fbevnts Shrines in the current canonical legislation

I santuari nella vigente legislazione canonica

27.04.2020

Paweł Malecha

Promotore di Giustizia Sostituto

Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

 

I santuari nella vigente legislazione canonica*

 

English title: Shrines in the current canonical legislation

DOI: 10.26350/004084_000066

 

Sommario: 1. Premessa. 2. La collocazione dei canoni sui santuari. 3. La definizione di santuario. 4. Santuari diocesani, nazionali e internazionali. 5. Gli statuti. 6. I privilegi. 7. Cura pastorale e promozione della pietà popolare. 8. Le testimonianze votive. 9. Conclusioni.

 

 

  1. Premessa

 

Il santuario – come insegna papa Francesco – «è un luogo sacro dove la proclamazione della Parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti, in particolare della Riconciliazione e dell’Eucaristia, e la testimonianza della carità esprimono il grande impegno della Chiesa per l’evangelizzazione; e perciò si caratterizza come genuino luogo di evangelizzazione, dove dal primo annuncio fino alla celebrazione dei sacri misteri si rende manifesta la potente azione con cui opera la misericordia di Dio nella vita delle persone»[1]. Il Santo Padre spiega anche che «i Santuari sono chiamati a svolgere un ruolo nella nuova evangelizzazione della società di oggi e che la Chiesa è chiamata a valorizzare pastoralmente le mozioni del cuore che si esprimono attraverso le peregrinazioni ai Santuari e ai luoghi di devozione»[2].

Il presente contributo non intende trattare l’aspetto storico, artistico,  teologico o pastorale dei santuari, ma vuole limitarsi soltanto a quello giuridico. I santuari, atteso il loro rivalutato e apprezzato ruolo nella nuova evangelizzazione, hanno acquisito al giorno d’oggi una rilevante importanza, soprattutto nell’attività pastorale, e, perciò, la loro funzione non può essere trascurata, ma al contrario approfondita anche nel campo canonico. Lo scopo di questo articolo è quindi presentare in modo analitico-sintetico la vigente normativa canonica in merito alla questione in oggetto, sperando nello stesso tempo che questo studio possa essere utile, sia per i cultori di diritto canonico, sia per i pastori della Chiesa, visto che l’argomento in tema non gode di grande interesse fra i canonisti.

 

  1. La collocazione dei canoni sui santuari

 

L’attuale Codice di Diritto Canonico dedica ai santuari cinque canoni (1230-1234), i quali sono inseriti nel Libro IV (La funzione di santificare della Chiesa) e costituiscono il Capitolo III (I santuari) del Titolo I (I luoghi sacri) della Parte III (I luoghi e i tempi sacri).

Da un confronto con il Codice del 1917 risulta che il nuovo Codice riserva ai santuari un’apposita trattazione, facendone in questo modo risaltare l’importanza ecclesiale, innanzitutto sul piano pastorale[3]. Nel Codice precedente, infatti, i santuari non erano retti da alcuna norma speciale, ma erano semplicemente assoggettati alle disposizioni generali inerenti ai luoghi sacri. Non vi è dubbio che con tale scelta il Legislatore non soltanto abbia introdotto una novità, ma anche valorizzato i santuari che, riconosciuti come entità con precise e importanti finalità pastorali, hanno acquisito una configurazione giuridica a sé stante nella sistematica codiciale[4]. Infine, con la legislazione attuale è stata colmata la lacuna dell’ordinamento canonico del Codice precedente, la quale aveva causato problemi, in particolare in Italia, dove l’assenza di una definizione giuridica dei santuari rendeva difficile l’applicazione dell’art. 27 del Concordato lateranense[5]. Infatti, il termine santuario, nonostante il suo uso in documenti ufficiali della Santa Sede, era generico e spesso utilizzato in maniera imprecisa in riferimento a chiese o particolari enti di culto. Soltanto la sua definizione nel Codice vigente ha risolto il problema de quo[6].

 

  1. La definizione di santuario

 

Fondamentale per la materia in oggetto è il can. 1230 che, per la prima volta in campo giuridico, offre la definizione di santuario: «Col nome di santuario si intendono la chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l’approvazione dell’Ordinario del luogo»[7]. Con questa definizione, nonostante i suoi limiti[8], il Legislatore intende delineare giuridicamente il fenomeno dei santuari. È una definizione ampia e completa che indica  allo stesso tempo le tre condizioni necessarie che insieme devono esistere affinché un luogo, che è in realtà l’obiettivo dei pellegrinaggi, possa essere nel diritto considerato santuario.

La definizione codiciale è stata significativamente influenzata dalle dichiarazioni ufficiali della Chiesa.

Il primo documento che si deve menzionare è il decreto della Sacra Congregazione del Concilio dell’11 febbraio 1936, intitolato De piis fidelium peregrinationibus ad celebriora sanctuaria moderandis[9], inviato, per ordine del papa Pio XI, agli Ordinari del luogo. Questo documento esprimeva la preoccupazione della Santa Sede per il mantenimento del carattere religioso dei pellegrinaggi ai santuari di fronte alla crescente minaccia della secolarizzazione; pertanto, vi si trovano cinque norme da osservare nel pellegrinaggio ai santuari[10]. Il citato documento è di grande rilievo, quindi, per il fatto che la Sacra Congregazione, nel contesto dei pellegrinaggi, ha abbozzato in esso il concetto canonico di santuario[11].

Il secondo documento della Santa Sede che si deve ricordare è la risposta della Sacra Congregazione per i Seminari e gli Studi Universitari dell’8 febbraio 1956, fornita in occasione di un dubbio, sorto in una causa contenziosa. Questo dubbio è stato formulato nel seguente modo: se il santuario annesso a una casa religiosa esentata sia tenuto a pagare il tributo per il seminario, a norma del can. 1356 CIC 1917[12]. Va precisato al riguardo che il menzionato tributo è stato imposto ai santuari dal Concilio di Trento[13]. La risposta della Sacra Congregazione è di grande importanza, perché vi è stata inserita la definizione di santuario, approvata da papa Pio XII in udienza concessa in data 22 dicembre 1955 al Rev.mo Dino Staffa, all’epoca prelato uditore della Sacra Romana Rota e segretario della Pontificia Commissione, istituita per risolvere il sopracitato dubbio. Il Santo Padre, dopo aver giudicato favorevolmente la descrizione di santuario, preparata e presentata dallo stesso Rev.mo Staffa, ha detto: «Questa definizione entrerà nel nuovo Codice di diritto canonico»[14]. Secondo quanto definito «col nome di santuario si intende la chiesa, ossia l’edificio sacro dedicato all’esercizio pubblico del culto divino che, per un particolare motivo di pietà (ad. es. per l’immagine sacra ivi venerata, per le reliquie ivi custodite, per il miracolo tramite il quale vi ha operato Dio, per la peculiare indulgenza che ivi si può lucrare), è costituita dai fedeli quale meta di pellegrinaggi per chiedere grazie o sciogliere voti»[15]. Successivamente, con lettera dell’8 febbraio 1956, la Sacra Congregazione per i Seminari e gli Studi Universitari ha comunicato agli Ordinari del luogo il testo dell’approvata definizione[16].

Papa Giovanni XXIII, al n. 373 delle lettere apostoliche Novum rubricarum Breviarii et Missalis Romani corpus approbatur, in forma di motu proprio del 26 luglio 1960, ha ripetuto la stessa definizione di santuario, apportando tuttavia piccoli e non significativi emendamenti di carattere stilistico[17].

Se si confronta l’attuale definizione di santuario con quella data da Pio XII, oltre alla notevole somiglianza, si rilevano tre differenze che è opportuno mettere in evidenza:

a)                il Legislatore si serve al can. 1230 dell’espressione luogo sacro, anziché di edificio sacro. Il nuovo termine è più appropriato, perché è più generico rispetto a quello precedente;

b)                nell’attuale definizione non vengono specificamente precisate le finalità dei pellegrinaggi, perché non è possibile farne un elenco completo;

c)                 si inserisce come condizione necessaria l’approvazione dell’Ordinario del luogo[18].

Va notato che, poco dopo il Concilio Vaticano II, la Santa Sede ha affrontato le questioni relative ai santuari, anche se non tramite ordini giuridici, ma piuttosto attraverso ordini generali di carattere pastorale-teologico. Infatti, nel Direttorio Generale per il ministero pastorale circa il «turismo» della Sacra Congregazione per il Clero, approvato da papa Paolo VI in data 27 marzo 1969, si chiedeva che gli Ordinari volessero aumentare il rispetto nei confronti dei santuari nella diocesi, a causa del loro grande contributo che apportano per la vita spirituale della Chiesa. Infatti, in essi vengono amministrati i sacramenti, soprattutto il sacramento della Penitenza e dell’Eucaristia, nonché i santuari in modo efficace possono intensificare e sviluppare la vita spirituale della diocesi e dei pellegrini[19].

Dopo questa breve presentazione storica, si ritorna ora al prescritto del can. 1230, per fissare l’attenzione su tre elementi che devono ricorrere insieme, perché si abbia giuridicamente un santuario:

1)                 si deve trattare di una chiesa o di un altro luogo sacro;

2)                i suddetti luoghi devono essere meta di numerosi fedeli che, per un peculiare motivo di pietà, vi si recano in pellegrinaggio;

3)                si esige l’approvazione dell’Ordinario del luogo.

Riguardo al primo elemento, va innanzitutto notato che il santuario può essere non soltanto una chiesa, come recitava la definizione di papa Pio XII, ma anche un altro luogo sacro.

Conviene mettere in evidenza che la chiesa, a norma del can. 1214, è un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli hanno il diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto. Ci sono, quindi, tre condizioni giuridiche necessarie, che devono essere presenti sempre contemporaneamente, perché si abbia una chiesa: 1) l’edificio sacro, 2) la sua destinazione al culto divino e 3) il diritto dei fedeli di entrarvi per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto. Se manca solo una di queste tre condizioni, canonicamente non si ha una chiesa[20]. Mentre, ai sensi del can. 1205, l’elemento costitutivo e caratterizzante di un luogo sacro è duplice: 1) la destinazione del luogo al culto divino o alla sepoltura e 2) la dedicazione o la benedizione del luogo stesso, come prescrivono i libri liturgici. Pertanto, un luogo è giuridicamente sacro quando vi concorrono simultaneamente questi due elementi[21].

Stando così le cose, è ovvio che i santuari, nonostante che la loro stragrande maggioranza siano chiese, possono essere anche: una cappella che costituisce parte integrante di una chiesa, un oratorio, una piazza, un cimitero, una grotta, una fonte, la cima di una montagna, ecc[22].

Il secondo elemento della definizione canonica di santuario è costituito dai numerosi pellegrinaggi verso una chiesa specifica o un altro luogo santo. Infatti, il santuario – come recita il can. 1230 – deve essere meta di numerosi fedeli che vi si recano in pellegrinaggio per particolari motivi di pietà.Va osservato che i numerosi fedeli (fideles frequentes) devono essere intesi come quelli che in modo più numeroso, ossia in un modo che attira l’attenzione, si dirigono a specifici luoghi sacri, sempre per particolari motivi di pietà. Tuttavia, non è detto che si debba trattare necessariamente di folle. Il fenomeno è sicuramente da valutare in relazione alle circostanze di luogo e di tempo e dipende, ad esempio, dalla densità della popolazione, dalla rete di comunicazioni in una determinata regione, dalla posizione geografica e situazione politica, dalle condizioni atmosferiche, ecc. Inoltre, nella valutazione del numero di fedeli si deve prendere in considerazione anche la continuità del pellegrinaggio in un determinato luogo. Pertanto, non soddisfano il prescritto del canone di cui sopra i pellegrinaggi temporanei, anche se fossero affollati, a causa della loro mancata stabilità. E al contrario, se i pellegrinaggi fossero meno affollati, ma permanenti, spontanei, non imposti dall’esterno né forzati, probabilmente esaudirebbero i requisiti previsti dall’ordinamento canonico per dirsi in presenza di un santuario. È da rilevare che la pratica devozionale consistente nel recarsi, da soli o in gruppo, a un santuario per compiervi speciali atti di religione, sia a scopo di pietà, sia a scopo votivo o penitenziale, trova la sua origine nella pietà popolare, ciò distinguendo il santuario da ogni altro luogo sacro. L’esistenza quindi del santuario non è determinata dall’autorità della Chiesa, ma dalla pietà popolare. E tra i particolari motivi di pietà, di cui al can. 1230, si può – a titolo esemplificativo – ricordare il desiderio di penitenza o di conversione, la richiesta di un favore divino, la ricerca della fede perduta, l’esaudimento di un voto, il ringraziamento per le grazie ottenute o la speciale devozione verso la Vergine Maria o un Santo[23]. Va infine notato che il Codice non stabilisce la necessaria durata nel tempo dei pellegrinaggi in un determinato luogo sacro per chiamarlo giuridicamente santuario. Si può soltanto presumere, per analogia al prescritto del can. 26[24], che si tratti – come asserisce J. Adamczyk – di almeno 30 anni. L’Ordinario del luogo, tuttavia, in vista dell’approvazione di un santuario, potrà abbreviare o prolungare questo periodo di tempo[25].

Il terzo e ultimo elemento è proprio l’approvazione dell’Ordinario del luogo. Si tratta di una norma prudenziale, «strettamente connessa al dovere dell’autorità ecclesiastica di vigilare affinché, in una materia tanto delicata, non si insinuino abusi che si riflettano negativamente sulla vita cristiana dei fedeli»[26]. I santuari, come già detto sopra, di solito nascono come frutto della pietà popolare, ma con l’approvazione dell’Ordinario del luogo ricevono il riconoscimento giuridico[27]. Infatti, «[l]’approvazione canonica costituisce un riconoscimento ufficiale del luogo sacro e della sua specifica finalità, che è quella di accogliere i pellegrinaggi del popolo di Dio che vi si reca per adorare il Padre, professare la fede, riconciliarsi con Dio, con la Chiesa e con i fratelli e implorare l’intercessione della Madre del Signore o di un santo»[28]. Ma, tuttavia, non si può dimenticare «che molti altri luoghi di culto, spesso umili – chiesette nelle città o nelle campagne – svolgono in ambito locale, pur senza riconoscimento canonico, una funzione simile a quella dei santuari. Anche essi fanno parte della “geografia” della fede e della pietà del popolo di Dio, di una comunità che dimora in un determinato territorio e che, nella fede, è in cammino verso la Gerusalemme celeste»[29]. Ritornando alla questione dell’approvazione stessa dell’Ordinario, è palese che essa, in base a quanto detto, giunga sempre con un certo ritardo rispetto ai fatti o ai motivi che hanno generato l’afflusso dei pellegrini (apparizioni, miracoli, conversioni, ecc.). In altri termini, un luogo non può essere canonicamente considerato come santuario prima dell’intervento dell’Ordinario del luogo; e ciò anche nel caso in cui questo luogo già fosse meta di numerosi pellegrinaggi o si trattasse di un luogo già giuridicamente sacro (cf. can. 1205). Concludendo, occorre menzionare che una cosa è l’approvazione canonica del santuario, un’altra l’approvazione dei pellegrinaggi[30].

 

  1. Santuari diocesani, nazionali e internazionali

 

L’approvazione dell’Ordinario del luogo, di cui si è parlato sopra, si riferisce implicitamente ai santuari diocesani. Ma oltre ad essi, a norma del can. 1231[31], ci si può rifare anche ai santuari nazionali e internazionali. Un santuario assume la qualifica di nazionale con l’approvazione della Conferenza Episcopale, invece quella di internazionale con l’approvazione della Santa Sede. Per quanto concerne quest’ultima, il Santo Padre Francesco, con lettera apostolica Sanctuarium in Ecclesia in forma di motu proprio dell’11 febbraio 2017, «volendo favorire lo sviluppo della pastorale che viene svolta nei Santuari della Chiesa, h[a] deciso di trasferire al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione le competenze che, in virtù dell’art. 97, 1° della Cost. ap. Pastor Bonus, erano finora attribuite alla Congregazione per il Clero e anche quelle previste nell’art. 151 della medesima Costituzione riguardo ai viaggi per motivi di pietà, senza pregiudizio, però, dei compiti delle legittime Autorità ecclesiastiche e di quelli che, in virtù di leggi speciali, spettano ad altri organismi nei confronti di determinati Santuari»[32].

In merito ai santuari il Romano Pontefice ha stabilito anche le competenze del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che sono le seguenti:

«a) l’erezione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti, a norma dei cann. 1232-1233 CIC;

b) lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei Santuari e la coltivazione in essi della religiosità popolare;

c) la promozione di una pastorale organica dei Santuari come centri propulsori della nuova evangelizzazione;

d) la promozione di incontri nazionali e internazionali per favorire un’opera comune di rinnovamento della pastorale della pietà popolare e del pellegrinaggio verso luoghi di devozione;

e) la promozione della specifica formazione degli operatori dei Santuari e dei luoghi di pietà e devozione;

f) la vigilanza affinché venga offerta ai pellegrini, nei luoghi di percorrenza, una coerente e sostenuta assistenza spirituale ed ecclesiale che permetta il maggiore frutto personale di queste esperienze;

g) la valorizzazione culturale e artistica dei Santuari secondo la via pulchritudinis quale modalità peculiare dell’evangelizzazione della Chiesa»[33].

Il santuario di solito nasce come diocesano, ma con l’andare del tempo, può essere trasformato in nazionale o internazionale, a causa dell’afflusso sempre più grande dei fedeli provenienti non soltanto dalla diocesi, ma anche da un’intera nazione o da più nazioni. A volte un santuario sorge come nazionale; ed è così, a titolo esemplificativo, quando una chiesa viene costruita come voto con il contributo dei fedeli di tutta una nazione. Nei Paesi invece con una sola diocesi, il santuario diocesano di per sé sembra essere in pari tempo nazionale; ciò nonostante tale santuario, ad avviso di chi scrive, per avere la qualifica di nazionale dovrebbe essere approvato dalla Conferenza Episcopale di appartenenza. Si pensi, ad esempio, alla Svezia o Finlandia, Paesi ciascuno con una sola diocesi e con la stessa Conferenza Episcopale, ossia la Conferenza Episcopale Scandinava. Infatti, quest’ultima è un organismo della Chiesa cattolica che raggruppa i Vescovi di Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda. Il santuario, infine, può essere anche degradato con un provvedimento dell’autorità competente.

 

  1. Gli statuti

 

In via ordinaria la condizione giuridica della chiesa qualificata santuario è uguale a quella delle altre rettorie con personalità giuridica canonica (cann. 556-563), salvo quanto sancito dai cann. 1230-1234 e dagli statuti propri del santuario.

Ma vi possono essere chiese-santuari che sono anche sede di parrocchie; in questo caso il Vescovo diocesano di solito nomina lo stesso sacerdote ai due uffici di rettore e di parroco, a meno che le circostanze suggeriscano diversamente. Ma ci sono altresì altri casi, in cui la stessa chiesa può avere nello stesso tempo più che una sola qualifica. Si pensi alle chiese che contemporaneamente sono santuario e basilica oppure santuario, basilica e chiesa parrocchiale o, perfino, santuario, basilica, cattedrale e sede di parrocchia, ecc. A volte, infine, il santuario può essere affidato in custodia a un istituto religioso clericale o a una società clericale di vita apostolica, mentre la parrocchia al clero diocesano. È ovvio che in queste situazioni il Vescovo diocesano debba individuare la persona giuridica che sia responsabile dell’esercizio del culto, provvedere alla custodia e manutenzione dell’edificio di culto, stabilire gli oneri relativi all’ordinaria e straordinaria amministrazione dei beni, determinare il soggetto proprietario dell’edificio sacro. Spesso, per evitare i conflitti che potrebbero sorgere, si renderà necessaria tra le parti interessate, una convenzione, nella quale siano precisate le modalità di collaborazione nell’esercizio dei propri compiti. Ma oltre alle chiese, come già detto, pure altri luoghi sacri possono essere considerati santuari. Di conseguenza, la situazione giuridica dei santuari è molto varia. Infatti, alcuni santuari godono di personalità giuridica, altri no, alcuni hanno la personalità giuridica pubblica, altri solo privata, alcuni sono privi di tale personalità e perciò annessi ad altre istituzioni ecclesiali.

La varietà delle situazioni sopra descritte mette in evidenza la notevole importanza e l’opportunità degli statuti, ossia che ogni santuario sia dotato di essi[34]. Ai sensi del can. 1232, «[c]ompetente per l’approvazione degli statuti di un santuario diocesano, è l’Ordinario del luogo; per quelli di un santuario nazionale, è la Conferenza Episcopale; per gli statuti di un santuario internazionale, soltanto la Santa Sede» (§ 1). «Negli statuti siano determinati in particolare: il fine, l’autorità del rettore, la proprietà e l’amministrazione dei beni» (§ 2)[35].

Il rinvio agli statuti propri risponde a una necessità concreta che permette, a seconda delle circostanze di luogo e tempo, di rispettare e promuovere efficacemente i fini propri e le caratteristiche peculiari e mutevoli di ogni santuario. Ciononostante, il Codice non prevede l’obbligo di avere statuti[36].L’approvazione degli statuti, di cui al § 1, fa sorgere un rapporto di dipendenza tra il santuario e l’autorità ecclesiastica che li ha approvati. Pertanto, quest’autorità dovrà vigilare sulla loro retta applicazione e reagire, se del caso, con eventuali modifiche[37]. Il prescritto del § 2 indica invece gli elementi minimi essenziali da determinare negli statuti, cioè il fine, l’autorità del rettore, la proprietà e l’amministrazione dei beni. Ne occorre mettere in rilievo la questione dei beni. Va quindi notato che i beni del santuario sono ecclesiastici soltanto quando il santuario, a norma del can. 1257, § 1, gode della personalità giuridica pubblica. In questo caso i beni sono retti dai relativi canoni del Libro V del Codice di Diritto Canonico, nonché dai propri statuti. Non sono invece ecclesiastici i beni delle persone giuridiche private, anche se esse operano sotto la vigilanza dell’autorità ecclesiastica. Non sono quindi beni ecclesiastici quelli che, ad esempio, appartengono ai chierici (vescovi, parroci, vice-parroci, ecc.), qualunque sia il titolo di proprietà; non sono beni ecclesiastici neanche le chiese-edifici e gli altri beni temporali che appartengono alle associazioni private di fedeli, perché non costituite in persona giuridica pubblica o aventi solo personalità giuridica privata. Questi beni, a termini del can. 1257, § 2, sono retti da propri statuti e non dai sopra menzionati canoni[38].

 

  1. I privilegi

 

Il can. 1233 prevede la possibilità di concedere ai santuari peculiari privilegi in ragione delle circostanze di luogo, della frequenza dei pellegrini e soprattutto del bene dei fedeli[39]. Questi privilegi speciali, concessi dall’autorità ecclesiastica[40], possono essere molto vari, come ad esempio indulgenze, remissione di particolari censure, particolarità liturgiche (p. es. la celebrazione solenne di alcune feste o commemorazioni o l’esposizione perpetua del Santissimo Sacramento), sospensione della giurisdizione dell’Ordinario del luogo, immediata subordinazione del santuario ad altra autorità ecclesiastica superiore, esenzioni pecuniarie, ecc. Alla luce di quanto sopra esposto, si evince che i privilegi possono essere non soltanto di carattere spirituale.Anche se il canone parla soltanto di privilegi, in pratica – come scrive J. T. Martín de Agar – il Legislatore prende in considerazione anche alcuni altri favori quali dispense o licenze che possono essere concessi al santuario stesso, al suo rettore, ai sacerdoti che vi esercitano la loro funzione o vi sono soltanto di passaggio o ai pellegrini[41]. I privilegi o le altre grazie possono essere quindi reali o personali, perpetui o temporali (cf. cann. 78 e 83).Va messo in luce che molti santuari godono di vari privilegi o altri favori sin dai tempi antichi o almeno remoti. Nonostante il prescritto del can. 76, § 2, secondo il quale il possesso centenario o immemorabile induce la presunzione che il privilegio sia stato concesso, sarebbe opportuno anche negli eventuali statuti, di cui al can. 1232, confermare o meno l’utilità o la validità di privilegi, al fine di risolvere ipotizzabili dubbi al riguardo[42].

 

  1. Cura pastorale e promozione della pietà popolare

 

La vita del santuario dovrebbe ruotare attorno ai sacramenti e alla preghiera[43]. Infatti, il santuario, «sia esso dedicato alla santissima Trinità, a Cristo Signore, alla beata Vergine, agli Angeli, ai Santi o ai Beati, è forse il luogo in cui i rapporti tra Liturgia e pietà popolare sono più frequenti ed evidenti. “Nei santuari, si offrano più abbondantemente ai fedeli i mezzi della salvezza, annunciando con zelo la Parola di Dio, favorendo convenientemente la vita liturgica, in specie con l’Eucaristia e la celebrazione della Penitenza, nonché coltivando forme approvate di pietà popolare”. In stretto rapporto con il santuario è il pellegrinaggio, anch’esso espressione diffusa e caratteristica della pietà popolare»[44]. Non vi è quindi dubbio che la cura pastorale debba essere promossa in ogni santuario in favore dei fedeli di tutta una diocesi (o nazione o Chiesa universale). Pertanto, come precisa il can. 1234, § 1, vi si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia e della Penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare[45]. Il contenuto della norma codiciale non crea difficoltà interpretative. Il canone, infatti, oltre all’attenzione sull’impegno per la proclamazione della parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti, sottolinea l’importanza della cura sulle sane forme della pietà popolare, perché essa «non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche»[46]. Nei santuari, considerato che i pellegrinaggi sono spesso di carattere penitenziale, dovrebbe essere garantito il sufficiente numero di confessori, disponibili in un orario conveniente per i pellegrini. Tuttavia, sarebbe opportuno inserire negli statuti o nelle convenzioni più precise e concrete forme di cura pastorale.

 

  1. Le testimonianze votive

 

Il prescritto del can. 1234, § 2, esige che le testimonianze votive dell’arte e della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodite con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti[47]. Questa visibilità è richiesta al fine di testimoniare la fede dei pellegrini e, di conseguenza, di catechizzare non credenti, disperati o dubbiosi, nonché di rafforzare la fede dei credenti. Gli oggetti preziosi di valore artistico o storico sono invece tutelati in modo particolare da parte del diritto canonico. Infatti, il can. 1292, § 2, per la loro valida alienazione impone la licenza della Santa Sede[48].

 

  1. Conclusioni

 

Alla luce di quanto detto, emerge soprattutto che la pratica devozionale consistente nel recarsi, da soli o in gruppo, a un santuario per compiervi speciali atti di religione, sia a scopo di pietà, sia a scopo votivo o penitenziale, trae la sua origine nella pietà popolare, ciò distinguendo il santuario da ogni altro luogo sacro. Infatti, il santuario sorge da un moto di pietà popolare, mentre gli altri luoghi piuttosto per l’iniziativa dell’autorità ecclesiastica. La Chiesa, tenendo conto delle tradizioni locali e di particolari espressioni di religiosità e pietà popolare, approva tale forma di pietà e riconosce canonicamente il santuario quale luogo sacro e la sua specifica finalità, che è quella di accogliere i pellegrinaggi del popolo di Dio. Inoltre, la Chiesa protegge e promuove anche i santuari, mettendo in rilievo il loro importante ruolo pastorale che svolgono nella comunità dei fedeli. I santuari sono difatti «un vero rifugio per riscoprire sé stessi e ritrovare la necessaria forza per la propria conversione[49]», un luogo di sosta, di silenzio e di contemplazione, dove i fedeli ricevono un sostegno per ravvivare l’impegno di evangelizzazione e per riprendere vigore nel proseguire il cammino terrestre verso la Città futura (cf. Eb 13, 14).

 

Abstract: This contribution does not intend to deal with the historical, artistic, theological or pastoral aspects of shrines, but wants to limit itself only to the juridical one. The shrines, after their reevaluation and appreciated role in the new evangelization, have acquired a significant importance today, especially in pastoral activity, and therefore their function cannot be neglected, but on the contrary must be deepened also in canon law. The purpose of this article is therefore to present in an analytical-synthetic way the current canonical legislation on the matter in question and to be useful, both for canon law scholars and for the pastors of the Church, since the topic on the subject does not enjoy much interest among canonists.

 

Key words: shrines, popular piety, pilgrimage, churches, sacred places, new evangelization

 


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] Francesco, lettera apostolica (= lett. ap.) Sanctuarium in Ecclesia, pubblicata in forma di motu proprio, 11 febbraio 2017, n. 4, in AAS 109 (2017), p. 337.

[2] Ibid., n. 5, p. 337.

[3] Cfr. Communicationes 4 (1972), pp. 165-166 e Communicationes 12 (1980), p. 341.

[4] Cfr. M. Calvi, I santuari nel nuovo Codice di diritto canonico, in Quaderni di Diritto Ecclesiale 2 (1989), p. 181.

[5] L’art. 27, al primo capoverso stabilisce che le «basiliche della Santa Casa in Loreto, di San Francesco in Assisi e di Sant’Antonio in Padova […] saranno cedute alla Santa Sede e la loro amministrazione spetterà liberamente alla medesima», mentre il terzo capoverso riguarda l’amministrazione degli «altri Santuari» (AAS 21 [1929], p. 285). Al riguardo cfr.: F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, aggiornamento a cura di A. Bettetini e G. Lo Castro, Torino 201912, pp. 313-314.

[6] Si veda J. T. Martín de Agar, Comentario (can. 1230), in A. Marzoa, J. Miras e R. Rodríguez-Ocaña (a cura di), Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, Pamplona 1996, vol. III, p. 1845.

[7] «Sanctuarii nomine intelleguntur ecclesia vel alius locus sacer ad quos, ob peculiarem pietatis causam, fideles frequentes, approbante Ordinario loci, peregrinantur» (can. 1230).

[8] Va messa in evidenza la famosa regola giuridica di Lucio Giavoleno Prisco, un giurista e consoleromano dell’epoca di Traiano: omnis definitio in iure civili periculosa est; parum est enim, ut non subverti posset, ovvero «nel diritto ogni definizione appare pericolosa; è difficile infatti che essa non possa essere sovvertita»(D.50, 17, 202, Liber XI Epistularum). Cfr. anche: Communicationes 12 (1980), p. 342 e C. Rosell, Santuarios y Basílicas en el Derecho canónico vigente, in Efemerides Mexicana 6 (1988), p. 167.

[9] Cfr. AAS 28 (1936), pp. 167-168.

[10] Nella prima norma, ad esempio, si statuiva: «Hae piae peregrinationes characterem vere religiosum semper praeseferant, habeantur et peragantur uti actus ad pietatem christianam pertinentes, atque ab itineribus ob merum solatii finem susceptis probe distinguantur. Quidquid igitur praefato huic fini pio ac religioso minus congruit, omnino arceatur, eaque omnia vitentur, quibus cordici possit has peregrinationes, religionis quidem specie, re autem vera solatii vel oblectamenti causa praecipue fuisse susceptas», in ibid., p. 167.

[11] Cfr. J. Dudziak, Prawno-kanoniczna koncepcja sanktuarium, in Tarnowskie Studia Teologiczne 9 (1983), p. 63.

[12] «Dubium a Commissione dirimendum erat: “utrum Sanctuarium adnexum domui religiosae exemptae, tributo pro Seminario sit obnoxium, ad normam can. 1356 C.J.C”» (D. Staffa, De notione sanctuarii et de ipsius obligatione solvendi tributum pro seminario, in Apollinaris 49 [1976], p. 251).

[13] Ibid.

[14] Cfr., ibid, pp. 255-256.

[15] «Sanctuarii nomine intelligitur Ecclesia seu aedes sacra divino cultui publice exercendo dicata, quae, ob peculiarem pietatis causam (e. gr. ob imaginem sacrami ibi veneratam, ob reliquiam ibi custoditam, ob miraculum quod ibi Deus operatus sit, ob peculiarem indulgentiam ibi lucrandam), a fidelibus constituitur meta peregrinationum, ad gratias impetrandas vel vota solvenda» (ibid., p. 256).

[16] Cfr. ibid., nota 9.

[17] «Sanctuarii nomine venit ecclesia seu aedes sacra divino cultui publice exercendo dicata, quae ob peculiarem pietatis causam (ex. gr. ob imaginem sacram ibi veneratam, ob reliquiam ibi conditam, ob miraculum quod Deus ibi operatus sit, ob peculiarem indulgentiam ibi lucrandam) a fidelibus constituitur meta peregrinationum ad gratias impetrandas vel vota solvenda» (AAS 52 [1960], p. 660).

[18] Cfr. M. Calvi, I santuari…, cit., p. 182.

[19] Cfr. AAS 61 (1969), pp. 361-384.

[20] Sul concetto giuridico di chiesa si veda: P. Malecha, La riduzione di una chiesa a uso profano non sordido alla luce della normativa canonica vigente e delle sfide della Chiesa di oggi, in Jus-Online 4/3 (2018), pp. 177-180.

[21] Per approfondire l’argomento sui luoghi sacri, cfr., ad. es.,: Id., Dedicazione e benedizione di una chiesa, in Periodica de re canonica 91 (2002), pp. 521-524.

[22] Cfr. J. Adamczyk, Wokół prawnej definicji sanktuarium, in Prawo Kanoniczne 57/3 (2014), pp. 69-71.

[23] Cfr. ibid., pp. 71-74.

[24] «A meno che non sia stata approvata in modo speciale dal Legislatore competente, una consuetudine contraria al diritto canonico vigente o che è al di fuori della legge canonica, ottiene forza di legge soltanto, se sarà stata osservata legittimamente per trenta anni continui e completi […]» (can. 26).

[25] Cfr. J. Adamczyk, Wokół…, cit., p. 74, J. Dudziak, Prawno-kanoniczna…, cit., p. 69 e S. Tyl, Przepisy prawne o sanktuariach w Kodeksie Prawa Kanonicznego z 1983 r. i w pierwszym synodzie diecezji kaliskiej (2007-2009), in Kościół i prawo 14/1 (2012), pp. 121-122.

[26] M. Calvi, I santuari…, cit., p. 182.

[27] «Consultor quidam censet hanc mentionem non esse necessariam quia generatim interventus auctoritatis ecclesiasticae accedit post factum, postquam scilicet, ob eventum aliquod extraordinarium, instauratur ille concursus fidelium in quo consistit ratio peculiaris sanctuarii. Alii Consultores, etsi admittant talem chronologice esse seriem factorum quibus adscribi debet origo sanctuarii, censent tamen necessariam esse approbationem auctoritatis ecclesiasticae ut sanctuarium legitime consistere possit» (Communicationes 12 [1980], p. 342).

[28] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, 17 dicembre 2001, Città del Vaticano 2002, n. 264, in EV 20 (2001) n. 2750.

[29] Ibid., in EV 20 (2001) n. 2751.

[30] Cfr. J. Adamczyk, Wokół…, cit., pp. 79-80.

[31] «Ut sanctuarium dici possit nationale, accedere debet approbatio Episcoporum conferentiae; ut dici possit internationale, requiritur approbatio Sanctae Sedis» (can. 1231).

[32]AAS 109 (2017), p. 337.

[33] Ibid., p. 338.

[34] Cfr. M. Calvi, I santuari…, cit., pp. 183-185.

[35] «§ 1. Ad approbanda statuta sanctuarii dioecesani, competens est Ordinarius loci; ad statuta sanctuarii nationalis, Episcoporum conferentia; ad statuta sanctuarii internationalis, sola Sancta Sedes.

§ 2. In statutis determinentur praesertim finis, auctoritas rectoris, dominium et administratio bonorum» (can. 1232).

[36] «Consultor quidam proponit ut in canone statuatur obligatio pro omnibus sanctuariis habendi propria statuta, sed alii Consultores sunt contrarii» (Communicationes 12 [1980], p. 343).

[37] In merito alla questione in tema, J. T. Martín de Agar osserva: «La aprobación de los estatutos es un acto administrativo de control que mira a garantizar el cumplimiento de la disciplina eclesiástica en la vida y actividad del santuario. Quien está llamado a dar esta aprobación puede exigir algunos requisitos o condiciones concretos para otorgarla, en orden a asegurar en el tiempo el respeto de la ley y a precisar las relaciones del santuario con la autoridad» (Id., Comentario [can. 1232], in A. Marzoa, J. Miras e R. Rodríguez-Ocaña [a cura di], Comentario exegético…, cit., p. 1850).

[38] Cfr. P. Malecha, L’amministrazione dei beni ecclesiastici, in Chiesa Oggi 113 (2020), p. 21.

[39] «Sanctuariis quaedam privilegia concedi poterunt, quoties locorum circumstantiae, peregrinantium frequentia et praesertim fidelium bonum id suadere videantur» (can. 1233).

[40] Il privilegio, a tenore del can. 76, § 1, può essere concesso dal Legislatore come pure dall’autorità esecutiva cui il Legislatore abbia conferito tale potestà.

[41] J. T. Martín de Agar, Comentario (can. 1233), in A. Marzoa, J. Miras e R. Rodríguez-Ocaña (a cura di), Comentario exegético…, cit., p. 1854.

[42] Ibid.

[43] Va ricordato che i fedeli, a norma del can. 213, hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti.

[44] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio…, cit., n. 261.

[45] «In sanctuariis abundantius fidelibus suppeditentur media salutis, verbum Dei sedulo annuntiando, vitam liturgicam ptraesertim per Eucharistiae et paenitentiae celebrationem apte fovendo, necnon probatas pietatis popularis formas colendo» (can. 1234, § 1).

[46] Giovanni Paolo II, lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 18, in AAS 81 (1989), p. 914 e in EV 11 (1988-1989), n. 1592.

[47] «Votiva artis popularis et pietatis documenta in sanctuariis aut locis adiacentibus spectabilia serventur atque secure custodiantur» (can. 1234, § 2).

[48] «Si tamen agatur de rebus quarum valor summam maximam excedit, vel de rebus ex voto Ecclesiae donatis, vel de rebus pretiosis artis vel historiae causa, ad validitatem alienationis requiritur insuper licentia Sanctae Sedis» (can. 1292, § 2).

[49] Francesco, lett. ap. Sanctuarium in Ecclesia, cit., n. 3, p. 336.

Malecha Paweł



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