fbevnts Committees in Civil Code and in Third Sector Code

I comitati tra Codice civile e Codice del Terzo settore

24.12.2021

Montani Veronica

Ricercatrice di Diritto privato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

I comitati tra Codice civile e Codice del Terzo settore* **

 

English title: Committees in Civil Code and in Third Sector Code

DOI: 10.26350/18277942_000057

 

Sommario: 1. Il comitato: brevi premesse. 2. La disciplina del Codice civile. 3. I comitati e il Terzo settore: un connubio possibile? 3.1. (segue): i soggetti degli artt. 40 e 41 c.c. e gli amministratori. 3.2. (segue): adattamenti, modifiche o deroghe derivanti dall’applicazione dell’art. 28 cts. 3.3. (segue): coincidenza o divergenza di perimetri tra le previsioni degli artt. 40 e 41 c.c. e dell’art. 28 cts. Un confronto con le regole codicistiche in tema di associazioni non riconosciute.

 

 

  1. Il comitato: brevi premesse

 

La figura del comitato[1] è da sempre la più trascurata tra gli enti senza scopo di lucro. La considerazione minore riservata ai comitati emerge, oltre che dall’analisi dei censimenti Istat[2], in cui l’ente in discussione viene genericamente ricompreso sotto la voce “altre forme giuridiche”, anche dallo stesso testo del d.p.r. 361 del 2000, in cui sono menzionate solo le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato quali soggetti senza scopo di lucro che possono conseguire il riconoscimento della personalità giuridica, nonché dall’articolato della riforma del Terzo settore, in cui la figura del comitato non risulta, di nuovo, espressamente annoverata tra i possibili enti del Terzo settore, generando, dunque, dubbi sulla possibilità per un comitato di ottenere tale qualifica.

Pur tuttavia, il ricorso a detto ente è di non scarso momento, soprattutto in relazione ai contesti di promozione di taluni diritti o di rappresentanza di talune esigenze, di salvaguardia e protezione di determinati beni naturali o culturali e, non da ultimo, ai comitati nati in seguito a situazioni emergenziali.

Se, infatti, in passato il comitato veniva percepito come un ente intrinsecamente connotato da un limite operativo (e cioè la sua temporaneità e il suo essere un ente effimero), il terzo ente senza scopo di lucro citato dal codice civile (terzo in ordine di disciplina) si è rivelato, nel tempo, non solo privo nei suoi requisiti essenziali della transitorietà[3] (tratto oggi pacificamente ritenuto non obbligatorio per la configurabilità del comitato stesso), ma soprattutto si è dimostrato essere la tipologia di ente -  oggi in concorrenza, per le sue caratteristiche, con le figure delle fondazioni e dei trust - meglio rispondente alle esigenze di sollecita risposta in circostanze di necessità e di bisogni subitanei ovvero a esigenze di sensibilizzazione: si pensi, per esempio, ai numerosi e recenti comitati sorti nell’immediato post terremoto in Abruzzo, a seguito del crollo del Ponte Morandi o ai molti comitati in favore di vittime (o famiglie di vittime) di tragedie o in favore di alcune categorie di persone e ancora ai comitati ancorati a tessuti o realtà sociali locali, come i comitati di quartiere o i comitati scolastici.

 

  1. La disciplina del Codice civile

 

Con ordine, sarà dunque analizzata brevemente la figura del comitato di cui al Codice civile e il possibile rapporto tra comitato e ente del Terzo settore.

Come noto, il Codice civile riserva ai comitati gli artt. 39-42 c.c. senza fornire una definizione dell’ente in questione, richiamando, piuttosto, le principali tipologie rinvenibili nella realtà pratica attraverso il riferimento, nell’art. 39 c.c., ai “comitati di soccorso o di beneficienza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili”.

In assenza di una definizione la lettura combinata dei successivi articoli permette di ricostruire gli elementi identificativi del comitato così da poter giungere ad una sua nozione, seppur empirica, di ente basato sull’organizzazione volontaria di persone e caratterizzato dal perseguimento di uno scopo altruistico, mediante l’utilizzo dei fondi provenienti da oblazioni del pubblico, cui l’iniziativa è stata previamente annunciata. Come è stato recentemente ricordato[4], tra i tratti caratterizzanti del comitato figurano (i) il fine altruistico e di interesse generale[5], (ii) la pubblica sottoscrizione di reperimento del capitale, (iii) il regime dei fondi raccolti e vincolati allo scopo annunciato; prerogative a cui si aggiungevano, sino a tempi non troppo recenti, la (iv) durata temporanea dell’ente[6] e la (v) struttura chiusa[7].

Detti ultimi due requisiti sono ancor oggi certamente ricorrenti nella prassi e, dunque, considerati naturali, benché, come si diceva, non necessari ed essenziali[8] per la fattispecie del comitato, trattandosi, più correttamente, di mere modalità attraverso le quali il comitato frequentemente agisce: abitualità della durata limitata e della struttura oligarchica, dunque, ma non imprescindibilità di tali elementi.

Ben si possono, infatti, secondo dottrina e giurisprudenza ormai costante e consolidata[9], configurare comitati dalla durata significativa o dalla struttura aperta: le antiche opere pie senza personalità giuridica, i comitati promotori di esposizioni e mostre permanenti o di svaghi culturali duraturi, i comitati di opere di bonifica o di opere pubbliche non circoscritte o i comitati di festeggiamenti con carattere stabile erano e sono solo alcuni degli esempi di comitati stabili. Parimenti, «la struttura chiusa, se è aderente all’ipotesi di organizzazioni create per realizzare finalità che si esauriscono in un periodo di tempo determinabile in anticipo (e sono questi i casi dei comitati per festeggiamenti o per recare soccorso nelle pubbliche calamità), non lo è nel caso di organismi istituiti per conseguire obiettivi che si proiettano in un arco di tempo prolungato»[10].

Il profilo in questione evidentemente si pone in linea di continuità con il parimenti classico tema dell’individuazione dei tratti differenziali dell’ente rispetto alla figura dell’associazione e della fondazione sia perché tradizionalmente si affermava che il comitato era un insieme numericamente ridotto di soggetti organizzati in una struttura dalla quale risultavano esclusi i sottoscrittori-finanziatori e chiusa ai nuovi aderenti–promotori (in tal modo differenziandosi dalla struttura necessariamente aperta del fenomeno associativo); sia perché è stata lungamente discussa la natura stessa del comitato (anche al fine di integrare la scarna normativa della quadriade degli artt. 39-42 c.c. attraverso la disciplina dell’ente a cui veniva assimilato), ricondotto, secondo una chiave logico-evolutiva, ora alle associazioni[11], ora alle fondazioni[12], ora all’uno e all’altro. È solo dagli anni Novanta che la Suprema Corte di Cassazione[13] avalla la lettura proposta dalla più autorevole dottrina[14] del tema che, per prima, aveva rilevato come il comitato presentasse una duplice natura, essendo riconducibile, nella fase genetica, ad un contratto associativo plurilaterale con comunione di scopo; nella fase successiva in cui i fondi raccolti vengono destinati allo scopo annunziato, all’istituto della fondazione.

Nella fase costitutiva, infatti, è sufficiente che un gruppo di persone determini lo scopo del comitato e le attività specifiche che si intendono attuare, in assenza di un prescritto requisito di forma, come per le associazioni non riconosciute. L’oggetto del contratto è, dunque, la promozione di una raccolta fondi indirizzata verso un obiettivo dato e comune ai promotori, i quali, in questa fase, rendono noti al pubblico gli scopi (il c.d. programma) e le modalità attraverso le quali si intendono raggiungerli, al fine di sollecitare i terzi a compiere le donazioni[15] poi raccolte. Una volta costituito il patrimonio tramite le offerte dei terzi, l’ente assume tratti più simili alla fondazione, dovendo gli organizzatori conservare i fondi raccolti e destinarli al perseguimento dello scopo annunciato. Non è un caso che si distingua, quanto meno da un punto di vista teorico, tra la figura dei promotori, che costituiscono il comitato e determinano lo scopo e il modo per perseguirlo, e gli organizzatori, che gestiscono i fondi, ancorché nella prassi dette figure tendano spesso a coincidere; così come esse possono coincidere, in parte, con i sottoscrittori, sebbene questi ultimi – ove non contemporaneamente promotori o organizzatori -  siano soggetti terzi rispetto all’ente, esaurendosi il loro rapporto con il comitato nella mera oblazione.

Un primo aspetto, di utilità nell’analisi della riforma del Terzo settore, riguarda il possibile riconoscimento del comitato e la conseguente disciplina applicabile. I comitati hanno spesso natura temporanea; tuttavia, poiché la temporaneità non è un elemento essenziale, ben può verificarsi che un comitato, per esempio a carattere permanente con scopo ricorrente e ripetibile, abbia interesse a chiedere il riconoscimento della personalità giuridica, divenendo associazione riconosciuta ovvero fondazione[16]. Fermo il dibattito circa il tipo di ente in cui il comitato evolverebbe ottenendo la personalità giuridica, giova qui succintamente ricordare come sia i sostenitori della natura associativa (a favore dell’applicabilità delle norme previste per le associazioni riconosciute)[17] sia i sostenitori della natura fondazionale (con applicazione delle relative norme)[18] condividano l’inapplicabilità degli artt. 40 e 42 c.c. posto che i profili relativi a responsabilità degli amministratori e devoluzione dei fondi residui verrebbero disciplinati dagli artt. 18 e 32 c.c.[19].

Quanto poi al profilo della responsabilità dei soggetti organizzatori e dei componenti del comitato, l’art. 40 c.c. prevede che “gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato”, mentre l’art. 41 stabilisce che, qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, tutti i suoi componenti rispondono personalmente e solidalmente per le obbligazioni assunte, essendo i sottoscrittori soltanto tenuti a effettuare le oblazioni promesse. Al di là della criptica e criticata formulazione lessicale[20] dell’art. 40 c.c., che parla di organizzatori senza chiarire di chi si tratti e menzionando anche i soggetti che si occupano della gestione dei fondi, è pacifico che il regime di responsabilità sia strettamente connesso all’attività gestoria compiuta e che il citato articolo disciplini la sussistenza di una responsabilità per i soli componenti del comitato che si siano occupati attivamente della conservazione dei fondi e della loro destinazione per il perseguimento del fine annunciato, a prescindere dalla fase - genetica di raccolta dei fondi o successiva al reperimento dei fondi stessi - in cui tali soggetti abbiano iniziato ad operare. In tal caso la responsabilità è personale e solidale. La dottrina[21], a tal riguardo, ha ampiamente discusso se le figure in discussione fossero da rapportare all’amministratore di associazione[22], all’amministratore di fondazione[23], secondo il diverso riconoscimento della natura giuridica del comitato, ovvero ancora ai componenti degli organi consiliari[24], ricorrendo allo schema personalistico delle società di persone.

Diversamente l’art. 41 c.c. pone il discrimine sull’ottenimento del riconoscimento della personalità giuridica da parte del comitato. Detta ipotesi resta estranea al dettato della norma e conduce necessariamente a rinvenire soluzione nell’art. 18 c.c., tanto aderendo alla natura associativa quanto fondazionale del comitato-persona giuridica. L’art. 41 c.c. disciplina, infatti, l’ipotesi di carenza della personalità, prevedendo che, nel comitato senza personalità giuridica, siano i suoi componenti a rispondere delle obbligazioni assunte dall’ente, chiarendo però, con l’inciso successivo, che i meri sottoscrittori, non considerati componenti dell’ente, sono tenuti alle sole oblazioni promesse. La formulazione dell’art. 41 c.c. riecheggia, prima facie, quella dell’art. 38 c.c. in tema di associazioni di fatto, benché profonda ne è la differenza: mentre, infatti, nell’associazione non riconosciuta, sono le persone che hanno agito in nome e per conto di quest’ultima che rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte, nel comitato non riconosciuto rispondono personalmente edillimitatamente tutti icomponenti, senza che vi sia distinzione alcuna tra chi ha agito e chi non ha agito per conto del comitato medesimo. La previsione, rivolgendosi a tutti i componenti e determinando una responsabilità connessa alla mera partecipazione al comitato[25], rende quindi privo di rilevanza l’individuazione del soggetto che ha (o non ha) agito o deciso, il ruolo di chi ha posto in essere l’attività nonché il (discusso) carattere corporativo o personalistico di governance del comitato. Tra le argomentazioni sviluppate a sostegno della diversità di disciplina è stata, infatti, posta in risalto proprio la diversità della struttura organizzativa delle due tipologie di enti: partecipazione diretta e personale nel comitato, al pari di quanto avviene nelle società di persone; indiretta e impersonale invece nell’associazione[26]. Non si deve, tuttavia, scordare che, mentre la struttura corporativa è forma organizzativa data per le associazioni riconosciute, ciò non vale insindacabilmente per le associazioni di fatto, in relazione alle quali ampia dottrina[27] riconosce la possibilità di regole interne volte a configurare un carattere anche disgiunto di governo dell’ente. A prescindere da tale profilo (che nella prospettiva di illustre dottrina[28] comporta, a cascata, il riconoscimento dell’applicabilità dell’art. 41 c.c. alle sole obbligazioni assunte durante il reperimento delle oblazioni e, ulteriormente, l’ammissibilità dalla fondazione non riconosciuta per descrivere l’evoluzione del comitato-associazione di promotori in seguito al raggiungimento dello scopo dato dalla raccolta dei fondi), la differenza di disciplina trova un’indiscussa ragion d’essere nella diversa modalità con la quale i due enti perseguono i loro fini: nel caso delle associazioni non riconosciute, essa è prevalentemente (ma non esclusivamente) incentrata sulla partecipazione degli associati (tutti o anche solamente una parte) e sulla condivisione tra gli stessi dello scopo dell’ente[29]; nel caso del comitato è incentrata sulla racconta e sulla gestione di fondi[30]. La raccolta di oblazioni presso i terzi e la destinazione delle stesse a favore di terzi potrebbe essere, già di per sé, il fondamento della necessità di una maggiore attenzione a cui il legislatore richiama tutto il gruppo[31] affinché ciascun componente sia interessato al quomodo della gestione dei fondi e possa esercitare tutti i poteri di informazione, controllo e, nel caso, denuncia.

 

  1. I comitati e il Terzo settore: un connubio possibile?

 

I profili da ultimo ripercorsi appaiono di estremo interesse al fine di valutare il rapporto esistente tra i comitati e gli enti del Terzo settore.

Come già ricordato, il riferimento alla figura dei comitati è, da sempre, fugace, come confermato, anche di recente, dalle scelte compiute dal legislatore della riforma: il neo art. 42 bis c.c., in tema di trasformazioni, scissioni e fusioni, menziona, quali soggetti coinvolti nelle dinamiche trasformative, le fondazioni e le associazioni riconosciute, ma non i comitati[32]; parimenti, il d.lgs. 117/2017, nel fornire il quadro definitorio degli enti del Terzo settore (art. 4), non contiene alcun riferimento ad essi.

Come è stato da subito osservato, il mancato richiamo dei comitati e l’assenza di una loro disciplina nel Codice del Terzo settore inducono l’interprete a domandarsi se sia ipotizzabile un “comitato – ente del Terzo settore” e quale siano le norme ad esso, eventualmente, applicabili[33].

Così, prima facie, si potrebbe sollevare il dubbio che i comitati siano confinati “nell’ambito degli enti destinati a restare fuori dalla sfera della normativa settoriale, con le relative opportunità di cui potersi avvalere, e, quindi, ad operare nei limiti angusti della disciplina codicistica[34]. Ciò in ragione del carattere temporaneo e transitorio dell’attività del comitato, da cui deriverebbe l’impossibilità di assumere quelle caratteristiche formali e strutturali tipiche degli enti disciplinati dal codice del Terzo settore. Il dubbio di compatibilità, poi, si estende alla valutazione circa le reali intenzioni del legislatore di includere detti soggetti nel perimetro del terzo settore, giacché è ricorso ad una definizione che non menziona una fattispecie ben nota e tipizzata dal Codice civile.

Va, tuttavia, sempre ricordato che il carattere effimero dell’ente in questione costituisce solo una delle possibili configurazioni che lo stesso può assumere, non costituendone un dato prescrittivo.

La formula definitoria di ente del Terzo settore risulta, peraltro, interessante ai presenti fini, in quanto chiosa includendo nel perimetro del Terzo settore gli “altri enti di carattere privato”, con un’espressione, dunque, analoga a quella presente nell’abrogato art. 12 c.c. e nel già ricordato art. 1 d.p.r. n. 361/2000 (ove si legge “altre istituzioni di carattere privato”). Come è noto, sulla scia della Relazione al codice civile, l’espressione “altri enti di carattere privato” è stata da sempre ritenuta inclusiva della fattispecie dei comitati, anche alla luce del riconoscimento indiscusso della loro soggettività giuridica[35]; non vi è, quindi, ragione per ritenere, nel quadro in oggetto, che la scelta del legislatore sottenda scelte divergenti o antinomiche rispetto al passato, ben potendosi intendere la formulazione come un “indic(e) tendent(e) ad indirizzare nel senso di reputare consentita l’inclusione anche dei comitati tra gli enti che possano aspirare ad accedere allo statuto proprio di quelli del Terzo settore[36].

Al di là del dato letterale, i profili di carattere sostanziale legati agli elementi costitutivi dell’ente del Terzo settore – (i) perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; (ii) svolgimento di attività di interesse generale; (iii) assenza di scopo di lucro; (iv) iscrizione del Registro Unico Nazionale del Terzo settore – non pongono dubbio alcuno sulla compatibilità tra la fattispecie del comitato e la qualifica di Ets.

Con riferimento alla finalità, anzi, la dottrina civilistica[37] ha sostenuto come il comitato dovesse caratterizzarsi necessariamente per un fine altruistico. Mentre per associazioni e fondazioni il carattere altruistico, proposto da parte della dottrina come elemento caratterizzante e necessario degli enti di libro I, non viene considerato un dato costitutivo, ben essendo configurabili anche enti con finalità egoistiche[38] (oltre che con attività autodestinate), diversamente, il fine per il quale viene costituito il comitato e per il quale viene effettuata la raccolta fondi deve avere, secondo tutta la dottrina che si è occupata della natura del comitato, necessariamente natura altruistica e essere di interesse generale[39].

Come è stato anche recentemente osservato, infatti, “il comitato (…) oltre ad essere connotato da uno scopo non lucrativo, trascende, più di quanto possa trascendere qualunque altro ente ideale, gli obiettivi perseguiti dai singoli componenti, e realizza interessi della collettività ai quali, direttamente o indirettamente, l’attività è rivolta[40], soddisfando tendenzialmente fini pubblici e, in ogni caso, non egoistici. Il comitato, dunque, è per definizione compatibile con le finalità dell’Ets e con le attività che l’ente del terzo settore deve svolgere. 

Parimenti, nulla quaestio in relazione al profilo del non distribution constraint[41].

Rispetto, infine, all’iscrizione del Registro Unico Nazionale del Terzo settore, si possono formulare due brevissime osservazioni: posta la definizione di Ets di cui all’art. 4 cts, ben si potrebbe ammettere l’iscrizione dei comitati nell’ambito della sezione relativa agli “altri enti del Terzo settore” (ai sensi dell’art. 46, co. 1, lett. g cts); inoltre, fermo il dato per cui il carattere temporaneo del comitato non è requisito costitutivo dell’ente, la previsione di una durata contenuta o limitata di “vita” di un ente non è, di per sé, comunque preclusiva della possibilità di iscrizione nel Registro. Proprio il Codice del Terzo settore, all’art. 21 co. 1, prevede esplicitamente che associazioni e fondazioni del Terzo settore possano inserire all’interno del loro atto costitutivo una eventuale previsione circa la “durata dell’ente”, ammettendosi quindi enti a tempo indeterminato così come enti a durata individuata e limitata nel tempo.

Naturalmente, il comitato interessato ad assumere la qualifica di ente del Terzo settore potrà essere costituito mediante scrittura privata (o con scrittura privata autenticata o con atto pubblico) e possedere i requisiti previsti dalla normativa del Terzo settore.

Posto, quindi, un giudizio positivo circa la possibile astratta configurazione di un “comitato-ente del Terzo settore”, il profilo di maggior interesse riguarda, da un lato, la compatibilità e l’applicabilità a tale ente dei nuovi istituti e regimi introdotti dalla riforma; dall’altro, le possibili “alterazioni” o “deviazioni” di tali regimi normativi applicabili in conseguenza della qualifica di comitato-Ets.

Così, sotto il primo profilo, alcuni studi - tra i molti che si stanno già occupando del rapporto tra Ets tout court (non necessariamente comitato) e le plurime sfaccettature del diritto amministrativo su cui la riforma ha impattato[42]  -  hanno già ragionato in termini di specifica possibilità per i comitati Ets di risultare affidatari di immobili tramite convenzione o concessione in comodato ex art. 56 cts[43] ovvero ex art. 71, co. 2 cts[44] (ove il primo strumento è volto a consentire lo svolgimento di una prestazione, il secondo a concedere un bene immobile strumentale ad un'attività di rilievo sociale). In particolare, è stato osservato, nel più ampio dibattito volto all’individuazione di un equilibrato bilanciamento tra i principi di redditività, concorrenza e solidarietà che involge il rapporto tra regole generali del diritto amministrativo e regole ad hoc dettate dal Codice del Terzo settore[45], come “in ragione del riconoscimento della legittimazione processuale, di un patrimonio proprio e dell'imputabilità di situazioni giuridiche soggettive, ai comitati — anche a quelli che non vantano il requisito della stabilità, purché siano visibilmente attivi in un certo contesto geografico — può essere attribuita una veste giuridica formale, che permette di intrattenere un confronto ed un rapporto giuridico con le amministrazioni (…e) sarebbe dunque lecita la costituzione di un rapporto contrattuale tra un comitato (più opportunamente, ma non necessariamente, se organizzato in forma stabile) ed un'amministrazione, al fine di legittimare l'affidamento diretto e la gestione di un immobile di proprietà di quest'ultima attraverso lo strumento convenzionale di cui all'art. 56, o anche mediante il comodato ex art. 71, comma 2[46].

In relazione poi al rapporto tra regime normativo del comitato Ets e del comitato di cui agli artt. 40-42 c.c., è interessante osservare se e come i profili di responsabilità e di destinazione dei fondi dell’ente possano trovare diversa declinazione normativa allorquando un comitato ottenga la qualifica di Ets. 

Così, ai sensi dell’art. 42 c.c.[47], gli eventuali fondi residui potranno essere devoluti, qualora sia specificatamente previsto nello statuto, ad altro ente con analoghe finalità; in caso contrario, della loro sorte dovrà occuparsi l’autorità governativa competente, secondo la previsione dell’art. 32 c.c. Diversamente, il patrimonio residuo del comitato Ets, in caso di estinzione o scioglimento e in assenza di disposizioni statutarie o di determinazioni dell’organo sociale competente circa l’individuazione di un altro soggetto Ets beneficiario dello stesso, verrà devoluto alla Fondazione Italia Sociale, secondo quanto indicato dall’art. 9 cts.

Analogamente, in tema di responsabilità gli artt. 40 e 41 c.c. potrebbero risultare integrati, modificati o derogati dalle previsioni speciali dell’art. 28 cts, che rimanda al profilo di responsabilità di cui all’art. 2392 c.c. e seguenti.

Il tema è ovviamente di più ampia portata e involge, oltre i comitati oggetto della presente analisi e sui quali si concentra l’attenzione, anche le associazioni riconosciute e non e le fondazioni.

Il Codice del Terzo settore, come anticipato, introduce, all’art. 28, la regola di responsabilità per gli amministratori[48] già menzionata nonché una serie di azioni (di responsabilità) che possono essere esperite nei confronti di amministratori, direttori, componenti dell’organo di controllo e dei soggetti incaricati della revisione legale dei conti, richiamando gli artt. 2392, 2392 bis, 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis, 2395, 2396 e 2407 (oltre l’art. 15 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39).

Tale disposizione si colloca nel titolo IV, che si apre con la previsione secondo cui le norme degli artt. 20-31 cts “si applicano a tutti gli enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione[49], non menzionando, quindi, espressamente i comitati. Lo stesso art. 3 co. 1 cts, però, chiarisce che le norme del Codice “si applicano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare”, tra le quali sono ricomprese anche tipologie di enti che, per successiva declinazione normativa, ben possono assumere la forma dell’ente privo di personalità giuridica senza che ciò comporti un impedimento nell’applicare le norme relative alle azioni di responsabilità[50].

L’assenza di personalità, dunque, non osta all’applicazione delle nuove norme introdotte dalla riforma in tema di responsabilità degli amministratori[51] in favore degli enti di fatto e analoga valutazione si ritiene di poter formulare in relazione alla più specifica ipotesi dei comitati: l’assenza di questi ultimi tra i soggetti menzionati dall’art. 20 cts è in realtà rappresentativa di una scelta di fondo (di silenzio), che già si è visto caratterizzare la definizione di Ets ex art. 4[52], senza potersi trascurare che, come già ripercorso, la fattispecie del comitato è stata prevalentemente letta quale associazione o fondazione.

Non si ravvisano, dunque, motivazioni per escludere l’applicabilità dell’art. 28 cts a tutti i possibili Ets, ivi compresi i comitati: per l’un via, riconducendo gli stessi agli istituti fondazionali o associativi e applicando quindi direttamente l’art. 28 cts; per l’altra via, applicando ai comitati in via analogica le regole valevoli per tutti gli Ets, compresi quelli privi di personalità giuridica.

Il riferimento alla compatibilità cui fa riferimento l’art. 28 cts non deve, infatti, essere letto come un limite esterno tra regole di responsabilità dell’amministratore e tipi di Ets (an), giacché lo stesso è relativo esclusivamente alla declinazione concreta delle regole in tema di responsabilità degli amministratori, che possono essere fatte valere dall’ente, dai soci, dai creditori sociali (nei limiti della conservazione dell’integrità del patrimonio) e, in genere, dai terzi, in ragione della specificità dell’ente (quomodo).

Ciò posto, tre sono i profili principali che, a giudizio di chi scrive, sono da considerare in relazione al rapporto tra art. 28 cts e norme codicistiche in tema di comitati: i) chi sono gli amministratori nel comitato e a quali soggetti si applica, quindi, l’art. 28 cts; ii) quali adattamenti, modifiche o deroghe comporta l’applicazione dell’art. 28 cts rispetto alle norme codicistiche (poiché, ex art. 3 co. 2 cts, per quanto non previsto dal cts, trovano applicazione, in quanto compatibili, proprio le norme del Codice civile); iii) se sussiste o meno coincidenza tra le ipotesi di responsabilità dell’amministratore contemplate dal Codice civile e quelle menzionate dal Codice del Terzo settore e, eventualmente, se le regole codicistiche risultino assorbite o derogate dalle previsioni del cts.

 

3.1.        (segue): i soggetti degli artt. 40 e 41 c.c. e gli amministratori

 

In relazione al primo profilo, posto che l’art. 40 c.c. discorre di “organizzatori” e di “coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti” e l’art. 41 c.c. di “componenti” del comitato, è chiara la possibile discrasia tra il profilo soggettivo individuato dai due menzionati articoli e quello di cui all’art. 28 della riforma. A lungo, infatti, la dottrina ha discusso sull’esatta individuazione dei soggetti menzionati nel Codice civile[53], identificandoli, in relazione al primo lemma, nei promotori ovvero in quei promotori dell’ente che, successivamente alla raccolta delle oblazioni, abbiano assunto compiti di gestione del patrimonio del comitato stesso; in relazione al secondo lemma, in quei soggetti che, estranei alla prima fase promozionale, subentrino attivamente nel successivo momento di gestione funzionale dei fondi; in relazione al terzo lemma in quei soggetti che partecipano al gruppo (per tutta la durata di vita dell’ente[54] ovvero solo durante la fase di raccolta dei fondi secondo una diversa interpretazione[55], giacché la responsabilità in capo ai componenti del comitato diviene, poi, responsabilità degli organizzatori nella loro qualità di amministratori allorché l’ente viene a qualificarsi quale fondazione non riconosciuta[56]).

Il profilo si intreccia evidentemente con la tematica dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, con le valutazioni circa la compatibilità o meno con la struttura assembleare: come già ricordato[57], infatti, non sono mancate in dottrina disquisizioni circa la possibilità di parificare la figura dei “promotori e di coloro che assumono la gestione dei fondi” ora agli amministratori di un’associazione non riconosciuta, ora agli amministratori di una fondazione ovvero ancora ai componenti di un organo consiliare, secondo uno schema più tipico del fenomeno delle società di persone, con ciò ammettendosi anche in capo a ciascun membro un potere di agire disgiunto (per cui si verificherebbe un concorso di tutti i membri al governo del comitato).

Nell’ipotesi in cui, infatti, prevalga la lettura dello schema associativo, i membri del comitato sarebbero i componenti dell’assemblea, e risponderebbero, ex art. 41 c.c., per la loro partecipazione all’organo collettivo, dovendosi, però, giungere, non senza difficoltà, ad individuare una loro responsabilità esclusivamente in ragione dalla partecipazione all’organo collegiale, per l’assunzione di compiti deliberativi a carattere generale[58]. Parallelamente, coloro che gestiscono i fondi risponderebbero in ragione dei loro compiti esecutivi (delle delibere assembleari) ex art. 40 c.c. a fronte del fatto, invece, che gli organizzatori – che hanno preso l’iniziativa annunciandola pubblicamente e raccogliendo le donazioni – sarebbero vincolati, sempre ex art. 40 c.c., “in forza della semplice qualità di promotori dell’iniziativa, vale a dire, prescindendo dal fatto (…) che si assumano pure la gestione dei fondi[59].

Diversamente, seguendo la lettura del modello della società semplice, ciascun componente del comitato risponderebbe delle obbligazioni dell’ente in virtù del mandato al “governo” che ciascun membro conferisce e, al contempo, riceve dagli altri ovvero ricorrendo all’applicazione analogica delle regole in tema di amministratori nella società semplice[60], che si declina secondo la previsione dell’art. 41 c.c. Peraltro, l’articolo in questione non risulterebbe contraddetto (o in contrasto) dalle (o con le) previsioni dell’articolo precedente ove si consideri che concretamente alcuni soggetti possono non partecipare al governo dell’ente e ciò giustificherebbe la distinzione soggettiva dei due articoli del Codice civile (artt. 40 e 41 c.c.).

Si può, dunque, già osservare come, a seconda della diversa lettura che del comitato si voglia accogliere, non si ravvisi corrispondenza biunivoca tra i soggetti menzionati dagli artt. 40 e 41 c.c. e gli amministratori: ne deriverebbe che, secondo la prima ricostruzione, l’art. 28 cts costituirebbe norma da applicarsi in capo agli organizzatori che assumono la gestione dei fondi (in aggiunta alla previsione dell’art. 40 c.c.); diversamente, sulla base della seconda interpretazione, l’art. 28 cts troverebbe il suo medio logico nella figura dei componenti del comitato.

 

3.2.       (segue): adattamenti, modifiche o deroghe derivanti dall’applicazione dell’art. 28 cts

 

A prescindere, poi, dall’accoglimento dell’una o dell’altra teoria circa la natura del comitato, si ritiene - in modo pressoché condiviso – applicabile a tale fattispecie il dettato dell’art. 18 c.c., in quanto il regime di responsabilità all’interno dei comitati risulterebbe comunque sempre strettamente connesso all’attività gestoria espletata. Sostanzialmente, la responsabilità prevista dall’art. 40 c.c. avrebbe “la medesima funzione di quella gravante, ai sensi dell’art. 18 c.c., sugli amministratori della persona giuridica, cioè una funzione di risarcimento del danno prodotto dalla cattiva gestione del patrimonio loro affidato[61].

In primis, richiamandosi a quella dottrina[62] che qualifica indistintamente i gestori dei fondi raccolti quali meri mandatari, deve porsi l’attenzione al profilo della natura del rapporto degli amministratori degli enti in questione: l’art. 18 c.c. infatti, come noto, stabilisce una responsabilità secondo le norme del mandato, facendo esente da responsabilità l’amministratore che non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione dell’atto che si stava per compiere, egli non abbia fatto constatare il proprio dissenso.

Diversamente l’art. 28 cts rinviene la fonte dei poteri-doveri degli amministratori direttamente nel contratto associativo - per il tramite dell’accettazione dell’incarico - invece che nel contratto di mandato e inserisce un parametro di diligenza rapportato alla natura dell’incarico e alle competenze professionali in sostituzione delle regole del mandato ex art. 1710 c.c. Con ciò si determina non solo la sussistenza di un nuovo parametro valutativo ma anche un perimetro di responsabilità nei confronti dei terzi, degli associati (ove si riconosca ai comitati la natura associativa tout court, ovvero associativa nella prima fase di esistenza) oltre che dell’ente stesso.

In seconda battuta, inoltre, deve porsi la mente alla vexata quaestio circa la legittimazione all’esercizio dell’azione giudiziaria di responsabilità degli amministratori verso l’ente, discutendosi se sia più opportuno il richiamo alla regola dell’ultimo comma dell’art. 25 c.c., secondo cui nel modello fondazionale la legittimazione è in capo al Commissario straordinario, ai liquidatori o ai nuovi amministratori (previa deliberazione dell’autorità governativa) ovvero se sia più corretta, secondo lo schema associativo, l’applicazione dell’art. 22 c.c., in virtù del quale l’azione è deliberata dall’assemblea ed esercitata dai liquidatori o dai nuovi amministratori, più similmente alla declinazione che sembrerebbe offrire il Codice del Terzo settore attraverso il richiamo effettuato dall’art. 28 cts all’art. 2393 c.c.

I dubbi sulla possibile operatività delle norme in questione nascevano, però, dalla declinazione in concreto delle stesse e, in particolare: l’art. 22 c.c. pone il problema della possibile mancanza all’interno del singolo comitato di un organo assembleare che deliberi l’azione di responsabilità verso gli organizzatori e i gestori; l’art. 25 c.c. pone invece un problema di eccessiva gravità delle conseguenze connesse all’attivazione della denuncia da parte dell’autorità governativa giacchè la stessa scioglierebbe l’ente e provvederebbe alla nomina di un commissario straordinario e, più in generale, dubbi sull’opportunità che una norma attribuisca proprio all’autorità governativa il potere di sostituire i  gestori a fronte della configurazione dei comitati quali soggetti che possono non richiedere neppure il riconoscimento della personalità giuridica[63].

La riforma non sembra offrire soluzioni dirimenti sul punto, giocando ancora un ruolo fondamentale la lettura della natura del comitato: il riferimento al modello associativo, infatti, comporterebbe l’applicazione degli artt. 2393 c.c. e ss. in base ai quali tra i legittimati figurano, in particolare, il comitato stesso e i suoi componenti ricadendo quindi nuovamente nei dubbi circa la concreta operatività del meccanismo; il riferimento al modello fondazionale condurrebbe all’obbligatorietà di organo di controllo (anche monocratico), con conseguente possibilità che sia proprio quest’ultimo a deliberare l’azione di responsabilità degli amministratori.

Ciò che appare interessante è invece la possibilità prevista dall’art. 29 cts per cui gli associati, l'organo di controllo, il soggetto incaricato della revisione legale dei conti ovvero il pubblico ministero possono agire ai sensi dell'articolo 2409 c.c., presentando denuncia al Tribunale del sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione. La legittimazione del pubblico ministero, menzionata del libro I del c.c. solo in relazione alle persone giuridiche, sembrerebbe trovare giustificazione all’interno della riforma del Terzo settore in ragione del perseguimento da parte degli Ets di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e dello svolgimento di attività di interesse generale, che escludono quindi la possibilità di enti a pura vocazione egoistica, con il perseguimento di fini esclusivamente privati. Da qui l’esigenza avvertita dal legislatore di prevedere un legittimato attivo quale il pubblico ministero che possa attivare meccanismi di verifica e controllo dell’operato degli amministratori che ben possono avvalersi di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale; esercitare attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici e fruire di regimi fiscali di favore per l’ente che gestiscono.

Non può però non rilevarsi, in ultima battuta, come le osservazioni avanzate da autorevole dottrina sull’opportunità di fornire mezzi di tutela agli oblatori e ai beneficiari del comitato[64] non abbiano trovato declinazione alcuna nel testo del Codice del Terzo settore; circostanza evidenziata anche dal Consiglio di Stato, nel parere preliminare all’adozione del Codice[65]: “sarebbe [stato] forse opportuno introdurre disposizioni specifiche (o almeno offrire le coordinate applicative di schemi tratti dal diritto comune) sulla legittimazione ad agire degli oblatori e dei beneficiari per l’invalidazione delle scelte distrattive dei gestori delle risorse ovvero per la condanna degli stessi al compimento di azioni positive. Si potrebbe [potuto] per tale via dispiegare un efficace controllo decentralizzato su tutti gli atti aventi rilievo (l’articolo 29 riserva, infatti, la denunzia al tribunale e ai componenti dell’organo di controllo a un decimo degli associati, all’organo di controllo, al soggetto incaricato della revisione legale dei conti ovvero al pubblico ministero)”.

 

3.3.       (segue): coincidenza o divergenza di perimetri tra le previsioni degli artt. 40 e 41 c.c. e dell’art. 28 cts. Un confronto con le regole codicistiche in tema di associazioni non riconosciute

 

Infine, con riferimento al terzo profilo (coincidenza o divergenza tra le previsioni degli artt. 40 e 41 c.c. e dell’art. 28 cts) si deve rilevare sin da subito come nelle ipotesi dell’art. 40 c.c. la responsabilità attiene alla conservazione dei fondi e alla destinazione degli stessi allo scopo annunciato; diversamente, i componenti del comitato, ai sensi dell’art. 41 c.c., rispondono non per i predetti profili gestionali, bensì, in virtù di una responsabilità personale, piena e solidale, per le obbligazioni negoziali e extra-negoziali derivanti da fatto illecito ovvero ex lege (ad esempio, per i debiti d’imposta)[66]. Gli amministratori ex art. 28 cts, invece, come già ricordato rispondono per mala gestio: detta responsabilità, come noto, non si estende alle ipotesi in cui il risultato negativo della gestione sia addebitabile all'andamento complessivo del mercato od anche a scelte ed iniziative degli amministratori altamente speculative o erronee nel merito, purché assunte previa idonea e consapevole valutazione delle condizioni di rischio, giacché spetta esclusivamente agli amministratori orientare l'attività dell'impresa tanto che è preclusa una valutazione giudiziale che si estenda al merito delle scelte operate e, del pari, la possibilità di configurare una responsabilità qualora esse si siano dimostrate economicamente errate o non convenienti[67]. Agli amministratori è, dunque, riconosciuta una piena libertà nel compiere le scelte di gestione e l’unico sindacato in sede giurisdizionale ammesso è relativo alla valutazione se gli atti compiuti siano in contrasto con i doveri di legge. Si tratta, quindi, di una responsabilità per mala gestio in presenza di addebiti riferibili alla violazione dell'obbligo di agire con la dovuta diligenza, del divieto di agire in conflitto d'interessi ovvero alla violazione di specifici obblighi indicati dalla legge o dallo statuto.

Solo entro detti predetti limiti, gli amministratori sono responsabili, oltre che verso la società (in tal caso potrà agire sia l’ente ex art. 2393 c.c. sia i soci in nome proprio ma nell’interesse sociale ex art. 2393 bis c.c.), anche verso i creditori della stessa (esclusivamente per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale come previsto dall’art. 2394 c.c.) e verso ciascun socio o anche terzo danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori che abbiano loro provocato un danno diretto[68] (art. 2395 c.c.).

Differentemente, il Codice civile delinea, in caso di enti con personalità giuridica, una responsabilità dell’ente con il suo solo patrimonio; mentre, in caso di associazioni senza personalità giuridica, dell’ente con il suo patrimonio, se previsto, a cui si aggiunge una responsabilità di chi agisce in nome e per conto dell’ente (nelle associazioni di fatto ex art. 38 c.c.) o di tutti i partecipanti (nel caso dei comitati ex art. 41 c.c.), similmente alle previsione di tema di società di persone nelle quali, oltre alla società, rispondono anche i soci.

Dette ipotesi delineano, come detto, un profilo diverso da quello tratteggiato delle norme di cui al libro V sopra ricordate richiamate dal Codice del terzo settore.

Nuovamente, il tema è di più ampia portata rispetto al focus dei comitati e riguarda anche le associazioni non riconosciute, per le quali, come noto, l’autonomia patrimoniale è imperfetta[69] e prevede una responsabilità patrimoniale, personale e solidale, che investe coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione e che si aggiunge ed affianca alla garanzia patrimoniale costituita dal fondo comune.

Preliminarmente, giova osservare come l’art. 28 cts si rivolga esclusivamente agli amministratori: diversamente, l’art. 38 c.c. riguarda sia l’ipotesi in cui l’attività è compiuta da soggetti che sono organi dell’ente con facoltà di agire in nome e per conto di esso, sia l’ipotesi di soggetti che, pur non rivestendo alcuna carica sociale, sono investiti del relativo potere (e lo esercitano nei limiti) per la conclusione di un unico affare[70]; l’art. 40 c.c. si indirizza agli organizzatori del comitato; l’art. 41 c.c. a tutti i componenti dell’ente a prescindere dall’aver concluso atti in nome e per conto dell’ente.

Ulteriormente, la normativa del Cts non si pone, di per sé, come derogatoria del diritto comune, a differenza di quanto accaduto in passato con la disciplina dell’impresa sociale e degli enti di promozione sociale e, oggi, in tema di partiti. In relazione all’impresa sociale, era stato infatti osservato, nella vigenza della precedente normativa[71], come, qualora si fosse scelta la veste giuridica di un’associazione non riconosciuta, l’applicazione dell’art. 6 d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 avrebbe determinato la possibilità per tale associazione di godere del beneficio della responsabilità limitata in presenza dei requisiti ed alle condizioni individuate dalla norma[72], riaffiorando la responsabilità personale e solidale di chi avesse agito in nome per conto dell’associazione non riconosciuta-impresa sociale nel solo caso in cui il patrimonio fosse diminuito di oltre un terzo rispetto all’importo individuato normativamente[73]. Analogamente, la legge sulle associazioni di promozione sociale[74] prevedeva la responsabilità delle persone che agivano in nome e per conto dell'associazione secondo una regola di sussidiarietà, rendendo così possibile per il creditore agire verso colui che aveva contratto l’obbligazione soltanto a seguito della preventiva ed infruttuosa escussione del patrimonio dell’ente[75]. In modo non dissimile, in tema di partiti politici la disciplina legislativa prevede che gli amministratori rispondano personalmente verso i terzi solo qualora abbiano agito con dolo o colpa grave[76] (con ciò introducendo una regola eccezionale per i soggetti che rivestono la qualifica di amministratore[77] ma non anche per chiunque altro agisca in nome e per conto del partito per il quale vale la regola comune dell’art. 38 c.c. senza alcuna limitazione).

Nei primi due casi, dunque, si tratta di una previsione normativa integralmente derogativa dell’art. 38 c.c.[78]; nel secondo solo parzialmente derogativa, giustificata dalla specialità della disciplina[79].

Diversamente, le previsioni del Codice del Terzo settore non alterano i profili di responsabilità – fatta eccezione per l’art. 18 c.c. che trova una diversa declinazione nel dettato dell’art. 2392 c.c. – ma ne aggiungono di ulteriori. L’art. 22, co. 7 cts statuisce, infatti, che «nelle fondazioni ed associazioni riconosciute come persone giuridiche, per le obbligazioni dell’ente risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio», potendosene dedurre, quindi, che per gli Ets non riconosciuti risulti sempre applicabile il disposto dell’art. 38 c.c.

L’art. 38 c.c. (così come gli artt. 40 e 41 c.c.), infatti, attiene alle obbligazioni pecuniarie derivanti dall’attività negoziale - giacchè i soggetti chiamati a rispondere personalmente non sono gravati dal possibile insuccesso di mercato ma solamente delle obbligazioni assunte e nei limiti di esse – e dalle obbligazioni extranegoziali derivanti da fatto illecito[80] o da debiti di imposta. 

Diversamente, gli artt. 2392 c.c. e seguenti declinano una responsabilità dell’amministratore (i) verso l’ente, come detto, per mala gestio; (ii) verso i creditori sociali esclusivamente in relazione alle ipotesi di violazione delle regole di conservazione dell’integrità patrimoniale dell’ente e non già dunque in relazione ad una generica tutela del credito dei terzi derivante da attività negoziale; (iii) verso i terzi o il singolo socio per gli illeciti che provochino agli stessi un danno diretto in conseguenza della condotta dolosa o colposa dell’amministratore.

Già ante riforma, peraltro, era stato osservato[81] come l’art. 2394 c.c., speciale tipizzazione dell’art. 2043 c.c., fosse applicabile anche al di fuori del contesto in cui è collocata, in aggiunta alla responsabilità di cui all’art. 38 c.c. e analogo ragionamento può essere riprodotto in relazione all’art. 2395 c.c.

Non sembrerebbe dunque sussistere motivo alcuno per individuare l’inapplicabilità dell’art. 28 cts[82] e delle relative norme codicistiche ivi richiamate agli enti senza personalità.

Al più, le riflessioni circa la perdurante attualità dell’applicazione degli articoli sopra richiamati relativi agli enti di fatto possono trovare ancoraggio nella ratio delle norme stesse, individuata da parte della dottrina maggioritaria[83]nell’assenza di un sistema di pubblicità che consenta ai terzi di conoscere la consistenza (o la modifica) patrimoniale dell’ente di fatto (precaria e variabile[84]), a fronte della situazione di carenza informativa: “serie difficoltà, infatti, potrebbero incontrare gli eventuali creditori nel reperire i beni, specie mobili, dell’associazione nonché nel rintracciare le modifiche degli elementi personali e patrimoniali, fino al rischio della repentina quanto facile estinzione dell’associazione stessa”. Tali difficoltà, latrici di un’asimmetria informativa tra terzo e (presunto) rappresentante, determinano l’esigenza di tutela dell’affidamento[85] e un riequilibrio dell’asimmetria informativa tra il terzo e colui che agisce in nome e per conto dell’ente.

In ragione di ciò, come è stato osservato, l'introduzione di un nuovo e articolato sistema di pubblicità concernente la rappresentanza delle associazioni del Terzo settore è “destinata a far fibrillare l'art. 38, seconda parte, c.c., in modo peculiare, là dove se ne postuli una pregnante funzione di tutela dei terzi creditori che trova giustificazione nel difetto di conoscibilità della consistenza patrimoniale dell'organizzazione non personificata[86] a fronte della creazione, per gli Enti del Terzo settore,  del Registro Unico Nazionale del Terzo settore che, con il suo avvio[87], garantirà condizioni di conoscibilità pari a quelle previste per gli enti societari e, dunque, assai più ampie di quando previsto per gli enti con personalità giuridica senza scopo di lucro (ma non Ets).

Evidentemente, il profilo della pubblicità si intreccia con la lettura, suggerita da parte della dottrina[88], relativa all’opportunità di limitare il perimetro dell’art. 38 c.c. ai soli casi in cui il rappresentante operi nei limiti delle facoltà conferitegli dall’ente, ovvero con quella fornita dalla giurisprudenza prevalente[89] che accorda tutela ai terzi in buona fede che abbiano riposto affidamento in situazioni di rappresentanza apparente.

Ove si reputi, dunque, che il fondamento dell’art. 38 c.c. sia correlato all’assenza di qualsiasi forma di pubblicità legale per gli enti non riconosciuti e alla conseguente impossibilità di ottenere informazioni certe in ordine alla generalità degli amministratori ed ai relativi poteri ovvero alla consistenza del patrimonio, ne dovrebbe conseguire che  il nuovo regime di pubblicità, fondato sull’obbligo di iscrizione al Runts dei poteri di rappresentanza conferiti agli amministratori e delle relative limitazioni e di deposito del rendiconto annuale, faccia venire meno il perimetro applicativo dell’art. 38 c.c., giacchè questo sarebbe di fatto assorbito dalle previsioni dell’art. 2392 c.c.

Ne deriverebbe che, alla luce di quanto dispone l'art. 26 cts, l’amministratore di un Ets costituito in forma di associazione priva di riconoscimento non potrà impegnarel’entequalora agisca in eccesso rispetto ai poteri pubblicizzati ovvero qualora i terzi abbiano agito con dologiacchèla violazione delle limitazioni, conoscibili attraverso  il sistema di pubblicità, renderà gli atti compiuti non vincolati per l'ente, comportando, per il terzo creditore, l’impossibilità di agire verso il patrimonio dell'ente stesso. Rilevato ciò, è stato, poi, argomentato come una soluzione analoga varrebbe, a fortiori, per il regime delle obbligazioni assunte dall’associato non amministratore, che agisca in nome e per conto di un’associazione di fatto-Ets, con ciò determinandosi una sottrazione della fattispecie in discorso al regime dell'art. 38 c.c.

In realtà, la ratio dell’art. 38 c.c., al pari delle analoghe previsioni  in materia di società di persone, sarebbe da individuarsi nell’assenza di un preventivo controllo sull’adeguatezza del patrimonio[90], anch’esso a garanzia dei terzi, ovvero, ancor più condivisibilmente, nella mancanza di controlli circa la consistenza del fondo al momento della costituzione dell’ente e di successive misure a tutela della relativa integrità dello stesso[91], posto che neppure è necessaria l’effettiva sussistenza di un patrimonio minimo (rectius fondo comune) nell’ipotesi dell’associazione di fatto. Da qui la necessità di una responsabilità personale aggiuntiva[92] in capo a chi ha agito in nome e per conto dell’ente: l’art. 38, seconda parte, c.c., individuerebbe una responsabilità derivante non dalla mera rappresentanza dell’ente bensì proprio dall’attività negoziale effettivamente svolta, con ciò prevedendo un conseguente meccanismo di garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell’associazione anche con il patrimonio di chi le ha contratte in nome e per conto dell’ente.

Condivise dette premesse, l’iscrizione al Runts non comporta, per ciò solo, il venire meno di quella necessità di garanzia appena indicata: “al più, a seguito dell'istituzione del RUNTS, il dato formale dei soggetti iscritti, con l'indicazione dei relativi poteri, potrebbe determinare il definitivo superamento del principio dell'apparenza[93].

Se dunque anche i dubbi circa la permanenza di attualità dell’art. 38 c.c. alla luce dei nuovi sistemi pubblicitari parrebbero superati, analogo approdo potrebbe essere raggiunto – con argomentazioni diverse – in relazione agli artt. 40 e 41 c.c.

L’art. 40 c.c., secondo una lettura già proposta, volta a conferire tutela all’ente per le ipotesi di cattiva gestione da parte degli amministratori del patrimonio loro affidato, risulterebbe costituire una specificità dell’operato degli amministratori del comitato Ets, i quali, in aggiunta, alle responsabilità declinate dal Codice del Terzo settore, sarebbero chiamati a rispondere dei danni prodotti verso l’ente non solo ex art. 28 cts ma anche per la più particolare e specifica ipotesi di conservazione dei fondi e di destinazione degli stessi allo scopo annunziato, valorizzandosi per tal via il particolare ruolo che le risorse finanziarie raccolte presso il pubblico assumono nel comitato, similmente a quanto avviene negli enti filantropici. Per questi ultimi è infatti lo stesso Codice del Terzo settore, all’art. 38, a menzionare tra le risorse economiche necessarie allo svolgimento dell’attività proprio le donazioni e la raccolta fondi, indicando poi che gli atti costitutivi prevedano i principi ai quali gli enti filantropici devono attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione di denaro, beni o servizi, anche di investimento a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale. 

Analogamente, l’applicazione dell’art. 41 c.c. non pare messa in discussione dal testo della riforma per il diverso profilo di responsabilità che tratteggia rispetto a quello dell’art. 28 cts: non solo l’art. 41 c.c. non delinea una responsabilità per mala gestio, ma indica una responsabilità personale dei componenti del comitato per tutte le obbligazioni assunte dal comitato (e dunque una responsabilità più ampia e diversa di quella ex art. 2392 e altresì ex art. 2394 c.c. giacché, come detto, quest’ultima opera esclusivamente in relazione alle ipotesi di violazione delle regole di conservazione dell’integrità patrimoniale dell’ente e non in relazione ad una generica tutela del credito dei terzi derivante da attività negoziale); soprattutto si tratta di una forma di responsabilità che il codice civile individua prescindendo dal fatto che il singolo abbia deciso o compiuto l’atto in questione, indicando una forma di solidarietà tra i membri del comitato a tutela dei creditori (secondo un’impostazione quindi diversa da quella dell’art. 38 c.c.) in una fattispecie in cui l’assenza di personalità giuridica non richiede patrimoni o fondi minimi, similmente a quanto già evidenziato per le associazioni non riconosciute.

Pur a fronte delle differenze che si sono tratteggiate tra gli artt. 38 e 41 c.c., analoga sarebbe la ragione di fondo – parziale diversità di fattispecie e diversa ratio - per cui entrambe le previsioni (unitamente all’art. 40 c.c.) non risulterebbero derogate dal Codice del Terzo settore ma complementari alle previsioni dello stesso.

 

Abstract: The paper investigates the legal figure of the committee and its main elements within the Civil Code to analyze the possibility of setting up Ets-committees, pursuant to Legislative Decree 117/2017, since the so-called Third Sector Code does not explicitly mention them among the subjects which can assume the Ets status. Then, the essay formulates some reflections on the compatibility between the rules of the Civil Code dedicated to committees and the rules of the Third Sector Code.

 

Keywords: committees, third sector, non-profit, reform, non-profit organizations.

 

 

 

 


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

** Il contributo è destinato al Formulario Notarile Commentato, Gli enti del libro I e del Terzo settore, a cura di G. Petrelli e diretto da M. Avagliano.

[1] Tra i contributi imprescindibili, senza alcuna pretesa di esaustività, si v. C. M. Pratis, In tema di natura giuridica ed estinzione dei comitati, in Giur. comp. cass. civ., (1951), p. 402; P. Forchielli, Saggio sulla natura giuridica dei comitati, in Riv. trim. dir. proc. civ., (1954), p. 112; F. Ferrara, Le persone giuridiche (con note di F. Ferrara Jr.), in F. Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, II, 2, Torino 1956, p. 445; A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), in Enc. dir. civ., VII, Milano 1960, p. 261; F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati: artt. 36-42 c.c., in A. Scialoja - G. Branca (a cura di), Commentario al codice civile, Libro I, Delle persone della famiglia, Bologna-Roma 1976, p. 262; Id., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, Padova 1996, 449 ss.; G. Tamburrino, Persone giuridiche. Associazioni non riconosciute. Comitati, Torino 1997, p. 539 ss.; B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, Milano 1999, p. 159; M. Basile, Gli enti di fatto, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, II, I, Torino 1999, p. 545; Id., Le persone giuridiche, in G. Iudica, P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, I, 2020, p. 271 ss.; G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino 2000, p. 164; C.M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano 2002, p. 401; P. Cendon (a cura di), Commentario al Codice civile, I, Milano 2009, p. 801; G. Iorio, Sub art. 39 c.c., in E. Gabrielli (diretto da), Commentario del Codice civile, Delle persone. Artt. 11-73, Torino 2014, p. 404; L. Bugatti, Sub art. 39 c.c., in G. Ponzanelli (a cura di), Le associazioni non riconosciute, in P. Schlesinger (fondato da), F.D. Busnelli (diretto da), Il codice civile. Il Commentario, Milano 2016, pp. 265 ss.

[2] I più recenti dati Istat sono stati presentati il 15 ottobre 2021 in occasione delle Giornate di Bertinoro e attengono il censimento 2019 e sono consultabili in https://www.istat.it/it/archivio/262507. Tra le forme giuridiche risultano menzionate le associazioni riconosciute e non, le fondazioni, le cooperative sociali e, in via residuale, “le altre forme”.

[3] Si v. infra § 2.

[4] Per un’ampia ricostruzione dei tratti del comitato, si v. tra i contributi più recenti L. Bugatti, Sub art. 39 c.c., cit., spec. p. 269; M. Basile, Le persone giuridiche, cit., pp. 271 ss.

[5] Il tema è stato storicamente discusso, giungendosi ad affermare la necessità di un fine altruistico e di pubblica utilità in capo al comitato. Per una ricostruzione si v. G. Palermo, Le istituzioni prive di riconoscimento, in AA.VV., Amministrazione e rappresentanza negli enti diversi dalle società, Milano 1990, 190; C. M. Pratis, In tema di natura giuridica ed estinzione dei comitati, cit., p. 402; P. Forchielli, Saggio sulla natura giuridica dei comitati, in Riv. trim. dir. proc. civ., (1954), p. 112; A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), cit., pp. 756 ss.; E. Ciaccio, Comitati non riconosciuti ed esercizio dell’attività economica a scopo altruistico, in Giust. civ., I (1967), pp. 575 ss.; F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., p. 262; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., pp. 539 ss.; B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., p. 159; M. Basile, Gli enti di fatto, cit., p. 545; G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino 2000, p. 164.In senso negativo, invece, per tutti, P. Caliceti, Considerazioni inattuali in tema di comitati, Milano 1994, p. 21.

In giurisprudenza si v. Cass., 14 ottobre 1960, n. 2743, in Giust. civ., I (1960), p. 1900; Cass., 28 ottobre 1959, n. 3138, in Foro it., I (1960), c. 996 e in Giust. civ., I (1960), p. 1961.

[6] Cass., 14 ottobre 1960 n. 2743, cit.; Cass., 11 ottobre 1973, n. 2561, in Giur. it., I, 1 (1974), p. 1208.

[7] In senso critico e dunque in favore della struttura chiusa del comitato N. Visalli, I comitati non riconosciuti, Padova 1986, p. 25; M. Basile, Comitati duraturi ed accertamento della titolarità degli acquisti immobiliari dei loro componenti, in Nuova giur. civ. comm., I (1995), p. 33 e in giurisprudenza Cass., 1 febbraio 1974, n. 262, in Mass. Foro it., (1974).

[8] P. Forchielli, Saggio sulla natura giuridica dei comitati, cit., p. 108; G. Tamburrino, Persone giuridiche,cit., spec. pp. 541, 553; F. Galgano, Le associazioni, le fondazioni, i comitati, cit., p. 449; A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), cit., p. 261; C. M. Pratis, In tema di natura giuridica ed estinzione dei comitati, cit., p. 407.

In giurisprudenza, si v. Cass., 23 giugno 1994, n. 6032, in Nuova giur. civ. comm., I (1995), pp. 27 ss., con nota di M. Basile, Comitati duraturi ed accertamento della titolarità degli acquisti immobiliari dei loro componenti; Cass., 12 novembre 1977, n. 4902 citata in F. Galgano, Le associazioni, le fondazioni, i comitati, cit., p. 484, nonché Cass., 12 giugno 1986, n. 3898, in Giur. it., I, 1 (1987), p. 1016 con nota di Scognamiglio, Riflessioni in tema di natura giuridica e soggettività del comitato in relazione all’ammissibilità di comitati a struttura aperta.

[9] Ampiamente L. Bugatti, Sub art. 39 c.c., cit., pp. 266 ss., a cui si rimanda anche per i riferimenti degli esempi ripercorsi e altresì per l’ampia bibliografia citata di dottrina e giurisprudenza.

[10] Così, in modo definitivo, nel senso dell’ammissibilità, Cass., 23 giugno 1994, n. 6032, cit.

[11] Si rinvia, su tutti, a A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), cit., pp. 756 ss.; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., pp. 544 e 545; R. Poggeschi, Le associazioni e gli altri gruppi con autonomia patrimoniale nel processo, Milano 1951, p. 115 ss.; E. Eula, voce Le persone giuridiche, in M. D’amelio - E. Finzi (diretto da), Commentario al codice civile, Libro I, Firenze 1940, pp. 180 ss.; C. M. Pratis, In tema di natura giuridica ed estinzione dei comitati, cit., p. 402.

In giurisprudenza si v. Cass., 26 novembre 1958, n. 3787, in Giust. civ., I (1959), p. 6, con nota di G. Abbamonte, Partecipazione degli enti pubblici ai comitati di diritto privato e responsabilità della p.a.; Cass., 11 ottobre 1973, n. 2561, cit.

[12] Si v. F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano 1957, p. 309; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli rist. 9° ed. 2012. In giurisprudenza si v. Cass., 12 marzo 1951, n. 601, in Foro it., I (1951), c. 414.

[13] Cfr. Cass., 23 giugno 1994, n. 6032, cit. ma già prima si v. Cass., 12 giugno 1986, n. 3898, in Giur. it., I, 1 (1987), p. 1016 con nota di C. Scognamiglio, Riflessioni in tema di natura giuridica e soggettività del comitato.

[14] F. Galgano, Per una ipotesi sulla natura giuridica dei comitati, in Jus, (1958), pp. 69 ss.; Id., Sull’ammissibilità di una fondazione non riconosciuta, in Riv. dir. civ., II (1963), pp. 172 ss.; Id., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., 26, pp. 278 ss.; Id., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, cit., pp. 452 ss.; Id., voce Comitato (diritto civile), in Enc. giur., VI, Roma 1988, p. 2.

[15] Oltre all’invito al pubblico, i comitati possono raccogliere fondi anche per mezzo di iniziative commerciali strumentali al raggiungimento dello scopo. Sul tema della compatibilità tra enti senza scopo di lucro e attività economica si v. B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., p. 179; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 557; P. Cendon (a cura di), Commentario al Codice civile, cit., p. 808.

[16] Per tutti, F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 286 ss.

[17] G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 550.

[18] P. Forchielli, Saggio sulla natura giuridica dei comitati, cit., p. 128, nonché F. Galgano, Sull’ammissibilità di una fondazione non riconosciuta, cit., pp. 172 ss.; Id., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 278 ss.; Id., Comitato (diritto civile), cit., p. 2, il quale, però, argomenta come la richiesta del riconoscimento della personalità giuridica viene concesso non al collegio promotore bensì della fondazione venutasi a creare con la pubblica sottoscrizione, secondo una linea evolutivo-progressiva, con ciò ammettendosi la configurabilità delle fondazioni prive di riconoscimento giuridico.

[19] Diversamente, secondo A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), cit., p. 762, anche in presenza di riconoscimento dell’ente, continuano a trovare applicazione gli artt. 40 e 42 c.c., in quanto si tratterebbe di una categoria sui generis di persona giuridica costituita, appunto, dai “comitati riconosciuti”.

Per una più ampia ricostruzione del dibattito dottrinale si rinvia a L. Bugatti, Sub art. 39 c.c., cit., pp. 278 ss.

[20] L’art. 40 c.c. infatti discorre di organizzatori in assenza, però, di una definizione codicistica. Ampiamente G.A. Nobile, I comitati nel nuovo codice, in Scritti giuridici per il centenario della casa editrice Iovene, Napoli 1954, pp. 690 ss.; P. Forchielli, Saggio sulla natura giuridica dei comitati, cit., p. 117; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 564; B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., pp. 180, 181; F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., p. 301; M. Basile, Gli enti di fatto, cit., p. 550; G. Iorio, Sub art. 40 c.c., in E. Gabrielli (diretto da), Commentario al codice civile, Delle persone. Artt. 11-73, Torino 2014, p. 426.

L. Bugatti, Sub art. 40 c.c., in G. Ponzanelli (a cura di), Le associazioni non riconosciute, cit., spec. p. 293 chiarisce come l’interpretazione prevalente sia nel senso di “ricondurre nella nozione di “organizzatori” i promotori che, terminata l’attività di raccolta delle oblazioni, decidono di impegnarsi fattivamente anche nella gestione del patrimonio, mentre in quella di “coloro che assumono la gestione dei fondi” quei soggetti, estranei alla prima fase di promo- zione, che prestano la propria opera esclusivamente nella gestione dei fondi raccolti, diventando in tal modo responsabili verso il comitato e verso l’autorità pubblica”.

[21] Per gli ampi riferimenti dottrinali si v. ancora L. Bugatti, Sub art. 40 c.c., cit., spec. p. 293, 294.

[22] A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), cit., p. 758; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 563 ss.; C. M. Bianca, La norma giuridica. I soggetti, cit., pp. 405 ss.

[23] F. Galgano, Le associazioni, le fondazioni, i comitati, cit., pp. 468 ss.

[24] Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, cit., spec. 166, 167.

[25] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 566; Id., La responsabilità civile dei comitati, in Giur. it., I, 1 (1982), p. 1537; G. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 67; A. Auricchio, voce Comitati (dir. civ.), in Enc. dir., VII, Milano 1960, pp. 756 ss.

In giurisprudenza si v. Cass., 12 gennaio 1982, n. 134, in Foro it., I (1982), c. 385; Cass., 23 luglio 1966, n. 2013, in Giur. it., I, 1 (1968), p. 221; Cass., 8 novembre 1957 n. 4290, in Temi nap., I (1958), p. 1; Cass., 11 ottobre 1973, n. 2561, in Giur. it., I, 1 (1974), p. 1208; Cass., 28 gennaio 1958, n. 206, in Giur. it., I, 1 (1959), p. 160.

[26] Per tutti il riferimento è a F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 311 e 312.

[27] Per i riferimenti dottrinali circa i dibattiti relativi alla struttura democratica ovvero oligarchica e, più in generale, alla struttura corporativa nelle associazioni non riconosciute, sia concesso un rimando a V. Montani, Sub art. 36 c.c., in G. Ponzanelli (a cura di), Le associazioni non riconosciute, cit., pp. 67 ss., 

[28] F. Galgano, Sull’ammissibilità di una fondazione non riconosciuta, cit., pp. 172 ss.; Id., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 278 ss., 311 ss.; Id., Comitato (diritto civile), in Enc. giur., VI, Roma 1988, p. 2. In particolare, la diversa responsabilità dell’art. 41 c.c. rispetto a quella delineata dall’art. 38 c.c. trova ragione nell’organizzazione interna del comitato, caratterizzata da partecipazione diretta e personale. Nella ricostruzione dell’A., in particolare, successivamente alla costituzione della fondazione per pubblica sottoscrizione – con conseguente venir meno dell’associazione dei promotori – la responsabilità si trasferisce in capo agli amministratori della fondazione non riconosciuta, venendosi, altrimenti, a configurare una situazione di responsabilità oggettiva.

[29] M. D’Ambrosio, Partecipazione e attività. Contributo allo studio delle associazioni, Napoli 2012.

[30] D’Acunto, La responsabilità illimitata di tutti i componenti il comitato non riconosciuto per le obbligazioni dell’ente, in Dir. e giur., (2000), spec. p. 99; M. Bianca, La norma giuridica. I soggetti, cit., p. 406; B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., p. 199.

[31] D’Acunto, La responsabilità illimitata di tutti i componenti il comitato non riconosciuto per le obbligazioni dell’ente, cit., p. 99.

[32] Ciò non dovrebbe, ad ogni modo, costituire motivo di esclusione: così F. Magliulo, Trasformazione, fusione e scissione degli enti non profit dopo la Riforma del Terzo settore, in Riv. notariato, 1 (2018), p. 51; M. Bianca, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del terzo settore, in M. Gorgoni (a cura di), Il Codice del Terzo Settore, Pisa 2018, pp. 137 ss.

[33] F. Rossi, I comitati dopo la riforma del Terzo settore, in Nuova giur. civ. comm., I (2019), pp. 1392 ss.

[34] E. Quadri, Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., I (2018), p. 708.

[35] Cass., 23 giugno 1994, n. 6032, in Nuova giur. civ. comm., I (1995), p. 27, con nota di M. Basile, Comitati duraturi ed accertamento della titolarità degli acquisti immobiliari dei loro componenti; Cass., 29 novembre 1999, n. 13338, in Corr. giur., (2000), p. 1362; Cass., 8 maggio 2003, n. 6985, in Nuova giur. civ. comm., I (2003), p. 668, con nota di M. V. De Giorgi, Una sentenza di ingannevole semplicità in tema di comitati; Cass., 22 giugno 2006, n. 14453, in Il civilista, (2011), p. 17, con nota di A. Mastromatteo, Le incerte soluzioni sulla natura da attribuire all’ente collettivo istituito da un ente pubblico: un tentativo di risistemazione; Cass., 26 luglio 2007, n. 16600, in Mass. Foro it., (2007); Cass., 10 settembre 2014, n. 19114, in Giust. civ. Mass, (2014), p. 859. In dottrina, tra i contributi più recenti, si v. ampiamente M. Basile, Le persone giuridiche, cit., spec. pp. 272-276.

[36] E. Quadri, Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, cit., p. 708.

In questo senso anche P. Sanna, Dalla legge di Riforma al «Codice del Terzo settore»: alcuni profili introduttivi, in Resp. civ. prev., (2018), pp. 2083 ss., secondo cui “il riferimento agli «altri enti di carattere privato» potrebbe forse rimettere in pista anche la forma del «comitato», come si è già detto, altrimenti del tutto ignorata dal Codice del Terzo settore”; e così anche A. Mazzullo, Il nuovo codice del Terzo settore, Torino 2017, spec. p. 26.

[37] Si v. § 2.

[38] Per un’ampia ricostruzione del dibattito circa il fine di pubblico interesse ovvero lo scopo egoistico in capo ad associazioni e fondazioni si v. per tutti A. Carrabba, Lo scopo delle associazioni e delle fondazioni (art. 1, co. 3, d.p.r. 10 febbraio 2000, n. 361), in Riv. notariato, (2001), p. 763 a cui si rimanda anche per la bibliografia citata.

Emblematico del tema in questione è lo storico dibattito circa l’ammissibilità delle fondazioni di famiglia su cui si v. P. Rescigno, voce Fondazione (dir. civ.), in Enc. dir., XVII, Milano 1968, p. 810; F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., pp. 186 ss.; M.V. De Giorgi, Fondazione di famiglia, in Riv. dir. civ., II (1973), p. 297; Id., Scopo della fondazione e fondazioni di famiglia, in Giur. it., I, 1 (1980), p. 881; Id., Fondazioni di famiglia e attività d’impresa, in Nuova giur. civ. comm., I (2005), p. 79; Id., Le diverse linee di sviluppo del diritto successorio tedesco e italiano: fondazioni di famiglia tra libertà testamentaria e soddisfacimento del bene comune, in G. Cian (a cura di), I cento anni del Codice civile tedesco in Germania e nella cultura giuridica italiana, Padova 2002, pp. 613 ss.; E. Moscati, Associazioni e fondazioni: finalità fiduciarie e loro rilevanza, in Nuova giur. civ. comm., II (1995), pp. 25 ss.; Aa.Vv., La trasmissione familiare della ricchezza, Padova 1995; E. Calò, Dal probate al family trust, Milano 1996, p. 156; G. Iorio, Le fondazioni, Milano 1997, p. 181;P. Manes, Sette voci sulla trasmissione della ricchezza familiare. Le nuove prospettive in materia di fondazioni, in Contr. impr., (2004), p. 265; An. Fusaro, Le fondazioni di famiglia in Italia e all’estero, in Riv. notariato, (2010), p. 17; F. Rosario, Fondazion(i) e (interessi delle) famigli(e): tipologie legislative e conformazioni private, in Riv. dir. priv., (2020), p. 109.

[39] Cfr. nota 5.

[40] F. Rossi, I comitati dopo la Riforma del terzo settore, cit., p. 1392.

[41] G. Ponzanelli, Gli enti senza scopo di lucro, cit., passim.

[42] S. Vaccari, Sulla concessione in comodato di beni pubblici a enti del terzo settore, in Dir. amm., II (2020), p. 427; G. Torelli, Le deroghe alla concorrenza per attività di rilevanza sociale: l'affidamento degli immobili pubblici ai comitati, in Riv. giur. edilizia, (2020), pp. 191 ss.; A. Albanese, I servizi sociali nel codice del Terzo settore e nel codice dei contratti pubblici: dal conflitto alla complementarietà, Napoli 2019, passim; F. Giglioni, Principi e ricadute sistemiche di diritto pubblico nella recente riforma del Terzo settore, in Munus, (2019), p. 2; R. Junior Flacco, Sussidiarietà e mercato nell’affidamento dei servizi sociali, in Foro amm., (2020), p. 361; L. Gori, Riflessioni sui limiti costituzionali alle misure promozionali del Terzo settore, in Giur. Cost., (2020), p. 3017C.

Necessario è altresì il riferimento alla C. Cost., 26 giugno 2020, n. 131 e ai temi della co-programmazione e co-progettazione, su cui ampiamente S. Pellizzari, C. Borzaga (a cura di), Terzo settore e pubblica amministrazione. La svolta della Corte Costituzionale, Euricse Book 2020; A. Fici, L. Gallo, F. Giglioni (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, Napoli 2020; G. Arena, L'amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, in Giur. Cost., (2020), p. 1449D.

Ancora, si v. il D.M. 31 marzo 2021, n.72 che ha delineato le Linee guida circa il rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed enti del Terzo Settore (artt. 55, 56 e 57 cts).

[43] L'art. 56 cts ammette l'affidamento tramite convenzione — e dunque senza gara — dei servizi sociali di interesse generale, se il metodo risulta più favorevole rispetto al ricorso al mercato.

[44] l'art. 71, co. 2 cts prevede la concessione in comodato agli enti del Terzo settore degli immobili non utilizzati a fini istituzionali.

[45] A. Albanese, I servizi sociali nel codice del Terzo settore, cit.; D. Caldirola, Stato, mercato e Terzo settore nel decreto legislativo n. 117/2017: una nuova governance della solidarietà, in www.federalismi.it, 3/2018, p. 6; M.V. Ferroni, L'affidamento agli enti del Terzo settore, in Nomos, 2 (2018), p. 1.

[46] G. Torelli, Le deroghe alla concorrenza per attività di rilevanza sociale, cit., pp. 191 ss.

[47] Il rimando è a L. Bugatti, Sub art. 42 c.c., in G. Ponzanelli (a cura di), Le associazioni non riconosciute, cit., pp. 313 ss. Sulla devoluzione dei beni in caso di estinzione del comitato, ampiamente M.V. De Giorgi, A. Laudonio, Le persone giuridiche, II, Vicende estintive e modificative, in G. Iudica, P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano 2020, pp. 695 ss.

[48] G. Barillà, La responsabilità degli amministratori di fondazioni tra diritto societario e Codice del Terzo Settore, in Riv. soc., (2019), 1046 ss; Id., Poteri di gestione e poteri di rappresentanza degli amministratori di enti non profit. Tra Codice del Terzo settore e diritto societario, Torino 2020; F. Gennari, La responsabilità degli amministratori degli enti non profit nella riforma del Terzo settore, in F. Cicognani, F. Quarta (a cura di), Regolazione, attività e finanziamento delle imprese sociali. Studi sulla riforma del Terzo settore in Italia, Torino 2018, pp. 75 ss.

[49] Così l’art. 20 cts.

[50] L’unica regola che potrà trovare una declinazione differente, in ragione delle diverse categorie di enti, sarà rappresentata dall’art. 2392 c.c., ben potendosi, come già è stato sottolineato da C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, in Riv. soc., (2019), p. 62, modulare il livello di responsabilità degli amministratori anche “al ribasso”, valorizzando i profili, per esempio, di gratuità della carica, di dimensione, attività e struttura organizzativa dell’ente, delle specifiche competenze personali del soggetto che assume la carica di amministratore.

[51] P. Sanna, L'art. 38, seconda parte, c.c.: ermeneusi consolidate e profili di innovazione alla luce della disciplina degli enti del terzo settore, in Resp. civ., (2020), p. 1241.

Contra sembrerebbe esprimersi A. Mignozzi, Enti del Terzo settore e responsabilità degli amministratori. Profili ricostruttivi, in F. Rossi (a cura di), Autonomia privata e strutture organizzative. Enti del libro primo del Codice civile e Terzo settore, Napoli 2019, pp. 107 ss. e in www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com, spec. p. 20 secondo cui “il Codice del Terzo settore non disciplina la responsabilità degli amministratori degli ETS, se non richiamando le norme del codice civile inerenti alle società di capitali in quanto compatibili, non prendendo, tra l’altro, minimamente in considerazione l’ipotesi che i medesimi ETS possano anche non essere persone giuridiche e che i relativi amministratori possano compiere atti illeciti verso l’esterno, non usando la diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata”. Ciò comporterebbe per l’interprete il compito di “decidere se configurar[e l’ente di fatto] più come una società (…) e, quindi, applicare agli amministratori l’art. 2394 c.c. (…) oppure, qualora l’ente in questione abbia ottenuto il riconoscimento o sia una fondazione, qualificarlo semplicemente come persona giuridica, facendo sì che gli amministratori rispondano verso l’ente secondo le norme del mandato”.

[52] C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 62 ss. offre interessanti riflessioni sulla possibile portata espansiva dall’applicazione analogica delle norme di cui al Codice del Terzo settore anche agli enti senza scopo di lucro, di cui al Codice civile.

[53] Si v. ancora L. Bugatti, Sub. art. 40 e sub art. 41, cit., rispettivamente pp. 291 ss. e pp. 303 ss.

[54] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., pp. 566.

[55] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 312 ss.

[56] V. retro nota 27.

[57] V. retro note 21, 22 e 23 nonché M. Basile, Le persone giuridiche, cit., spec. pp. 276-279.

 

[58] Cfr. F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 234 ss.

[59] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 551, nota 26.

[60] Cfr. M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 551.

[61] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 562.

[62] D. Tamburrino, Persone giuridiche, cit., p. 570 e, più in generale, in merito al rapporto tra amministratori ed ente in termini di mandato si v. D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, p. 110; F. Ferrara Sr., Le persone giuridiche, cit., p. 417; U. Belviso, L’institore, Napoli 1966, p. 263; A. Auricchio, voce Associazioni riconosciute, cit., p. 898.  La fonte del rapporto deriverebbe dal contratto associativo invece per F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., p. 200.

[63] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 564.

[64] M. Basile, Gli enti di fatto, cit., spec. p. 563; Id., Le persone giuridiche, cit., spec. p 281 in relazione, in particolare, alla discussa configurabilità di un vincolo reale sui fondi del comitato.

[65] Cons. Stato, Comm. speciale, 31 maggio 2017, n. 927, in www.giustizia-amministrativa.it.

[66] In relazione alla qualifica dei debiti del comitato in termini di obbligazioni complesse, si v. F.D. Busnelli, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano 1974, spec. p. 429.

[67]  Senza pretesa alcuna di esaustività si v. C. Marchetti (a cura di), La responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, Torino 2021; P. Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell'impresa tra principi di corretta amministrazione e "business judgment rule": una questione di sistema, in Il Nuovo dir. soc., (2021), p. 11; Id., Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2, Torino 2007, p. 838; F. Gatti, La responsabilità degli amministratori e la business judgment rule. in Giur. it., (2021), p. 1678; C. Conforti, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano 2012; F. Briolini, Sub art. 2392 c.c., in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Le società per azioni, II, Milano 2016, p. 1383; F. Peruzzo, Business judgment rule e responsabilità degli amministratori di s.p.a., Roma 2016; C. Angelici, La società per azioni. Principi e problemi, in A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, I, Milano 2012, p. 403; M. Cordopatri, La Business Judgment Rule in Italia e il privilegio amministrativo: recenti correttivi negli USA e in Europa, in Giur. comm., (2010), p. 129; V. Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, in Soc., (2005), p. 1333; F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano 2004, p. 162; G.E. Colombo, G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, IV, Torino 1991, p. 329 ss., p. 324.

[68] Si pensi alle ipotesi di rappresentazione di una falsa situazione patrimoniale che indice la banca a rilasciare un fido all’ente o che indica un fornitore a contrattare con quest’ultimo; di illegittima esclusione di un socio dalla distribuzione degli utili già deliberata dall’assemblea (ipotesi che nel contesto del terzo settore troverà applicazione solo in riferimento alle imprese sociali nelle forme societarie); di redazione di un bilancio falso che indica il socio o il terzo all’acquisto di azioni ad un prezzo eccessivo oppure a non vendere azioni poi risultate prive di valore (sempre in relazione alle imprese sociali in forma societaria).

[69] L. Bigliazzi Geri, F.D. Busnelli, U. Breccia, U. Natoli, Diritto civile, Norme, soggetti e rapporto giuridico, I, Torino 1988, 234 ss.; G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, cit., pp. 38 ss.; C. Vocaturo, Associazioni non riconosciute: natura e limiti della responsabilità ex art. 38 c.c. di chi agisce in nome dell’associazione, in Riv. not., (2003), pp. 684 ss; M.V. De Giorgi, Tra legge e leggenda: la categoria ente nel diritto delle associazioni, in Riv. dir. civ., I (2004), p. 507 e ora in Enti del primo libro e del terzo settore. Ventun scritti fra due secoli, Pisa 2021, p. 141; C. Verde, La pubblicità degli enti senza scopo di lucro, in P. Perlingieri (diretto da), Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, Napoli 2012, 75.

[70] R. Breda, Sub art. 38 c.c., in G. Ponzanelli (a cura di), Le associazioni non riconosciute, cit., spec. p. 218.

[71] Abrogata dal d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117, art. 102.

[72] Esse erano costituite dalla sussistenza di un patrimonio superiore a ventimila euro e dall’iscrizione nell’apposita sezione del Registro delle Imprese.

[73] Per tutti, M.V. De Giorgi (a cura di), La nuova disciplina dell'impresa sociale. Commentario al D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, Padova 2007; A. Fici, D. Galletti (a cura di), Commentario al decreto sull'impresa sociale (D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155), Torino 2007; F. Alleva, L’impresa sociale italiana, Milano 2007; G. Bonfante, Un nuovo modello di impresa: l'impresa sociale, in Soc., II (2006), p. 929; V. Calandra Buonaura, Impresa sociale e responsabilità limitata, in Giur. comm., I (2006), p. 849; M. Cian, L'impresa sociale, in G. Silvano (a cura di), Società e Terzo settore. La via italiana, Bologna 2011, p. 255.

[74] Art. 6 co. 2 l. 383/2000, disciplina abrogata dal d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117, art. 102. L’articolo recitava “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione di promozione sociale i terzi creditori devono far valere i loro diritti sul patrimonio dell’associazione medesima e, solo in via sussidiaria, possono rivalersi nei confronti delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

[75] M. Trimarchi, La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale degli enti collettivi e dei loro organi, in Id. (a cura di), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, Milano 2007, pp. 4 ss.; L. Ghia, Le associazioni di promozione sociale, in Nuove leggi civ. comm., (2001), p. 446; G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, cit., p. 277; M. Basile, Recenti ipotesi di responsabilità personale per debiti assunti nell’interesse di organizzazioni di utilità sociale, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I, Milano 2008, pp. 108 ss; A. Cetra, Art. 6 (Responsabilità patrimoniale), in M.V. De Giorgi (a cura di), La nuova disciplina dell’impresa sociale, cit., p. 399.

[76] Ai sensi dell’art. 6 bis l. 157 del 1999 (introdotto dall’art. 39 quaterdecies d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, in legge 23 febbraio 2006, n. 51), i creditori dei partiti e movimenti politici di cui alla presente legge non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l'adempimento delle obbligazioni del partito o movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave. Per un approfondimento del tema si v. G.F. Aiello, L'irresponsabilità per decreto legge degli amministratori di partito e la difficile identificazione della «colpa grave» nell'assunzione di un'obbligazione, in Resp. civ. prev., (2015), p. 152; V. Barba, La responsabilità personale degli amministratori dei partiti politici, in Danno resp., (2014), p. 1118; P. Rescigno, I debiti del partito politico, in Giur. it., (2014), p. 2416; G. La Rocca, L'art. 38 c.c. e l'esonero da responsabilità degli amministratori" dei "partiti e movimenti" politici, in Foro it., (2014), c. 2135; M. Basile, La responsabilità personale per i debiti dei partiti politici (dopo "tangentopoli"), in Nuova giur. civ. comm., I (2010), p. 9; G. Piepoli, "Statuto" dei partiti e disciplina delle associazioni non riconosciute, in Riv. critica dir. priv., (2009), p. 601; C. Lanzani, Partiti politici: l'amministratore risponde personalmente solo in caso di dolo o colpa grave, in Corr. giur., (2009), p. 1497.

[77] Si v. Cass., 1 aprile 2014, n. 7521, in Resp. civ. prev., (2015), p. 151; Trib. Messina, 8 maggio 2015, n. 1074, in www.jusexplorer.it., nonché Cass., 23 giugno 2009, n. 14612, in Foro it., I (2010), c. 944.

[78] R. Breda, Sub art. 38 c.c., cit., spec. p. 218.

[79] M. Basile, Recenti ipotesi di responsabilità personale, cit., p. 111; G. Visintini (a cura di), Gli enti non profit tra codice civile e legislazione speciale, Napoli 2003; Id., Rappresentanza e responsabilità degli enti non profit, in M. Trimarchi (a cura di), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, cit., pp. 147 ss.

[80] In relazione all’art. 38 c.c. si v. Rubino, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 158; M. Basile, Gli enti di fatto, cit., p. 543, secondo i quali la responsabilità extracontrattuale piò essere fatta valere da chi agisce in nome e per conto dell’ente non ex art. 38 c.c. bensì, sussistendone i presupposti, secondo l’art. 2043 c.c. ovvero applicando analogicamente l’art. 2395 c.c.

[81] R. Breda, Sub art. 38 c.c., cit., spec. p. 2010; M. Franzoni, Il danno cagionato dagli amministratori di enti collettivi, in M. Trimarchi (a cura di), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, cit., pp. 220-221.

[82] Sembra dubitarne A. Mignozzi, Enti del Terzo settore e responsabilità degli amministratori. Profili ricostruttivi, cit., p. 20.

[83]  Cfr. D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 257; M. Basile, voce Associazione non riconosciuta, in Enc. giur., III, Roma 1988, 10; C.M. Bianca, La norma giuridica. I soggetti, cit., p. 393; G. Persico, voce Associazioni non riconosciute, in Enc. giur., III, Milano 1958, p. 891; B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., pp. 135-136; F. Ferrara Sr., Le persone giuridiche, cit., pp. 429 ss. Nonché G. Iorio, Sub art. 38 c.c., cit., p. 386; L. Bullo, La responsabilità dell’associazione e quella dei suoi rappresentanti ai sensi dell’art. 38 c.c., in Studium iuris, (1998), p. 414 e R. Breda, Sub art. 38 c.c., cit., spec. p. 234.

[84] P. Rescigno, I debiti del partito politico, in Giur. it., (2014), p. 2414.

[85] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., pp. 215 ss.; M. Basile, Gli enti di fatto, cit., pp. 333 ss.; G. Persico, voce Associazioni non riconosciute, cit., pp. 892 ss.; R. Breda, Sub art. 38 c.c., cit., p. 195; M. Eroli, Le associazioni non riconosciute, Napoli 1990, p. 198; D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 255; F. Ferrara Sr, Le persone giuridiche, Torino 1938, p. 8; G. Iorio, Sub art. 38 c.c., cit., p. 380; E. Del Prato, L’ente privato come atto. Saggi di diritto civile, Torino 2015, p. 251; M.V. De Giorgi, Le persone giuridiche in generale, le associazioni e le fondazioni, in P. Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, cit., p. 326.

[86] P. Sanna, L'art. 38, seconda parte, c.c., cit., p. 1241.

[87] Si v. D.M. 15 settembre 2020, n. 106 e Decreto Direttoriale 26 ottobre 2021.

[88] M. Barela, Capacità di obbligare il fondo comune e responsabilità patrimoniale: note sull'art. 38 c.c., in Ianus, (2019), p. 251 nonché più ampiamente Ead., Il potere apparente. Uno studio sulle associazioni non riconosciute, Milano, 2019 secondo cui, in questi casi, trova applicazione l’art. 1398 c.c. L’A. osserva come “la norma dell’art. 38 c.c. offre la misura dell’imputazione all’associazione non riconosciuta degli atti compiuti dal suo rappresentante. Il presupposto della sua applicabilità risiede nella sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi agisce per l’associazione stessa, requisito necessario affinché si produca, per un verso, l’effetto di vincolare il fondo comune e, per altro verso, quello di impegnare personalmente e solidalmente colui che ha agito, aggiungendo la responsabilità di questi a quella dell’associazione”.

[89] Cass., 27 gennaio 2015, n. 1451, in Notariato, 2 (2015), p. 173; Cass., 16 marzo 2004, n. 5305, in Dir. fall., 2 (2005), p. 843; Cass., sez. lav., 16 maggio 2000, n. 6350, in Nuova giur. civ. comm., I (2001), p. 280.

[90] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., p. 216, 245; Id., Degli amministratori di società personali, Padova 1963, p. 150; S. Centofanti, Una tutela da non vanificare (la responsabilità personale degli amministratori ex art. 38 c.c. nei confronti dei dipendenti delle associazioni non riconosciute), in Giur. it., I, 1 (1986), p. 1248.

[91] Così B. Vacca, Le associazioni non riconosciute e i comitati, cit., p. 128; A. Cetra, L’ impresa collettiva non societaria, Torino 2004, pp. 174 ss.

[92] Cfr. La Rocca, L’«evaporazione» della persona giuridica innanzi alla Corte Costituzionale, in Foro it., I (1998), cc. 2617 ss. Il quale mette in luce come il connotato della personalità giuridica può essere visto in termini strumentali ad una maggiore tutela dei terzi sotto diversi punti di vista (organizzazione interna, pubblicità, consistenza patrimoniale). Sul punto si v. ampiamente anche R. Breda, Sub. Art. 38 c.c., cit., passim.

[93] P. Sanna, L'art. 38, seconda parte, c.c., cit., p. 1241.

Montani Veronica



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