L’evoluzione del diritto internazionale privato della protezione degli adulti tra iniziative dell’Unione, modelli universali e norme interne
Pietro Franzina
L’evoluzione del diritto internazionale privato
della protezione degli adulti tra iniziative dell’Unione,
modelli universali e norme interne
English title: The international protection of adults in motion:
the interplay of EU initiatives, universal instruments and domestic rules
DOI: 10.26350/18277942_000090
Sommario: 1. Verso una disciplina europea della protezione degli adulti nei casi internazionali. 2. Ragioni dell’intervento dell’Unione europea. 2.1. Gli inconvenienti provocati dalla difformità delle norme di diritto internazionale privato degli Stati Membri. 2.2. Impatto degli inconvenienti rilevati sulla tutela dei diritti fondamentali e la realizzazione del disegno di integrazione regionale. 3. Il posto della convenzione dell’Aja del 2000 nel disegno armonizzatore dell’Unione. 4. La posizione dell’Italia le ragioni della ratifica italiana della convenzione dell’Aja. 5. L’adeguamento dell’ordinamento italiano alla convenzione dell’Aja. 5.1. La designazione dell’autorità centrale italiana. 5.2. Le modifiche alla legge n. 218 del 1995. 5.3. Modiche concernenti le funzioni degli uffici consolari. 5.4. Modifiche concernenti le modalità di esercizio in Italia di poteri risultanti da procure preventive rilasciate per finalità di protezione. 6. Rilievi conclusivi.
1. Verso una disciplina europea della protezione degli adulti nei casi internazionali
L’Unione europea potrebbe adottare in un futuro non distante delle regole uniformi sulla protezione degli adulti nelle situazioni a carattere internazionale. La Commissione, dopo aver incluso il tema della protezione degli adulti nel programma di lavoro per il 2022[1], ha reso noto uno studio sull’argomento[2] e lanciato una consultazione pubblica[3], preludio di una proposta legislativa che potrebbe essere presentata nel primo semestre del 2023.
Il termine «adulti», o «adulti vulnerabili», si riferisce in questo contesto a persone di età superiore ai diciotto anni che non sono in grado di provvedere da sole ai propri interessi a causa di una limitazione o di un’alterazione delle proprie facoltà[4]. La loro «protezione» comporta perlopiù la nomina di un terzo incaricato di assistere l’interessato, o di rappresentarlo, nel compimento di atti giuridici volti alla cura della sua persona o all’amministrazione del suo patrimonio. Si tratta, per intendersi, della protezione che il diritto italiano assicura primariamente nelle forme dell’amministrazione di sostegno, a norma degli articoli 404 c.c. Alcuni sistemi privatistici nazionali prevedono – in alternativa alla protezione giudiziale – che la persona di cui trattasi, quando è ancora in grado di determinarsi, possa organizzare in anticipo la cura dei propri interessi, personali e/o patrimoniali, nominando uno o più fiduciari e impartendo loro delle direttive. Il diritto francese, ad esempio, contempla la possibilità di stipulare a questo effetto dei mandats de protection future[5]; il diritto spagnolo parla di poderes e i mandatos preventivos[6];quello irlandese conosce gli enduring powers of attorney[7]. Anche queste particolari procure, proprio perché volte ad assicurare la protezione dell’interessato, rientrano nel perimetro del disegno di unificazione normativa che l’Unione persegue in questo campo.
L’intervento dell’Unione, come accennato, dovrebbe riguardare unicamente la protezione degli adulti nei casi internazionali. Sono tali, tipicamente, i casi in cui la persona da proteggere possiede la cittadinanza di uno Stato diverso da quello in cui è stabilita, e quelli in cui i suoi beni o i suoi interessi personali sono localizzati in più paesi, ad esempio perché, per godere della compagnia di una familiare o per accedere a delle cure particolari, la persona in questione trascorre regolarmente una parte consistente del suo tempo in uno Stato diverso da quello in cui risiede, o perché il suo patrimonio comprende una seconda casa all’estero oppure delle disponibilità liquide depositate presso una banca in un paese straniero.
L’atto legislativo che la Commissione ha in animo di proporre dovrebbe collocarsi sul terreno del diritto internazionale privato e avere per base giuridica l’art. 81 TFUE, relativo alla cooperazione giudiziaria in materia civile. L’Unione non ambisce, né potrebbe ambire, ad armonizzare le regole che disciplinano la protezione degli adulti sul piano materiale[8]. All’Unione intessa piuttosto: assicurare, nei casi internazionali, un efficace riparto della competenza giurisdizionale fra gli Stati membri; dettare criteri uniformi per individuare la legge regolatrice della protezione; agevolare la circolazione delle misure di protezione fra uno Stato Membro e l’altro; far sì che le autorità degli Stati Membri possano contare sull’assistenza delle autorità degli altri Stati Membri allorché la protezione di una persona richieda la condivisione di informazioni o altre forme di dialogo e coordinamento.
Lo scopo di questo scritto è quello di dar conto delle ragioni che giustificano l’attenzione dell’Unione per la protezione degli adulti e di discutere del rapporto fra le future norme europee e gli altri regimi operanti in quest’ambito: il regime internazionalprivatistico a vocazione universale racchiuso nella convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti[9], oggi in vigore per tredici Stati[10], fra i quali per il momento non compare l’Italia, e le norme di fonte interna dei singoli Stati Membri, incaricate di disciplinare le situazioni non coperte dai testi uniformi e di garantire l’efficace attuazione di questi ultimi sul piano interno.
2. Ragioni dell’intervento dell’Unione europea
Le regole di diritto internazionale privato di cui si servono attualmente gli Stati Membri dell’Unione europea nel campo della protezione degli adulti variano da uno Stato all’altro. Dopo aver passato in rassegna gli inconvenienti a cui dà luogo la diversità di tali regole, si dirà in che modo la loro difformità impedisce la piena realizzazione dei diritti fondamentali che l’Unione si è impegnata a garantire in questo settore e il pieno raggiungimento degli obiettivi di integrazione regionale da essa perseguiti.
2.1. Gli inconvenienti provocati dalla difformità delle norme di diritto internazionale privato degli Stati Membri
Il carattere disomogeneo delle regole internazionalprivatistiche degli Stati Membri è responsabile di almeno quattro specie di inconvenienti.
Il primo inconveniente rispecchia, in modo specifico, la difformità delle norme sulla competenza giurisdizionale. Ciò determina l’insorgere di conflitti positivi di competenza, cioè delle situazioni in cui due o più Stati attribuiscono alle proprie autorità il potere di emettere misure di protezione a favore della medesima persona.
Si immagini, per esempio, che sorga la necessità di proteggere un cittadino italiano residente in Spagna. Il giudice italiano sollecitato a provvedere al riguardo verificherà la propria giurisdizione sulla base dell’art. 3 della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato[11]. Viene in rilievo, precisamente, l’art. 3, co. 2, secondo periodo, della legge. Tale disposizione converte in titoli di giurisdizione i criteri che presiedono alla competenza per territorio, compresi – per quanto qui interessa – i criteri stabiliti all’art. 29, co. 2, del decreto legislativo 3 febbraio 2011 n. 71, sull’ordinamento e le funzioni degli uffici consolari. In base alla disposizione indicata da ultimo, la nomina di un amministratore di sostegno a un cittadino italiano residente all’estero spetta al tribunale nel cui circondario l’interessato ha avuto la sua ultima residenza in Italia, o – in difetto – al tribunale nel cui circondario si trova il Comune in cui il beneficiario risulta iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero. Anche i giudici spagnoli, tuttavia, se richiesti di intervenire, si dichiarerebbero competenti a proteggere la persona in questione. Ai sensi dell’art. 22 quater della Ley Orgánica del Poder Judicial, del 1° luglio 1985, rientra infatti nell’ambito della giurisdizione spagnola l’adozione di provvedimenti in materia di capacità quando si tratti di proteggere una persona abitualmente residente in Spagna, a prescindere dalla sua cittadinanza. Le misure di protezione rispettivamente adottate in Italia e in Spagna potrebbero, a quel punto, differire sotto molteplici aspetti: la persona incaricata dai giudici italiani di assistere l’adulto potrebbe non essere quella investita del medesimo ufficio da parte delle autorità spagnole. Se anche lo fosse, i poteri attribuiti in forza della decisione italiana potrebbero differire per estensione e modalità di esercizio da quelli contemplati nella decisione spagnola. L’interessato si troverebbe soggetto a due regimi non solo distinti, ma anche quasi certamente insensibili l’uno alle vicende dell’altro: le regole sulla litispendenza internazionale in vigore nei due Stati si rivelerebbero inservibili in uno scenario di questo genere e, con ogni probabilità, le pronunce rese in uno Stato sarebbero considerate inefficaci nell’altro.
Il secondo inconveniente determinato dalla disomogeneità delle norme di diritto internazionale privato applicate in Europa riguarda, invece, i conflitti di leggi. I poteri spettanti alla persona incaricata di assistere o rappresentare l’interessato, pur fondandosi su titoli validi ed efficaci nella prospettiva di uno Stato Membro, potrebbero facilmente rivelarsi non spendibili, o non spendibili in modo pieno, in un diverso Stato membro. Si verifica un simile disallineamento quando le norme che individuano nel primo Stato la legge applicabile ai poteri in discorso richiamino una legge diversa da quella designata dalle omologhe disposizioni del secondo Stato.
Si faccia il caso di un cittadino italiano da tempo stabilitosi in Portogallo, il quale, temendo una compromissione delle proprie facoltà cognitive, abbia investito della cura dei propri interessi una persona di sua fiducia, tramite un mandato com vista a acompanhamento, cioè una procura preventiva a scopo di protezione. Si immagini che l’atto sia conforme alle prescrizioni del diritto portoghese. La stipulazione, una volta avveratosi l’evento avverso ivi contemplato, produrrà effetto non solo in Portogallo, ma anche in altri Stati Membri, come la Francia e i Paesi Bassi: ciò perché tali Stati seguono la regola secondo cui le procure a scopo di protezione sono soggette, per principio, alla legge dello Stato in cui il rappresentato aveva la residenza abituale al momento del conferimento[12]. In altri Stati Membri, invece, il negozio sarà verosimilmente inefficace. È tale il caso dell’Italia, salvo riletture correttive delle norme pertinenti (che non è possibile discutere in questa sede). In Italia, infatti, pur in assenza di regole di conflitto specifiche, si ritiene comunemente che questo genere di procure ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 43 della legge n. 218 del 1995, sopra citata. La disposizione ora ricordata assoggetta la protezione degli adulti alla legge dello Stato di cittadinanza dell’interessato: nella specie, la legge italiana. Senonché, siccome il diritto italiano non ammette che l’interessato possa optare per una protezione negoziale in sostituzione di quella giudiziale, la procura – stando almeno a una lettura rigorosa, di cui non interessa in questa sede esplorare i possibili temperamenti – appare inidonea, in ultima analisi, a produrre in Italia gli effetti divisati dal disponente.
Il terzo inconveniente connesso alla diversità delle regole di diritto internazionale privato impiegate in quest’area riguarda la circolazione internazionale delle misure di protezione. La possibilità di invocare in uno Stato Membro dell’Unione una misura resa in un diverso Stato Membro dipende oggi dalle condizioni stabilite dal primo dei due Stati e dall’espletamento dei procedimenti (di delibazione o simili) eventualmente richiesti dalle relative norme. Tali condizioni non sono identiche nei vari Stati, e gli stessi procedimenti di delibazione, ove necessari, possono rivelarsi gravosi e non brevi. In pratica, una misura di protezione, resa nello Stato A, potrebbe essere efficace nello Stato B ma non nello Stato C, oppure potrebbe richiedere, per esservi riconosciuta, degli adempimenti lunghi e onerosi.
Il quarto inconveniente, infine, è dato dal fatto che – in mancanza di una comune cornice di assistenza giudiziaria in questo settore – le autorità di uno Stato Membro (quelle che hanno adottato il regime di protezione di cui beneficia l’adulto e ne assicurano la supervisione) si trovano spesso nella sostanziale impossibilità di dialogare con le autorità di uno Stato Membro differente (quelle del paese in cui l’adulto materialmente si trova o nel quale intende stabilirsi). Oggi, per esempio, se si prospetta il trasferimento in Romania di un cittadino rumeno residente in Italia che benefici di una misura di protezione decisa in Italia, non esistono specifici canali di comunicazione che permettano al giudice italiano di interloquire con le autorità rumene. Da qui l’impossibilità per quel giudice di avere contezza, ad esempio, delle condizioni materiali in cui l’interessato verrebbe a trovarsi a seguito del trasferimento (presupposto essenziale, ovviamente, per stabilire se questo gioverebbe al benessere della persona), e l’impossibilità, sempre per quel giudice, di concordare con le stesse autorità rumene una transizione efficace delle responsabilità connesse alla protezione (ad esempio prevedendo che all’amministratore di nomina italiana subentri senza soluzioni di continuità un tutore di nomina rumena, onde quest’ultimo possa attingere tempestivamente alle disponibilità economiche dell’interessato in funzione delle esigenze del medesimo interessato).
2.2. Impatto degli inconvenienti rilevati sulla tutela dei diritti fondamentali e la realizzazione del disegno di integrazione regionale
Le difficoltà di cui si è appena dato conto mettono in discussione la piena realizzazione dei diritti fondamentali degli adulti interessati, di cui l’Unione è impegnata a garantire la tutela, e possono ostacolare gli obiettivi di integrazione regionale che l’Unione ha il compito di perseguire.
Per cominciare, i conflitti positivi di competenza e gli altri problemi sopra descritti, nella misura in cui generano discontinuità, lacune e incoerenze nella protezione, compromettono il godimento dei diritti sanciti, in particolare, dall’art. 12 della convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità (in vigore per tutti gli Stati Membri e per la stessa Unione europea)[13], dall’art. 8 CEDU[14] e dagli articoli 7, 21, 25 e 26 della Carta DFUE[15]. Non può dirsi pienamente effettivo, per esempio, il diritto al rispetto della volontà e delle preferenze dell’interessato, espressamente stabilito dall’art. 12, par. 4, della convenzione sui diritti delle persone disabili, se quelle volontà e quelle preferenze, racchiuse in un mandato di protezione conforme alla legge dello Stato X, vengono disattese nello Stato Y solo perché veicolate da un negozio modellato su regole straniere. Né può considerarsi pienamente rispettato il diritto a una protezione scevra da rischi di approfittamento e conflitti di interesse se l’adulto di cui trattasi, protetto da misure rese nello Stato X, si trovi anche solo temporaneamente privo di protezione nel momento in cui mette piede nello Stato Y, solo perché l’ordinamento di quest’ultimo subordina il riconoscimento di dette misure a condizioni gravose e procedimenti lunghi e costosi[16].
La diversità delle regole di diritto internazionale privato, in secondo luogo, rischia di rappresentare, per i cittadini dell’Unione, un freno all’esercizio della libertà di circolazione sancita dal diritto primario dell’Unione europea: ad esempio, chi abbia pianificato la propria protezione mediante un mandato, conforme alla legge designata come applicabile dalle norme di conflitto dello Stato Membro A, potrebbe desistere dallo stabilirsi nello Stato Membro B ove abbia ragione di temere che il negozio non produrrà effetto in tale secondo Stato, perché incompatibile con la diversa legge designata dalle norme di conflitto ivi in vigore. Il rischio che la protezione di una medesima persona risulti soggetta a regole diverse a seconda dell’ordinamento statale da cui la protezione stessa viene osservata rischia di nuocere, del resto, al buon funzionamento del mercato interno, quale è inteso dall’art. 26 TFUE. Si faccia il caso di una persona fisica che detenga quote in società operanti in due Stati Membri, fra loro collegate, e si supponga che quella persona venga a trovarsi in una situazione di vulnerabilità a seguito di un trauma. I poteri conferiti a un fiduciario in forza di un mandato di protezione potrebbero allora risultare validi ed efficaci in uno Stato Membro ma non nell’altro. Le autorità del secondo Stato, del resto, potrebbero nominargli un amministratore, potenzialmente legittimato a occuparsi di tutti gli affari di quest’ultimo, compresi quelli localizzati nel primo Stato. Il dissidio fra i due soggetti incaricati della protezione sarebbe, a quel punto, inevitabile, e pregiudicherebbe la circolazione transfrontaliera di capitali e altre utilità di cui l’interessato, delineando l’assetto appena esposto, confidava di beneficiare.
La necessità di ovviare alle difficoltà appena illustrate è stata affermata in più occasioni dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione, incontrando il sostegno di pratici e studiosi[17]. Nel 2017, riprendendo una risoluzione adottata nel 2008[18], il Parlamento ha chiesto alla Commissione di presentare una proposta legislativa volta a superare gli inconvenienti determinati dalla disomogeneità del paesaggio normativo attuale[19]. Il 7 giugno 2021, il Consiglio ha approvato un documento politico (delle “conclusioni”) sulla protezione degli adulti vulnerabili nell’Unione europea[20]. Sviluppando un orientamento già affacciato dallo stesso Consiglio dell’Unione in un documento del 2008[21] e riaffermato dal Consiglio europeo nel c.d. Programma di Stoccolma del 2009[22], il Consiglio ha riaffermato la necessità di assicurare in questo campo il pieno godimento dei diritti fondamentali degli interessati e agevolare la mobilità delle persone attraverso le frontiere in Europa.
3. Il posto della convenzione dell’Aja del 2000 nel disegno armonizzatore dell’Unione
Non vi è ancora modo di sapere, come detto, in che cosa consisteranno le innovazioni che la Commissione europea si accinge a proporre per agevolare la protezione degli adulti nei casi transfrontalieri. Vi è motivo di credere, tuttavia, che le soluzioni proposte saranno coerenti, perlomeno nelle linee di fondo, con la già ricordata convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti.
Elaborata in seno alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, la convenzione reca una disciplina internazionalprivatistica “integrale” della protezione degli adulti[23]. Analogamente a quanto avviene per la convenzione del 19 ottobre 1996 sulla protezione dei minori[24], da cui mutua l’impianto e molte soluzioni, la convenzione del 13 gennaio 2000 affronta in modo organico le diverse questioni che possono insorgere ove si tratti di proteggere la persona o il patrimonio di un adulto fragile in presenza di elementi di internazionalità. La convenzione regola la competenza giurisdizionale delle autorità degli Stati contraenti, stabilisce i criteri per individuare la legge applicabile alla protezione (tanto giudiziale quanto negoziale), fissa le condizioni per l’efficacia delle misure di protezione rese in uno Stato contraente nonché i presupposti per la reciproca assistenza in quest’ambito fra le autorità degli Stati contraenti.
L’influenza della convenzione sul futuro intervento dell’Unione si deve a due fattori. Per cominciare, la convenzione del 2000 è stata conclusa da diversi Stati Membri dell’Unione ed è attualmente in vigore non solo nei loro rapporti reciproci ma anche nei rapporti con alcuni Stati terzi. Essendo del tutto probabile che la futura misura dell’Unione rechi una “clausola di compatibilità” intesa a salvaguardare gli obblighi internazionali degli Stati Membri verso gli Stati terzi[25], il nuovo strumento, se davvero vuol dar vita ad una regolamentazione omogenea della materia a livello regionale, deve, nei fatti, rispettare l’impianto generale della convenzione stessa[26]. Se ciò non accadesse, la protezione internazionale degli adulti risulterebbe infatti soggetta, nell’Unione, a due regimi diversi: gli Stati Membri che sono attualmente vincolati dalla convenzione resterebbero soggetti alla stessa e seguirebbero la legislazione regionale solo nella misura in cui quest’ultima non sia d’ostacolo alla piena efficacia della convenzione; gli altri Stati Membri, invece, sarebbero sottoposti alle regole dell’Unione. L’obiettivo della Commissione di semplificare il quadro normativo esistente, armonizzandolo, verrebbe a quel punto fatalmente frustrato.
Il secondo fattore che spiega il peso della convenzione dell’Aja sulle scelte del legislatore europeo consiste nel largo favore con cui guardano al regime convenzionale i pratici, gli studiosi, i principali portatori di interesse e – soprattutto, per quanto qui interessa – le istituzioni politiche dell’Unione[27]. La convenzione appare infatti capace di fornire delle risposte giuridiche efficaci ed equilibrate a gran parte delle esigenze che stanno a cuore all’Unione in quest’area, a partire dalla “trasportabilità” internazionale delle misure di protezione. Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione hanno dato atto – nei documenti politici citati nel paragrafo precedente – del valore della convenzione, invitando ripetutamente gli Stati Membri a provvedere alla sua ratifica[28]. La stessa Commissione ha riconosciuto i benefici della convenzione dell’Aja del 2000 dove, nella Strategia europea sulle persone con disabilità, approvata nel 2021, si è impegnata a collaborare con gli Stati Membri al fine di attuarne le previsioni[29].
L’Unione, che non può provvedere essa stessa alla ratifica della convenzione dell’Aja (giacché ai sensi degli articoli 53 e 54 questa è aperta unicamente agli Stati, non alle organizzazioni internazionali), può assicurare in vari modi che la futura legislazione regionale in questo campo sia coerente alla convenzione. Al legislatore europeo si prospettano a questo proposito fondamentalmente due approcci.
Il primo approccio muove dall’idea che l’Unione debba innanzitutto preoccuparsi di far sì che gli Stati Membri che non vi hanno ancora provveduto ratifichino la convenzione, o vi aderiscano[30]. La misura legislativa che la Commissione si dispone a presentare avrebbe, a quel punto, la sola funzione di migliorare, nei rapporti fra gli Stati Membri, il funzionamento della convenzione, instaurando nel contesto europeo una cooperazione sostanzialmente conforme alle regole della convenzione, ma più intensa e pervasiva. Questo schema richiama, pur con significative varianti, quello seguito in altri settori del diritto internazionale privato dell’Unione europea, come la sottrazione internazionale di minori e le obbligazioni alimentari nella famiglia: aree in cui le regole multilaterali a vocazione universale elaborate in seno alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato fungono da base della disciplina, salvo essere affiancate da strumenti di elaborazione regionale coerenti alle regole universali ma capaci di propiziare, a livello europeo, una cooperazione allo stesso tempio più semplice e più ambiziosa. Si inquadra nella prospettiva di un potenziamento regionale del funzionamento della convenzione, ad esempio, la proposta, più volte evocata nel dibattito che impegna gli studiosi della materia, di dar vita ad un certificato europeo dei poteri di rappresentanza conferiti (su base negoziale o in forza di una misura giudiziale) a protezione di un adulto[31]. In pratica, premesso che l’art. 38 della convenzione consente al rappresentante di un adulto di ottenere da uno Stato contraente uno speciale certificato che dovrebbe permetterli di fornire agevolmente negli altri Stati contraenti la prova dell’esistenza e della portata dei suoi poteri, l’Unione dovrebbe creare uno strumento di analoga funzione ma dotato di una articolazione più elaborata e capace di effetti più sicuri, destinato ad operare nei rapporti fra gli Stati Membri dell’Unione. Un tale potenziamento, si osserva, potrebbe essere realizzato dall’Unione sulla scorta dell’esperienza maturata nel campo delle successioni per causa di morte sulla base del certificato successorio europeo, istituito con il regolamento (UE) n. 650/2012 del 4 luglio 2012[32].
Il secondo approccio che il legislatore dell’Unione potrebbe seguire per dar vita a un regime regionale coerente alla convenzione presuppone, al contrario, la creazione, nel diritto dell’Unione, di una disciplina internazionalprivatistica «autosufficiente» della protezione internazionale degli adulti. La convenzione dell’Aja non costituirebbe la premessa di quella disciplina, quanto piuttosto il suo modello. Seguire questo orientamento significherebbe affidare alla misura legislativa di cui la Commissione sta predisponendo i contenuti il compito di delineare un regime europeo completo, ancorché riproduttivo, in buona parte, della convenzione dell’Aja. Gli Stati membri che sono già parti della convenzione verrebbero in tal modo salvaguardati dal rischio di un “conflitto di lealtà”, giacché conformandosi alla nuova misura legislativa non verrebbero meno agli impegni presi in virtù della convenzione. Gli Stati membri che, invece, non hanno ratificato la convenzione potrebbero decidere, a quel punto, salvo ulteriori iniziative dell’Unione, di rimanere estranei alla convenzione stessa: nella misura in cui la legislazione dell’Unione replicasse la convenzione, essi seguirebbero delle regole identiche a quelle della convenzione senza però assumere i diritti e gli obblighi nascenti dalla convenzione stessa.
Non è possibile dar conto in modo esaustivo, in questa sede, delle diverse implicazioni dei due scenari, e dei vari modi in cui l’una e l’altra opzione potrebbero concretamente ricevere attuazione. Giova però rimarcare che i due approcci, per le conseguenze giuridiche che producono, non sono affatto simili fra loro. Ciò si deve al fatto che molte disposizioni della convenzione dell’Aja sottendono una logica di reciprocità: sono state congegnate, in altri termini, per operare nei rapporti fra Stati vincolati dalla convenzione, mentre sono di fatto inefficaci (o sono solo parzialmente efficaci) quando si tratti di vicende portate davanti ad uno Stato contraente ma connesse ad uno Stato non contraente. In pratica, questo significa che uno Stato o un gruppo di Stati, per godere in modo pieno dei vantaggi che la convenzione mira a propiziare, non può limitarsi a incorporare nella propria legislazione il testo della convenzione, ma deve assumere gli obblighi che discendono da quest’ultima e confidare che gli altri Stati di volta in volta interessati siano, come lui, tenuti al rispetto di quegli obblighi.
Le norme della convenzione relative alla competenza giurisdizionale forniscono una buona illustrazione della caratteristica appena segnalata. La convenzione dispone all’art. 5 che la competenza ad emettere misure di protezione spetta, per principio, alle autorità dello Stato contraente in cui la persona di cui trattasi ha la residenza abituale. La soluzione di principio appena riferita è corredata da un certo numero di varianti e adattamenti. L’art. 7, par. 1, per esempio, prevede che le autorità dello Stato contraente di cui l’adulto è cittadino possano assumere anch’esse delle misure di protezione, allorché ritengano che, nella specie, il loro coinvolgimento risponda all’interesse della persona da proteggere. Senonché, per regolare eventuali conflitti positivi di competenza, lo stesso art. 7 qualifica come recessiva la competenza delle autorità del paese di cittadinanza, introducendo dei meccanismi di dialogo e coordinamento fra tali autorità e le autorità dello Stato di residenza abituale dell’adulto. In particolare, ai sensi dell’art. 7, par. 2, le autorità dello Stato di cittadinanza devono astenersi dall’esercitare la giurisdizione se le autorità dello Stato di residenza dichiarano di voler provvedere esse stesse all’adozione di misure di protezione, o se indicano che non si rende necessario adottare alcuna misura. La convenzione, così facendo, contempera le ragioni della flessibilità nell’esercizio della giurisdizione (ampliando il novero delle autorità in grado di agire a tutela dell’interessato, viste le varie e mutevoli circostanze in cui questo può venirsi a trovare) con le esigenze di un’ordinata allocazione della competenza, senza il pericolo di lacune e duplicazioni. Ebbene, un ordinato bilanciamento di queste spinte si rivela possibile solo se le autorità degli Stati coinvolti agiscono all’interno della medesima cornice normativa: quella, appunto, della convenzione. Uno Stato che si limitasse a replicare nella sua legislazione il testo degli articoli 5 e 7 della convenzione, senza aderire al regime di dialogo e cooperazione di cui gli stessi articoli 5 e 7 costituiscono l’espressione, non potrebbe interagire con gli Stati vincolati da quel regime, non avendo titolo per pretendere che tali Stati rispettino nei suoi confronti quanto ivi previsto.
Di fatto, non è per nulla indifferente, rispetto alle fattispecie collegate tanto ad uno Stato Membro dell’Unione quanto ad uno Stato terzo, soggetto alla convenzione, la circostanza che il primo dei due Stati sia esso stesso parte della convenzione, o sia semplicemente tenuto in forza dell’Unione a servirsi di regole modellate sulla convenzione. Ove lo Stato Membro in questione non sia parte della convenzione, nulla garantisce che si instauri, fra quest’ultimo e lo Stato terzo interessato, un dialogo fruttuoso.
Un simile assetto risulterebbe sotto vari aspetti problematico. Si faccia il caso di un adulto, soggetto a una misura di protezione resa in Belgio (uno Stato Membro dell’Unione che è anche parte della convenzione dell’Aja), il quale abbia – o venga ad avere nel corso del tempo – degli interessi personali o patrimoniali dislocati fra il Principato di Monaco (uno Stato estraneo all’Unione ma parte della convenzione) e l’Italia. Se l’Italia fosse soggetta a una misura legislativa dell’Unione modellata sulla convenzione, ma rinunciasse a ratificare la convenzione, il dialogo fra i tre Stati obbedirebbe a tre schemi differenti. Opererebbe lo schema della convenzione nei rapporti fra Belgio e Monaco; quello della legislazione europea fra Belgio e Italia; quello, tutt’al più, della cortesia internazionale e della cooperazione consolare fra Monaco e l’Italia. Trattandosi di un dialogo volto alla protezione della medesima persona, che deve dunque per forza tradursi in soluzioni concertate e coerenti, il quadro appena descritto risulterebbe in ultima analisi disfunzionale.
È ragionevole supporre, alla luce di quanto osservato sin qui, che la convenzione dell’Aja del 2000 sia destinata a svolgere un ruolo cruciale nella protezione internazionale degli adulti in rapporto a tutti gli Stati Membri dell’Unione europea, compresi quelli che non ne sono attualmente vincolati. Anche questi ultimi, in definitiva, hanno verosimilmente interesse a servirsi della convenzione in quanto tale, cioè come fonte di obblighi internazionali, e non solo come possibile riferimento o ispirazione per il legislatore dell’Unione. Anche se l’Unione non dovesse imporre la ratifica della convenzione agli Stati che non hanno ancora provveduto a ratificarla[33], questi ultimi avrebbero, nei fatti, delle ottime ragioni per procedere comunque in questo senso.
4. La posizione dell’Italia le ragioni della ratifica italiana della convenzione dell’Aja
Il rilievo appena svolto suggerisce di spostare a questo punto l’attenzione sul ruolo giocato dall’Italia rispetto agli sviluppi appena descritti nella cornice dell’Unione, e sui passi che l’Italia potrebbe assumere, singolarmente, rispetto alla convenzione.
Non consta che l’Italia abbia formulato riserve o obiezioni rispetto alle già citate conclusioni del Consiglio dell’Unione, del 2021, sulla protezione degli adulti vulnerabili, né – del resto – rispetto alle altre prese di posizioni maturate, all’interno dell’Unione, in seno ad organi di Stati. Le iniziative che la Commissione si accinge ad assumere, nella misura in cui costituiscono uno sviluppo delle conclusioni del 2021, si inquadrano dunque in un disegno politico che anche l’Italia, sin qui, ha contribuito a delineare. È ovviamente prematuro dire se e in che termini l’Italia sosterrà, a tempo debito, le specifiche proposte che la Commissione si accinge a presentare.
Quanto alla convenzione dell’Aja del 2000, valgono invece le osservazioni che seguono. L’Italia, dopo aver partecipato attivamente al negoziato svoltosi in seno alla Conferenza dell’Aja, ha firmato la convenzione nel 2008 ma, come si è avuto modo di ricordare, non ha sin qui provveduto alla ratifica della stessa. Due proposte di legge, una del 2014, l’altra del 2021, hanno prefigurato questo passo[34]. La fine della legislatura (la diciassettesima nel primo caso, la diciottesima nell’altro), ha di fatto impedito che l’iter delle proposte approdasse a risultati concreti.
La discussione parlamentare dedicata ai due testi, per la verità non molto approfondita, non ha fatto emergere alcuna contrarietà alla ratifica. Il più recente dei due tentativi è stato anzi accompagnato da significative espressioni di sostegno politico alla convenzione. La prospettiva di un intervento normativo interno relativo alla convenzione ha addirittura trovato posto nell’atto di indirizzo politico-istituzionale del Ministero della Giustizia per l’anno 2022[35], ed è stato incluso fra i temi di riflessione affidati al Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili, (ri)avviato dalla stessa Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, assieme dalla Ministra della Disabilità, Erika Stefani.[36] A favore della ratifica si è inoltre pronunciato il Consiglio Nazionale del Notariato[37].
Resta da vedere se l’ipotesi della ratifica tornerà ad impegnare il Parlamento uscito dalle elezioni politiche del 25 settembre 2022.
Non è inutile segnalare, in questa prospettiva, che l’Italia sembrerebbe avere delle ragioni particolarmente impellenti per aderire ad un regime uniforme come quello della convenzione dell’Aja del 2000. Giova qui richiamarne almeno tre.
Militano, innanzitutto, a favore della ratifica della convenzione delle ragioni di carattere sociale, legate alla struttura demografica della popolazione italiana e al marcato invecchiamento della popolazione, uno dei principali fattori di fragilità a cui i regimi di protezione degli adulti si propongono di rispondere. Il fenomeno dell’invecchiamento si presenta, infatti, proprio in Italia, con una acutezza che non ha eguali in Europa. Stando a Eurostat, la mediana dell’età della popolazione italiana si attestava, nel 2021, a quota 47,6 anni, il dato più elevato all’interno dell’Unione[38]. Non sorprende che l’Italia si collochi al primo posto in Europa anche per numero di casi di demenza rispetto alla popolazione, data la correlazione statistica che intercorre fra decadimento cognitivo e l’età delle persone che ne soffrono. Secondo Alzheimer Europe, le persone affette da demenza rappresentavano, nel 2018, il 2,12% della popolazione italiana, con una proiezione riferita al 2050 che tocca il 4,13%: in Germania e in Francia, a titolo di confronto, l’incidenza si attestava, al 2018, rispettivamente all’1,83 e all’1,91%, con proiezioni al 2050 comunque inferiori al 3,5%[39]. Questi numeri, che dipingono oltretutto solo una parte del fenomeno della fragilità, suggeriscono che l’Italia ha, più ancora dei suoi vicini europei, delle buone ragioni per rispondere con strumenti efficaci alle esigenze delle persone vulnerabili, nelle situazioni puramente interne come in quelle internazionali.
Proprio i casi internazionali, per venire al secondo ordine di ragioni che dovrebbero far guardare con interesse alla convenzione dell’Aja del 2000, sono del resto tutt’altro che marginali in un paese come l’Italia. La loro importanza si spiega, per un verso, alla luce delle intense dinamiche migratorie che interessano il paese: erano quasi 5.200.000 gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2022, ed erano più di 5.600.000 gli Italiani iscritti all’Anagrafe dei residenti all’estero al 31 dicembre 2020[40]: una cifra, quest’ultima, verosimilmente destinata ad essere rivista al rialzo in occasione del prossimo rilevamento pubblico, dato che il numero di Italiani che s stabiliscono all’estero conosce da diversi anni un trend di crescita su base annua superiore al 3%[41]. L’importanza dei casi internazionali rispecchia, del resto, anche il valore tutt’altro che trascurabile dei beni immobili e delle disponibilità finanziarie che le famiglie italiane detengono all’estero: sulla base di dati dell’Agenzia dell’Entrate, Bankitalia ha stimato che, alla fine del 2018, le attività estere delle famiglie ammontassero a 110 miliardi di euro, pari al 6,2% del PIL e al 2,6% delle attività totali delle famiglie[42]. Assume del resto rilievo ai fini che qui interessano anche il fenomeno inverso, quello cioè che si esprime nell’acquisto di beni immobili situati in Italia da parte di persone fisiche residenti all’estero, mosse dal desiderio di avere una seconda casa magari in Toscana o sul lago di Como, se non senz’altro di venirvi ad abitare stabilmente dopo il pensionamento o approfittando delle opportunità offerte dallo smart working[43].
Nel quadro appena delineato, è tutt’altro che irrealistico che una misura di protezione italiana debba trovare attuazione all’estero, o che un regime di protezione straniero venga invocato in Italia.
Se l’Italia fosse parte della convenzione dell’Aja del 2000, la gestione di queste situazioni si rivelerebbe più semplice e lineare, con benefici per gli interessati e per le autorità coinvolte. Per intendersi, l’italiano che si stabilisca all’estero senza perdere i legami personali e patrimoniali che lo uniscono all’Italia, potrebbe contare sulla efficacia in Italia delle misure di protezione che dovessero un giorno essere prese a suo favore nello Stato che lo ha accolto. Allo stesso modo, lo straniero che voglia investire in Italia una parte del suo patrimonio personale e trascorrere dei periodi più o meno lunghi in Italia, godrebbe facilmente anche in Italia, all’occorrenza, delle misure di protezione (se del caso negoziali) adottate nel suo paese di origine.
La terza ragione che dovrebbe indurre l’Italia a guardare con interesse alla convenzione dell’Aja sulla protezione degli adulti ha a che fare con l’arretratezza delle norme di diritto internazionale privato che disciplinano oggi in Italia questa materia. Ratificando la convenzione, l’Italia infatti sostituirebbe con poco sforzo una disciplina poco funzionale con un regime moderno ed efficiente[44].
Due critiche possono essere mosse alle regole italiane attuali: da un lato, i valori che esse riflettono non coincidono con quelli che ispirano oggi le politiche del sostegno alle persone fragili; dall’altro lato, le regole odierne, per la loro formulazione e il loro modo di operare, producono delle difficoltà pratiche che rendono inutilmente gravosa la concreta amministrazione delle situazioni di vulnerabilità interessate.
Quanto al primo aspetto, è emblematica l’incertezza in cui si trova oggi chi voglia far valere in Italia una procura preventiva rilasciata, a fini di protezione, in conformità a un diritto straniero. Come si è già avuto modo di rilevare, questo genere di negozi rispecchiano, nella loro impostazione, il diritto fondamentale ormai riconosciuto all’interessato di compiere autonomamente le proprie scelte anche per il tempo in cui le sue condizioni fisiche o psichiche risultino compromesse. Ebbene, le norme sui conflitti di leggi attualmente in vigore in Italia semplicemente non contemplano questo genere di stipulazioni, né appaiono altrimenti sensibili al diritto testé richiamato. Risulta in tal modo difficile stabilire anche solo in base a quale legge vada apprezzata, in presenza di elementi di internazionalità, la spendibilità in Italia dei poteri rappresentativi conferiti dall’interessato in previsione dalla propria incapacità. La tesi, già riferita, che afferma l’applicabilità in questo campo dell’art. 43 della legge n. 218 del 1995 appare convincente a più di un titolo[45], ma apre la strada ad esiti pratici quanto meno discutibili. Dato che l’art. 43 richiama la legge nazionale della persona da proteggere, si rischia di dover concludere – a dispetto del valore “universale” dell’autodeterminazione – che le persone che possiedono la cittadinanza di Stati che non conoscono questo genere di negozi sono per ciò solo nell’impossibilità di godere, in Italia, del sostegno del fiduciario da loro preventivamente nominato a questo scopo. Ragionando in questi termini, si rischia di dover negare ogni efficacia in Italia a negozi perfettamente validi secondo la legge del paese con cui l’interessato intrattiene un legame significativo. Per esempio, siccome il diritto polacco non ammette il conferimento anticipato di poteri rappresentativi con funzione protettiva, rischia di essere inefficace in Italia il mandat de protection future che un cittadino polacco residente da decenni in Francia abbia concluso in Francia secondo il diritto francese. Un negozio del medesimo tenore, concluso nelle stesse circostanze da un cittadino francese, sarebbe invece perfettamente efficace in Italia. La differenza di trattamento delle due ipotesi appare irragionevole, trattandosi di vicende socialmente omologhe, egualmente meritevoli di considerazione in nome dell’autodeterminazione del singolo.
La ratifica della convenzione dell’Aja del 2000 da parte dell’Italia restituirebbe certezza alle procure preventive estere e ne assicurerebbe una disciplina coerente al valore della autonomia. L’art. 15 della convenzione dispone che i poteri conferiti in forza di una procura preventiva soggiacciono, per regola, alla legge del paese in cui si trovava la residenza abituale del disponente all’epoca in cui la procura è stata rilasciata. Ai sensi dell’art. 16, spetta peraltro alle autorità competenti in forza della convenzione intervenire, se del caso, per revocare, aggiornare o modificare i poteri attribuiti dall’interessato al suo fiduciario, in funzione delle esigenze del primo. La convenzione, in altre parole, rafforza l’autodeterminazione, conferendo alle procure anticipate una proiezione internazionale altrimenti malsicura, ma si preoccupa nello stesso tempo di arginare il pericolo che il negozio si riveli dannoso, o non sia in grado di proteggere adeguatamente il disponente. Di fatto, per tornare all’esempio appena proposto, quel cittadino polacco e il suo fiduciario vedrebbe agevolmente riconosciuta in Italia l’efficacia dei poteri conferiti dal primo al secondo, in quanto conformi alla legge francese, legge dello Stato di residenza abituale del rappresentato. E se l’interessato dovesse stabilire in Italia la propria residenza abituale, spetterebbe al giudice italiano vigilare sul modo in cui il fiduciario esercita i poteri che gli sono stati attribuiti, e verificare che l’assetto negoziale della protezione rimanga idonea a soddisfare le esigenze dell’interessato.
Lo stesso art. 43 della legge n. 218 del 1995 offre, in realtà, anche un’illustrazione degli inconvenienti del secondo tipo evocato sopra, cioè delle difficoltà pratiche suscitate dall’impiego delle norme internazionalprivatistiche attualmente in vigore in Italia. Ci si metta nei panni del giudice italiano a cui sia chiesto di emettere delle misure di protezione a favore di uno straniero residente in Italia. Rilevato il carattere di estraneità della fattispecie, quel giudice dovrà determinarne la legge regolatrice, servendosi, per l’appunto, dell’art. 43. Se l’interessato è rumeno (l’Istat conta più di un milione di cittadini rumeni in Italia)[46], il giudice dovrà fare capo alla legge rumena; se si tratta di una persona di cittadinanza albanese (sono 430.000 gli albanesi residenti in Italia), seguirà la legge albanese[47]. Egli dovrà innanzitutto sincerarsi di quanto dispongano le regole dettate in quei paesi per regolar ei conflitti di leggi in materia di protezione degli adulti, per stabilire se esse operino un rinvio di cui si debba tener conto ai sensi dell’art. 13 della legge n. 218 del 1995: le norme di conflitto rumene, per esempio, rinviano alla legge italiana[48], con la conseguenza che il giudice, in ultima analisi, farà applicazione della legge italiana; quelle albanesi, invece, non dispongono in questo campo alcun rinvio[49], sicché il giudice italiano, chiamato a pronunciarsi sulla protezione di un cittadino albanese, dovrà basarsi per ogni aspetto di indole sostanziale su quanto dispone la legge albanese.
In quest’ultimo caso, e in genere in tutti i casi in cui la sostanza della protezione risulti soggetta a una legge straniera, il giudice italiano dovrà procurarsene la conoscenza d’ufficio, come prescrive l’art. 14 della medesima legge n. 218 del 1995, sollecitando se del caso l’assistenza del Ministero della Giustizia. La ricerca e l’applicazione del diritto straniero, operazione di per sé non agevole per il giudice, si rivela peraltro ancora più ardua per la persona a cui è affidata la cura della persona e del patrimonio dell’adulto in questione (che, oltretutto, non può valersi degli strumenti di cognizione del diritto straniero contemplati all’art. 14 della legge n. 218 del 1995). Difficilmente l’amministratore designato potrà permettersi di non compiere una simile ricerca, se vuole operare con la necessaria diligenza e in modo prudente: la legge richiamata dall’art. 43 della legge n. 218 del 1995, infatti, disciplina tanto le misure di protezione propriamente intese (fissando, per esempio, i casi in cui il compimento di un determinato atto esige la previa autorizzazione del giudice, se del caso sollecitata proprio dall’amministratore), quanto «i rapporti fra l’interessato e chi ne ha la cura», compresi dunque i presupposti e il contenuto della responsabilità in cui quest’ultimo può incorrere nei confronti del primo.
La ratifica della convenzione dell’Aja risolverebbe anche qui alla radice gli inconvenienti pratici ora descritti. Stabilisce l’art. 13 della convenzione che spetta alla legge del foro regolare la sostanza delle misure di protezione, ferma la possibilità per il giudice di applicare o prendere in considerazione la legge di un paese diverso quando la fattispecie sia collegata a tale paese e il riferimento a tale diversa legge giovi alla migliore protezione dell’interessato. In pratica, dopo un’ipotetica ratifica italiana della convenzione, il giudice italiano a cui sia chiesto di emettere delle misure di protezione in rapporto a un caso che presenti degli elementi di internazionalità, farà direttamente riferimento, una volta dichiaratosi competente ai sensi della convenzione, alle norme materiali italiane. Il ricorso a norme diverse (tratte dalla legge nazionale dell’interessato ma eventualmente anche dalla legge di un paese diverso a cui il caso sia collegato) potrà essere preso in considerazioni solo in presenza di nessi particolarmente deboli fra il caso e l’Italia e a patto che l’impiego del diritto straniero in questione risulti congeniale all’interesse dell’adulto in questione. L’amministratore nominato in Italia opererà, anche lui, secondo le norme materiali italiane.
5. L’adeguamento dell’ordinamento italiano alla convenzione dell’Aja
Un’ipotetica ratifica italiana della convenzione dell’Aja del 2000 sulla protezione internazionale degli adulti comporterebbe, per essere fruttuosa, l’adozione di poche (ma indispensabili) modifiche legislative tese ad adeguare l’ordinamento interno agli obblighi della convenzione e a permetterne un’efficace attuazione.
Beninteso, la convenzione, che detta delle regole self-executing, si presta ad essere attuata nell’ordinamento statale in forza di un semplice ordine di esecuzione. Se ci si limitasse a questo, tuttavia, resterebbero irrisolte diverse questioni applicative di rilievo pratico tutt’altro che secondario. Da qui l’opportunità di prevedere già nella legge di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione gli adeguamenti legislativi necessari.
Sono almeno quattro i temi su cui il legislatore statale dovrebbe verosimilmente intervenire a questo titolo[50].
5.1. La designazione dell’autorità centrale italiana
In primo luogo, premesso che ogni Stato contraente della convenzione è tenuto a dotarsi di un’autorità centrale incaricata dei compiti di cui agli articoli 28 e seguenti, è ragionevole pensare che tale designazione, come avvenuto per altre convenzioni simili[51], venga effettuata dal legislatore[52].
Sul punto basti esprimere l’auspicio che la designazione italiana, quando dovrà essere effettuata, venga fatta tenendo conto dell’oggetto e della natura delle funzioni assegnate all’autorità centrale in questione. Un auspicio superfluo, si direbbe, se non fosse che rispetto alla già citata convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dei minori il legislatore italiano ha operato una scelta difficilmente comprensibile, designando la Presidenza del Consiglio dei Ministri e non invece il Ministero della Giustizia, pur essendo quest’ultima l’articolazione dell’esecutivo presumibilmente meglio attrezzata per svolgere i compiti di autorità centrale nel campo della protezione dei minori (come, del resto, in materia di protezione degli adulti).
5.2. Le modifiche alla legge n. 218 del 1995
Il secondo tema da affrontare in sede di adeguamento alla convenzione del 2000 riguarda le modifiche alla legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Quest’ultima reca due disposizioni specificamente riferite alla protezione degli adulti: il già citato art. 43, sulla legge applicabile, e l’art. 44, sull’ambito della giurisdizione italiana in questo campo. L’entrata in vigore della convenzione del 2000 per l’Italia priverebbe le due disposizioni di gran parte della loro portata pratica: conformemente all’art. 2 della stessa legge n. 218 del 1995 (secondo cui le disposizioni di fonte interna «non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia»), gli articoli 43 e 44 assumerebbero, automaticamente, una funzione residuale. Si applicherebbero, cioè, nei soli casi in cui la convenzione fosse inapplicabile o nella misura in cui la convenzione, pur risultando applicabile, non precludesse agli Stati contraenti di ricorrere a norme interne, difformi dalla convenzione stessa.
Senonché, proprio perché destinate ad operare “nelle pieghe” della convenzione, le disposizioni in questione andrebbero ripensate in modo da risultare coerenti alla convenzione stessa.
Quanto all’art. 43, pare opportuno ricorrere a una tecnica impiegata anche negli articoli 42, 57 e 59 della stessa legge n. 218 del 1995: quella consistente nel disporre, attraverso un rinvio, l’applicazione «in ogni caso» delle norme convenzionali del settore considerato[53]. La formula «in ogni caso» renderebbe operanti le norme di conflitto della convenzione del 2000 anche in situazioni – relative alla protezione degli adulti, nei termini in cui questo concetto è inteso dal diritto italiano – rispetto alle quali la convenzione sia inapplicabile o, al limite, priva di soluzioni espresse.
L’estensione così realizzata avrebbe un rilievo pratico in almeno due circostanze. Ricorre la prima quando si faccia questione della spendibilità in Italia di poteri rappresentativi conferiti per fini di protezione non già dall’interessato tramite una procura preventiva, ma in forza della legge (come avviene ad esempio nell’ordinamento austriaco, ai sensi del § 284b e seguenti dell’AGBG, in tema di Vertretungsbefugnis nächster Angehöriger). La convenzione dell’Aja non detta espressamente delle regole di conflitto specifiche a questo riguardo[54], ma – grazie a un rinvio «in ogni caso» come quello appena ipotizzato – l’operatore italiano potrebbe nondimeno servirsi delle pertinenti disposizioni della convenzione anche a questo fine, salvo adattarne il funzionamento alla luce della fonte legale, anziché negoziale, dei poteri in discorso[55].
Il secondo scenario in cui l’estensione della convenzione può avere un rilievo pratico si verifica nei casi in cui il giudice italiano fosse competente a pronunciarsi su un caso di protezione degli adulti non in forza della convenzione ma solo in forza delle norme di diritto comune sulla competenza giurisdizionale (un’eventualità, questa, su cui si tornerà subito sotto). L’art. 13 della convenzione, che regola la legge applicabile alla protezione giudiziale di un adulto, opera di per sé quando le autorità di uno Stato contraente operino sulla base di un titolo di giurisdizione dettato dalla convenzione stessa[56]. Il rinvio «in ogni caso» alla convenzione, giustificherebbe l’impiego dell’art. 13 anche nell’ipotesi in cui le autorità italiane si dovessero occupare della protezione di un adulto in forza dell’art. 44 della stessa legge n. 218 del 1995, come riformulato, anziché sulla base della convenzione.
L’art. 44, in tema di giurisdizione, sollecita una riflessione più articolata. La disposizione, a parere di chi scrive, si presta ad una rivisitazione ispirata a tre obiettivi. Il primo obiettivo consiste nel chiarire i rapporti fra la disciplina della giurisdizione contenuta nella convenzione e quella di diritto comune, ricordando il primato della prima, come del resto impone il già citato art. 2 della stessa legge n. 218 del 1995. Il nuovo art. 44 dovrebbe, in secondo luogo, sopprimere la distinzione che si rinviene nell’attuale formulazione della norma – quella tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria – che non trova riscontro nella convenzione stessa e si è dimostrata capace di dar luogo a dubbi ricostruttivi di non agevole risposta[57]. In terzo luogo, la modifica dell’art. 44 dovrebbe puntare a semplificare il quadro esistente, prefigurando, in armonia con i due obiettivi precedenti, due soli titoli di giurisdizione di diritto comune: un titolo ordinario, la cittadinanza italiana dell’adulto; l’altro residuale, rappresentato dalla necessità di assicurare la realizzazione dei diritti fondamentali dell’interessato ove ciò non possa avvenire ad opera di autorità straniere (si tratta di un forum necessitatis).
I primi due obiettivi non richiedono osservazioni particolari. Per soddisfarli basterebbe chiarire che i titoli di diritto comune possono essere invocati per affermare la giurisdizione italiana in casi diversi e ulteriori a quelli previsti dalla convenzione, ma pur sempre senza pregiudizio per le norme ivi previste. L’indicazione riportata da ultimo serve a ricordare che l’impiego di titoli di giurisdizione nazionali è ammissibile solo nei casi in cui il giudice italiano non sia richiesto, dalla convenzione, di astenersi dalla giurisdizione, o di esercitarla coordinandosi con le autorità di un altro Stato contraente. Quesiti casi si verificano, fondamentalmente, quando l’adulto da proteggere, che non sia un rifugiato o uno sfollato ai sensi dell’art. 6 della convenzione, risieda abitualmente in uno Stato non vincolato dalla convenzione stessa.
I due titoli di giurisdizione di fonte interni che il nuovo art. 44 della legge n. 218 del 1995 potrebbe contemplare avrebbero, come accennato, un impiego rispettivamente ordinario e residuale.
Il titolo di impiego ordinario sarebbe rappresentato dalla cittadinanza italiana delle persone da proteggere. Il giudice italiano, in altri termini, continuerebbe a potersi occupare della protezione degli adulti di cittadinanza italiana, nella misura in cui ciò non sia d’ostacolo alle prerogative che spettano agli altri Stati contraenti della convenzione in virtù della stessa. Si noti che già ora la cittadinanza italiana dell’adulto è titolo di giurisdizione in questo campo. E ciò sia in relazione ai procedimenti di natura contenziosa, come si è osservato in precedenza facendo riferimento al combinato disposto dell’art. 3 della stessa legge n. 218 del 1995 e dell’art. 29, co. 1, del citato decreto legislativo n. 71 del 2011; sia in relazione ai procedimenti di giurisdizione volontaria, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 218 del 1995.
Il titolo di applicazione residuale dovrebbe invece ispirarsi a disposizioni rinvenibili in altri sistemi internazionalprivatistici nazionali (l’art. 3 della legge federale svizzera di diritto internazionale privato, per esempio) e alle disposizioni istitutive di fori di necessità contenute in diverse misure legislative dell’Unione europea, come, ad esempio, l’art. 7 del regolamento (CE) n. 4/2009 del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari[58]. Si tratterebbe di un titolo residuale, operante solo nell’ipotesi in cui la giurisdizione italiana non possa essere fondata su un titolo previsto dalla convenzione o sulla cittadinanza dell’interessato. Si distinguerebbe dai titoli di giurisdizione previsti in quest’ambito dalla convenzione e dalla stessa legge n. 218 del 1995 perché, pur non prescindendo da nessi di carattere geografico fra la fattispecie e l’Italia (dovrebbe pur sempre trattarsi di proteggere la persona o i beni di un adulto in Italia), non troverebbe la sua giustificazione nell’esistenza di uno stretto collegamento della fattispecie stessa e l’Italia, ma risponderebbe direttamente ad una percepita esigenza di provvedere a tutela dell’interessato, unitamente alla constatazione che non sarebbe ragionevole attendersi che un provvedimento venga chiesto o ottenuto in un altro Stato.
Questa parte dell’art. 44 potrebbe essere formulata come segue: «La giurisdizione italiana, ove non sussista in base alla convenzione o in ragione della cittadinanza italiana dell’interessata, sussiste inoltre, senza pregiudizio per la convenzione, se e nella misura in cui, avuto riguardo ai diritti fondamentali dell’adulto di cui trattasi, si renda necessario proteggere la persona o i beni dell’adulto in Italia». Andrebbe chiarito che la disposizione ora riferita «si applica solo quando non possa ragionevolmente essere intentato o svolto in uno Stato diverso dall’Italia con il quale la situazione ha uno stretto collegamento, o vi si riveli altrimenti impossibile, un procedimento per l’adozione, la modifica o l’integrazione di misure di protezione, o quando le misure rese in quello Stato non siano riconoscibili in Italia».
La norma – pensata per conferire una giurisdizione piena, non limitata all’emanazione di provvedimenti provvisori e cautelari (per quelli già opera l’art. 10 della convenzione) – potrebbe ad esempio trovare impiego quando, in assenza di altri titoli di giurisdizione, si renda necessario modificare o estinguere delle misure di protezione pronunciate all’estero. In relazione a quest’ultima ipotesi, la disposizione suggerita assorbirebbe il caso oggi contemplata all’art. 44, co. 2, della legge n. 218 del 1995[59].
La riformulazione dell’art. 44 dovrebbe dar luogo, combinandosi con la convenzione, ad un regime della giurisdizione completo e di semplice applicazione. Si tratterebbe di un regime completo perché tutte le ipotesi in cui attualmente sussiste la giurisdizione italiana resterebbero ricomprese nella sfera di intervento delle autorità italiane (vuoi in forza degli articoli da 5 a 11 della convenzione, vuoi in forza dei due nuovi titoli di diritto comune), di fatto consentendosi al giudice italiano di prendere posizione su ogni situazione che possa ragionevolmente risultare di interesse per l’ordinamento italiano. Sarebbe di semplice applicazione perché, sul piano del diritto comune, la giurisdizione italiana viene a dipendere da un solo criterio ordinario (la cittadinanza dell’interessato), integrato – in casi eccezionali – da una valutazione, da farsi in concreto, della necessità di provvedere, onde proteggere l’interessato ed evitare un diniego di giustizia.
L’operatività dei criteri di matrice nazionale sarebbe del resto soggetta a due verifiche di agevole compimento. Occorrerebbe infatti solo sincerarsi che la giurisdizione italiana non sussista già sulla base della convenzione, e che l’affermazione della giurisdizione italiana non ostacoli l’efficacia delle norme della convenzione, segnatamente quelle che assegnino la competenza alle autorità di un altro Stato contraente, in ossequio al primato della disciplina convenzionale.
5.3. Modiche concernenti le funzioni degli uffici consolari
Il legislatore italiano, al fine di assicurare l’efficace attuazione della convenzione dell’Aja del 2000 nell’ordinamento interno dovrebbe, verosimilmente, mettere mano al citato decreto legislativo n. 71 del 2011, sull’ordinamento e le funzioni degli uffici consolari.
L’art. 29, co. 1, del decreto legislativo dispone che, quando si discuta della protezione di un cittadino italiano residente all’estero, il capo dell’ufficio consolare nella cui circoscrizione risiede l’interessato, trasmetta al pubblico ministero presso il tribunale competente (che, come già detto, è quello dell’ultima residenza in Italia della persona di cui trattasi, o quello nella cui circoscrizione si trova il Comune in cui tale persona è iscritta all’Anagrafe dei residenti all’estero), «ogni utile dato istruttorio al fine di promuovere procedimenti relativi all’interdizione, all’inabilitazione e all'amministrazione di sostegno nei confronti di cittadini residenti nella circoscrizione». Ove l’Italia ratificasse la convenzione dell’Aja, la disposizione appena ricordata rimarrebbe pienamente operativa per quanto riguarda i cittadini italiani la cui residenza abituale si trovi in uno Stato terzo rispetto alla convenzione. La sua funzione pratica risulterebbe invece limitata quando si tratti di cittadini italiani residenti in uno Stato contraente, giacché, ai sensi dell’art. 5 della convenzione, la loro protezione spetterebbe in via ordinaria alle autorità di detto Stato.
Potrebbe dunque rendersi utile l’inserimento di un nuovo comma, così formulato: «Rispetto ai cittadini italiani la cui residenza abituale si trovi nel territorio di uno Stato parte della convenzione sulla protezione internazionale degli adulti, fatta all’Aja il 13 gennaio 2000, il capo dell’ufficio consolare, qualora ritenga che non siano state assunte o richieste le misure di protezione che il caso richiede, provvede a segnalare la situazione alle competenti autorità locali». Copia della segnalazione andrebbe inviata al pubblico ministero presso il tribunale italiano competente in funzione delle determinazioni di cui all’art. 7 della convenzione: si tratta della disposizione, già ricordata, che permette alle autorità dello Stato di cittadinanza dell’adulto di intervenire con proprie misure di protezione, ove considerino di essere meglio collocate per apprezzare il caso, salvo coordinare la propria azione con le autorità dello Stato di residenza abituale dell’adulto.
Quale ulteriore valorizzazione dell’opera della rete consolare in questo campo, e in funzione di una efficace collaborazione fra autorità dello Stato nella attuazione della convenzione, il comma aggiuntivo potrebbe ulteriormente stabilire che il capo dell’ufficio consolare presti all’autorità giudiziaria italiana e all’autorità centrale italiana per la convenzione l’assistenza eventualmente richiesta ai fini dell’applicazione degli articoli 7 e 8 della convenzione stessa. La norma indicata da ultimo contempla la possibilità di trasferire un caso di protezione dalle autorità di uno Stato contraente ad un altro. Tale trasferimento comporta l’assunzione di informazioni e altri scambi. L’ufficio consolare competente potrebbe offrire un contributo particolarmente prezioso a questo riguardo.
5.4. Modifiche concernenti le modalità di esercizio in Italia di poteri risultanti da procure preventive rilasciate per finalità di protezione
La convenzione dell’Aja, come visto, permetterebbe di invocare agevolmente in Italia i poteri rappresentativi risultanti da una procura preventiva rilasciata a fini di protezione secondo una legge straniera. Ove l’Italia ratificasse la convenzione, l’esistenza e la portata dei poteri in questione, così come le relative vicende, dovrebbero essere apprezzate (dal notaio, dal conservatore dei registri immobiliari, dal giudice etc.) sulla base la legge richiamata ai sensi dell’art. 15, paragrafi 1 e 2, della Convenzione.
Senonché, come si dice all’art. 15, par. 3, spetta alla legge del paese in cui i poteri vengono esercitati il compito di fissare le modalità di esercizio di tali poteri («manner of exercise»).
Di fatto, la convenzione impone agli Stati contraenti, da un lato, di dare corso alle procure che siano valide ed efficaci secondo la legge designata ai sensi dell’art. 15, paragrafi 1 e 2 (salvo il limite dell’ordine pubblico), ma, dall’altro lato, permette ad ogni singolo Stato contraente di subordinare l’esercizio in sede locale dei poteri così conferiti al rispetto delle condizioni da esso stesso definite, purché si tratti di condizioni attinenti alle sole modalità di esercizio dei poteri medesimi.
Appare opportuno che il legislatore italiano, data l’assenza di regole interne su questo genere di procure, colga l’opportunità offerta dalla convenzione per dettare a questo proposito delle regole ad hoc, in funzione garantire adeguate condizioni di sicurezza giuridica nella spendita dei poteri in questione.
Sembra ragionevole intervenire, a questo fine, sulla previsione che si incontra nell’art. 106, n. 4, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, recante l’ordinamento del notariato e degli archivi notarili. La norma prevede, attualmente, che nell’archivio notarile distrettuale sono depositati e conservati, fra gli altri, «gli originali e le copie degli atti pubblici rogati e delle scritture private autenticate in Stato estero prima di farne uso nel territorio dello Stato italiano, sempre che non siano già depositati presso un notaio esercente in Italia». Alla previsione ora riferita basterebbe aggiungere le parole «nonché gli atti con cui vengono attribuiti, modificati o estinti dei poteri di rappresentanza di cui all’articolo 15 della convenzione sulla protezione internazionale degli adulti, fatta all’Aja il 13 gennaio 2000», con la precisazione che «gli atti e i provvedimenti, ovunque formati, che integrano o precisano gli effetti di questi ultimi atti sono egualmente soggetti a deposito e sono annotati a margine dell’atto al quale si riferiscono». Le conseguenze del mancato deposito sarebbero quelle previste dall’art. 106 della legge notarile: l’atto, per quanto valido, non produrrà effetti fino a quando la formalità non risulti adempiuta.
I vantaggi della soluzione ora riferita attengono, evidentemente, alla pubblicità dei poteri rappresentativi in discorso. Grazie al deposito verrebbero stabilmente acquisite in un pubblico archivio, al fine di ogni eventuale controllo e verifica, anche a distanza di tempo, le informazioni necessarie alla verifica della esistenza e del contenuto dei poteri conferiti. La pubblicità così realizzata (idealmente completata dalla creazione di un registro di questo genere di procure, da connettere ad altri simili registri istituiti all’estero) avrebbe inoltre il vantaggio di rendere particolarmente agevole il rilascio di eventuali copie, così come l’emissione del certificato previsto dall’art. 38 della convenzione (e l’omologo certificato europeo menzionato in precedenza, se il legislatore dell’Unione dovesse disporne la creazione).
Le specificità delle procure preventive e la delicatezza degli interessi che il rappresentante è chiamato ad amministrare in forza di esse suggerisce di valutare l’introduzione di un’ulteriore condizione di esercizio del genere di poteri in discorso. Si potrebbe infatti prevedere che l’esercizio in Italia dei poteri di rappresentanza di cui all’art. 15 della convenzione sia comunque subordinato anche al deposito, sempre ai sensi dell’art. 106, n. 4, della legge notarile, di una dichiarazione del rappresentante che si sono verificate le condizioni per l’efficacia del conferimento. Contro il rischio che il deposito impedisca il pronto esercizio dei poteri di rappresentanza quando questi debbano essere usati in via di urgenza (ad esempio, quando il fiduciario sia richiesto di prestare il consenso dell’interessato a un trattamento medico non differibile), converrebbe peraltro aggiungere che resta ferma la possibilità di tener conto anche prima del deposito, quale dato di fatto, della volontà espressa dall’adulto di cui trattasi.
6. Considerazioni conclusive
La ricognizione che precede mostra che il diritto internazionale privato della protezione degli adulti si accinge ad assumere, in Europa, una fisionomia articolata su tre livelli: il livello universale in cui si colloca la convenzione dell’Aja, quello regionale nel quale troveranno posto le future norme dell’Unione europea, e il livello statale.
Non si tratta di un assetto insolito, né di un’architettura inutilmente complicata. La circolazione delle persone e dei beni attraverso le frontiere suscita questioni tecnicamente complesse e politicamente sensibili, a cui sarebbe illusorio provvedere con soluzioni meccaniche e risposte elementari.
I vantaggi derivanti dall’unificazione internazionale delle norme di diritto internazionale privato non hanno bisogno di essere spiegati. Il processo di unificazione, a seconda della sede politica in cui si svolge, può però condurre ad esiti assai diversi fra loro per intensità e grado di elaborazione. Ben si comprende, in questo senso, come uno strumento multilaterale a vocazione universale come la convenzione dell’Aja del 2000 possa non appagare, da solo, lo speciale bisogno di “comunicazione” fra ordinamenti che si registra in un contesto di integrazione regionale come quello dell’Unione europea: le esigenze del marcato interno europeo e il proposito di fare dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia giustificano, anche in questo campo, il perseguimento di obiettivi che, altrove, verrebbero giudicati eccessivamente ambiziosi.
Il diritto interno, dal canto suo, ha anch’esso un ruolo importante da giocare in questo quadro. Le norme uniformi, oltre a lasciare non di rado delle situazioni scoperte o delle questioni irrisolte, operano infatti, per forza di cose, “a contatto” con le regole statali. Nel campo della protezione degli adulti, come in molti altri settori, non basta che il diritto interno faccia spazio alle norme convenzionali e dell’Unione europea: occorre che esso venga rimodellato, ove necessario, in funzione delle esigenze dei regimi uniformi, oltre che in funzione della salvaguardia delle esigenze del foro, nella misura in cui i regimi uniformi pertinenti permettano di preservare tali esigenze[60].
Il paesaggio normativo che si prospetta richiede, per produrre i benefici di cui è teoricamente capace, degli sforzi non piccoli, e da parte dei vari attori coinvolti.
La Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato è particolarmente impegnata nella “cura” delle sue convenzioni, compresa la convenzione del 2000 sulla protezione degli adulti. Proprio per discutere delle questioni che circondano l’interpretazione e l’applicazione di tale convenzione è stato convocato, per il novembre 2022, il primo incontro (in oltre vent’anni) di una apposita commissione speciale, a cui parteciperanno delegati statali e rappresentanti di organizzazioni non governative[61]. In vista di questo importante appuntamento, un apposito gruppo di lavoro operante in seno alla Conferenza è stato incaricato di redigere un manuale pratico della convenzione, oltre che di confrontarsi col Permanent Bureau della Conferenza circa il tenore di un documento che lo stesso Permanent Bureau intende sottoporre alla Commissione speciale[62]. Questa documentazione si propone di agevolare l’interpretazione uniforme della convenzione, a beneficio dei singoli Stati (quelli vincolati dalla convenzione, ovviamente, ma anche quelli che stanno valutando di aderirvi), e a beneficio di chi – come l’Unione europea – intende riferirsi alla convenzione per elaborare le proprie soluzioni in questo campo (o intende raccordare tali soluzioni all’acquis della convenzione).
All’Unione europea spetterà, verosimilmente, il compito più gravoso nei mesi e negli anni a venire: anche se in questo campo il legislatore dell’Unione non dovrà (e non vorrà) partire da zero, la costruzione di una risposta regionale a un tema complesso e delicato come la protezione degli adulti esigerà l’impiego di risorse importanti. Le incertezze e le difficoltà nelle quali le istituzioni politiche dell’Unione sono destinate ad imbattersi in questo campo sono diverse, e richiedono in qualche caso delle risposte non scontate[63]. In compenso, se le iniziative che si annunciano per il 2023 verranno portate a compimento, l’Unione verrà ad occupare un ruolo rilevantissimo (ora non ne ha praticamente alcuno) nella governance della mobilità internazionale delle persone fragili e dei loro beni. E non solo nel contesto europeo: se è destino che venga adottata in questo settore una misura legislativa dell’Unione, è lecito pensare che, a tempo debito, la pratica “europea” della protezione degli adulti potrà essere analizzata dalla Corte di Giustizia in funzione della soluzione di dubbi interpretativi, magari comuni alla convenzione dell’Aja del 2000 La giurisprudenza che ne sortirà, sia pure presumibilmente in un arco di tempo non breve, avrà verosimilmente vocazione a influenzare il modo in cui le stesse questioni (le stesse norme della convenzione del 2000, se del caso) vengono affrontate e risolte anche al di fuori dell’Unione europea, secondo uno schema di cui già ora si registrano i segnali in altri contesti[64].
Vi sono, infine, gli sforzi che l’Italia è chiamata a compiere. Fino ad oggi, come si è visto, l’Italia ha assunto un atteggiamento tutt’altro che risoluto per quanto concerne la protezione degli adulti nei casi internazionali: ha concorso a creare nelle istituzioni dell’Unione un clima propizio alle proposte che la Commissione dovrebbe presentare a breve, senza peraltro assumere rispetto ad esse un ruolo di promotore. Sta di fatto che l’Italia, negli oltre quattordici anni seguiti alla firma della convenzione dell’Aja del 2000, non è riuscita a portare a compimento il processo della relativa ratifica. Il lavoro che si rende necessario a questo fine, perlomeno quello parlamentare, sarebbe peraltro circoscritto. Alla luce dei vantaggi che la convenzione è in grado di produrre in Italia, è auspicabile che le esitazioni manifestatesi sin qui possano lasciare spazio a iniziative concrete nella direzione della ratifica, unitamente ad una partecipazione convinta dell’Italia al processo di elaborazione delle future norme europee.
Abstract: the paper seeks to provide an account of the rapidly changing landscape of the rules that govern, in international situations, the protection of adults who are not in a position to protect their interests due to an insufficiency or impairment of their personal faculty. Specifically, the contribution discusses the role that the European Union is likely to play in this area in the not too distant future on the basis of Article 81 of the Treaty on the Functioning of the European Union, on judicial cooperation in civil matters. These developments, the paper argues, should build on the Hague Convention of 13 January 2000 on the international protection of adults, which has proved to work well in practice and should be ratified by all the Member States of the Union. The changes that are expected to occur in this area will arguably not make the domestic rules of private international law useless. A review of those rules, however, appears to be necessary, especially in Italy: they must be redesigned in such as to facilitate the implementation of the existing and planned uniform instruments, and fill their gaps.
Key words: vulnerable adults; legal capacity; assisted decision-making; powers of representation granted by an adult to be used in the event of incapacity; private international law; applicable law; UN Convention on the rights of persons with disabilities; Hague Convention on the international protection of adults; European Union
[1] Insieme per un’Europa più forte, doc. COM (2021) 645 def., del 19 ottobre 2021, p. 11.
[2] L. Adriaenssens - C. Borrett - S. Fialon - P. Franzina - I. Sumner - N. Rass-Masson, Study on the Cross-border Legal Protection of Vulnerable Adults in the EU, Bruxelles, 2022, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/facf667c-99d6-11ec-83e1-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF/source-270389740 (consultato il 7 ottobre 2022).
[3] La consultazione, intitolata Protezione degli adulti vulnerabili in tutta l’UE, si è conclusa il 29 marzo 2022. Gli esiti della consultazione, largamente favorevoli a un attivo coinvolgimento dell’Unione in quest’ambito, sono riassunti nel documento intitolato Initiative to Enhance the Legal Protection of Vulnerable Adults in Cross-border Situations in the European Union in Civil Matters, del 7 giugno 2021, reperibile nel citato catalogo dell’Ufficio delle Pubblicazioni dell’Unione europea.
[4] L’aggettivo «vulnerabile», che pure è largamente attestato nei documenti delle istituzioni e nella dottrina, è infelice per due ragioni. In primo luogo, la vulnerabilità è un concetto ampio, che nel linguaggio giuridico è impiegato per riferirsi a fattispecie fra loro assai diverse, rispetto alle quali non vengono in gioco le questioni che riguardano, invece, la «protezione degli adulti» come definita poco sopra, nel testo. In secondo luogo, appare sbagliato, e soprattutto fuorviante, parlare di individui vulnerabili come se la vulnerabilità fosse un elemento costitutivo della loro identità: la vulnerabilità, se si vuole impiegare questo termine per descrivere il fenomeno di cui si discorre in queste pagine, non è uno status, cioè un attributo della persona, ma una condizione in cui questa può venirsi a trovare, per un tempo più o meno lungo, sotto l’impulso di fattori che ne limitano, o senz’altro ne pregiudicano, l’attitudine a provvedere ai propri interessi. Sembra più esatto, in questo senso, parlare di adulti in situazione di vulnerabilità, piuttosto che di adulti vulnerabili tout court.
[5] Articoli 477 e seguenti del code civil.
[6] Articoli 256 e seguenti del código civil.
[7] Section 4 e seguenti del Powers of Attorney Act, 1996.
[8] Il fatto che l’Unione non disponga di una competenza generale che le permetta di armonizzare il diritto sostanziale delle persone e della famiglia non le impedisce di introdurre puntualmente delle regole sostanziali uniformi, sul fondamento dell’art. 81 TFUE, se e nella misura in cui queste assicurino la piena realizzazione degli scopi delle norme di diritto internazionale privato: v., in generale, P. Franzina, L’inserimento di norme materiali in misure legislative dell’Unione nel campo del diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., 2018, p. 559 ss.
[9] Il testo può leggersi, nelle versioni inglese e francese, nel sito della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/specialised-sections/adults (consultato il 7 ottobre 2022).
[10] Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Monaco, Portogallo, Regno Unito (limitatamente alla Scozia), Svizzera. La Grecia, che ha ratificato la convenzione il 28 luglio 2022, ne sarà vincolata a partire dal 1° novembre 2022.
[11] La legge n. 218 del 1995 reca, all’art. 44, una disposizione che ha ad oggetto, in modo specifico, la giurisdizione italiana «in materia di misure di protezione degli incapaci maggiori di età». Vi si prevede che, in quest’ambito, la giurisdizione italiana sussiste, «oltre che nei casi previsti dagli articoli 3 e 9», anche quando si tratti di proteggere in via provvisoria e urgente la persona o i beni dell’incapace che si trovino in Italia. Il richiamo agli articoli 3 e 9, cioè alle disposizioni che disciplinano il generale l’ambito della giurisdizione italiana con riguardo ai procedimenti di natura, rispettivamente, contenziosa e volontaria, va inteso come implicante un richiamo all’art. 3 ogniqualvolta si faccia questione di un procedimento di natura contenziosa. Sul punto, e sui criteri che presiedono alla distinzione fra giurisdizione di cognizione e volontaria nell’ambito dei procedimenti in discorso, v. P. Franzina, La disciplina internazionalprivatistica italiana della protezione degli adulti alla luce di una recente pronuncia, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2020, fasc. 1, p. 219 ss., specie a p. 222 ss.
[12] In Francia – uno Stato contraente della convenzione dell’Aja del 2000 – la conclusione indicata nel testo discende dall’art. 15 della convenzione stessa. I Paesi Bassi, che pure non hanno ratificato la convenzione (essendosi sin qui limitati a firmarla), seguono comunque la convenzione, in forza di un’incorporazione unilaterale sancita dalla giurisprudenza: cfr. Hoge Raad, 2 febbraio 2018, https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:GHDHA:2016:3755 (consultato il 7 ottobre 2022).
[13] Per il testo della convenzione nelle lingue ufficiali (che non comprendono l’italiano), https://www.un.org/development/desa/disabilities/convention-on-the-rights-of-persons-with-disabilities.html (consultato il 7 ottobre 2022). I brani riportati di seguito sono tratti dalla traduzione italiana allegata alla legge 3 marzo 2009, n. 18. Rubricato «Uguale riconoscimento dinanzi alla legge», l’art. 12 riafferma innanzitutto che «le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica». Ai sensi dei paragrafi 2 e 3, gli Stati vincolati dalla convenzione «riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita» e si impegnano ad adottare «misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica». Tali misure, specifica il par. 4, devono fornire «adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani», devono rispettare «i diritti, la volontà e le preferenze della persona», essere «scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita», compe pure «proporzionate e adatte alle condizioni della persona, … applicate per il più breve tempo possibile e … soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario». Aggiunge il par. 5 che gli Stati parti devono adottare «tutte le misure adeguate ed efficaci per garantire l’uguale diritto delle persone con disabilità alla proprietà o ad ereditarla, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario», assicurando che le persone con disabilità «non vengano arbitrariamente private della loro proprietà».
[14] L’art. 8 CEDU sancisce il diritto al rispetto della vita privata e personale. Non menziona in modo espresso i diritti delle persone che sperimentano una limitazione o un’alterazione delle facoltà personali, ma è pacifico, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della prassi del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che le persone ora indicate possano invocare, sul fondamento dello stesso art. 8, se del caso unitamente ad altre disposizioni della convenzione, il diritto di ricevere il sostegno di cui possano avere bisogno per esercitare la propria capacità, secondo modalità tali da assicurare il rispetto della loro volontà ed evitare abusi. Particolarmente rilevanti, in quest’ambito, sono la raccomandazione 1999(4) (Principles Concerning the Legal Protection of Incapable Adults), https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016805e303c (consultato il 7 ottobre 2022), e la raccomandazione 2009(11) (Principles Concerning Continuing Powers of Attorney and Advance Directives for Incapacity), https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016805c0b39 (consultato il 7 ottobre 2022). In relazione allo strumento indicato da ultimo, v. anche il rapporto di A. Ward dal titolo Enabling Citizens to Plan for Incapacity – A Review of Follow-up Action Taken by Member States of the Council of Europe to Recommendation CM/Rec(2009)11, https://www.coe.int/en/web/cdcj/activities/powers-attorney-advance-directives-incapacity (consultato il 7 ottobre 2022).
[15] L’art. 7 della Carta DFUE replica, in sostanza, l’art. 8 CEDU e implica conseguenze analoghe a quelle ricordate in relazione a quest’ultimo nella nota precedente. L’art. 21, che sancisce il principio di non discriminazione, richiama espressamente la disabilità fra i parametri a cui è vietato ancorare una disparità di trattamento. Ai sensi dell’art. 25, l’Unione «riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale». L’art. 26, infine, dispone che l’Unione «riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità».
[16] Sull’idea che la protezione non possa reputarsi effettiva in assenza di strumenti che ne assicurino la “continuità” internazionale, v. P. Franzina, La protezione degli adulti nel diritto internazionale privato, Padova, 2012, p. 60 ss.
[17] V. in particolare il rapporto dello European Law Institute dal titolo Protection of Adults in International Situations (relatori P. Franzina e R. Frimston), approvato il 21 marzo 2020, https://www.europeanlawinstitute.eu/projects-publications/completed-projects-old/protection-of-adults (consultato il 7 ottobre 2022), su cui A. Muñoz Fernández, Notas sobre el informe del Instituto de Derecho Europeo acerca de la protección de adultos en situaciones internacionales, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2020, fasc. 2, p. 1099 ss. V. altresì M. Drventić, The Protection of Adults in the European Union, in EU and Comparative Law Issues and Challenges Series, 2019, p. 803 ss., e F. Rademacher, Protection of Vulnerable Adults in the EU: Room for Improvement in Cross-Border Cases, in Old and New Problems in Private Law, a cura di B. Heiderhoff - I. Queirolo,Roma, 2020, p. 39 ss.
[18] Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2008 recante raccomandazioni alla Commissione sulla protezione giuridica degli adulti: implicazioni transfrontaliere (2008/2123(INI)), in Gazz. uff. Unione eur., C 45E del 23 febbraio 2010, p. 71.
[19] Risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2017 recante raccomandazioni alla Commissione sulla protezione degli adulti vulnerabili (2015/2085(INL)), in Gazz. uff. Unione eur., C 307 del 30 agosto 2018, p. 154.
[20] Conclusioni del Consiglio sulla protezione degli adulti vulnerabili in tutta l’Unione europea, in Gazz. uff. Unione eur., C 330I del 17 agosto 2021, p. 1.
[21] Conclusioni del Consiglio sulla protezione degli adulti vulnerabili, del 24 ottobre 2008, doc. n. 14667/08, https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-14667-2008-INIT/en/pdf (consultato il 7 ottobre 2022), p. 21.
[22] Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, in Gazz. uff. Unione eur., C 115 del 4 maggio 2009, p. 1, punto 2.3.3.
[23] Non è possibile in questa sede illustrare in modo organico i contenuti della convenzione. Nella letteratura su questo strumento, v. di recente, anche per ulteriori riferimenti bibliografici: The International Protection of Adults, ed. R. Frimston - A. Ruck Keene - C. van Overdijk - A. Ward, Oxford, 2015, specie p. 77 ss.; R. Frimston, The 2000 Adult Protection Convention – Sleeping Beauty or Too Complex to Implement?, in The Elgar Companion to The Hague Conference on Private International Law, ed. T. John - R. Gulati - B. Köhler, Cheltenham, 2020, p. 226 ss.; P. Franzina, Protection of Adults, in Guide to Global Private International Law, ed. P. Beaumont - J. Holliday, Oxford, p. 553 ss.
[24] Il testo della convenzione del 1996 può leggersi nel già citato sito web della Conferenza dell’Aja. L’Italia, che ne è parte dal 1° gennaio 2016, l’ha eseguita con la legge 18 giugno 2015, n. 101.
[25] Quasi tutte le misure legislative adottate dall’Unione nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile contengono delle disposizioni in forza delle quale esse non pregiudicano l’efficacia delle convenzioni concluse anteriormente da singoli Stati Membri con uno o più Stati terzi, di fatto riconoscendo a tali convenzioni una sorta di primato. Per un’illustrazione, a titolo d’esempio, v. l’art. 25 del regolamento (CE) n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), in Gazz. uff. Unione eur., L 177 del 4 luglio 2008, p. 6 ss.
[26] La convenzione, come si legge all’art. 49, par. 2, consente a due o più Stati contraenti di dotarsi di un regime regionale che deroghi alla convenzione stessa. Una tale deroga, tuttavia, opererebbe solo con riguardo agli adulti la cui residenza abituale fosse fissata nel territorio degli Stati contraenti in questione. Di fatto, se l’Unione si dotasse di una normativa incompatibile con la convenzione, gli Stati Membri attualmente vincolati da quest’ultima potrebbero discostarsi dalla convenzione, senza violarla, solo nella misura in cui si faccia questione di persone residenti nell’Unione: per le persone residenti in uno Stato terzo dovrebbero, invece, conformarsi alla convenzione.
[27] Sul favore di cui gode la convenzione presso la dottrina, v., fra gli altri: S. Adroher Biosca, La protección de adultos en el Derecho internacional privado español novedades y retos, in Revista española der. int., 2019, p. 163 ss.; C. Campiglio - F. Mosconi, La Convenzione dell’Aja del 2000 sulla protezione degli adulti: qualche riflessione, in Studi in onore di Umberto Leanza, Napoli, 2008, p. 868 ss.; P. Franzina, La Convenzione dell’Aja sulla protezione internazionale degli adulti nella prospettiva della ratifica italiana, in Riv. dir. int., 2015, p. 748. L’interesse dimostrato da pratici e stakeholders verso la convenzione emerge dalle conclusioni dell’incontro relativo alla convenzione svoltosi a Bruxelles fra il 5 e il 7 dicembre 2018, organizzato dalla Commissione europea e dal Permanent Bureau della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, https://assets.hcch.net/docs/88f10f24-81ad-42ac-842c-315025679d40.pdf (consultato il 7 ottobre 2022).
[28] Nelle citate conclusioni del 7 giugno 2021, il Consiglio ha invitato gli Stati Membri che sono già parti della convenzione a «promuovere una maggiore consapevolezza della [stessa] tra gli organi giurisdizionali, gli operatori del settore e tutti i portatori di interessi coinvolti nella sua attuazione, in particolare attraverso la condivisione di esperienze e lo sviluppo di buone pratiche»; ha altresì incoraggiato gli Stati Membri che hanno avviato le procedure interne volte alla ratifica della convenzione a “far avanzare [tali procedure] al fine di completare la ratifica il più rapidamente possibile”; ha infine esortato tutti gli altri Stati Membri ad «avviare e/o proseguire le consultazioni interne su un’eventuale adesione alla [convenzione] il più rapidamente possibile».
[29] Un’Unione dell'uguaglianza: strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030, COM(2021) 101 def., del 3 marzo 2021, punto 12.
[30] Si discute se l’Unione, facendo leva sulla sua competenza c.d. esterna, possa esigere sin d’ora che gli Stati Membri che non l’hanno ancora fatto vi provvedano, o se invece, per il momento, debba accontentarsi di (seguitare a) raccomandare un simile sviluppo. Sull’argomento, v. il Position paper (relatori P. Franzina - C. Gonzalez Beilfuss) con cui la European Association of Private International Law ha risposto, il 26 marzo 2021, alla consultazione pubblica della Commissione citata all’inizio di questo scritto, reperibile nel sito della Associazione, https://eapil.org/eapil-activities/position-papers (consultato il 7 ottobre 2022). Vi è sostenuta la tesi secondo cui l’Unione può sin d’ora autorizzare gli Stati membri a ratificare la convenzione «nell’interesse dell’Unione» stessa, e ciò in forza dell’art. 216, par. 1, TFUE, nella parte in cui contempla la competenza dell’Unione a stipulare degli accordi internazionali la cui conclusione sia «necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche dell'Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati».
[31] V. già P. Franzina - J. Long, The Protection of Vulnerable Adults in EU Member States – The Added Value of EU Action in the Light of the Hague Adults Convention, in Salm, Protection of Vulnerable Adults – European Added Value Assessment, Bruxelles, 2016, p. 106 ss., a p. 168, e il citato rapporto dello European Law Institute intitolato Protection of Adults in International Situations. In argomento, v. altresì I. Anton Juarez, Viejos problemas y nuevas soluciones en torno a la protección internacional del adulto: el certificado europeo de poderes de representación, in Anuario Español de Derecho Internacional Privado, 2019-2020, p. 245 ss.
[32] In Gazz. uff. Unione eur., L 201 del 27 luglio 2012, p. 107 ss.
[33] Come indicato in precedenza (nota 29), non vi è unanimità di vedute sul fatto che l’Unione possieda oggi il potere di chiedere agli Stati Membri di ratificare la Convenzione nel suo interesse. Appare pacifico, per contro, che l’Unione verrebbe a disporre di un simile potere a seguito della adozione di una misura legislativa recante norme uniformi sulla protezione internazionale degli adulti: ai sensi dell’art. 216, par. 1, TFUE, l’Unione «può concludere un accordo con uno o più paesi terzi … qualora la conclusione di un accordo … possa incidere su norme comuni o alterarne la portata». La competenza esterna che si fondi su questo presupposto ha carattere esclusivo ai sensi dell’art. 3, par. 2, del medesimo Trattato.
[34] Si tratta rispettivamente dell’atto Camera 2797, presentato il 23 dicembre 2014 dall’allora Ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, di concerto col Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e dell’atto Senato 2331, presentato il 15 luglio 2021 dal senatore Emanuele Pellegrini.
[35] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_29_6_2.page (consultato il 7 ottobre 2022).
[36] Riprendono i lavori del “Tavolo sui diritti delle persone fragili”, nel notiziario on-line gNews del Ministero della Giustizia, 9 marzo 2022, https://www.gnewsonline.it/riprendono-i-lavori-del-tavolo-nazionale-sui-diritti-delle-persone-fragili (consultato il 7 ottobre 2022).
[37] Convenzione dell’Aja sulla protezione internazionale degli adulti vulnerabili: il Notariato è pronto a dare il proprio contributo alla ratifica da parte dell’Italia, comunicato stampa del Consiglio Nazionale del Notariato, 24 febbraio 2022, https://www.notariato.it/it/news/convenzione-dellaja-sulla-protezione-internazionale-degli-adulti-vulnerabili-il-notariato-e (consultato il 7 ottobre 2022).
[38] Population structure and ageing, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Population_structure_and_ageing (consultato il 7 ottobre 2022). La mediana dell’insieme della popolazione degli Stati Membri si ferma a 44,1 anni.
[39] https://www.alzheimer-europe.org/dementia/prevalence-dementia-europe (consultato il 7 ottobre 2022).
[40] Le cifre sono tratte rispettivamente da fonti dell’Istat, http://dati.istat.it, e dall’Ufficio Centrale di Statistica del Ministero dell’Interno, http://ucs.interno.gov.it (consultati il 7 ottobre 2022).
[41] Si noti che una parte non piccola delle nuove iscrizioni all’Anagrafe dei residenti all’estero si collega al fenomeno della international retirement migration, alimentato dal desiderio di un certo numero di titolari di pensione di stabilirsi fuori dall’Italia, in paesi caratterizzati da un minor costo della vita o capaci di offrire altri benefici. In generale, sul fenomeno v. di recente, in una prospettiva sociologica, i contributi raccolti nel fascicolo speciale, intitolato New Frontiers in International Retirement Migration, di Ageing and Society, 2021, p. 1205 ss. Spunti per misurare il fenomeno nella prospettiva dell’Italia come paese di origine del flusso migratorio si trovano in uno studio del 2021, intitolato Il fenomeno migratorio e gli effetti sulle pensioni pagate all’estero, realizzato a cura della Direzione centrale delle Pensioni dell’Inps, https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Allegati/Il_fenomeno_migratorio_e_gli_effetti_sulle_pensioni_pagate_all_estero_2021.pdf (consultato il 7 ottobre 2022).
[42] N. Accoto - A. Croce - G. Marocchi - S. Sabatini, Le attività estere delle famiglie, 2 aprile 2020, http://www.bancaditalia.it/statistiche/index.html (consultato il 7 ottobre 2022).
[43] Sull’incremento degli acquisti immobiliari da parte di stranieri in Italia, v. ad esempio A. Kantor, Why Americans and Britons Are Rushing to Buy Idyllic Homes in Italy, 22 ottobre 2021, https://www.bloomberg.com/news/features/2021-10-22/hot-real-estate-trend-americans-britons-driving-up-demand-for-homes-in-italy (consultato il 7 ottobre 2022). V. altresì Gate-away.com Annual Report 2021, 10 gennaio 2022, https://www.gate-away.com (consultato il 7 ottobre 2022).
[44] V. ampliamente a questo proposito P. Franzina, La protezione degli adulti nel diritto internazionale privato, cit., passim.
[45] P. Franzina, La protezione degli adulti nel diritto internazionale privato, cit., p. 187 ss. V. altresì, con riguardo alla spendita in Italia di un “mandato precauzionale” rilasciato in conformità al diritto svizzero da una cittadina italiana residente in Svizzera, il parere dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato del 23 dicembre 2020 (Quesito n. 178-2020/A), reperibile tramite il portale Aldricus: https://aldricus.giustizia.it/2021/03/10/la-protezione-internazionale-delladulto-incapace-nellacquisto-di-bene-immobile (consultato il 7 ottobre 2022).
[46] Per questo dato e quelli riportati immediatamente sotto nel testo, http://dati.istat.it (consultato il 7 ottobre 2022).
[47] Non è inutile rammentare, a fronte di una prassi che tende ad aggirare le complicazioni delle norme di diritto internazionale privato ignorandone più o meno consapevolmente l’operare, che l’art. 43 della legge n. 218 del 1995 non ha nulla di facoltativo o di opzionale: esso non raccomanda ma semmai prescrive l’applicazione della legge, se del caso straniera, ivi designata. Si aggiunga che l’applicabilità dell’art. 43 da parte del giudice adito non presuppone che nel procedimento ne venga invocato l’operare, o l’operare della legge eventualmente straniera richiamata: quando dal materiale di causa emerga il carattere di internazionalità della fattispecie (cioè, tipicamente, quando consti che la persona da proteggere non possiede la cittadinanza italiana), il giudice deve, d’ufficio, introdurre la questione della legge applicabile e ricercarne la soluzione nelle norme di conflitto pertinenti. In proposito, sulla scia di Cass. 7 febbraio 1975, n. 458, in Riv. dir. int. priv. proc., 1975, p. 783 ss. («attiene all’ufficio del giudice di compiere, alla stregua delle norme di diritto internazionale privato, che sono norme di diritto interno, e rispetto alle quali la posizione del giudice è la stessa di quella in cui egli si trova rispetto a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, l’indagine necessaria al fine di stabilire quale sia la legge applicabile»), v. in generale Cass. 6 novembre 2014, n. 27547, ivi, 2016, p. 219 ss., secondo cui «la rilevabilità di ufficio della legge applicabile presuppone che il caso dedotto in giudizio presenti oggettivamente un qualche collegamento con un ordina-mento diverso da quello italiano». Solo quando la fattispecie «sia interamente soggetta al diritto italiano e l’applicazione dell’ordinamento straniero sia frutto solo di una libera scelta delle parti», ha allora indicato la Corte «la questione della legge applicabile diviene oggetto di un’eccezione soggetta ai medesimi principi che valgono con riguardo ad ogni altra clausola pattizia, i cui effetti debbono essere dedotti e allegati dalla parte che vi abbia interesse, non potendo il giudice far valere d’ufficio e di sua iniziativa i dettagli di accordi stipulati dalle parti nel loro privato interesse, qualora le parti medesime non dimostrino il loro concreto e attuale interesse ad avvalersene».
[48] L’art. 2578 del codice civile rumeno richiama, in materia di protezione degli adulti, la legge del paese in cui l’interessato ha la residenza abituale.
[49] Ai sensi dell’art. 11 della legge albanese n. 10 428 del 2 giugno 2011, la protezione degli adulti soggiace alla legge del paese di cittadinanza dell’interessato.
[50] Entrambe le proposte di legge ricordate nelle pagine precedenti prospettavano l’adozione di alcuni interventi legislativi volti ad adeguare l’ordinamento interno alla convenzione. Non pare necessario esprimere in questa sede una valutazione su di essi. Basti dire che rilievi svolti nelle pagine che seguono coprono, a parere di chi scrive, tutte le principali questioni che il legislatore italiano potrebbe avere interesse ad affrontare al momento di autorizzare la ratifica della convenzione e disporne l’esecuzione. Oltre ai contenuti qui suggeriti, un’ipotetica legge di esecuzione dovrebbe semplicemente contenere (in aggiunta, come è ovvio, alla formula di autorizzazione ai sensi dell’art. 80 Cost., e all’ordine di esecuzione) una disposizione sugli oneri finanziari, non foss’altro per indicare che dall’attuazione non ne derivano. Occorre, infatti, fornire all’autorità centrale italiana le risorse per operare in modo efficace, ma se si trattasse semplicemente di ampliare i compiti di un’articolazione dell’esecutivo che già svolge in altri ambiti le funzioni di autorità centrale, gli oneri si rivelerebbero, verosimilmente, assai limitati, o potrebbero essere assorbiti nei normali oneri di funzionamento dell’autorità esistente. Si consideri poi, sempre con riguardo agli oneri finanziari, che la ratifica comporterebbe, per le ragioni viste nel paragrafo precedente, un risparmio di spesa non piccolo, specificamente a valere sul bilancio del Ministero della Giustizia. La sostituzione dell’art. 43 della legge n. 218 del 1995 con l’art. 13 della convenzione dell’Aja del 2000 determinerebbe infatti una riduzione non trascurabile del numero di richieste di informazione sul diritto straniero attualmente rivolte dai giudici italiani proprio al Ministero, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 218 del 1995.
[51] V. per esempio, per la legge 15 gennaio 1994, n. 64, esecutiva della convenzione europea del 20 maggio 1980 sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento, della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980, oltre che della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 in materia di protezione dei minori e della convenzione dell’Aja del 28 maggio 1970 in materia di rimpatrio dei minori.
[52] Una designazione legislativa permetterebbe di sincerarsi che l’autorità designata disponga di tutti i poteri occorrenti allo svolgimento dei suoi compiti, e possa avvalersi della collaborazione di altri soggetti pubblici o privato. La legge n. 64 del 1994, menzionata alla nota precedente, ad esempio, prevede che l’autorità centrale ivi designata possa chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e della Polizia di Stato, e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni di cui è investita in base alle convenzioni attuate con la legge stessa.
[53] Per esempio, ai sensi dell’art. 59 della legge, in tema di titoli di credito, la cambiale, il vaglia cambiario e l’assegno sono «in ogni caso» regolati dalle convenzioni di Ginevra del 1930 e del 1931 sui conflitti di legge in materia di cambiale, di vaglia cambiario e di assegni bancari. Fa uso della medesima tecnica, sia pure con qualche particolarità, anche nell’art. 45 della legge n. 218 del 1995, in materia di obbligazioni alimentari, come modificato.
[54] Stando all’opinione che appare preferibile, la rappresentanza ex lege di un congiunto dell’adulto rientra nella sfera applicativa della convenzione (e beneficia, a questo titolo, per esempio, dei meccanismi di assistenza reciproca fra autorità previsti dalla convenzione stessa). Resta che la convenzione tace sul trattamento da riservare ai conflitti di leggi che una siffatta rappresentanza può suscitare. La disciplina di conflitto della convenzione, segnatamente quella racchiusa nell’art. 15, sulla legge applicabile alle procure preventive, si presta ad un’applicazione in via analogica. Solo un’interpretazione risolutamente intesa a favorire l’effetto utile della convenzione permette di dire che la convenzione non si limita a consentire ma di fatto giunge ad imporre in questo campo il ricorso all’analogia. Sulla legge applicabile ai poteri di rappresentanza di fonte legale, v. le considerazioni (favorevoli a un intervento chiarificatore dell’Unione a questo riguardo) sviluppate nel Position paper della European Association of Private International Law, cit., e nella risposta dello European Law Institute alla citata consultazione pubblica lanciata dalla Commissione nel 2021, reperibile nel sito dello stesso European Law Institute, https://www.europeanlawinstitute.eu/projects-publications/other-initiatives/responses-to-public-consultations (consultato il 7 ottobre 2022).
[55] Il rinvio «in ogni caso» alla convenzione del 2000 comporterebbe, per i poteri ex lege, l’impiego dell’art. 15 della convenzione: i poteri di rappresentanza derivanti dalla legge dello Stato di residenza abituale dell’adulto risulterebbero in tal modo esercitabili anche in Italia anche là dove non si dovesse ritenere percorribile l’ipotesi, affacciata nella nota precedente, di un’applicazione analogica dello stesso art. 15 “in forza” della convenzione.
[56] L’art. 13, par. 1, dispone: «In exercising their jurisdiction under the provisions of Chapter II, the authorities of the Contracting States shall apply their own law» (corsivo aggiunto).
[57] V. per esempio Trib. Belluno, 1° agosto 2019, in Riv. dir. int. priv. proc., 2020, p. 637 ss., che, in relazione alla nomina di un amministratore di sostegno a una cittadina macedone, ritiene di dover esplorare entrambe le possibili qualificazioni, volontaria e contenziosa. Nella specie, il giudice ha rilevato che la giurisdizione italiana doveva ritenersi sussistente sotto l’una come sotto l’altra qualificazione.
[58] In Gazz. uff. Unione eur., L 7 del 10 gennaio 2009, p. 1 ss.
[59] Vi si prevede quanto segue: «Quando in base all'articolo 66 nell’ordinamento italiano si producono gli effetti di un provvedimento straniero in materia di capacità di uno straniero, la giurisdizione italiana sussiste per pronunciare i provvedimenti modificativi o integrativi eventualmente necessari».
[60] Come avviene, lo si è visto, rispetto alle esigenze pubblicitarie che circondano l’esercizio dei poteri di rappresentanza conferiti da un adulto in vista di una compressione delle sue facoltà.
[61] V. da ultimo le conclusioni e decisioni adottate dal Consiglio degli affari generali della Conferenza nella sessione tenutasi fra il 28 febbraio il 4 marzo 2022, nella sezione Governance del sito della Conferenza, https://www.hcch.net/en/governance/council-on-general-affairs/archive/2022-council, punto 23 (consultato il 7 ottobre 2022).
[62] V. ancora le conclusioni e decisioni citate nella nota precedente, punto 24. Al momento di licenziare questo scritto, la stesura del manuale era ancora in corso.
[63] Un esempio per tutti: si sono apparentemente sopite, ma potrebbero riemergere nell’iter della futura misura legislativa, le voci di chi sostiene che la protezione degli adulti attenga alla «materia familiare», quale è intesa dall’art. 81, par. 3, TFUE. Una tale qualificazione, rigettata dalla maggior parte della dottrina, avrebbe un impatto notevole sulla procedura di adozione dell’atto (e, forse, sulle stesse chances di adozione dello stesso): andrebbe seguita, infatti, una procedura legislativa speciale che prevede l’unanimità in sede di Consiglio dell’Unione e lascerebbe al Parlamento europeo una mera funzione consultiva. Sul tema, v. da ultimo il già citato Position Paper della European Association of Private International Law, del 26 marzo 2021.
[64] È quanto avvenuto, ad esempio, con il protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, che è internazionalmente in vigore per l’Unione e per diversi Stati non europei. La Corte di Giustizia si è occupata del protocollo in non meno di quattro pronunce, rese nell’arco di pochi anni: sent. 7 giugno 2018, KP c. LO, causa C-83/17, ECLI:EU:C:2018:408; sent. 5 settembre 2019, R c. P, causa C-468/18, ECLI:EU:C:2019:666; sent. 17 settembre 2020, WV c. Landkreis Harburg, causa C-540/19, ECLI:EU:C:2020:732; sent. 1° agosto 2022, MPA, causa C-501/20, ECLI:EU:C:2022:619. La giurisprudenza relativa al protocollo è, altrove, poco abbondante: le soluzioni e la sensibilità della Corte di Giustizia hanno, in questo senso, delle buone possibilità di plasmare la lettura del protocollo al di fuori dell’ambito europeo.
Franzina Pietro
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