La posizione costituzionale del Csm tra argomenti di ieri ed effettività dell’organo

La posizione costituzionale del Csm tra argomenti di ieri ed effettività dell’organo

24.02.2020

Renato Balduzzi

Professore ordinario di diritto costituzionale,

Università Cattolica del Sacro cuore

 

La posizione costituzionale del Csm tra argomenti di ieri ed effettività dell’organo*

 

English title: The constitutional position of Italian High Council of the Judiciary, between traditional doctrinal opinions and effectiveness

DOI: 10.26350/18277942_000001

 

Sommario: Premessa. 1. Sessant’anni di ricostruzioni del modello italiano di Consiglio superiore (e di magistratura). 2. L’effettività del Consiglio superiore come inveramento del modello costituzionale (e alcuni suggerimenti per migliorarla). Conclusioni.

 

 

Premessa

 

Da molti mesi, a seguito dello “scandalo romano”[1] che ha visto interessati ex-componenti di estrazione togata del Consiglio superiore della magistratura e che ha indotto alle dimissioni alcuni suoi componenti in carica nella consiliatura attuale (anch’essi magistrati), il Csm è oggetto di attenzione costante da parte dei mezzi di informazione. Il fatto sarebbe da valutare con qualche interesse, come segno di una maggiore attenzione verso un organo statale tanto importante quanto poco conosciuto, se non fosse che tale attenzione pare dipendere, più che dalla volontà di segmenti consistenti della pubblica opinione di comprenderne le caratteristiche e il funzionamento, dalla ben diversa circostanza che, nella vicenda che ha scosso il Consiglio[2], gran parte della pubblica opinione vede la conferma di convincimenti radicati circa la caparbia attitudine di settori della magistratura e della politica a confondere i ruoli, a influenzare impropriamente procedimenti delicati e a privilegiare lo spirito di corporazione rispetto alla sempre faticosa ricerca dell’interesse generale.

Dunque, piuttosto che un aumento della conoscenza obiettiva dei caratteri del Csm e del suo ruolo, l’esito di tale sovraesposizione mediatica rischia di andare nella direzione di un aumento della sfiducia nei confronti dell’organo e, mediatamente, nei confronti dell’intera magistratura: non soltanto a causa dello status soggettivo di magistrati rivestito dai protagonisti della vicenda, ma, più in generale, in forza della necessaria interdipendenza tra la reputazione del Consiglio e quella della magistratura, tra la fiducia nei confronti del primo e le ricadute nei confronti della seconda.

Tale situazione è resa ancora più preoccupante, sotto il profilo della tenuta del modello costituzionale di magistratura e di Csm, dalla circostanza che, “in un contesto di populismo montante, noi ci confrontiamo con la triste realtà di crescenti segmenti della popolazione che ripudiano i principi della democrazia costituzionale, inclusa la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura”[3] e non è casuale che i leader populisti “si assicurino il potere attraverso il controllo della magistratura e dei media”[4].

In tale contesto, un buon Consiglio superiore della magistratura è un potente fattore di integrazione e coesione sociale, proprio perché chiamato a “governare” la magistratura o meglio, come vedremo, a garantire l’autonomia e l’indipendenza di un corpo vocato a svolgere, con modalità, metodi e “stili” differenti rispetto al potere politico, un ruolo di integrazione sociale[5].

Diventa allora assai importante tentare (§ 1) di delineare un modello interpretativo di Csm su cui possa raccogliersi un consenso sufficiente per meglio collocare l’organo nella temperie politico-istituzionale attuale e per sconsigliarne o ridimensionarne ipotesi di mutamento del ruolo e delle caratteristiche.

Un tale modello interpretativo dovrà fare i conti con l’effettività del Consiglio (§ 2) e rispondere alla domanda se l’esperienza di questi sessant’anni abbia portato a un travisamento del modello o al suo inveramento secondo Costituzione e, in questo secondo caso, quali cambiamenti a livello legislativo e di normazione secondaria di produzione consiliare siano raccomandabili al fine di meglio affrontare gli scenari che si presentano oggi, così da rispondere alla domanda: quali prospettive per il modello italiano di Consiglio superiore (e di magistratura)?

 

  1. Sessant’anni di ricostruzioni del modello italiano di Consiglio superiore (e di magistratura)

 

“Nessun progresso verso la determinazione della posizione costituzionale del potere giudiziario può conseguire a dibattiti a carattere puramente classificatorio, come ad esempio quello relativo alla qualificazione del Consiglio superiore, o degli organi giudiziari individualmente presi, o nel loro complesso, come organi costituzionali o meno, oppure quello relativo alla qualificazione del potere giudiziario come sovrano o non ed altri di questo genere”[6].

Così, già quarantacinque anni fa, Alessandro Pizzorusso commentava i limiti della pur imponente attenzione che dottrina e giurisprudenza avevano riservato al nuovo assetto costituzionale della magistratura nel primo quarto di secolo successivo all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Pochi anni più  tardi, il medesimo autore avrebbe delineato la pars construens, descrivendo il Consiglio come titolare esclusivo della funzione di amministrazione della giurisdizione[7] e sottolineandone il carattere “rappresentativo” del potere giudiziario, nel senso almeno della rappresentanza processuale, nonché l’assenza di reale valore definitorio della qualifica di organo costituzionale e la scarsa utilità della qualifica, ancorché dotata di portata tecnicamente precisa, di organo di rilevanza costituzionale[8].

Vale la pena di chiedersi, retrospettivamente, quali possano essere le ragioni per cui una tale ricostruzione, ancorché fine e compiuta[9], della posizione costituzionale e della natura giuridica del Csm, non sia stata largamente accolta. Ne ipotizzo due, tra le tante possibili. La prima è la connotazione prevalentemente riduttiva con cui la dottrina giuridica tende a impiegare il termine amministrazione e i suoi derivati, con l’effetto, nel caso di specie, di non incontrare l’adesione di quelle ricostruzioni volte a valorizzare e consolidare il modello costituzionale di Csm[10]; a conferma di ciò, è agevole constatare la ben diversa fortuna delle qualificazioni del Consiglio come organo di “autogoverno” o di “governo autonomo”. La seconda ragione sta nel timore, proprio delle ricostruzioni in chiave riduttiva del ruolo e delle funzioni del Csm, che predicarne il carattere rappresentativo implichi un rafforzamento dell’organo e/o della magistratura nel suo insieme; tanto più che un tale timore può essere compatibile anche con ricostruzioni di segno diverso, ma preoccupate che il riferimento alla rappresentatività possa significare una sorta di responsabilità del componente togato del Csm nei confronti della propria “corrente” (o dello spezzone della medesima che l’ha sostenuto nel periodo pre-elettorale) e dunque che ne venga rafforzato il ruolo e il peso all’interno del Consiglio, e che questa circostanza possa costituire un pericolo per l’indipendenza dei singoli magistrati. A quest’ultima preoccupazione lo stesso Pizzorusso trent’anni fa rispondeva che la struttura pluralistica del Consiglio “costituisce anzi ormai la principale garanzia dell’indipendenza «interna» dei magistrati”[11]. Oggi, tuttavia, è proprio questa ottimistica affermazione che appare messa in discussione, alla luce anche di avvenimenti recenti che hanno confermato la sussistenza di tendenze degenerative delle articolazioni dell’Associazione nazionale magistrati[12], e sembra comunque grande la difficoltà, per le “correnti” e per molti magistrati in esse impegnati, di privilegiare con nettezza il proprio profilo culturale o politico-culturale rispetto a tentazioni e comportamenti corporativi e di “cordata”.

Tra le qualificazioni di ieri che ancora vengono utilizzate, sia in dottrina, sia nella giurisprudenza e (talvolta) dallo stesso legislatore, oltre che naturalmente nella discussione politica, sin dai tempi della Assemblea costituente, vi è quella del Csm come organo di autogoverno della magistratura[13].

L’improprietà della locuzione venne rilevata già a partire dalle prime compiute analisi dottrinali del titolo IV della parte seconda della Costituzione[14] e appare manifesta, con riferimento sia al termine “governo”, sia al prefisso “auto[15] (come confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale)[16]. Se la peculiarità dell’equilibrio costituzionale tra componente togata e componente non togata sconsiglia che si parli di autogoverno[17], anche la meno problematica qualificazione del Consiglio come organo di governo autonomo della magistratura non lascia del tutto soddisfatti: non solo e non tanto perché il termine governo viene tradizionalmente riferito al potere esecutivo[18], quanto piuttosto perché non di “governo” si tratta, ma di “garanzia” attraverso un’azione amministrativa caratterizzata dalla circostanza di essere svolta da un organo collegiale che riesce a “evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere politico, quanto la chiusura degli stessi in caste autoreferenziali”[19], e ciò grazie ai criteri della sua composizione e in particolare all’equilibrio[20] tra il riconoscimento maggioritario alla componente di estrazione togata, la presidenza dell’organo affidata al Capo dello Stato e la vicepresidenza a un soggetto scelto dall’intero Consiglio tra i componenti non togati[21]. Una scelta, quella fatta dall’Assemblea costituente, non soltanto legata alla volontà politica di non concepire la magistratura come corpo-ordine separato (e giustamente sono stati da tempo evocati gli echi della discussione svoltasi in sede di Assemblea costituente francese nel 1946)[22], ma altresì da ricollegare a un preciso intendimento di sistema, essendo la magistratura chiamata ad amministrare la giustizia in nome del popolo (formula di apertura del titolo dedicatole, da non intendersi soltanto come controcanto rispetto all’art. 68 dello Statuto) e pertanto istituzionalmente aperta e rivolta al servizio dei cittadini[23].

Organo di garanzia, dunque, ma di che cosa?

La risposta, consueta e costituzionalmente imposta ai sensi dell’art. 104, è: dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, secondo la formula così spesso ripetuta da risultare quasi scontata. Eppure non si tratta di un’endiadi, ma di due distinti valori costituzionali, strettamente interrelati, ma non per questo sovrapponibili. Al pari delle pubbliche amministrazioni in generale, anche alla magistratura si applica il principio di imparzialità, sia in forza della clausola generale dell’art. 97, sia (per il giudice) con la specifica norma del primo comma dell’art. 111. Ora, la premessa, la condizione essenziale per l’imparzialità-terzietà del giudice è proprio la sua indipendenza, esterna ed interna, funzionale e istituzionale[24]. A sua volta, la misura e il grado dell’indipendenza esterna del magistrato è data dall’autonomia dell’ordine-potere[25] in cui è inserito[26]. E questa autonomia è garantita dall’esistenza e dalle attribuzioni del Consiglio superiore, la cui peculiare composizione, mista ed equilibrata, risulta coerente con il modello costituzionale di magistratura[27] e costituisce la ragione di fondo per cui a tale organo spetta, in ordine alle competenze costituzionalmente conferite, l’ultima parola[28]. L’osservazione comparata permette di avere conferma della rilevanza della connotazione di autonomia in capo alla magistratura: si pensi alla ben diversa formulazione dell’art. 64 della Costituzione francese della V Repubblica, secondo cui “Le Président de la République est garant de l’indépendance de l’autorité judiciaire. Il est assisté par le Conseil supérieur de la magistrature” e ai commenti che su di esso ritroviamo nella dottrina d’Oltralpe[29].

Si tratta, naturalmente, di un’autonomia che non soltanto incontra i propri limiti nella Costituzione e nelle leggi, ma che ha natura, per dir così, funzionale rispetto al terreno nel quale il Consiglio esplica le proprie funzioni, quello cioè dell’organizzazione della giurisdizione o, se si vuole, dell’amministrazione-organizzazione della medesima (che, come si vedrà nel § 2, è poi il terreno sul quale l’effettività della vita del Csm ha potuto esercitarsi): se il Consiglio è stato costruito per sottrarre l’amministrazione-organizzazione dei magistrati alla competenza ministeriale, è proprio su quella che esso può fondare lo svolgimento delle proprie attribuzioni[30].

Su tali basi, si comprende allora meglio come alcuni temi controversi del dibattito dottrinale sul Consiglio superiore possano trovare un più agevole inquadramento, condivisibile anche all’interno di ricostruzioni diverse del modello costituzionale. Così, non è necessario – e, anzi, può persino essere controproducente ai fini della legittimazione condivisa dell’organo – ipotizzare funzioni “ulteriori” accanto a quelle di amministrazione della giurisdizione per spiegare l’attività collaborativa del Consiglio superiore della magistratura rispetto al circuito Ministro-Parlamento[31], ove quest’ultima venga ricondotta alla prospettiva dell’organizzazione della stessa. Né, allo scopo di legittimare e valorizzare siffatte attività, è necessario postulare il carattere “rappresentativo” del Consiglio stesso[32], o tantomeno argomentare attorno alla supposta partecipazione del medesimo alla funzione di indirizzo politico nel settore giudiziario[33]: su tutte le questioni che hanno diretta ripercussione sull’organizzazione della giurisdizione il Consiglio può e deve portare la propria attenzione, nelle forme che l’ordinamento vigente riconosce[34]. Parimenti, alla vexata quaestio circa l’esistenza di funzioni implicite in capo al Consiglio, in aggiunta a quelle previste nella Costituzione e nella legislazione, la risposta sembra essere quella di ammetterle se e nella misura in cui siano direttamente riconducibili alla funzione di vertice organizzativo della magistratura[35].

A un siffatto organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, di cui costituisce il vertice organizzativo, viene pacificamente riconosciuto il carattere dell’indefettibilità[36], anche da parte delle ricostruzioni dottrinali maggiormente preoccupate di circoscrivere l’“attivismo” del Consiglio[37].

Più problematico è il quesito se tale indefettibilità attenga alla mera esistenza di un organo con le funzioni costituzionali del Csm o anche al modello costituzionale di Consiglio superiore, e se sì entro quali limiti e in quale misura, con particolare riferimento alla proporzione tra componente togata e componente “laica”. Il principio costituzionale sembra potersi sintetizzare nell’esclusione della sottoposizione dell’ordine-potere giudiziario alle decisioni del potere politico, in particolare del Governo, per tutto ciò che attiene al percorso professionale del magistrato. La Costituzione svolge tale principio attraverso la configurazione di un Consiglio superiore della magistratura con le caratteristiche predette: vi è un “nucleo essenziale” del principio tale da renderlo “supremo”, e pertanto non suscettibile di essere scalfito neanche dal legislatore di revisione? In assenza di indicazioni precise nella giurisprudenza costituzionale (il precedente invocabile, la sent. n. 16 del 2011, oltre a riguardare un organo di garanzia che non gode di espressa garanzia costituzionale, appalesa una qualche incertezza proprio sui rapporti numerici)[38], sembra possibile individuare il nucleo del principio nella necessità di una composizione togata maggioritaria, con temperamenti, che possono avere una qualche variabilità, volti a impedire che il “governo” dell’organo sia consegnato alle sole dinamiche interne alla magistratura e alle sue articolazioni lato sensu politico-culturali.

 

  1. L’effettività del Consiglio superiore come inveramento del modello costituzionale (e alcuni suggerimenti per migliorarla)

 

Già all’inizio degli anni Settanta era stato documentato con cura l’allargamento progressivo del ruolo e dei compiti del Consiglio superiore rispetto alle intenzioni della legge istitutiva, individuando il fenomeno di maggiore interesse nella funzione “paranormativa” che il Consiglio era venuto assumendo, non solo, si scriveva, “per soddisfare le proprie esigenze organizzative, ma per la necessità di adattare le vecchie norme dell’ordinamento giudiziario ai nuovi istituti, e soprattutto per integrare le ampie lacune dovute ai frammentari interventi del legislatore”[39]. Come sarà successivamente sintetizzato, “non è dubbio che l’enorme accrescimento dei poteri normativi del Csm sia strettamente correlato alla lacunosità dell’attuale disciplina legislativa e che possa essere giustificato dalla necessità, avvertita dal Consiglio, di una predeterminazione normativa di regole certe e stabili della propria azione”[40]. Più di recente, si è concluso nel senso che appare oggi ben difficile negare che al Csm spetti, quanto meno a livello secondario, il potere di dettare le “norme” sul funzionamento e sull’organizzazione dell’ordine giudiziario e sui rapporti tra Csm e le altre strutture della magistratura nonché sulla carriera dei magistrati (assegnazioni di posti, tramutamenti, trasferimenti, incarichi extragiudiziari, applicazioni, supplenze, e così via)[41].

Nel corso del tempo si sono poi registrati numerosi interventi legislativi volti ad assegnare al Consiglio competenze normative nel campo dell’organizzazione (in materia c.d. tabellare, di ripartizione degli uffici giudiziari e di individuazione e composizione delle sezioni, oltre a quella, poi sottratta con le riforme degli anni 2005-2007, di determinare i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro)[42]. Da ultimo, è stata attribuita al Csm la competenza a provvedere all’organizzazione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, “anche in deroga alle norme vigenti relative al numero dei giudici da assegnare alle sezioni e fermo restando i limiti del ruolo organico della magistratura ordinaria”[43].

Particolarmente interessante, nell’ottica di una ricostruzione di sintesi dei poteri consiliari, è la vicenda della c.d. circolare sulle procure. A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 (modificato dalla l. 24 ottobre 2006, n. 269 e dalla l. 30 luglio 2007, n. 111) in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, il Consiglio aveva adottato due “risoluzioni” (12 luglio 2007 e 21 luglio 2009) allo scopo di offrire ai procuratori della Repubblica riferimenti per una omogenea organizzazione dell’ufficio atta a garantire il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale, a fronte di un intervento legislativo che attribuiva loro pieni poteri organizzativi, sottraendo gli uffici requirenti alle regole tabellari proprie degli uffici giudicanti. In data 16 novembre 2017, il Consiglio ha approvato la “Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura”, dando attuazione, sotto il profilo procedurale, a una delle parti più innovative contenute nel nuovo Regolamento interno del Consiglio (approvato con deliberazione del 26 settembre 2016), che prevede le circolari come fonte con rilevanza esterna, e dettando, sotto il profilo sostanziale, norme volte ad assicurare il massimo di indipendenza funzionale interna dei singoli magistrati assegnati all’ufficio, compatibile con l’esercizio del potere di organizzazione che la legge pone in capo al procuratore della Repubblica al fine dell’efficacia e dell’efficienza dell’ufficio stesso[44].

Proprio l’esempio della circolare sulle procure permette di configurare in capo al Csm un potere normativo generale in materia organizzativa, rispetto al quale singole abilitazioni legislative assumono valore confermativo e conformativo, venendo per questa via a confortare quanto sostenuto nel § 1 a proposito della “figura” costituzionale complessiva del Consiglio. Là dove specifiche norme costituzionali impongano un determinato assetto (ad es., in tema di giudice naturale ai sensi dell’art. 25, comma 1), la competenza del Consiglio si eserciterà con maggiore ampiezza; là dove specifiche norme legislative disciplinino porzioni di materia organizzativa, l’ampiezza di intervento del Consiglio sarà conseguentemente ridotta, senza tuttavia potere essere del tutto annullata, quale conseguenza del rapporto tra gli uffici giudiziari e l’organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.

Sembra poi assolutamente sensata l’affermazione secondo cui “dipende dalla concreta capacità «politica» dei diversi consessi consiliari se l’esercizio delle competenze si risolva in interventi episodici e contingenti oppure risulti espressione coerente e sistemica di una politica dell’organizzazione e del funzionamento della magistratura”[45]

Quest’ultima affermazione vale anche a proposito del nuovo Regolamento interno del Csm, oggetto di un’incessante attività di integrazione e di riscrittura, e sotto questo profilo davvero emblematico dell’effettività della vita consiliare e della distanza di questa rispetto alle intenzioni e talvolta anche alla lettera della legge del 1958 (che qualifica come facoltativa l’emanazione di tale regolamento “interno”). Il nuovo Regolamento interno, approvato il 26 settembre 2016 con decreto del Presidente del Consiglio superiore della magistratura[46], si caratterizza come fonte dell’ordinamento generale attributiva di competenze normative e dunque come fonte sulla produzione, che fonda la legittimazione del Csm ad adottare atti normativi ulteriori di rango secondario (art. 25, comma 1, Reg. int.)[47] e in particolare riconosce natura normativa alle circolari, venendo a confermare, anche per questa via, la tesi che vede nella riserva di legge dell’art. 108, comma 1, Cost. una riserva assoluta per quanto attiene al potere esecutivo, relativa per quanto riguarda il Csm[48].

Si comprende bene, alla luce di queste pur rapide notazioni sulla effettività della vita consiliare in questi sessant’anni, quanto sia inadeguata l’opinione di rimediare a, vere o presunte, invasioni di campo da parte del Csm attraverso modifiche dell’impianto costituzionale: se l’allargamento delle funzioni dell’organo corrisponde ad esigenze realmente avvertite, prima fra tutte quella di assicurare al Consiglio gli strumenti e le condizioni per fare fronte alla propria natura di vertice organizzativo dell’ordine giudiziario, la soluzione non sta nel modificare il modello, ma nel perfezionarne gli strumenti[49]. Tra questi, senza pretesa di completezza e con l’obiettivo di individuare quelli che paiono più coerenti con l’effettività di attuazione costituzionale sin qui indicata, mi parrebbero interventi utili e urgenti, da introdurre in via legislativa o attraverso norme secondarie approvate dallo stesso Csm, volti a: a) precisare la normativa sugli incarichi extragiudiziari, inclusi quelli di magistrato segretario presso il Csm, assecondando un indirizzo già avviato dal Consiglio nella scorsa consiliatura[50] e prevedendo un obbligatorio periodo di rientro in ruolo dopo ogni collocamento o conferma; b) ripensare alla legge elettorale per la componente togata e in particolare all’introduzione per esse del c.d. voto singolo trasferibile, nel quale l’elettore abbia la facoltà di mettere in ordine le sue preferenze per un numero di candidati pari a quello del numero dei seggi disponibili[51].

 

Conclusioni

 

L’allargamento delle funzioni consiliari non pare destinato a venire meno, in quanto le ragioni di esso corrispondono a tendenze generali degli ordinamenti contemporanei, rispetto alle quali sarà possibile e in taluni casi doveroso adottare cautele e miglioramenti, non vanificarle del tutto.In particolare, sembra difficile pervenire a una legge sull’ordinamento giudiziario organica, come presuppone la Costituzione[52], anche se un intervento di pulizia si impone (le “riforme” degli anni 2005-2007 non avendo abrogato interamente le norme previgenti e non essendo stato emanato il testo unico previsto dalla l. n. 150/2005)[53]. Del pari, alcune tra le ragioni dell’interpretazione estensiva delle funzioni del Csm stanno nella trasformazione della giurisdizione e nella percezione diffusa che essa costituisce un limite al potere politico[54], oltre che nella (connessa) tendenza a costruire un modello comune europeo di organi di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza, al cui interno quello italiano svolge un ruolo eminente[55].

In questo contesto, accanto agli interventi di modifica legislativa o regolamentare sopra segnalati, si potrebbe lavorare seriamente nella direzione preconizzata dall’art. 25, comma 2 del Regolamento interno del Csm: “confessando” in qualche misura l’inadeguatezza della situazione esistente, esso dispone che “ogni atto approvato dal Consiglio risponde ai requisiti di omogeneità, semplicità e chiarezza della sua formulazione; si ispira ai criteri di semplificazione e riordino in testi unici di tutta la disciplina relativa alle materie di competenza del Consiglio”. Un utile suggerimento in tal senso potrebbe essere quello di prevedere (generalizzando quanto si è fatto in singole occasioni, e segnatamente in occasione dell’approvazione dell’ultima circolare sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti) che ogni nuova circolare divenga, previamente alla sua entrata in vigore o all’operatività delle sue disposizioni, oggetto di un approfondimento tra Consiglio superiore e Consigli giudiziari.

Sembra inopportuno, nella situazione italiana, pensare a soluzioni di “normalizzazione” del Consiglio superiore o di questa o quella parte della magistratura: la vera normalizzazione sta nella convinta attuazione del modello costituzionale, nelle sue opportunità e nei limiti che esso impone a ciascun organo, compreso il Csm. L’effettività consiliare ha confermato, in questi sessant’anni, il “tono” costituzionale del Consiglio, che molti costituenti avevano intuito e auspicato, cioè la sua attitudine, per la delicatezza dei compiti affidatigli e per la sua composizione, a muoversi al livello costituzionale. È un livello, occorre esserne sempre consapevoli, nel quale si impone ancora di più il dovere, per quanti partecipano alla sua vita, di svolgere le relative funzioni con quella disciplina e onore che, riferiti all’organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, non possono non significare rispetto scrupoloso dell’articolazione dei poteri statuali e delle attribuzioni di ciascuno, oltre che massimo disinteresse individuale nell’esercizio della funzione (e ciò vale naturalmente anche per i componenti non togati)[56].

Molti anni fa, si scrisse che “il faut que, par la disposition des choses, le pouvoir arrête le pouvoir[57]. Lungi dal rappresentare un invito all’inazione e alla stasi, oggi, in tempi di dromocrazia, la massima va rimeditata: par la disposition des choses, sembra un buon motto per praticare al meglio l’equilibrio costituzionale tra giurisdizione e potere politico.

 

 

Abstract: The Italian High Council of the Judiciary (Consiglio Superiore della Magistratura, CSM) is the constitutional body which is called to guarantee the independence of the judiciary (more precisely, of that part of judiciary which have competence in ordinary jurisdiction).

This paper analyses and discusses the role of CSM, from the point of view of constitutional law and in a historical perspective, by two steps.

In the first part, the Author retraces the main doctrinal opinions about the constitutional position and functions of CSM, by reconstructing the debate around some key concepts or expressions like “self-government of judiciary”, “order” and “power” (referred to the judiciary as an institutional and professional body), “independence”, “guaranteeing functions” and “representative functions”.

In the second part, the interpretative model of CSM’s role, which the Author has defined by the previous theorical analysis, is discussed in the light of effective experience of this constitutional body and, especially, of the evolution of its (gradually increasing) regulative functions.

In the conclusion of the paper, the Author reflects on the relation between the expansion of CSM’s regulative functions and the spread of jurisdiction towards legislature, expressing also some suggestion to maintain a correct balance between judiciary and political power.

 

Key words: High Council of Judiciary; Self-government of judiciary; Balance between judiciary and legislature

* Lo scritto, sottoposto a double blind peer review, riproduce, con qualche variazione e integrazione, un testo destinato alla pubblicazione nel Codice dell’ordinamento giudiziario, a cura di G. Grasso, A. Iacoboni e M. Converso, La Tribuna - Il Foro italiano, Piacenza, 2020.

[1] Per usare l’espressione di N. Rossi, Lo scandalo romano: un bubbone maligno scoppiato in un organismo già infiacchito da mali risalenti, in Questione giustizia, 2/2019, 4 ss. Con qualche amara ironia, viene alla mente la proposta, formulata da Piero Calamandrei in seno alla Commissione Forti, secondo cui il nuovo Csm avrebbe dovuto avere sede in una città diversa da Roma “per garantire anche di fatto da inframmettenze politiche gli organi supremi della magistratura”: G. D’Alessio (a cura di), Alle origini della Costituzione italiana. I lavori preparatori della “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello stato” (1945-1946), Bologna, 1979, 629; sui lavori della Commissione Forti, per la precisione la seconda, v. da ultimo A. Meniconi, Verso l’indipendenza della magistratura (1944-1948), in Riv. trim. dir. pubbl., 2018, 418 ss.

[2] Una vicenda che “ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile” per via del “coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di potere manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato” (così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell’intervento del 21 giugno 2019 all’Assemblea plenaria straordinaria del Consiglio superiore della magistratura).

[3]C. Landfried, Introduction, in C. Landfried (ed.), Judicial Power. How Constitutional Courts Affect Political Transformation, Cambridge, 2019, 3.

[4]  J.-W. Müller, Homo Orbánicus, in The New York Review of Books, 5 aprile 2018, recensione a P. Lendvai, Orbán: Hungary’s Strongman, Oxford, 2018 (cit. da C. Landfried, loc. ult. cit.).

[5] Ancora C. Landfried, Introduction, cit., 4, 12, 17.

[6] A. Pizzorusso, Introduzione, in L’ordinamento giudiziario. Testi a cura di Alessandro Pizzorusso (1974), ora in Id., L’ordinamento giudiziario, Napoli, 2019, vol. II, 299 e ss., che così proseguiva: “Si deve invece guardare senza infingimenti al rapporto reale in cui, secondo il nostro ordinamento costituzionale, gli organi che compongono il potere giudiziario si trovano con gli altri poteri e soprattutto si deve ricercare in qual modo l’esercizio di tali funzioni risulti compatibile col principio di sovranità popolare”.

[7] A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, 1982, 83 ss. (e, con sviluppi argomentativi, Id., Problemi definitori e prospettive di riforma del C.S.M., in Quad. cost., 1989, 471 ss., ora in Id., L’ordinamento giudiziario, cit., vol. II, 1063 ss.).

[8] Discussione che già nel 1974 era stata considerata di scarso valore pratico (così R. Moretti, Indicazioni bibliografiche per ulteriori approfondimenti, in L’ordinamento giudiziario. Testi, cit., 551). Si v. comunque Corte cost., sentt. nn. 44 del 1968, 12 del 1971, 142 e 148 del 1983.

[9] Si v. sul punto G. Silvestri, Pizzorusso e l’ordinamento giudiziario, in A. Pizzorusso, L’ordinamento giudiziario, cit., vol. I, pp. XI-XXVII.

[10] Per un esempio di quanto argomentato nel testo si v. N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale della magistratura, Bologna, 2014, 43-44 (dove si richiama quella giurisprudenza amministrativa che, per negare la possibilità di funzioni implicite del Csm, motiva con la circostanza che esso “è investito solo di competenze amministrative”). Si aggiunga che la scelta, contenuta originariamente nella legge n. 195/1958, di condizionare la generalità dei provvedimenti del Consiglio alla previa richiesta del Ministro della giustizia, non poteva non suscitare una forte reazione in quanti, anche constatando la perdurante inerzia legislativa nell’attuazione della VII D.T.F., vi leggevano la volontà di ostacolare l’attuazione costituzionale e pertanto erano preoccupati che letture “amministrativistiche” del ruolo del Csm potessero rafforzarla.

[11] Nel menzionato scritto Problemi definitori, cit. (ora in A. Pizzorusso, L’ordinamento giudiziario, cit., vol. II, 1069, nt. 12).

[12] Retro, nt. 1 (si v. comunque infra, al § 2, per un tentativo di distinguere tra la ricostruzione giuridica di un istituto e talune sue applicazioni pratiche e comportamentali).

[13] Si fa normalmente risalire l’impiego dell’espressione al notissimo intervento di P. Calamandrei, Governo e Magistratura (1920), in Opere giuridiche, vol. II, Napoli, 1966, 218.

[14] Cfr. S. Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Padova, 1964, 3 ss.

[15] Sul punto v. ancora A. Pizzorusso, Problemi definitori, cit., 1065-1066.

[16] Che l’ha qualificata, dapprima, come espressione da accogliersi in senso figurato piuttosto che in una rigorosa accezione giuridica (sent. n. 142 del 1973) e, più di recente, come impropria (sent. n. 16 del 2011).

[17] La formula è frequentemente usata, soprattutto nel dibattito interno alla magistratura: per un esempio particolarmente significativo, in quanto riferito a una delle articolazioni dell’Associazione nazionale magistrati che maggiormente afferma di volere prendere le distanze da approcci corporativi, si vedano gli scritti pubblicati nel numero speciale di Questione giustizia, 4/2017, intitolato emblematicamente L’orgoglio dell’autogoverno: una sfida possibile per i 60 anni del Csm. Sotto il profilo sia soggettivo (quasi che soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario non siamo legittimati a concorrere all’amministrazione della giurisdizione), sia oggettivo (quasi che gli interessi la cui cura sia conferita al Csm esulino dall’ordinamento giuridico generale), la formula si presenta come irrimediabilmente ambigua. E allora sorge spontanea la domanda: magistrati sensibili all’attuazione del modello costituzionale pensano davvero che continuare a qualificare il Csm con una formula impropria e ambigua sia un servizio alla causa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura?

[18] E non sarebbe sufficiente la pur giusta obiezione secondo cui il Consiglio superiore nasce per prendere il posto del Ministro e del Governo onde assicurare l’indipendenza esterna della magistratura, poiché il senso della scelta del costituente stette proprio nell’evitare ingerenze improprie, interferenze, condizionamenti attraverso la preposizione alle decisioni concernenti i magistrati e i relativi uffici giudiziari di un organo che, per l’equilibrio della sua composizione, potesse appunto garantire quell’indipendenza.

[19] Così Corte cost., sent. n. 16 del 2011 (red. Silvestri). In senso analogo rispetto al testo sembra andare la relazione di M. Luciani su Il Consiglio superiore della magistratura nel sistema costituzionale al recente Convegno Le garanzie istituzionali di indipendenza della magistratura in Italia, promosso a Roma dalla Scuola superiore della magistratura nei giorni 5-7 novembre 2019. Considera “più consono” parlare di organo di garanzia, ma preferisce impiegare quello di autogoverno G. Silvestri, Il Vicepresidente del Csm nella Costituzione e nella legge, in Consiglio superiore della magistratura-Associazione Vittorio Bachelet, Ruolo e funzione del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura a 35 anni dalla scomparsa di Vittorio Bachelet, Roma, 2017, 6, nt. 3 (anche in Liber amicorum di Piero Alberto Capotosti, Bari, 2016, II, 707 ss.), “per dare il senso della considerazione unitaria dell’Ordine giudiziario nel confronto con gli altri poteri dello Stato, senza però attribuire allo stesso il significato di organo che decide un indirizzo politico giudiziario inammissibile nel nostro sistema costituzionale” (sul punto v., in senso parzialmente diverso, Id., Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione giustizia, 4/2017, 24). Sulla preferibilità della qualificazione del Csm come organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura rispetto a quella di organo di autogoverno v. P.A. Capotosti, Il ruolo del giudice nella Costituzione, alla luce del pensiero di Vittorio Bachelet, in Nomos, 2008, 112 (si v.  R. Balduzzi, Piero Alberto Capotosti e l’equilibrio della Costituzione, in Osservatorio costituzionale AIC, 3/2018, 84-85). Possibilista sul punto è M. Volpi, Il Consiglio superiore della magistratura tra modello costituzionale e ipotesi di riforma, in Scritti in onore di Gaetano Silvestri, Torino, 2016, III, § 2.

[20] Storicamente riconosciuto anche da osservatori normalmente molto esigenti e affezionati alle proprie tradizioni costituzionali: si v. J.-P. Royer, La justice en Europe, in Pouvoirs, (74) 1995, 148 ss.

[21] E che potremmo assimilare alle altre forme dell’equilibrio istituzionale come ripercorse, anche in chiave comparata, da R. Toniatti, Le forme e la cultura costituzionale dell’equilibrio costituzionale, in R. Toniatti-M. Magrassi (a cura di), Magistratura, giurisdizione ed equilibri istituzionali. Dinamiche e confronti europei e comparati, Milano, 2011, 573 ss. Sulla nozione di “equilibrio della Costituzione” rinvio a R. Balduzzi, Piero Alberto Capotosti, cit., 81 ss.

[22] C. Pinelli, Le proposte di riforma del Consiglio superiore della magistratura, in B. Caravita (a cura di), Magistratura, Csm e principi costituzionali, Roma-Bari, 1994, 166: echi palesi, come appare evidente nel notissimo intervento di Giovanni Leone nella seduta del 25 novembre 1947 (“un organo il quale nella sua composizione mista identifichi le due opposte necessità, quella di tutelare l’indipendenza della magistratura e quella di fare sentire un soffio esterno all’ordine giudiziario per quanto attiene al governo della carriera del magistrato”). Può essere di qualche utilità, per ricostruire i precedenti culturali della scelta dei costituenti, richiamare un passaggio della discussione, tenutasi in Senato il 24 giugno 1908, sul disegno di legge Guarentigie e disciplina della magistratura, presentato dal Ministro della giustizia Vittorio Emanuele Orlando, nel corso della quale si sviluppò un interessante dialogo, una sorta di concurring opinion, tra il Ministro stesso e il senatore prof. Giorgio Arcoleo. All’idea di Orlando secondo cui “nell’odierna evoluzione della scienza e della vita sociale debba l’ordine giudiziario smettere l’antica veste di potere autonomo e indipendente, per assumere quella più modesta di pubblico servizio, come ogni altro ramo di amministrazione”, Arcoleo contrappone una visione esattamente antitetica: “Vorrei al giudiziario sostituire la formula di potere giurisdizionale, per indicare quella suprema autorità che decide dei più umili rapporti tra il mio e il tuo ed assorge, come in Inghilterra, a contrapporre il common law agli Statuti parlamentari, o a dichiarare, con la Corte suprema in America, incostituzionali anco le leggi”, e subito sotto chiarisce, a proposito della composizione mista, di magistrati e senatori, della Suprema Corte disciplinare prevista dal disegno di legge Orlando, che essa va attribuita al “presupposto che, nel giudizio sulle colpe dei propri colleghi, il magistrato resti perplesso fra la responsabilità dell’individuo e il decoro di tutta una classe, così che l’intervento di elementi estranei significa non sfiducia, ma concorso dell’altrui giudizio che tolga il pericolo di soverchia indulgenza o severità, per motivi facili nelle gerarchie chiuse e onnipotenti, meno per volontà di persone, che per forza stessa di cose. Né regge del tutto il raffronto con gli altri corpi costituiti, nei quali l’esclusiva potestà interna disciplinare, con organi propri, si connette alla gerarchia, mentre l’inamovibilità forma usbergo e difesa al magistrato contro l’abuso dei superiori” (ripreso da T.E. Frosini, Giorgio Arcoleo, un costituzionalista in Parlamento, in G. Arcoleo, Discorsi parlamentari, Bologna, 2005).

[23] Sul punto v. soprattutto M. Luciani, Le proposte di riforma del Consiglio superiore della magistratura in Italia, in A.A. Cervati-M. Volpi (a cura di), Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, Torino, 2010, 114.

[24] Per usare la sistematica di N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale, cit., 81 ss. Sul rapporto tra indipendenza e imparzialità si vedano, per tutti, le considerazioni di S. Sicardi, Percorsi e vicende del Terzo Potere dallo Stato liberale allo Stato costituzionale: da uno sguardo d’insieme alla Costituzione italiana, in Id. (a cura di), Magistratura e democrazia italiana: problemi e prospettive, Napoli, 2010, 27 ss.

[25] Contra, nel senso di considerare la magistratura non un potere, ma un ordine, per tutti N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale, cit., 23: ma la circostanza che, sia il d.d.l. cost. A.C. n. 4275 della XVI leg., sia la più recente p.d.l. cost. d’iniziativa popolare A.C. n. 14 della XVIII leg., espressamente abbiano voluto espungere l’aggettivo “altro” dal testo del vigente art. 104 Cost., induce a privilegiare la prevalente lettura che vede nella magistratura un potere-ordine (o un ordine-potere). Considera l’autonomia dell’ordine giudiziario come “un’autonomia reale, fondata sul riconoscimento che i magistrati si distinguono fra di loro soltanto per diversità di funzioni”, S. Merlini, Magistratura e politica: una introduzione, in Centro studi politici e costituzionali “Piero Calamandrei-Paolo Barile”, Magistratura e politica, a cura di S. Merlini, Bagno a Ripoli, 2016, 36.

[26] Così, v. già F. Bonifacio-G. Giacobbe, sub art. 104, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1986, p. 26.

[27] Nel senso invece di considerare la composizione del Csm “un compromesso fra le tesi divergenti”, che “probabilmente ne cumula i difetti”, fu il noto giudizio di C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 9.a ed., vol. II, Padova 1976, 1282, su cui v. il commento di C. Pinelli, Le proposte di riforma del Consiglio superiore della magistratura, in B. Caravita (a cura di), Magistratura, Csm e principi costituzionali, Roma-Bari, 1994, 161 ss.

[28] Che le garanzie di indipendenza dei magistrati non siano sufficienti a realizzare un assetto appropriato se non assistite anche da adeguate forme di autonomia era stato già intuito da Lodovico Mortara nel 1885 (v. sul punto A. Pizzorusso, Mortara e i problemi dell’ordinamento giudiziario (1988), ora in Id., L’ordinamento giudiziario, Napoli, 2019, vol. II, 464 ss.).

[29] Sorvolando sul primo comma, a proposito del quale rinvio all’ironico commento di G. Carcassonne (“Autant proclamer que le loup est garant de la sécurité de la bergerie”, in La Constitution introduite et commentée par Guy Carcassonne et Marc Guillaume, 12.a ed., Paris, 2014, 315; si v. la parziale presa di distanza del prefatore Georges Vedel, ivi, p. 14), è interessante l’analisi che del secondo comma fa B. Mathieu, Justice et politique: la déchirure, Paris, 2015, p. 13: “(…) la séparation des pouvoirs ne peut se comprendre come conduisant à l’autonomie du pouvoir judiciaire, qui en serait par ailleurs le seul bénéficiaire, au risque d’une déstabilisation de l’État e de l’intérêt général dont il est porteur”, anche in considerazione della circostanza che l’autore – e, per un francese, non è cosa da poco – non esita a parlare di “pouvoir judiciaire” e considera la discussione sull’organizzazione e sulle competenze del Consiglio superiore della magistratura e degli organi similari come indicatori del grado di accettazione dell’esistenza di un potere giudiziario (ivi, 13-14, 42 ss.).

[30] Non va dunque considerato casuale il favor nei confronti della costruzione del Consiglio come “vertice organizzativo della magistratura ordinaria” che espresse la c.d. Commissione Paladin (v. la Relazione della Commissione presidenziale per lo studio dei problemi concernenti la disciplina e le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, in Giur. cost.,1991, 986 ss., spec. pp. 1001-1002).

[31] Si v., ad es., S. Merlini, Magistratura e politica, cit., 38 ss.

[32] Sul punto rinvio alle considerazioni di C. Pinelli, Le proposte di riforma, cit., 166 ss.

[33] Già avanzata, all’inizio degli anni Settanta, da S. Merlini, Il Consiglio superiore della magistratura, la Costituzione e la democrazia, in Quale giustizia, 9-10/1971, 405, e ripresa oggi, sembra, da G. Silvestri, Consiglio superiore della magistratura, cit., 24 (ma v. retro, nt. 19). Drastico nella negazione che il Consiglio possa divenire organo di indirizzo della politica giudiziaria fu, com’è noto, C. Mortati, Istituzioni, cit., 1285.

[34] E questo non significa sganciare le attribuzioni del Csm da ogni appiglio normativo testuale e aprire la strada a possibili arbitri (così invece N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale della magistratura, cit., 44, che fanno derivare tale conseguenza dalla criticata tesi per cui l’autonomia sarebbe funzionale alla tutela dell’indipendenza e consentirebbe l’esercizio di tutti i poteri allo scopo necessari; ma, come si è cercato di argomentare nel testo, non è questo il senso del rapporto inestricabile tra autonomia e indipendenza).

[35] Tra le attribuzioni svolte dal Consiglio superiore ha fatto discutere quella concernente le cosiddette “pratiche a tutela”, cioè gli interventi a tutela dell’indipendenza e del prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria, la cui procedura è attualmente prevista dall’art. 36 del Regolamento interno: ove tali interventi siano originati da situazioni in cui “l’esistenza di comportamenti lesivi del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria” abbia ricadute significative sull’organizzazione dell’ufficio giudiziario, l’intervento del Consiglio sembra rientrare nella “figura” costituzionale quale sopra delineata; negli altri casi, la circostanza che, eventualmente, il Consiglio svolga una discussione sulla proposta formulata dalla Prima Commissione non sembra costituire motivo di illegittimità dell’istituto (anche volendo ammettere – ma sul punto, v. infra, nt. 47 –che il Regolamento interno non possa validamente regolare i rapporti tra il Csm e soggetti “esterni”, una deliberazione di sostegno a questo o a quel giudice o ufficio giudiziario non appare estranea alla funzione di garanzia del Consiglio e comunque non implica attivazione di rapporti con soggetti esterni e tantomeno obblighi od oneri in capo ad essi; contra, N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale, cit., 43-44). Sulle pratiche a tutela v. ora G. Mammone, Il Csm prima e dopo il «nuovo» ordinamento giudiziario, in Foro it., 2019, V, 14 ss.; S. Panizza, Le pratiche a tutela, ivi, 73 ss.

[36] Per tutti F. Sorrentino, L’organizzazione costituzionale della Repubblica italiana, Genova, 1980, 141. Nella giurisprudenza costituzionale v. già la sent. n. 266 del 1988.

[37] V., ad es., N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale, cit., p. 24.

[38] Così, in una sorta di interpretazione “autentica” da parte del redattore della pronuncia, G. Silvestri, Consiglio superiore della magistratura, cit., 22 nt. 10. Sulla sent. n. 16 del 2011 v. i commenti critici di R. Pinardi, Sulla composizione degli organi di garanzia delle magistrature speciali (riflessioni a margine della sent. n. 16 del 2011 della Corte costituzionale), in Consulta online, 2011; V. Onida, Quando la Corte non vuole decidere, in Rivista AIC, 2/2011; G Ferri, L’indipendenza delle magistrature speciali e la composizione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, ora in Id., La magistratura in Italia. Raccolta di scritti, Torino, 2018, 309 ss.

[39] M. Devoto, Il ruolo del Consiglio superiore della magistratura nell’ordinamento costituzionale dello Stato, in L’ordinamento giudiziario. Testi, cit., 285.

[40] F. Sorrentino, I poteri normativi del Csm, in Magistratura, Csm e principi costituzionali, cit., 47. Può essere utile riportare un passaggio della Relazionedella Commissione Paladin (Relazione, cit., p. 1002), a proposito della disciplina legislativa in materia di organizzazione degli uffici giudiziari: “(…) riesce difficile immaginare che la nuova disciplina divenga così dettagliata e stringente, da annichilire il ruolo che per una serie di aspetti compete al Consiglio quale vertice organizzativo della magistratura ordinaria. Ed in qualche modo ne offre conferma – nella prassi – la mole dei quesiti rivolti al Csm dai più vari organi del giudiziario, ora concernenti l’interpretazione da dare alle circolari consiliari, ora riguardanti il senso da attribuire a determinate norme di legge: quesiti ai quali lo stesso Consiglio risponde in maniera sistematica, anche se tale da lasciare adito ai più seri dubbi circa il valore di risposte siffatte”.

[41] A. Pace, I poteri normativi del. Csm, in Rass. parl., 2/2010, soprattutto al § 5.

[42] Se ne veda un elenco in A. Pace, I poteri normativi, cit., § 5, nt. 27-30.

[43] Così l’art. 2, c. 2, d.-l. 17 febbraio 2017, n. 13, conv. in l. 13 aprile 2017, n. 48.

[44] V. in materia A. Ardituro, La circolare del Csm in materia di organizzazione degli uffici del pubblico ministero, in questionegiustizia.it (16 novembre 2017). Sulle precedenti linee-guida consiliari v. G. Salvi, Organizzazione del pubblico ministero e procura generale presso la Corte di cassazione, in Questione giustizia, 5/2011, 187 ss.

[45] G. Volpe, Consiglio superiore della magistratura, in Enc. dir., Agg., Milano, 2000, 391. Nella consiliatura 2014-2018 il profilo delle competenze consiliari in materia organizzativa ha avuto ulteriore sviluppo, essendosi pervenuti alla redazione di un vero e proprio “Codice dell’organizzazione degli uffici giudiziari”, deliberato il 25 luglio 2018 e consistente in una raccolta organica e selezionata della normativa secondaria e delle deliberazioni del Csm in materia di organizzazione degli uffici giudiziari. Il codice è integrato con le deliberazioni in tema di buone prassi (compreso un “manuale” di carattere generale) e linee guida in diversi ambiti: comunicazione istituzionale, intercettazioni, esame preliminare delle impugnazioni, modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti, esecuzioni immobiliari, responsabilità sanitaria e albi di periti e consulenti, ausiliari del giudice, violenza di genere, rapporti con il Consiglio nazionale forense.

[46] G.U.,serie generale, n. 235 del 7 ottobre 2016.

[47] Sottolinea l’inadeguatezza della qualificazione come “interno” del Regolamento in oggetto U. De Siervo, Il regolamento interno del CSM nel sistema delle fonti, in Osservatorio sulle fonti, 1/2018.

[48] Così F. Dal Canto, I poteri normativi del Csm, in Foro it., 2019, V, 69. Per la posizione del tema v. già R. Balduzzi-F. Sorrentino, voce Riserva di legge, in Enc. dir., 1989, 1213 ss.

[49] Anche perché poco meditate “riforme” potrebbero avere esiti inversi rispetto a quanto auspicato dai promotori. Si pensi, ad es., alla proposta (contenuto nell’Atto Camera n. 14 citato retro, nt. 25) di modificare l’attuale art. 105 Cost. specificando che altre competenze possano essere attribuite al Consiglio solo con legge costituzionale. A parte la circostanza che tale formulazione nulla direbbe con riferimento alla questione delle cosiddette funzioni implicite del Csm, da essa si trarrebbe un formidabile argomento a favore della natura di organo costituzionale à part entière del Consiglio (è per gli organi costituzionali che esiste una riserva di legge costituzionale in ordine alle loro attribuzioni), con la conseguenza che, proprio da tale natura, potrebbero trarsi in via interpretativa o di auto-attribuzione funzioni e competenze connesse a quelle enumerate… Già oggi, peraltro, la Corte costituzionale trae dall’art. 104 il “fondamento implicito” dell’autonomia costituzionale del Csm (ord. n. 166 del 2016).

[50] Sul punto v. G.M. Flick, Magistratura, incarichi extragiudiziari e politica, in Magistratura e politica, cit., pp. 169 ss. Recuperare, almeno in parte, la mai espressamente abrogata legge Smuraglia (l. 12 aprile 1990, n. 74; sulle tortuose interpretazioni dell’art. 7-bis di tale legge v. da ultimo G. Guglielmi, La segreteria e l’ufficio studi e documentazione, in Foro it., 2019, V, 52 ss.) potrebbe sul punto risultare utile, come pure lo sarebbe rimeditare la saggia indicazione di V. Onida, La posizione costituzionale del Csm e i rapporti con gli altri poteri, in B. Caravita (a cura di), Magistratura, Csm e principi costituzionali, cit., 29, secondo il quale “appare un elemento di anomalia, che non giova alla chiarezza dei rapporti, la tradizionale prassi, consacrata anche in leggi, di chiamare dei magistrati a coprire gli uffici del ministero, così dando vita ad una sorta di apparato di governo, costituito da magistrati, parallelo a quello che fa capo al Csm” (e, aggiungo io, se proprio si reputa di lasciare magistrati a capo di taluni uffici, almeno sarebbe opportuno ridurne il numero, anche evitando interpretazioni un po’ capziose della normativa vigente in tema di “tetti” al numero di magistrati collocabili fuori ruolo…).

[51] Nulla di nuovo sotto il sole, in quanto, già vent'anni fa, una commissione ministeriale, presieduta dal prof. Enzo Balboni dell’Università Cattolica, aveva proposto un siffatto modello: un sistema che presenta caratteri tipici del voto maggioritario, ma con effetti di tipo proporzionale, nella misura in cui tutti gli elettori o una grande maggioranza di essi esprimano le preferenze e si attengano alle indicazioni di lista (come ragionevolmente accadrebbe, in presenza di un corpo elettorale coeso e responsabilizzato): v. il testo della Relazione finale della Commissione di studio in Quad. cost., 3/1997, 541 ss. La proposta è ora contenuta nella risoluzione approvata dal Csm il 7 settembre 2016, recante il parere sulla relazione finale della Commissione ministeriale presieduta da Luigi Scotti (su cui v. F. Dal Canto, Lezioni di ordinamento giudiziario, Torino, 2018, 50 ss.). In tal modo, i gruppi dell'Anm potrebbero mantenere o rafforzare la caratteristica di componenti culturali e non di cordate di potere o di influenza: pertanto, recepire il suggerimento del Csm potrebbe essere opportuno. Si v. sul punto R. Balduzzi, Elezioni Csm. Correnti e non cordate, è sempre possibile fare meglio, in Avvenire, 15 settembre 2016; N. Zanon-F. Biondi, Il sistema costituzionale, cit., 36.

[52] Sul necessario carattere di organicità delle norme sull’ordinamento giudiziario v. da ultimo le considerazioni di S. Erbani, Il ruolo costituzionale del Csm, in Foro it., 2019, V, 22 s., e di F. Dal Canto, Lezioni, cit., 55 ss.

[53] Sulle riforme degli anni 2005-2007 v. l’equilibrata illustrazione di E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Bari-Roma, 2018, pp. 317 ss. Sottolinea con forza l’incompiutezza della riforma dell’ordinamento giudiziario G. Grasso, La riforma (incompiuta) dell’ordinamento giudiziario (in questo volume, § 1.3).

[54] Si vedano sul punto le considerazioni di A. Di Giovine, Potere giudiziario e democrazia costituzionale, in Magistratura e democrazia italiana, cit., 31 ss.;L. Geninatti Satè, Il ruolo costituzionale del C.S.M. e i limiti al sindacato giurisdizionale dei suoi atti, Torino, 2012, spec. 164 ss.

[55] Si vedano i documenti approvati all’interno della Rete europea dei Consigli di giustizia (ENCJ).

[56] Sul punto v. M. Volpi, I membri laici del Csm: ruolo politic

Balduzzi Renato



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