone - in ambiti territoriali per i quali altrimenti non la avrebbero, non soltanto contigui allo Stato, come per lo più è il caso dei reati commessi nell’esercizio delle funzioni curiali romane, ma anche in zone molto lontane come può accadere in connessione con la perpetrazione di fattispecie criminose poste in essere da diplomatici della Santa Sede nell’attuazione delle loro mansioni». Segnala i problemi del possibile concorso di giurisdizioni tra i giudici vaticani e quelli dello Stato ospitante P. Cavana, L’extraterritorialità tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, cit., p. 8 ss. del dattiloscritto. Per una disamina dettagliata di tutti i provvedimenti normativi v. l’ampia trattazione di P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., soprattutto a partire da p. 96 ss., il quale peraltro segnala la complessità e la delicatezza dei medesimi, pur mirando a risolvere le criticità.

[70] V. quanto affermava P. Gallo, Diritto canonico diritto vaticano nelle recenti riforme della Santa Sede, in Il foro italiano, CXXXVI (2013), V, c. 248: «l’aspetto più interessante e peculiare non è solo offerto dall’“apertura” del diritto canonico al diritto vaticano e dal rinvio dell’uno alle norme dell’altro: ciò che supera i confini della canonizzazione delle leggi civili è l’attribuzione agli organi giudiziari vaticani della giurisdizione in ordine all’applicazione delle discipline oggetto di rinvio. Tali organi giudiziari quindi, pur restando distinti dai tribunali ecclesiastici, vengono in questo modo ad esercitare una giurisdizione nell’ambito della Santa Sede, in un ordinamento istituzionale e giuridico diverso da quello di appartenenza. Questa circostanza implica una serie di domande cui in questa sede è possibile solo accennare: se, come sembra ovvio, il conferimento della giurisdizione implichi un rinvio mobile (implicito ed accessorio) anche all’ordinamento processuale vaticano; se la giurisdizione degli organi giudiziari vaticani in hoc casu resti una giurisdizione statale ovvero diventi una vera propria giurisdizione canonica, sia pure eccezionale; quali siano le modalità di cooperazione tra questa giurisdizione e le altre giurisdizioni canoniche eventualmente concorrenti; quale sia il titolo del conferimento di questa giurisdizione, se cioè si tratti di giurisdizione delegata o svolta in funzione vicaria».

[71] Cfr. G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 187.

[72] Cfr. P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., pp. 354-355: «Il magistrato vaticano, investito per delega papale di una giurisdizione che altrimenti spetterebbe all’autorità giudiziaria canonica, nei limiti circoscritti legislativamente, è giudice canonico, in quanto applica, nel caso, per effetto della canonizzazione operata dal Romano Pontefice, una normativa ecclesiale umana in riferimento a fedeli destinatari di quelle medesime disposizioni. In queste fattispecie il magistrato vaticano esercita, per sé, non quelle ordinarie legate al proprio ufficio, ma le funzioni giurisdizionali delegategli dal Sommo Pontefice, in particolare - si deve supporre - per le professionalità proprie ad una tale autorità giudiziaria in rapporto alla peculiare natura dei reati disciplinati dalle legislazioni penali dello SCV promulgate nel 2010 e nel 2013 delle quali si sta discutendo».

[73] Cfr. G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., specialmente p. 141 ss.

[74] F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, aggiornamento a cura di A. Bettetini - G. Lo Castro, 13ª ed., Bologna, 2020, p. 263.

[75] V. G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 50 ss.

[76] Osserva, ad esempio, P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., pp. 167-168: «A differenza delle altre leggi adottate nel 2013 […], la Legge N. X […] non risulta essere stata direttamente canonizzata. […] Essa infatti non concerne la materia penale di cui al M.p. Ai nostri tempi, né direttamente la materia economica-finanziaria di cui al M.p. La promozione. Una sua canonizzazione esplicita non era quindi richiesta né, in fondo, avrebbe avuto senso, posto che la Legge N. X […] è soltanto […] una legge di carattere generale che non introduce sanzioni amministrative specifiche, ma stabilisce la cornice generale della categoria. Per tale motivo, dunque, la stessa Legge N. X […] sarà comunque applicabile anche nei confronti degli enti di diritto canonico ogni qualvolta una delle leggi vaticane già “canonizzate” preveda l’applicazione di sanzioni amministrative. In questo caso infatti la canonizzazione della norma sanzionatoria particolare implicherà e comporterà la canonizzazione (che bene potrebbe considerarsi “indiretta”) della normativa generale della legge N. X […], la quale ne completa la disciplina e la rende concretamente applicabile». Non è chi non veda i rischi di ‘canonizzazioni indirette’.

[77] Su queste esigenze si sofferma recentemente anche P. Cavana, L’extraterritorialità tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, cit., p. 7 ss. del dattiloscritto, il quale pure addita acutamente alcune questioni insorgenti.

[78] Per una recente convinta difesa dell’opportunità dell’avvenuto «affievolimento della sovranità dell’ordinamento ecclesiale […] nell’ottica degli indubbi vantaggi derivanti da una solidale ed attiva presenza e ricezione da parte della Santa Sede e dello Stato Vaticano dei più aggiornati sistemi giuridici» v. G.P. Milano, La conformazione del diritto vaticano al diritto internazionale, cit., p. 92 ss. il quale, tuttavia, subito aggiunge: «Peraltro non va dimenticato, come ultima garanzia a tutela della sovranità, che la legislazione internazionale può essere introdotta nell’ordinamento vaticano sempre nel rispetto della gerarchia delle fonti e dunque nella compatibilità con l’ordinamento canonico che, come abbiamo già più volte detto, è la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo». Secondo tale Autore, già promotore di giustizia del tribunale dello Stato della Città del Vaticano, «il cammino non è ancora compiuto. /A distanza di oltre dieci anni dalla Legge del 2008, al cospetto delle esigenze di una sempre più incisiva azione di contrasto alle varie forme di criminalità, si renderà necessario compiere ulteriori passi per riforme sia sul piano sostanziale che processuale. La via è comunque tracciata e non potrà che restare nel solco della cooperazione internazionale in un atteggiamento che se può apparire per certi versi anche ancillare rispetto alle determinazioni assunte in ambito sovranazionale e comunitario, per altro verso offre alla Santa Sede e allo Stato Vaticano concrete opportunità di presenza, di azione e soprattutto di testimonianza nel dialogo con le altre realtà temporali per la tutela di valori primari dei singoli individui e della collettività».

[79] Cfr. Francesco, Discorso all’apertura del 91° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 15 febbraio 2020, in Annali di diritto vaticano 2020, a cura di G. Dalla Torre - G.P. Milano, Città del Vaticano, 2020, p. 127: «Lo scopo principale di queste riforme va, dunque, inserito all’interno della missione della Chiesa, anzi fa parte integrante ed essenziale della sua attività ministeriale»; Id., Discorso all’apertura del 92° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 27 marzo 2021, in Annali di diritto vaticano 2021. Piero Antonio Bonnet in memoriam, a cura di P. Papanti Pelletier - G.P. Milano - M. Carnì, Città del Vaticano, 2022, p. 115, pp. 115-116: «Esorto tutti, affinché le iniziative di recente avviate e quelle da assumere per l’assoluta trasparenza delle attività istituzionali dello Stato vaticano, soprattutto nel campo economico e finanziario, siano sempre ispirate ai principi fondanti della vita ecclesiale e, al tempo stesso, tengano debito conto dei parametri e delle “buone pratiche” correnti a livello internazionale, e appaiano esemplari, come si impone a una realtà quale la Chiesa Cattolica. […] Siamo chiamati a testimoniare, concretamente e in modo credibile, nei rispettivi ruoli e compiti, l’immenso patrimonio di valori che caratterizza la missione della Chiesa, il suo essere “sale e luce” nella società e nella comunità internazionale, soprattutto nei momenti di crisi come quello attuale. /Vi esorto a riflettere sul fatto che, svolgendo giorno per giorno il vostro lavoro nascosto e paziente, voi offrite un prezioso contributo affinché la Chiesa, in questo piccolissimo Stato della Città del Vaticano, possa dare buon esempio di ciò che insegna nel suo magistero sociale».

[80] V. le puntuali osservazioni di D. Mamberti, L’ampia portata di un intervento normativo, in L’Osservatore Romano, 12 luglio 2013, p. 7. Recentemente spiega in maniera ampia (e adesiva) le motivazioni alla base della normativa emanata in questi anni che, per ottemperare alle esigenze di adeguamento poste dagli obblighi internazionali alla Curia romana, ha realizzato la soluzione consistente «1) nell’adottare le misure prescritte dal diritto internazionale all’interno del diritto vaticano e 2) nell’estendere l’applicazione del diritto vaticano anche agli organismi della Curia Romana», P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., passim (la citazione è a p. 6).

[81] V., per tutti, G. Dalla Torre, Aspetti della Giustizia Vaticana, cit., p. 22 ss.; Id., Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 188 ss. Si soffermava sulle «ragioni di ordine ecclesiale» sottese alla legislazione penale de qua G.P. Milano, Relazione del promotore di giustizia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, Città del Vaticano, 11 gennaio 2014, p. 13.

[82] Nella recensione al volume di P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, in Annali di diritto vaticano 2021. Piero Antonio Bonnet in memoriam, cit., pp. 288-289, C. Gentile riassume in tal modo le giustificazioni in base alle quali il legislatore ha utilizzato tale tecnica legislativa: «Quattro essenzialmente sono le ragioni: rendere applicabile la legge vaticana nei confronti degli enti della Santa Sede altrimenti esclusi per via dell’appartenenza ad un altro ordinamento; estendere oltre i confini dello Stato la normativa statale (i Dicasteri infatti hanno essenzialmente sede in zone extraterritoriali); l’assenza, nell’ordinamento canonico, di delitti e pene (misure di carattere patrimoniale o restrittive della libertà personale in particolare) adeguati ad adempiere gli obblighi internazionali; dare effettività alle disposizioni prevedendo procedure e norme tipiche (si pensi solo alle norme processuali) di un ordinamento statale».

[83] V. le osservazioni di A. Zappulla, Un’autentica “rivoluzione copernicana”: la nuova normativa sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili nello Stato della Città del Vaticano, in Diritto vaticano e diritto secolare. Autonomia e rinvii tra ordinamenti giuridici, cit., p. 160 ss.

[84] Come precisa J.I. Arrieta, L’aggiornamento del codice Zanardelli come codice penale vaticano, in «Servi inutiles sumus». Studi in memoria di S.E. Mons. Giorgio Corbellini, Prefazione del Card. P. Parolin, Città del Vaticano, 2020, p. 32, anche in nota: «a proposito della tutela dei minori, un altro Motu proprio La tutela dei minori, del 26 marzo 2019, ha fatto da cerniera fra la nuova legge penale vaticana, n. CCXCVII per la protezione penale dei minori, e un’Istruzione pontificia [v. Francesco, Instructiones ad bene adimplendam legem de puerorum aetate minorum et personarum vulnerabilium custodia, del 26 marzo 2019, in Communicationes, 51, 2019, 47-53], di natura canonica, per la cura pastorale dei minori e delle persone vulnerabili affidata al Cardinale Vicario dello Stato della Città del Vaticano. La norma impone, tra l’altro, l’obbligo di denuncia alle autorità civili dello Stato». Il 21 maggio 2022 è stato emanato il decreto n. DXII del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano con il quale sono promulgate le Linee Guida del Servizio di Accompagnamento di cui alla legge n. CCXCVII sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili del 26 marzo 2019 (in Communicationes, LIV [2022], pp. 300-309).

[85] Riassume G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 173: il romano pontefice ha «esteso la legge statale vaticana alla Curia Romana, affidandone la giurisdizione agli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, i quali sono conseguentemente competenti a giudicare su reati commessi su minori nel territorio dello Stato, ovvero in pregiudizio di cittadini o residenti nello Stato, ovvero ancora se commessi da pubblici ufficiali dello Stato o quelli previsti dal punto 3 del motu proprioAi nostri tempi” dell’11 luglio 2013, vale a dire persone che rivestano un ufficio nella Curia Romana». In tema v. in particolare C.-M. Fabris, Le recenti riforme del diritto penale vaticano varate da Papa Francesco in tema di protezione dei minori e delle persone vulnerabili. Analisi normativa e profili critici, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, XXVII (2019), 2, p. 397 ss.; D. Milani, Gli abusi del clero. Il processo di riforma di una Chiesa ancora in affanno, in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, Rivista telematica (www.iustel.com), 50 (2019), p. 1 ss.; G. Núñez-González, Nueva regulación para la protección de menores y personas vulnerables en el Estado de la Ciudad del Vaticano, in Ius canonicum, LIX (2019), p. 331 ss.; C. Gentile, La tutela dei minori nell’ordinamento vaticano, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2020, p. 1 ss. Anch’io me ne sono occupata, segnalando alcuni profili problematici di questa legislazione, in G. Boni, Sigillo sacramentale, segreto ministeriale e obblighi di denuncia-segnalazione: le ragioni della tutela della riservatezza tra diritto canonico e diritto secolare, in particolare italiano, in Jus-Online Rivista di scienze giuridiche a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, LXVI-VI (2020), 1, segnatamente p. 148 ss.; Ead., La tutela del sigillo sacramentale e del segreto ministeriale in Italia, in Ephemerides iuris canonici, LXI (2021), pp. 527-563.

[86] V. Francesco, motu proprio La diligenza del buon padre di famiglia (sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano), 19 maggio 2020, in L’Osservatore Romano, 1-2 giugno 2020, pp. 6-11. Per un’illustrazione al riguardo si veda R.C. Barra, Reglamento de contrataciones de la Santa Sede y del Estado de la Ciudad del Vaticano. Principios generales, in Studi sul diritto del governo e dell’organizzazione della Chiesa in onore di Mons. Juan Ignacio Arrieta, II, cit., pp. 1359-1380. Segnalo qui che con un comunicato della Segreteria per l’economia del 19 luglio del 2022 si è annunciato che dal 1° settembre si avvierà una nuova politica unitaria per gli investimenti finanziari della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, che saranno disciplinati da un Documento sulla Politica di investimenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano divulgato online nella stessa data.

[87] Tra l’altro, secondo tale normativa, per i conflitti di attribuzione tra gli enti e tra gli enti e gli organismi di vigilanza e controllo inerenti alla normativa sui contratti a rilevanza pubblica è competente il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica: v. A. Ripa, La Segnatura Apostolica e i conflitti di attribuzione, in La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Struttura, contenuti e novità, a cura di F. Giammarresi, Città del Vaticano, 2022, pp. 65-67, p. 73, il quale evidenzia: «come per la Curia Romana, anche in tale ambito il Supremo Tribunale è chiamato a decidere sui conflitti veri e propri (art. 12, § 1), ma anche ad emettere pareri consultivi (art. 12, § 6), a richiesta della Segreteria di Stato» (ivi, p. 73), soffermandosi poi sulla procedura da applicare, interpretando le norme «alla luce della Lex propria e della prassi della Segnatura Apostolica». Si veda altresì D. Mamberti, Conflitti di attribuzioni e competenza del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica nella normativa vaticana sui contratti pubblici, in Lex rationis ordinatio. Studi in onore di Patrick Valdrini, II, a cura di V. Buonomo - M. d’Arienzo - O. Échappé, Cosenza, 2022, p. 992 ss.

[88] Lo stesso documento pontificio ha promulgato anche le norme procedurali per l’impugnazione in sede giudiziaria dei provvedimenti amministrativi in materia con il titolo Tutela giurisdizionale in materia di trasparenza, controllo e concorrenza dei contratti pubblici per la Santa Sede e per lo Stato della Città del Vaticano. V. anche il decreto del delegato pontificio J.A. Guerrero Alves contenente Disposizioni provvisorie e urgenti per l’applicazione del motu proprio sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici, 14 luglio 2020, in L’Osservatore Romano, 16 luglio 2020, p. 9; il decreto del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano contenente Disposizioni urgenti e provvisorie in materia di trasparenza, controllo e concorrenza dei contratti pubblici dello Stato della Città del Vaticano, 15 luglio 2020, ivi, 18 luglio 2020, p. 8; il decreto n. CCCLXXXVII del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano che promulga il Regolamento di attuazione delle Norme sulla trasparenza, controllo e concorrenza nei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, 1° dicembre 2020, reperibile in www.vaticanstate.va. Si vedano le spiegazioni di J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 343 ss. Come sottolinea G. Pignatone, Recepite le migliori regole e pratiche della Comunità internazionale, in L’Osservatore Romano, 1-2 giugno 2020, p. 5, il nuovo ‘codice degli appalti’, valido per gli enti della Curia romana, per quelli collegati amministrativamente alla Santa Sede o allo Stato della Città del Vaticano, «deve rispecchiare i principi propri dell’ordinamento vaticano e quindi l’articolo 81 prevede che tutti i contratti siano disciplinati dal Diritto canonico con un rinvio, per quanto non regolato espressamente, alle leggi dello Stato vaticano». Aggiunge V. Buonomo, Norme per eliminare gli sprechi e prevenire la corruzione, ivi, p. 11: «anche in questo caso, nella continuità delle riforme di Papa Francesco, la competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano riguarderà anche le strutture della Curia Romana, riservando al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica la soluzione di conflitti di attribuzione». L’estensione della giurisdizione vaticana, oltre che legale, potrebbe essere anche negoziale: v. quanto precisa P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 179.

[89] V. P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 78, nota 85: «Un caso piuttosto significativo di legge “pontificia” dotata di una doppia natura giuridica, canonica e vaticana al tempo stesso, è offerta proprio dalla disciplina di cui al M.p. La diligenza del buon padre di famiglia, del 19 maggio 2020 […]. In questo caso, infatti, siamo in presenza di un unico provvedimento normativo con cui si dettano regole valevoli tanto per la Curia Romana, quanto per le amministrazioni del Governatorato dello SCV». Secondo tale Autore, occorre peraltro «distinguere i due ordinamenti e differenziare, il più possibile, le fonti dell’uno dalle fonti dell’altro […]. Gli atti di contenuto “promiscuo” (destinati ad operare sia come fonti vaticane che come fonti canoniche) dovrebbero cioè essere limitati ai casi davvero essenziali, pur ricorrenti in una realtà, come lo SCV, all’interno del quale operano soggetti di diritto vaticano (es. organismi del Governatorato, persone giuridiche civili di diritto vaticano, etc.) ed entità soggette esclusivamente al diritto canonico (quali, anzitutto, quelle sovrane della Curia Romana e non solo: si pensi, solo per fare un esempio, alle fondazioni di diritto canonico, sprovviste di personalità giuridica civile vaticana)» (ivi, p. 87).

[90] Riconosce vari profili di incertezza, pure in una trattazione ampiamente elogiativa, P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 176 ss.

[91] Si veda anche in particolare Francesco, motu proprio Un futuro sostenibile (circa il contenimento della spesa per il personale della Santa Sede, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e di altri Enti collegati), 23 marzo 2021, in L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, p. 11; Id., motu proprio La fedeltà (recante diposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica), 26 aprile 2021, ivi, 29 aprile 2021, p. 8.

[92] J.I. Arrieta, Legami inter-ordinamentali recenti tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano in materia sanzionatoria e di controllo finanziario, cit., p. 308.

[93] È sicuramente vero che «la previsione di delitti e pene canonici non sarebbe stata sufficiente per adempiere gli obblighi internazionali, che richiedono invece l’applicazione delle sanzioni “afflittive” caratteristiche dei diritti penali statali (consistenti in misure di carattere patrimoniale o restrittive della libertà personale)» (P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 105), ma forse una maggiore circospezione e una più accurata precisione definitoria nella canonizzazione sarebbero state convenienti.

[94] Rinvio, in particolare, a quanto ho argomentato in G. Boni, Sulle recenti leggi penali vaticane e sulla loro «canonizzazione», in Davanti a Dio e davanti agli uomini. La responsabilità fra diritto della Chiesa e diritto dello Stato, a cura di N. Marchei - D. Milani - J. Pasquali Cerioli, Bologna, 2014, specialmente p. 247 ss. Su altri aspetti tecnici critiche severe alla legislazione vaticana sono state espresse da F. Sgubbi - D. Fondaroli - A. Astrologo - G. Silvestri, La legislazione antiriciclaggio dello Stato della Città del Vaticano: una comparazione con il sistema italiano, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, VII (2012), 4, p. 185 ss.; D. Fondaroli - A. Astrologo, Il continuo divenire della recente legislazione penale vaticana: la riforma dei Codici e norme complementari in materia penale, la recente legge in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria e le nuove figure di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ivi, VIII (2013), 4, p. 243 ss. Ad esse significativamente, proprio nella visuale del discorso condotto in queste pagine, replica G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 178: «le osservazioni in questione, di stampo squisitamente positivistico, non tengono conto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano, che trova nel diritto canonico il collante delle diversità normative e lo strumento di omogeneizzazione ermeneutica del sistema». Critiche sotto un ulteriore versante, sostanzialmente quello relativo alla giustizia ‘riparativa’ piuttosto delle tradizionali impostazioni del diritto penale in termini retributivi, ha sollevato anche L. Eusebi, La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica, Brescia, 2014, in particolare p. 102 ss., il quale quindi censura che il sistema penale vaticano non sia stato armonizzato alla dottrina postconciliare della Chiesa in tema (cfr. anche la Nuova ed. riveduta e ampliata, Brescia, 2022, specialmente p. 277 ss.). Anche a tali obiezioni G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 179, risponde: «l’esigenza di armonizzare il diritto penale vaticano alla dottrina sociale della Chiesa in materia di pene trova proprio nel diritto canonico, ed in particolare nel diritto divino, gli strumenti per assicurare un permanente adeguamento del diritto positivo ai postulati di un ordinamento giuridico in continua tensione verso forme di sempre maggiore corrispondenza alla dignità umana, dunque “secondo Dio” per usare la […] locuzione conciliare».

[95] J.I. Arrieta, L’aggiornamento del codice Zanardelli come codice penale vaticano, cit., p. 33; Id., Introduzione, cit., pp. 22-23: «l’ordinamento penale vaticano si arricchisce delle norme canoniche che, in modo particolare, servono ad integrare il Libro Primo del Codice penale Zanardelli contenente la trattazione generale dei reati e delle pene. Da un lato, un significativo numero di questi precetti del codice penale sono stati sostituiti negli anni passati […] da norme vaticane. Ma d’altro canto, e con carattere generale, laddove non risultino contraddittorie con le prescrizioni esplicitamente date dal Legislatore dello Stato e risultino complementari rispetto alla normativa codiciale, sono pure di applicazione le norme del Libro VI del Codice di diritto canonico, che contengono una disciplina più completa e tecnicamente elaborata che meglio aderisce all’ordinamento giuridico vaticano». Come giustamente asserisce tale Autore, occorre verificare che le norme penali canoniche «non risultino contraddittorie con le prescrizioni esplicitamente date dal Legislatore dello Stato e risultino complementari rispetto alla normativa codiciale». In ordine all’applicabilità delle norme penali (anche processuali) del Codex Iuris Canonici si veda per converso P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., pp. 188-189: «Il problema deve […] essere risolto non tanto in base alla considerazione secondo la quale l’affermazione, anche nella materia de qua dicitur, dell’ordinamento canonico come “prima fonte normativa” avrebbe una portata dirompente, tale da minare alle fondamenta l’effettività del sistema sanzionatorio penale dello SCV. Una tale considerazione, seppure condivisibile, non offre tuttavia ancora un argomento utile a sostenere la “sospensione” del principio generale dell’art. 1, comma 1, della Legge N. LXXI […] o un’eccezione ad esso. /Il problema sembra invece doversi risolvere in radice, considerando cioè che nella materia penale le norme canoniche e le norme italiane non disciplinano la stessa fattispecie, ma fattispecie diverse. Le prime infatti disciplinano i delitti stabiliti dalla legge canonica e con la finalità di irrogare le pene di cui al can. 1312 CIC. Le norme statali, invece, disciplinano reati stabiliti dalla legge statale, con pene di portata temporale e aventi finalità molteplici e marcatamente diverse da quelle canoniche»; ciò non pare comunque pregiudicare il principio del diritto canonico come primo criterio di riferimento interpretativo. V. pure, in senso contrario, G. Pignatone, Il diritto penale vaticano, cit., p. 9 del dattiloscritto: «È evidente che nella materia del diritto penale il ricorso all’ordinamento canonico come “primo criterio di riferimento interpretativo” troverà uno spazio condizionato dalla natura stessa della normativa penale, caratterizzata da una intrinseca rigidità e da una qualche tendenza all’autosufficienza. In quest’ottica sarà possibile valorizzare il ricorso a principi quali l’aequitas, la consuetudine, la tolleranza, la dissimulazione che la dottrina indica quali manifestazioni della particolare ‘elasticità del diritto canonico’. /In questa stessa ottica, deve essere valutato l’eventuale richiamo al diritto penale canonico, le cui caratteristiche, anche dopo la recente riforma del libro VI del Codex, rimangono completamente diverse - sia per quanto riguarda i precetti posti, sia per le sanzioni che possono essere inflitte, sia per la finalità che lo ispira - da quelle del diritto penale statuale»: si tratta di posizione diversa da quella espressa e motivata in queste pagine.

[96] V. Francesco, Constitutio Apostolica “Pascite gregem Dei” qua Liber VI Codicis Iuris Canonici reformatur, 23 maggio 2021, in L’Osservatore Romano, 1° giugno 2021, pp. 2-3: il nuovo Libro VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia è pubblicato di seguito. Mi permetto di rinviare a G. Boni, Il Libro VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia: novità e qualche spigolatura critica, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 11 del 2022, pp. 1-131.

[97] J.I. Arrieta, L’interazione tra norme canoniche e norme statuali nell’ordinamento vaticano, cit., p. 160, il quale osserva che tale congiunzione di ordinamenti «avviene in un contesto, com’è quello della Santa Sede, in cui opera da anni un regime lavorativo, previdenziale e assistenziale che è uniforme per tutto il personale dipendente da essa. Si tratta dei dipendenti della Curia romana, di quelli delle varie entità del Governatorato, delle istituzioni collegate con la Curia stessa o qualunque altra entità gestita direttamente dalla Santa Sede: per tutti è comune la disciplina lavorativa, ora integrata […] con quella penale specificamente data per lo Stato vaticano».

[98] Lo sottolinea di nuovo, recentemente, J.I. Arrieta, L’aggiornamento del codice Zanardelli come codice penale vaticano, cit., p. 21 ss., il quale, soffermandosi sul codice penale vaticano formatosi «a partire dal codice Zanardelli, sostituendo, modificando, abrogando o integrando i suoi precetti, assumendo per intero il testo per poi smontarlo e ricomporlo in funzione delle attuali necessità dell’ordinamento giuridico vaticano» (ivi, p. 22), scrive: «Il testo codiciale è così diventato l’unico referente del rinvio penale, trasformandosi in questa maniera in un testo ormai specificamente vaticano, con peculiari regole ermeneutiche di applicazione, secondo quanto indica l’art. 1, 1° della nuova Legge LXXI che segnala il diritto canonico come “primo criterio di riferimento interpretativo”» (ivi, p. 23).

[99] Parla, ad esempio, di ‘ponti’ J.I. Arrieta, L’aggiornamento del codice Zanardelli come codice penale vaticano, cit., p. 30 ss., per definire i motu proprio che hanno esteso «La vigenza delle norme - o di alcune di esse - oltre lo stretto perimetro dello Stato della Città del Vaticano vincolando anche altri soggetti dipendenti direttamente dalla Santa Sede».

[100] V. J.M. Serrano Ruiz, Un evento importante per l’ordinamento giuridico dello Stato Città del Vaticano. In vigore la nuova legge sulle fonti del diritto, in L’Osservatore Romano, 31 dicembre 2008, p. 1.

[101] Per significativi esempi di come la giurisprudenza vaticana anche durante la vigenza della legge sulle fonti del 1929 fosse guidata dal diritto canonico v. G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, cit., p. 169 ss.

[102] V., in particolare, le riflessioni che ho sviluppato in G. Boni, Il diritto penale vaticano della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., specialmente a partire da p. 36 ss. Si vedano anche le considerazioni di G. Dalla Torre, Il contributo di Piero Antonio Bonnet alla giurisprudenza vaticana, in Annali di diritto vaticano 2019, a cura di G. Dalla Torre - G.P. Milano, Città del Vaticano, 2019, p. 212 ss., secondo cui spesso si era dinanzi a vere e proprie ‘sentenze-trattati giudiziari’.

[103] Dal 1994 al 2019 Giuseppe Dalla Torre è stato presidente del tribunale vaticano, di cui era antecedentemente giudice.

[104] Piero Antonio Bonnet dal 1993 ha ricoperto l’ufficio di giudice del tribunale vaticano cui si era aggiunta, dal 2009, la funzione di giudice unico (fino al 2018, anno della sua scomparsa).

[105] P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 518; cfr.pure p. 469 ss. Si veda anche Id., Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 335: «In effetti la norma divina, immediatamente e per se stessa vigente nell’ordinamento dello Stato, incarna per questo non soltanto un limite insuperabile, ma anche un paradigma obbligato per il Legislatore umano. Questi, nel predisporre la sua regola giuridica, deve sempre infatti riferirsi alla prescrizione divina, che è la misura alla quale deve attenersi. /Più specialmente il Legislatore può commisurare la propria norma a quella divina, oltre che semplicemente cercando di enunciarla, traendola come conclusione, in via deduttiva. Il Legislatore umano può tuttavia rifarsi anche solo determinativamente, in via di specificazione, al paradigma divino, come un architetto che dà questa o quella forma particolare e definita ad un’idea generale ed astratta come quella di casa».

[106] Scrivevo con riferimento al procedimento celeberrimo contro l’aiutante di camera di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, in G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 55: «colpiscono, dal punto di vista giuridico, il ‘vocabolario’ e le ‘categorie’ che costellano e guidano il ragionamento del magistrato, che certo talora possono frastornare i giuristi secolari e che invece risuonano ‘domestiche’ ai canonisti: i quali non rimangono certo trasecolati dinanzi a quella reiterata insistenza sull’anelito alla verità, a quella persistente ricorrenza della terminologia propria della speculazione scolastica o comunque incubata in seno alla teologia cattolica, a quell’ininterrotto innestarsi nell’ordinamento giuridico della Chiesa rievocando nozioni squisitamente canonistiche, anche in quel sostrato divinamente irrorato che ne è la tavola fondativa ed al quale più refrattari possono essere i giudici statuali. Ciò non è sfoggio di erudizione o divagazione a scopo culturale: al contrario leviga e rifinisce, per così dire, l’interpretazione della normativa italiana richiamata nel Vaticano. Ed è esemplare in questo senso la capillare trattazione della componente soggettiva, profondendosi il giudice istruttore in un avvincente excursus sul problema dell’imputabilità, anche qui tutto imperniato sul parallelo tra diritto italiano-vaticano e diritto canonico». V. più recentemente Tribunale, sentenza 5 luglio 2017, proc. penale Prot. N. 56/16 Reg. Gen. Pen., in Annali di diritto vaticano 2018, a cura di G. Dalla Torre - G.P. Milano, Città del Vaticano, 2018, p. 177 ss. (sempre sull’imputabilità).

[107] V. G. Dalla Torre, Il contributo di Piero Antonio Bonnet alla giurisprudenza vaticana, cit., p. 216: «non per cercare una sponda autorevole ad un ragionamento incerto e forse non del tutto convincente per lo stesso estensore, ma per dare maggiore forza ad un procedere logico che ha già in sé una sua convincente compiutezza».

[108] Come annotavo, sempre con riferimento al procedimento in cui era imputato l’aiutante di camera di Benedetto XVI, è palmare l’atipicità dell’iter interpretativo del magistrato vaticano «il quale […], senza tema di ricorrere al soccorso delle scienze teologiche e filosofiche, ed anche della morale, [deve essere] soprattutto in grado [di] perscrutare l’origine delle norme e la loro intima ragion d’essere: volgersi al diritto della Chiesa per applicarlo direttamente e per servirsene quale griglia per una migliore lettura delle norme vaticane impone sempre un radicamento saldo nella sua storia, essendo per il canonista la lente diacronica imprescindibile, e non già oziosa ostentazione di dotte dissertazioni. Così non è elucubrazione sterile il rammentare - lo fa ampiamente il promotore di giustizia - le vetuste disquisizioni canonistiche sui cosiddetti lucidi intervalli: vetuste ma quanto mai attuali, essendo indiscusso il nesso di tali discorsi con la questione ancor oggi cardinale della natura e del fine della pena»: G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 101.

[109] G. Dalla Torre, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, in Diritto e religioni, XV (2020), p. 234; Dalla Torre rammentava come «solitamente - ancorché […] non sempre - i magistrati vaticani siano stati selezionati tra docenti universitari appartenenti al settore disciplinare Ius/11, Diritto canonico ed ecclesiastico […]. Dunque i magistrati vaticani provenienti da docenti di tale disciplina possedevano, di per sé, quella conoscenza giuridica interdisciplinare che la peculiarità giuridica dello Stato vaticano postula».

[110] V. quanto notava, sul collega e amico Piero Antonio Bonnet, G. Dalla Torre, Il contributo di Piero Antonio Bonnet alla giurisprudenza vaticana, cit., p. 211, giungendo ad affermare «come a lui, che è stato propriamente un canonista nel senso più alto ed antico del termine, fu dato di avere le chiavi per entrare appieno nello spirito di quella particolarissima entità statuale che è il Vaticano».

[111] V. quanto ho illustrato in G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 81 ss. Ma si veda anche Ead., Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 56 ss.

[112] V. G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 82 ss.

[113] Altre criticità comunque le segnala, pur in una lettura che si propone di ricostruire un quadro coerente, P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit.: ad esempio pp. 103-104, pp. 106-107, pp. 121-125, p. 170, p. 219, nota 26.

[114] Si sofferma recentemente su tali questioni F.S. Rea, Riflessioni sulla recente canonizatio legis nel sistema penale vaticano, in Il diritto come “scienza di mezzo”. Studi in onore di Mario Tedeschi, IV, cit., pp. 2069-2086, il quale aderisce ad alcune soluzioni da me prospettate allo scopo di «evitare l’incauto errore di recidere i diaframmi tra l’ordinamento canonico e quello vaticano, quantunque in certi casi necessario, che potrebbe dar vita a problemi di non facile soluzione soprattutto circa le garanzie della Santa Sede, non impolverati retaggi di una teocrazia ormai obliata, ovvero giustificazioni “delle pregresse forme di protezionismo” ma architravi funzionali a reggere l’impianto bimillenario su cui la Chiesa costruisce la propria missione universale» (ivi, pp. 2084-2085); v. anche Id., Diritto penale vaticano e normativa antiriciclaggio tra canonizatio legis e ristrutturazioni sistematiche, in Diritto vaticano e diritto secolare. Autonomia e rinvii tra ordinamenti giuridici, cit., pp. 79-142.

[115] P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 221.

[116] P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 231. Una separazione peraltro che, come si è constatato e ancora si constaterà, non è così intrasgredibile: P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 341, parla, con riguardo alle due comunità ovvero socialità relative ai due ordinamenti di ‘unione nella separazione’ e di ‘separazione nell’unione’, dovendosi peraltro evitare «ogni disconoscente confusione»; cfr. anche Id., Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 484 ss.

[117] Mi permetto di rinviare ai miei scritti: G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., pp. 45-89; Ead., Recenti evoluzioni dell’ordinamento giuridico vaticano: in particolare i rapporti con l’ordinamento canonico, in Santa Sede e Stato della Città del Vaticano nel nuovo contesto internazionale (1929-2019), cit., pp. 31-82. In tali saggi paventavo il pericolo che lo Stato della Città del Vaticano potesse trasformarsi da baluardo della specificità del potere spirituale della Santa Sede e dell’autonomia dell’ordinamento canonico contro intromissioni esterne a ‘cavallo di Troia’ di tornanti e pugnaci aggressioni giurisdizionaliste.

[118] V. anche G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., pp. 180-181, che replicava: «occorre tenere conto del fatto che le riforme introdotte da Benedetto XVI e da Francesco, che hanno parzialmente esteso il diritto e la giurisdizione statali vaticane, riguardano la realtà giuridica della Santa Sede, non certo tutto l’ordinamento canonico e, quindi, la Chiesa universale. In altre parole, sono sempre da ricordare i precisi limiti oggettivi e soggettivi della speciale giurisdizione vaticana previsti dalla riforma che, ovviamente, non si estende a tutti gli appartenenti alla Chiesa cattolica ma solo ai titolari di specifiche funzioni conferite dalla Santa Sede, o soggetti ad altrettanto specifici poteri di direzione e controllo di suoi organismi. E ciò in ragione del rigoroso rispetto della costituzione ecclesiastica (la Chiesa non può essere assimilata ad uno Stato o, peggio, ad una holding) e senza alcun pregiudizio per le funzioni pastorali e spirituali proprie degli organi concernenti il governo della Chiesa universale».

[119] V. il sommario resoconto di J. Miñambres, Riorganizzazione economica della Curia romana: considerazioni giuridiche “in corso d’opera”, cit., pp. 143-144, che afferma: «Negli ultimi anni del secolo […] come frutto della riforma operata da Giovanni Paolo II con la cost. ap. Pastor bonus […], la “commistione amministrativa” è stata interrotta con la separazione del Vicariato di Roma dalla Curia romana […]. Si apriva così la stagione della distinzione amministrativa delle diverse prospettive formali dell’ufficio petrino. /La stessa tendenza alla distinzione poteva osservarsi, almeno nella prassi quotidiana, tra gli organismi della Curia romana e quelli dello Stato della Città del Vaticano, gestito amministrativamente dagli uffici dipendenti dal Governatorato. /Ma questa tendenza alla separazione amministrativa dei diversi aspetti dell’ufficio del Romano Pontefice sembra essersi interrotta con i recenti interventi normativi che riorganizzano la funzione amministrativa nella Santa Sede. Il nuovo assetto degli uffici descritti nelle norme pontificie più recenti va nella direzione di un’unione amministrativa tra Stato della Città del Vaticano e Curia romana. Il m.p. Fidelis dispensator et prudens è esplicito in questo senso» (l’Autore scrive nel 2015, peraltro prima della stesura degli statuti). Anche F. Puig, Considerazioni su tre sviluppi giuridico-organizzativi della Curia romana dopo la Pastor Bonus, in Ius Ecclesiae, XXX (2018), p. 318, parla di «una tendenza che bisogna seguire con attenzione. Vediamo in primo luogo come a certe istituzioni della Curia romana sia affidata la vigilanza su enti dello Stato della Città del Vaticano. Vedremo […], in senso opposto, come talune prescrizioni e l’operato di certe istanze operative dello Stato della Città del Vaticano dispieghino la loro efficacia su entità della Curia romana».

[120]Tra gli organismi della Curia romana che hanno competenze anche in ambito statale vaticano, tra i più risalenti è l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA), istituito il 1° gennaio 1989 da Giovanni Paolo II con il motu proprio Nel primo anniversario (in Acta Apostolicae Sedis, LXXXI [1989], pp. 145-155). Mi limito a ricordare che con il motu proprio Venti anni or sono del 7 luglio 2009 di Benedetto XVI (ivi, CI [2009], pp. 712-726), di approvazione del nuovo statuto dell’ULSA, e poi, in particolare, con il rescriptum ex audientia SS.mi (rettifiche da apportare allo Statuto dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica) di Francesco del 14 giugno 2016 (ivi, CVIII [2016], p. 792), si è stabilito che «chiunque ritiene di essere stato leso da un provvedimento amministrativo in materia di lavoro, salvo che lo stesso risulti approvato in forma specifica dal Sommo Pontefice, può proporre istanza all’Ufficio del Lavoro oppure può adire l’Autorità giudiziaria vaticana, previo tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al Direttore dell’ULSA, quale condizione di procedibilità» (art. 11, comma 1, statuto ULSA); l’attività dell’ULSA si riferisce al lavoro prestato non solo alle dipendenze del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, ma anche alle dipendenze della Curia romana nonché di organismi o enti gestiti amministrativamente in modo diretto dalla Sede Apostolica (cfr. art. 2, comma 1, statuto ULSA). Mi permetto di rinviare alle riflessioni che ho sviluppato in G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 134 ss., con ulteriori riferimenti dottrinali. Si vedano anche A. Sarais, Alcune recenti modifiche allo Statuto dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, in Ius Ecclesiae, XXIX (2017), pp. 491-512; Id., L’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica alla luce delle recenti modifiche statutarie e del processo di riforma della Curia romana, ivi, pp. 611-634; R. Granata, Diritto vaticano e rapporti di lavoro tra leggi proprie, rinvii normativi e forme di tutela, in Diritto vaticano e diritto secolare. Autonomia e rinvii tra ordinamenti giuridici, cit., pp. 29-37.

[121] V. le puntuali considerazioni di J.I. Arrieta, Legami inter-ordinamentali recenti tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano in materia sanzionatoria e di controllo finanziario, cit., p. 313 ss., il quale si soffermava anche sul ruolo sanzionatorio del presidente del Governatorato: «Altro interessante elemento di sconfinamento tra la giurisdizione civile e quella canonica è rappresentato dalla capacità concessa al Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano di imporre le sanzioni amministrative che la Legge X designa» (ivi, p. 315). V. altresì alcuni rilievi di F. Ricciardi Celsi, L’Autorità di Informazione Finanziaria tra ordinamento canonico e ordinamento vaticano, in Archivio giuridico, CCXXXV (2015), specialmente p. 235. Va ricordato che in occasione della promulgazione del più recente statuto, il 5 dicembre 2020, l’AIF ha ricevuto la nuova denominazione di Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF) (v. Francesco, chirografo Al fine di prevenire, 5 dicembre 2020, in L’Osservatore Romano, 5 dicembre 2020, pp. 8-9).

[122] Segnalo che per la costituzione apostolica di papa Francesco Praedicate Evangelium (sulla Curia romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo), 19 marzo 2022 [inizialmente consultabile solo online all’indirizzo www.vatican.va; è stata pubblicata in seguito una nuova versione italiana corretta in L’Osservatore Romano, 31 marzo 2022, pp. I-XII]l’ASIFfigura tra le Istituzioni collegate con la Santa Sede (art. 248). Sulla «combinazione normativa davvero unica e particolare» di norme relativamente all’Autorità di Informazione Finanziaria, cfr. P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 102; v. anche, sui regolamenti di competenza di tale Autorità, ivi, p. 153 ss.

[123] Rileva P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 159: «Questa composizione “mista” (che permette forse di considerare il Co.Si.Fi. come un vero e proprio “organo misto”) è un’ulteriore manifestazione dello stretto collegamento (meglio sarebbe dire “intreccio”) tra diritto canonico e diritto vaticano che appare da considerare del tutto eccezionale, in quanto dettata dall’esigenza di una cabina di regia unitaria tra Santa Sede e SCV nella materia de qua». Tuttavia, come ho notato anche nel testo, l’eccezionalità sembra, almeno fino agli ultimi sviluppi normativi, avviata a divenire normalità, atteso come va delineandosi il quadro complessivo.

[124] V. Francesco, motu proprio Fidelis dispensator et prudens (per la costruzione di una nuova figura di coordinamento degli affari economici e amministrativi della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano), 24 febbraio 2014, in Acta Apostolicae Sedis, CIV (2014), pp. 164-165. Si vedano alcune considerazioni di A. Sarais, Le recenti scelte normative in materia di amministrazione dei beni temporali da parte della Santa Sede, in I beni temporali nella comunione ecclesiale, a cura del Gruppo italiano Docenti di Diritto Canonico - Associazione Canonistica Italiana, Milano, 2016, pp. 177-207.

[125] V. Francesco, Statuto del Consiglio per l’economia, 22 febbraio 2015, in Communicationes, XLVII (2015), pp. 25-31; Id., Statuto della Segreteria per l’economia, 22 febbraio 2015, ivi, pp. 32-39; Id., Statuto dell’Ufficio del Revisore generale, 22 febbraio 2015, ivi, pp. 40-44. V., per tutti, B.E. Ferme, Fidelis dispensator et prudens: gli Statuti, in Ius missionale, IX (2015), p. 35 ss.In seguito, è stato approvato un nuovo Statuto dell’Ufficio del Revisore generale, 21 gennaio 2019, in L’Osservatore Romano, 10 febbraio 2019, p. 10.

[126] Si tratta di leggi pontificie di contenuto misto, operanti come fonti di diritto canonico e di diritto vaticano, relative a istituzioni canoniche che operano anche nell’ambito dell’ordinamento vaticano. V. pure quanto già asseriva G.P. Milano, Relazione del Promotore di Giustizia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, in Annali di diritto vaticano 2015, cit., pp. 124-125.

[127] J.I. Arrieta, L’interazione tra norme canoniche e norme statuali nell’ordinamento vaticano, cit., p. 161.

[128] V. Francesco, costituzione apostolica Praedicate Evangelium (sulla Curia romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo), 19 marzo 2022, cit.

[129] O agli elenchi delle amministrazioni. Ancora nel 2015 J.I. Arrieta, Legami inter-ordinamentali recenti tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano in materia sanzionatoria e di controllo finanziario, cit., p. 318, inferiva: «non è da escludere che l’assetto dei tre organismi possa evolvere anche in futuro come, di fatto, è accaduto nei mesi trascorsi tra la loro istituzione e l’approvazione degli Statuti»; a tale Autore rinvio per l’accurata ricostruzione dell’evoluzione normativa, almeno fino alla data di pubblicazione del saggio: Arrieta segnalava altresì alcune norme in «apparente contraddizione» per le quali auspicava un chiarimento.

[130] V. J.A. Guerrero Alves, Gli organismi economici nella Praedicate Evangelium, in La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Struttura, contenuti e novità, cit., p. 81, il quale, trattando delle novità riguardo al Consiglio per l’economia, afferma: «lo Stato della Città del Vaticano non rientra più nel suo ambito di supervisione»; per la Segreteria per l’economia cfr. l’art. 212 § 2 della citata costituzione apostolica Praedicate Evangelium. Sulle difficoltà nella determinazione delle amministrazioni sottoposte in particolare alla vigilanza del Consiglio per l’economia cfr. anche J. Miñambres, Gli organismi economici nella Praedicate Evangelium, in Ius Ecclesiae, XXXIV (2022), p. 505 ss.

[131] Scrive A. Cassinis Righini, L’Ufficio del Revisore Generale nella nuova Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, in La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Struttura, contenuti e novità, cit., p. 121, nota 1: «Nota rilevare che la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium non menziona il ruolo di revisione del Bilancio Consolidato del Governatorato dello Stato Città del Vaticano attribuito all’URG dall’art. 1 § 1 del suo Statuto. Si ritiene però che tale omissione non ponga un contrasto tra lo Statuto dell’URG e la Praedicate Evangelium in quanto questa è una Costituzione Apostolica sulla Curia Romana; a ciò si aggiunga che la Nuova Legge sul Governo dello Stato della Città del Vaticano prevede all’art. 5 che “l’Unità di Controllo e ispezione coopera nei rapporti con gli Organismi di Revisione e di Controllo esterni al Governatorato, in attuazione delle direttive ricevute dagli Organi di governo”». V., per converso, J. Miñambres, Gli organismi economici nella Praedicate Evangelium, cit., p. 512 ss. Un chiarimento pare comunque necessario. G. Pignatone, Il diritto penale vaticano, cit., p. 7 del dattiloscritto, dopo avere illustrato il motu proprio di papa Francesco del 28 dicembre 2020 Una migliore organizzazione [(circa alcune competenze in materia economico-finanziaria), in Communicationes, LII [2020], pp. 339-343], osserva: «Anche questi specifici profili dovranno ora essere riconsiderati alla luce della riforma della Curia operata con la Costituzione “Predicate Evangelium” del 19 marzo 2022 e del successivo Rescriptum ex audientia SS.mi circa “l’Istruzione sull’Amministrazione e gestione delle attività finanziarie e della liquidità della Santa Sede e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede”». Si veda, peraltro, da ultimo, Francesco, lettera apostolica in forma di «motu proprio» sulle persone giuridiche strumentali della Curia romana, 5 dicembre 2022, in L’Osservatore Romano, 6 dicembre 2022, p. 7; e la legge della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano n. DL sulle persone giuridiche dello Stato della Città del Vaticano, 5 dicembre 2022 (cfr. www.press.vatican.va).

[132] V. P. Cavana, I rapporti tra lo Stato della Città del Vaticano, l’Italia e l’Unione europea tra continuità e innovazione, in Ephemerides iuris canonici, LV (2015), p. 294 ss., il quale solleva sulla unificazione e centralizzazione della gestione economico-finanziaria e di bilancio della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano una serie di allarmate domande, concludendo: «In sostanza, la scelta di affidare ad organismi della Curia Romana le decisioni di carattere economico-finanziario e la connessa attività di vigilanza relative allo SCV potrebbe incrinare il delicato equilibrio tra le due entità delineato nel Trattato lateranense, con possibili effetti anche sui rapporti con l’Italia e l’Unione europea, che sono attualmente fondati sul riconoscimento della duplice (e distinta) natura della Santa Sede come organo supremo di governo della Chiesa cattolica e come soggetto sovrano dello SCV»; e nell’epilogo del saggio, dopo avere segnalato le criticità che emergono altresì nella dilatazione della normativa e della giurisdizione vaticana nell’ordinamento canonico, asserisce come in queste ultime riforme si sia «forse trascurata la rilevanza autonoma e distinta che lo SCV assume in ambito internazionale rispetto alla Santa Sede come organo supremo di governo della Chiesa, di cui costituisce una sorta di schermo o guscio protettivo che ne tutela l’indipendenza sul piano internazionale, con il rischio di incrinare quella distinzione di ruoli e funzioni che appare attualmente un presupposto fondamentale dell’azione della Santa Sede nella comunità internazionale e, in particolare, del suo sistema di rapporti con l’Italia e con l’Unione europea» (ivi, p. 305). Si vedano anche alcune considerazioni di J.I. Arrieta, Legami inter-ordinamentali recenti tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano in materia sanzionatoria e di controllo finanziario, cit., pp. 307-326, il quale pure conclude esortando all’attenzione: «è da prevedere che espressioni di rapporti inter-ordinamentali simili a quelle considerate in queste pagine tenderanno in avvenire ad aumentare rendendo ulteriormente complicato il quadro complessivo ed esigendo dai cultori della materia un attento utilizzo delle rispettive fonti giuridiche canoniche e di quelle civili dello Stato Vaticano nella ricostruzione dogmatica degli Istituti o nella prassi attuativa, appartenenti all’uno o all’altro ordinamento. In modo particolare, pare necessario tener conto dei due aspetti nel momento normativo affinché lo sviluppo istituzionale e le novità di ogni genere che esso dovrà contenere rimangano fedeli all’identità specifica del Diritto della Chiesa» (ivi, p. 326).

[133] V. J. Miñambres, Riorganizzazione economica della Curia romana: considerazioni giuridiche “in corso d’opera”, cit., p. 154, il quale, invero in linea generale, segnalava che certe impostazioni sulla gestione dei beni «potrebbero portare ad una maggiore responsabilità del Romano Pontefice stesso nella gestione dei beni della Santa Sede e, in qualche caso, anche dei beni ecclesiastici in generale», potendo addirittura «fondare la richiesta di indennizzi al Papa per tutti gli atti di gestione dei beni della Santa Sede. Il discorso potrebbe essere ampliato a tutti i beni ecclesiastici […]».

[134] G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 181. Nello stesso senso si pronuncia, quanto alla sfera penale, J.I. Arrieta, L’aggiornamento del codice Zanardelli come codice penale vaticano, cit., p. 34: «al diritto canonico sarà rimessa la competenza ad individuare il diritto applicabile nel singolo caso».

[135] Tenendo sempre presente ovviamente il diritto divino, come anche sopra si è evidenziato: v. le riflessioni di G. Dalla Torre, Il contributo di Piero Antonio Bonnet alla giurisprudenza vaticana, cit., p. 218 ss.

[136] D’altro canto, come evidenzia G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., pp. 182-183, il diritto canonico è «ispiratore di peculiari disposizioni vaticane e riferimento per la loro applicabilità. Un caso assai singolare al riguardo è dato dalla sopra ricordata disposizione, che riprende un principio già contenuto nell’art. 23 della previgente legge sulle fonti del diritto (1929), di cui all’art. 9 della legge in vigore (2008), che sotto la rubrica “Poteri del giudice in materia penale” dispone: “[…]”. /La disposizione ha la sua ratio nella necessità di colmare le eventuali lacune dell’ordinamento giuridico vaticano, dinnanzi a condotte che sono oggettivamente in contrasto con i principi della religione e della morale, l’ordine pubblico, la sicurezza delle persone e delle cose; essa è evidentemente ispirata alla norma di cui al can. 1399 c.i.c.». Su questa disposizione, che conosce un parallelo anche nell’ambito civile (cfr. art. 6 sempre della vigente legge sulle fonti) cfr. anche Id., Il diritto penale vaticano tra antico e nuovo, cit., p. 447.L’approfondimento di tale tema, peraltro, mi porterebbe molto lontano.

[137] Riporto qui le chiare spiegazioni di G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., pp. 139-140: «Può verificarsi in materia penale che determinate condotte siano considerate come reato sia nell’ordinamento statale che nell’ordinamento canonico. […] In questi casi ricorre indubbiamente una concorrenza di giurisdizione tra giudice vaticano e giudice canonico, per la quale non vale il principio generale del ne bis in idem, per il quale il giudice statale che per primo procede preclude l’azione penale agli altri eventualmente competenti. La inapplicabilità nel caso del principio è data da una ragione di fondo, individuabile nella assoluta diversità nelle finalità e nello spirito tra diritto penale statuale e diritto penale canonico, che si esprime anche nella assoluta diversità di sanzioni con le quali vengono punite le medesime condotte. /Posto dunque che nella materia de qua non si dà il principio ne bis in idem né preclusioni di sorta, e di conseguenza che potranno procedere sia il giudice vaticano che quello canonico, si pone il problema di quale giudizio debba avere la precedenza. /Al riguardo non si danno indicazioni nell’ordinamento dello Stato, ma è pensabile che sia più opportuno procedere prima al giudizio penale in sede secolare e poi a quello canonico. E ciò per una ragione pratica ed una ragione di principio. /Dal punto di vista pratico, è evidente che il giudice ecclesiastico potrà giovarsi del materiale probatorio acquisito in sede civile, delle risultanze processuali, delle conclusioni del processo secolare, delle eventuali pene irrogate in tale sede, tenendone conto per i propri accertamenti e le proprie conclusioni. /Dal punto di vista di principio sembrerebbe più opportuno che il giudice ecclesiastico intervenga una volta concluso il giudizio penale in sede statale, perché nella condotta contestata potrebbe non esservi reato ai sensi della legge penale statale, ma sussistere il crimine alla luce della legge penale canonica». V. quanto già rilevava F. Cammeo, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 162 ss., e p. 214 ss. Per una recente sentenza che si sofferma al riguardo, relativamente ad un caso di cosiddetta ‘pedopornografia’, si veda Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 4 dicembre 2014, proc. penale N. 18/14 Reg. Gen. Pen., in Annali di diritto vaticano 2015, cit., p. 148 ss.

[138] Pur mirando ad una presentazione coerente del complicato quadro normativo P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 122, non può non ammettere che «Al di là delle definizioni normative, comunque, l’individuazione in concreto della categoria dei pubblici ufficiali è sempre stata fonte di alcune incertezze in sede di applicazione giurisprudenziale»: peraltro, in tale sede, l’Autore, «Premesso che la definizione in concreto dei contorni della suddetta categoria spetta alla discrezionalità dei giudici vaticani», richiama, come «spunto interessante e utile» il codice penale italiano piuttosto che il diritto canonico.

[139] G. Dalla Torre, Il diritto penale vaticano tra antico e nuovo, cit., p. 459.

[140] Questioni si sono poste in varie vertenze: si vedano, ad esempio, Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 14 giugno 2014, proc. penale N. 70/12 Reg. Gen. Pen., in Annali di diritto vaticano 2015, cit., p. 163; Tribunale, sentenza 7 luglio 2016, proc. penale Prot. N. 71/15 Reg. Gen. Pen., in Annali di diritto vaticano 2017, a cura di G. Dalla Torre - P.A. Bonnet, Città del Vaticano, 2017, p. 119 ss., specialmente p. 153 ss. (con ampie argomentazioni); Tribunale, Giudice istruttore, sentenza di rinvio a giudizio 7 giugno 2018 (dec. e dep.), N. 12/18 Reg. Gen. Pen., in Annali di diritto vaticano 2020, cit., p. 133 ss.; Tribunale, sentenza 23 giugno 2018 (dec.) - 29 settembre 2018 (dep.), N. 12/18 Reg. Gen. Pen., ivi, p. 141 ss.; Tribunale, sentenza 21 gennaio 2021 - 16 luglio 2021, RGP N. 24/18, in Annali di diritto vaticano 2021. Piero Antonio Bonnet in memoriam, cit.,p. 142 ss.

[141] Ad esempio, commentando la nuova legge vaticana 25 novembre 2018 n. CCLXXIV sul governo dello Stato della Città del Vaticano emanata con motu proprio di papa Francesco Fin dall’inizio (in L’Osservatore Romano, 7 dicembre 2018, pp. 4-5), A. Sarais, Nuova legge sul governo dello Stato della Città del Vaticano: prime osservazioni, in Archivio giuridico, CLI (2019), p. 641, significativamente conclude che «la corretta prospettiva applicativa» della legge «dovrebbe essere quella indicata chiaramente dal Supremo Legislatore nel motu proprio di approvazione della legge, per cui la riorganizzazione complessiva del Governatorato delineata dalla riforma è tesa ad un adeguamento richiesto dalle nuove attuali esigenze, ma pur sempre alla luce del “servizio ecclesiale che [il Governatorato] è chiamato a prestare alla missione del Romano Pontefice nel mondo e alla peculiare finalità istituzionale dello Stato della Città del Vaticano, ‘designato per sua natura a garantire alla Sede di Pietro l’assoluta e visibile indipendenza’”».

[142] P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 352, parla di «costante applicazione di quei criteri di ragionevolezza […], imposti dal diritto divino ed orientati dall’interpretazione illuminante del diritto ecclesiale, in quanto intelligenza di un medesimo dettato positivo, approfondito con assiduità e per ciò rinnovato nei suoi significati».

[143] V. Francesco, legge n. LCCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, 13 marzo 2020, in L’Osservatore Romano, 16-17 marzo 2020, p. 6. Come esattamente annota G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 12 (2020), pp. 98-99, «Per quanto riguarda i profili soggettivi richiesti a coloro che sono chiamati a svolgere le funzioni sia giudicanti sia requirenti, presso il Tribunale e presso la Corte d’appello, la Legge, dopo aver precisato che essi sono di nomina pontificia (art. 8, n. 1; art. 14, n. 1; art. 15), dispone che /“sono scelti preferibilmente tra professori universitari di ruolo o in quiescenza, e comunque tra giuristi di chiara fama che abbiano maturato una comprovata esperienza in ambito giudiziario o forense, civile, penale o amministrativo”. /La disposizione viene opportunamente a coprire una lacuna della previgente legge, che non faceva riferimento alcuno a requisiti soggettivi volti ad assicurare indipendenza, competenza e professionalità. Certo la “comprovata esperienza” di cui si tratta costituisce un paradigma di riferimento di massima, posto che essa, per essere effettivamente utile, dovrebbe essere stata maturata nell’ambito dell’ordinamento vaticano, che notoriamente possiede un alto carattere di peculiarità, sicché le esperienze acquisite in altri ordinamenti statuali ma senza alcuna conoscenza del diritto vaticano potrebbero in concreto conferire ben poca utilità».

[144] Cfr. G. Pignatone, Indipendenza e professionalità dei magistrati, in L’Osservatore Romano, 16-17 marzo 2010, p. 6.

[145] G. Dalla Torre, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., p. 237.

[146] La materia, come noto, è spesso solo opzionale nelle Università statali. Le basilari nozioni di diritto ecclesiastico sono spesso ignorate anche dalla giurisprudenza italiana. V. l’invero oramai risalente articolo di S. Carmignani Caridi, Curia romana e Stato della Città del Vaticano. Criteri di individuazione dei rispettivi enti, in Il diritto ecclesiastico, XCIX (1988), I, p. 139, nota 2, che menzionava alcune sentenze nelle quali affiorava una «mirabile opera di commistione concettuale tra: Santa Sede, S.C.V., Chiesa cattolica ed enti ecclesiastici»; si scambia anche talora il Trattato con il Concordato lateranense, «facendo un po’ confusione - almeno terminologica - tra i vari ‘Patti’ lateranensi»: Id., Rapporti interordinamentali: Santa Sede, Stato della Città del Vaticano e giudici ecclesiastici davanti al giudice dello Stato (1984-2012), ivi, CXXIII (2012), p. 472; l’Autore concludeva il suo studio affermando come «dalla lettura di tanta giurisprudenza emerga una (forse da molti insospettata) vitalità ed attualità anche professionale del Diritto ecclesiastico, la cui scarsa frequentazione da parte di alcuni ha alle volte generato nelle pronunzie una frequente imprecisione anche terminologica che non ha giovato alla linearità delle soluzioni adottate» (ivi, p. 533). Sulla «confusa percezione della distinzione tra Santa Sede, Chiesa cattolica e S.C.V.» cfr. altresì alcune considerazioni di P. Cavana, Sui limiti della giurisdizione italiana nei confronti degli organi dello S.C.V. (ovvero sulla statualità di quest’ultimo), ivi, CIX (1998), II, p. 449 ss. (nel caso a equivocare sulla distinzione tra ordinamento canonico e ordinamento vaticano era stato non solo il Tribunale di Roma, ma - sembrerebbe - addirittura la stessa difesa della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano).

[147] Già durante la vigenza della legge sulle fonti del 1929 G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, cit., p. 161, parlava di ‘sovraordinazione’ del diritto canonico, replicando alle diverse posizioni di Cammeo e Ciprotti.

[148] V. art. 26 n. 4 della citata legge n. LCCCLI. Peraltro, non essendo necessario che gli avvocati siano iscritti all’albo degli avvocati della Rota romana, ci si chiede come venga «comprovata» (al fine del «nulla osta del Segretario di Stato») la conoscenza del diritto canonico (oltre che del diritto vaticano). Per un’illustrazione dei problemi che la carenza di conoscenze canonistiche da parte degli avvocati solleva e dei rimedi che si potrebbero approntare v. P. Grossi, Relazione del promotore di giustizia aggiunto per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, Città del Vaticano, 12 gennaio 2013, p. 14 ss. Si veda recentemente l’accurato saggio di M. Carnì, L’esercizio della professione forense nello Stato della Città del Vaticano. Spunti ricostruttivi e problematiche attuali, in Iustitia et sapientia in humilitate. Studi in onore di Mons. Giordano Caberletti, a cura di R. Palombi - H. Franceschi - E. Di Bernardo, Città del Vaticano, in corso di pubblicazione.

[149] G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 100.

[150] Questo il discorso di G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., pp. 92-93: «In particolare sollecitazioni a una riforma del sistema giudiziario vaticano venivano dal Gruppo di esperti per la valutazione delle misure di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo Moneyval, membro associato dell’organismo intergovernativo denominato Gruppo di azione finanziaria internazionale GAFI. Moneyval in sostanza è venuta sostanzialmente assimilando la Città del Vaticano a qualsiasi altra realtà statuale, sembrando non comprendere la sua natura peculiarissima di Stato-mezzo, strumentale alla missione della Santa Sede nel mondo, né le situazioni di diritto e di fatto in cui concretamente si trova. Per quanto attiene specificamente alla giurisdizione, Moneyval postulava la realizzazione di una distinzione tra sezioni civili e sezioni penali nei vari gradi di giudizio, richiedeva una chiara separazione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, eccepiva il fatto che i magistrati erano selezionati tra canonisti ed ecclesiasticisti, piuttosto che da esperti in materie giuridiche “profane” e più rispondenti alla casistica civile - ma soprattutto penale - tipica dell’attuale società globalizzata». Sulle «incapacità degli interlocutori internazionali di comprendere la peculiarissima realtà della Santa Sede» cfr. quanto lo stesso Autore annotava in Il diritto penale vaticano tra antico e nuovo, cit., p. 453 ss., anche in nota. Si veda ancora Id., I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., p. 232 ss., sulla situazione per la quale «tutto il sistema sia della Santa Sede sia dello Stato della Città del Vaticano è stato sottoposto a notevole stress per innovazioni repentine e susseguentesi in rapida successione. Si tratta di un’esperienza che si è riflessa in modo singolare sul sistema giudiziario vaticano».

[151]A proposito delle relazioni tra diritto canonico e diritto vaticano e commentando l’appena citata frase del motu proprio di papa Francesco J. Bogarín Díaz, Extensión de la jurisdicción en el marco de las relaciones entre ordenamiento jurídico canónico y ordenamiento jurídico vaticano, in Studi sul diritto del governo e dell’organizzazione della Chiesa in onore di Mons. Juan Ignacio Arrieta, II, cit., p. 1382, afferma: «Es este precisamente un tema que el Santo Padre ha invitado recientemente a profundizar, de una manera vinculante por parte de los tribunales vaticanos, pero también de modo privado por parte de la doctrina jurispericial», per concludere, al termine del saggio, «que la extensión de la jurisdicción de los órganos judiciales vaticanos al orden canónico […] es una cuestión nada baladí, con consecuencias todavía insuficientemente analizadas por la doctrina» (ivi, p. 1400).

[152] Pare diversa l’impostazione, ad esempio, di A. Diddi, promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nel saggio I novant’anni del codice di procedura penale dello Stato della Città del Vaticano, in 1929-2019 Novant’anni di rapporti tra Stato e confessioni religiose. Attualità e prospettive, cit., pp. 99-105, il quale, dopo aver premesso «Non sono infatti né un ecclesiasticista, né un canonista, ma un avvocato penalista e un docente di procedura penale» (ivi, p. 99), asserisce: «credo che il vero problema con il quale un interprete debba oggi fare i conti è quello della legittimazione di un sistema processuale che rischia di essere autoreferenziale, cioè di un sistema che è chiuso in sé stesso e che non vede che fuori dal suo recinto ci sono dei principi che richiedono invece di essere applicati. Il problema non è meramente teorico, perché […] oggi questo piccolo Stato di mezzo chilometro quadrato non potrebbe sopravvivere se non avesse la possibilità di interagire con i sistemi che sono fuori dai suoi confini. […] Credo che oggi lo Stato della Città del Vaticano con i suoi strumenti processuali, parlo soprattutto del processo penale, debba fare i conti con questa realtà. Fuori dai confini vaticani gli Stati fondano le loro relazioni sulla condivisione di determinati principi che sono garanzie che servono per dare legittimazione alle proprie decisioni, mentre lo Stato della Città del Vaticano per questa sua chiusura rischia di essere sacrificato» (ivi, pp. 101-102).

[153] G. Dalla Torre, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., p. 237. Sulla necessaria conoscenza del diritto canonico richiesta ai magistrati vaticani cfr. anche Id., L’indipendenza della giustizia vaticana. Note sui magistrati addetti al Tribunale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 25 del 2019, p. 25 ss. (anche in Parola - sacramento - carisma. Scritti in onore di Libero Gerosa in occasione del suo 70° compleanno, cit., pp. 637-648).

[154] V. art. 6: «Quando una controversia civile non si possa decidere con il riferimento ad una norma, prevista dalle fonti indicate nei precedenti articoli, il giudice decide tenuti presenti i precetti del diritto divino e del diritto naturale, nonché i principi generali dell’ordinamento giuridico vaticano», e art. 9: «Qualora manchi qualunque disposizione penale e tuttavia sia commesso un fatto che offenda i principi della religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose, il giudice può richiamarsi ai principi generali della legislazione per comminare pene pecuniarie sino ad Euro tremila, ovvero pene detentive sino a sei mesi, applicando, se del caso, le sanzioni alternative di cui alla legge 14 dicembre 1994, n. CCXXVII». Nell’art. 6, rispetto alla corrispondente norma della legge sulle fonti del 1929 (art. 22), «Il richiamo che prima si faceva al giudice di tener conto dei “principi del diritto canonico”, non risulta ormai più necessario, non solo perché tali principi sono già compresi quando la legge menziona i principi dell’ordinamento vaticano, ma anche perché l’art. 1 §1 ha rinforzato la posizione della disciplina canonica nel sistema vaticano delle fonti»: J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 206.

[155] Invero, come del resto Giuseppe Dalla Torre sapeva bene, è scomparso nella nuova formulazione l’invito al giudice ad adottare «quel criterio che seguirebbe, se fosse legislatore» presente nell’art. 22 della precedente legge sulle fonti del 1929 a proposito delle controversie civili. La formula, infatti, non era del tutto corretta, ma la sostanza è immutata: v. quanto già osservava N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, cit., p. 120 ss., e soprattutto le spiegazioni di P.A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., pp. 548-549.

[156] G. Dalla Torre, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., p. 238. Dalla Torre concludeva che si dovesse chiedere ai magistrati vaticani, come era prassi in passato, oltre alla laurea in giurisprudenza, il dottorato in diritto canonico, aggiungendo tuttavia: «Il problema posto dalla legge potrà essere peraltro superato se di fatto, nella nomina di magistrati, l’autorità competente sarà accorta ad accertare, se non il possesso di un dottorato, quantomeno una adeguata conoscenza del diritto ecclesiale» (ivi). Personalmente nutro qualche perplessità su giudizi che prescindano dal possesso di un titolo accademico: sono note le troppo ampie discrezionalità e dunque le arbitrarietà cui ha dato luogo, ad esempio, la formula codiciale «vere peritus» (can. 1483).

[157] V. quanto rilevava circa questo «cordone ombelicale» N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, cit., p. 117.

[158] N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, cit., p. 111.

[159] V. invece l’art. 10 della legge fondamentale n. I del 1929, comma 1: «Il potere giudiziario in materia civile, nelle cause in cui non sia stabilita la competenza del giudice unico, e in materia penale, quando si tratti di giudicare dei delitti, è esercitato ordinariamente da un Tribunale di prima istanza e dalla Sacra Romana Rota in sede di appello, oltre il rimedio straordinario del ricorso al Supremo Tribunale della Segnatura». Cfr. W. Hilgeman, L’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Origine ed evoluzione, cit., p. 115: «il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica […] è Supremo Tribunale per tutta la Chiesa e, dalla LF/I, era stato costituito anche come organo giudiziario dello S.C.V., per il rimedio del ricorso straordinario, al termine della seconda istanza (appello), sempre che tale rimedio fosse ammissibile. /Come organo giudiziario dello S.C.V. esso non poteva essere qualificato come vero tribunale di terza istanza, incaricato dell’esame del merito, ma come corte di cassazione, incaricata di esaminare solo l’aspetto del rispetto del diritto. […] ad esso era affidato il potere disciplinare, circa il personale giudiziario. […] il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, quando agiva come organo giudiziario per lo S.C.V., doveva porre gli atti nel territorio del medesimo»; in quest’ultimo volume un’esposizione dell’evoluzione dell’ordinamento giudiziario, in particolare delle competenze specifiche di quest’organo. Cfr. anche N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, cit., p. 93 ss., il quale si sofferma ampiamente su un confronto della giustizia vaticana con la giustizia pontificia precedente: «La connessione con l’ordinamento giudiziario pontificio era ancora più evidente nel disegno delle impugnazioni. Come nello Stato pontificio, così nella prima fase dell’ordinamento vaticano, l’appello […] era riservato alla Sacra Rota e veniva anche previsto il ricorso al Supremo Tribunale della Segnatura, quale rimedio straordinario, secondo le norme in vigore nel diritto canonico. In altri termini, i due Supremi Tribunali ecclesiastici venivano gravati anche di funzioni secolari».

[160] G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 185, il quale prosegue: «Del resto la medesima legge sull’ordinamento giudiziario, laddove, all’art. 24, dispone che la cassazione “è la sola competente a giudicare, previo assenso del Sommo Pontefice, gli Eminentissimi Cardinali e gli Eccellentissimi Vescovi nelle cause penali”, si premura di precisare che ciò vale “fuori dei casi previsti dal canone 1405 par. 1 del Codex Iuris Canonici”. Il che non significa affatto restaurazione di un seppur limitato privilegio del foro; significa invece che è riservata alla cassazione vaticana, quindi al giudice statuale, la competenza a giudicare penalmente in temporalibus determinati soggetti, ferma restando la giurisdizione del giudice ecclesiastico competente per i crimini canonici nel foro ecclesiastico (can. 1401)».

[161] Cfr. G. Dalla Torre, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., pp. 236-237: tale innovazione è «opportuna per comprensibili ragioni di continuità operativa, ma soprattutto in rapporto all’esigenza di garantire meglio uno degli elementi che contribuiscono a qualificare il “giusto processo”, vale a dire la precostituzione del giudice e la non sottraibilità al giudice naturale, che significa anche - almeno in penale - non modificabilità del collegio giudicante».

[162] Nota C. Mauriello, L’ordinamento giudiziario civile ed ecclesiastico nello Stato della Città del Vaticano, in Diritto vaticano e diritto secolare. Autonomia e rinvii tra ordinamenti giuridici, cit., p. 65, la Cassazione «è l’unico Tribunale dello S.C.V. composto da giudici non nominati espressamente dal Pontefice» (per quanto la nomina in Segnatura risalga al medesimo).

[163] Su altri aspetti v. C. Gentile, Le recenti modifiche in materia di giustizia e di competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ai sensi dei motu proprio Esigenze emerse dell’8 febbraio 2021 e Secondo la Costituzione del 30 aprile 2021, in Ius Ecclesiae, XXXIII (2021), pp. 669-682.

[164] P. Moneta, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, 4ª ed., Genova, 2008, p. 235; v. anche Id., La giustizia nella Chiesa, Bologna, 1993, p. 63.

[165] Va annotato che l’art. 195 § 1 della citata costituzione apostolica Praedicate Evangelium menziona soltanto «cardinali, vescovi e presbiteri», per cui è esclusa la possibilità di essere membri del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, oltre che per i laici, per i diaconi. Tale preclusione postula una riflessione: cfr. infra.

[166] V. Benedetto XVI, litterae apostolicae motu proprio datae Antiqua ordinatione quibus Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae lex propria promulgatur, 21 giugno 2008, in Acta Apostolicae Sedis, C (2008), pp. 513-538.

[167] V. la trattazione di M. Ganarin, La riforma della Curia romana nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium di Papa Francesco. Osservazioni a una prima lettura, in Il diritto ecclesiastico, CXXXIII (2022), pp. 271-310, passim, che si sofferma sulle varie norme al riguardo.

[168] G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 91, ove anche riferimenti bibliografici essenziali.

[169] In uno degli ultimi articoli che il Professor G. Dalla Torre ha dedicato al diritto vaticano, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, cit., p. 240, così significativamente concludeva, dopo aver ricordato «lo scioglimento progressivo dei nodi costituiti da varie interferenze fra diritto statale e diritto canonico nella formazione degli organi giudicanti vaticani e nell’esercizio delle relative funzioni»: «Interessante notare come a questo processo di sana secolarizzazione del sistema di giustizia statale vaticano, risponda negli anni più recenti, con Benedetto XVI e soprattutto con Francesco, un processo inverso di estensione della giurisdizione statale negli interna corporis dell’ordine canonico. Processo del tutto comprensibile e giusto, ma sui cui potenziali pericoli attenta dottrina ha correttamente richiamato la riflessione», con la bontà finale di citare un mio lavoro.

[170] Anche procedurali. Invece, come noto, prima della promulgazione di un codice di procedura civile per lo Stato della Città del Vaticano nel 1946 (con motu proprio Con la legge di Pio XII, 1° maggio 1946, in Acta Apostolicae Sedis, XXXVIII [1946], pp. 170-172), c’era una discrasia tra impugnazioni in materia civile e in materia penale: «In ambito civile, l’art. 15 della Legge n. II sulle fonti del diritto, allora vigente, richiamava le norme procedurali del Codice di Diritto Canonico (can. 1552-1998 del Codice del 1917), mentre in campo penale si applicava interamente il codice di procedura penale italiano del 1913»: J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 183. Come poi puntualizza N. Picardi, Lo Stato vaticano e la sua giustizia, cit., rispettivamente p. 107, e p. 111, in civile per «l’integrale applicazione della procedura canonica nelle impugnazioni […] da un lato entrava in attuazione […] il principio della doppia conforme, e cioè, ad es., il passaggio in giudicato della sentenza di appello che convalida quella di primo grado; dall’altro il ricorso straordinario al Tribunale della Segnatura era esperibile solo nei limiti di questo mezzo e, in particolare, nel caso di annullamento per errori di procedura e, semmai, in quello della restitutio in integrum contro le sentenze della Rota. Non era, invece, ammissibile il generale rimedio di legittimità proprio del ricorso in cassazione. /In penale, al contrario, avanti al Tribunale della Rota e a quello della Segnatura, si applicava integralmente il codice di procedura penale italiano del 1913 con la conseguenza che non valeva il principio della doppia conforme ed erano esperibili tre gradi di giurisdizione, due di merito ed uno di legittimità per tutti i classici motivi di ricorso previsti in sede di cassazione. […] Il nuovo codice di procedura civile vaticano, agli artt. 334 ss., ha […] disciplinato i mezzi di impugnazione e le relative procedure, con particolare riguardo del controllo di legittimità da parte della Cassazione (art. 371 ss.). Pertanto, né in penale né in civile si applica più la procedura canonica ed è stata così sanata la discrasia».

[171] Echeggio qui G. Pignatone, Indipendenza e professionalità dei magistrati, cit., p. 6, il quale, sottolineando la necessità di «specifici e rigorosi requisiti di professionalità» nei magistrati vaticani, pure evidenzia: «La magistratura vaticana è quindi oggi chiamata ad applicare una legislazione per molti aspetti modernissima, in gran parte frutto della globalizzazione, ma innestata su codici risalenti ormai a molti decenni fa. Ma soprattutto l’interpretazione e l’applicazione di queste leggi deve rispettare la specificità del diritto vaticano che, come ribadito ancora dalla Legge nr. LXXI del 1° ottobre 2008 sulle fonti del diritto, riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo. /Questo contemperamento tra antico e moderno costituisce la peculiarità dell’attuale momento storico e anche un motivo ulteriore di impegno per noi magistrati».

[172] V. i rilievi di P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 340.

[173] Cfr. P. Parolin, Omelia nella celebrazione eucaristica in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, in Annali di diritto vaticano 2021. Piero Antonio Bonnet in memoriam, cit.,p. 112: «Illustri Signori, come Voi sapete, i Tribunali dello Stato della Città del Vaticano non sono Tribunali Apostolici o Pontifici, perché non sono i Tribunali della Sede Apostolica, quali la Romana Rota e il Supremo Tribunale della Segnatura, i soli la cui giurisdizione rappresenta una vera e propria inserzione nel munus primaziale del Successore di Pietro e una partecipazione, ordinaria vicaria ai suoi poteri nell’ambito della sua suprema potestà giurisdizionale, come ebbe adire San Paolo VI nell’allocuzione alla Rota Romana nel 1966. /Tuttavia, in quanto Tribunali dello Stato il cui Sovrano è il Papa e la cui funzione è appunto quella di garantire al Papa l’indipendenza necessaria per l’esercizio della sua missione, è comprensibilissimo come e perché la fonte primaria dell’ordinamento di questo Stato-funzione non possa non essere il diritto canonico, con tutta intera la sua irriducibile peculiarità, che è quella di un vero diritto, che ha consapevolmente rinunciato alla nota della coercibilità esteriore, facendo piuttosto leva sulla forza interiore della libera adesione della coscienza […], e il cui fine ultimo è metastorico e soprannaturale: la salus animarum, pur disciplinando, questo diritto, la vita esterna e sociale del Popolo di Dio».

[174] Sottolineo peraltro, come già segnalato, le competenze del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica anche «all’interno […] dell’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano, al presente non ancora messe in atto» (A. Ripa, La Segnatura Apostolica e i conflitti di attribuzione, cit., p. 75) in ordine ai conflitti di attribuzione tra gli enti e tra gli enti e gli organismi di vigilanza e controllo inerenti alla normativa sui contratti a rilevanza pubblica (cosiddetto ‘codice degli appalti’).

[175] Si ricordi tuttavia che sono due le autorità supreme nella Chiesa cattolica: v. can. 336 del Codex Iuris Canonici.

[176] Desumo l’espressione, pur usata in altro senso, da G.P. Montini, Alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, in «Servi inutiles sumus». Studi in memoria di S.E. Mons. Giorgio Corbellini, cit., pp. 304-305, che così significativamente conclude il suo saggio: «Per un diritto che sia radicato nella realtà, ciò non può che significare la necessità che (anche) in materia di lavoro si riconosca la possibilità non solo di invocare una quale che sia giurisdizione di legittimità, ma che l’esame o sindacato di legittimità sia posto nella sua sede naturale, ossia nella Corte di Cassazione. Questa, infatti, possiede in ragione della sua competenza generale di legittimità, nonché del costante e continuo esercizio di questa giurisdizione di legittimità, non solo la competenza, ma anche la forma mentis propria per un tale sindacato. Non appare coerente con le concrete esigenze di giustizia escludere la Corte di Cassazione da alcune materie né trasferire la competenza ultima di legittimità ad istanze ordinariamente deputate ai giudizi di merito. Ciò vale in generale, ma vieppiù - credo - per la materia del lavoro che, se è componente significativa della vita di una persona, proprio per questo può essere maggiormente soggetta a inclinare verso giudizi giustificati da considerazioni che la legge non ha voluto far proprie nella sua volontà tesa istituzionalmente al bene comune, che richiede perciò - tramite appunto l’accesso al giudizio di legittimità presso la Corte di Cassazione - il “dovere di garantire il principio generale della certezza del diritto” e “dell’interesse generale”».

[177] Competenza che aveva ricevuto dalla citata legge n. CXIX del 1987 sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano: v. i rilievi di W. Hilgeman, L’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Origine ed evoluzione, cit., p. 141 ss.

[178]Con il motu proprio Secondo la Costituzione conciliare (recante modifiche in tema di competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano), del 30 aprile 2021, in L’Osservatore Romano, 30 aprile 2021, p. 6, papa Francesco ha abrogato l’art. 24 della legge sull’ordinamento giudiziario vaticano che, sotto la rubrica Riserva di competenza, disponeva che «La corte di cassazione è la sola competente a giudicare, previo assenso del Sommo Pontefice, gli Eminentissimi Cardinali e gli Eccellentissimi Vescovi nelle cause penali, fuori dei casi previsti dal canone 1405 § 1 del Codex Iuris Canonici» (la disposizione ricalcava sostanzialmente il dettato del vecchio ordinamento giudiziario del 1987). Con l’aggiunta di un nuovo comma all’art. 6 del vigente ordinamento giudiziario, ora «Nelle cause che riguardino gli Eminentissimi Cardinali e gli Eccellentissimi Vescovi, fuori dei casi previsti dal can. 1405, § 1, il tribunale giudica previo assenso del Sommo Pontefice». Francesco, nel preambolo del motu proprio, motiva: «nel recente discorso di apertura dell’Anno giudiziario ho inteso richiamare la “prioritaria esigenza, che - anche mediante opportune modifiche normative - nel sistema processuale vigente emerga la eguaglianza tra tutti i membri della Chiesa e la loro pari dignità e posizione, senza privilegi risalenti nel tempo e non più consoni alle responsabilità che a ciascuno competono nella aedificatio Ecclesiae; il che richiede non solo solidità di fede e di comportamenti, ma anche esemplarità di contegno ed azioni”». Commentando tale motu proprio C. Gentile, Le recenti modifiche in materia di giustizia e di competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ai sensi dei motu proprio Esigenze emerse dell’8 febbraio 2021 e Secondo la Costituzione del 30 aprile 2021, cit., p. 680, pur apprezzandone i contenuti, rileva: «In meno di un anno veniva, quindi, posta mano ancora una volta alla recente Legge sull’ordinamento giudiziario, sintomo che ha varcato anche i confini delle Mura Leonine la bulimia legislativa tipica degli ordinamenti civili, le cui motivazioni andrebbero dettagliatamente analizzate. Una tra queste potrebbe intravvedersi nella necessità di risolvere questioni non previste nell’ordinamento e che man mano si pongono all’attenzione del Legislatore. In alcuni casi potrebbe sembrare che siano intervenuti ad personam. Se questo fenomeno è generalmente deprecabile (sia in senso favorevole, sia in senso contrario), d’altra parte è anche vero che ex facto oritur ius. Essendo infatti impossibile prevedere tutte le azioni umane o situazioni mai verificatesi precedentemente nell’ordinamento, il diritto si evolve per regolare le situazioni nuove, emergenti volta per volta nella realtà fattuale»; e nelle conclusioni lo stesso Autore censura l’«affannosa corsa del legislatore vaticano ad aggiornare ed adeguare agli standard internazionali il sistema penale»: con questi «piccoli e singoli interventi […] si rischia di far diminuire la forza simbolica ed “educatrice” delle leggi, si rischia di commettere errori, di non tener conto di alcuni aspetti e di creare, in definitiva, aporie di sistema che poi dottrina e giurisprudenza sono chiamati a risolvere» (ivi, p. 682).

[179] Prima della recente riforma argomentava J.I. Arrieta, Corso di diritto vaticano, cit., p. 161: «La Corte di Cassazione è l’unica istanza della magistratura vaticana la cui composizione rimane sostanzialmente legata ad un tribunale apostolico, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in ragione della giurisdizione esclusiva che detta istanza gode sulle cause penali contro Cardinali e Vescovi» (ribadisce lo stesso concetto a pp. 251-252).

[180] Infatti, come asseriva G.L. Marrone, Nuovo ordinamento giudiziario per lo Stato della Città del Vaticano, in Bollettino del Circolo di s. Pietro, II (1987), pp. 37-38, quanto alla riserva alla Corte di Cassazione di giudicare cardinali e vescovi nelle cause penali non di natura ecclesiastica, si sarebbe dinanzi ad «una peculiare riserva di giurisdizione […] che la particolare dignità e funzione, anche di carattere pubblico, dei destinatari certamente giustifica, subordinando anzi l’attivazione all’assenso del Sommo Pontefice. Un limite, dunque, alla impostazione di fondo del nuovo ordinamento giudiziario, tendente a mantenere distinti gli organi giudicanti statuali da quelli ecclesiastici? Un limite alla valorizzazione della laicità, nel senso già adoperato di valorizzazione piena della legittima autonomia del “civile” in ogni sua manifestazione? Ci sembra di no, trattandosi piuttosto di una sottolineatura della dimensione propria […] dell’ordinamento giudiziario vaticano, che non può, per la stessa natura singolarissima dello Stato nel quale trova incidenza, uniformarsi tout court alle strutture giudiziarie laiche nel significato politico del termine. Del resto, non si ricorda mai abbastanza come tutti i poteri, nello S.C.V., sono esercitati per delega dell’unico titolare e depositario della potestà legislativa, di governo e giudiziaria: il Sommo Pontefice. E ciò per il perseguimento delle finalità che legittimano […] la stessa esistenza dello Stato, la cui costituzione è stata chiaramente finalizzata al pieno e libero espletamento della funzione-missione del Pastore Supremo della Chiesa universale». V. peraltro C. Gentile, Le recenti modifiche in materia di giustizia e di competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ai sensi dei motu proprio Esigenze emerse dell’8 febbraio 2021 e Secondo la Costituzione del 30 aprile 2021, cit., pp. 680-681, il quale parla di una «sorta di “privilegio del foro” secondo cui i cardinali ed i vescovi» erano giudicati «da loro “pari” nell’ordine episcopale e nella dignità ecclesiastica», anche argomentando sulla base delle parole stesse del pontefice nel motu proprio del 30 aprile del 2021 sopra riportate. Si veda recentemente quanto ha per converso chiarito D. Mamberti, La Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, in corso di pubblicazione nel volume di raccolta degli atti del convegno Il diritto vaticano, svoltosi a Roma il 20 ottobre 2022 presso la Libera Università Maria Santissima Assunta.

[181] V. l’art. 19 della già citata legge n. CCCLI.

[182] In generale, del resto, cfr. quanto asserisce, dopo la riforma della costituzione apostolica Pastor bonus e proprio alla luce delle novità che sono state introdotte, M. Ganarin, La riforma della Curia romana nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium di Papa Francesco. Osservazioni a una prima lettura, cit., p. 294: «l’‘arruolamento’ di fedeli laici vere periti non soltanto nei Dicasteri ma anche negli Organismi di giustizia sarebbe auspicabile, attese le garanzie di professionalità e di imparzialità che essi offrono, apparendo francamente poco giustificata la loro estromissione dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che rimane per esplicita volontà del legislatore composta da Cardinali, Vescovi e presbiteri e presieduta da un Cardinale Prefetto (art. 195 § 1). Il rinnovato carattere vicario della Curia, infatti, non sembra giustificare disposizioni di tale portata volte a differenziare il trattamento dei christifideles sul piano sacramentale: di conseguenza, non pare plausibile invocare la peculiare natura e le competenze specifiche del Tribunale, adducendo che queste ultime dovrebbero essere convenientemente esercitate solo da Vescovi e presbiteri perché, ad esempio, la Segnatura giudica i profili di legittimità degli atti amministrativi singolari di Vescovi e Istituzioni curiali e adotta, se necessario, provvedimenti disciplinari nei riguardi di autorità locali nell’ambito della funzione di vigilanza sulla retta amministrazione della giustizia nella Chiesa (artt. 197 § 1 e 198, n. 1)». Nello stesso senso A. Viana, La potestà della curia romana secondo la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, in corso di pubblicazione in Ephemerides iuris canonici.

[183] V. G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 102, il quale scriveva, prima dell’ultima modifica: «È pensabile, per coerenza del sistema, che in questi casi la Corte giudichi nella composizione ristretta dei soli Cardinali, quindi senza la presenza di giudici applicati, e ciò anche qualora si tratti di procedimenti complessi dal punto di vista tecnico-giuridico. Il che, in concreto, potrebbe creare nuovamente qualche problema».

[184] Proseguendo in alcune possibili suggestioni de iure condendo, posto che la costituzione apostolica Praedicate Evangelium pare aver ‘rimeditato’ il ‘concetto’ di potestà vicaria e aver in qualche modo ‘relativizzato‘ la centralità dei cardinali, e considerato il suddetto superamento della riserva stabilito dal motu proprio Secondo la Costituzione conciliare del 30 aprile 2021, i giudici nominati per un triennio dal presidente della Corte di Cassazione vaticana potrebbero forse essere scelti, alla luce dell’art. 195 § 1 della Praedicate Evangelium, anche tra i vescovi e i presbiteri che fanno parte della Segnatura Apostolica, non più dunque solamente tra i cardinali. Si potrebbe allora ipotizzare una modifica dell’art. 19, comma 1, della vigente legge sull’ordinamento giudiziario vaticano; evidentemente, poi, le nomine pontificie dei componenti della Segnatura dovrebbero tener conto della portata interordinamentale delle funzioni svolte dai membri del Supremo Tribunale. Si tratta evidentemente di una suggestione, attesi anche i vivaci dibattiti in corso sulle novità varate dalla Praedicate Evangelium: il quadro andrà certamente chiarito.

[185] V. per converso quanto notava G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 101, e alcune critiche alla «composizione variabile» integrata dai due giudici applicati «rimessa tra l’altro alla discrezionalità del presidente». Tuttavia, lo stesso Dalla Torre, prima dell’emanazione della legge 16 marzo 2020 n. CCCLI, chiedeva «l’adozione di calibrati interventi sulla Corte d’Appello e, forse, sulla stessa Corte di Cassazione, onde dare maggiore omogeneità, efficienza ed efficacia all’insieme della giurisdizione vaticana» (Id., L ’indipendenza della giustizia vaticana. Note sui magistrati addetti al Tribunale, cit., p. 33).

[186] Cfr. D. Mamberti, Le molteplici competenze del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in favore della giustizia nella Chiesa, in Ius et matrimonium III. Temi di diritto matrimoniale e processuale canonico, a cura di H. Franceschi - M.A. Ortiz, Roma, 2020, p. 23: «Uno dei miei illustri predecessori quale Prefetto della Segnatura Apostolica non ebbe remore a parlare esplicitamente della funzione pastorale della Segnatura Apostolica. /Questa definizione potrebbe essere considerata un azzardo, se per pastorale si intende riferirsi ad un qualsiasi aggiustamento sganciato dal diritto, anzi dalla stessa dogmatica e dalla morale. /Costituisce, invece, una realtà, se per pastorale si intende l’azione della Chiesa, innervata nella storia della salvezza, al cui inizio è posta l’incarnazione del Verbo nella storia degli uomini»; il riferimento è a A. Vallini, La funzione pastorale del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in Forum, XVII (2006), pp. 62-76; Id., La función pastoral del Supremo Tribunal de la Signatura Apostólica en la vigilancia sobre los tribunales eclesiásticos, in Ius communionis, I (2013), pp. 203-220.

[187] D. Mamberti, Le molteplici competenze del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in favore della giustizia nella Chiesa, cit., p. 16.

[188] F. Daneels, Plusieurs compétences, un dicastère: le Tribunal Suprême de la Signature Apostolique, in Les évolutions du gouvernement centrale de l’Église. Ecclesia sese renovando semper eadem, sous la direction de É. Besson, Toulouse, 2017, p. 263.

[189] Parla appunto di «funzione unificante ed omogeneizzante» P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1450.

[190] V. A. Sarais, Alcuni cenni circa i rapporti tra diritto canonico e le fonti del diritto vaticano, cit., p. 230: «Si può affermare che, come lo SCV è funzionalizzato all’esercizio della sovrana indipendenza degli organi di vertice della Chiesa cattolica, allo stesso modo l’ordinamento giuridico vaticano - rappresentando un aspetto determinante che coinvolge l’esercizio della sovranità - partecipa del carattere funzionale che lo Stato assume, come strumento a garanzia delle attività della Santa Sede. /L’ordinamento giuridico è anzi l’espressione privilegiata in cui si manifesta l’autodeterminazione e l’indipendenza statuale. /Ma come allora lo SCV non persegue fini propri e si determina in termini esclusivi quale struttura servente e funzionale alle attività della Santa Sede, così il suo ordinamento - espressione della sua sovranità - recepisce al suo interno quale “prima fonte” e “primo criterio di riferimento interpretativo” il diritto della Chiesa».

[191] G. Bertello, Saluto, in Santa Sede e Stato della Città del Vaticano nel nuovo contesto internazionale (1929-2019), cit., p. 15. V. G. Dalla Torre, Stato della Città del Vaticano e munus petrinum, in Ephemerides iuris canonici, LV (2015), pp. 237-264.

[192] Si vedano le riflessioni di P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 330 ss.

[193] Tra l’altro, secondo G. Dalla Torre, L ’indipendenza della giustizia vaticana. Note sui magistrati addetti al Tribunale, cit., p. 26, «Più in generale si deve dire che al magistrato vaticano si richiede una penetrazione nello spirito del diritto canonico, giacché esso in definitiva anima tutto il diritto statuale; la mancata sensibilità canonistica comporterebbe una lettura secolaristica di tutto l’ordinamento vaticano, la quale sarebbe senza dubbio in contrasto con la qualificazione dello Stato dal punto di vista confessionale».

[194] Come infatti precisa G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., pp. 55-56, «la Città del Vaticano non è né uno Stato teocratico, né tantomeno uno Stato ierocratico; è nient’altro che uno Stato cattolico. /Ma qui occorre fare una chiara distinzione. La qualifica di “Stato cattolico” non va certo intesa nel senso che storicamente questa espressione ha avuto e culturalmente evoca nella classificazione delle istituzioni statali dal punto di vista confessionale. Vale a dire uno Stato che ha una religione ufficiale, con conseguente intolleranza - o mera tolleranza - verso le altre religioni, e nel cui ordinamento non è riconosciuto il diritto di libertà religiosa. /L’assunzione della espressione “Stato cattolico” per qualificare la Città del Vaticano è nel senso di indicare uno Stato il quale, nel suo agire politico e nel suo diritto, tende ad uniformarsi agli insegnamenti della Chiesa sulle realtà temporali e sul loro reggimento. I valori veicolati da tali insegnamenti certamente animano e sostengono l’ordinamento vaticano; ma costituiscono anche un riferimento obbligato in tutti i casi nei quali il diritto positivo richiami i principi della religione o della morale al fine di integrare una fattispecie normativa». Cfr. anche Id., Appunti sulla forma di Stato della Città del Vaticano, in Studi in onore di Carlo Gullo, I, Città del Vaticano, 2017, p. 157 ss.

[195] Metteva in connessione il ruolo del diritto canonico nell’ordinamento giuridico vaticano con le finalità dello Stato stesso G. Dalla Torre, L’ordinamento giuridico vaticano e il diritto canonico, cit., p. 157 ss.

[196] Ritorna recentemente sul magistero di Giovanni Battista Montini al riguardo, con indicazioni di letteratura, M. Carnì, Sulla “necessarità” dello Stato della Città del Vaticano al governo della Chiesa. Il dibattito nello ius publicum ecclesiasticum, in Studi sul diritto del governo e dell’organizzazione della Chiesa in onore di Mons. Juan Ignacio Arrieta, II, cit., p. 1422 ss.

[197] J.I. Arrieta, La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano, cit., p. 622: «In realtà, non è la confessione cristiana ad avere legami con lo Stato Vaticano: questo sarebbe un equivoco. È piuttosto il suo vertice, o meglio ancora, l’ufficio o la carica del Sommo Pontefice, conosciuta anche come Sede Apostolica o Santa Sede, a vantare la soggettività internazionale per “storico possesso” e ad avere il potere temporale di un minuscolo Stato della Città del Vaticano - appena mezzo chilometro quadrato - che gode anch’esso di soggettività internazionale. Esso, come tutti sanno, è stato ideato per essere funzionale al solo scopo di garantire la libertà e l’indipendenza dello stesso Pontefice romano rispetto ad ogni autorità temporale. /Il potere temporale dei Papi - quello relativamente ampio che avevano fino al 1870 e quello quasi simbolico che hanno adesso - non appartiene all’essenza della fede cristiana. È solo un elemento strumentale, estrinseco ed accessorio alla Chiesa e al Papato, che si è delineato lungo i secoli come via per assicurare la necessaria autonomia al Capo della Chiesa, consentendole, inoltre, di poter compiere la sua specifica missione nel mondo».

[198] Sui rischi e sui «non secondari risvolti o aspetti problematici» cui potrebbe dar luogo l’esercizio della giurisdizione vaticana rimando alle pertinenti e persuasive considerazioni di P. Cavana, L’extraterritorialità tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, cit., specie pp. 9-10 del dattiloscritto.

[199] V. P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 83: «lo scopo del diritto vaticano coincide con quello dello SCV ed è quindi in funzione della sovranità territoriale della Santa Sede al fine di assicurarLe “in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo” (secondo quanto dichiarato nel Preambolo del Trattato del Laterano)».

[200] Rinvio alle belle e del tutto condivisibili pagine di G. Dalla Torre, Stato della Città del Vaticano e munus petrinum, cit., p. 257, in merito all’interrogativo se «una sovranità temporale è ancora utile alla Santa Sede», cui si risponde, con dovizia di argomentate ragioni, in senso assolutamente positivo.

[201] V. G. Boni, I rapporti tra ordinamento giuridico vaticano e ordinamento canonico: tra corretta configurazione ab intra e possibili travisamenti ab extra, cit., p. 85 ss.

[202] P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1446.

[203] Anche Giovanni Paolo II, avviando il processo riformatore nel 2000 con la nuova legge fondamentale dello Stato, ribadì fermamente che occorreva «dare forma sistematica ed organica ai mutamenti introdotti in fasi successive nell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano» per «renderlo sempre meglio rispondente alle finalità istituzionali dello stesso, che esiste a conveniente garanzia della libertà della Sede Apostolica e come mezzo per assicurare l’indipendenza reale e visibile del Romano Pontefice nell’esercizio della sua missione nel mondo» (legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, 26 novembre 2000, in Acta Apostolicae Sedis. Supplemento, LXXI [2000], p. 75 ss., preambolo).

[204] V. P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., pp. 1143-1153.

[205] Desumo l’espressione da P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1451, che pure la usa con un senso differente. Il cardinale fa riferimento al solo controllo preventivo, e con riguardo al Pontificio Consiglio per i testi legislativi osserva: «Nel divenire della sua esperienza, si è potuto notare anche una estensione delle sue competenze nell’ambito del diritto vaticano. In molti casi, infatti, al Consiglio è stato chiesto di esprimere la propria valutazione su progetti di testi normativi per la Città del Vaticano. Si tratta di una competenza che non è prevista dalla Pastor Bonus; questa costituzione apostolica, del resto, attiene all’ordinamento della Santa Sede, quindi è riferibile all’ordinamento canonico, e non riguarda l’ordinamento vaticano. /Eppure […] sembra importante che al Consiglio, per il futuro, venga attribuita ordinariamente e obbligatoriamente la funzione di controllo preventivo di conformità canonica degli atti normativi vaticani» (ivi, p. 1452). Invero non si accenna a tale funzione negli artt. 175-182 dedicati dalla vigente, già citata, costituzione apostolica Praedicate Evangelium al Dicastero per i testi legislativi. Questo ovviamente non esclude che il Dicastero possa assumere le funzioni delineate nel testo, attesa, come ho cercato di avvalorare in queste pagine, l’indissolubile e crescente connessione tra diritto vaticano e diritto canonico, che impedisce di fissare invalicabili steccati, anzitutto per la coerenza ordinamentale complessiva e, pertanto, per il bene della Chiesa. Fra le funzioni attribuite al Dicastero, Parolin, aderendo alla tesi di Gallo (v. P. Gallo, Rapporti tra diritto canonico, diritto vaticano e Curia Romana. Le recenti riforme adottate dalla Santa Sede in materia penale ed economico-finanziaria, cit., p. 207), è dell’avviso che «non parrebbe opportuna una estensione della competenza del Pontificio Consiglio alla interpretazione autentica delle leggi vaticane, cosa oggi assolutamente esclusa, perché in questo caso si configurerebbe davvero una intromissione eccessiva di un organismo canonico, deputato all’interpretazione di norme canoniche, nella valutazione di norme propriamente statuali in ordine agli effetti che queste sono chiamate a dispiegare nell’ordinamento vaticano» (P. Parolin, Normativa vaticana e controllo di conformità canonica, cit., p. 1453). È vero che, in forza dell’art. 176 della Praedicate Evangelium, oggi al Dicastero spetta solo «formulare l’interpretazione autentica delle leggi della Chiesa, approvata in forma specifica dal Romano Pontefice, quale Supremo Legislatore e Interprete» (esprime peraltro critiche avverso questa norma M. Ganarin, La riforma della Curia romana nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium di Papa Francesco. Osservazioni a una prima lettura, cit., p. 304,specialmente nota 160; sull’operatività sempre più residuale delle interpretazioni autentiche cfr. peraltro, da ultimo, E. Baura, L’attività legislativa codiciale ed extracodiciale al servizio del buon governo. Presupposti giuridici, in corso di pubblicazione in Ius Ecclesiae): quindi, se anche l’interpretazione autentica fosse riconducibile all’ex Pontificio Consiglio, resterebbe comunque evidente che la responsabilità ultima della medesima è del supremo legislatore, il quale le ratifica sempre tutte formalmente (oggi, tra l’altro, il novellato art. 176 parla di «interpretazione autentica delle leggi della Chiesa» e non, più limitatamente, di «leggi universali della Chiesa»: dunque sarebbero indiscutibilmente comprese le leggi pontificie di canonizzazione del diritto vaticano). Tuttavia, perseverando nella direzione di evitare quanto più possibile le commistioni tra ordinamento canonico e vaticano, sarebbe effettivamente una soluzione migliore se l’interpretazione autentica di una legge vaticana fosse emanata direttamente dal Papa quale legislatore statuale o dalla Pontificia Commissione cardinalizia cui è affidata la potestà legislativa. Peraltro, anzitutto proprio per quell’indispensabile ruolo orientativo del diritto canonico nella corretta interpretazione del diritto vaticano che si è illustrata in quest’esposizione, si potrebbe suggerire che al Dicastero per i testi legislativi, quale affidabile garante di quest’ermeneutica ‘canonicamente informataֹ’, sia affidato un controllo preventivo di conformità al diritto canonico dell’interpretazione autentica della legge vaticana, nel quadro della consulenza che esso ordinariamente presta.

[206] Cfr. rispettivamente, per il controllo preventivo e per il monitoraggio di prassi illegittime, gli artt. 179 e 182 § 2.

[207] G. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, cit., p. 182.

[208] V. anche Francesco, Discorso all’apertura del 93° Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 12 marzo 2022, in Communicationes, LIV (2022), pp. 107-11.

[209] V. G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., p. 73 ss.

[210] Mi ha recentemente appoggiato, con la sua autorevolezza, C. Cardia, Introduzione, Santa Sede e Stato della Città del Vaticano nel nuovo contesto internazionale (1929-2019), cit., p. 96: «Proprio perché condivido tutto quanto ha sostenuto la Prof. Boni, segnalerei un problema che sta a monte, e ci riguarda tutti, come Professori e operatori del diritto. È la scarsa, e decrescente, conoscenza del diritto canonico che registriamo un po’ dovunque. Guardate, è un problema serio, che porta a volte molti di noi quasi ad arrendersi di fronte ad affermazioni, impostazioni, decisioni che non stanno né in cielo né in terra. E che spesso, devo dire, sono fatte e prese in assoluta buona fede proprio perché mancano le cognizioni elementari del diritto canonico».

[211] Rinvio qui alla mia ultima monografia: G. Boni, La recente attività normativa ecclesiale: finis terrae per lo ius canonicum? Per una valorizzazione del ruolo del Pontificio Consiglio per i testi legislativi e della scienza giuridica nella Chiesa, Collana Un’anima per il diritto: andare più in alto, Modena, 2021, pp. 330 (volume open access).

[212] J.I. Arrieta, La nuova legge vaticana sulle fonti del diritto, in Ius Ecclesiae, XXI (2009), p. 234.

[213] Si vedano al riguardo le belle pagine di P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., p. 333 ss.

[214] G. Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, cit., pp. 106-107. V. anche Id., Aspetti della Giustizia Vaticana, cit., p. 22: «L’ordinamento giuridico vaticano è sicuramente dualistico perché attraverso il diritto canonico aperto al diritto divino, naturale e positivo, che è diritto immediatamente vigente. Ciò comporta tra l’altro, per il giudice costituito in questo ordinamento, lo sforzo costante a rapportare la norma positiva, che è chiamato ad interpretare, con quel livello superiore di giuridicità in cui legalità e legittimità, o giustizia, coincidono; ad andare oltre gli ambiti di una giustizia formale per attingere al superiore obbiettivo della giustizia vera, reale, sostanziale; a giudicare, per dirla con i canonisti antichi, intuitu divino et amore justitiae». Si veda anche G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, cit., pp. 130-131: «Il proferire sentenze “solum Deum prae oculis habentes” non dovrebbe essere, per i giudici vaticani, in qualche modo similarmente a quelli ecclesiastici, un’ampollosa formula, ma la prima regola da seguire in iudicando: “Prima autem Deus est: hunc enim in iudicando, ne alienis avertatur affectibus prae oculis habere maxime iudicans debet: et hinc dum sententiam pronuntiant iudices, plerumque in clausula eidem addunt solum Deum prae oculis et animo habentes”. In questo consiste il munus, altissimo e ponderoso, dei giudici vaticani in ogni questione, sia pur minima e prosaica: d’altronde è “Prerogativa divina, quella di giudicare, perché può incidere profondamente sul destino della persona umana, avviandola, se pur non volontariamente, verso la rovina, o aprendola alla libertà verso approdi di più alta autorealizzazione”» (la citazione finale è del cardinale G. Lajolo, Alle radici spirituali del «munus» del giudice vaticano, in Ius Ecclesiae, XIX [2007], p. 179).

[215] V. P.A. Bonnet, Lo spirito del diritto penale vaticano, cit., pp. 344-545, per il quale è «evidente la motivazione profonda dell’armonizzazione ermeneutica ecclesiale della legislazione vaticana, nella quale, nel segno della salvezza eterna, deve essere resa possibile “l’attuazione della vera felicità terrena”»: «cosicché, per l’ordinamento statuale vaticano, come è stato naturale affidare alla Chiesa la disciplina delle “res mixtae”, non può non dirsi altrettanto normale il principio di una ermeneutica delle proprie disposizioni alla luce del diritto ecclesiale al quale compete “di condurre gli uomini a quella vera felicità, per la quale siamo nati celeste e immortale”. In questo quadro nello SCV si realizza in maniera esemplare una perfetta armonizzazione dell’economia giuridica, considerata nella sua integralità così spirituale come temporale» (ivi, p. 346); si veda più ampiamente Id., Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, cit., p. 485 ss.

Boni Geraldina



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