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Il ver sacrum. Considerazioni in merito a regime e sviluppo storico di un antico rito migratorio

28.08.2020

Lorenzo Franchini

Professore associato di Diritto romano

Università Europea di Roma

 

Il ver sacrum.

Considerazioni in merito a regime

e sviluppo storico di un antico rito migratorio*

 

English title: The ver sacrum. Considerations on the regime and historical development of an ancient migratory rite

DOI: 10.26350/004084_000081

 

Sommario: 1. Premessa. La dettagliata testimonianza di Liv. 22.9.7-10.8– 2. Storia del ver sacrum in generale: da rito sacrificatorio a rito migratorio– 3. Il ver sacrum del 217 e la promessa di soli animali– 4. Tempo dell’adempimento: una ratio decidendi iscritta nella tradizione del rito?

 

1.       Premessa. La dettagliata testimonianza di Liv. 22.9.7-10.8

Nel corso del 217, all’indomani della grave sconfitta del lago Trasimeno, inflitta da Annibale ai Romani, la repubblica, per tornare a guadagnarsi il favore degli dei, ritenuti offesi, fece ricorso a tutta una serie di espedienti di carattere religioso. Tra questi, addirittura, l’offerta in voto di un ver sacrum[1], antichissimo rito italico, consistente nel sacrificio di tutti i nuovi nati - tratti però soltanto, in questo caso, da alcune specie animali[2] - nella primavera prossima[3]. L’assunzione di un simile gravoso impegno era subordinata alla condizione che la res publica si mantenesse, nel quinquennio a venire, salva servata dallo scontro ingaggiato con Cartaginesi e Galli: ciò che risulta dalla formula del voto[4], qui integralmente riportata da Livio[5].

 

2.       Storia del ver sacrum in generale: da rito sacrificatorio a rito migratorio

 

Si diceva delle origini del ver sacrum, rito sacrificatorio proprio dei popoli di stirpe sabellica, solitamente prescritto in seguito al verificarsi di una spaventosa calamità, bellica o naturale, che induceva a riservare alla divinità, con finalità espiatoria, ogni produzione vegetale, animale ed umana[6]. Per eseguire integralmente il voto occorreva porre in essere, dunque, anche sacrifici umani[7]; ma poi si preferì rinunciare a questa pratica barbara, sostituendola con l’espulsione dalla comunità di tutti i bambini nati nella primavera prefissata, una volta divenuti adulti. Si trattò, quindi, di un surrogato storico successivo, considerato equivalente sul piano formale, ossia giuridico-sacrale[8]; ma certo, nella sostanza, esso sarà stato dovuto anche ad altre ragioni, di tipo demografico (probabilmente, l’esigenza di far fronte al sovrappopolamento)[9], che di fatto trasformarono il ver sacrum in un rito essenzialmente migratorio: con quali conseguenze sui delicati equilibri etnico-territoriali propri dell’Italia di allora, è facile immaginare, dato che improvvisamente, di volta in volta, si imponeva ad un’intera generazione di giovani la ricerca di una nuova patria[10]. Rimaneva l'offerta delle primizie: prassi, questa, conosciuta presso ogni civiltà antica, ma qui caratterizzata dal fatto che ne era oggetto la totalità del prodotto, ed in particolare degli animali, come si addiceva ad etnie di pastori quali erano i Sabini. È perciò facilmente comprensibile che si ricorresse al ver sacrum, per lo sforzo economico che richiedeva, soltanto in circostanze eccezionali.

Uso invalso in epoche ancestrali, il ver sacrum si era in qualche modo perpetuato ai tempi della repubblica. Si sa che nel 288, per esempio, i Mamertini avevano occupato Messina in esecuzione di un ver sacrum[11]: esso era votato ad Apollo, non a Marte, come di consueto, ed evidentemente conservava ancora l'elemento migratorio.

 

3.       Il ver sacrum del 217 e la promessa di soli animali

 

Ciò che non è, dicevamo, per il ver sacrum dedicato a Giove[12] nel 217, sul quale è tuttavia indispensabile fermare la nostra attenzione, perché è il meglio documentato, e perché dalle testimonianze disponibili[13] si evince quanto penetrante fosse l’interpretatio giurisprudenziale nella regolamentazione di questo genere di rito. Pur prescritto, nell’occasione, dal collegio dei decemviri sacris faciundis[14], sono poi in particolare i pontifices[15] a pronunciarsi sul tipo di procedura da seguire nel votare il ver sacrum, imponendo il coinvolgimento dell’assemblea popolare, necessariamente chiamata - per far sì che la cittadinanza assumesse un così gravoso impegno[16] - a vagliare ed approvare financo la formula del rito, con tutte le sue clausole, certo elaborate dai pontefici stessi[17].

Al contenuto di detta formula[18]non è possibile dedicare, in questa sede, un’analisi approfondita, principalmente perché da esso appare, come si è detto, del tutto avulso l’elemento migratorio[19], mentre con grande scrupolo vi si disciplina in via preventiva l’attività sacrificale delle vittime animali[20], alla quale si sarebbe dovuto attendere nel caso che il dio avesse esaudito la richiesta fattagli, com’era tipico delle promesse votive[21]. Il che non ci impedisce di ricordare che la formula in questione va considerata come uno degli esempi più alti e significativi della perizia tecnica pontificale[22], ed anzi, forse, a nostro avviso, della stessa giurisprudenza cautelare romana generalmente intesa. Infatti, le clausole che vi sono compresemiravano allo scopo di escludere fin da principio l’effetto invalidante di errori formali od altro genere di irregolarità in cui si sarebbe potuti incorrere, con le responsabilità che ne sarebbero quindi derivate (specialmente, s’intende, in rapporto all’obbligo di ripetere la cerimonia sacrificale[23]). Tali riserve espresse per lo più concernevano i soggetti deputati a celebrare il rito, il tipo di rito stesso, il luogo ed il tempo della celebrazione. Mediante l’elaborazione di queste clausole - le quali, si noti, erano enunciate con l’uso di verbi all'imperativo, quasi che si stessero imponendo condizioni ad una controparte contrattuale - l’interpretatio sacerdotale eminentemente assolveva alla sua funzione cautelare, sfruttando al massimo le opportunità che il formalismo, così come vincolava e obbligava, specularmente offriva a chi, invece, prima di compiere un atto che rilevava dal ius sacrum, tale effetto vincolante od obbligante intendesse in qualche modo limitare[24].

4.      Tempo dell’adempimento: una ratio decidendi iscritta nella tradizione del rito?

 

Epperò dalla vicenda relativa all’adempimento del voto, di molto successiva, anche rispetto al 212, anno dell’avveramento della condizione[25], si possono sorprendentemente trarre, forse, spunti a favore di una qualche sopravvivenza del regime che doveva aver caratterizzato il rito migratorio.

È infatti solo nel 195[26], a ben ventidue anni di distanza[27], che si decise di procedere alla celebrazione del ver sacrum promesso a Giove durante la guerra annibalica[28]. D’altronde, la stessa formula del voto conteneva la clausola che ad esso si sarebbe dovuto adempiere a partire dal giorno che il senato avesse successivamente fissato[29]. Ora, occorre anzitutto sottolineare che la determinazione, a tale scopo, di una data precisa per l'inizio delle celebrazioni era molto probabilmente imposta dalla prevedibile, enorme complessità dell’esecuzione di una prestazione come quella, che avrebbe richiesto una laboriosa preparazione: anche questo, forse, aveva indotto i pontefici, al momento dell’elaborazione della formula, ad essere molto previdenti in tal senso. Ma vi è più che altro da chiedersi, a nostro avviso, quali fossero i criteri a cui il senato si sarebbe dovuto attenere per la fissazione di un termine anziché di un altro, dal momento che di essi nella formula del voto non si faceva menzione alcuna, e non è d'altronde immaginabile che a tal fine la repubblica promittente potesse, sotto il profilo del diritto sacro, decidere del tutto arbitrariamente, come del resto dimostra il fatto che il senato faccia poi nuovamente consultare, a questo proposito, il collegio dei pontefici. Si può allora supporre che questi, in un certo senso, si fossero implicitamente riservati ogni facoltà in ordine alla risoluzione di una questione che, come quella relativa al termine per l'esecuzione del ver sacrum, poteva dirsi quant’altri mai nuova ed incerta, perché priva di precedenti recenti[30]: il termine, evidentemente, avrebbe dovuto essere fissato sulla base non solo di valutazioni di ragionevolezza e di generica opportunità politica - alle quali peraltro la stessa giurisprudenza del collegio talora si ispirava[31] -, ma anche di più specifiche considerazioni di ordine giuridico-sacrale, che il senato non avrebbe potuto autonomamente svolgere. Su di esse noi qui, pur nel silenzio delle fonti, qualche ipotesi possiamo formularla.

A nostro avviso, l’unica veramente plausibile, sul piano del diritto, è che una celebrazione differita di circa venti anni fosse appunto richiesta dalla tradizione stessa del ver sacrum[32]. Ciò perché, da quando esso era divenuto, per i nati umani, un rito essenzialmente migratorio, anziché cruento, l’osservanza di quel termine, solitamente di molto posteriore rispetto al momento in cui si era verificata la condizione, era stata imposta dalla necessità di aspettare che i consacrati al dio, prima di essere espulsi dalla comunità, fossero diventati completamente adulti[33]. Ebbene, non è da escludere che anche ora, che del carattere migratorio del rito si era perduta ogni traccia[34], la giurisprudenza pontificale fosse tuttavia orientata ad attenersi a quell'antica regola.

Ci troveremmo di fronte, insomma, ad una sorta di termine implicito, richiesto dalla “natura della prestazione”[35], qui però valutata, eccezionalmente, in rapporto ad uno stadio di sviluppo anteriore, e non più attuale, dell’istituto. Con tutta la cautela del caso, potremmo supporre che, a seguito del fenomeno di “sostituzione” di cui si è detto (espulsione in luogo di messa a morte immediata), niente affatto estraneo alla prassi sacrale romana[36], il rito fosse venuto a constare di due elementi, quello sacrificale e quello migratorio, che pur avendo un’origine comune erano disciplinati in modo asincrono; a questo inconveniente si sarebbe cercato poi di rimediare, in epoche ancora piuttosto remote, adottando una soluzione per così dire opposta rispetto a quella iniziale, ossia adeguando i tempi del sacrificio animale a quelli della migrazione, a sottolineare il rilievo, assai maggiore e del tutto autonomo, ormai assunto da essa (cosicché di quest’ultima fase di sviluppo, per così dire “sincronica”, raggiunta dal ver sacrum proprio il nostro Livio, insieme forse a Fest. 150 L[37], potrebbe considerarsi la più significativa spia; mentre per le due precedenti, quella della “sincronia originaria” e quella della “diacronia” intermedia, si rinvengono senz’altro tracce in altre fonti[38]). In età storica, quando il significato ancestrale di quel rito non era, forse, più compreso, si ritenne che ogni primavera sacra, seppur priva dello stesso elemento umano (!), dovesse ritenersi strutturalmente sottoposta ad un termine d’esecuzione di circa vent’anni: di questo dato, di cui pur doveva esistere, tra le genti italiche, una consapevolezza diffusa, si sarebbe chiesta, in questo frangente, conferma ai pontefici, che come detto avrebbero attinto per il responso a materiali d’archivio o, per ipotesi, all’esperienza di popoli affini[39] (data anche l’assoluta mancanza, da noi più volte rilevata, di precedenti recenti a Roma)[40].

La ragionevolezza delle nostre congetture, circa la ratio che potrebbe aver ispirato un simile orientamento giurisprudenziale, trova a secondo noi conferma in un altro dato: ossia che l’altra ragione fondamentalmente addotta dalla dottrina[41] per spiegare perché, solo in quest’epoca, sia stata disposta la celebrazione della primavera sacra, ha un rilievo pressoché decisivo sul piano storico-politico, ma non sul piano giuridico. Non vi è dubbio infatti che l’allestimento di una cerimonia tanto costosa e complessa potesse essere stato ritardato dalla constatazione che, allo scadere del quinquennio dedotto in condizione, la res publica era sì sopravvissuta alla guerra, ma non ne risultava ancora vincitrice, e che si sia perciò preferito, più o meno consapevolmente, rinviare la questione a quando, anche oltre i vent’anni richiesti dalla tradizione del rito, i nemici di Roma, Cartaginesi e Galli, fossero stati davvero debellati. Sotto questo profilo, non può ritenersi casuale che il senato, vinto Annibale a Zama[42], prima di prendere provvedimenti in materia, abbia atteso che fossero repressi gli ultimi spasimi dei Galli Cisalpini: il che appunto avvenne nel 196, ad opera del figlio del grande Marcello[43], che oltretutto quell’anno rivestiva la carica di console, ed era anche entrato a far parte del collegio dei pontefici[44]. È allora lecito pensare che sia stata proprio la vicenda di M. Claudio Marcello, complessivamente considerata, a riportare, per così dire, agli onori della cronaca negli ambienti politico-sacerdotali romani la questione del ver sacrum[45], destinata ad essere posta all'ordine del giorno, in senato, all’inizio dell’anno successivo[46]. Ma da qui a dire che soltanto a seguito di questi ultimi accadimenti dovesse ritenersi avverata una condizione, che in qualche modo prima non lo era[47], ce ne passa. A parte infatti ogni considerazione circa la prescrizione (difficilmente eludibile) relativa al quinquennium entro il quale, solamente, valutare lo stato di salute della repubblica, vi è un dato di carattere testuale che, a nostro avviso, sgombra dal campo quasi ogni dubbio: ossia che al voto dei ludi magni, offerti nel 217 insieme alla primavera sacra, eiusdem rei causa[48] - cioè, presumibilmente, alla stessa condizione![49] -, si era già adempiuto nel 208[50]. Se quindi analoga premura si ritenne di non dover avere, allora, riguardo al ver sacrum, ciò non poté che dipendere, sul piano giuridico-formale, da ragioni diverse - con ogni probabilità quelle da noi addotte -, e non certo dalla causa del mancato, o imperfetto, esaudimento della richiesta fatta a Giove.

 

Abstract: In this contribution the author shows how the vow of the ver sacrum, an ancient Italic custom, which implied the sacrifice to the gods of all new born in a certain spring, had turned over time, for people, into an essentially migratory practice, since they, instead of being immolated, were expelled from the territory once they became adults. In fact, in fulfillment of the promise, there were often mass generational migrations. From a precise Livian testimony it is also clear that, in 217 BC, the ver sacrum had remained in Rome in the form of a sacrificial offering of animals only; however, the twenty-year deferment of its execution is attributed by the author, rather than to the discipline of the fulfillment of the condition affixed to the vote, to the significant survival, in some of its elements, of the regime of the ver sacrum intended as a migratory rite.

 

Keywords: Rite, vow, migration, condition, time of fulfillment


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] V. Liv. 22.9.7-10.8: Q. Fabius Maximus dictator iterum quo die magistratum iniit vocato senatu, ab dis orsus, cum edocuisset patres plus neglegentia caerimoniarum quam temeritate atque inscitia peccatum a C. Flaminio consule esse quaeque piacula irae deum essent ipsos deos consulendos esse, pervicit ut, quod non ferme decernitur nisi cum taetra prodigia nuntiata sunt, decemviri libros Sibyllinos adire iuberentur. Qui inspectis fatalibus libris rettulerunt patribus, quod eius belli causa votum Marti foret, id non rite factum de integro atque amplius faciundum esse, et Iovi ludos magnos et aedes Veneri Erycinae ac Menti vovendas esse, et supplicationem lectisterniumque habendum, et ver sacrum vovendum si bellatum prospere esset resque publica in eodem quo ante bellum fuisset statu permansisset. Senatus, quoniam Fabium belli cura occupatura esset, M. Aemilium praetorem, ex collegii pontificum sententia omnia ea ut mature fiant, curare iubet. His senatus consultis perfectis, L. Cornelius Lentulus pontifex maximus consulente collegium praetore omnium primum populum consulendum de vere sacro censet: iniussu populi voveri non posse. Rogatus in haec verba populus: ‘Velitis iubeatisne haec sic fieri? Si res publica populi Romani Quiritium ad quinquennium proximum, sicut velim (vov)eamque, salva servata erit hisce duellis, quod duellum populo Romano cum Carthaginiensi est quaeque duella cum Gallis sunt qui cis Alpes sunt, tum donum duit populus Romanus Quiritium quod ver attulerit ex suillo ovillo caprino bovillo grege quaeque profana erunt Iovi fieri, ex qua die senatus populusque iusserit. Qui faciet, quando volet quaque lege volet facito; quo modo faxit probe factum esto. Si id moritur quod fieri oportebit, profanum esto, neque scelus esto. Si quis rumpet occidetve insciens, ne fraus esto. Si quis clepsit, ne populo scelus esto neve cui cleptum erit. Si atro die faxit insciens, probe factum esto. Si nocte sive luce, si servus sive liber faxit, probe factum esto. Si antidea quam senatus populusque iusserit fieri faxitur, eo populus solutus liber esto’. Eiusdem rei causa ludi magni voti aeris trecentis triginta tribus milibus, trecentis triginta tribus, triente; praeterea bubus Iovi trecentis, multis aliis divis bubus albis atque ceteris hostiis; cfr. Plut. Fab. 4.4-6: Μετδτατακαλλίστηνρχόμενοςκθενρχήν, καδιδάσκωντνδμονςλιγωρίκαπεριφρονήσειτοστρατηγοπρςτδαιμόνιον, ομοχθηρίτνγωνισαμένωνσφαλέντα, προτρεπεμδεδιέναιτοςχθρούς, λλτοςθεοςξευμενίζεσθαικατιμν, οδεισιδαιμονίαννεργαζόμενος, λλθαρρύνωνεσεβείτνρετνκαταςπαρτνθενλπίσιτνπτνπολεμίωνφόβονφαιρνκαπαραμυθούμενος. 'Eκινήθησανδτότεπολλακατνπορρήτωνκαχρησιμ́ωνατοςβίβλων, ςΣιβυλλείουςκαλοσι, καλέγεταισυνδραμεννιατνποκειμένωνναταςλογίωνπρςτάςτύχαςκατάςπράξειςκείνας. Kατμνγνωσθνοκντέρπυθέσθαι, προελθνδδικτάτωρεςτνχλονεξατοτοςθεοςνιαυτομναγνκασννκαπροβάτωνκαβονπιγονήν, σηνταλίαςρηκαπεδίακαποταμοκαλειμνεςεςρανσομένηνθρέψουσι, καταθύσεινπαντα, θέαςδμουσικςκαθυμελικςξεινπσηστερτίωντριακοσίωντριάκοντατρινκαδηναρίωντριακοσίωντριάκοντατριντιτριτημορίουπροσόντος. Sulle cerimonie complessivamente prescritte dai sacerdoti all’inizio della dittatura di Fabio v. per esempio G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2a ed., München 1912, pp. 60, 393 ss.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III.2, Torino 1917, p. 46; A. Abaecherli Boyce, The Development of the ‘Decemviri sacris faciundis’, in TAPH, 69 (1938), p. 179; I. Müller Seidel, Fabius Maximus ‘Cunctator’ und die Konsulwahlen der Jahre 215 und 214 v. Chr., in Rheinisches Museum, 96 (1953), pp. 268 ss.; J. Bayet, Histoire politique et psycologique de la religion romaine, Paris 1957, pp. 149 ss.; O. Robinson, Blasphemy and Sacrilege in Roman Law, in IJ, 8 (1973), p. 358; G. Dumézil, La religione romana arcaica, trad. it., Milano 1977, pp. 407 ss.; F. Sini, ‘A quibus iura civibus praescribebantur’. Ricerche sui giuristi del III secolo a. C., Torino 1995, pp. 104 ss.; Id., ‘Populus’ et ‘religio’ dans la Rome républicaine, in Archivio storico e giuridico sardo di Sassari, 2 n.s. (1995), pp. 85 ss. e nt. 67; Id., Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana, in Diritto@Storia (dirittoestoria.it), 3 (2004), § 4, con ulteriore bibliografia; S.W. Rasmussen, Public Portents in Republican Rome, Rome 2003, pp. 42, 251; C. Février, Le double langage de la Sibylle de l’oracle grec au rituel romain, in M. Bouquet - F. Morzadec (éd.), La Sibille. Parole et représentation, Rennes 2004, pp. 20 ss.; T. Mazurek, The ‘Decemviri sacris faciundis’: Supplication and Prediction, in C.F. Konrad (ed.), ‘Augusto augurio. Rerum humanarum et divinarum commentationes in honorem J. Linderski’, Stuttgart 2004, pp. 151, 163 e nt. 34 ; J.H. Clark, Roman Optismism before Cannae: the Wow of the ‘Ver Sacrum’, in Mnemosyne, 67 (2014), pp. 407 ss.

[2] In merito, v. soprattutto oltre, testo e nt. 20.

[3] Circa il ver sacrum in generale v. per es. W. Eisenhut, Ver sacrum (voce), in RE,vol. VIII.A.1, Stuttgart1955, coll. 911 ss.; J. Heurgon, Trois études sur le ver sacrum, Bruxelles 1957; Id., Le ‘ver sacrum’ romain de 217, in Latomus, 15 (1956), pp. 137 ss.; P.M. Martin, Contribution de Denys d’Halicarnasse à la connaissance du ver sacrum,in Latomus, 32 (1973), pp. 23 ss.; M. Pallottino, ‘Ver Sacrum’. The Italic Rite of “Sacred Springtime”, in Y. Bonnefoy (ed.), Roman and European Mythologies, Chicago-London 1992, pp. 52 ss.; L. Aigner Foresti, La tradizione antica sul ‘ver sacrum’, in M. Sordi (a cura di), Coercizione e mobilità umana nel mondo antico, Milano 1995, pp. 141 ss.; J.M. Caro Roldán, Ver sacrum pecuariorum, in DHA, 24 (1998), pp. 53 ss., 62, 70; Id., Una aproximación a la naturaleza del ‘ver sacrum’, in Gerión, 18 (2000), pp. 159 ss.; J. Scheid, Les incertitudes de la ‘voti sponsio’. Observations en marge du ‘ver sacrum’ de 217 av. J.C., in M. Humbert - Y. Thomas (éd.), Mélanges A. Magdelain, Paris 1998, pp. 417 ss.; F. Marco Simón, ‘Velut ver sacrum’. La ‘iuventus’ céltica y la mistica del centro, in M. del Mar Myro - J.M. Casillas - J. Alvar - D. Plácido (ed.), Las edades de la dependencia durante la antigüedad, Madrid 2000, pp. 349 ss.; O. de Cazanove, Sacrifier les bêtes, consacrer les hommes. Le printemps sacré italique, in S. Verger (éd.), Rites et spaces en pays celte et méditerranéen, Rome 2000, pp. 253 ss.; F. Bartol, El ‘ver sacrum’ del 217 a.C., in Iustel, 11 (2008), pp. 1 ss. (con una pregevole tavola riassuntiva di tutti i veria sacra conosciuti: pp. 262-263); J.H. Clark, Roman Optismism, cit., pp. 405 ss.; F. Díez de Velasco, Una interpretación ecológico-religiosa del ritual ‘ver sacrum’, in J.A. López Férez et al. (ed.), Πολυπραγμοσύνη. Homenaje A. Martínez Díez, Madrid 2016, pp. 183 ss.; L. Sacco, ‘Ver sacrum’. Osservazioni storico-religiose sul rito italico e romano, in Chaos e Kosmos, 17-18 (2016-2017), pp. 1 ss.; K.W. Tikkanen, On the Building of a Narrative: the ‘Ver Sacrum’ ritual, in Mnemosyne, 70 (2017), pp. 958 ss.; v. anche per esempio A. Bouché Leclercq, Les pontifes de l’ancienne Rome, Paris 1871, pp. 167 ss.; G. De Sanctis, Storia, cit., vol. I, Firenze 1907, pp. 287 ss., 306, nt. 3, e vol. IV.2.1, 1953, pp. 318 ss.; G. Wissowa, Religion, cit., pp. 60 ss., 145 ss., 403, nt. 6, 410, 420, nt. 5, che esprime tuttavia dubbi sulla veridicità della testimonianza di Festo, relativa al sacrificio dei neonati; E. Cary, Dionysius of Halicarnassus: The Roman Antiquities, vol. I, Cambridge-London 1937, p. 79, nt. 3; A. Abaecherli Boyce, The Development, cit., p. 179; H. Rackham, Pliny: Natural History, vol. II, Cambridge-London 1947, p. 80, nt. b; J. Gagé, Apollon romain, Paris 1955, p. 367; J. Bayet, Histoire politique et psycologique de la religion romaine, Paris 1957, pp. 149 ss.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, München 1960, pp. 124 ss., 253, 378; W. Weissenborn - H.J. Müller, Titi Livi ab urbe condita libri, vol. IV, Berlin 1963,pp. 25, nt. 7, 26, ntt. 8-11; U.W. Scholz, Studien zum altitalischen und altrömischen Marskult, Heidelberg 1970, pp. 49 ss.; G. Capdeville, Substitution de victimes dans les sacrifices d’animaux à Rome, in MEFRA, 83 (1971), pp. 292, 294; G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche, vol. II, Napoli 1976, pp. 117 ss; G. Dumézil, La religione, cit., pp. 215 ss., nt. 58, 411; F. Costabile, Il culto di Apollo quale testimonianza della tradizione corale e religiosa di Reggio e Messana, in MEFRA, 91 (1979), pp. 535 ss.; J. Briscoe, A Commentary on Livy Books XXXIV-XXXVII, Oxford 1981, p. 22; C. Guittard, L'expression du délit dans le rituel archaïque de la prière, in R. Bloch(éd.), Le délit religieux dans la cité antique,Roma 1981, pp. 10, 17; R.A. Bauman, Lawyers in Roman Republican Politics, München 1983, p. 106 ss.; R.D. Draper, The Role of the Pontifex Maximus and its Influence in Roman Religion and Politics, Diss. Brigham Young University Provo, Utah 1988, p. 223; F. Sini, A quibus iura, cit., pp. 103 ss.; Id., Populus, cit., pp. 84 ss.; R. Fiori, ‘Homo sacer’. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa, Napoli 1996, pp. 42 ss.; E.M. Orlin, Temples, Religion and Politics in the Roman Republic, Leiden-New York-Köln 1997, pp. 43 ss., 149; C. Guiraud, Varron: Économie rurale, vol. III, Paris 1997, p. 109, nt. 38; V. Fromentin, Denys d’Halicarnasse: Antiquités romaines, vol. I, Paris 1998, p. 232, nt. 82; G. Achard, in Tite-Live: Histoire romaine, vol. XXIII, Paris 2001, p. 105, nt. 1; M.H. Crawford, The Mamertini, Alfius and Festus, in J. Dubouloz - S. Pittia (éd.), La Sicile de Cicéron. Lectures des Verrines, Franche-Compté 2007, pp. 273 ss.

[4]La struttura del votum, istituto storicamente importante, rilevante dal ius sacrum, era a nostro avviso quella di un atto unilaterale, sospensivamente condizionato all'esaudimento del favore richiesto agli dei: fonte dell’“obbligazione”, del dovere giuridico-religioso all'esecuzione della prestazione promessa non era una convenzione intervenuta con la divinità, ma una dichiarazione unilaterale resa dal vovens, risultando decisivo, in proposito, il rilievo che non si hanno tracce di una manifestazione dell’assenso del dio, ai fini del rituale compimento del rito. Questa è la tesi che a noi appare tuttora più convincente, e che da lungo tempo per lo più si accoglie da parte degli studiosi: v. per esempio, tra i più autorevoli, A. Pernice, Zum römischen Sakralrechte, in Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 2 (1885), p. 1147; M. Kaser, Das römische Privatrecht, vol. I, München 1971, p. 253; F. Wieacker, Altrömische Priesterjurisprudenz, in ‚Iuris professio‘. Festgab M. Kaser, Wien-Köln-Graz 1986, p. 362. Per una recentissima rassegna bibliografica, in materia, v. anche, comunque, per esempio F.G. Cavallero, Osservazioni sui ‘vota’ dei magistrati, in BIDR, 112 (2018), pp. 257 ss., ntt. 2-3.

[5] V. Liv. 22.10.2-6 (trascritto sopra, alla nt. 1). Di essa ci occuperemo più compiutamente oltre, testo e nt. 24.

[6] In merito, v. Plin. nat. 3.18.110: Quinta regio Piceni est, quondam uberrimae multitudinis. CCCLX Picentium in fidem p.R. venere. Orti sunt a Sabinis voto vere sacro. Tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI. Flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relictum est, flumina Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit; Fest. 150 L (riportato oltre, alla nt. 11);424 L: Sacrani appellati sunt Reate orti, qui ex Septimontio Ligures Siculosque exegerunt; nam vere sacro nati erant; 519-520 L: Ver sacrum vovendi mos fuit Italis. Magnis enim periculis adducti vovebant, quaecumque proximo vere nata essent apud se, animalia immolaturos. Sed cum crudele videretur pueros ac puellas innocentes interficere, perductos in adultam aetatem velabant atque ita extra fines suos exigebant; Non. 840 L: Ver sacrum quidam dictunt putant, ut plerumque, vitabile et execrandum. Sed Sisenna religiosum dicit Hist. lib. IV: ‘quondam Sabini feruntur vovisse, si res communis melioribus locis constitisset, se ver sacrum facturos’;Serv. ad Aen. 7.796:Sacranae Acies dicunt quendam Corybantem de Creta venisse ad Italiam et tenuisse loca, quae nunc urbi vicina sunt, et ex eo populos ducentes originem Sacranos appellatos; nam sacrari sunt matri deum Corybantes. Alii Sacranas acies Ardeatum volunt, qui aliquando cum pestilentia laborarent, ver sacrum voverunt, unde Sacrani dicti sunt; Dion. Alic. 1.16.1-4:τνμνδπρώτηνοκησινοβοριγνεςντούτοιςλέγονταιποιήσασθαιτοςτόποις, ξελάσαντεςξατνμβρικούς. ‛EντεθενδρμώμενοιτοςτελλοιςβαρβάροιςκαπάντωνμάλισταΣικελοςμοτέρμοσινοσινπρτςχώραςπολέμουν, τμνπρτονεράτιςξελθοσανεότης, νδρεςλίγοικατβίουζήτησινπτνγειναμένωνποσταλέντες, θοςκπληροντεςρχαον, πολλοςβαρβάρωντεκαλλήνωνπίσταμαιχρησαμένους. ‛Oπότεγρεςχλουπλθοςπίδοσιναπόλειςτισλάβοιενστεμηκέτιτςοκείαςτροφςπασινεναιδιαρκες, κακωθεσαταςορανίοιςμεταβολαςγσπανίουςτοςεωθόταςκαρποςξενέγκειεν, τοιόνδετιπάθοςλλοτςπόλειςκατασχνετεμεινονετεχεροννάγκηνπιστήσειεμειώσεωςτοπλήθους, θεντδκαθιεροντεςνθρώπωντείουςγονςξέπεμπονπλοιςκοσμήσαντεςκτςσφετέρας. Eμνπρεανδρίαςνίκηςκπολέμουχαριστήριαθεοςποδιδοεν, προθύοντεςερτνομιζόμενα, εφήμοιςοωνοςτςποικίαςπροπέμποντες. Eδπμηνίμασιδαιμονίοιςπαλλαγςατούμενοιτνκατεχόντωνσφςκακντπαραπλήσιονδρεν, ατοίτεχθόμενοικασυγγνώμοναςξιοντεςγενέσθαιτος. ’Aπελαυνομένους. Oδπαναστάντεςςοκέτιτςπατραςγςμεταληψόμενοι, εμκτήσαιντοτέραν, τνποδεξαμένηνατοςετεπρςφιλίανετενπολέμκρατηθεσανπατρίδαποιοντο. ‛Ό τεθες, κατονομασθεενπελαυνόμενοι, συλλαμβάνεινατοςςτπολλδόκεικαπαρτννθρωπίνηνδόξανκατορθοντςποικίας.Tούτδτνόμχρώμενοικατότετνβοριγίνωντινςνθούντωννδράσιτνχωρίωνκτείνεινγροδένατνκγόνωνξίουν, γουςοδενςλαττοντοτοτιθέμενο, θεντδκαθιερώσαντεςνιαυσίουςγονςνδρωθένταςποικίζουσιτοςπαδαςκτςσφετέρας, οτοςΣικελοςγοντέςτεκαφέροντεςδιετέλουν, πειδτναυτνξέλιπον; 1.24.1-4: ςδπενεχθέντατνχρησμνμαθον, οκεχοντλεγόμενασυμβαλεν. ’Aμηχανοσιδατοςτνγεραιτέρωντιςλέγεισυμβαλντλόγιον, τιτοπαντςμαρτήκασιν, εοονταιτοςθεοςδίκωςατοςγκαλεν. Xρημάτωνμνγρποδεδόσθαιτςπαρχςατοςπάσαςρθςτεκασνδίκ, νθρώπωνδγονςτλάχος, χρμαπαντςμάλισταθεοςτιμιώτατον, φείλεσθαι. Eδδκατούτωνλάβοιεντνδικαίανμοραν,τέλοςξεινσφίσιτλόγιον. Tοςμνδρθςδόκειλέγεσθαιτατα, τοςδξπιβουλςσυγκεσθαιλόγος. Eσηγησαμένουδέτινοςτνγνώμην, τνθενπερέσθαι, εατφίλοννθρώπωνδεκάταςπολαμβάνειν, πέμπουσιτδεύτερονθεοπρόπους, καθεςνελενοτωποιεν. ‛Eκδτούτουστάσιςατοςκαταλαμβάνειπερτοτρόπουτςδεκατεύσεως. Kανλλήλοιςοπροεστηκότεςτνπόλεωντπρτονταράχθησαν.’’Eπειτακατλοιπνπλθοςδιποψίαςτοςντέλειλάμβανεν.’Eγίνοντότεοδενκόσμαπαναστάσεις, λλσπερεκςοστρκαθεοβλαβείπελαυνόμεναι, καπολλφέστιαλαξηλείφθημέρουςατνμεθισταμένου. Oγρδικαίουνοπροσήκοντεςτοςξιοσινπολείπεσθαίτετνφιλτάτωνκαντοςχθίστοιςπομένειν. Πρτοιμνδοτοιμεταναστάντεςξταλίαςεςτετνλλάδακατςβαρβάρουπολλνπλανήθησαν. Mετδτοςπρώτουςτεροιτατνπαθον, κατοτοδιετέλειγινόμενονσέτη. Oγρνίεσανοδυναστεύοντεςνταςπόλεσιτςνδρουμένηςενεότητοςξαιρούμενοιτςπαρχάς, τοςτεθεοςτδίκαιαπουργενξιοντεςκαστασιασμοςκτνδιαλαθόντωνδεδιότες. νδπολκατπρςχθρανσνπροφάσειεπρεπεπελαυνόμενονπτνδιαφόρων.στεπολλααπαναστάσειςγίνοντοκαππλεστονγςτΠελασγικνγένοςδιεφορήθη; 2.1.2: τούτουςκβαλόντεςβοριγνεςατοκατέσχοντντόπονΟνώτρωνντεςπόγονοιτνκατοικούντωντνπΤάραντοςχριΠοσειδωνίαςπαράλιον. εράτιςατηνεότηςκαθοσιωθεσαθεοςκαττνπιχώριοννόμονπτνπατέρωνποσταλναιλέγεταιχώρανοκήσουσατνπτοδαιμονίουσφίσιδοθησομένην. TδτνΟνώτρωνγένοςρκαδικννκτςτότεμνκαλουμένηςΛυκαονίας, ννδρκαδίας, κουσίωςξελθνπγςκτσινμείνονοςγουμένουτςποικίαςΟνώτρουτοΛυκάονος, φοτνπίκλησιντθνοςλαβεν; Strab. 5.4.12: ΠερδΣαυνιτνκατοιοτςτιςλγοςφρεται, διτιπολεμοντεςΣαβνοιπολνχρνονπρςτοςμβρικοςεξαντο, καθπερτνλλνωντινς, τγενμεναττειτοτκαθιερσαι, νικσαντεςδτνγενομνωντμνκατθυσαντδκαθιρωσαν·φοραςδγενηθεσης, επτιςςχρνκαθιερσαικαττκνα. Οδ´ ποησαντοτοκατοςγενομνουςττεπαδαςρεωςπεφμισαν, νδρωθνταςδ´ στειλανεςποικαν, γσατοδταρος·νδττνπικνκατευνασθντος (τγχανονδκωμηδνζντες), κβαλντεςκενουςδρθησανατθικατνταρονσφαγασαντρειτδντιατνγεμνακαττντνμντεωνπφασιν. ΕκςδδιτοτοκαΣαβλλουςατοςποκοριστικςπτνγονωνπροσαγορευθναι, Σαμνταςδ´ π´ λληςατας, οςολληνεςΣαυνταςλγουσι.V. ancora, poi, gli autori citati sopra, alla nt. 3, ed in particolare O. de Cazanove, Sacrifier, cit., pp. 265 ss., che stila un elenco esaustivo di fonti, comprensivo anche di quelle più indirettamente rilevanti.

[7]Cosa, questa, della quale, in rapporto alle epoche più antiche, non si può che prendere atto (v. ancora in particolare Fest. 150;519-520 L; cfr. Dion. Alic. 1.24.1-2), e di cui ben di rado si dubita, in dottrina: v. ad esempio, tra i pochi, G. Wissowa, Religion, cit.,pp. 60 ss., 145 ss., 410, 420, nt. 5.

[8]Sul principio di equivalenza, caro alla tradizione giuridico-sacerdotale romana - entro la quale, anziché introdurre istituti completamente nuovi o stravolgere l’assetto di quelli esistenti, si preferiva intervenire sulle strutture già esistenti, modificandole solo in certi elementi e sancendo l’equivalenza, rispetto al passato, delle innovazioni apportate -, ci sia consentito rinviare, qui, al nostro Principi di ‘ius pontificium’, in S. Randazzo (a cura di), Religione e diritto romano. La cogenza del rito, Tricase 2014, pp. 291 ss.; v. anche, con particolare riferimento alla sostituzione nel sacrificio umano (nonché all’utilizzo della pars pro toto), per esempio F. Prescendi, Décrire et comprendre le sacrifice, Stuttgart 2009, pp. 169 ss., 184 ss.

[9]A conferma, v. soprattutto Plin. nat. 3.18.110; Dion. Alic. 1.16.1-2. Cfr. per esempio P.M. Martin, Contribution, cit., pp. 23 ss., che molto insiste sull’eccesso demografico, come causa principale del ver sacrum; G. Franciosi, Clan, cit., pp. 117 ss., che vede nel sovrappopolamento la ragione storicamente determinante, sebbene non l’unica, del ver sacrum; F. Díez de Velasco, Una interpretación, cit., pp. 183 ss.; L. Sacco, Ver sacrum, cit., p. 16; K.W. Tikkanen, cit., pp. 958 ss.; ma v. anche, per esempio, J.M. Caro Roldán, Ver sacrum, cit., pp. 53 ss., specialmente 70; Id., Una aproximación, cit., pp. 159 ss., per il quale la spiegazione del rito in termini demografici non deve far dimenticare la sua preminente finalità espiatoria e sacrificale.

[10] V. ancora Plin. nat. 3.18.110; Dion. Alic. 1.16.1-4; 1.24.1-4. Strab. 5.4.12. Si noti che il nuovo insediamento avrebbe avuto luogo nel punto in cui si fosse fermato un animale-guida, per solito sacro a Marte, i cui comportamenti erano ritenuti rivelatori della volonta del dio e dal quale la nuova comunità avrebbe spesso tratto anche il nome: v. per esempio Fest. 93; 235 L (rispettivamente relativi agli Irpini, dall’irpus-lupo, e ai Piceni, dal picus-picchio), oltre ai già citati Fest. 150 L (relativo ai Mamertini, che furono così chiamati direttamente da Mamers, versione osca di Mars) e Strab. 5.4.12 (relativo ai Sanniti, cui fece da guida un toro, donde prese il nome, quanto meno, la località di Boviano).

[11]V. Fest. 150 L: Mamertini appellati sunt hac de causa, cum de toto Samnio gravis incidisset pestilentia, Sthennius Mettius eius gentis princeps, convocata civium suorum contione, exposuit se vidisse in quiete praecipientem Apollinem, ut si vellent eo

Franchini Lorenzo



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