Diritti dell’uomo e Diritti di Dio. Diritto naturale e «norma personalistica» nel pensiero di Karol Woytiła
Piero Marino
Dottorando in “Diritti umani. Teoria, storia, prassi”. Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Diritti dell’uomo e Diritti di Dio.
Diritto naturale e «norma personalistica» nel pensiero di Karol Woytiła*
English title: Human Rights and Rights of God. Natural Law and «personalistic norm» in the thought of Karol Woytiła
DOI: 10.26350/18277942_000052
A mio padre Enrico,
riallacciando i fili di un dialogo interrotto…
Sommario: 1. Introduzione. 2. Dei ‘diritti’ e del ‘diritto’ naturale. 3. «Diritto naturale» e «norma personalistica». 4. Rinnovamenti. 5. (Con)fusioni. 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Il 31 Ottobre del 2000, in occasione della proclamazione di San Tommaso Moro a patrono dei governanti e dei politici, Giovanni Paolo II affermava che «l’uomo è creatura di Dio, e per questo i diritti dell’uomo hanno in Dio la loro origine, riposano nel disegno della creazione e rientrano nel piano della redenzione»[1], per concludere, riprendendo icasticamente - e in qualche modo modificandone il senso - un’espressione utilizzata in precedenza[2], che «si potrebbe quasi dire, con espressione audace, che i diritti dell’uomo sono anche i diritti di Dio»[3].
Un tema, quello dei diritti umani, che ha intensamente caratterizzato il pontificato di Colui che sarebbe stato elevato all’onore degli altari col nome di San Giovanni Paolo II sin dalla prima Enciclica, dalla quale emergeva con decisiva ed inedita chiarezza come l’effettiva difesa di tali diritti dovesse rappresentare lo scopo fondamentale di ogni istituzione umana e soprattutto come nella loro natura inviolabile potesse essere individuata la cifra critica attraverso cui condurre quella «continua revisione» di cui ogni programma politico necessita se intende realmente porre al centro dei propri interessi il bene dell’uomo e la realizzazione del bene comune[4]. Un compito di revisione sulla cui emergenza e necessità, come già accennato, Karol Woytjla è più volte ritornato nel corso degli anni[5], proseguendo nel percorso tracciato prima dell’elezione al soglio pontificio; un percorso del quale gli scritti a carattere etico-filosofico, costantemente incentrati sulla dimensione personale dell’essere umano e sul riconoscimento della sua dignità, sono una chiara testimonianza[6]. Due nozioni che, opportunamente incrociate, possono essere considerate la vera e propria pietra angolare o, come è stato detto, il «costante ritornello dell’insegnamento di Giovanni Paolo II e presupposto o punto di partenza delle diverse sue considerazioni» di carattere giusfilosofico[7].
L’accostamento dei diritti dell’uomo ai diritti della persona, e dunque l’accostamento dei diritti dell’uomo ai ‘diritti di Dio’ - che della persona umana è considerato Creatore e Redentore[8] - non desta particolare stupore alla sensibilità dell’uomo contemporaneo, tanto più che si tratta di un accostamento già prefigurato ed introdotto da Giovanni XXXIII nella Pacem in terris[9], nonché, durante il pontificato di Paolo VI, nella Gaudium et Spes[10] e, soprattutto, considerato che il percorso tracciato da Giovanni Paolo II è stato sostanzialmente seguito sia da Benedetto XVI[11] che da Papa Francesco[12]. E tuttavia, sebbene quanto segue rischi di destare scandalo nella sensibilità contemporanea, si tratta di un accostamento tutt’altro che pacifico. Lasciando infatti fuori dalla nostra analisi l’aspra accoglienza tributata dalla Chiesa ai princìpi della Dichiarazione dell’89 e, più in generale, alla filosofia dell’Illuminismo[13], non può non colpire il fatto che, a partire dal pontificato di Leone XIII, lo ‘strumento’ utilizzato per condannare sul piano giuridico, filosofico e religioso la Dichiarazione dei diritti dell’uomo furono la riformulazione e la rimodulazione, in piena rinascita della filosofia tomista[14], del diritto naturale cristiano, i cui princìpi erano esplicitamente presentati in contrapposizione con i moderni diritti dell’uomo, allo scopo di rimettere al centro del discorso una concezione giuridica e filosofica della natura umana che risultasse adeguata alla sensibilità cattolica[15]: una prospettiva mantenuta sotto il pontificato di Pio X[16] e rispetto alla quale, pur attraverso forme attenuate e maggiormente ‘levigate’ (nonché caratterizzate da alcune importanti aperture), la Chiesa cattolica si mostrò sostanzialmente coerente durante i pontificati di Benedetto XV, Pio XI e Pio XII[17], tanto che Quest’ultimo, registrando una sostanziale divisione interna al mondo cattolico sulla questione[18], non si espresse mai pubblicamente in merito alla Dichiarazione del 1948, limitandosi ad affermare che «i diritti dell’uomo» non avrebbero garantito l’ordine, la pace e la convivenza sociale se non fossero stati accompagnati dal riconoscimento «espresso dei diritti di Dio e della sua legge, per lo meno dei diritti naturali»[19].
È pertanto senz’altro possibile osservare come, almeno fino al secondo dopoguerra e anche oltre, la Chiesa cattolica abbia mostrato di seguire il percorso suggerito dal Visconte Louis de Bonald il quale, nel 1802, auspicava che «la rivoluzione iniziata con la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo» finisse «nella dichiarazione dei diritti di Dio»[20]. Nonostante ciò, quasi per uno scherzo del destino, l’auspicio di de Bonald si sarebbe effettivamente realizzato, ma, a partire dal Pontificato di Giovanni XXIII, in direzione decisamente diversa.
Dai brevi cenni forniti emergono due questioni di interesse giusfilosofico, questioni sollevabili in virtù della natura problematica delle nozioni su cui si fondano. La prima grande questione concerne il rapporto tra diritti dell’uomo e diritto naturale, presentati in un primo momento nell’ottica di una reciproca esclusione e contrapposizione e, in un secondo momento, considerati nella prospettiva di una più o meno marcata sostanziale compatibilità; la seconda questione concerne la nozione filosofico-giuridica di persona che è stata utilizzata allo scopo di rendere possibile tale riconciliazione. Proprio le forme attraverso cui queste tre nozioni sono state declinate nelle riflessioni di Karol Woiytła, nella duplice e significativa veste di filosofo contemporaneo e di pontefice della Chiesa cattolica, possono offrirci uno squarcio interpretativo di un certo interesse.
Le ragioni che muovono questo nostro breve saggio sono dunque sostanzialmente due. Innanzitutto, l’intera stagione del pontificato di Giovanni Paolo II, senz’altro in misura maggiore, e non di poco, rispetto ai pontificati precedenti e successivi, è stata caratterizzata da un sostanziale accostamento del diritto naturale cristiano ai diritti dell’uomo, un accostamento accompagnato dalla particolare sollecitudine riservata a questi ultimi sia sul piano pastorale che sul piano del diritto internazionale; in secondo luogo, proprio nella riflessione filosofica di Karol Woiytła - che, come vedremo, si colloca esattamente al crocevia tra la filosofia cristiana di stampo tomista e quella moderna - ai diritti della persona è stata esplicitamente attribuita la condizione di complementarietà nei confronti del diritto naturale e, al tempo stesso, ai diritti umani l’esplicita condizione di subalternità concettuale rispetto ai diritti della persona. Sicché, la tesi che si intende provare in queste brevi pagine consiste nel fatto che, proprio nella riflessione filosofica dell’uomo destinato a diventare pontefice col nome di Giovanni Paolo II, è possibile cogliere come una lettura del difficile e controverso percorso di riconciliazione tra la Chiesa cattolica e i diritti dell’uomo che ha preso forma a partire dalla metà del secolo scorso rimandi inevitabilmente ad un’analisi critica delle tre nozioni giusfilosofiche prima citate e, soprattutto, ad una corretta esplicazione delle distinzioni concettuali che tali nozioni attraversano: a nostro giudizio, proprio tali distinzioni, per certi versi sottovalutate dalla pur ampia ed articolata letteratura sul tema e sul pensiero filosofico di Karol Woiytła, potranno dimostrarsi effettivamente utili a rendere ragione dei passi avanti e delle difficoltà concettuali che tale percorso di riconciliazione ha incontrato e tutt’ora incontra.
2. Dei ‘diritti’ e del ‘diritto’ naturale
È senz’altro possibile sintetizzare, non senza qualche semplificazione, gli elementi antitetici tra i princìpi dell’89 e il diritto naturale cristiano. Laddove i primi si presentavano sostanzialmente come diritti soggettivi, il secondo veniva descritto come diritto oggettivo[21]; laddove quelli sottolineavano la laicità delle istituzioni politiche e giuridiche, questo ne radicava la genesi nel sacro[22]; laddove i princìpi dell’89 rimarcavano la dimensione meramente immanente delle istituzioni umane, il diritto naturale cristiano rimarcava la natura intrinsecamente trascendente della Legge[23]; laddove la filosofia che ispirava i princìpi dell’89 si mostrava soggettivistica e critica, il diritto naturale cristiano si rifaceva ad una concezione realistica ed ontologica[24]; laddove la cifra giuridica dei princìpi dell’89 era l’individuo, la prospettiva del diritto naturale cristiano era di tipo marcatamente olistico-metafisico[25]; laddove, infine, lo scopo di quest’ultimo era di ribadire con forza una visione eteronoma dell’etica, delle leggi e delle istituzioni politico-sociali, la visione suscitata dai princìpi dell’89 avrebbe indiscutibilmente portato a quella dell’autonomia[26].
Alla luce di queste osservazioni, è possibile in qualche modo leggere il tentativo di riconciliazione tra diritti umani e diritto naturale che, nelle riflessioni filosofiche di Karol Woytiła prima e nell’operato del Suo pontificato poi, ha assunto le forme di una rinnovata considerazione delle antinomie sopra accennate.
3. «Diritto naturale» e «norma personalistica»
Non senza qualche ragione, il personalismo di Woytiła è stato considerato una sintesi concettuale tra le concezioni antropologiche della modernità e quelle della tradizione classica e cristiana[27]. Da questo punto di vista, infatti, di fronte alla contrapposizione tra i princìpi soggettivistici della filosofia moderna, secondo cui la natura dell’essere umano e la sua dimensione morale devono poter essere colte sul piano, critico, del pensiero e della coscienza, e i princìpi realistici della tradizione medievale, secondo cui l’uomo è capace di pensiero, coscienza e moralità in virtù della condizione creaturale attraverso cui partecipa ontologicamente dell’Essere[28], Woytiła propone una prospettiva mediana, secondo cui la partecipazione e adesione del suppositum umano[29] alla realtà ontologica e alla dimensione etica, si radicano sul piano assiologico-oggettivo dell’esperienza personale[30]. Tale partecipazione e tale esperienza non si realizzano in modo meccanico ma, piuttosto, conservano al loro interno sia la dinamica creativa dell’agire che quella passiva dell’accadere[31]. Pertanto, l’essere umano appare saldamente ancorato ad una realtà ontologica che lo fonda, avvolge, precede e trascende ma, al tempo stesso, costruisce in modo cosciente ed attivo la propria personalità[32], dal momento che essere persona significa essere parte di un cosmo oggettivo, teleologicamente orientato e, al tempo stesso, essere fonte ‘creativa’ e cosciente della propria autorealizzazione[33].
Nell’ambito di questa cornice concettuale, Woytiła propone una sintesi tra «diritto naturale» e «norma personalistica»[34]. Pertanto, Egli prende le mosse dalle principali questioni dell’etica[35], riconoscendo come in esse si discuta di problemi che travalicano il piano pratico per approdare a quello teoretico e sulla base di quest’ultimo avanzare delle risposte, dal momento che l’etica «“manifesta” il suo bisogno di ragioni ultime, di soluzioni “per ultimas causas”»[36]. Tale prospettiva implica inevitabilmente la priorità della domanda sul bene rispetto a quella sul giusto[37], in quanto «ogni norma della moralità ha soprattutto il carattere di un giudizio teoretico», evidentemente fondato sulla possibilità di distinguere oggettivamente il bene dal male[38]; al tempo stesso, «l’etica come scienza» non ha il compito di creare le norme della moralità, ma di farne venire alla luce le regole in modo da renderne possibile la giustificazione e l’osservanza[39].
A questo tipo di sollecitazioni risponde la formulazione del diritto naturale. Se, infatti, quest’ultimo ha il compito di rimarcare l’esistenza e la validità delle più fondamentali norme della morale umana, nella nota formulazione per cui si tratta di leggi «“non scritte”» ma, al tempo stesso, «iscritte» nell’«essere dell’uomo» a mo’ di «codice del Creatore», ben più interessante è l’osservazione per cui non solo «esso implica e determina […] un metodo di giustificazione delle norme della moralità», ma soprattutto «porta a realizzazione i compiti definitivi dell’etica»[40]. La dottrina del diritto naturale, infatti, «dimostra […] la necessità di comprendere le nature cioè le essenze delle cose che fanno parte dell’oggetto dell’agire umano», costruendo un ordine in cui «sono radicati tutti i sistemi e le relazioni assiologiche, le quali costituiscono un ordine a parte, ma legato all’ordine ontico»[41]. Pertanto, «il diritto naturale presuppone la convinzione che l’ente ed il valore siano in qualche modo congiunti ed interdipendenti» e che «gli esseri (le nature) ed i valori siano disposti in un certo ordine, il quale è […] accessibile alla conoscenza umana»[42].
Fin qui il diritto naturale non pare presentarsi in una formulazione poi così differente da quella tradizionale, anzi. Tuttavia, accanto a tale formulazione, incontriamo un altro metodo di giustificazione delle norme morali, un metodo che Woytiła non considera contrapposto a quello del diritto naturale ma che, piuttosto, indica come «complementare»[43]. I princìpi della morale, infatti, sono a Suo giudizio sempre radicati nel «riferimento alla persona»; se «il diritto naturale […] mostra soprattutto come l’uomo […] si trovi nel mondo, in una molteplicità di enti e di nature come uno di essi […], la norma personalistica cerca di mettere in risalto la posizione particolare dell’uomo come persona, la sua particolarità e la trascendenza che da essa derivano»[44]. Nella seguente formulazione, che significativamente Woytiła accosta al secondo imperativo di Kant[45], si assume «che tutta l’azione dell’uomo, in qualsiasi campo, deve essere adeguata alla relazione “con la persona”», ma soprattutto che «tutta la sensibilità morale consiste nello scoprire negli atti il momento personale come il momento “puramente” umano», in virtù del quale «l’agire umano non è soprattutto realizzazione del mondo ma realizzazione di sé: dell’umanità e della persona»[46]. In questo senso, la norma personalistica eleva l’ordine normativo riconosciuto dal diritto naturale, rendendo l’essere umano attivamente e realmente «partecipante delle Legge Eterna»[47]. Pertanto, sebbene non sia possibile attribuire «alla coscienza morale un potere legislativo, come postulava Kant, identificando questo potere col concetto di autonomia, cioè di incondizionata libertà della persona», in quanto «la coscienza non è legislatrice» e «non crea norme», bisogna pur contemporaneamente ammettere che, «dal punto di vista dell’esperienza integrale della persona, […] la coscienza è creativa nell’ambito della verità delle norme, ossia dei princìpi dell’agire che costituiscono la base oggettiva della morale e del diritto». Significativamente, infatti, «la coscienza dà alle norme quell’unica e irripetibile forma che esse hanno proprio nella persona, nella sua esperienza vissuta e nella sua realizzazione»[48] .
4. Rinnovamenti
Dal riconoscimento del valore ‘complementare’ della norma personalistica derivano una serie di conseguenze: nell’ottica personalistica, i diritti dell’uomo infatti possono essere contemporaneamente declinati come espressione del diritto oggettivo e come diritti soggettivi di cui ogni essere umano, in quanto persona, risulta portatore; la dimensione immanente (interamente umana) di tali diritti si esprime attraverso il riconoscimento della cornice trascendente (intrinsecamente divina) in cui essi vanno a collocarsi, nel duplice senso per cui la persona trascende se stessa sul piano orizzontale dei valori oggettivi e su quello verticale dell’autorealizzazione[49]; la dimensione ontologica e quella soggettivistica possono dialogare all’interno della struttura personale e con esse le sfere dell’eteronomia e dell’autonomia[50]; la dimensione del sacro, assunta nell’apertura della coscienza alla verità, è senz’altro preservata anche in una prospettiva sociale e comunitaria ma declinata in relazione al compiuto riconoscimento della libertà religiosa[51]; infine, l’individuo, riconosciuto in quanto persona, può ben rappresentare lo scopo ultimo delle istituzioni politiche e sociali[52]. Punti di incontro, questi, fondati sulla premessa della complementarità tra diritto naturale e norma personalistica.
Sotto questo punto di vista, dunque, Karol Wojtyła si iscrive a pieno titolo nella galassia del personalismo cristiano, col quale condivide l’idea per cui alla nozione di individuo, caratteristica della moderna cultura illuministica e sostanzialmente declinata secondo un’ottica atomistica, immanentistica, individualistica e a-religiosa, debba essere preferita la nozione di persona, proprio in virtù della sua collocazione sociale, morale, spirituale ed ontologica ma, per altro verso - pur secondo considerazioni e prospettive differenti - comunque dotata di quell’autonomia, libertà e dignità e, soprattutto, di quei diritti che proprio la moderna cultura giuridica illuministica ha inteso assegnare agli stessi individui[53]. Ma, soprattutto, con la galassia personalistica Wojtyła condivide l’idea per la quale, di fronte alle trasformazioni determinate della modernità giuridica e filosofica, non sia necessario decidersi tra una netta contrapposizione ed una a-critica e passiva accettazione, quanto piuttosto appaia preferibile ricorrere ad una attenta considerazione teoretica in grado di affrontare le questioni suscitate e di valutarne, ad un tempo, gli elementi progressivi e le difficoltà[54]. E non solo: il contributo dell’uomo destinato a diventare Pontefice col nome di Giovanni Paolo II non si limitava ad una tale ‘partecipazione’ riflessiva e concettuale: assumendo infatti sul piano normativo (e, dunque, giuridico) la distinzione e complementarietà tra norma personalistica e diritto naturale e, dunque, ponendo le basi di quella che, senza correre il rischio di sbagliare, può essere senz’altro definita una via cristiana per il riconoscimento dei diritti umani, apriva di fatto (e di diritto) un varco dialogico con la prospettiva laica, soggettivistica, critica ed immanentistica che abbiamo visto animare, dall’interno, le moderne formulazioni dei diritti dell’uomo[55]. Sulle concrete ed effettive dimensioni di tale ‘varco’, nonché sull’effettiva sostenibilità di tale prospettiva dialogica, è tuttavia necessario indugiare un poco.
- (Con)fusioni
L’idea secondo cui quella proposta da Giovanni Paolo II rappresenterebbe una via cristiana al riconoscimento dei diritti dell’uomo risulta senza dubbio coerente con quanto realizzato sul piano istituzionale nel corso del Suo stesso pontificato che, come ampiamente riconosciuto, ha particolarmente segnato il percorso della Chiesa di fronte alle sfide del secolo scorso e, più in generale, di fronte alle sfide poste dalla modernità[56]. Sotto questo punto di vista, dunque, l’accettazione sostanziale di alcuni elementi del pensiero moderno permette senz’altro di identificare un comune piano discorsivo, all’interno del quale le posizioni legate alla tradizione metafisica e cristiana possono concretamente relazionarsi, nel comune riconoscimento dei diritti dell’uomo, con le posizioni derivanti dalla stessa modernità giuridica, rendendo al tempo stesso possibile la concreta apertura di uno spazio dialogico con queste ultime, uno spazio che sia effettivamente rappresentato dal comune riconoscimento della dignità, libertà ed autonomia del soggetto umano, indipendentemente dal fatto che la concreta declinazione di tale libertà, dignità ed autonomia non può, infine, che trovare realizzazione se non attraverso un consenso «per intersezione»[57].
Non sfugge, tuttavia, ed è chiaro che stiamo andando oltre la stessa prospettiva di Giovanni Paolo II, che si tratta di un dialogo in qualche modo asimmetrico, dal momento che al punto di vista ‘metafisico’ e ‘religioso’ è senz’altro richiesta una mediazione ulteriore, considerato che lo spazio personalistico rappresenterebbe in fondo il luogo in cui tradurre le esigenze che muovono il diritto naturale cristiano nelle ragioni che muovono i diritti dell’uomo[58]. Permangono, dunque, e proprio per questo, alcune significative difficoltà che si mostrano in tutta la loro chiarezza quando, sulla base della riconosciuta complementarietà tra diritto naturale e norma personalistica, ci si spinge a postulare una triadica e perfetta ‘identità’ tra diritti dell’uomo, diritti della persona e diritto naturale[59]. Si tratta di una ipotesi che, come andremo a vedere, mette tra parentesi alcuni fattori di indiscutibile importanza.
Ciò che qui è in questione è infatti rappresentato da uno degli ineludibili elementi della modernità filosofica e giuridica, vale a dire la riconosciuta distinzione tra la domanda sul bene e quella relativa al giusto o ciò che da questo consegue, cioè la differenza tra valori e princìpi e tra etica e morale[60] o, ancora, la differenza tra etiche teleologiche e etiche deontologiche[61]: tutte differenze desumibili dallo ‘scarto’ concettuale tra tradizione e modernità. Non è infatti possibile alcuna prospettiva dialogica tra differenti concezioni dei diritti umani se non si riconosce quale spartiacque fondamentale il passaggio da una concezione sostanzialmente metafisica ad una prospettiva critica, uno spartiacque da cui derivano le differenze sopra esposte e che non consente alcuna sottovalutazione[62]. Sottovalutazione che è più agevole individuare se guardiamo in direzione di una certa ricezione giuridica del pensiero e dell’insegnamento di Giovanni Paolo II: se infatti il valore della persona umana e della sua dignità vengono declinati unicamente secondo una prospettiva metafisica[63], se i diritti dell’uomo e la stessa idea di giustizia vengono radicalmente sostanzializzati[64], se la subordinazione del diritto (dei diritti) alla verità oggettiva assume unicamente le forme dell’appartenenza ad uno schema ontologico-metafisico e le stesse istituzioni politiche e democratiche sono poste al servizio del ‘vero’[65], ne consegue inevitabilmente, per dirla con Habermas, che non viene preso bastantemente sul serio «il fatto del pluralismo»[66] e ciò che da esso consegue (o che esso precede e determina), vale a dire l’impossibilità, in una moderna ottica giuridica, di risolvere la domanda sul giusto rispondendo a quella, ontologica, sul bene. Se, infatti, nella prospettiva di Woytiła, è possibile determinare il salto dal piano ontologico a quello assiologico - e dunque postulare l’identità ontologica tra essere e bene cui subordinare la domanda sul giusto - è perché l’impianto di fondo del Suo pensiero resta (e non potrebbe essere altrimenti) comunque di tipo metafisico, mentre tale non è l’approccio critico del pensiero moderno, un approccio che non solo non consente una assoluta subordinazione della ragion pratica a quella teoretica, ma che semmai postula l’inverso[67]: di conseguenza, se la formulazione della norma personalistica permette di aprire un varco per il riconoscimento dei diritti dell’uomo (che originariamente rispondono ad un’ottica ‘moderna’) sul piano del diritto naturale cristiano (che risponde ad un’ottica ‘tradizionale’), restiamo nel campo di una mediazione virtuosa, in grado di rendere possibile, soprattutto sul piano giuridico, un dialogo tra differenti ma non assolutamente incompatibili concezioni dei diritti dell’uomo; al contrario, tale mediazione assume connotazioni in qualche modo regressive se, ricorrendo alla norma personalistica, si opera trasferendo sull’uomo i diritti della persona, intendendo questi ultimi né più, né meno che quale espressione del diritto naturale cristiano[68]. Nel primo caso, abbiamo l’apertura di uno spazio per i diritti dell’uomo, vale a dire una via cristiana al loro riconoscimento, nell’altro, un loro ri-assorbimento all’interno dei diritti della persona, interamente ricollocata nei confini del diritto naturale cristiano: vale a dire, per certi versi, la loro effettiva negazione.
Se, dunque, alla struttura personale e alla norma personalistica si ricorre allo scopo di mediare tra ‘diritto’ e ‘diritti’, siamo di fronte ad un percorso dialogico di riconciliazione; in caso contrario ci troviamo di fronte ad una ‘mistificazione’ del conflitto ma, soprattutto, in caso contrario, la stessa ‘complementarietà’ ne risulta sostanzialmente obliterata[69]. Più in fondo, ci sembra che la differenza principale possa essere effettivamente individuata tra una lettura che spinge, allo scopo di contrastare derive di tipo relativistico, per un riconoscimento della dimensione ontologica e metafisica’ dei diritti umani[70] e una che intende affrontare, pur senza cedere a prospettive relativistiche, il «fatto del pluralismo» con tutto ciò che ne consegue[71].
6. Conclusioni
Della filosofia di Woytiła si è detto in molti modi: secondo una tesi, Questi sarebbe un fenomenologo che si rivolge al tomismo[72]; per altri, si tratterebbe di una filosofia sostanzialmente metafisica che ricorre al metodo fenomenologico quale strumento per chiarificare l’esperienza soggettiva[73]; per altri ancora, in essa si realizzerebbe un’unione organica tra tomismo e fenomenologia[74]; se c’è, infine, chi ci ha visto l’applicazione di un metodo transfenomenico volto a radicare l’esperienza vissuta e coscienziale nelle pieghe della realtà personale[75], persiste la posizione di chi la considera sostanzialmente alla stregua di una, seppur rinnovata, metafisica[76] mentre, al di sopra di tutte, si staglia, per fascino e profondità, la magistrale lettura di Lévinas, secondo il quale il pensiero dell’allora Cardinal Woytiła rappresentava una coerente applicazione del metodo fenomenologico, in quanto incentrato sull’analisi di quella «donazione di senso» che caratterizza l’attività intenzionale della coscienza[77]. Ognuna di queste tesi rivela degli aspetti decisivi e tutte mettono in luce come tale filosofia si ponga effettivamente al crocevia tra tradizione e modernità filosofica[78];il che la rende particolarmente utile ad affrontare un problema quale quello relativo al rapporto tra diritti umani e diritti di Dio che, come si è cercato di mostrare, deve essere collocato su questo stesso crocevia.
A tal proposito, occorre chiarire senza mezzi termini che, se restiamo sul piano della netta contrapposizione tra valori e princìpi, tra fondamento metafisico e fondamento critico e tra verità e pluralismo non solo la riconciliazione tra diritti umani e diritti di Dio risulta concretamente impossibile ma, soprattutto, assumendo la complementarietà tra norma personalistica e diritto naturale quale strumento per obliterare tali differenze mantenendone però la sostanza, lo stesso riconoscimento dei diritti dell’uomo nell’ottica del diritto naturale cristiano (riformulato esplicitamente, ribadiamolo, sotto il pontificato di Leone XIII allo scopo di condannare gli esiti della modernità giuridico-filosofica) prenderebbe piuttosto le forme di quella «complexio oppositorum» con cui, in modo decisamente brillante, un ‘conservatore’ come Carl Schmitt aveva definito la Chiesa Cattolica[79] e, in tal senso, si mostrerebbe più strumentale che sostanziale. Se invece poniamo l’accento sul valore che Wojtyła attribuisce alla coscienza personale nella sua effettiva ‘complementarietà’ con la dimensione ontologica, mantenendo i termini della distinzione, pur assumendoli in una prospettiva unitaria, diventa allora possibile pensare, nell’ottica di una prospettiva pur sempre integralmente cattolica, alla persona umana come a quel momento di indisponibilità intorno al quale riedificare una sintesi virtuosa tra soggetto umano e soggetto giuridico da intendersi in un’ottica intrinsecamente pluralistica[80], al rapporto tra autonomia politica e ricerca della verità come al luogo ideale delle decisioni democratiche[81] e, da ultimo, ai diritti dell’uomo come ad un orizzonte di senso[82], intrinsecamente legato all’autotrascendimento di un diritto teso alla ricerca di una giustizia possibile e condivisa[83] o, come è stato detto ricorrendo ad una figura dai contorni fortemente simbolici, ad una sorta di nuovo ius gentium[84].
Abstract: The article addresses the issue of the acknowledgment of human rights by the Catholic Church, taking as a reference the philosophical-juridical reflection of KarolWoytiła, who eventuallybecame Pope with the name of John Paul II and dedicated particular attention to the theme of human rights. The article deals with the juridical-philosophical notion of person that, in the writings of Woytiła as well as in the documents of his pontificate, was aimed at reconciling christian natural law with human rights. These two notions, had been assumed to be in substantial opposition, starting from the rebirth of Thomism in the XIX Century and, despite some previous ‘openness’, until the pontificate of John XXXIII. Focusing on the ‘complementarity’ between personalistic norm and natural law, the reflection of the future Saint John Paul II sheds light on the relationship between juridical-philosophical modernity and christian thought.
Keywords: Natural Law; Human Rights; Person; Modernity; Catholic Church* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica in forma di “Motu Proprio” Per la proclamazione di San Tommaso Moro a patrono dei governanti e dei politici [31 Ottobre 2000], n. 4e. Per le citazioni dei documenti pontifici si è fatto riferimento alla pagina web ufficiale del Vaticano https://www.vatican.va/content/vatican/it.html.
[2] «La coscienza è luogo di conquista della vera libertà, a patto però che sia disposta a riconoscere "i diritti di Dio", iscritti nella sua struttura più profonda» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’incontro universitario internazionale “Univ ‘98” [7 aprile 1998], n. 4). In questo caso, come si può agevolmente notare, l’intento era quello di ricondurre la libertà umana alla sua radice divina; nell’altro, di suggerire con espressione audace come, per certi versi, sussista una ‘sostanziale’ identità tra diritti di Dio e diritti dell’uomo. Le ragioni di tale ‘audacia’ saranno chiarite nel corso dell’articolo.
[3] Giovanni Paolo II, Per la proclamazione di San Tommaso Moro, cit., n. 4e.
[4] «Non si può qui non ricordare […] il magnifico sforzo compiuto per dare vita all'Organizzazione delle Nazioni Unite, uno sforzo che tende a definire e stabilire gli oggettivi ed inviolabili diritti dell'uomo, obbligandosi reciprocamente gli Stati-membri ad una rigorosa osservanza di essi. Questo impegno è stato accettato e ratificato da quasi tutti gli Stati del nostro tempo, e ciò dovrebbe costituire una garanzia perché i diritti dell'uomo diventino, in tutto il mondo, principio fondamentale dell'azione per il bene dell'uomo […]. Se i diritti dell'uomo vengono violati in tempo di pace, ciò diventa particolarmente doloroso e […] rappresenta un incomprensibile fenomeno della lotta contro l'uomo, che non può in nessun modo accordarsi con un qualsiasi programma che si autodefinisca “umanistico” […]. S'impone allora necessariamente il dovere di sottoporre gli stessi programmi ad una continua revisione dal punto di vista degli oggettivi ed inviolabili diritti dell'uomo. La Dichiarazione di questi diritti […] non aveva certamente soltanto il fine di distaccarsi dalle orribile esperienze dell’ultima guerra mondiale, ma anche quello di creare una base per una continua revisione dei programmi, dei sistemi, dei regimi, proprio da quest’ultimo fondamentale punto di vista, che è il bene dell’uomo - diciamo della persona nella comunità – e che, come fattore fondamentale del bene comune, deve costituire l’essenziale criterio di tutti i programmi, sistemi, regimi» (Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis, [4 marzo 1979], nn. 17 a-d).
[5] A tal proposito, v. A. Silvestrini, I diritti dell’uomo nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, in Il Foro italiano, n. 7-8, vol. CX (1987), pp. 425-432 e A. Loiodice - M. Vari (a cura di), Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio. Omaggio dei giuristi a Sua Santità nel XXV anno di pontificato (d’ora in poi GPII. Le vie della giustizia), Roma 2003, soprattutto pp. 191-339.
[6] Come scrive Zenon Grocholewsky, autore di una breve ma accurata monografia significativamente organizzata in due differenti sezioni, rispettivamente dedicate al pensiero giuridico-filosofico di Karol Woytiła e all’insegnamento di Giovanni Paolo II, in tale prospettiva «l’uomo viene designato col termine persona “per sottolineare che egli non si lascia rinchiudere nella nozione ‘individuo nella specie’; che c’è in lui qualcosa in più, una pienezza e una perfezione d’essere particolari”» in virtù delle quali «l’uomo è ‘persona’ cioè ‘qualcuno’» (Z. Grocholewski, La filosofia del diritto di Giovanni Paolo II, Roma 2002, p. 25).
[7] Ivi, p. 43. Scrive Grocholewsky: «Importanza centrale nella antropologia filosofica di Karol Woytiła ha il problema della soggettività della persona umana. Anzi, egli nota che detto problema “si impone oggi come uno dei problemi ideologici fondamentali che stanno alla radice stessa della ‘praxis’ umana, alla base della moralità […], alla base della cultura, della civiltà e della politica” e cioè anche alla base del diritto» (ivi, p. 25). Una costante che, dunque, attraversa il pensiero filosofico di Karol Woytjła e che, senza alcuna soluzione di continuità, ha animato lo ‘spirito’ del Suo pontificato.
[8] «L’uomo è un essere creato – esiste cioè grazie alla libera iniziativa di Dio – capace di conoscere la verità e di volere il bene. Capace di conoscere l’esistenza del suo Creatore, come sua causa prima, e chiamato, nella propria libertà, a dare la risposta al dono dell’esistenza» (ivi, pp. 24-25).
[9] È stato opportunamente osservato come Papa Roncalli, attribuendo alla «Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite […] un punto di riferimento essenziale per tutelare la dignità della persona umana nel mondo contemporaneo», abbia delineato «una svolta nell’atteggiamento del magistero romano nei confronti dei diritti umani» (D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, Bologna 2012, p. 190), dal momento che, secondo il Pontefice, in detta Dichiarazione «viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani». A tal proposito, Papa Roncalli si spinge fino ad auspicare che «i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone, e che perciò sono diritti universali, inviolabili, inalienabili» (Giovanni XXXIII, Enciclica Pacem in terris [11 Aprile 1963] n. 75).
[10] «L’uomo d’oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti» e la «Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai nostri giorni tali diritti vengono promossi ovunque (Gaudium et Spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo [7 Dicembre 1965], n. 41).
[11]«La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo […] fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Al tempo stesso, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana» (J. Ratzinger, Discorso ai membri dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. New York: 18 Aprile 2008, in M. Cartabia - A. Simoncini [a cura di], La legge di Re Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI, Milano 2013, p. 220).
[12] Ribadendo «l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore, della razza o della religione, e la legge suprema dell’amore fraterno», Papa Francesco mostra preoccupazione per il fatto che «molte volte […], di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti», sottolineando che, «quando la dignità dell’uomo viene rispettata e i suoi diritti vengono riconosciuti e garantiti, fioriscono anche la creatività e l’intraprendenza e la personalità umana può dispiegare le sue molteplici iniziative a favore del bene comune» (Francesco, Enciclica Fratelli tutti [3 Ottobre 2020], n. 22).
[13] A proposito della sostanziale continuità delle posizioni assunte dal pontificato di Pio VI fino a quello, ben più significativo relativamente allo ‘scontro’ col mondo moderno, di Pio IX, v. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 28-55.
[14] La scelta di ricorrere al pensiero tomista per rispondere alle sfide poste dal mondo moderno è testimoniata dall’Enciclica di Leone XIII Aeterni Patris del 4 Agosto 1879 in cui si legge che, «se qualcuno medita sull’acerbità dei nostri tempi e comprende bene la ragione di ciò che in pubblico e in privato si va operando, scoprirà certamente che la vera causa dei mali che ci affliggono e di quelli che ci sovrastano è riposta nelle prave dottrine, che intorno alle cose divine ed umane uscirono dapprima dalle scuole dei filosofi, e si insinuarono poi in tutti gli ordini della società, accolte con il generale consenso di moltissimi», con la chiusa programmatica che, «essendo insito nella natura nell’uomo che egli nell’operare segua la ragione, se l’intelletto pecca in qualche cosa, facilmente fallisce anche la volontà; così accade che le erronee opinioni, le quali hanno sede nell’intelletto, influiscano nelle azioni umane e le pervertano» mentre, «al contrario, se la mente degli uomini sarà sana e poggerà sopra solidi e veri principi, allora frutterà sicuramente larga copia di benefici a vantaggio pubblico e privato» (Leone XIII, Enciclica Aeterni Patris). In merito alla rinascita del neotomismo, v. R. Aubert, Aspects divers du néo-thomism sous le pontificat de Léon XIII, in G. Rossini (a cura di), Aspetti della cultura cattolica nell’età di Leone XIII, Roma 1961, pp. 133-227 e A. Piolanti, Il tomismo come filosofia cristiana nel pensiero di Leone XIII, Città del Vaticano 1983.
[15] Stando al Pontefice, i princìpi dalla Rivoluzione francese derivavano la loro ragion d’essere dalla diffusione delle idee della Riforma protestante, le cui influenza, prima limitata al piano religioso e confessionale, «presto passò, con naturale progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della società civile» (Leone XIII, Enciclica Immortale Dei [1 Novembre1885]). In tale spirito di disgregazione (che dunque avrebbe evidentemente preso di mira la stessa ‘ragione naturale’) deve essere riconosciuta, secondo Leone XIII, «la fonte delle più recenti teorie sfrenatamente liberali, senza dubbio elaborate durante i grandi rivolgimenti del secolo passato e proclamate come princìpi e fondamenti di un nuovo diritto, il quale non solo era sconosciuto in precedenza, ma per più di un aspetto si distacca sia dal diritto cristiano, sia dallo stesso diritto naturale» (ibid.). Che la critica del pontefice si riferisse principalmente alle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo è desumibile dal fatto che l’Enciclica prosegue con una descrizione di tutto ciò che, delle moderne formulazioni giuridiche, dovesse essere considerato esecrabile, dalla libertà religiosa all’uguaglianza degli uomini, dall’idea dell’autodeterminazione politica alla libertà di stampa e di coscienza, tutti princìpi per contrastare i quali «è sufficiente la semplice ragione naturale», la quale insegna piuttosto che la vera autorità deriva da Dio, che «la libertà, come virtù che perfeziona l’uomo, deve applicarsi al vero e al bene», che «la natura del vero e del bene non può mutare ad arbitrio dell’uomo, ma rimane sempre la stessa, e non è meno immutabile dell’intima natura delle cose» e che queste ultime derivano da Dio attraverso l’opera della Chiesa (ibid.). A tal proposito, v. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 57-110
[16] A tal proposito, v. D. Menozzi, I Papi e il moderno. Una lettura del cattolicesimo contemporaneo (1903-2016), Brescia 2016, pp. 18-32.
[17] Ivi, pp. 33-80. In particolar modo, i Pontefici dovettero confrontarsi con le Guerre mondiali e con l’’esplosione’ dei totalitarismi (v. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 111-144).
[18] Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 145-188. Emblematica la posizione di Maritain, sulla quale non è possibile al momento soffermarsi e a proposito della quale è possibile fare riferimento a D. Lorenzini, Jacques Maritain e i diritti umani. Fra totalitarismo, antisemitismo e democrazia (1936-1851), Brescia 2012.
[19] Pio XII, Discorsi e radiomessaggi, Marzo 1948 - Febbraio 1949, vol X, Città del Vaticano 1949, p. 281. Il corsivo è nostro. Sul tema, ancora una volta, v. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 164 ss.
[20] L. G. A. de Bonald, Législation primitive, in Id., Euvrés complétes, t. II, Genéve-Parìs 1982, p. 250 (ristampa anastatica della 3a ed. del 1829). L’abate apparteneva al mondo dell’intransigenza cattolica e «formulava l’auspicio che i governi, finalmente resi edotti degli errori compiuti, ponessero in testa alle loro legislazioni quelle “norme eterne nel loro principio, primitive nella data della loro promulgazione, fondamentali per tutto l’ordine morale e sociale […] che in avvenire saranno l’insostituibile fondamento dell’edificio della società”, cioè il decalogo» (D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 44).
[21] Si veda quanto scrive Orestano, discutendo delle trasformazioni che hanno interessato il moderno giusnaturalismo e che hanno significativamente influenzato le moderne codificazioni dei diritti dell’uomo: «L’impostazione tradizionale tende a rovesciarsi: “i diritti civili, per i giusnaturalisti non sono conferiti dall’uomo alla legge, ma la legge è fondata sui diritti innati dell’uomo”. Lo stesso significato del diritto naturale si trasforma: la vecchia dottrina oggettivistica del diritto naturale diviene sempre più una teoria dei diritti naturali in senso soggettivo» (R. Orestano, Azione, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Milano 1959, p. 788). Cfr., inoltre, lo stesso R. Orestano, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in Ius. Rivista di Scienze giuridiche, fasc. I (1960), pp. 150-151, a proposito del capovolgimento della nozione di subjectum da “soggetto a” a “soggetto di”, laddove, invece, l’impostazione tradizionale si attaglia bene alle tesi difese dalla Chiesa.
[22] Si veda quanto scrive il giurista tedesco E. W. Böckenförde: «La Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 1789, la “prima legge fondamentale della nuova società” […] parla dello stato come “corpus social”. Lo stato è un organismo di potere politico per la salvaguardia dei diritti e delle libertà naturali e pre-statali dei singoli». Esso, al contrario delle istituzioni politiche pre-secolari, «ha la sua “ragion per cui” e legittimazione non […] in un atto di fondazione divina, […] bensì nel riferimento alla libera personalità singola e autodeterminata dell’individuo» (E. W. Böckenförde, La nascita dello stato come processo di secolarizzazione. Dallo stato moderno all’Europa unita, in Id., Diritto e secolarizzazione, Roma-Bari 2010, p. 48).
[23] Si veda, a tal proposito, quanto scrive un autore fortemente critico nei confronti del giusnaturalismo moderno, distinguendo la dottrina classica del «giusnaturalismo teista» che trovava «la ragione prima del diritto naturale in Dio Creatore e Legislatore supremo» e quella «naturalistico-razionalistica, che si fa risalire a Grozio e fu proseguita da Kant», la quale «perdeva di vista il fondamento trascendente del diritto» (R. Pizzorini, La filosofia del diritto secondo San Tommaso, Bologna 2003, p. 211).
[24] Non esiste un modo migliore per descrivere l’essenza del diritto naturale cristiano che non siano le parole di Étienne Gilson sul rapporto tra legge Eterna, legge naturale e legge umana: «Il Dio Creatore della Scrittura si afferma […] come sorgente e causa di ogni legislazione, naturale, morale, sociale. Le leggi del mondo […] sono l’opera di un sommo legislatore, che prescrive alla natura regole da seguire. Dotato di conoscenza, l’uomo deve obbedir loro»; pertanto, «la legge eterna è in un certo modo “trascritta”, “iscritta” nel nostro cuore», perché «se la ragione è la regola che misura la bontà o la malvagità del nostro volere, essa lo deve a questa regola suprema, che non è a sua volta se non la regola divina splendente in noi per via di partecipazione» (É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, Brescia 1983, p. 402). Ovvero sia, in estrema sintesi, «la legge naturale sta alla legge Eterna come l’essere sta all’Essere, e il principio vale per ogni ordine di creatura indistintamente» (ivi, pp. 401-402). Di contro, si veda quanto scrive Habermas, discutendo della rivoluzione nominalistica iniziata nel XIII sec. la quale, «oltre a scuotere la legittimazione religiosa dell’autorità», avrebbe aperto «la strada alla filosofia della soggettività, vale a dire alle correnti della “teoria della conoscenza” e del “giusrazionalismo” che dominano la filosofia del Seicento e preparano i fondamenti secolari della legittimazione politica» (J. Habermas, Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia, Roma-Bari 2015, p. 226).
[25] Si veda quanto scrive Bobbio relativamente alla moderna declinazione dei diritti che avrebbe comportato l’inversione del rapporto tra parte e tutto che reggeva i fondamenti del mondo pre-secolare, in qualche modo ponendo il ‘valore’ dell’individuo al di sopra di quello della società (cfr. N. Bobbio, Presente ed avvenire dei diritti dell’uomo e Id., La Rivoluzione francese e i diritti dell’uomo, entrambi in Id., L’età dei diritti, Torino 2014, pp. 58-61 e pp. 114-117); ma si veda soprattutto quanto scriveva Piovani, sottolineando come il crollo dell’impalcatura giusnaturalistica del Medioevo cristiano, esplicitamente ripresa e ‘riadattata’ da Leone XII, sia stato determinato proprio da quella svolta individualistica – e dunque antimetafisica – del mondo, del diritto moderno e del moderno giusnaturalismo, la cui funzione (peraltro transitoria) fu piuttosto di ergersi alla difesa dei «diritti naturali» rivendicati dagli individui (cfr. P. Piovani, Giusnaturalismo ed etica moderna, Napoli 2000, pp. 77-96).
[26] Pietro Barcellona, discutendo della civiltà giuridica del mondo moderno e delle sue innovazioni, scriveva che essa si è posta sin da principio come società giuridica capace di «riferirsi a se stessa attraverso la libera volontà dei propri membri», autogenerandosi «a partire dai […] diritti soggettivi e dal diritto oggettivo che li rappresenta» (P. Barcellona, Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Bari 1998, p. 24 e pp. 25-26). Di contro, lo stesso Gilson scrive esplicitamente che nell’adeguamento alla legge Eterna attraverso la legge naturale dovrà «ritrovarsi il fondamento di ogni legislazione politica e sociale legittima» (É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, cit. p. 403).
[27] Cfr. A. Malo, L’antropologia di K. Woytiła come sintesi del pensiero classico e della modernità, in Acta Philosophica, n. 15, fasc. 1 (2006), pp. 11-28.
[28] Cfr. A. Malo, La coscienza dell’atto come metodo per superare il soggettivismo e l’oggettivismo in Antropologia, in Acta Philosophica n. 10, fasc. 1 (2006), pp. 63-72, soprattutto pp. 64-68.
[29] «Possiamo dire che l’espressione suppositum serva a definire il soggetto in modo del tutto oggettivo, astraendo dall’aspetto dell’esperienza vissuta e, in particolare, dall’esperienza vissuta di quella soggettività, nella quale il soggetto è dato a sé come “io”. L’espressione suppositum astrae quindi dall’aspetto della coscienza, grazie alla quale l’uomo concreto – oggetto che è soggetto – vive interiormente se stesso come soggetto, vive quindi la propria soggettività, e questa esperienza vissuta gli fa da base per definire se stesso con l’ausilio del pronome “io”». Richiamando «l’attenzione sul fatto che il termine “io” ha un contenuto più vasto del termine suppositum, poiché unisce il momento della soggettività vissuta alla soggettività ontica, mentre suppositum esprime solo la seconda», Woytiła si cimenta nella mediazione di cui stiamo parlando (K. Woytiła, Atto e persona, in Id., Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche ed altri saggi integrativi, Milano 2003, p. 888).
[30] Cfr. Z. Grocholewsky, La filosofia del diritto di Giovanni Paolo II, cit., pp. 24-37.
[31] «Le due strutture oggettive “l’uomo agisce” e “(qualcosa) accade nell’uomo” determinano i due indirizzi fondamentali del dinamismo proprio dell’uomo. […] In esse vengono rivelate l’attività e la passività - agere e pati – come constitutivum delle strutture e fondamento oggettivo della loro differenziazione». Pertanto, «l’uomo non solo è agente, ma è anche creatore della sua azione» (K. Woytiła, Atto e persona, cit., p. 911 e p. 922).
[32] «La sintesi dell’agire e dell’accadere, che si compie sul fondamento del suppositum umano, è indirettamente anche la sintesi dell’operatività propria dell’azione e della soggettività propria di tutto ciò che accade “nell’uomo”. In ultimo questa sintesi si compie nel suppositum, cioè nel soggetto ontico. Pertanto, l’uomo, essendo l’agente dell’azione, non cessa di essere il soggetto di essa. È contemporaneamente agente e soggetto e vive interiormente se stesso come agente e soggetto» (ivi, p. 929). Non può sfuggire il fatto che qui il tentativo è quello di conciliare, sul piano sia fenomenologico che ontologico, le nozioni di ‘soggetto a’e ‘soggetto di’.
[33] «L’autoteleologia presuppone la teleologia: l’uomo non è il confine dell’autodeterminazione, delle proprie scelte e dei propri atti di volontà, indipendentemente da tutti i valori verso i quali quelle scelte e quegli atti della volontà si rivolgono» ma, al tempo stesso, «l’autoteleologia dell’uomo […] ha luogo al livello e nella misura propria dell’”io” personale, […] in cui si fonda in ultima istanza, da cui prende forma e a cui dà forma»: l’uomo è in tal modo «fine a se stesso in quanto i suoi atti trovano nell’uomo stesso il loro confine, sulla base del riferimento trascendente alla verità» (K. Woytiła, Trascendenza della persona nell’agire e autoteleologia dell’uomo in Id., Metafisica della persona, cit., pp. 1413-1416).
[34] K. Woytiła, L’Uomo nel campo della responsabilità, in Id., Metafisica della persona, cit., p. 1279.
[35] «Non è possibile rispondere alla domanda che cos’è la norma della moralità?, senza porre la domanda che cos’è la norma? Tale domanda incontra le domande fondamentali di tutta l’etica, dettate dall’esperienza della moralità. Esse sono […] le seguenti: che cosa devo veramente fare e perché? […], che cosa è veramente buono, che cosa è moralmente cattivo e perché?» (ivi, p. 1281). Vale la pena di sottolineare come, in quest’ ottica, non sia dia una differenza sostanziale tra la radice etica della norma e la sua applicazione più specificamente giuridica.
[36] Ivi, p. 1282.
[37] «La verità sul bene costituisce l’elemento essenziale di ogni norma etica, mentre la forma che questa verità assume nel “rapporto dinamico al dovere” – la forma della proposizione imperativa – è qualcosa di secondario» (ibid., p. 1284).
[38] Ivi, p. 1285. La domanda pratica verte intorno al principio «bonum faciendum, malum vitandum», mentre la domanda teoretica impone di conoscere «quid sit bonum et malum (ivi, p.1286). Si veda, a tal proposito A. Malo, L’originalità della filosofia di K. Woytiła: l’antropologia come punto d’incontro di metafisica ed etica, in A. Delogu - A. M. Morace (a cura di), Filosofia e letteratura in Karol Woytiła, Roma 2007, pp. 123-144.
[39] Cfr. K. Woytiła, L’Uomo nel campo della responsabilità, cit., p. 1289 ss.
[40] Ivi, pp. 1293-1294.
[41] Ivi, p. 1295.
[42] Ibid. Sotto questo punto di vista, la concezione di Woytiła è esplicitamente formulata in contrapposizione al c.d. ‘principio di Hume’, secondo il quale è impossibile il ‘salto’ dal piano dell’’essere ‘a quello del ‘dover essere’ (che sarebbe quello assiologico) (cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, Vol. I, Roma-Bari, pp. 496-497).
[43] K. Woytiła, L’Uomo nel campo della responsabilità, cit., p. 1296.
[44] Ibid.
[45] «Kant, con la sua analisi dell’imperativo categorico, ha dato un contributo particolare alla formulazione della norma personalistica. Il cosiddetto secondo imperativo di Kant postula che la persona sia sempre soltanto il fine dell’azione, e mai un mezzo per raggiungere un fine. Nel definire questa formulazione Kant […] vedeva la necessità di salvare la persona e la sua posizione assiologica» (ivi, p. 1297).
[46] Ibid.
[47] Ivi, p. 1298.
[48] K. Wojtyła, Atto e persona, cit., p. 1040.
[49] Si veda, a tal proposito, quanto scrive E. Lévinas, La filosofia di Karol Wojtyła, in Vita e Pensiero, n. 6 (2014), p. 119.
[50] «L'uomo, nella sua singolare realtà (perché è «persona»), ha una propria storia della sua vita e, soprattutto, una propria storia della sua anima. L'uomo che, conformemente all'interiore apertura del suo spirito ed insieme a tanti e così diversi bisogni del suo corpo, della sua esistenza temporale, scrive questa sua storia personale mediante numerosi legami, contatti, situazioni, strutture sociali, che lo uniscono ad altri uomini, e ciò egli fa sin dal primo momento della sua esistenza sulla terra, dal momento del suo concepimento e della sua nascita. L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'àmbito della propria famiglia, nell'àmbito di società e di contesti tanto diversi, nell'àmbito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell'àmbito di tutta l'umanità - quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione (Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis, [4 marzo 1979], n. 14 a).
[51] «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini». Essa «affonda le proprie radici nella libertà e nell'apertura delle coscienze alla verità». (Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la celebrazione della XXI giornata mondiale della pace La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza [1 Gennaio 1988]). Si è scelto questo passo (ma sul tema non c’è che l’imbarazzo della scelta) perché in esso la libertà religiosa è significativamente accostata ai diritti umani, se non addirittura posta a loro fondamento.
[52] Come ha osservato sempre Lévinas, «quali che siano le modalità dell’azione nella vita in comune […], la persona resta sempre […] principio e causa dell’azione» e «la sua partecipazione a una vita comune» riposa «su di una struttura interiore della partecipazione», condizione che non permette la sua alienazione nel «compimento del bene comune» (E. Lévinas, La filosofia di Karol Wojtyła, cit., p. 120).
[53] A titolo meramente esemplificativo, v. J. M. Domenách, Personalismo, in AA.VV., Enciclopedia del 900, a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, vol. 5, Roma 1980, pp. 311-318 e V. Merchiorre, Essere persona. Natura e struttura, Novara 2007. Sul valore fondamentale della dignità umana e dei diritti ad essa connessi nella moderna cultura giuridica, v. N. Bobbio, L’età dei diritti, cit., e S. Rodotà, Il diritto ad aver diritti, Roma-Bari 2012. Si tratta di due prospettive senza dubbio alcuno assai distanti da quella di Wojtyła, nonché dal personalismo cristiano, ma che comunque mostrano di condividere con esse la ‘centralità’ dell’essere umano, della sua personalità (pur considerata secondo concezioni assai diverse) e dei suoi diritti.
[54] V. nota 53.
[55] Completamente diversa – sebbene mossa dai medesimi intenti e dotata di un fascino particolarissimo - risulta essere, ad esempio, la prospettiva di Maritain, su cui non è purtroppo possibile insistere ulteriormente ma della quale riteniamo quantomeno doveroso fare menzione. Le ragioni di tale differenza consistono nel fatto che il personalismo di Maritain è interamente fondato e giustificato nell’ottica del realismo filosofico di stampo neo-tomista; in conseguenza di ciò, i diritti della persona non risultano essere ‘complementari’ al diritto naturale (vale a dire fondati sulla dimensione, in qualche modo ‘autonoma’, della coscienza) ma, piuttosto, di quest’ultimo rappresentano un’applicazione concreta (vale a dire che sono fondati direttamente nella natura oggettiva e sostanziale del soggetto umano); al tempo stesso i diritti dell’uomo sono esplicitamente pensati quali diritti della persona umana; la radice di queste posizioni risiede nel fatto che, per Maritain, la conoscenza di tali nozioni giuridico-filosofiche avviene per «connaturalità», vale a dire attraverso la partecipazione con l’Essere e con gli esseri e non tramite dimostrazioni meramente concettuali (cfr. J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano 1991, soprattutto pp. 54-76, pp. 121-149 e pp. 151-166). Se l’intento dei due pensatori dunque è il medesimo e si traduce comunque in un tentativo di riconciliazione del pensiero cristiano tradizionale col mondo moderno, decisamente differente il percorso scelto: se Wojtyła, infatti, riconosce alla «norma personalistica» uno spazio autonomo rispetto al diritto naturale, Maritain ritiene che, in fondo, questa possa ben essere declinata secondo i princìpi del diritto naturale; se, per Wojtyła, i diritti umani sono i diritti della persona in virtù del fatto che quest’ultima rappresenta qualcosa in più rispetto al suppositum della tradizione metafisica (che viene in ciò effettivamente trascesa), per Maritain si tratta principalmente di affermare che i diritti umani non sono affatto in contraddizione con la stessa tradizione metafisica perchè, «da Ippia e Alcidamante la storia dei diritti dell’uomo è stata tutt’uno con la storia del diritto naturale» (ivi, p. 124. Maritain sta qui citando espressamente H. A. Rommen, L’eterno ritorno della legge naturale, Roma 1965). Sullo sfondo, la questione del realismo filosofico.
[56] A tal proposito, v. G. Weigel, Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, protagonista del secolo, Milano 1999.
[57] Prendiamo qui in prestito un’espressione di J. Rawls, Il diritto dei popoli, Torino 2001, p. 21. Giova sottolineare come, su questo punto, Maritain giunga, a proposito della declinazione dei diritti dell’uomo in ambiti culturalmente e religiosamente differenti, a conseguenze sostanzialmente analoghe, sebbene assunte nell’ottica di una giustificazione ‘pratica’ alle molteplici e concorrenti concezioni dei diritti umani (cfr. J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, cit., p. 132 ss.).
[58] Stiamo apertamente parafrasando quanto sostenuto da Habermas in merito alla necessità, da parte del mondo dei credenti, di verbalizzare il sacro. Occorre anche precisare che un lavoro di apprendimento è richiesto secondo Habermas anche ai cittadini non credenti e si sostanzia nella disponibilità a riconoscere la validità degli argomenti religiosi, se presentati nei termini di tale verbalizzazione. Si veda, a tal proposito, J. Habermas, I fondamenti morali prepolitici dello stato liberale, in J. Ratzinger - J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, Brescia, 2005, p. 37 ss. e, soprattutto, Id., Verbalizzare il sacro, Roma-Bari 2015, p. 109 ss.
[59] Per questa lettura, si veda, a mero titolo esemplificativo, tra gli interpreti del pensiero di Giovanni Paolo II, J. B. Donnier, Ius in splendorem Veritatis, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 11-12.
[60] Si veda quanto scrive Habermas, nell’ottica dell’etica del discorso, a proposito di questa differenza sostanziale, essenzialmente fondata sull’approccio critico del pensiero moderno (cfr. J. Habermas, Teoria della morale, Roma-Bari 2016, p. 5 ss., p. 28 ss., p. 77 ss., p. 103 ss., p. 123 ss.).
[61] Cfr., a tal proposito, J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2019, p. 49 ss.
[62] Per questa lettura della modernità giuridica e filosofica, mi sia concesso di rimandare a P. Marino, La maschera del diritto. Secolarizzazione e normatività, Napoli 2020, pp. 19-105.
[63] Cfr. C. Turco, Dignità dell’uomo e diritto naturale: il minimo etico del diritto e G. Berti, La luce del magistero papale sulla positività dei diritti dell’uomo, entrambi in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 66-70 e pp. 127-128.
[64] Cfr. A. Chimenti, Il papa in parlamento; D. C. Hoyos, L’ordine oggettivo delle cose; Carlos J. Errázuris, I diritti umani come diritti “oggettivi” nella prima Enciclica di Giovanni Paolo II e B. Esposito, Giovanni Paolo II “Defensor Iuris”: un magistero in difesa della forza del diritto contro il diritto della forza, tutti in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 139-140, pp. 6-8, pp. 221-222 e pp. 223-226.
[65] Cfr. A. Cariola, La democrazia nel magistero di Giovanni Paolo II; V. Baldini, Democrazia e valori: per una costituzione dell’etica dell’uomo e F. D’Agostino, L’autorità nel pensiero di Giovanni Paolo II, tutti in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 133-136, pp. 125-126 e pp. 141-145.
[66] J. Habermas, I fondamenti morali prepolitici dello stato liberale, cit., p. 21.
[67] Cfr. J. Habermas, Teoria della morale, cit., p. 207 ss. Cfr. anche, più in generale, Id., Il pensiero post-metafisico, Roma-Bari 1991, pp. 5-55.
[68] È questa, in fondo, la tesi avanzata da D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 235-258 e Id., I papi e la modernità. Una lettura del cattolicesimo contemporaneo, cit., pp. 113-129. A nostro giudizio, tali ricostruzioni, che convergono con la prospettiva di D. Lorenzin, Jacques Maritain e i diritti umani. Fra totalitarismo, antisemitismo e democrazia (1936-1851), cit., soprattutto pp. 15-23, colgono nel segno allorquando sottolineano le difficoltà relative alla relazione tra «diritti della persona» (assunti in quanto espressione del «diritto naturale cristiano») e «diritti dell’uomo» ma, soprattutto il Menozzi, non colgono fino in fondo la radice teorica del problema, dal momento che prospettano una soluzione meramente esigenziale che dovrebbe sostanziarsi, a loro giudizio, nel riconoscimento della priorità dei secondi sui primi, senza prendere in considerazione l’ipotesi che proprio il riferimento ai diritti della persona possa rappresentare un tentativo di mediazione tra diritti dell’uomo e diritto naturale cristiano, differenziandosi da entrambi. In tal modo, i due autori corrono il rischio di obliterare un fatto che a noi pare invece ineludibile, vale a dire la necessità, tutta interna al pensiero cattolico (altrettanto vera quanto quella di cui si è detto a proposito del pensiero ‘moderno’, ma speculare rispetto ad essa), di preservare in qualche modo la dimensione metafisica del diritto. Vero è che il Menozzi indica in modo documentato come la ‘seconda fase’ del pontificato dello stesso Woytiła possa essere considerata l’espressione di una svolta ‘conservatrice’ e di un «ritorno al diritto naturale» nella sua formulazione antimoderna (cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., pp. 243-258); tuttavia, e sottolineando il fatto che qui non si sta discutendo sul piano storico ma in termini giuridico-concettuali, una riprova di come il misconoscimento della scarto concettuale tra diritto naturale e norma personalistica non sia prerogativa del solo mondo ‘progressista’ è rappresentata dal testo di P. Portier, L’ossessione dell’Illuminismo. Giovanni Paolo II e il mondo moderno, San Cesario di Lecce 2009, soprattutto pp. 67-81, in cui si ribadisce la necessità di sottoporre i diritti umani al vaglio del diritto naturale cristiano, del quale la nozione giuridico-filosofica di persona altro non rappresenta che uno degli elementi. Assumendo dunque tali modelli paradigmatici (identici perché speculari), al mondo cattolico non resterebbe che scegliere tra l’accettazione dei diritti dell’uomo e la loro condanna, decisione che implicherebbe di scegliere anche tra la preservazione del diritto naturale cristiano e la sua cancellazione: il che, sia detto per inciso, non è né più né meno di quanto sostenuto da Leone XIII il quale però, occorre dirlo, lo affermava con maggiore chiarezza e rigore. Degno di una riflessione a parte sarebbe infine il fatto che l’Enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, pur menzionando spesso i diritti dell’Uomo, non fa mai esplicito riferimento al diritto naturale.
[69] Restando nella metafora geometrica, è doveroso considerare che due angoli sono complementari quando la loro somma è 90°: una somma della quale, dunque, è previsto che si distinguano e differenzino le due parti, pur assumendole nella loro unità. Sotto questo punto di vista, e la cosa andrebbe approfondita, emergono effettivamente forti, perlomeno negli obbiettivi, le affinità con la prospettiva di J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere, Brescia 2017.
[70] Cfr. S. Cotta, Il Diritto naturale e l’universalizzazione del diritto, in Id., Il diritto come sistema di valori, Milano 2004, pp. 135-152 e C. I. Massini - Correas, Diritti umani «deboli» e diritti umani «assoluti», in S. Cotta (a cura di), Diritto naturale e diritti dell’uomo all’alba del XXI secolo (Colloquio internazionale Roma, 10-13 gennaio 1991), Roma 1993, pp. 137-157.
[71] La questione del pluralismo è acutamente posta da R. Balduzzi, Tra relativismo e pluralismo…, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 3-5.
[72] Cfr. J. Seifert, Truth and trascendente of the person in the philosophical thought of Karol Woytiła, in AA.VV., Karol Woytiła. Filosofo, Teologo, Poeta. Atti del I colloquio internazionale del pensiero cristiano, Città del Vaticano 1984, pp. 93-106. Presa in assoluto, questa tesi sembra adattarsi maggiormente al pensiero di Edith Stein. Si veda, a tal proposito, E. Stein, La fenomenologia di Husserl e la filosofia di S. Tommaso d’Aquino. Tentativo di confronto, in Memorie Domenicane, n. 7 (1976), pp. 277-303.
[73] Cfr. A. Lobato, La persona en el pensamiento de Karol Woytiła, in Angelicum, n. 56 (1979), pp. 165-210. Che il ricorso alla fenomenologia sia meramente metodologico è tuttavia tesi che non rende pienamente ragione della centralità che Woytiła attribuisce alla coscienza e all’atto umano.
[74] Cfr. R. Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenne Giovanni Paolo II, Milano 1998. La tesi ha il merito di differenziare il pensiero di Wojtyladalla fenomenologia realistica (quella della scuola di Gottinga) e il limite di relegare gli elementi fenomenologici al compito di verificare l’ipotesi antropologica tomista (ivi, p. 359).
[75] A. Malo, L’antropologia di K. Woytiła come sintesi del pensiero classico e della modernità, cit., pp. 14-16 (il riferimento al transfenomenismo è dello stesso K. Woytiła, Perché́ l’uomo. Scritti inediti di Antropologia e Filosofia, Invito alla lettura di M. Serretti, Milano 1995, p. 64). Tale tesi conserva il merito di chiarire come la coscienza e l’atto personale si radichino nella realtà esplicandone le potenzialità attraverso un processo di autotrascendimento; tuttavia, essa assegna alla dimensione personale del soggetto un ruolo eccessivamente preponderante, perdendo infine di vista il problema, carico di conseguenze teoretiche, della coscienza e dell’atto.
[76] Cfr. G. Reale, Karol Woytiła. Pellegrino sulle tre vie che portano alla verità: «Arte», «filosofia» e «religione». Saggio introduttivo a K. Woytiła, Metafisica della persona, cit., pp. XXVI-XXVIII. Questa tesi sottolinea del pensiero di Woytiła la prospettiva spiritualistica vòlta a confrontare la «ragione con la grande problematica dell’”intero”», al di là dell’appartenenza ad una scuola specifica (ivi, pp. XXVI-XXVII) e ci sembra pertanto completamente priva di difficoltà.
[77] Se «fare della fenomenologia […] vuol dire soprattutto accorgersi che il pensiero che pensa quello che pensa – che è l’intenzionalità nel senso di “coscienza di qualche cosa” cioè di sapere di qualche cosa – è anche intenzione nel senso di […] una “donazione di senso”», se «vuol dire […] andare al di là dello sguardo ingenuo dello spettatore assorbito da ciò che è immediatamente visibile», se «vuol dire chiedersi “sotto quali specie” il senso già inteso realizza concretamente la sua significazione […], Woytiła non ha forse […] seguito questo procedimento arrivando ad una formulazione antropologica delle nozioni metafisiche e al tempo stesso all’essenza metafisica dell’uomo?» (E. Lévinas, La filosofia di Karol Wojtyła, cit., pp. 121-122). È questa la tesi che incontra maggiormente il nostro favore.
[78] Elemento che, peraltro, ha in fondo caratterizzato lo stesso pontificato di Giovanni Paolo II: si pensi, a mò di esempio, alle richieste di perdono per gli errori commessi dalla Chiesa cattolica nel corso della storia che – comunque le si voglia valutare o interpretare – andavano nella direzione di una rivisitazione critica (peraltro assolutamente inedita nella storia della Chiesa) della stessa ‘tradizione’, in quanto toccavano pubblicamente elementi sensibili, quali il rapporto con le altre religioni, la libertà di coscienza, la libertà di pensiero, il rapporto con la scienza e così via. Si veda, a tal proposito, K. Woytiła, Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato. Il Papa chiede perdono. Purificare la memoria, Casale Monferrato 2000.
[79] C. Schmitt, Cattolicesimo romano e forma politica, Bologna 2010, p. 15.
[80] Cfr. M. Cartabia, Il fondamento antropologico dei diritti fondamentali e la loro inviolabilità; G. Vettori, La struttura antropologica dei diritti fondamentali; G. Lobrano, Dell’’homo artificialis – Deus mortalis’ dei moderni comparato alla ‘Societas’ degli antichi, tutti in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit., pp. 205-207, pp. 324-326, pp. 161-166,
[81] Cfr. G. Rizza, Legitimität kraft gerechter Legalität, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit. pp. 177-178.
[82] Cfr. G. Girotti, Valori e diritti: il binomio del Papa giurista, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit. pp. 17-19.
[83] Cfr. C. Varga, Lesbuts et lesmoyens en droit, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit. pp. 71-75.
[84] Cfr. L. Labruna, Vetustas. Traditio, Libertas, Fides, Humanitas, in A. Loiodice - M. Vari (a cura di), GPII. Le vie della giustizia, cit. pp. 470-471.
Marino Piero
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