La responsabilità medica nel diritto penale islamico
Caterina Iagnemma
Assegnista di ricerca in diritto penale,
Università cattolica del Sacro Cuore
La responsabilità medica nel diritto penale islamico*
Englih title: Medical Malpractice in Islamic Criminal Law
DOI: 10.26350/004084_000072
Sommario: 1. Hakim, tabib, sahi: una premessa etimologica – 2. Il diritto penale islamico: uno sguardo d’insieme – 3. La tutela della vita e della salute nel diritto penale islamico – 4. La responsabilità del medico nel caso di lesioni o morte del paziente – 5. Come punire il medico negligente?
1. Hakim, tabib, sahi: una premessa etimologica
La parola medico si traduce in lingua araba con i termini hakim, tabib o sahi[1]: espressioni le quali derivano, dal punto di vista filologico, da una medesima ‘matrice’ di carattere religioso.
Quanto, anzitutto, alla parola Hakim, ovvero ‘colui che possiede la conoscenza e la saggezza’, essa trae origine da uno dei nomi con cui i musulmani indicano Dio, Al-Hakim[2]. Secondo la tradizione islamica, infatti, i medici sono lo strumento che Dio fornisce agli uomini per assisterli nello «stato puro e santo» della malattia: essi, perciò, «svolgono il servizio più prezioso agli occhi di Dio»[3].
All’origine del lemma tabib, ossia ‘colui che avuto da Dio il dono di curare’, v’è, invece, il termine Al-Tibb al-Nabawi, che indica la cosiddetta ‘medicina del Profeta’, costituita dagli insegnamenti di carattere sanitario contenuti nel Corano e nella Sunna[4]: come, ad esempio, il divieto di consumare alcol, l’obbligo di seguire una dieta sana, la pratica della coppettazione. Ciascun musulmano è tenuto a rispettare, dunque, le suddette pratiche, al fine di preservare al meglio la propria salute fisica e psichica, secondo un approccio medico olistico di carattere preventivo[5]. In base a quest’ultima prospettiva, perciò, l’arte medica è volta a prevenire (hifz al-Sihhah, ovvero ‘medicina preventiva’) e a curare (c.d. ilm al-ilaj, ovvero ‘medicina terapeutica’) sia i mali del corpo (Tibb Jasad), sia quelli dello spirito (Tibb Qalb)[6].
Quanto, infine, alla parola sahi, tale vocabolo significa letteralmente padrone e, in generale, con tale espressione si indica la subordinazionedell’uomo a Dio[7]. Anche con riguardo all’ambito medico, quindi, il termine testé ricordato descrive, mutatis mutandis,una posizione di superiorità: quella, cioè, che spetterebbe, secondo una concezione paternalistica del rapporto medico-paziente, ai sanitari[8].
Dalla breve indagine etimologica sinora condotta, si evince, pertanto, un primo elemento che rende il tema della responsabilità medica particolarmente significativo dal punto di vista dalla comparazione: agli occhi del giurista occidentale, infatti, l’«indiscutibile pregnanza religiosa»[9] dell’arte medica, data dalla «appartenenza delle norme che [la] regolano al cuore coranico del diritto musulmano»[10], apre scenari del tutto inattesi.
- Il diritto penale islamico: uno sguardo d’insieme
Prima di analizzare la disciplina prevista in materia di responsabilità medica, occorre soffermarsi, in chiave più generale, sul sistema penale musulmano: non allo scopo, evidentemente, di dare fondo a un tema amplissimo, ma a quello, ben più modesto, di porre in luce i tratti caratteristici, specie dal punto di vista comparatistico, del diritto islamico classico[11].
La principale fonte giuridica del diritto in oggetto è costituita, senza dubbio, dal Corano. Ivi sono espressamente disciplinate le fattispecie penali più rilevanti, poiché volte a salvaguardare interessi di natura ‘divina’: il termine hudud, utilizzato per indicare tali delitti, significa, infatti, ‘reati contro Dio’. Ipotesi delittuose le quali sono sanzionate con la pena fissa, secondo quanto stabilito dal Libro sacro dell’Islam.
Si tratta, in particolare, di disposizioni poste a tutela della religione (din) e della ragione umana (‘aql).
In quest’ultimo ambito, in particolare, sono annoverati gli illeciti che violano i beni giuridici della progenie (nasl) e dell’onore (‘ird) – si pensi, ad esempio, al reato di adulterio[12] e alla calunnia di adulterio (zina)[13] – e quelli che offendono il bene giuridico della proprietà (mal), come il reato di furto (sariqa)[14] e di rapina (hiraba)[15]. Tradizionalmente, invece, tra i delitti contro la religione si collocano il consumo di alcol (shorb-al-khamr)[16] e l’apostasia (ridda)[17].
Oltre che gli hudud appena descritti, il diritto penale islamico contempla, altresì, ulteriori ipotesi criminose: ovvero, i reati puniti con la pena del taglione, noti come qisas, e quelli ‘discrezionali’, o Ta’zir[18].
I reati qisas si configurano allorché il soggetto agente offende, con dolo o colpa, il bene giuridico della vita o dell’integrità fisica (nafs)[19]. Diversamente dagli hudud, in queste ipotesi, si ritiene perciò che l’aggressione abbia per oggetto non tanto un interesse divino, quanto, piuttosto, uno di natura individuale. Con la conseguenza che la risposta sanzionatoria, atteggiandosi come una ‘vicenda privata’ tra la vittima, i familiari di quest’ultima e il reo[20], è ispirata all’idea di una corrispettività retributiva. Il Corano stabilisce, infatti, che le predette fattispecie delittuose vengano punite secondo la legge del taglione: «anima per anima, occhio per occhio, naso per naso, orecchia per orecchia, dente per dente, e per le lesioni il taglione […]»[21]. Al giudice, perciò, compete «una mera funzione di garante del procedimento e accertamento dei fatti»[22].
Affinché il taglione possa essere validamente applicato, occorre che l’autore della condotta lesiva sia una persona adulta, capace di intendere e di volere e che questi abbia agito con dolo. Quanto alla vittima, invece, deve trattarsi di un individuo di religione musulmana, ebraica o cristiana, sempre che la sua vita abbia lo stesso ‘valore’ di quella del reo. Secondo la tradizione islamica, per esempio, il valore della vita della persona offesa di sesso femminile è metà rispetto a quella di sesso maschile, mentre quella di uno schiavo è pari a zero[23].
Non si può trascurare, ad ogni modo, che sussistono numerose forme di giustizia alternative alla regola del taglione, delle quali, secondo la tradizione musulmana, il Profeta Maometto avrebbe fortemente raccomandato l’utilizzo con riguardo ai reati qisas: si pensi, in tal senso, all’istituto del pagamento del ‘prezzo del sangue’ (diya)[24]e a quello del perdono[25].
La Diya consiste nella dazione da parte del reo, a titolo di risarcimento del danno, di una quantità determinata di beni[26]. A ben vedere, dunque, la diya non può essere assimilata alla pena della multa o dell’ammenda, costituendo una forma di risarcimento patrimoniale del danno: tanto che, come s’è osservato in letteratura, non è richiesto l’accertamento dei presupposti della responsabilità penale, ma solo l’esistenza di una lesione a carico della vittima[27].
Tale rimedio compensativo, noto come diya muqqadar (ossia, diya legale), viene applicato obbligatoriamente solo nelle ipotesi di omicidio involontario, dovendo sussistere, in tutti gli altri casi, il consenso della vittima o dei suoi parenti. Con riguardo alle fattispecie dolose, quindi, l’applicabilità del predetto istituto è limitata ai casi in cui la persona offesa, o uno degli aventi diritto, abbia perdonato il colpevole oppure alle fattispecie in cui il ‘valore’ del reo non sia stato giudicato ‘equivalente’ a quello della vittima.
A seconda della gravità del fatto, l’entità della diya varia: così che, se riferita, per esempio, a un delitto involontario, si ha la diya lieve (muhaffafa), fissata nella misura di 20 bint mahad (cammelli), mentre, con riguardo alle fattispecie dolose, si configura la diya grave (mugallaza), che impone il pagamento di 1/3 in più rispetto a quanto stabilito per la diya lieve, per un totale, quindi, di 25 cammelli[28].
Occorre, infine, precisare che la compensazione del danno con il pagamento della diya è posta interamente a carico del reo solo ove questi abbia agito con dolo, laddove, invece, la lesione sia stata cagionata colposamente si configura una responsabilità solidale: insieme con il colpevole, allora, anche la sua famiglia (‘aquila, letteralmente ‘coloro che sono obbligati a pagare il prezzo del sangue’) provvede al pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento. Qualora il reo risulti privo di ‘aquila, invece, è il bayt al-māl, cioè l’erario pubblico, a contribuire al ristoro economico del danno.
Quanto, invece, all’istituto del perdono, in un verso famoso del Corano si legge: «il male si ricambia, infatti, con un male uguale, ma chi perdona e si riconcilia sarà remunerato da Dio»[29]. Il diritto a perdonare spetta, come ovvio, alla vittima oppure, se deceduta, ai suoi ascendenti e discendenti, purché siano uomini: le donne possono esercitare simile prerogativa, infatti, soltanto se legate da un rapporto di parentela stretta con la vittima, ove non vi siano altri familiari di sesso maschile. In ogni caso, l’accettazione del perdono da parte della vittima o dei suoi eredi può essere subordinata al pagamento della diya.
Volgendo lo sguardo, infine, ai reati Ta’zir, occorre rilevare, anzitutto, come questi non siano disciplinati nel Corano né, tantomeno, nella Sunna[30]: si tratta, in particolare, di una categoria del tutto residuale nell’ambito della quale trovano collocazione quelle condotte che, secondo la religione islamica, sono moralmente inaccettabili, nonostante nei testi sacri non sia espressamente definita la pena da applicare all’autore delle stesse. In queste ipotesi, allora, spetta al giudice stabilire sulla base delle circostanze concrete, di volta in volta, l’an e il quantum delle conseguenze sanzionatorie[31].
Poste tali premesse, pare opportuno, a questo punto, soffermarsi più da vicino sulla tutela accordata, nel quadro giuridico appena descritto, ai beni giuridici della vita e dell’integrità fisica[32], così da poter meglio approcciare, secondo una prospettiva comparatistica, al tema della responsabilità medica.
3. La tutela della vita e dalla salute nel diritto penale islamico
Nel Corano, la vita umana è descritta come il più prezioso dono di Allah e, perciò, è considerata dai musulmani sacra e inviolabile[33]. Nonostante, tuttavia, la vita sia da ricomprendersi tra i valori cardinali della cultura islamica, sul piano giuridico le fattispecie criminose di omicidio non sono ritenute espressione di una «pretesa divina, ma rispondono alla violazione di un interesse individuale dell’uomo»[34]: esse, perciò, non vanno annoverate nell’ambito dei reati contro Dio (hudud), bensì tra le figure criminose definite qisas. Delitti, questi, che, come s’è detto, sono puniti esclusivamente su iniziativa della parte danneggiata[35].
Più in particolare, le ipotesi di omicidio (qatl) sono classificate in base all’elemento soggettivo[36], come, del resto, stabilito anche dal nostro Codice penale. Secondo questa impostazione, occorre, perciò, distinguere tra omicidio doloso, omicidio colposo e omicidio semi-intenzionale.
Quanto, anzitutto, alla prima di queste fattispecie (qatl-al-‘amd), stando alla tradizione giuridica islamica, l’elemento soggettivo del dolo si configura ogni qualvolta sia provata la piena coscienza e volontà da parte del soggetto agente di causare la morte di taluno. Diversamente, invece, nell’omicidio colposo (khata’) l’autore del reato manifesta un contegno negligente, da cui deriva l’evento avverso[37]. Con riguardo, infine, all’omicidio semi-intenzionale (shibh al-‘amd), tale fattispecie si configura se l’esito infausto è provocato «con mezzi o strumenti abitualmente non impiegati per provocare la morte»[38].
Anche le lesioni personali (jurh) si distinguono in ragione dell’elemento soggettivo: possono essere, infatti, dolose o colpose, ma non semi-intenzionali[39].
Ciò che più colpisce circa la disciplina de qua è, nondimeno, il profilo sanzionatorio[40].
Trattandosi di ipotesi di qisas, i predetti reati sono puniti, come s’è accennato, con l’applicazione della c.d. ‘legge del taglione’: il che, dunque, nel caso di omicidio può condurre all’applicazione della pena di morte[41]. Tuttavia, simile esito viene meno allorché la persona offesa o, se questa è deceduta, i suoi parenti chiedano l’applicazione soltanto di una pena pecuniaria (diya) o decidano di perdonare il reo (‘afw)[42]. Poiché dunque, con riguardo alla pena, il giudice è tenuto ad applicare, ove si stata provata la responsabilità dell’imputato, la sanzione richiesta dalla parte danneggiata, si ritiene che «i tribunali, in questi casi, svolgono una funzione regolata essenzialmente dal diritto civile»[43].
- La responsabilità del medico nel caso di lesioni o morte del paziente
«O voi che credete, non divorate vicendevolmente i vostri beni, ma commerciate con mutuo consenso, e non uccidetevi da voi stessi. Allah è misericordioso verso di voi. Chi commette questi peccati iniquamente e senza ragione, sarà gettato nel fuoco; ciò è facile per Allah»[44]: questi versi del Corano, secondo la giurisprudenza islamica[45], costituiscono la fonte giuridica della responsabilità penale dei medici nel sistema del diritto islamico classico[46]. Pertanto, il sanitario che, a causa di una condotta negligente, abbia provocato una lesione o la morte del paziente è sanzionato con la pena della diya. La stessa pena, peraltro, è prevista anche nelle ipotesi in cui, a prescindere dall’esito dell’intervento praticato, il medico abbia agito senza il consenso scritto del paziente (rida al-marid), salvo i casi di urgenza[47]. Il che, a ben vedere, segnala un progressivo allontanamento dalla concezione paternalistica del rapporto medico-paziente che, come s’è visto, ha originariamente caratterizzato la cultura islamica.
Sempre sulla base del verso del Corano prima citato, è stabilita la pena della diya anche per la fattispecie di esercizio abusivo della professione medica (izn al-Hakim). Ipotesi, questa, punita a titolo di responsabilità oggettiva[48].
Per affermare la responsabilità del medico per lesioni o morte del paziente occorre accertare, anche negli ordinamenti islamici, che l’esito infausto sia derivato dalla violazione, da parte del sanitario, di una regola cautelare (al-Darar) finalizzata a evitare il danno provocato all’integrità psico-fisica del malato (al-Ta‘addi). Prima facie, dunque, non parrebbe che vi siano significative difformità, almeno sul piano del diritto penale sostanziale, tra questa impostazione e quella adottata dagli ordinamenti occidentali: richiedendo anch’essi, come noto, l’accertamento della condotta negligente tenuta dal sanitario, dell’evento avverso e del nesso causale tra quest’ultimo e l’azione od omissione colposa[49]. A tal fine, i soli strumenti probatori ammessi sono la confessione (al-Iqrar), la testimonianza (al-Shahadah) e la perizia (Ra‘yu al-Khabir).
A un esame più attento della disciplina de qua, si scorgono, tuttavia, non trascurabili differenze. Per i termini imposti dall’essenzialità, in questa sede non è possibile analizzare diffusamente ognuno di siffatti profili: sembra, perciò, più proficuo soffermarsi sugli aspetti della materia de qua che meglio di altri consentono una «misurazione delle differenze e delle identità che intercorrono fra i vari sistemi giuridici»[50]. In quest’ottica, ciò che suscita particolare interesse è, anzitutto, la disciplina prevista con riguardo all’elemento soggettivo della colpa.
Secondo la tradizione giuridica islamica, al medico si può muovere un rimprovero per colpa allorché, nel curare il paziente, egli non abbia osservato tutte le cautele che un «terapeuta competente, della sua stessa epoca, avrebbe ragionevolmente rispettato»[51]. Con l’ulteriore precisazione che non tutte le violazioni commesse dai sanitari sono di per sé rimproverabili: dal momento che l’esercizio di una attività complessa, com’è, per l’appunto, quella medica, comporta un’inevitabile dose di errori. Consapevolezza, quest’ultima, che, a ben vedere, s’è andata diffondendo solo di recente in ambito nazionale. Ciò è avvenuto dapprima, attraverso il riferimento all’art. 2236 c.c., inteso quale «regola di esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l’addebito di imperizia»[52], e successivamente per impulso legislativo: grazie al criterio della colpa non lieve di cui all’art. 3 della l. n. 189 del 2012 (c.d. legge Balduzzi). Senza che, tuttavia, sia possibile trascurare le criticità di un simile parametro d’imputazione[53]: mancando di definizione normativa, infatti, è toccato alla giurisprudenza, in via interpretativa, definire i confini della colpa non lieve. Quest’ultima, secondo i criteri della nota sentenza Cantore[54], è stata graduata, in particolare, in ragione della «misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere», di «quanto fosse prevedibile in concreto la realizzazione dell’evento», delle «specifiche condizioni personali dell’agente; [della] motivazione della condotta; [della] consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa e, quindi, della previsione dell’evento», nonché dell’«eventuale concorso di colpa di più agenti o della stessa vittima»[55]. Così da tenere in considerazione, nel giudizio sulla responsabilità del personale sanitario, la «complessità, [l’]oscurità del quadro patologico, [la] difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, [il] grado di atipicità e novità della situazione data, [l’] urgenza e [l’] assenza di adeguati presidi»: aspetti, questi, che «rendono difficile anche ciò che astrattamente non è fuori dagli standard»[56].
A ben vedere, tuttavia, l’idea che nell’esercizio della professione medica vi sia, almeno in certa misura, un’ineliminabile componente di errore umano non pare ancora adeguatamente valorizzata. A seguito, infatti, dell’introduzione dell’art. 590-sexies c.p., l’ambito di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria è stato di molto limitato: come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[57], è esclusa la responsabilità del professionista sanitario nelle sole ipotesi di errore lieve dovuto a imperizia nell’esecuzione delle raccomandazioni previste dalle linee guida. Con tutte le difficoltà che derivano, peraltro, dalla definizione del concetto di imperizia[58]: essendo alquanto problematico, con riguardo alla condotta dei medici, distinguere con esattezza le varie forme di colpa[59].
5. Come sanzionare il medico negligente?
«Il credente non deve uccidere il credente, se non per errore. Chi, involontariamente, uccide un credente, affranchi uno schiavo credente e versi alla famiglia [della vittima] il prezzo del sangue, a meno che essa non vi rinunci caritatevolmente. Se il morto, seppur credente, apparteneva a gente vostra nemica, venga affrancato uno schiavo credente. Se apparteneva a gente con la quale avete stipulato un patto, venga versato il prezzo del sangue alla [sua] famiglia e si affranchi uno schiavo credente. E chi non ne ha i mezzi, digiuni due mesi consecutivi per dimostrare il pentimento davanti ad Allah. Allah è sapiente, saggio»[60].
Secondo la dottrina e giurisprudenza islamica, questi versi del Corano disciplinano la sanzione della diya (letteralmente, ‘prezzo del sangue’), prevista per le fattispecie criminose di qisas punite a titolo di colpa: come, per l’appunto, le ipotesi di malpractice. Una volta accertata la responsabilità del medico per le lesioni o la morte del paziente, il giudice è tenuto, dunque, a condannare il sanitario al risarcimento del danno cagionato, stabilendo l’importo della pena in base alla natura del pregiudizio arrecato al malato.
Di certo, l’affidare la tutela della vita e della salute al solo risarcimento del danno pone talune criticità: si tratterebbe, allora, di preferire soluzioni che, oltre alla componente risarcitoria, implichino altresì l’impegno da parte del sanitario nello svolgimento di attività formative e di aggiornamento[61].
Maggiori profili di interesse presenta, invece, l’istituto della aqilah: cioè, un sistema di indennizzo no-fault volto a risarcire le vittime di errori medici non rimproverabili[62]. Coloro che hanno subito un danno iatrogeno, perciò, possono ottenere, rivolgendosi a un apposito fondo sostenuto finanziariamente da tutta la comunità, una somma di denaro a titolo di indennizzo, senza, quindi, dover provare in giudizio la negligenza del medico.
In tal modo, si è inteso promuovere un approccio collaborativo tra la classe medica e i pazienti, al fine di garantire a questi ultimi, oltre al risarcimento del danno patito, la spiegazione di quanto accaduto, così da evitare che la delusione e il malcontento per la mancata guarigione sfocino in azioni giudiziarie. E in effetti, il sistema dell’aquilah ha consentito di ridurre significativamente il contenzioso giudiziario in materia di responsabilità medica: tanto da essere adottato in numerosi ordinamenti giuridici occidentali, con esiti favorevoli nel senso della limitazione del numero di azioni legali intentate contro i medici[63]. Il che dimostra come in ambito islamico, prima che altrove, si sia compreso che il processo penale, «in base alle sue caratteristiche attuali», «rest[i] un luogo di non verità»[64].
Ma v’è di più. Nel diritto penale islamico, la persona offesa (o, se deceduta, i suoi parenti) può scegliere, altresì, di perdonare (‘afv) il reo, rinunciando alla quantità di denaro che gli viene offerta a titolo di risarcimento. Pratica, questa, che è fortemente incoraggiata dal Corano, dove si legge: «Se dimenticate, se passate oltre e perdonate; Dio sarà certo Indulgente e Misericorde»[65]. E ancora: «La sanzione di un torto è un male corrispondente, ma chi perdona e si riconcilia avrà in Allah il suo compenso. In verità, Egli non ama gli iniqui»[66].
A ben vedere, il fatto che il professionista sanitario perdonato non sia sottoposto ad alcuna pena costituisce, senza dubbio, una eccezione nel panorama giuridico internazionale. Anche negli ordinamenti che prevedono una disciplina meno severa per la classe medica, limitando, come s’è detto, la punibilità alle sole ipotesi più gravi, infatti, il modello sanzionatorio adottato è pur sempre ancorato all’idea di una corrispettività retributiva, che si esprime ordinariamente nella condanna alla detenzione[67]. Senza che, tuttavia, siffatta concezione abbia mostrato risultati significati in termini preventivi: finendo, anzi, per causare, specie in ambito sanitario, pericolosi effetti collaterali, come quello della medicina difensiva[68].
Per la verità, al fine di ovviare a simili conseguenze, si è ipotizzata, nella letteratura occidentale, l’introduzione in ambito medico di un sistema di giustizia riparativa[69], paragonabile, per certi versi, al modello islamico dell’aquilah e dello ‘afv: prevedendo, nel caso di esito positivo del percorso riparativo intrapreso dal sanitario, l’estinzione del reato commesso nell’esercizio della professione sanitaria[70]. Proposta la quale è rimasta, tuttavia, largamente inascoltata: del resto, lo stesso legislatore italiano, che a più riprese s’è occupato, come s’è visto, del tema, non hai mai messo in discussione la centralità della pena detentiva[71].
L’esperienza giuridica islamica, seppur con molte contraddizioni, rileva, pertanto, come quello della responsabilità medica costituisca un ambito entro cui poter sperimentare, con successo, soluzioni nuove che vadano nel senso dalla limitazione del ricorso al carcere e, al contempo, del recupero di un’autentica dimensione dialogica tra reo e vittima.
Abstract:According to the Islamic Law, murder is qualified as a qisas crime: therefore, the punishment consists in the law of retaliation. However, when this crime is caused by a physician with gross negligence, in the exercise of his professional activity, he is punished only with diya (literally, the ‘blood price’), so the doctor has to compensate the victim’s relatives for the death. Furthermore, the Islamic law shows other original solutions: such as the aquilah and the ‘afv. Due to the positive effects of these institutes, especially in terms of limiting the phenomenon of defensive medicine and reducing judicial litigation, it is necessary to reflect on the introduction of new legal instruments in the Italian criminal law.
Key words: islamic law; medical malpractice; gross negligence; criminal sanctions.
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] H. Wehr, Dictionary of Modern Written Arabic, Londra 1974, p. 51 s.
[2] Cfr. F. Moazam, Families, Patients, and Physicians in Medical Decision making: A Pakistani Perspective, in The Hastings Center Report, (2000), p. 31.
[3] F. Rahman, Health and medicine in the Islamic tradition, Chicago 1998, p. 38.
[4] Sulla medicina profetica cfr. H.G. Koenig - S. Al Shohaib, Health and Well-Being in Islamic Societies. Background, Research, and Applications, New York 2014, pp. 10 ss.; N. Deuraseh, Health and medicine in the Islamic tradition based on the book of medicine (Kitab al-Tibb) of Sahih Al-Bukhari, in Jishim, 1(2006), pp. 3 ss.; R. Peters - P. Bearman (ed.), The Ashgate Research Companion to Islamic Law, Farnham 2014, pp. 294 ss.
[5] In tal senso H.G. Koenig - S. Al Shohaib, Health and Well-Being in Islamic Societies, cit., p. 906 s.
[6] Cfr. N. Deuraseh, Health and medicine in the Islamic tradition, cit., p. 4.
[7] Cfr. F. Moazam, Families, Patients, and Physicians in Medical Decision making, cit., 28.
[8] Sulla visione paternalistica del rapporto medico-paziente, in chiave critica, cfr. M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Torino 2017, p. 30. Sul tema v. anche F. Angioni, Il nuovo codice di deontologia medica, in Criminalia, (2007), pp. 277 ss.; R. Bartoli, Paradigmi giurisprudenziali della responsabilità medica. Punti fermi e tendenze evolutive in tema di causalità e colpa, in Id. (a cura di), Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e d’impresa (un dialogo con la giurisprudenza), Firenze 2010, pp. 76 ss.; P. Piras - A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, in S. Canestrari - F. Giunta - R. Guerrini - T. Padovani, Medicina e diritto penale, Pisa 2009, pp. 286 ss.; A. Vallini, Paternalismo medico, rigorismi penali, medicina difensiva: una sintesi problematica e un azzardo de iure condendo, in Riv. it. med. leg., 1 (2013), pp. 2 ss.
[9] R. Palavera, “Riflessioni” dal diritto penale islamico. Comparazione, dialogo, frammenti di verità, in P. Lobiati - R. Palavera - A. Sammassimo(a cura di), Itinerari di diritto islamico. Tra pluralità e alterità, Milano 2018, p. 306, che indica, oltre a quello della «pregnanza religiosa», ulteriori due criteri che segnalano la rilevanza, dal punto di vista comparatistico, di taluni ambiti tematici: la «potenzialità in termini di elaborazione di garanzie ritenute prioritarie dagli interlocutori occidentali» e la «possibilità di apporto costruttivo all’elaborazione di principi comuni, anche nell’ottica della promozione di un diritto migliore in contesto secolare».
[10] Ibidem.
[11] Con l’espressione diritto islamico classico si indica il diritto sviluppatosi fino al X secolo d.C., secondo l’interpretazione delle maggiori scuole giuridiche e di alcuni ulama’ del XIII e XIV secolo d.C. Sul sistema delle fonti del diritto musulmano v. per gli opportuni approfondimenti M.H. Kamali, Principles of Islamic Jurisprudence, Cambridge 1991, pp. 366 ss.
[12] «Alla fornicatrice e al fornicatore sono applicati cento colpi di frusta per ciascuno, senza lasciarvi prendere da pietà nell’eseguire la legge di Dio, se veramente credete in lui e nella vita futura e fate assistere al loro supplizio un certo numero di credenti»: così si legge nel Corano 24:2. La sanzione ivi prevista viene perciò applicata, secondo la tradizione islamica, agli individui, sia sposati che non, i quali abbiano avuto un rapporto sessuale completo. In tal modo, si intende preservare l’integrità e la rispettabilità della linea di discendenza. Per la verità, nell’ipotesi in cui gli autori del rato di fornicazioni siano entrambi uniti in matrimonio con un altro soggetto, la pena è quella della lapidazione: sul punto v. D. Scolart, L’Islam, il reato, la pena. Dal fiqu alla codificazione del diritto penale, Roma 2018, pp. 140 ss.
[13] Quanto al reato di calunnia di adulterio, il Corano 24:4-5 stabilisce che «coloro che accusano donne oneste, ma non possono addurre quattro testimoni, frustateli con ottanta colpi e non accettate mai più la loro testimonianza: sono degli empi».
[14] La fattispecie di furto è disciplinata dal Corano 5: 38: «Al ladro e alla ladra tagliate le mani, come pena di ciò che han fatto, e come esempio dato da Dio, che è possente e saggio». Analogamente a quanto previsto dagli artt. 624 ss. c.p., il delitto di furto punisce chiunque si sia impossessato della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, avendo agito con destrezza o raggiri, sempreché il bene abbia un minimo valore economico.
[15] Il Corano 5:33 stabilisce che «la pena di coloro che fanno la guerra a Dio e al Suo inviato e fanno guasto alla Terra è l’uccisione, o l’esposizione sul patibolo o l’amputazione di una mano e di un piede in maniera alterna o l’esilio». Sulla base di questo versetto, è punita, in particolare, la condotta di coloro i quali minacciano o usano violenza, ricorrendo alle armi, nei confronti di persone in viaggio su strade pubbliche.
[16] La base giuridica di questa fattispecie è data dal Corano 5:90, ivi, infatti, si legge quanto segue: «o credenti, il vino, maysir, le pietre consacrate e le frecce da sortilegio sono abominio, sono opera di Satana: tenetevene quindi lontani se volete prosperare». In tal caso, tuttavia, non è prevista alcuna pena, così che essa va rintracciata in un hadith, ovvero in un ‘detto del Profeta’ in cui è prevista la sanzione di 40 o 80 colpi di frusta.
[17] La base normativa del reato de quo si rinviene nel Corano 4:137-138: «A coloro che han creduto, poi sono diventati miscredenti, poi hanno ancora ricreduto, poi sono tornati miscredenti, e nella miscredenza si sono ingolfati, Iddio non perdonerà né indicherà la buona direzione». Ancora: «anche se il miscredente morto in stato di miscredenza offrisse per salvarsi tanto oro da riempire la terra, la sua offerta non verrebbe accettata: a lui un supplizio atroce, senza che alcuno possa soccorrerlo». La condotta tipica consiste, dunque, nel rifiutare, in maniera espressa o implicita, la fede islamica.
[18] Senza ricorrere alla concezione tripartita, che distingue, come s’è detto, le ipotesi criminose in hudud, qisas e ta’zir, le fattispecie penalmente rilavanti secondo il diritto islamico possono essere così classificate: i) reati contro i diritti di Dio (huquq Allah), come il furto, il brigantaggio, i rapporti sessuali illeciti e l’assunzione di vino; ii) reati contro sia i diritti di Dio, sia i diritti individuali (huquq al- ibad), si pensi, ad esempio, alla calunnia; iii) reati contro i soli diritti individuali, come l’omicidio o le lesioni personali. Sul punto, A.Q. ‘Oudah shaheed, Criminal Law of Islam, New Delhi, vol. IV, (1999), pp. 3 ss.; F. Rahman, The concept of Hadd in Islamic Law, in Islamic Studies, 4 (1965), pp. 237 ss, nonché M. Cammack, Islamic Law and Crime in Contemporary Courts, in Berkeley J. of Mid. East. & Islamic L., 4 (2011), pp. 1 ss.; Ibn Rushd, The distinguished Jurist’s Primer, I, (1994), pp. 478 ss.
[19] Secondo M. Bassiouni, Crimes and Criminal Process, in Arab. Law Quarterly,3 (1997), p. 282, il vocabolo qisas andrebbe inteso come ‘equivalenza’ e non come ‘ritorsione’: non si dovrebbe, cioè, porre l’accento sul carattere della vendetta quanto, piuttosto, sulla riparazione di un torto.
[20] Si consideri, ad esempio, che il diritto a esigere l’esecuzione della pena del taglione spetta al wali al-dam (letteralmente, curatore del sangue), cioè all’agnato maschio più vicino alla vittima. Sui presupposti per l’applicabilità della regola de qua v., p. es., R. Peters, Crime and Punishment in Islamic Law. Theory and Practice from the Sixteenth to the Twenty-first Century, Cambridge2005, pp. 45 ss.; J.N.D Anderson, Homicide in Islamic Law, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies,13 (1951),pp. 815 ss.; L. Bercher, Les délits et les peines de droit commun prévus par le Coran Leur Réglementation Dans Les Rites Malékite, Tunisi 1926, pp. 23 ss.; M.S. El-Awa, Punishment in Islamic Law: a Comparative Study, Inidianapolis 1982, pp. 80 ss.
[21] Corano 5:45.
[22] D. Scolart, L’Islam, il reato, la pena, cit., p. 34.
[23] Diversamente, nel diritto penale sciita è consentito il taglione, come osserva D. Scolart, L’Islam, il reato, la pena, cit., p. 46, anche se la vita della vittima e quella del reo sono di ‘valore’ diverso. In tal caso, tuttavia, per riequilibrare tale relazione, i parenti della vittima devono versare a quelli reo, a titolo di compensazione (sulh) della sofferenza patita, la metà del ‘prezzo del sangue’ di un uomo libero.
[24] E. Tyan, voce Diya, in Encyclopédie de l’Islam, II, (1965), pp. 350 ss.; M.A. Haleem, Compensation form Homicide in Islamic Law, in M.A. Halem - A.O. Sherif - K. Daniles (ed.), Criminal Justice in Islam. Judicial Procedure in the Shari’ah, Londra (2003), pp. 100 ss.
[25] Ibn Tay,iyya, Il buon governo dell’Islam, introduzione e note di G.M. Piccinelli, Bologna, (2001), pp. 152 ss.
[26] L’istituto della diya può essere paragonato a quello medioevale del guidrgild: il guidrigildo, secondo l’antico diritto tedesco, era infatti il prezzo che l’omicida doveva pagare alla famiglia della vittima per riscattarsi dalla vendetta. L’entità della somma, come disciplinato, ad esempio, nell’Editto di Rotari del 643, veniva stabilita in base allo status sociale della persona (D. Scolart, L’Islam, il reato, la pena, cit., p. 50, nota n° 27).
[27] Ivi, p. 56.
[28] Sull’entità della diya v., p. es., S.M. Safwat, Offences and Penalities in Islamic Law, in The Islamic Quarterly, 26 (1982), pp. 149 ss.; R. Peters, Crime and Punishment in Islamic Law, cit., p. 51.
[29] Corano 42:39.
[30] Con riguardo, in particolare, alle fattispecie Ta’zir diffusamente G. Benmelha, Ta’zir crimes, in M. Bassiouni(ed.), The Islamic Criminal Justice System, New York 1982, pp. 211 ss.; W. Heffening, Ta’zir, in Encyclopédie de l’Islam, cit., pp. 746 ss.
[31] Secondo la tradizione islamica, il giudice può scegliere, ad esempio, di punire il reo con la pena detentiva (sagn), con la riprensione pubblica (lawm), con la fustigazione (gald), con l’esilio (tard min al-bilād) oppure, ancora, disponendo la confisca dei suoi beni (musādara). Nella definizione delle conseguenze sanzionatorie, il giudice prende in considerazione le condizioni personali del reo, le circostanze nelle quali è avvenuta l’azione o l’omissione illecita, nonché il danno subito dalla vittima. Più diffusamente M. El-Awa, Punishment in Islamic Law, cit.,pp. 100 ss.; Id., Ta’zir in the Islamic Penal System, in Journal of Islamic and Comparative Law, 6 (1976), pp. 41 ss.
[32] In materia v. D. Atighetci, L’inizio della vita nel diritto islamico, in D. Atighetci - D. Milani - A.M. Rabe, Intorno alla vita che nasce. Diritto ebraico, canonico e islamico a confronto, Torino, (2013), pp. 195 ss.; Id., Religioni e trapianto: il caso islamico, in Riv. it. med. leg., 2 (2010), pp. 419 ss.; Id., Aspects of the Management of the Rising Life Comparing Islamic Law and the Laws of Modern Muslim States, in Droit et cultures, 1 (2010), pp. 305 ss.
[33] Sulla tutela della vita nel diritto penale islamico v. S.S. Shah, Homicide in Islam: Major Legal Themes, in Arab Law Quarterly, 2(1999), pp. 159 ss. Secondo un noto hadīt, infatti, «lā yahill dam imri’ muslim illā bi-ihdà talāt. Kufr ba’d īmān wa-zinā’ ba’d ishān wa-qatl nafs bi-gayr nafs»: ovvero, «non è permesso attentare alla vita di un musulmano, salvo in tre casi: la miscredenza dopo la fede, l’adulterio dopo il matrimonio, l’omicidio senza ragione». A riguardo cfr. Abū Dāwud, hudūd 1.
[34] I. Gasparini, Reati e sanzioni nel diritto penale islamico. Un inquadramento preliminare, in P. Lobiati - R. Palavera - A. Sammassimo(a cura di), Itinerari di diritto islamico, cit., p. 233.
[35] Come osserva M. Cammack, Islamic Law and Crime in Contemporary Courts, cit., p. 2, «a differenza dei reati di hadd, in cui si procede d’ufficio, nel caso dell’omicidio e delle lesioni si hanno azioni private, su iniziativa della vittima o dei suoi familiari. Rispetto a tali ipotesi, lo stato è responsabile di attuare la corretta attuazione della ritorsione, richiedendo un formale accertamento della responsabilità dell’imputato basato si standard di prova prestabiliti. Ciò in quanto l’omicidio e il ferimento sono considerati lesioni alla vittima o alla famiglia della vittima piuttosto che alla società, e le parti interessate scelgono se, e in alcuni casi, come riparare la lesione» [tr. nostra].
[36] Con riguardo all’elemento soggettivo del reato nell’esperienza giuridica islamica v. A.O. Oudah Shaheed, Criminal Law of Islam, IV, Delhi (2005), pp. 6 ss.
[37] L’omicidio è punito a titolo di colpa, altresì, quando ricorre un un hat’: ovvero, un errore. Quest’ultimo può integrare l’ipotesi del cosiddetto errore-motivo, come avviene, per esempio, quando «il reo scambia una persona per un animale da preda o per un harbi e lo uccida» (D. Scolart, L’Islam, il reato, la pena, cit., p. 69). Oppure, può trattarsi di errore-abilità (hat’ fi l-fi’l): ossia, un errore che si verifica durante l’esecuzione dell’azione («il soggetto prende di mira una preda o un harbi, ma colpisce malauguratamente una persona e la uccide»).
[38] Ibn Rushd, The distinguished Jurist’s Primer, cit., p. 481.
[39] Le lesioni possono essere altresì qualificate in base alla sede del danno, potendo in tal modo distinguersi tra: ma’muma, lesioni alla testa; munaqqala, fratture delle ossa; ja’ifa, lesioni al volto.
[40] Sul sistema sanzionatorio islamico ex multis D. Boubakeur, Colpevolezza e punizione nell’Islam, in Humanitas, 2 (2004), pp. 278 ss.; M.C. Bassiouni, The Sharī'a and Islamic Criminal Justice in Time of War and Peace, New York, (2014), pp. 120 ss.; M. Lim., Human Dignity and Punishment in Judaic and Islamic Law; War and Death penality, in Sw. J. Int’l L., (2016), pp. 303 ss.; F. Ramaioli, La funzione della pena tra occidente e mondo islamico: una prospettiva teleologica, in Dignitas, 1 maggio 2016.
[41] Oltre alla prova della responsabilità dell’imputato, occorre, al fine di applicare la ‘legge del taglione’, che sussista un rapporto di parità tra il reo e la vittima: tale rapporto viene definito prendendo in considerazione, ad esempio, lo status sociale e il sesso dei soggetti coinvolti nella vicenda criminosa. Sul punto v. Ibn Rushd, The distinguished Jurist’s Primer, cit., pp. 481 ss.
[42] V. supra, § 2.
[43] M. Cammack, Islamic Law and Crime in Contemporary Courts, cit., p. 2. Nello stesso senso anche I. Gasparini, Reati e sanzioni nel diritto penale islamico, cit., p. 3.
[44] Corano, 4:30-31. Sul punto v. H. Hatami - M. Hatami - N. Hatami, The Religious and Social Principles of Patients’ Rights in Holy Books (Avesta, Torah, Bible and Quran) and in Traditional Medicine, in J. of Religion and Health, 2 (2013), pp. 223 ss.; N.A. Al-Yousefi, Observations of Muslims Physicians regarding the Influence of Religion on Health and their Clinical Approach, ivi, pp. 269 ss.
[45] A riguardo v. P.N.J. Kassim, Medical negligence in Islamic Law, in Arab. Law Quarterly, 4 (2006), pp. 402 ss.
[46] Con riguardo alle diverse declinazioni che la disciplina, prevista dal diritto musulmano classico, in materia di responsabilità medica riceve negli ordinamenti statali di matrice islamica cfr. A. Smadi - A. Wardat - M. Al-Khawaldeh, Medical Errors and Physicians Liability between Islamic Regulations and Law, in J. of Islamic Studies and Culture, 2 (2019), pp. 1 ss.; P. Raessi - M. Taheri Hirghaed - R. Sepehrianet al., Medical Malpractice in Iran: A systematic review, in Med. J. Islam. Rep. Iran, 33 (2019), pp. 659 ss.; A.M. Bhat, Ethics, Medical Malpractices and Islamic Solutions, in Int. J. of Inn. Studies in Soc. And Hum., 11 (2018), pp. 1 ss.; M. Khoshal - F. Vafee, Rules governing the liability of dentists in Iran, in Sci. J. Forensic Med., 4 (2013), pp. 227 ss.; R. Ansari - H. Daneshnari, Physician’s responsibility in Islamic Law, in Opcion, 35 (2018), pp. 1065 ss.
[47] Circa il ruolo del consenso nell’attività medica, sempre secondo la prospettiva islamica, v. M.A. Albar - C. Chasmi-Pasha, Contemporary bioethics. Islamic Perspectives, London 2015, pp. 89 ss.
[48] P.N.J. Kassim, Medical negligence in Islamic Law, cit., p. 401.
[49] Secondo la tradizione giuridica islamica, il nesso causale (al-Ifdhai’) tra l’azione o l’ omissione del medico e il danno provocato al paziente può essere diretto, al-Mubasharah, o indiretto, al-Tasabbub. Si configura un nesso causale diretto quando sussiste «una relazione causale immediata tra la violazione della regola cautelare e la morte o lesione del paziente»: come accade, per esempio, quando il medico sottopone a intervento chirurgico la gamba sana del paziente anziché quella da curare (cfr. P.N.J. Kassim,Medical negligence in Islamic Law, cit., p. 407). Si ha, invece, un rapporto causale indiretto quando l’esito infausto non è immediatamente riconducibile alla condotta negligente del terapeuta: come nel caso, ad esempio, in cui «l’infermiera erri nel dosaggio di un certo farmaco a causa di un errore di grafia commesso dal medico nel redigere la ricetta» (ibidem).
[50] R. Palavera, “Riflessioni” dal diritto penale islamico, cit., p. 291.
[51] P.N.J. Kassim, Medical negligence in Islamic Law, cit., p. 401.
[52] In questi termini, ad esempio, Cass., sez. IV, 10 maggio 1995, n. 5278, in Riv. it. med. leg., 2 (1998), p. 568. Contra cfr. Cass., sez. IV, 9 giugno 1981, Fini, in Foro it., II (1982), cc. 268 ss.; Cass., sez. IV, 21 ottobre 1983, Rovacchi, in Giust. pen., (1984), pp. 105 ss.
Per la prima volta, l’applicazione dell’art. 2236 c.c. all’ambito della responsabilità penale medica è stata suggerita, in dottrina, da A. Crespi, I recenti orientamenti giurisprudenziali nell’accertamento della colpa professionale del medico chirurgo: evoluzione o involuzione?, in Riv. it. med. leg., 3 (1992), pp. 785 ss.; Id., Medico chirurgo, in Dig. disc. pen., V, pp. 589 ss.; Id., La “colpa grave” nell’esercizio dell’attività medico-chirurga, in Riv. it. dir. proc. pen., 1 (1973), pp. 255 ss.;Id., Il grado della colpa nella responsabilità penale del medico-chirurgo, in Scuola positiva, (1960), pp. 484 ss.; Id., La responsabilità penale nel trattamento medico-chirugico con esito infausto, Palermo 1955; Id., Colpa professionale del medico-chirurgo e regole dell’arte, in Riv. it. dir. pen., 2 (1954), pp. 658 ss.
[53] In senso critico rispetto alla scelta legislativa di non precisare, in sede legislativa, il contenuto e i limiti della categoria de qua G.M. Caletti, La colpa professionale del medico a due anni dalla legge Balduzzi, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1 (2015), p. 171; A. Manna, Causalità e colpa in ambito medico tra diritto scritto e diritto vivente, in Riv. it. dir. proc. pen., 3 (2014), p. 1203; Id., Medicina difensiva e diritto penale. Tra legalità e tutela della salute, Pisa 2014, p. 181; L. Risicato, Linee guida e imperizia “lieve” del medico dopo la l. 189/2012: i primi orientamenti, in Dir. pen. proc., 6 (2013), pp. 701 ss.
[54] Cass., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237, in Cass. pen., 9 (2013), pp. 2999 ss., con nota di C. Cupelli, I limiti della colpa medica per effetto dell’art. 3 della legge n. 189 del 2012; sempre in Cass. pen., 5 (2014), pp. 1670 ss., in Dir. pen. proc., 6 (2013), pp. 696 ss., con nota di L. Risicato, Linee guida e imperizia ‘lieve’ del medico dopo la l. n. 189/2012: i primi orientamenti della Cassazione; in www.penalecontemporaneo.it, 20 maggio 2013, con nota di A. Roiati, Il ruolo del sapere scientifico e l’individuazione della colpa lieve nel cono d’ombra della prescrizione; in Giust. pen., 12 (2013), I, pp. 703 ss., con nota di C. Valbonesi, La Cassazione apre alle linee guida quali criterio di accertamento della colpa medica
[55] Cfr. Cass., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237, § 13.
[56] Ivi, § 14.
[57] V. Cass., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770, in www.penalecontemporaneo.it., 1 marzo 2017, con nota di C. Cupelli, L’art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un’interpretazione ‘costituzionalmente conforme’ dell’imperizia medica (ancora) punibile, e di R. Blaiotta, Niente resurrezioni, per favore. A proposito di S.U. Mariotti in tema di responsabilità medica; in Giur. it., 4 (2018), pp. 948 ss., con nota di L. Risicato,Le Sezioni unite salvano la rilevanza in bonam partem dell’imperizia “lieve” del medico; in Riv. it. med. leg., 1 (2018), pp. 345 ss., con nota di M. Caputo, Le Sezioni Unite alle prese con la colpa medica: nomofilachia e nomopoiesi per il gran ritorno dell’imperizia lieve.
[58] In ragione della difficoltà nel delineare il concetto di imperizia, M. Caputo, Le ‘sabbie mobili’ dell’imperizia e la ‘viscosità dell’art. 590-sexies c.p. Considerazioni de lege lata e de lege ferenda, in Riv. it. med. leg., 1 (2013),1, p. 443, descrive quest’ultima come «una pietra d’inciampo, [che] insieme con altre criticità, congiura contro il successo della novella». Nello medesimo senso anche F. Basile, Itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 c.c. e Legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma), in Riv. trim. dir. pen. cont., 2 (2017), p. 174, il quale rileva come il distinguere le varie forme di colpa equivalga ad «addentrarsi nelle sabbie mobili».
[59] Sulla difficoltà di distinguere l’imperizia dalla negligenza e dall’imperizia v., in giurisprudenza, Cass., sez. IV, 26 aprile 2018, n. 24384, in Riv. it. med. leg., 3 (2018), pp. 1084 ss., con nota di C. Iagnemma. Ancora prima, con riguardo alla legge Balduzzi, rilevano la medesima difficoltà anche Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2014, n. 47289, in Dir. pen. proc., 9 (2015), pp. 1174 ss., con nota di G.M. Caletti, Non solo imperizia: la Cassazione amplia l’orizzonte applicativo della Legge Balduzzi; nonché Cass., sez. IV, 11 maggio 2016, n. 23283, in www.penalecontemporaneo.it, p. 14, con nota di C. Cupelli, La colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte).
[60] Corano, 4:92.
[61] In questo senso, seppur non con specifico riguardo al sistema penale islamico, A. Manna,Medicina difensiva e diritto penale. Tra legalità e tutela della salute, Pisa 2014, p. 194. Secondo l’Autore, infatti, si pone la questione «se affidare al risarcimento del danno la tutela in materia di diritti fondamentali della persona, come quelli riguardanti in generale la salute, sia un modello efficace oppure si inserisca in una prospettiva quasi da lex mercatoria, nel senso che la monetizzazione di danni talvolta irreparabili, quali quelli alla vita e sovente anche all’integrità fisica, possano essere davvero efficacemente compensati soltanto con, magari talvolta anche ingenti, somme di denaro».
[62] A riguardo v. K.M. Najid - P.N.J. Kassim, Incorporating the Salient Principles of Diya in constructing a Workable No-Fault Compensation System for Medical Injuries, in World Applied Sciences J., 3 (2017), pp. 1497 ss.; S.C. Hascall, Restorative Justice in Islam: Should Qisas Be Considered a Form of Restorative Justice?, in Berkeley J. Mid. East & Islamic L., 4 (2011), pp. 35 ss.
[63] Sul punto cfr. L. Nocco, Un no-fault plan come risposta alla «crisi» della responsabilità sanitaria? Uno sguardo sull’«alternativa francese» a dieci anni dalla sua introduzione, in Riv. it. med. leg., 2 (2012), pp. 450 ss.; V. Grembi, Una riflessione tra economia e diritto sulla malpractice medica: i casi di Stati Uniti e Italia, in Mercato concorrenza regole, 7 (2005), pp. 455 ss.; K.R. Salvatore, Taking Pennsylvania Off Life Support: A Systems-Based Approach to Resolving Pennsylvania’s Medical Malpractice Crisis, in Penn St. L. Rev., 54 (2004), pp. 364 ss.; E.P. Richards - T.R. McLean, Symposium: Administrative Compensation For Medical Malpractice Injuries: Reconciling the Brave New World of Patient Safety and the Torts System, in St. Louis L.J., (2004), pp. 73 ss.
[64] Così, con riguardo all’ordinamento giuridico italiano, L. Eusebi, Dirsi qualcosa di vero dopo il reato: un obiettivo rilevante per l’ordinamento giuridico?, in Criminalia, (2010), p. 641.
[65] Corano, 64:14.
[66] Corano, 42:40.
[67] L. Eusebi, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3 (2013), p. 1307.
[68] Con riguardo al fenomeno della medicina difensiva v., p. es., L. Eusebi, Medicina difensiva e diritto penale «criminogeno», in Riv. it. med. leg., 5 (2011), pp. 1085 ss.; A. Fiori, La medicina legale difensiva, in Riv. it. med. leg., 4 (1996), pp. 899 ss.; A. Manna, Medicina difensiva e diritto penale, cit., passim; A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale. Tra teoria e prassi giurisprudenziale, Milano 2012, pp. 8 ss.; G. Rotolo, “Medicina difensiva” e giurisprudenza e in campo penale: un rapporto controverso, in Dir. pen. proc., 10 (2012), pp. 1260 ss.
[69] Sul concetto di giustizia riparativa restano imprescindibili i numerosi lavori di C. Mazzucato, Appunti per una teoria “dignitosa” del diritto penale a partire dalla restorative justice, in A. Barletta - L. Eusebi - S. Gentile et al., Dignità e diritto: prospettive interdisciplinari, Piacenza 2010, pp. 99 ss.; Id., Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Spunti di riflessione tratti dall’esperienza e dalle linee guida internazionali, in L. Picotti - G. Spangher (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”. Il volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace, Milano 2001, pp. 85 ss.; Id., Ostacoli e “pietre di inciampo” nel cammino attuale della giustizia riparativa in Italia, in G. Mannozzi - G. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna 2015, pp. 119 ss.; Id., La giustizia penale in cerca di umanità. Su alcuni intrecci teorico-pratici fra sistema del giudice di pace e programmi di giustizia riparativa, in L. Picotti - G. Spangher(a cura di), Contenuti e limiti della discrezionalità del giudice di pace in materia penale, Milano 2005, pp. 140 ss.
[70] Si consideri, in particolare, la proposta, avanzata dall’Alta Scuola Federico Stella sulla Giustizia penale, di introdurre un sistema di giustizia riparativa, così da offrire al sanitario la possibilità di impegnarsi attivamente in condotte riparatorie e conformative, anziché subire passivamente la pena detentiva. A riguardo cfr. G. Forti - M. Catino - C. Mazzucato - G. Varraso(a cura di), Il problema della medicina difensiva. Una proposta di riforma in materia di responsabilità penale nell’ambito dell’attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico, Pisa 2010, pp. 84 ss. Nello stesso senso, in ambito anglosassone, J. Todres, Toward Healing and Restoration for All: Reframing Medical Malpractice Reform, in Connecticut Law Rev., 2 (2006), pp. 667 ss.; C.B. McNeil, Applying the Restorative Justice Model to Medical Malpractice, in Restorative Directions Journal, (2007), pp. 1 ss.
[71] Eppure, come ben noto, non sono mancate le proposte nel senso della diversificazione del sistema sanzionatorio. Si suggeriva una diversificazione delle pene principali, infatti, già nei progetti di riforma del codice penale elaborati dalla Commissione Grosso (cfr. C.F. Grosso [a cura di], Per un nuovo Codice penale, Padova 2000, pp. 53 ss.), dalla Commissione Nordio (in Cass. pen., 1 (2005), pp. 244 ss.) e dalla Commissione Pisapia (in questa Riv. it. dir. proc. pen., 4 (2007), pp. 1581 ss.), nonché nel progetto di riforma del sistema sanzionatorio penale elaborato dalla (prima) Commissione Palazzo, in www.giustizia.it/giustizia/it/mg_14_7.page.
Iagnemma Caterina
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