Il whistleblowing quale strumento di prevenzione e di lotta agli abusi sessuali e alla corruzione nel diritto canonico e nel diritto vaticano
Rosangela Miccichè *
Il whistleblowing quale strumento di prevenzione e di lotta
agli abusi sessuali e alla corruzione
nel diritto canonico e nel diritto vaticano**
English title: The whistleblowing as an instrument of prevention and struggle for sexual abuse and corruption in the canon and vatican law
DOI: 10.26350/18277942_000125
Sommario: 1. Introduzione. 2. Cenni sulla disciplina del whistleblowing e il suo recepimento nell’ordinamento giuridico italiano dopo il D.lgs. n. 24 del 2023. 3. Il whistleblowing e la normativa anticorruzione vaticana alla luce del Motu Proprio “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021. 4. La segnalazione degli abusi sessuali contro i minori e gli adulti vulnerabili e la tutela di “tutte le persone coinvolte” nella nuova versione del Motu Proprio “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023. 5. Conclusioni.
- Introduzione
Il diritto canonico è stato tradizionalmente caratterizzato dall’essere (se non proprio impermeabile), certamente poco incline a cedere alle suggestioni legislative provenienti dagli ordinamenti di matrice statale (al massimo nei limiti di cui alla canonizzazione delle leggi civili ex can. 22) [1].
Invero, al di là, di una periodica fascinazione giuridica verso gli sviluppi e gli avanzamenti teorici frutto dell’elaborazione normativa, giurisprudenziale e dottrinale verificatasi negli ordinamenti statali nel corso del tempo (si pensi al progetto, poi accantonato, di “Lex Ecclesiae fundamentalis”)[2], il diritto della Chiesa è rimasto a lungo ancorato ad una struttura culturale fondata sulla (finora) mai del tutto accantonata presunzione di superiorità anche nella dimensione giuridica, nonostante il superamento della visione della Chiesa quale “societas iuridice perfecta inaequalis” [3].
Inoltre, si è registrato, già a partire dal Concilio Vaticano II (specie in sede penale), un complessivo arretramento del diritto canonico troppo spesso considerato come uno strumento inconciliabile con la flessibilità propria della pastorale ecclesiale[4].
Al contrario, il pontificato di Francesco si è caratterizzato, tra le altre cose, per una intensa (ma non ipertrofica) produzione normativa, volta a riscoprire il valore pastorale del diritto come strumento per attuare il “munus regendi Ecclesiae” e, dunque, per conseguire il fine ultimo del diritto della Chiesa, ossia la “salus animarum fidelium” (can. 1752) [5].
Nella sua opera di recupero funzionale e valoriale del diritto[6], Francesco ha modificato sensibilmente l’approccio con il diritto di matrice statale cercando di cogliere in esso ciò che, con gli opportuni adattamenti, poteva essere proficuamente utilizzato per correggere e cercare di eliminare alcune storture e criticità emerse in ambito ecclesiale specie negli ultimi decenni[7]. La vasta produzione normativa del regnante pontefice denota, infatti, come la Chiesa abbia voluto “aprire le porte”, sviluppando oggi, più che mai, una marcata sensibilità nel recepire istituti che sono tipici della normativa secolare, non solo italiana ed europea bensì anche di matrice anglosassone[8].
Senza alcuna pretesa di esaustività, intendiamo, in questa sede, soffermare la nostra attenzione su uno specifico istituto giuridico proveniente dall’esperienza anglosassone di Common law e che - per il tramite del diritto internazionale ed europeo - è, di recente, entrato a fare parte anche dell’ordinamento italiano: il c.d. “whistleblowing”.
Con il termine “whistleblowing” si fa riferimento alla procedura - creata in ambito aziendalistico - volta ad incentivare la denuncia del dipendente, il c.d. “whistleblower”, (letteralmente traducibile come “soffiatore di fischietto”)che segnala, nell’interesse generale, illeciti conosciuti in ragione del rapporto di lavoro. La ratio dell’istituto - che rientra tra gli strumenti di prevenzione della corruzione tramite l’organizzazione - è quella da un lato di garantire il corretto funzionamento delle aziende e, dall’altro, di tutelare adeguatamente la riservatezza di chi faccia emergere condotte e fatti illeciti.
L’istituto del “whistleblowing” è oggi, più che mai, attuale alla luce del D.lgs. n. 24 del 10 marzo 2023, emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, avente ad oggetto la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali o del diritto dell’Unione, lesive dell’integrità dell’ente, di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito del proprio contesto lavorativo (sia esso pubblico o privato).
Questo istituto giuridico, su cui torneremo, in modo più dettagliato, a soffermarci, apparentemente così lontano dalla tradizione giuridica della Chiesa, si è invece (tendenzialmente) rivelato un efficace strumento di lotta a due piaghe che affliggono, a vari livelli, la Chiesa e che sono state oggetto di ripetuti interventi normativi di Francesco volti alla loro eradicazione dal tessuto connettivo ecclesiale. Ci riferiamo alla lotta alla corruzione in ambito vaticano e alla lotta agli abusi sessuali ai danni di minori o di persone vulnerabili nella Chiesa.
Sul punto basti pensare che, per lunghi anni, la Chiesa è stata accusata di celarsi dietro un muro di omertà nel tentativo (malriuscito) di occultare fatti gravi e forieri di scandalo, con il rischio di far perdere alla comunità dei fedeli la fiducia nella trasparenza della gestione della vita ecclesiastica. In questo contesto, l’inserimento dell’istituto del “whistleblowing” potrebbe rappresentare un punto di svolta normativo in quanto esso incarna, ormai per antonomasia, lo strumento giuridico ideale per combattere le condotte omertose, grazie al suo meccanismo operativo che crea un bilanciamento ottimale tra tutela del denunciante e garanzia del soggetto denunciato.
Analizzando la normativa emanata da Francesco in cui è possibile riscontrare un esplicito riferimento al “whistleblowing”, si nota che esso ha avuto dei richiami sia nel diritto vaticano che in quello canonico.
Con riferimento al diritto vaticano, si può citare il Motu proprio, con cui è stata emanata la legge “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021, con cui si è posto un “tassello” fondamentale nella lotta al fenomeno della corruzione all’interno del Vaticano.
Ancora, in relazione al diritto canonico, il “whistleblowing” trova utile applicazione per contrastare e prevenire gli abusi sessuali su minori e persone vulnerabili da parte di persone consacrate e sacerdoti in ambienti ecclesiali. Infatti, il Sommo Pontefice Francesco, nella nuova versione del Motu Proprio “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023, ha voluto prevenire e contrastare gli abusi sessuali contro i minori e gli adulti vulnerabili, rendendo - come vedremo - più fruibile e organicamente strutturata (tramite appositi uffici) la denuncia delle condotte illecite o sospette quale mezzo di lotta e anche di prevenzione degli abusi sessuali.
Si tratta, dunque, di un approccio culturalmente innovativo ed elastico che sa cogliere – senza rinunciare alla propria individualità e autonomia ordinamentale – tutto ciò che occorre per garantire il pacifico e ordinato svolgimento della vita ecclesiale intesa quale indispensabile precondizione per tutelare la salvezza delle anime.
In effetti, a ben vedere, l’azione intrapresa da Francesco rappresenta una sorta di nuova “glasnost”, intesa quale parte di una “perestrojka” ecclesiale che dovrebbe traghettare la Chiesa in una nuova fase della sua bimillenaria storia.
- Cenni sulla disciplina del whistleblowing e il suo recepimento nell’ordinamento giuridico italiano dopo il D.lgs. n. 24 del 2023
L’istituto del “whistleblowing” ha origini antichissime. Nasce nei Paesi di Common law, più precisamente negli Stati Uniti, nel lontano 1863. La disciplina del “whisteblowing” si è affermata in occasione dell’emanazione del “False Claims Act” detto anche “Lincoln Law” al fine di ridurre i comportamenti fraudolenti posti in essere ai danni del governo dai fornitori di materiale bellico durante la guerra di secessione, prevedendo una ricompensa per il denunciante[9].
Successivamente, nel 1998, in epoca che possiamo definire relativamente recente, il “whistleblowing” è stato disciplinato anche nel Regno Unito dal “Public Interest Disclosure Act” al fine di garantire una protezione ampia dalle possibili ritorsioni ai danni di dipendenti pubblici e privati, collaboratori, appaltatori, stagisti, ufficiali di polizia, lavoratori domestici e ogni professionista del Servizio sanitario nazionale, che denunciano irregolarità rilevanti, riferibili a reati, violazioni della legge civile, errori giudiziari, pericoli per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nei Paesi di Civil law, invece, l’istituto del “whistleblowing” nasce e si sviluppa, relativamente di recente, solo a seguito della spinta proveniente dal diritto internazionale e sovranazionale. Più precisamente, per quanto riguardo quest’ultimo, occorre fare riferimento alla “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione” firmata a Strasburgo il 4 novembre 1999, la quale all’art. 9 prevede una protezione adeguata per i dipendenti i quali, in buona fede, denuncino fatti di corruzione. Quanto all’altro versante, qualche anno più tardi, il 31 ottobre 2003, spicca la sigla della Convenzione di Mérida (“Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione”), la quale (all’art. 33) richiede a ciascuno Stato aderente di prevedere meccanismi di protezione per le persone che riferiscono su fatti corruttivi.
Per lungo tempo, per quanto concerne il diritto interno del Paese, la regolamentazione del “whistleblowing” è stata disciplinata nel settore pubblico rispettivamente dall’art. 54bis del D.lgs. 165/2001 e dalla Legge 179/2017[10]. Recentemente, si è reso necessario, a livello europeo, rivedere e armonizzare le singole legislazioni nazionali in tema di “whistleblowing”. A tale scopo è stato approvato un unico testo normativo che raccogliesse l’intera disciplina dei canali di segnalazione e delle tutele riconosciute al “whistlelblower” (ossia “l’informatore”), sia nel settore pubblico che privato.
In detto contesto si viene a collocare il D.lgs. n. 24 del 10 marzo 2023 in attuazione della Direttiva (UE) del 23 ottobre 2019 n. 1937, che “disciplina la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venuta a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato”[11].
Il nuovo testo normativo rappresenta, senza dubbio, un importante punto di svolta rispetto a quanto già precedentemente previsto dalla normativa di settore, poiché prevede non solo l’implemento delle pratiche già esistenti, ma anche l’aggiunta di maggiori tutele per i “whistleblower”, armonizzando la disciplina statale con quella europea.
Con riferimento all’ambito di applicazione soggettivo i destinatari della nuova normativa sono sia i soggetti del settore pubblico che quelli del settore privato (art. 3).
Per “soggetti del settore pubblico” si intendono, segnatamente, le amministrazioni pubbliche; le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione; gli enti pubblici economici; gli enti privati sottoposti a controllo pubblico; gli organismi di diritto pubblico; i concessionari di pubblico servizio e le società in house (imprese pubbliche che agiscono come un'estensione dell'amministrazione, tramite cui essa produce beni e servizi pubblici) anche se quotate.
Sono, invece, inquadrati come “soggetti del settore privato”, diversi da quelli rientranti nella definizione di soggetti del settore pubblico, quegli Enti che hanno impiegato la media di almeno 50 lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato o indeterminato nel corso dell’ultimo anno; oltre agli enti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione indicati dalla Direttiva (UE) 2019/1937 (anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di almeno 50 lavoratori subordinati), e agli enti privati dotati di modelli di organizzazione e gestione ex D.lgs. 231/2001 (parimenti non rilevando il mancato raggiungimento nell’ultimo anno della summentovata media di lavoratori subordinati).
Ulteriore novità è la previsione che affianca al canale di segnalazione interna, già previsto precedentemente, l’ipotesi di canali di segnalazione esterna[12]. Pur precisandosi che l’utilizzo del primo è sempre privilegiato, e che la scelta della seconda tipologia non è fatta a discrezione del “whistleblower”, ma può essere effettuata solamente in presenza di determinate condizioni previste dall’art. 6[13].
Il canale di segnalazione esterna è autonomo e indipendente, attivato dall’Autorità Nazionale anticorruzione (di seguito ANAC) che garantisce la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione[14].
Le segnalazioni esterne posso essere effettuate in forma scritta, tramite piattaforma informatica; in forma orale attraverso linea telefonica o altri sistemi di messaggistica vocale; mediante un incontro diretto, su richiesta del segnalante e fissato in un tempo ragionevole[15].
L’ANAC per la gestione del canale di segnalazione esterna si avvale dell’aiuto di personale specificamente formato che fornisce informazioni sull’utilizzo dei canali di segnalazione e sulle misure di protezione. Altresì, dopo aver dato avviso del ricevimento alla persona segnalante, si occupa di svolgere l’istruttoria necessaria a dare seguito alla segnalazione e, successivamente, dare riscontro alla persona segnalante entro tre mesi o, se ricorrono giustificate e motivate ragioni, sei mesi dalla data di avviso di ricevimento della segnalazione esterna o, in mancanza di detto avviso, dalla scadenza dei sette giorni dal ricevimento. Infine, deve comunicare al “whistleblower” l’esito finale che può consistere nell’archiviazione, nella trasmissione alle autorità competenti, in una raccomandazione o in una sanzione amministrativa[16].
Quanto agli obblighi, il D.lgs. n. 24/2023 rafforza notevolmente la tutela della riservatezza del “whistleblower”.
Le segnalazioni, infatti, non possono essere utilizzate oltre quanto necessario e sono sottratte all’accesso previsto per gli atti amministrativi. Altresì, l’identità della persona segnalante e qualsiasi altra informazione da cui può evincersi tale identità non possono essere rivelate - senza il consenso espresso della stessa persona segnalante - a persone diverse da quelle competenti, espressamente autorizzate, a ricevere o dare seguito alle segnalazioni. Il diritto alla riservatezza non è, però, assoluto, variando la sua tutela nel caso in cui il soggetto segnalante si trovi coinvolto in possibili procedimenti (siano essi di natura penale, civile, o disciplinare)[17].
L’identità delle persone coinvolte e delle persone menzionate nella segnalazione è tutelata fino alla conclusione dei procedimenti avviati.
Proprio nel rispetto degli obblighi di riservatezza, la segnalazione e tutti i relativi documenti sono conservati solo per il tempo strettamente necessario al trattamento e, comunque, per un tempo non inferiore a cinque anni a decorrere dall’esito finale della procedura di segnalazione[18].
Sempre a tutela del segnalante, il Capo III del D.lgs. n. 24/2023 predispone misure di protezione contro eventuali atti ritorsivi derivanti dalla segnalazione effettuata.
Il legislatore vieta qualsiasi forma di ritorsione anche solo tentata o minacciata e - a mero titolo esemplificativo e non esaustivo - indica all’art. 17, n. 4, talune fattispecie che costituiscono violazioni.
Le ritorsioni subite devono essere comunicate all’ANAC la quale, una volta ricevuta la segnalazione, la comunica ai competenti organi nel settore pubblico e privato per l’assunzione dei provvedimenti di competenza[19].
La dichiarazione di nullità degli atti ritorsivi spetta all’Autorità giudiziaria che adotta tutte le misure - anche provvisorie - necessarie ad assicurare la tutela alla situazione giuridica soggettiva azionata[20].
Oltre ai profili di responsabilità in cui può incorrere il soggetto segnalato, il D.lgs. 24/2023 prevede un regime sanzionatorio amministrativo pecuniario in misura variabile a seconda delle violazioni riscontrate. Altresì, è previsto uno specifico regime di responsabilità per il “whistleblower” che abbia formulato delle segnalazioni diffamatorie o calunniose, commesse con dolo o colpa grave[21].
La disciplina definitiva contenuta nel decreto legislativo, come si evince già a prima lettura, rappresenta il frutto del bilanciamento di istanze e sollecitazioni dei diversi soggetti pubblici e privati interessati alla normativa; ad uno sguardo più attento, poi, si coglie l’ispirazione di tale bilanciamento, rinvenibile nella volontà di creare una regolamentazione nazionale uniforme, basato su un preciso minimo comun denominatore.
Lo scopo ultimo, segnatamente, è stato sempre quello di creare un unico canale che proteggesse le persone segnalanti violazioni, gravi e rilevanti, di cui sono venuti a conoscenza in un contesto lavorativo, salvaguardando – al contempo - anche gli enti, dai danni economici e d’immagine derivanti da un utilizzo distorto dello strumento del “whistleblowing”.
L’istituto del “whistleblowing” ora tratteggiato può sembrare lontano dalle dinamiche intra-ecclesiali e dalle strutture di governance della Chiesa e, quindi, apparentemente privo di utilità alcuna per il governo della Chiesa universale. Invece, come spiegheremo meglio nei paragrafi successivi, può essere utilizzato e viene legislativamente previsto quale strumento efficace di prevenzione e di lotta agli abusi sessuali e alla corruzione nella Chiesa.
3. Il whistleblowing e la normativa anticorruzione vaticana alla luce del Motu Proprio “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021
Neppure la Chiesa, nella sua componente visibile e sociale terrena, è del tutto immune dal fenomeno della corruzione. Siffatto fenomeno, trova un suo peculiare contesto in ambito vaticano, in cui si esplica una peculiare componente temporale che è funzionale all’esercizio della missione terrena della Chiesa e dove, nel corso degli ultimi anni, si sono verificati taluni scandali finanziari che non hanno mancato di suscitare anche un certo clamore mediatico.
Papa Francesco, proseguendo l’opera intrapresa da Benedetto XVI[22], fin dal momento della sua elezione al soglio pontificio, si è reso promotore di una lotta serrata alla corruzione, definita una “piaga putrefatta della società … un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale…”[23].
L’obiettivo, perseguito tenacemente dall’attuale Pontefice, dell’adeguamento della legislazione vaticana agli standard internazionali più avanzati nella repressione dei fenomeni corruttivi, ha fornito l’occasione per l’introduzione in essa di uno strumento di segnalazione di “attività anomale”, esplicitamente ricalcato sullo schema tipico dell’istituto del “whistleblowing”[24]. In tal modo, infatti, si predilige l’idea di una Chiesa povera; una povertà che, però, non significa miseria bensì libertà dai beni materiali che inducono l’uomo a peccare e a distogliere la sua attenzione al bene supremo che è Dio.
La ratio che ha spinto il Pontefice ad emanare queste misure è quella di voler implementare le “buone pratiche” in un campo così delicato, intendendo fissare i principi generali e delineare una procedura unica in materia[25].
A tale scopo il Sommo Pontefice, come sopra accennato, ha emanato una lettera apostolica in forma di Motu Proprio “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica”, sulla gestione delle finanze, contro la corruzione e per la trasparenza.
La lettera apostolica si rivolge a coloro che “prestano la loro opera nei Dicasteri della Curia Romana, nelle istituzioni collegate alla Santa Sede, o che fanno riferimento ad essa, e nelle amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano” e che “hanno la particolare responsabilità di rendere concreta la fedeltà di cui si parla nel Vangelo, agendo secondo il principio della trasparenza e in assenza di ogni conflitto di interesse”[26].
Il pontefice stabilisce che quanti sono inquadrati o da inquadrare ai livelli dirigenziali (compresi i cardinali che guidano dicasteri o enti religiosi) devono sottoscrivere al momento dell’assunzione dell’ufficio o dell’incarico e con cadenza biennale una dichiarazione contenente una serie di attestazioni.
Più precisamente, devono dichiarare di non aver riportato condanne definitive per delitti dolosi, di non aver beneficiato in relazione agli stessi di indulto, amnistia, grazia e altri provvedimenti assimilabili, di non essere stati assolti dagli stessi per prescrizione. Altresì, sempre nella stessa dichiarazione devono indicare di non essere sottoposti a processi penali pendenti e ad altri indagini per aver commesso dei delitti[27].
Quanto, invece, al possesso di beni materiali, devono dichiarare di non detenere, anche a nome di altri, contanti o investimenti, ivi incluse le partecipazioni o interessenze in società e aziende, in paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni ad alto rischio di riciclaggio, di finanziamento del terrorismo e nella lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali ovvero in paesi che operino con finalità e in settori contrari alla Dottrina Sociale della Chiesa. L’unica deroga a questo divieto è il caso in cui il dichiarante o i suoi consanguinei entro il terzo grado siano residenti in detti paesi o vi abbiano stabilito il domicilio per comprovate ragioni familiari, di lavoro o di studio[28].
Tutti i beni in possesso del dichiarante e i compensi da lui percepiti devono avere provenienza lecita e non devono costituire profitto di reato[29].
La dichiarazione firmata è conservata dalla Segreteria per l’Economia nel fascicolo personale del dichiarante[30]. Tale dichiarazione costituisce un documento di notevole importanza perché rappresenta la prova di quanto affermato dal soggetto e che potrà, se del caso, essere utilizzata contro il dichiarante. Infatti, la mancata iscrizione ovvero la dichiarazione falsa o mendace costituiscono grave illecito disciplinare per il dichiarante[31].
L’emanazione della lettera apostolica in esame è senza dubbio un passo importante per prevenire, a monte, la corruzione. Non si tratta, tuttavia, di una novità assoluta, in quanto già nel 2019 era stato introdotto uno strumento per la segnalazione di “attività anomale” previsto dallo Statuto dell’Ufficio del Revisore, approvato il 21 gennaio 2019.
Ai sensi della già citata Convenzione di Mérida[32] - alla quale la Santa Sede, ha aderito (il 19 settembre 2016) anche a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano - l’Ente a cui è stato affidato il compito di ricevere le segnalazioni è l’Ufficio del Revisore Generale, in funzione di autorità anticorruzione[33].
Il Revisore Generale, custode della sicurezza delle segnalazioni, ha il compito di ricevere le segnalazioni relative ad anomalie nell’impiego o nell’attribuzione di risorse finanziarie o materiali; irregolarità nella concessione di appalti o nello svolgimento di transazioni o alienazioni; atti di corruzione o frode; di persone che ne sono venute a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni[34].
Dopo una prima analisi della segnalazione, il Revisore Generale scrive una relazione in merito che presenta in aggiunta alla relativa segnalazione, ad un’apposita commissione composta dall’Assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, dal Prelato Segretario del Consiglio per l’Economia e dal Segretario della Segreteria per l’Economia. Il compito della Commissione è quello di analizzare, ancora volta, la segnalazione e, in caso di fondatezza, trasmetterla all’autorità competente[35].
Si evidenzia che la normativa, seppur meno dettagliata rispetto a quella prevista dal D.lgs. 24/2023 ricalca e riprende l’istituto del “whistleblowing”. Questo si evince, già in prima battuta, dalla denominazione “whistleblower” utilizzata per indicare la persona che fa la segnalazione (art. 7, § 2).
Anche in questi casi, seppur in maniera meno dettagliata del D.lgs. n. 24/2023, è prevista una tutela per il “whistleblower”. Il Revisore Generale, infatti, custodisce la confidenzialità, l’integrità e la sicurezza delle segnalazioni. L’identità del “whistleblower” è rivelata soltanto all’autorità giudiziaria quando quest’ultima, con decisione motivata, ne affermi la necessità a fini di indagine o di attività giudiziaria[36].
Si evidenzia che - per una maggiore credibilità della segnalazione che coinvolge aspetti delicati all’interno del Vaticano - alle segnalazioni anonime non viene dato alcun seguito[37].
Tutti gli operatori hanno l’obbligo del segreto d’ufficio sulle questioni conosciute in ragione del loro servizio. Tale obbligo può essere derogato solo in presenza di determinate condizioni. Nel caso di segnalazioni delle attività anomale fatte in buona fede, non si ha alcuna responsabilità per la violazione del segreto di ufficio o di eventuali altri vincoli alla divulgazione che siano dettati da disposizioni di legge, amministrative o contrattuali[38].
Evidente appare, già alla luce di questi agili cenni, la finalità primaria dell’introduzione dello strumento del “whistleblowing”: combattere la corruzione nell’ordinamento vaticano ripristinando l’idea di una Chiesa missionaria e per i poveri; dando contestualmente prova che il il diritto vaticano, pur essendo un complesso di norme che regolano la vita di uno Stato, deve, comunque, essere improntato alla missione evangelizzatrice che la Santa Sede ha il compito di esercitare nella società anche per il tramite della sua attività istituzionale.
Tuttavia, comparando quanto previsto dal D.lgs. n. 24/2023 e quanto previsto dal diritto vaticano si notano alcune divergenze tra i due istituti previsti.
In primo luogo, si evidenzia che all’interno della normativa vaticana manca una dettagliata descrizione delle modalità di segnalazione previste, invece, dal D.lgs. n. 24/2023. Prevedere appositi strumenti di segnalazione potrebbe essere utile per fornire maggiori chiarimenti e supporti a coloro i quali vogliono effettuare una segnalazione per la prima volta.
La tutela della riservatezza e la protezione del “whistleblower”, invece, è prevista in entrambi gli ordinamenti. Nell’ordinamento statale, però, è più ampia e annovera non solo il soggetto segnalante ma anche tutta la documentazione inerente alla segnalazione. Nell’Ordinamento vaticano, invece, è totalmente assente la predisposizione di misure di protezione contro eventuali atti ritorsivi derivanti dalla segnalazione effettuata[39].
Questo è un grave vuoto normativo che dovrebbe essere colmato il prima possibile, poiché conseguenza diretta della segnalazione è, purtroppo assai spesso la ritorsione nei confronti del “whistleblower”. Infatti, al fine di una più efficace azione preventiva e repressiva della corruzione sarebbe certamente auspicabile prevedere più ampie tutele e maggiore riservatezza e protezione per il “whistleblower”, com’è già espressamente previsto dal D.lgs. 24/2023. Infatti, è un dato esperienziale che è proprio la paura di ritorsioni, minacce e intimidazioni che spesso porta a celarsi nel silenzio e nell’indifferenza, dando vita ad atteggiamenti forzatamente omertosi.
- La segnalazione degli abusi sessuali contro i minori e gli adulti vulnerabili e la tutela di “tutte le persone coinvolte” nella nuova versione del Motu Proprio “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023
Gli abusi sessuali a danno dei minori e delle persone vulnerabili commessi da religiosi e chierici specie in ambienti ecclesiali sono un tema assai delicato e non facile da gestire, poiché sconvolge l’intera comunità ecclesiale, causando sgomento e scandalo.
Affrontare questa piaga ecclesiale non è mai stato semplice, poiché le rivelazioni degli abusi sessuali commessi incrinano inevitabilmente l’immagine di una Chiesa trasparente e giusta, che si propone come guida morale e spirituale e ciò ha, talvolta, indotto le autorità ecclesiastiche ad assumere atteggiamenti omertosi.
Invero, sul tema degli abusi sessuali a danno dei minori, una delle accuse più ricorrenti che in questi anni la Chiesa si è vista muovere è stata proprio quella della eccessiva indulgenza o tolleranza, se non addirittura quella di aver operato veri e propri tentativi di insabbiamento o di copertura[40].
Tuttavia, negli ultimi anni, la Chiesa, con un netto cambio di marcia rispetto al passato, ha contrastato, con una rigida e articolata normativa, gli abusi sessuali a danno dei minori e degli adulti vulnerabili, avviando una politica di incoraggiamento alla denuncia, di tutela per la vittima di abuso e di punizione per gli autori degli abusi[41]. Papa Francesco, infatti, fin dall’inizio del suo pontificato, si è fatto promotore di una lotta serrata agli abusi sessuali, combattendo apertamente e senza alcuna indulgenza ogni atteggiamento guidato dall’omertà ed emanando numerosi provvedimenti per combattere questa piaga[42].
Tra i principali provvedimenti per combattere gli abusi sessuali nella Chiesa a danno dei minori e degli adulti vulnerabili e combattere per l’appunto atteggiamenti omertosi vi è il Motu Proprio “Vos estis lux mundi” del 07 maggio 2019 con cui si è introdotta, ad experimentum per un triennio, una nuova procedura di presentazione delle segnalazioni di abusi. Inoltre, con tale provvedimento, si è introdotto un generale obbligo (posto in capo sia ai chierici, sia ai religiosi) di segnalazione di eventuali abusi di cui si abbia notizia alle competenti autorità ecclesiastiche[43].
Con detto provvedimento il papa ha confermato la volontà di proseguire, implementare e ampliare la lotta a questi odiosi crimini, sancendo normativamente che il responsabile non è soltanto chi materialmente commette il delitto ma è anche colui che, venuto a conoscenza, anche indirettamente, del reato commesso, in qualità di persona informata sui fatti, decide scientemente di tacere.
Decorso il triennio di prova, il 25 marzo 2023 il Sommo Pontefice ha emanato la versione definitiva e aggiornata del Motu Proprio “Vox estis lux mundi” al fine di favorire una migliore applicazione di quanto già stabilito precedentemente e di introdurre ulteriori novità, tenuto conto delle osservazioni pervenute dalle Conferenze Episcopali e dai Dicasteri della Curia Romana, fermo restando quanto già stabilito precedentemente quanto all’oggetto e alle finalità da perseguire.
La nuova edizione della “Vox estis lux mundi” si inserisce nell’alveo delle ampie riforme che hanno riguardato, negli ultimi anni, la normativa penale canonica e che si sono prevalentemente concentrate nella riforma del libro VI del Codice di diritto canonico, attuata con la Costituzione Apostolica “Pascite Gregem Dei” del 23 maggio 2021[44].
L’ambito di applicazione delle norme riguarda la commissione di un delitto (commesso con violenza, minaccia, costrizione, ecc.) contro il VI comandamento del Decalogo ai danni di un minore o di un adulto vulnerabile.
Si evidenzia subito che quanto stabilito dalla Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” ricalca, seppur con alcune significative differenze, l’istituto del “whistleblowing” previsto dal D.lgs. n. 24/2023.
Ancora una volta, quindi, la Chiesa prende spunto dal diritto di matrice statale recependolo, seppur indirettamente, all’interno del diritto canonico.
Venendo ad analizzare i principali aspetti del provvedimento, occorre dire che la denuncia prende le mosse dalla segnalazione che diventa, dunque, lo strumento privilegiato per acquisire la notitia criminis e per dare avvio all’indagine previa (can. 1717).
Per favorire una migliore e più ampia ricezione delle segnalazioni, le Diocesi e le Eparchie hanno l’obbligo di dotarsi di organismi o di uffici facilmente accessibili al pubblico. La segnalazione, una volta acquisita, deve essere trasmessa con celerità dall’Ordinario che l’ha ricevuta a quello del luogo (se diverso) dove sarebbero avvenuti i fatti, nonché all’Ordinario proprio della persona segnalata. È l’Ordinario del luogo dove sarebbero avvenuti i fatti che si occupa di procedere secondo quanto stabilito dalle leggi per il caso specifico[45].
Tutte le segnalazioni sono tutelate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza.
Non sono previste limitazioni riguardanti i soggetti che possono presentare le segnalazioni. Il testo della norma, infatti, utilizza il termine “chiunque”; anche se si fa specifico riferimento ai fedeli laici che “ricoprono uffici o esercitano ministeri nella Chiesa”[46].
Quando alle modalità della denuncia, onde favorire una maggiore credibilità alle segnalazioni e assicurare un’adeguata valutazione dei fatti, trattandosi di argomenti delicatissimi, è necessario che la segnalazione sia quanto più dettagliata possibile nell’indicazione dei luoghi, del tempo, dei soggetti coinvolti, delle persone che sono state informate dell’accaduto, riportando qualsiasi altra informazione utile. Altre ulteriori notizie possono essere acquisite ex officio[47].
Si evidenzia che, come previsto nei casi di corruzione vaticana, anche in materia di abusi sessuali a danno dei minori e degli adulti vulnerabili, la segnalazione non costituisce violazione del segreto d’ufficio per chi la effettua.
Fondamentale è la protezione garantita al soggetto segnalante onde evitare pregiudizi, ritorsioni o discriminazioni che potrebbero scaturire dalla denuncia. Come parimenti importante appare l’estensione della tutela anche alle famiglie delle vittime (non prevista dal D.lgs. n. 24/2023 anche per l’oggettiva diversità delle materie coinvolte).
Come è noto, l’abuso sessuale a danno del minore e dell’adulto vulnerabile è causa di conseguenze fisiche e psichiche - immediate o con comparsa in tempi successivi - particolarmente gravi. Tali conseguenze (quali, ad esempio, l’insorgenza di disturbo post-traumatico da stress, il disturbo borderline di personalità o stati dissociativi e molteplici patologie della sfera psichica) non coinvolgono solamente il soggetto abusato, ma inevitabilmente, anche la loro famiglia che diviene anch’essa vittima, seppure indiretta, dell’abuso.
Al fine di fornire adeguata protezione e di non lasciare nessuno da solo, le autorità ecclesiastiche si impegnano a fornire accoglienza, ascolto e accompagnamento, anche tramite appositi servizi; assistenza spirituale; assistenza medica, terapeutica e psicologica[48].
Il Titolo II della “Vox estis lux mundi” prosegue concentrando l’attenzione ai casi in cui gli abusi sono commessi dai Vescovi ed equiparati (Cardinali, Patriarchi, chierici, ecc.)[49].
Il Dicastero competente [50] al fine di assicurare maggiore coordinamento, informa della segnalazione e dell’esito dell’indagine la Segreteria di Stato e gli altri Dicasteri direttamente interessati.[51]
La lettera apostolica prevede una procedura diversificata a seconda che la segnalazione riguardi il Metropolita ovvero un Legato Pontificio. Nel primo caso la segnalazione è inoltrata è al Vescovo suffraganeo più anziano; nel secondo caso, invece, è trasmessa direttamente alla Segreteria di Stato[52].
Il Metropolita, dopo aver ricevuto la segnalazione, chiede al Dicastero competente l’incarico per avviare l’indagine[53]. È, quindi, il Dicastero stesso a fornire le opportune istruzioni su come procedere nel caso concreto[54].
Nell’ipotesi in cui il Metropolita ritenga la segnalazione manifestamente infondata, informa il competente Dicastero e ne dispone l’archiviazione[55].
Nonostante la segnalazione iniziale sia stata ricevuta dal Metropolita, in alcuni casi, il Dicastero competente, sentito il Rappresentante Pontificio, può ritenere opportuno affidare l’indagine ad una persona diversa. In questo caso tutte le informazioni e i documenti rilevanti sono consegnati alla persona incaricata dal Dicastero[56].
Nel caso in cui la segnalazione venga, invece, affidata al Metropolita, questi è sempre responsabile della direzione e dello svolgimento delle indagini, anche nel caso in cui si avvalga dell’aiuto di collaboratori.
Momento fondamentale, successivo al ricevimento della segnalazione, è lo svolgimento dell’indagine.
Il primo passo da compiere per il Metropolita è quello di raccogliere tutte le informazioni rilevanti in merito ai fatti accaduti e accede alle informazioni e ai documenti necessari ai fini dell’indagine custoditi negli archivi degli uffici ecclesiastici; in questo momento, se lo ritiene necessario, può chiedere informazioni alle persone e alle istituzioni, anche civili, che siano in grado di fornire elementi utili per l’indagine[57].
Onde ottenere quanto più notizie possibili, può essere necessario sentire un minore o un adulto vulnerabile[58]. Nel rispetto della loro fragile condizione, tuttavia, sono approntate specifiche cautele, dovendo in particolare essere sentiti adottando modalità adeguate, che tengano conto della loro condizione e delle leggi dello Stato, ad esempio, avvalendosi della normativa statale in materia di “audizione protetta” dei minori[59].
Il Metropolita deve agire come soggetto terzo e imparziale per garantire un’indagine integra. Per tale ragione, deve segnalare al Dicastero competente i casi in cui si trovi in conflitto di interessi o non sia in grado di mantenere l’imparzialità[60].
Alla persona indagata è sempre riconosciuta la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva (cfr. can. 1321, § 1) e la legittima tutela della sua buona fama[61]. Motivo per cui, al fine di garantirgli anche una difesa, si contemplano alcune cautele: potendo essere la prima informata dell’indagine a suo carico; sentita dal Dicastero competente; ed invitata a presentare una memoria difensiva, avvalendosi di un procuratore.
Periodicamente, secondo le indicazioni ricevute, il Metropolita trasmette al Dicastero competente (Vescovi, Religiosi, Dottrina della Fede) una comunicazione sullo stato delle indagini[62], le quali devono essere concluse entro breve tempo, anche se è prevista la proroga, in presenza di determinate condizioni[63].
Quale mezzo al fine, poi, per garantire un’indagine più giusta possibile, in presenza di determinati fatti o circostanze si prevede che il Metropolita proponga al Dicastero competente l’adozione di provvedimenti o di misure cautelari appropriate nei confronti dell’indagato. I provvedimenti sono adottati dal Dicastero, sentito il Rappresentante pontificio[64].
Dopo aver completato l’indagine, il Metropolita trasmette l’originale degli atti al Dicastero competente insieme al proprio votum sui risultati dell’indagine; la copia degli atti viene conservata presso l’Archivio del Rappresentante Pontificio competente[65].
Il Metropolita, nel rispetto delle istruzioni del Dicastero competente, su richiesta, informa dell’esito dell’indagine la persona che asserisce di essere stata offesa e l’autore della segnalazione[66].
Si precisa che tutte le norme della lettera Apostolica si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali. In tal senso, degno di menzione, è il disposto dell’art. 20 dedicato proprio all’osservanza delle leggi statali, in cui si stabilisce che “le presenti norme si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti eventuali obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti”. Si tratta di un’interessante precisazione di evidente interesse ecclesiasticistico che mira a creare un’interfaccia performante tra Stato e Chiesa, al fine di scongiurare eventuali disfunzionalità connesse a improvvide interferenze nell’azione delle autorità ecclesiastiche e statali.
Stante quanto sin qui evidenziato, non si può fare a meno di notare che lo strumento di repressione degli abusi sessuali a danno dei minori e degli adulti vulnerabili previsto dalla Chiesa ricalca, sebbene con inevitabili differenze, l’istituto del “whistleblowing” previsto dal D.lgs. n. 24/2023.
Seppure le modalità di segnalazione, per ovvi motivi, siano diverse, entrambi gli istituti prevedono garanzie a protezione del “whistleblower”:in primo luogo, è fondamentale la tutela dalle ritorsioni, pregiudizi o discriminazioni che questi soggetti potrebbero subire; in secondo luogo, al fine di esortare sempre di più le segnalazioni, occorre garantire una adeguata segretezza all’identità del soggetto segnalante.
Comparando entrambi gli istituti, si nota subito che sia il D.lgs. n. 24/2023 che la lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” descrivono in maniera dettagliata il procedimento di segnalazione.
Quanto alle possibili tutele previste per il soggetto segnalante il D.lgs. n. 24/2023, senza ombra di dubbio, l’impronta recata dalla normativa ivi raccolta appare più efficace e garantista.
Non si deve, però, dimenticare che il diritto della Chiesa prevede una tutela per coloro che, seppur in modo collaterale, vengono colpiti dall’abuso. Questa è una novità non prevista dal diritto statale che, sarebbe auspicabile potesse anche far propria (ove applicabile), dal momento in cui, in casi del genere non c’è solo un carnefice e una vittima. In ogni caso viene messo in evidenza l’obbligo di denuncia in caso di sospetto di abuso e anche di negligenza nel trattamento dei casi da parte dei superiori, siano essi vescovi o superiori religiosi.
La diversa sensibilità della Chiesa su questi temi delicatissimi e l’emanazione delle nuove norme canoniche negli ultimi venti anni hanno permesso di istruire presso la Congregazione per la Dottrina della Fede molti procedimenti e di infliggere pesanti sanzioni canoniche nei confronti dei sacerdoti colpevoli[67]. A ben vedere, ciò rappresenta il segno tangibile di una reazione attiva e non più meramente passiva di tutta la comunità ecclesiale che segna l’avvio di una nuova fase di trasparenza e di riparazione[68].
- Conclusioni
Fin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco si è dimostrato essere un pontefice innovatore, intraprendendo un’incisiva azione riformatrice basata sulla rivalutazione in senso pastorale del diritto penale canonico non più visto come estrema ratio bensì come un ordinario strumento di governo della Chiesa[69].
L’aspetto caratterizzante e qualificante dell’azione legislativa di Francesco è stato quello di adeguarsi alla modernità giuridica senza snaturare il diritto canonico. Vale a dire che si è fatto ricorso agli strumenti normativi più attuali offerti dal diritto di matrice statale per colmare quelle lacune giuridiche presenti nel diritto della Chiesa che, su alcuni fronti (come quello della lotta alla corruzione o agli abusi sessuali) segnava un progresso troppo lento che lo rendeva inadeguato a fare fronte alle crescenti sfide provenienti dalla società moderna. Tutto ciò è accaduto anche nel caso dell’istituto del “whistleblowing”, in cui il diritto canonico si serve del diritto di matrice secolare recependone, seppur con opportuni accorgimenti e adattamenti, alcuni istituti giuridici al fine di trovare nuove armi legislative per combattere i mali che affliggono la Chiesa moderna.
Questo atteggiamento innovatore e riformatore ha finito per avvicinare, almeno in questa materia, gli ordinamenti statali e quello canonico, al punto che essi sembrano agire in maniera complementare e combinata per il bene comune dell’intera società.
Si tratta, a ben vedere, di un approccio certamente utile e condivisibile da un punto di vista pratico e applicativo ma che non si presenta del tutto immune da rischi, se non giuridici in senso stretto, certamente culturali.
Invero, l’utilizzo su vasta scala, sia a livello di diritto vaticano che di diritto canonico, di norme come quella del “whistleblowing” – prevalentemente votate all’applicazione all’interno di aziende commerciali per consentirne un migliore funzionamento e incrementarne la produttività –reca in particolare l’inconveniente di dare una visione “aziendalistica” della Chiesa - che non può mai essere considerata una holding - inclinando il piano giuridico verso uno scivoloso modernismo che occorre sempre controbilanciare attraverso la tutela delle bimillenarie tradizioni anche normative della Chiesa, onde evitare una sorta di secolarizzazione normativa[70].
Abstract: The article deals with the Anglo-Saxon legal institution of 'whistleblowing', which has recently become part of the Italian legal system as well. This legal institute has become an effective tool in the fight against Vatican corruption and sexual abuse of minors or vulnerable persons in the Church. The institute of 'whistleblowing' has had echoes in Vatican and Canon Law with the enactment of the Law on Transparency in Public Finance Management of 26 April 2021 and with the new version of the Motu Proprio 'Vox estis lux mundi' of 25 March 2023. In the Church, the inclusion of the institute of "whistleblowing" therefore represents a high-performance legal tool for combating whistleblowing conduct, thanks to its operational mechanism that creates an optimal balance between protecting the whistleblower and guaranteeing the whistleblower.
Keywords: whistleblowing - vatican anti-corruption legislation - reporting of sexual abuse
* Università degli Studi di Palermo (rosangela.micciche@unipa.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Sul punto si rinvia a P. Ciprotti, voce Canonizzazione delle leggi civili, in Enciclopedia del Diritto, vol. V, Milano 1959, pp. 1085-1089; G. Boni, La rilevanza del diritto dello Stato nell'ordinamento canonico: in particolare la canonizatio legum civilium, Giuffrè, Milano, 1998; Id. Norme statuali e ordinamento canonico: premessa ad uno studio sulla canonizatio, in Il Diritto ecclesiastico 107 (1996), pp. 265-347; M. Ferrante, I presupposti dell’atto giuridico, in AA.VV., L’atto giuridico nel diritto canonico, Città del Vaticano 2002, 65-88; J. Miñambres, Il diritto divino come limite al rinvio normativo nell’ordinamento canonico, in J.I. Arrieta (cur.), Ius divinum. Atti del XIII Congresso Internazionale di Diritto Canonico (Venezia 17-21 settembre 2008), Venezia 2010, pp. 501-512.
[2] In argomento, a solo titolo di esempio, AA. VV., El proyecto de Ley Fundamental de la Iglesia. Texto bilingüe y análisis crítico, Pamplona 1971; J. Beyer, De Legis Ecclesiae Fundamentalis redactione, natura et crisi, in «Periodica de re morali canonica liturgica» 61 (1972) 525-551; AA. VV., Legge e vangelo. Discussione su una legge fondamentale per la Chiesa, Brescia 1972, pp. 712; AA. VV., Lex Ecclesiae Fundamentalis. Atti della Tavola rotonda, Macerata, 12- 13 ottobre 1971, a cura di A. Moroni, Milano 1973; AA. VV., Lex Ecclesiae Fundamentalis [Studia et documenta iuris canonici, VI], Roma 1974; P. Lombardia, voce Costituzione della Chiesa, in Enciclopedia giuridica, X, Roma, 1988; L. Graziano, La Lex fundamentalis per la Chiesa nel magistero di P.A. D’Avack, P. Gismondi, E. Corecco e P. Lombardia, in «Il diritto ecclesiastico» 108 (1997) I, 653-670.
[3] Sul punto cfr. G. Mucci, La Chiesa come società giuridicamente perfetta, in Ius Ecclesiae, V, 29, n. 2 (2017), pp. 413-419; P. Valdrini, Communauté et institution en droit canonique, in M. Tedeschi (ed.), Comunità e soggettività (Cosenza, 2006), p. 409.
[4] C. J. Errázuriz, Il diritto e la giustizia nella Chiesa. Per una teoria fondamentale del diritto canonico,II ed., Milano, 2019, p. 51 ss, e relativi rimandi bibliografici.
[5] Cfr. G. Boni, Il libro VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia: novità e qualche spigolatura critica, in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), n. 11 del 2022.
[6] Cfr. M. Carnì, Papa Francesco legislatore canonico e vaticano, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 2, 2016, p. 345 ss.
[7] Si vedano le riflessioni – anche in chiave comparativa – di M. D’Arienzo, La circolarità dei «modelli culturali e giuridici» nelle recenti riforme di diritto penale vaticano, canonico e italiano. Brevi spunti di riflessione, in Diritto e Religioni, 1, 2022, p. 319 ss.
[8] Sul piano del diritto internazionale si segnala la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, (UNCAC), che è l’unico strumento anticorruzione universale legalmente vincolante. Nota anche come Convenzione di Mérida è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre del 2003 ed è entrato in vigore a dicembre del 2005. Si tratta di un trattato che già nel preambolo evoca il necessario sforzo da parte degli Stati di combattere il fenomeno della corruzione tramite la collaborazione e l’adozione di strumenti internazionali. In argomento cfr. A. Casabona, Compliance e prevenzione della corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Modelli organizzativi e profili di responsabilità, in Jus-online, 2021, p. 63 e ss.
[9] Per maggiori approfondimenti si rinvia a P. Barba, Whistleblowing. Il nuovo strumento di segnalazione anticorruzione, CRIS edizioni, Lecce, 2021; C. Polidori, I. Maccani, Controlli, ispezioni, indagini difensive e whistleblowing. Guida operativa per pubbliche amministrazioni, enti e società, Il Sole 24 Ore S.p.A., Milano, 2021.
[10] Art. 54bis D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 “1. Il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L'ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza”.
[11] Art. 1, 1° D.lgs. 24/2023, Ambito di applicazione oggettivo. Si precisa che le nuove disposizioni avranno effetto a partire dal 15 luglio 2023 (per coloro i quali, nel settore privato, abbiano assunto con contratto di lavoro subordinato una media di lavoratori non superiore a 249, l’obbligo di istituzione del canale di segnalazione interna avrà effetto a decorrere dal 17 dicembre 2023). Sul punto S. Logroscino, Considerazioni critiche sui nuovi canali di segnalazione previsti dal D. Lgs. n. 24/2023 in materia di Whistleblowing, con particolare riferimento agli enti del settore privato, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, p. 4 ss. V. altresì S. M. Corso, Segnalazione di illeciti e organizzazioni di lavoro. Pubblico e privato nella disciplina del Whistleblowing, Torino, 2020.
[12] Art. 4 e 5 D.lgs. 24/2023, rispettivamente “canali di segnalazione interna” e “gestione del canale di segnalazione interna”. Pare interessante notare che le disposizioni del decreto espressamente non si applicano «alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate». Quanto ai motivi che hanno indotto il whistleblower a effettuare la segnalazione, questi sono da considerarsi irrilevanti al fine di decidere sul riconoscimento delle tutele previste dal decreto.
[13] Art. 6 D.lgs. 24/2023: “1. La persona segnalante può effettuare una segnalazione esterna se, al momento della sua presentazione, ricorre una delle seguenti condizioni: a) non è prevista, nell'ambito del suo contesto lavorativo ,l'attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna ovvero questo, anche se obbligatorio, non è attivo o, anche se attivato, non è conforme a quanto previsto dall'articolo 4; b) la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna ai sensi dell'articolo 4 e la stessa non ha avuto seguito; c) la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, se effettuasse una segnalazione interna, alla stessa non sarebbe dato efficace seguito ovvero che la stessa segnalazione possa determinare il rischio di ritorsione; d) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse”.
[14] Art. 7, 1° D.lgs. 24/2023, “canali di segnalazione esterna”.
[15] Art. 7, 2° D.lgs. 24/2023.
[16] Cfr. art. 8, n. 1 D.lgs. n. 24/2023.
[17] Cfr. art. 12 D.lgs. n. 24/2023.
[18] Cfr. art. 14 D.lgs. n. 24/2023.
[19] Art. 19, 1°, D.lgs. n. 24/2023. Nell’ambito di procedimenti giudiziari o amministrativi o comunque di controversie stragiudiziali aventi ad oggetto l’accertamento dei comportamenti, atti o omissioni vietati ai sensi del presente articolo nei confronti dei segnalanti, si presume (invertendo l’onere della prova) che gli stessi siano stati posti in essere a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile. L’onere di provare che tali condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione pubblica o alla denuncia è a carico di colui che li ha posti in essere.
[20] Art. 19, 4°, D.lgs. n. 24/2023.
[21] Valorizzando la buona fede del segnalante al momento della segnalazione, è previsto che la persona segnalante beneficerà delle tutele solo se, al momento della segnalazione, aveva fondato motivo di ritenere che le informazioni sulle violazioni segnalate, divulgate pubblicamente o denunciate fossero vere. Quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele non sono garantite e alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare. Cfr. art. 21 D.lgs. n. 24/2023.
[22] Cfr. F. Sgubbi, D. Fondaroli, A. Astrologo, G. Silvestri, La legislazione antiriciclaggio dello Stato della Città del Vaticano: una comparazione con il sistema italiano, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 9 del 2013.
[23] Prosegue ancora il regnante pontefice: “la corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo”. Cfr. n. 19 della Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia (Misericordiae Vultus) dell’11 aprile 2015. In argomento si rinvia aa AA.VV., E. Bani, P. Consorti, Finanze vaticane e Unione europea. Le riforme di papa Francesco e le sfide della vigilanza internazionale, Bologna, Il Mulino.
[24] Cfr. A. Licastro, Il Whistleblowing e la denuncia degli abusi sessuali a danno dei minori della Chiesa, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 34 del 2019, p. 125.
[25] Sul punto cfr. R. Trezza, Conflitti di interessi e corruzioni: annotazioni sparse sul nuovo assetto normativo previsto dal Motu Proprio su “trasparenza, controllo e concorrenza nelle procedure di aggiudicazione”, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2020, p. 96.
[26] Lettera Apostolica del 21/04/2021 “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” (www.vatican.va). Il provvedimento aggiunge che i dirigenti vaticani o i candidati devono dichiarare di “non essere sottoposti a processi penali pendenti ovvero, per quanto noto al dichiarante, a indagini per delitti di partecipazione a un’organizzazione criminale; corruzione; frode; terrorismo o connessi ad attività terroristiche; riciclaggio di proventi di attività criminose; sfruttamento di minori, forme di tratta o di sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale”. Pesando, cioè, sulla nomina o la permanenza nel ruolo sia l’esistenza di un processo non ancora conclusosi con la sentenza, sia il semplice fatto dell’apertura di una indagine.
[27] § 1, § 1, a) e b), Lettera Apostolica “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021.
[28] § 1, § 1, c), e) ed f), Lettera Apostolica “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021.
[29] § 1, § 1, d), Lettera Apostolica “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021.
[30] § 1, § 3, Lettera Apostolica “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021.
[31] § 1, § 5, Lettera Apostolica “Recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” del 26 aprile 2021.
[32] L’art. 33 della Convenzione, rubricato “Protezione delle persone che comunicano informazioni” rappresenta una delle basi giuridiche cui si può ricondurre il meccanismo del “whistleblowing” di segnalazione di attività illecite. Infatti, prevede espressamente che “Ciascuno Stato Parte considera la possibilità di incorporare nel proprio sistema giuridico le misure appropriate per proteggere da qualsiasi trattamento ingiustificato ogni persona che segnali alle autorità competenti, in buona fede e sulla base di ragionevoli sospetti, qualsiasi fatto concernente i reati stabiliti dalla presente Convenzione”.
[33] Cfr. art. 1, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[34] Art. 7, § 1, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[35] Cfr. art. 7, § 1, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[36] Cfr. art. 7, § 2, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[37] Art. 7, § 1, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[38] Cfr. art. 7, § 3, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019.
[39] Cfr. art. 7, § 3, Statuto dell’Ufficio del Revisore generale del 21 gennaio 2019 dove ci si limita a prevedere che “La segnalazione di attività anomale fatte in buona fede al Revisore Generale non produce alcuna responsabilità per la violazione del segreto di ufficio o di eventuali altri vincoli alla divulgazione che siano dettati da disposizioni di legge, amministrative o contrattuali”.
[40] A. Licastro, Il Whistleblowing e la denuncia degli abusi sessuali a danno dei minori della Chiesa, cit., p. 127.
[41] Sul punto cfr. A. Gianfreda, Dalla tutela alla salvaguardia di minori e vulnerabili nella Chiesa: metodi e contenuti per una rinnovata giustizia ecclesiale in tema di abusi del clero, in Id., Chiara Griffini (a cura di), Accountability e tutela nella Chiesa. Proteggere i minori dagli abusi oggi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2022, p. 54 ss.; P. Consorti, Introduzione allo studio del diritto canonico. Lezioni pisane, Giappichelli, Torino, 2023, p. 87-90.
[42] Il tema degli abusi sessuali dei minori e degli adulti vulnerabili all’interno della Chiesa è sempre stato un tasto dolente, un tasto che per anni si è preferito non toccare. Papa Francesco, invece, non è mai stato indulgente su questo tema delicatissimo, tanto da affermare che “… Nella Chiesa non c’è posto per chi si macchia di questo abominevole peccato contro Dio e contro l’uomo. Ma la pedofilia è anche un reato che la giustizia deve punire. Coprire gli abusi è una pratica abituale. Pensa che il 40 per cento dei casi di abuso avviene nelle famiglie e nel quartiere e tutto questo viene coperto. Un’abitudine che la Chiesa ha avuto fino allo scandalo di Boston nel 2002. In quel momento, la Chiesa si è accorta che non poteva più coprire la pedofilia dei suoi preti, …”. A. Grana, Intervista a Papa Francesco di Francesco, 12 marzo 2023, ne ilfattoquotidiano.it.
[43] C. Gentile, Le novità normative nella lotta agli abusi sessuale a un anno dall’incontro in Vaticano nel 2019, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 21 del 2020, p. 98.
[44] Cfr. Francesco, Constitutio Apostolica Pascite gregem Dei qui Liber VI Codicis Iuris Canonici reformatur, 23 maggio 2021, in L’Osservatorio Romano, 1° giugno 2021, 2-3. J.I. Arrieta, Come è cambiato il libro VI di diritto canonico, in Vatican New, 26 agosto 2021 (consultabile sul sito: https://www.tutelaminorum.org/it/mons-arrieta-come-e-cambiato-il-libro-vi-di-diritto-canonico/).
[45] Art. 2, § 1 e § 3, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[46] Art. 3, § 2, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[47] Art. 4, § 2 e § 5, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[48] Art. 5, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[49]Cfr. art. 6, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[50] Art. 7, § 1, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023, “… per «Dicastero competente» si intende il Dicastero per la Dottrina della Fede, circa i delitti ad esso riservati dalle norme vigenti, nonché, in tutti gli altri casi e per quanto di rispettiva competenza in base alla legge propria della Curia Romana …”.
[51] Art. 7, § 2, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[52] Art. 8, § 2 e § 3, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[53] Art. 11, § 1, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[54] Art. 11, § 2, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[55] Art. 11, § 3, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[56] Art. 12, § 1, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[57] Art. 13, § 1, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[58] Art. 13, § 2, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[59] Nell’ordinamento giuridico italiano, anche il minore può rendere testimonianza, sia come persona offesa, poiché vittima di un reato, o in qualità di testimone. Quando il minore ha meno di quattordici anni viene ascoltato attraverso una modalità particolare denominata “audizione protetta”, che può essere attuata o durante le indagini preliminari in seguito a una denuncia o querela, oppure in sede di incidente probatorio ai sensi dell’art. 392 c.p.p. La raccolta della testimonianza del minore segue prassi strutturate e scientificamente collaudate. Al riguardo, l’art.7 della Carta di Noto – documento elaborato appresso a un convegno di specialisti del 1996, teso a fornire le linee guida da seguire e mettere in pratica allorché ci si trovi coinvolti a titolo professionale, nel lavoro con i minori presunte vittime di abuso (documento, peraltro, aggiornato nel 2002) - afferma “le dichiarazioni del minore vanno sempre assunte utilizzando protocolli d’intervista o metodiche ispirate alle indicazioni della letteratura scientifica, nella consapevolezza che ogni intervento sul minore, anche nel rispetto di tutti i canoni di ascolto previsti, causa modificazioni, alterazioni e anche perdita dell’originaria traccia mnestica. Le procedure d’intervista devono adeguarsi, nella forma e nell’articolazione delle domande alle competenze cognitive, alla capacità di comprensione linguistica (semantica, lessicale e sintattica), alla capacità di identificare il contesto nel quale l’evento autobiografico può̀ essere avvenuto, alla capacità di discriminare tra eventi interni ed esterni, nonché́ al livello di maturità̀ psicoaffettiva del minore. Un particolare approfondimento dovrà̀ essere effettuato in ordine all’abilità del minore di organizzare e riferire il ricordo in relazione alla complessità̀ narrativa e semantica delle tematiche in discussione e all’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, derivanti dall’interazione con adulti”. Si veda anche la Legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno); e il D. Lgs. 212/2015 che ha ampliato la procedura a tutela di “una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità”. Per quanto riguarda il setting dell’audizione protetta, è auspicabile che essa si svolga in uno spazio neutro. Tuttavia, solitamente, l’escussione avviene in un’aula di Tribunale dotata di vetro a specchio affinché il minore non possa interfacciarsi con il reo, o in un luogo diverso dal Tribunale, ad esempio in strutture specializzate di assistenza. In argomento, D. Carponi Schittar, L’esame orale del bambino nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2000; I. Casol, L’audizione del minore: presupposti, modalità, tecniche, finalità, in www.falsiabusi.it; C. Cesari, La “campana di vetro”: protezione della personalità e rispetto del contraddittorio nell’esame dibattimentale del teste minorenne, in A.A.V.V, Il minorenne fonte di prova nel processo penale, a cura di C. Cesari, Giuffrè, Milano, 2008; F. Cassibba, La tutela dei testimoni “vulnerabili”, in A.A.V.V., Il “Pacchetto sicurezza”, 2009, a cura di O. Mazza e F. Viganò, Torino, 2009; A. Forza, L’ascolto del minorenne dopo la Convenzione di Lanzarote, in Arch. proc. pen., 2013; F. Cassibba, Oltre Lanzarote: la frastagliata classificazione soggettiva dei dichiaranti vulnerabili, 11 luglio 2014, in www.dirittocontemporaneo.it.
[60] Art. 13, § 6, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[61] Ai sensi dell’artt. 5, § 2 della Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023 “Devono comunque essere salvaguardate la legittima tutela della buona fama e la sfera privata di tutte le persone coinvolte, nonché la riservatezza dei dati personali. Alle persone segnalate si applica la presunzione di cui all’art. 13 § 7, fermo restando quanto previsto dall’art. 20”. L’art. 13, § 7, a sua volta, stabilisce che “Alla persona indagata è sempre riconosciuta la presunzione di innocenza e la legittima tutela della sua buona fama”.
[62] Art. 13, § 9, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[63] Art. 15, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[64] Art. 16, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[65] Art. 18, § 1, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[66] Art. 18, § 3, Lettera Apostolica “Vox estis lux mundi” del 25 marzo 2023.
[67] Claudio Gentile, Le novità normative nella lotta agli abusi sessuale a un anno dall’incontro in Vaticano nel 2019, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 21 del 2020 p. 91.
[68] Per una più ampia ricostruzione si veda Pierluigi Consorti, La responsabilità della gerarchia ecclesiastica nel caso degli abusi sessuali commessi dai chirici, fra diritto canonico e diritti statutai, in Stato, chiese e pluralismo confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 17 del 2013.
[69] F. Zanchini, Verso una riforma costituente del Papato? Buonasera Francesco, vescovo di Roma!, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 14 del 2013, p. 2.
[70] Si tratta di un tema che è stato a lungo dibattuto specie negli Stati Uniti dove si è cercato di ricostruire una forma di responsabilità - per gli atti illeciti compiuti dai sacerdoti nelle diocesi americane - della Santa Sede, considerata come il vertice di una piramide aziendale o come una società capogruppo a cui attribuire la responsabilità ultima delle azioni dei suoi dipendenti (il clero). Invero, il rapporto dei sacerdoti con la Chiesa non è assimilabile a un rapporto di lavoro, in cui il datore di lavoro è responsabile di eventuali comportamenti sconvenienti dei suoi dipendenti. La Chiesa non è neppure assimilabile a una holding: non è un insieme di società collegate tra loro, il cui capofila è da ritenere responsabile di ciò che pongono in essere gli altri enti strutturalmente collegati. Sono questi i principi stabiliti dalla Corte d’appello dell’Oregon (in particolare dalla Court of Appeals for the Ninth Circuit), negli Stati Uniti, che, con una sentenza del 5 agosto 2013, ha respinto una causa giudiziaria avviata nel 2002 su presunte responsabilità della Santa Sede in un caso di abusi sessuali. A non diverse conclusioni ma stavolta argomentando sul piano del diritto internazionale, si segnala, più di recente (il 12 ottobre 2021) e in ambito europeo la sentenza n. 11625/17 (affaire J.C. et autres c. Belgique), con cui la terza sezione della Corte EDU si è pronunciata sul caso J.C e altri c. Belgio, trattando per la prima volta la questione dell’immunità della Santa Sede. Con tale sentenza la Corte ha invocato “l'immunità” della Santa Sede riconosciuta dai “principi di diritto internazionale”. I ricorrenti, di nazionalità belga, francese e olandese, erano stati respinti dai tribunali belgi, che avevano invocato l'immunità giurisdizionale della Santa Sede. Da Strasburgo, infine, è giunto un pronunciamento a favore dei tribunali belgi, affermando che il rigetto “(...) non abbia deviato dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti in materia di immunità dello Stato” che si applicano anche alla Santa Sede; e concludendo nel senso che non vi era stata violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul “diritto di accesso a un tribunale” invocate dai ricorrenti, che hanno sostenuto di essere stati impediti dal far valere in civile le loro rimostranze contro la Santa Sede. Essi avevano intentato nel 2011 in Belgio un'azione civile collettiva per risarcimento contro i vertici della Chiesa cattolica in Belgio e le associazioni cattoliche, chiedendo un risarcimento a causa “del danno causato dal modo strutturalmente carente in cui la Chiesa avrebbe affrontato il problema degli abusi sessuali al suo interno”. La Corte EDU ha affermato che la Santa Sede presenta “caratteristiche paragonabili a quelle di uno Stato” e che la giustizia belga avesse quindi il diritto di “dedurre da queste caratteristiche che la Santa Sede era un ente sovrano straniero, con gli stessi diritti e doveri di uno Stato”. Inoltre, non essendo membro del Consiglio d'Europa, la Santa Sede si pone fuori dalla giurisdizione della Corte, anche se la Conferenza episcopale del Belgio e la Santa Sede erano stati invitati a intervenire nella procedura in qualità di terzi interessati.
Micciché Rosangela
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