Associations and Foundations in Third Sector Code: governance

Associazioni e fondazioni del Terzo settore: le regole di governance

28.04.2022

Veronica Montani*

 

Associazioni e fondazioni del Terzo settore: le regole di governance**

 

English title:  Associations and Foundations in Third Sector Code: governance

DOI: 10.26350/18277942_000073

 

Sommario: 1. Gli ETS e gli enti di Libro V del c.c.: un inquadramento preliminare. 2. Enti del Terzo settore e diritto societario. 3. L’organizzazione interna: assemblea e organo amministrativo. 4. I controlli interni: organo di controllo e revisore legale dei conti. 5. Gli ETS tipici e l’impresa sociale: cenni.

 

1. Gli ETS e gli enti di Libro V del c.c.: un inquadramento preliminare

 

Costituisce ormai un dato acquisito il superamento di quella che per lungo tempo era stata considerata un’intrinseca incompatibilità tra ente associativo e natura contrattuale, in favore dell’applicazione a tutti i fenomeni associativi delle norme in tema di contratti[1], con un progressivo riconoscimento dell’applicabilità analogica[2] (rectius diretta, secondo una parte della dottrina[3]) anche alle associazioni prive di personalità giuridica delle norme sui contratti plurilaterali e sui contratti in generale, nonché di tutte le norme previste dal capo II del titolo II del libro I del codice civile che non presuppongono il riconoscimento quale ratio della loro disciplina.

L’evoluzione dottrinale[4] e giurisprudenziale[5] ha poi portato ad un riconoscimento di compatibilità delle regole dettate per gli enti societari, di volta in volta selezionate: si pensi ai profili connessi alle modalità di convocazione dell’assemblea, alle modalità di voto (per referendum, telematico, per delega), alle gestione delle associazioni complesse (e in particolar modo ai profili assembleari multilivello e di ammissione ed esclusione degli associati) e, ancora, in relazione al termine applicabile alle azioni di annullamento delle delibere assembleari e di sospensione delle delibere, così come ai relativi soggetti legittimati nonché alle cause estintive e all’individuazione del momento estintivo degli enti associativi privi di personalità giuridica.

L’applicazione analogica delle norme del libro V agli enti del libro I, è, poi, centrale in tema di esercizio da parte degli enti di libro I di un’attività economica, riconoscendosi, ormai pacificamente, l’applicabilità della nozione di imprenditore in capo a fondazioni e associazioni, alternativamente secondo la portata dell’art. 2082 c.c. ovvero dell’art. 2201 c.c.[6], e delle regole che compongono lo statuto dell’imprenditore (generale e speciale) e, in particolare, di quelle relative al fallimento degli enti stessi (con applicazione delle nuove disposizioni previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza).

Nel passaggio da un modello di ente di tipo erogativo ad un modello (anche) produttivo, gli enti del libro I vengono riconosciuti a pieno titolo come soggetti imprenditoriali[7], non soggiacendo, dunque, ad alcun limite o divieto in tema di forme di investimento finanziario, acquisti di partecipazioni in società di capitali o in società di persone, riparto di utili in società di cui l’ente non profit sia socio. Non da ultimo, per lungo tempo le norme societarie hanno rappresentato il punto di riferimento in tema di trasformazioni dirette tra enti del libro I, scissioni e fusioni, sino all’entrata in vigore della riforma del Terzo settore e dell’art. 42 bis c.c., espressamente dedicato alle trasformazioni tra associazioni e fondazioni[8].

Il modello organizzativo degli enti di libro V ha, dunque, da sempre rappresentato un termine di confronto per gli enti di Libro I e, talvolta, di soluzione delle problematiche derivanti dalla lacunosità della relativa disciplina. Non sorprende, quindi, che il testo della riforma del Terzo settore, soprattutto in relazione alle regole di governance degli enti di Terzo settore, contenga ampi richiami alle norme di Libro V.

La definizione di ente del Terzo settore ricomprende, infatti, tanto fondazioni e associazioni (e altri enti di diritto privato) quanto le società che decidano di richiedere (e ottengano) la qualifica di impresa sociale. Questo dato, unitamente al riconoscimento della possibile natura imprenditoriale in capo agli enti del Terzo settore aventi forma giuridica di associazione e fondazione, anche a prescindere dalla qualifica di impresa sociale[9], pone in evidenza come il legislatore, su una forte spinta europeistica, abbia pienamente equiparato, sotto il profilo della possibile attività, le due “famiglie” di enti (societari, incluse le cooperative, da un lato e senza scopo di lucro, dall’altro), confermando l’allontanamento del profilo soggettivo dell’impresa e, secondo parte della dottrina, recependo una piena neutralità delle forme[10]

Emerge come le soluzioni, cui la giurisprudenza e la dottrina erano già pervenute per via interpretativa tramitel’applicazione analogica delle norme societarie agli enti del libro I, siano state, in molte occasioni, recepite in via legislativa nel testo della riforma del Terzo settore[11]: scorrendo le norme non può non cogliersi una complessiva e significativa influenza delle norme societarie, tanto che parte della dottrina ha, per l’appunto, discorso di “societarizzazione” degli enti del Terzo settore[12], a fronte di un fenomeno ormai pacifico di “progressivo travaso di regole e principi dall'ambito societario a quello degli enti non lucrativi”[13].

 

2. Enti del Terzo settore e diritto societario

 

Al pari di tutta l’impostazione della normativa del Codice del Terzo settore, anche le regole in materia di ordinamento e amministrazione si articolano secondo un principio di specialità e di gradualità dimensionale.

Il dato normativo da cui partire è la definizione di ente del Terzo settore (art. 4 Cts)[14], nel quale il legislatore individua una categoria di enti c.d. tipici - taluni già ampiamente conosciuti nelle legislazioni pregresse e taluni di nuova introduzione – ed una categoria generale ma residuale di enti c.d. atipici, costituita da quelle associazioni, fondazioni e altri enti di carattere privato che, pur possedendo tutti i requisiti individuati dalla normativa, non presentano i tratti caratterizzanti le sei categorie di Enti del Terzo settore tipici.

L’inquadramento definitorio si muove, dunque, secondo un principio di specialità (dall’ente tipico all’ente atipico) che si rinviene anche nell’individuazione delle regole di governance (qui, però, partendo dall’ente associazione o fondazione del Terzo settore per poi gradualmente giungere agli enti tipici): il Codice tratteggia dapprima i profili di ordinamento e amministrazione dell’ETS in generale (artt. 23 – 31 Cts) per poi delineare regole più specifiche per le singole tipologie di ente speciali, indicando espressamente (art. 3 Cts) che le disposizioni previste in tema di ETS si applicano anche alle categorie di enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare, salvo non derogate e nei limiti della compatibilità, con prevalenza dunque delle norme speciali riservate ai singoli ETS su quelle generali previste dal Codice del Terzo settore stesso. Al contempo, nel principio di fonti delineato[15], il Codice richiama anche le previsioni di cui al c.c. – sempre nei limiti della compatibilità – per tutti quei profili non disciplinati, sicché le norme del Terzo settore prevalgono rispetto alla disciplina del Codice civile, di applicazione pertanto residuale.

A fianco della specialità, la seconda linea direttiva è il dato dimensionale, avendo il legislatore previsto l’obbligatorietà di una serie di norme in conseguenza del superamento, da parte dell’ente, di determinati parametri, graduando così le regole interne di organizzazione e amministrazione secondo il dato dimensionale della base associativa, il dato economico-patrimoniale dell’ente e il numero di dipendenti occupati[16]

E’, dunque, sulla base di tale rapporto tra specialità delle fonti, da un lato, e dato dimensionale, dall’altro, che si devono inquadrare e interpretare le disposizioni di cui agli articoli da 23 a 31 del Codice del Terzo Settore dedicate all’ordinamento e all’amministrazione degli enti[17].

Complessivamente, il Codice del Terzo settore delinea un’associazione necessariamente dotata di un organo assembleare e di un organo di amministrazione; a tale struttura minima si aggiungono, in caso di superamento per due esercizi consecutivi di due delle tre soglie previste (attivo dello stato patrimoniale, componenti positive e dipendenti in media occupati durante l’esercizio), anche un organo di controllo e un revisore legale dei conti.

La fondazione si caratterizza, invece, per l’obbligatorietà dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo (artt. 26 e 30 Cts), con la necessità di nominare anche un revisore dei conti qualora si verifichi per due esercizi consecutivi il superamento di due delle soglie previste (art. 31 Cts).

Colpisce, tuttavia, come i nove articoli dedicati alle regole di ordinamento e amministrazione siano essenzialmente rivolti agli enti di natura associativa, prevedendo solo talvolta e in chiusura di norma un fugace richiamo alle fondazioni[18]. L’individuazione della regola avviene, dunque, attraverso un richiamo all’applicazione di (alcuni) commi dell’articolo in cui è posto il riferimento (art. 26, ultimo co., primo periodo, art. 30 e art. 31 Cts), in assenza di una disciplina composita e strutturata per gli enti fondazionali; emblematico il riferimento alle fondazioni di partecipazione, allorquando il Codice, nel riconoscere e legittimare il fenomeno, richiama le regole previste per le associazioni, indicandone l’applicabilità solo se non derogate dallo statuto e in quanto compatibili (art. 23, ultimo co., 24, ultimo co., 25, ultimo co., 26, ultimo co., ultimo periodo Cts). E pur tuttavia si impone un ulteriore grado di riflessione giacché l’art. 20 Cts stabilisce l’applicabilità delle norme del titolo IV (ordinamento e amministrazione, per l’appunto) sia alle associazioni sia alle fondazioni, comportando, dunque, l’esigenza di valutarne l’imperatività ovvero la compatibilità con il modello fondazionale, così da poter, da un lato, individuare le norme applicabili alla fondazione anche se non espressamente richiamate (così gli artt. 27, 28 e 29 Cts); dall’altro, escludere l’applicabilità di quelle non compatibili con la fondazione (anche di partecipazione[19]), con la possibilità altresì di una deroga statutaria per quelle suppletive ove non di gradimento per l’ente.

Tra i primi commenti alla riforma non sono mancate valutazioni critiche[20], manifestate anche dal Consiglio di Stato nel parere reso preliminarmente all’approvazione del testo[21], in relazione all’eccessiva limitazione dell’autonomia privata e al conseguente appiattimento della figura associativa, di cui sfumano i connotati differenziali tra associazione riconosciuta e non. Certamente il paradigma dell’associazione non riconosciuta del Terzo settore è assai lontano da quello del Codice civile, la cui disciplina, ai sensi dell’art. 36 c.c., è rimessa ai soli accordi degli associati, così venendosi a tracciare un confine di non poco momento tra enti non profit del codice civile ed enti non profit del Terzo settore; al contempo, però, la scelta del legislatore muove all’interno di un trend, già caratterizzante la legislazione speciale, di complessiva valorizzazione del requisito della democraticità, di volta in volta declinata in disposizioni molte delle quali riprodotte nel Codice del Terzo settore[22].

E’ stato, infatti, osservato come, per quegli enti che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che si impegnano a svolgere attività di interesse generale, “lo Stato (possa) pretendere un’organizzazione interna funzionale alla realizzazione delle tutele sociali”[23] a fronte della riconosciuta possibilità per detti enti di (i) avvalersi di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale, (ii) di esercitare attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici e (iii) di avvalersi di regimi fiscali di favore.

L’impostazione del legislatore risentirebbe, dunque, della considerazione secondo cui “il modello a tutela dei cittadini è variabile dipendente dal modello di governo, in modo da evitare, da un lato, di sovraccaricare gli enti privati con eccessive responsabilità; dall’altro, di incappare nella sotto-protezione dei cittadini e/o nell’irresponsabilità politica”[24]. Il Codice del Terzo settore richiede, così, nel rispetto dei principi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità, partecipazione degli associati e dei lavoratori nonché di efficacia, di efficienza, di trasparenza, di correttezza e di economicità della gestione degli enti[25], l’adozione di strutture organizzative minime, secondo il modello dualistico assemblea/organo di amministrazione, volte al rispetto della democraticità interna, declinata nella partecipazione, nell’uguaglianza del voto e nell’elettività delle cariche, a cui presidio sono poste le norme in tema di responsabilità dei soggetti incaricati e di denuncia all’Autorità o all’organo di controllo, ove previsto.

Non da ultimo, le norme in materia di ordinamento e amministrazione risultano prevalentemente di natura suppletiva, determinando così un’ampia autonomia organizzativa in capo agli enti che non solo possono raggiungere il proprio fine statutario secondo le modalità organizzative più opportune (ricorrendo alle sei categorie tipizzate dal legislatore ovvero ad enti atipici), ma possono altresì derogare, attraverso previsioni statutarie, a gran parte delle norme organizzative del Codice del Terzo settore, istituendo anche organi diversi e ulteriori rispetto a quelli – minimi - presi in considerazione dal testo normativo, come, ad esempio, organi di rappresentanza sociale, collegi dei probiviri, camere arbitrali, commissioni interne (nel rispetto dei principi di democraticità ed elettività)[26].

Tra i tipi societari, in particolare, il modello ispiratore risulta essere la società cooperativa in relazione alle regole di governance e (prevalentemente) la società di capitali con riferimento ai profili di conflitto di interessi, responsabilità dei soggetti che rivestono cariche sociali e strumenti di denuncia. 

La scelta del modello cooperativo, connotato da un carattere aperto e da un fine mutualistico che lo ha da sempre posto assai vicino alle associazioni, non stupisce se si pensa alla storica distinzione tra interessi di serie e di gruppo caratterizzanti rispettivamente i fenomeni associativi e le società di capitali[27]. Gli articoli 23 e 24 Cts[28], dedicati alla procedura di ammissione degli associati, al carattere aperto dell’ente e all’assemblea, infatti, sono un chiaro riferimento alla disciplina di cui agli articoli 2528, 2538 e 2539 c.c., introducendo, peraltro, la possibilità di attribuire un peso differente al voto di quegli associati che siano ETS (fino ad un massimo di cinque voti, in proporzione al numero dei loro associati o aderenti); la facoltà di ammettere deleghe di voto in favore di un qualsiasi rappresentante, con il solo limite quantitativo alle deleghe; l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica (similmente alla previsione dell’art. 2370, co. 4 c.c., che include anche il voto in via elettronica, non contemplato dall’art. 3538, ultimo comma). Ulteriormente, in materia di assemblee separate rispetto a specifiche materie, a particolari categorie di associati o allo svolgimento dell’attività associativa in più ambiti territoriali, è previsto un richiamo all’art. 2540 c.c., cui la dottrina in passato si era rivolta al fine di individuare un appiglio normativo per il (diverso) fenomeno delle associazioni multilivello degli enti senza scopo di lucro del codice civile; ed ancora l’articolo 26, dedicato all’organo amministrativo, ricalca la disciplina di cui all’art. 2542 c.c., indicando, da un lato, quali caratteristiche devono possedere gli amministratori (la maggioranza degli amministratori deve necessariamente possedere la qualità di persona fisica associata dell’ente ovvero di persona fisica indicata dagli enti associati) e, dall’altro, da quali soggetti devono essere eletti (la nomina della maggioranza degli amministratori dell’ETS deve spettare all’ente stesso).

Oltre all’ipotesi del conflitto di interessi degli amministratori, con conseguente impugnabilità entro il termine di novanta giorni, da parte degli amministratori e dei componenti l’organo di controllo, delle decisioni adottate con il voto decisivo di un amministratore in conflitto d'interessi (art. 2475 ter c.c.), è disciplinato il conflitto d’interessi dell’associato (art. 2373 c.c.), per il quale, come avviene nella norma sopra menzionata relativa alle assemblee separate (art. 2540 c.c.), si rinvia all’art. 2377 c.c. per i rispettivi e specifici regimi di impugnazione delle delibere. La disciplina dell’art. 2377 c.c., indirettamente richiamata, può dunque trovare applicazione solo ed esclusivamente in relazione alle due ipotesi testé richiamate (conflitto di interessi e assemblee separate), mancando del tutto, invece, una disciplina compiuta in tema annullabilità delle delibere assembleari[29], in assenza della quale deve ritenersi operante la procedura descritta dall’art. 23 c.c. [30], peraltro, con termine impugnatorio non già di novanta giorni ma ordinario quinquennale previsto per le azioni di annullamento ove si riconosca la natura contrattuale dell’ente.

Il modello societario di riferimento del legislatore del Terzo settore vira poi verso quello della società per azioni sia in riferimento alla già menzionata ipotesi di conflitto di interessi dell’associato, sia in relazione al grado di diligenza richiesto in capo agli amministratori (per il quale, in deroga alle regola del mandato ex art. 18 c.c., è richiamato l’art. 2932 c.c.[31]); alle azioni di responsabilità verso gli amministratori, i direttori generali, i componenti dell'organo di controllo e il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, che rispondono nei confronti dell’ente[32], dei creditori sociali, del fondatore, degli associati[33] e dei terzi[34] ai sensi degli articoli 2392, 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis, 2395, 2396, 2407; allo strumento di denuncia al tribunale per gravi irregolarità ex art 2409 c.c.; alla tutela dell’integrità del patrimonio dell’ente e, infine, ai poteri di rappresentanza degli amministratori che, parafrasando in parte l'art. 2298 c.c. in materia di società di persone (per cui le limitazioni convenzionali dei poteri di rappresentanza non sono opponibili ai terzi se non sono iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore o se non si prova che i terzi ne erano a conoscenza) e in parte la regola delle società di capitali (per cui il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori è generale), pone non pochi dubbi circa il trattamento degli atti ultra vires[35].

L’interpretazione estensiva resta necessariamente ancora centrale: la disciplina relativa a struttura e funzionamento degli organi degli enti del Terzo settore è incompleta e dovrà trovare il suo medio logico, in prima battuta, nelle norme del libro I del codice civile (art. 3, co. 2 Cts) nonché nelle disposizioni del libro V, salva l’ulteriore necessità di vagliare caso per caso se la lacuna deriva dalla volontà di non applicazione della norma stessa con conseguente preclusione all’applicazione analogica della regola omessa.

È dunque alla luce di queste considerazioni che si devono leggere ed applicare le regole relative alla governance degli Enti del Terzo settore, tenendo altresì in considerazione le note del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che, in modo copioso e (talvolta anche eccessivamente) puntuale, dal 2017 ad oggi stanno assumendo un ruolo sempre più importante nell’interpretazione del dato normativo (soprattutto in materia di organizzazione interna e democraticità dell’ente) che si riverbera soprattutto in una forte influenza della prassi statutaria.

Sul punto non è mancata l’osservazione giustamente critica di un’attenta dottrina[36], che, ricordandone la valenza non vincolante all’esterno dell’Amministrazione, ha rilevato la loro “incerta natura giuridica” ed ha posto in evidenza come determinano, alla luce della loro valenza interpretativa, una “(perlomeno apparente) relativa giustiziabilità dei provvedimenti che non aiuta di certo a comprenderne poi, a prescindere dall’astratto (e, a dir poco, complesso) inquadramento teorico-sistematico, l’effettivo (e concreto) riscontro pratico”[37]. Come affermato dallo stesso Ministero competente[38], tuttavia, gli Uffici del Runts non possano divenire organi di giustizia interna degli enti del Terzo settore, restando la sede giurisdizionale quella deputata in via esclusiva alla tutela dei diritti di ciascun associato nei confronti degli altri membri. Il Registro deve infatti limitarsi esclusivamente al controllo circa la sussistenza delle condizioni previste dal codice del Terzo settore per la costituzione dell’ente nonché per la sua iscrizione nella sezione richiesta.

Ed è proprio in ragione di tale compito del Registro che riemerge, in via indiretta, il valore delle note ministeriali, in quanto (parzialmente) vincolanti sul pianto interno per i funzionari della Pubblica Amministrazione[39], deputati all’iscrizione (e alla valutazione circa il perdurante possesso dei requisiti in capo all’ente per il mantenimento dell’iscrizione) nel Runts.

Fermo restando, come già detto, che la competenza del Registro si arresta alla sola verifica della sussistenza dei requisiti statutari dell’ente affinchè questo possa qualificarsi come ETS, è del pari evidente la valenza delle note ministeriali nell’orientamento della valutazione dei requisiti stessi. Il rischio è, evidentemente, quello di un difficile equilibrio tutto da ricercarsi tra la verifica del rispetto delle regole inderogabili del Codice del Terzo settore ed il ruolo (non ulteriormente comprimibile[40]) dell’autonomia privata nell’individuazione delle concrete e possibili declinazioni delle regole del CTS, anche oltre le indicazioni interpretative ministeriali. Il valore interno delle note ministeriali ed il concetto – sulla cui ampiezza si giocherà la vera partita – di verifica dei requisiti dell’ETS (soprattutto per quando riguarda i confini e le declinazioni della democraticità interna dell’ente), dovrebbero auspicabilmente porsi a presidio della bontà del Terzo settore senza condurre, tuttavia, ad un eccessivo irrigidimento del sistema, in un settore in cui la forza creativa dell’autonomia privata ha da sempre assunto un ruolo imprescindibile.

Chiaro è che l’interpretazione normativa ad opera della dottrina e delle realtà operative dovrà restare centrale: gli organi di giustizia ordinaria e, più frequentemente, quelli della giustizia amministrativa[41], chiamati a pronunciarsi avverso i provvedimenti di diniego di iscrizione o di cancellazione, restano gli unici deputati, in ultima battuta, all’interpretazione del dato codicistico attraverso la soluzione del contenzioso derivante dall’applicazione del Codice del Terzo settore[42].

 

 

3. L’organizzazione interna: assemblea e organo amministrativo

 

Se per certi versi il Codice del Terzo settore sembra consegnare all’interprete e all’operatore un nuovo quadro di ibridazione e neutralità delle forme, nel quale la scelta di un modello organizzativo appare elastica e quasi interscambiabile[43], è ben vero che la forma diventa sostanza in ragione degli interessi (di gruppo) sottesi, tutelabili solo attraverso un modello di governance, di organizzazione, amministrazione e controllo che sia necessariamente rispettoso dei principi di democraticità, partecipazione, trasparenza, eguaglianza e pari opportunità.

Il principio di democraticità[44] all’interno della vita associativa si traduce, quindi, nel modello dualistico assemblea/organo di amministrazione, nel carattere aperto dell’ente, nella necessità del metodo collegiale (favorito dall’ammissibilità delle deleghe di voto e dall’utilizzo di mezzi di telecomunicazione), nel diritto di voto per testa, insopprimibile, e nell’altrettanto insopprimibile competenza assembleare di nomina e revoca della maggioranza delle cariche amministrative e dell’approvazione del bilancio[45].

Procedendo con ordine, il carattere aperto dell’associazione e la connessa procedura di ammissione trovano disciplina nell’articolo 23 Cts, significativamente rubricato “proceduradi ammissione e carattere aperto delle associazioni” e non genericamente ammissione: esso ricalca l’impostazione del modello cooperativo (art. 2528 c.c.) ove la variazione del numero e delle persone dei soci non comportano modificazioni dell’atto costitutivo ed in cui vige il principio una testa/un voto, sottolineando il rilievo della persona nel funzionamento della cooperativa secondo un meccanismo opposto rispetto a quello delle società di capitali.

Le regole in tema di ammissione delineate dal Codice risultano di natura suppletiva e derogabili dalle diverse previsioni statutarie, le quali, tuttavia, devono necessariamente indicare le norme procedimentali poiché, se certamente non sussiste in capo all’aspirante associato un diritto soggettivo all’ingresso nell’associazione stessa[46], rimanendo gli atti di proposta e accettazione atti di autonomia privata incoercibili e insindacabili (ed essendo quindi escluso un controllo di merito da parte del giudice sulle ispirazioni ideali del gruppo, unico legittimato a valutare la domanda dell’aspirante associato), al contempo il campo di intervento della giurisdizione civile ben può riguardare la violazione delle norme procedimentali. E, per l’appunto, a completamento della fase di ammissione deve leggersi il requisito dell’atto costitutivo dell’ente (obbligatorio ai fini dell’iscrizione nel Registro Unico Nazionale del Terzo settore ex art. 21 Cts) inerente alla previsione di una procedura di ammissione del terzo.

L’atto costitutivo deve inoltre indicare, ove previsti, i requisiti di ammissione dei soci nel rispetto del principio di non discriminazione[47] e in coerenza con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta, “così da rendere possibile una effettiva partecipazione, da intendersi non solo come concreta possibilità di contribuire all'elaborazione degli indirizzi e alla realizzazione delle attività sociali una volta entrati nella compagine associativa, ma anche, prima dell'ingresso in quest’ultima, come effettiva possibilità di esservi ammessi, coerentemente con il favor che la legge attribuisce al c.d. carattere aperto delle associazioni”[48]. Risulterebbero così, nulle clausole che vietino tout court l’ammissione di nuovi associati o di clausole che permettano a chiunque indiscriminatamente di essere ammessi oppure ancora di clausole che rimettano al mero arbitrio degli amministratori le decisioni in merito all’ammissione di nuovi associati.

Sebbene, infatti, non si configuri un obbligo per l’ente di accogliere le domande di ammissione, il principio di democraticità, qui declinato nella porta aperta, comporta non solo “l’accoglienza di altri individui all’interno del gruppo, ma anche l’imprescindibilità della pluralità di persone, e la variabilità numerica assicurata dallo statuto”[49].

Per altro verso, clausole che prevedono “specifici requisiti ai fini dell’ammissione (quali la maggiore età, il possesso di un determinato titolo di studio, della cittadinanza italiana, dell’assenza di condanne penali) dovr(anno) essere valutate in concreto, in funzione della (loro) ragionevolezza rispetto alle specifiche finalità civiche o solidaristiche e alle specifiche attività dell’ente in questione per comprendere se nel caso specifico risulti(no) ingiustificat(e) e irragionevol(i) e configuri(no) una discriminazione non compatibile con la disciplina del Terzo settore”[50], non essendo ammissibili enti del Terzo settore  che attuino irragionevoli discriminazioni nei confronti di aspiranti associati e di associazioni a struttura «chiusa»[51].

Non può, tuttavia, sfuggire la differenza tra la previsione ai sensi dell’art. 16 c.c. delle condizioni per l’ammissione dei nuovi membri (a cui, in nessuna ipotesi, può essere attribuita valenza esterna, essendo rivolta esclusivamente agli organi interni dell’ente i quali possono, al più, rispondere sotto il profilo della responsabilità per violazione dei loro doveri in ipotesi di provvedimenti illegittimi in presenza di reiezioni ingiustificate) e la previsione dell’art. 21 Cts, che, da puramente interna, assume un parziale rilievo anche esterno e in particolare nei confronti degli Uffici del Registro Unico, i quali avranno margine di rigetto delle istanze di iscrizione di quegli enti che valuterà applicare requisiti di iscrizione non conformi ai criteri di non discriminazione e coerenza. Il tema è evidentemente connesso al rapporto di specialità tra gli enti senza scopo di lucro del Codice civile e gli enti senza scopo di lucro del Codice del Terzo settore ed al rilievo civico, solidaristico e di utilità sociale che questi ultimi assumono.

Coerentemente con i succitati principi ispiratori, deve ritenersi non derogabile l’obbligo di comunicazione e motivazione della deliberazione di rigetto della domanda di ammissione mentre la previsione di ulteriori momenti interni all’ente e l’individuazione di altri organi (purchè eletti dall’assemblea) presso cui è possibile chiedere una delibera sulle domande non accolte – sostanzialmente un riesame - rimane una libera facoltà dell’ente del Terzo settore[52], specularmente alla previsione, ormai pacificamente ammessa, di appositi organi, quale, ad esempio, il collegio dei probiviri, nelle ipotesi di provvedimenti di espulsione degli associati. Dovrà essere l’atto costitutivo, nel silenzio della norma, a specificare se l’organo investito del riesame dalla domanda di ammissione potrà deliberare direttamente sull’accoglimento della proposta stessa ovvero se dovrà limitarsi a raccomandare agli amministratori (o al diverso organo individuato) la revisione del proprio giudizio[53].

Se, infatti, il terzo interessato a divenire associato, come detto, non gode di un diritto all’ammissione, il nuovo quadro del Codice del Terzo settore delinea, complessivamente, una tutela della posizione dell’associando attraverso la trasparenza dei requisiti di ammissione, l’obbligo di comunicazione e motivazione del rigetto, un termine massimo di esame dell’istanza e la facoltà del terzo di richiedere un riesame dalla sua domanda da parte dell’assemblea o altro organo da questa eletto.

L’art. 24 Cts, dedicato all’assemblea, afferma il diritto di voto di ciascun associato, introducendo un termine minimo di adesione di tre mesi, che deve considerarsi derogabile ma non in pejus[54]. Il legislatore ha così introdotto un discrimine temporale tra l’assunzione della qualifica di associato - a cui è però riconosciuto sin da subito il diritto di esaminare i libri sociali - e l’esercizio del relativo diritto di voto così da evitare ammissioni strumentali a votazioni assembleari valutate di particolare importanza effettuate all’ultimo momento[55].

Il voto è unico e capitario per le persone fisiche[56], proprio perché il contributo da queste versato è a fondo perduto e non determina, quindi, né un diritto alla distribuzione degli utili, né alla restituzione della quota in caso di recesso, espulsione o in caso di scioglimento dell’ente[57]. Come già ricordato, la norma in questione ricalca, con qualche necessario adattamento, il modello dell’art. 2538 c.c. relativo alle società cooperative e, introduce innovativamente la possibilità di attribuire un peso differente (fino ad un massimo di cinque voti, in proporzione al numero dei loro associati o aderenti) al voto di quegli associati che siano ETS[58], così da garantire una maggiore democraticità.

Una differenziazione, dunque, tra persone fisiche e persone giuridiche (incluse le associazioni non riconosciute) all’espressa condizione che queste ultime siano non solo associate di un ETS ma anche esse stesse ETS. Ne dovrebbe derivare, secondo un’interpretazione letterale della norma, l’esclusione della facoltà del voto ponderato per quegli associati persone giuridiche prive dalla qualifica di ETS, a prescindere che siano enti senza scopo di lucro del Codice civile ovvero enti societari. La ratio di tale differenziazione è evidentemente riconnessa alla volontà di mantenere il peso decisorio in capo ai soggetti che più significativamente sono mossi dalle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, evitando dunque che, per esempio, enti societari possano assumere un peso maggiore rispetto a quello delle persone fisiche, condizionando scelte dell’ETS di cui l’ente societario potrebbe beneficiare più o meno indirettamente. Ciò, peraltro, determinerebbe l’impossibilità per enti senza scopo di lucro e per enti for profit di assumere la direzione, il coordinamento o il controllo di un ente del Terzo settore attraverso la forma del c.d. controllo interno di diritto[59] (similmente alla previsione dell’art. 2359, co. 1, n. 1, c.c.), essendo invece possibile nelle forme del controllo interno ovvero esterno di fatto[60] (analogamente alle ipotesi di cui all’art. art. 2359, co. 1, n. 2 e 3, c.c.).

Al fine di favorire, poi, la massima partecipazione al metodo assembleare delle associazioni di Terzo settore, si riconosce espressamente: (i) la facoltà di ammettere deleghe di voto (similmente alla previsione dell’art. 2539, co. 1 c.c.) in favore di un qualsiasi rappresentante, con il solo limite quantitativo[61] volto a salvaguardare il carattere democratico dell’ente, evitando l’acquisto di una posizione egemone da parte di uno o più associati con l’incetta di deleghe[62]; (ii) l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica[63]; (iii) per gli enti con un numero di associati pari o superiore a cinquecento, la costituzione e lo svolgimento di assemblee separate rispetto a specifiche materie, a particolari categorie di associati o allo svolgimento dell’attività associativa in più ambiti territoriali (nuovamente, il richiamo è all’art. 2540 c.c.). Mentre, però, la previsione delle deleghe di voto trova applicazione in tutti gli ETS in modo automatico, salvo che lo statuto non la escluda, per ricorrere agli strumenti di voto alternativi (e per costituire assemblee separate) è necessario che lo statuto li contempli espressamente.

Delle tre previsioni in commento, l’ultima è quella di maggior innovatività, giacchè, ante riforma, si era posto il problema, ora risolto in senso favorevole, della compatibilità tra assemblee separate e principio di democraticità.

La formulazione dell’articolo 2540 c.c., novellato dalla riforma del 2003, non affermando più che «le assemblee separate devono deliberare sulle materie che formano oggetto dell’assemblea generale», permetteva già un accostamento così da poter sostenere un’applicazione analogica della norma alle associazioni multilivello, con riferimento ai meccanismi di impugnativa delle delibere, alla convocazione, all’elezione dei delegati[64]. La previsione attuale dell’art. 24 Cts legittima, tuttavia, una situazione diversa, in cui l’ente è unico - e non multilivello - e la volontà assembleare si crea attraverso una formazione progressiva costituita dalla prima fase dell’assemblea separata e dalla seconda fase dell’assemblea generale. La divisione delle assemblee separate, previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, può essere basata sul territorio e, dunque, sulla residenza degli associati (ad es. a livello regionale o comunale o ancora dello stesso quartiere per le ipotesi di associazioni a larga diffusione territoriale); sulla presenza di particolari categorie di associati ovvero ancora sulla base delle materie. Come noto, le assemblee separate eleggono i delegati che parteciperanno all’assemblea generale, con la necessità, da un lato, che i delegati siano sempre anche associati (diversamente da quanto avviene nel meccanismo di voto per delega, ove non rileva tale qualifica soggettiva); dall’altro, di assicurare la rappresentanza proporzionale delle minoranze espresse nelle assemblee separate. Inoltre, l’oggetto di delibera dei due momenti collegiali deve coincidere: poiché la determinazione delle assemblee separate esprime un voto che confluisce nella delibera dell’assemblea generale, le deliberazioni delle assemblee separate non possono essere autonomamente impugnate e tra i legittimati all’impugnativa si individuano, oltre agli associati assenti, dissenzienti e astenuti dell’assemblea generale, anche gli associati assenti o dissenzienti delle assemblee separate solo ove si provi che, senza i voti espressi dai delegati delle assemblee separate irregolarmente tenute, sarebbe venuta meno la maggioranza richiesta per la validità della deliberazione[65].

Inoltre, sebbene non ci sia soffermati sul profilo delle fonti del Codice del Terzo settore, in virtù dell’espresso rimando del Codice del Terzo settore operato dall’art. 3, co. 2, Cts, per tutto quanto non espressamente disciplinato trovano applicazione le norme del Codice civile, quali, ad esempio, quelle in tema di abbandono del gruppo da parte del singolo per morte, recesso o esclusione, di trasmissibilità della qualità di associato nonché in tema di potere e modalità di convocazione dell’assemblea e quorum costitutivi e deliberativi, presidenza, invalidità così come in tema di procedimento di approvazione del bilancio[66], solo per citarne alcune[67]. Manca, come già detto, invece, all’interno del libro I un chiaro riferimento normativo al termine entro il quale l’associato può impugnare la delibera assembleare[68] e parimenti irrisolto appare il profilo delle ipotesi legittimanti l’azione di annullabilità (ovvero di nullità)[69], secondo un meccanismo di favor per conversione delle cause di nullità in annullabilità, similmente alla previsione dell’art. 2377 c.c.

Infine, sempre con riferimento all’assemblea, l’art. 25 Cts prevede un lungo elenco di materie di competenza della stessa che già la rubrica dell’articolo qualifica come inderogabili. Inaspettatamente, tuttavia, l’articolo in questione, al suo secondo comma, ne ammette la derogabilità, connettendola, tuttavia, non alla materia in quanto tale, quando alla dimensione dell’ente: è previsto, infatti, che gli ETS con non meno di 500 associati possono disciplinare le competenze dell’assemblea anche differentemente, attribuendo in tutto o in parte dette materie ad altri organi.

Mentre nello schema di d.lgs. recante Codice del Terzo settore - Atto n. 417, il testo prevedeva una combinazione tra dimensione dell’ente e materie (gli enti con associati non inferiori a 500 membri potevano derogare le competenze in tema di approvazione del bilancio e all’approvazione del regolamento dei lavori assembleari), la versione vigente approvata dal Consiglio dei Ministri ha ammesso una derogabilità in funzione del solo dato dimensionale dell’ente ma alla condizione – suggerita dal parere reso dalla XII Commissione Affari Sociali del 22 giugno 2017 – che le deroghe assembleari rispettino i principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali.

La previsione riconosce dunque le competenze dell’organo amministrativo, sottratto alle direttive dell’assemblea e investito di una competenza esclusiva ad amministrare, riconducendo ad una visione unitaria della disciplina degli enti senza scopo di lucro del Terzo settore e del Libro V, che per alcuni manca(va) nel libro I[70].

Sarebbe stata, forse, preferibile l’individuazione in un nucleo minimo di materie inderogabili, lasciando invece che le altre fossero di competenza assembleare solo se non derogate dallo statuto dell’ente. L’art. 25 Cts, da un lato, irrigidisce eccessivamente gli enti, i quali se composti da una base associativa inferiore ai 500 membri non possono derogare in alcun modo alle (molte) competenze assembleari indicate dal legislatore; per altro verso, la deroga prevista per gli enti di più ampie dimensioni pone un problema di compatibilità rispetto ai principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali che costituiscono il limite dell’autonomia privata[71].

Mentre infatti la prima formulazione della norma, che sottolineava la derogabilità in materia di approvazione del bilancio, richiamava alla mente il tema dell’applicabilità al modello associativo delle regole previste per il sistema dualistico delle società per azioni, evidentemente in alternativa sia al modello tradizione sia a quello monistico, la formulazione approvata spinge ad esprimersi in nego negativo sulla sua compatibilità rispetto al principio di democraticità e di eguaglianza[72]. Sotto un primo profilo il rapporto di nomina/revoca che caratterizza la democraticità degli enti senza scopo di lucro sarebbe compromessa dalla presenza di un consiglio di sorveglianza, unico organo di nomina assembleare, che però assume funzioni di controllo, a fronte di un organo con compiti amministrativi – il consiglio di gestione – che è invece nominato dal consiglio di sorveglianza. Ulteriormente, l’approvazione del bilancio in capo al consiglio di sorveglianza, organo professionale che esercita contemporaneamente il controllo sull’amministrazione, è rappresentativa di un più accentuato distacco tra azionisti ed organo gestorio delle società, che costituisce un modello organizzativo particolarmente adatto per società con azionariato diffuso e prive di uno stabile nucleo di azionisti imprenditori ma che risulta poco compatibile con i più volte richiamati principi ispiratori del modello associativo del Terzo settore[73].

E, infatti, è stato recentemente affermato come “l’articolo 25, co. 1, lettera a) Cts postula la necessità che la nomina degli organi sociali trovi la sua fonte nella volontà dell’organo assembleare: tale volontà potrà essere declinata nello statuto sia nelle forme dell’elezione diretta del presidente da parte dell’assemblea, sia nelle forme dell’elezione indiretta da parte di un organo comunque eletto dall’assemblea (come nel caso del presidente la cui individuazione viene attribuita all’organo di amministrazione, che lo elegge tra i propri componenti di nomina assembleare)”[74], osservando come il rispetto dei principi di democraticità richieda che, “anche nell’ipotesi di elezione indiretta del presidente, proprio perché tale individuazione è comunque fondata su di una volontà assembleare, deve rimanere intatto in capo all’assemblea il potere di revoca nei confronti del presidente, al pari delle competenze dell’assemblea in tema di responsabilità”[75]. Ne deriva quindi che debba “ritenersi contraria al dettato dell’articolo 25, co. 1, lettera a) del Codice, in quanto lesiva del necessario primato assembleare, ogni previsione statutaria che, lungi dal configurare un concorso di tutti gli associati alla nomina del presidente dell’associazione, mediante gli istituti di democrazia diretta o indiretta di cui si è detto, riservi, al contrario, quest’ultima, ad esempio, ad una parte degli associati, ad un soggetto esterno o la affidi ad un’estrazione a sorte”[76].

Non da ultimo, il tema della governance tocca i profili della trasparenza, che, con particolare riguardo agli associati, si traduce nel diritto di ispezione dei libri sociali, secondo le modalità previste dall’atto costitutivo e dallo statuto[77] (art. 15, co. 3 Cts). Diritto a cui, simmetricamente, corrisponde per tutti gli enti del Terzo settore il dovere di tenuta del libro degli associati o aderenti, del libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee; del libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’organo di amministrazione, dell’organo di controllo, e di eventuali altri organi sociali[78].

In tema di organo amministrativo, il Codice si limita a dettare poche regole, lasciando privi di disciplina alcuni profili, tra cui le regole relative alla sua composizione (organo collegiale o moduli amministrativi propri delle società personali), che potranno quindi opportunamente essere disciplinati dallo statuto (ai sensi dell’art. 21 Cts) ovvero ancora, che dovranno trovare disciplina nelle regole del libro I del Codice civile, secondo una valutazione di compatibilità non sempre agevole[79] come già emerso anche in relazione alla possibilità di applicare in via analogica agli enti del Terzo settore l’art. 2386 c.c., legittimando (o meno), quindi, che, in a seguito del venir meno per decesso, decadenza, revoca, dimissioni o altra causa di uno o più amministratori, gli amministratori rimanenti possano provvedere alla sostituzione, di quelli venuti meno attraverso il meccanismo della cooptazione[80], secondo un contemperamento tra logiche di regolare funzionamento e gestione dell’ente (tipizzanti l’ambito societario) e rispetto dei principi di democraticità ed elettività delle cariche sociali (caratterizzanti gli ETS).

L’art. 25 Cts ha, infatti, introdotto l’obbligatorietà dell’organo amministrativo non indicando espressamente la sua composizione numerica (come è invece previsto per l’organo di controllo, in relazione al quale l’ente ha facoltà di decidere tra organo di controllo monocratico o collegiale)[81].

Da un lato è stato osservato, condivisibilmente, come la nozione di organo non sia incompatibile con quella dell’unipersonalità[82] e come l’intervento normativo in materia di cooperative[83] lascerebbe intendere la necessità di una norma che espressamente escluda la composizione singola e non, al contrario, di una norma che ammetta l’unipersonalità[84]; dall’altro, un’opposta posizione ha rilevato come il favor partecipationis del Codice del Terzo settore imporrebbe la necessità di una composizione plurale dell’organo di amministrazione[85].

Sul punto, il Ministero competente ha recentemente espresso il suo orientamento affermando che l’ammissibilità o meno dell’organo monocratico deve, in realtà, “tenere conto proprio della molteplicità delle tipologie e delle caratteristiche dei soggetti collocati all’interno del Terzo settore, partendo dal presupposto che la struttura organizzativa dovrebbe essere una conseguenza, ragionevole e coerente, della natura, della vocazione dell’ente, dello stadio vitale in cui esso si trova, delle modalità più razionali che esso individua per perseguire le proprie finalità ultime e il proprio oggetto sociale, sia pure all’interno dei limiti posti dalla legge e più in generale, dalla volontà del legislatore”[86]. In ragione del carattere aperto e della democraticità interna richiesta alle associazioni del Terzo settore, anche l’organo di amministrazione dovrebbe avere caratteristiche coerenti con tali principi e dunque essere collegiale; diversamente, nel caso delle fondazioni, poiché “l’operato dell’organo di amministrazione è teso fondamentalmente a gestire un patrimonio destinato in conformità con la volontà originariamente espressa dai fondatori; il controllo interno ad opera dell’apposito organo e quello esterno esercitato dall’autorità governativa sono sempre presenti; anche qualora gli statuti prevedano l’esistenza di organi assembleari o di indirizzo, i compiti di questi ultimi non possono essere individuati in maniera incompatibile con la natura fondativa dell’ente o con la volontà del fondatore (art. 25, co. 3)[87] comportando dunque la possibilità di un organo amministrativo monocratico[88].

L’ammissibilità di un organo amministrativo monocratico negli enti di natura fondazionale ha, poi, comportato la necessità di una delucidazione circa i suoi rapporti con la nomina dell’organo di controllo: il Ministero ha così chiarito come “la possibilità che competa ad un amministratore monocratico la nomina dell’organo di controllo sembrerebbe (…) un’ipotesi “di scuola”, in concreto abbastanza irrealistica, considerato che in tal caso l’organo di amministrazione sarebbe chiamato a nominare il proprio controllore (e considerato il dettato dell’art. 2399 del c.c.)”[89], organo che è titolare di una propria responsabilità (art. 28 Cts, art. 2407 c.c.) nei confronti, oltre che dell’ente, dei soggetti terzi e dei fondatori.

Nulla è invece disposto dal Codice del Terzo settore in merito alla durata dell’incarico degli amministratori, facendo ritenere che l’ente associativo, a differenza di quello fondazionale, non possa ammettere cariche a vita[90] o comunque per tempi molto lunghi: “non sarebbe cioè applicabile, in quanto contrastante col principio di democraticità connotante il mondo associativo, la norma delle società a responsabilità limitata, che ammette la presenza di amministratori nominati a tempo indeterminato (fino a revoca), peraltro, di nuovo, ritenuta inammissibile nelle cooperative”[91]. Nessuna preclusione potrebbe, tuttavia, essere avanzata riguardo a clausole statutarie che prevedessero la rieleggibilità degli amministratori, anche se, secondo parte della dottrina[92], nomine pressoché perpetue confliggerebbero, di nuovo, con il principio di democraticità, la cui immanenza renderebbe preferibili clausole statutarie che prevedessero rielezioni limitate a due-tre mandati consecutivi, di durata unitaria non eccedente i tre-cinque anni[93].

La disposizione in tema di organo amministrativo ricalca, ancora una volta, l’art. 2542 c.c. in materia di società cooperativa e segue due direttive in merito alla nomina.

Da un lato, la norma indica chi sono (rectius: quali caratteristiche devono possedere) gli amministratori e, dall’altro, da chi devono essere eletti. Così, sotto il primo profilo, emerge come la maggioranza degli amministratori debba necessariamente possedere la qualità di persona fisica associata dell’ente ovvero una persona fisica indicata dagli enti associati, ponendo quindi alla base della regola il legame di associazione, considerato maggiormente confacente alla protezione degli interessi di categoria, similmente alla disciplina in materia di società cooperative, e in contrapposizione alla disposizione in materia di società di capitali di cui all’art. 2380 bis, co. 2 c.c.

Pertanto, se la maggioranza dei componenti l’organo di amministrazione deve essere composta di persone fisiche associate o “indicate” dagli enti associati, ne deriva, per converso, che solo la minoranza degli amministratori può non essere soggetto associato dell’ETS e, dunque, esterno alla compagine[94] e privo di un legame – diretto o indiretto – con la base associativa dell’ente presso cui l’organo di amministrazione è istituito.

In ogni caso, a pena di ineleggibilità e decadenza, non possono essere nominati amministratori i soggetti interdetti, inabilitati, falliti, o condannati ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità di esercitare uffici direttivi; mentre gli statuti possono subordinare l’assunzione della carica di amministratore al possesso di specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo settore, anche in questo caso a pena di ineleggibilità e decadenza (in virtù dell’ulteriore e specifico rimando alla disposizione dell’art. 2382 c.c. compiuto dall’art. 26, co. 3 Cts).

Sotto il secondo profilo (qual è il soggetto che nomina l’organo amministrativo), il Codice stabilisce che la nomina della maggioranza degli amministratori dell’ETS debba spettare all’ente stesso, ammettendo che, ove indicato dall’atto costitutivo o dallo statuto, uno o più amministratori possano essere nominati anche da altri enti del Terzo settore, da enti senza scopo di lucro (privi della qualifica di ETS), da enti religiosi civilmente riconosciuti (si pensi alle nomine episcopali) o da lavoratori o utenti dell’ente (art. 26 Cts).

Almeno una quota (seppur minoritaria) di amministratori può dunque essere nominata con modalità che potremmo definire “extra assembleari” da enti estranei alla base associativa dell’ETS o da particolari categorie di soggetti che abbiano con l’ETS uno specifico legame. Si tratta in tali casi di mere facoltà attribuite dalla legge alle associazioni, che per essere esercitate necessitano di espresso riferimento da parte dei rispettivi statuti[95].

Tale previsione risulta del tutto similare a quella prevista in relazione alle imprese sociali (art. 7, co. 1 e art. 11, co. 4, lett. b) d.lgs. 112/2017); norma che offre l’opportunità di formulare alcune riflessioni.

Mentre, infatti, la disposizione prevista per le imprese sociali ammette che l’ente riservi a soggetti esterni all’impresa sociale la nomina dei componenti di qualsivoglia organo sociale, l’art. 26 Cts limita detta facoltà alla sola nomina degli amministratori. Se ne deve dedurre che la nomina esterna di altri organi sociali è preclusa, come regola generale, negli ETS e ciò, non solo in forza del tenore letterale dell’art. 26 Cts, ma anche in ragione dell’elencazione delle competenze assembleari inderogabili di cui si è detto e che includono la nomina e la revoca dei componenti degli organi sociali e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti (art. 25, co. 1 lett. a) e b) Cts).

L’unica ipotesi ammissibile di deroga potrebbe, quindi, riferirsi alle nomine esterne per gli ETS con un numero di associati non inferiore a 500, i quali potrebbero, per esempio, optare per un regime di nomine dell’organo di controllo totalmente in deroga alla competenza assembleare ma pur sempre interna all’ente (si pensi al sistema monistico) ovvero un regime di nomine non solo in deroga alle competenze dell’assemblea ma altresì esterno all’ente stesso.

Ciò che resta inderogabile, invece, è la nomina degli amministratori. La maggioranza di questi, infatti, tanto nel Codice del Terzo settore quanto nel decreto relativo all’impresa sociale, deve essere nominata dall’assemblea degli associati. In tal senso di esprime chiaramente l’art. 7, co. 1 del d.lgs. 112/2017 e, in via interpretativa, il Codice del Terzo settore in quanto il comma quinto dell’art. 26, secondo cui la nomina della maggioranza degli amministratori è riservata all’assemblea “salvo quanto previsto dall'articolo 25, co. 2”, riporta, ancora una volta, all’inderogabilità di detta competenza negli ETS con meno di 500 associati e altresì alla valutazione negativa[96] della sua derogabilità negli enti di maggiori dimensioni associative per contrasto con i principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali, di cui si è detto.

Dovrebbe dunque dedursi che almeno la maggioranza degli amministratori debba essere riservata all’organo assembleare tanto negli ETS, di qualsivoglia dimensione, quanto nelle imprese sociali[97]. In queste ultime il dato dimensionale (superamento di due delle soglie previste dall’art. 2435 bis c.c. ridotte a metà) comporta, infatti, esclusivamente un obbligo di nomina di almeno un componente dell’organo di amministrazione (oltre che dell’organo di controllo) da parte di lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati all’attività; mentre negli ETS è prevista una riversa in favore degli appartenenti alle diverse categorie di associati e solo quale facoltà, indipendentemente dal dato dimensionale, ove espressamente contemplata dall’atto costitutivo o dallo statuto ed una riserva a favore di soggetti non associati (enti del Terzo settore, enti senza scopo di lucro, enti religiosi civilmente riconosciuti, lavoratori, utenti dell'ente) più ampia, dal punto di vista soggettivo, di quella prevista per l’impresa sociale ma priva del carattere dell’obbligatorietà.

Nei casi di riserva della nomina da parte di soggetti non associati è evidente che si tratti di una regola che incide sulla quota della componente di nomina esterna (lavoratori, utenti e altri soggetti) e che si contraddistingue per una ratio assolutamente diversa rispetto a quella della riserva della nomina assembleare, volta a garantire un maggior controllo da parte degli stakeholders delle regole che gli associati o i soci hanno stabilito, divenendone così “guardiani”, secondo un modello di ispirazione tedesca[98]. Nel caso degli ETS, invece, la regola in favore dei membri incide chiaramente sulla quota della componente di nomina interna dell’assemblea e mira ad una maggiore democraticità, uguaglianza e rappresentatività, anche delle componenti minoritarie, in quanto volta a garantire una riserva della nomina degli amministratori in favore delle diverse categorie di associati.

 

4. I controlli interni: organo di controllo e revisore legale dei conti

 

Sempre in tema di ordinamento e amministrazione, il Codice del Terzo settore prevede la necessità che gli ETS si dotino di altri due organi[99], secondo un principio di gradualità similare, ancora una volta, a quanto previsto nelle società cooperative ex art. 2543 c.c. (e nella s.r.l. ex art. 2477 c.c.).

In particolare, il sistema di controlli interni prevede un organo di controllo allorquando, per due esercizi consecutivi[100], l’associazione ETS supera due delle seguenti soglie: a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 110.000,00 euro; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 220.000,00 euro; c) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità. L’obbligo viene meno se per due esercizi consecutivi detti limiti non vengono superati (art. 30 Cts).

Analogamente, se l’ente supera per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti: a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 1.100.000,00 euro; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 2.200.000,00 euro; c) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità, nasce l’obbligo di nominare un revisore legale dei conti o una società di revisione legale (art. 31 Cts)[101].

Il superamento delle soglie quantitative[102] è, dunque, condizione per l’obbligo di nomina, da parte dell’assemblea[103], di detti organi.

Diversamente, l’organo di controllo interno risulta sempre obbligatorio, a prescindere da qualsivoglia dato dimensionale, nelle fondazioni ETS e, altresì, risultano obbligatori tanto l’organo di controllo quanto il revisore legale dei conti nelle ipotesi in cui l’ETS costituisca uno o più patrimoni destinati ex art. 2447 bis c.c. (art. 10 Cts).

L’organo di controllo può essere tanto collegiale, secondo il modello della società per azioni, quanto monocratico.

Il collegio sindacale nelle società per azioni è sempre collegiale ed è previsto che almeno un suo componente debba essere scelto tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro, mentre gli altri membri devono essere scelti tra gli iscritti negli albi professionali o tra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche; diversamente, negli ETS il richiamo espresso al secondo comma dell’art. 2397 c.c.[104] comporta che, se l’organo è collegiale, i predetti requisiti devono essere posseduti solamente da almeno uno dei componenti, mentre, se l’organo è monocratico il componente deve essere scelto alternativamente tra dette categorie (art. 30, co. 5 Cts) e, dunque, non vi è obbligo per l’ente di nominare, come avviene invece nelle società di capitali, un componente che sia revisore legale. E’, però, di tutta evidenza l’interesse ad una simile scelta se l’ente pensa di superare i limiti di cui all’art. 31, co. 1 Cts.

La precedente formulazione aveva posto qualche dubbio interpretativo giacché riconosceva che l’organo di controllo esercitasse anche il controllo contabile ove fosse stato nominato un soggetto incaricato della revisione legale dei conti o un suo componente fosse un revisore legale iscritto nell'apposito registro, lasciando intendere che tale compito fosse obbligatorio per l’ente al superamento delle soglie dell’art. 31 Cts ma sotto dette soglie meramente eventuale e connesso alla nomina, nell’organo di controllo, di un revisore legale in luogo di un professionista come sopra qualificato o di un professore universitario.

La modifica del Codice (art. 30, co. 6, secondo periodo Cts) mira a chiarire il punto, affermando più semplicemente che, se i componenti dell’organo di controllo sono revisori legali, al superamento dei limiti di cui all'articolo 31, co. 1 Cts questi possono esercitare la revisione legale dei conti, assumendo di fatto le funzioni congiunte di cui all’art. 30 e 31 Cts. Assume, così, significato anche l’inciso dell’art. 31, co. 1 Cts in base al quale l’ente deve nominare un revisore legale “salvo quanto previsto dall’art. 30, co. 6 Cts” e cioè proprio il caso in cui nell’organo di controllo sia già presente la figura dei revisori legali, così configurandosi un allineamento con quanto previsto per l’impresa sociale.

Posta, dunque, la possibilità, al verificarsi dei presupposti, di poter incaricare l’organo di controllo interno anche della revisione legale dei conti dell’ente, ai fini del legittimo esercizio di tale opzione è necessario che tutti i componenti dell’organo di controllo siano revisori legali iscritti nell’apposito registro.

La nomina dell’organo di controllo (così come dei revisori) deve, peraltro, considerarsi di applicazione immediata, non presentando un nesso di diretta riconducibilità all’istituzione ed all’operatività del Registro unico nazionale e all’adozione dei successivi provvedimenti attuativi, come già espresso dal Ministero competente a seguito dell’entrata in vigore del Codice[105]. In mancanza di espresse norme (ovvero di richiami) di dettaglio del funzionamento dell’organo in discussione, si è evidenziato, anche sulla base di raccomandazioni elaborate dai Consigli degli Ordini Professionali di riferimento[106], come questo, anche in assenza di esplicita previsione statutaria, possa trovare disciplina, attraverso la clausola di compatibilità di cui all’articolo 3, co. 2 Cts, nelle norme in tema di collegio sindacale (si pensi, così, ai profili di riunioni ex art. 2404 c.c., intervento nelle adunanze ex art. 2405 c.c., omissioni degli amministratori, potere di convocazione dell’assemblea ex art. 2406 c.c., relazione ex art. 2429 c.c.).

Passando in rassegna i compiti attribuiti dal legislatore all’organo di controllo nel Codice del Terzo settore, emerge chiaramente come esso “è chiamato a svolgere una funzione di vigilanza di portata generale, che investe tutti gli aspetti della vita dell’ente, e che può richiedere di interfacciarsi con tutti gli altri organi e le rispettive funzioni”[107], assumendo quasi un ruolo di garante circa il corretto funzionamento dell’ente sia internamente, a favore degli associati, sia, soprattutto, esternamente nei confronti di finanziatori, beneficiari, destinatari delle attività dell’ente[108]. E, infatti, ad esso sono assegnati, accanto ai compiti “tradizionali”, emblematici compiti “innovativi”[109].

Tra i primi rientrano (i) la verifica del rispetto dei principi di corretta amministrazione e la vigilanza dell’osservanza della legge e dello statuto; (ii) l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e il concreto funzionamento dell’ente[110]; tra i compiti innovativi significativamente vengono individuati (iii) il monitoraggio dell’osservanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, il quale si estrinseca in relazione allo svolgimento dell’attività di interesse generale e a quella secondaria (artt. 5 e 6 Cts), al rispetto delle previsioni per l’eventuale raccolta fondi (art. 7 Cts), così come al rispetto del non distribution constraint in forma diretta quanto indiretta (art. 8 Cts). Ulteriormente, l’organo di controllo deve provvedere (iv) all’attestazione che il bilancio sociale sia stato redatto in conformità alle linee guida previste[111] e, non da ultimo, a (v) vigilare sulle norme previste per la costituzione del patrimonio separato, ove previsto, a tutela delle regole di responsabilità patrimoniali così da prevenire comportamenti fraudolenti.

Proprio queste ultime funzioni sottolineano la centralità del nuovo trinomio operativo “controllo interno/trasparenza del funzionamento dell’ente/rapporti fiduciari”, alla base dei legami interni e soprattutto esterni. Le finalità, l’interesse generale, le attività degli ETS, dirette verso l’esterno e depurate delle tradizionali dinamiche volte alla remuneratività dei soci, hanno di fatto indotto il legislatore a ridefinire le competenze degli organi di controllo e vigilanza secondo un’accezione di tutela dei rapporti fiduciari, anche in ragione del percepimento, da parte di tali enti, di benefici, anche fiscali, di risorse pubbliche (fondi, contributi e sovvenzioni) e di finanziamenti anche privati. È a presidio di tali funzioni che sono già state elaborate una serie di norme di indirizzo[112] circa i requisiti di professionalità richiesti per il conferimento e il mantenimento dell’incarico e l’individuazione delle condizioni per l’accettazione del medesimo.

Nasce da tale ultima considerazione la riflessione secondo cui le soglie di cui agli artt. 30 e 31 Cts (attivo dello stato patrimoniale, componenti attive e dipendenti occupati) avrebbero, forse, potuto essere declinate in modo meno appiattito rispetto alle regole operanti per le società e, in particolare, rispetto alla regola in materia di bilancio in forma abbreviata ex art. 2435 bis c.c. prevista per le società per azioni e oggi anche ex art. 2435 ter c.c. in tema di bilancio delle micro-imprese, le quali hanno quale presupposto sempre e necessariamente lo svolgimento di un’attività economica.Diversamente, negli enti del Terzo settore tale vocazione ben può essere presente, ma non necessariamente lo è.

Certamente, il quadro complessivo del Codice del Terzo settore sottende un chiaro disegno in virtù del quale gli ETS che svolgono attività economica in modo stabile e prevalente sono spinti ad assumere la qualifica di impresa sociale, in ragione dell’importante regime fiscale di favor previsto, potendo assumere anche le forme degli enti societari di libro V (con gli adattamenti statutari imposti dal d.lgs. 112/2017).

Al di là di una simile considerazione, peraltro rimessa anche all’approvazione dell’Unione Europea, l’impostazione civilistica del Codice riconosce il possibile carattere imprenditoriale dell’ETS[113], a prescindere dall’ulteriore predetta qualifica di impresa sociale (pur a fronte, in tal caso, di una fiscalità che non riconoscerebbe vantaggio alcuno): in tal senso, il Codice manca di una riflessione più strutturata e generale che distingua le regole applicabili agli enti in ragione del loro carattere erogativo ovvero produttivo e, conseguentemente, dell’applicabilità, almeno in via analogica, di norme societarie in luogo di quelle del libro I, ove giustificate dalle esigenze dell’attività esercitata.

L’art. 3 Cts, infatti, afferma laconicamente che per quanto non previsto si applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile, lasciando spesso l’interprete innanzi a dubbi applicativi di non poco momento giacché gli artt. 11 e 13 Cts richiamano solo due delle regole dello statuto dell’imprenditore (iscrizione nel registro delle imprese e scritture contabili), subordinate al carattere dell’esclusività ovvero della prevalenza dell’esercizio dell’attività esercitata dall’ente in forma di impresa commerciale, mentre numerose sono le norme contenute nella disciplina degli enti di libro V che rappresentano le esigenze di un ente che svolge attività economica (così in tema di regime impugnatorio delle delibere, in tema di bilanci, di competenze assembleari, trasmissibilità della posizione di socio) non declinate e adattate agli ETS. In ragione di ciò le soglie da cui dipende la nomina degli organi preposti ai controlli interni avrebbero, forse, potuto essere rapportate all’effettivo esercizio dell’attività di impresa o al percepimento di un dato importo di fondi pubblici, di compensi attraverso regimi convenzionati o di somme ottenute attraverso la raccolta fondi così da meglio valorizzare la triade “scopo perseguito (quale finalità) - tipo di attività svolta (quale attività di interesse generale) - modalità di svolgimento dell’attività stessa (con quale forma organizzativa)”, in funzione della quale declinare anche regole di governance meglio rispondenti ai diversi bisogni degli enti ed un sistema di trasparenza, accountability e coinvolgimento degli stakeholders meglio rispondenti ai differenti bisogni di conoscenza, comunicazione e controllo tanto interno quanto esterno.

 

5. Gli ETS tipici e l’impresa sociale: cenni

 

Accanto alla tipologia di ente del terzo settore “in generale”, la riforma individua poi alcune tipologie “particolari” di enti del terzo settore, tra di loro alternative[114]: le organizzazioni di volontariato (Odv), le associazioni di promozione sociale (Aps), gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le società di mutuo soccorso e le reti associative.

Per ciascuno dei suddetti enti speciali il Codice detta una disciplina particolare, il cui rapporto con quella generale è regolato dall’art. 3, co. 1 Cts, in base al quale, in primis, la disciplina particolare prevale sulla disciplina generale dell’ente del terzo settore; al contempo la disciplina generale trova applicazione anche per le categorie di enti “speciali” se non derogata dalla specifica disciplina particolare e nei limiti della compatibilità con il tipo di enti in questione, così come peraltro chiarito anche dall’art. 20 del Codice.

Sinteticamente, le organizzazioni di volontariato[115] dovranno necessariamente assumere la forma giuridica dell’associazione, sia essa con o senza personalità giuridica, ed avere una base sociale di almeno 7 persone fisiche o 3 Odv[116], con possibilità di ammettere altri ETS o enti senza scopo di lucro[117] ma in numero non superiore al 50% di Odv[118]. Se successivamente alla costituzione, il numero degli associati diviene inferiore rispetto a quello minimo previsto dalla legge, esso dovrà essere reintegrato entro un anno, decorso il quale l’ente dovrà iscriversi in un’altra sezione del registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), rinunciando quindi alla qualifica di Odv, a pena di cancellazione dal Registro.

In particolare, tra le regole di governance che il Codice del Terzo settore riserva alle Odv – che quindi prevalgono sulle regole generali ripercorse nel paragrafo precedente – è previsto che tutti i componenti dell’organo di amministrazione debbano essere persone fisiche associate[119] ovvero che la carica di amministratore debba essere rivestita dalle persone fisiche indicate dagli enti associati. Sono inoltre previste cause di ineleggibilità e decadenza[120] e totale gratuità delle cariche sociali[121].

Analogamente, le organizzazioni di promozione sociale (Aps)[122], che devono anch’esse assumere la forma dell’associazione e svolgere un’attività di interesse generale in favore di associati, loro familiari o terzi non associati e prevalentemente mediante volontari associati, devono essere costituite da almeno 7 persone fisiche o 3 Aps e possono ammettersi altri ETS o enti senza scopo di lucro ma in numero non superiore al 50% di Aps[123]. Inoltre, è espressamente previsto che non possono assumere le qualifica di Aps i circoli privati e le associazioni comunque denominate che prevedono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati[124] o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale[125].

Tra le nuove categorie di ETS che la riforma ha introdotto spicca sicuramente l’ente filantropico[126], la cui attività di interesse generale consiste nell’erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale, avvalendosi a tal fine principalmente di contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite e raccolta fondi. Diversamente da quanto previsto per Odv e Aps, per gli enti filantropici la forma giuridica da assumersi è alternativamente quella della fondazione ovvero dell’associazione (esclusivamente con personalità giuridica) e non sono previste regole in termini di base associativa o di governance; particolare attenzione è stata, tuttavia, riservata dal legislatore all’obbligo di indicare in statuto i principi guida dell’attività svolta dall’ente e ai contenuti minimi del bilancio sociale, con ciò ponendo il dubbio se la sua redazione debba sempre essere obbligatoria per gli enti filantropici, a prescindere dai requisiti dimensionali richiesti dall’art. 14 Cts (ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori ad 1 milione di euro), in parallelo a quanto previsto per le imprese sociali e per i centri di servizio per il volontariato, per i quali l’obbligo sussiste indipendentemente dalle dimensioni economiche della loro attività[127].

Per le reti associative, volte al coordinamento, alla tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli ETS loro associati e delle loro attività di interesse generale, è prescritta la forma dell’associazione, riconosciuta o non riconosciuta, e l’obbligo di una base associativa di almeno 100 ETS o 20 fondazioni del TS con sede legale o operativa in almeno 5 regioni o province autonome che diventa, in quelle nazionali di almeno 500 ETS o 100 fondazioni del TS con sede legale o operativa in almeno 10 regioni o province autonome.

È inoltre previsto che gli atti costitutivi o gli statuti disciplinano l’ordinamento interno, la struttura di governo e la composizione e funzionamento degli organi sociali nel rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali.

Per le società di mutuo soccorso è, invece, previsto che la base sociale sia costituita da persone fisiche e società di mutuo soccorso i cui soci persone fisiche siano beneficiari delle prestazioni erogate e che tutti gli amministratori debbano essere soci dell’ente stesso.

Infine, come accennato, la nozione di Terzo settore ricomprende al suo interno l’impresa sociale[128], la quale costituisce il modello più spiccatamente imprenditoriale del non profit e a cui sono dettate le specifiche norme del d.lgs. n. 112/2017.

Le regole di proprietà e di controllo (diritto dei soci di far propri gli utili e diritto di gestire e controllare l’ente, per esempio), rapportate alle finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale e alle attività svolte di interesse generale, divengono ancor più centrali nell’impostazione e nella strutturazione delle previsioni del codice per tutti quegli enti a vocazione imprenditoriale che scelgono di richiedere (e ottenere) la qualifica di impresa sociale, in quanto volte a presidio del confine tra il campo dell’impresa sociale e quello dalle forme imprenditoriali del libro V e dei relativi valori socio-economici.

Il legislatore dell’impresa sociale (e del Codice del Terzo settore) ha, infatti, introdotto disposizioni a presidio del perseguimento del bene comune e di innalzamento dei livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, esprimendo un favor per la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona ed i valori della solidarietà e del pluralismo.

Il legislatore ha, in particolare, prescritto limiti di partecipazione al capitale e vincoli sulla natura dei soggetti che vi possono partecipare e detenere il controllo dell’ente, così da evitare la prevalenza assoluta del capitale sui soci e forme di controllo unipersonali. Non possono, infatti, assumere la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati e detti soggetti non possono ricoprire neppure il ruolo della presidenza (è ammesso che possano ricoprire altre cariche sociali ma sempre con il limite che non determinino il controllo sull’ente). Del pari, le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma il controllo di un'impresa sociale[129] (ai sensi dell'articolo 2359 c.c.).

Ulteriormente, con specifico riferimento alle regole di gestione, il d.lgs. dell’impresa sociale individua tre importanti modalità di attuazione della “compartecipazione e cogestione”, con forme ben più marcate rispetto alla disciplina più blanda – che facoltizza ma non obbliga - prevista per gli altri Enti del Terzo settore.

Sotto un primo profilo, infatti, devono essere previste adeguate forme di coinvolgimento di lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati all’attività svolta dall’ente, prevedendo un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale detti soggetti siano posti in grado di esercitare un’influenza sulle decisioni dell'impresa sociale (in particolare sulle questioni che incidono sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni prodotti o dei servizi erogati), di cui deve essere data espressa menzione nel bilancio sociale. Obbligatorio è altresì il rispetto del diritto di voice dei lavoratori e degli utenti, a cui è riconosciuto il diritto di partecipare, anche tramite rappresentanti, all’assemblea degli associati o dei soci. Infine, ma solo al superamento di due dei limiti indicati nel primo comma dell'articolo 2435 bis c.c. ridotti della metà, è previsto il diritto per lavoratori e utenti di nominare almeno un componente sia dell’organo di amministrazione che dell’organo di controllo[130].

La normativa dell’impresa sociale è volta quindi, complessivamente, alla valorizzazione delle logiche dell’economia sociale, nel tentativo di evitare un appiattimento della stessa sulle regole dell’economia capitalistica: “al di là degli obblighi legislativi, il coinvolgimento di lavoratori ed utenti nella gestione può essere una scelta organizzativa capace di riflettersi positivamente sull’attività di interesse generale e sulla sua qualità, e dunque, in ultima analisi, sul successo dell’ente del Terzo settore. Infatti, alla pari del divieto di scopo di lucro, è in grado di accrescere la fiducia nell’ente che eroga o produce il servizio. La partecipazione degli associati (o degli aderenti in una fondazione di partecipazione), invece, consente una più ampia valutazione e ponderazione degli interessi coinvolti, soprattutto quando gli associati (o gli aderenti) siano anche utenti o beneficiari (anche indiretti) dell’attività di interesse generale, ed evita derive dirigistiche, che possono realizzarsi quando gli amministratori dell’ente operino in eccessiva “solitudine”, potendo in questo caso verificarsi pericolose deviazioni dal perseguimento dello scopo istituzionale dell’ente. In questo senso, coinvolgimento e partecipazione degli stakeholder rafforzano il profilo delle finalità dell’ente del Terzo settore”[131].

In conclusione, le scelte compiute dal legislatore della riforma in tema di organizzazione degli enti del Terzo settore sono la traduzione di quell’idea secondo cui attività e governance sono profili indissolubilmente collegati tra loro tanto che, come è stato puntualmente osservato il legislatore della riforma, consapevole di ciò, non si è limitato ad identificare gli enti del Terzo settore, ma, per l’appunto, “li ha altresì sottoposti a specifiche regole di governance al fine di rendere la loro struttura organizzativa il più possibile coerente con le finalità istituzionali e capace di favorirne il conseguimento”[132].

 

 

Abstract: The paper analyzes the governance rules provided for associations and foundations by the Third Sector Code and investigates their possible problematic profiles, also in light of the rules provided for by business law.

 

 

Keywords: Associations, Foundations, Third sector, Non-Profit, Reform, Non-Profit Organizations, Governance.


* Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (veronica.montani@unicatt.it).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review ed è destinato al Formulario Notarile Commentato, Gli enti del Libro I e del Terzo settore, diretto da G. Petrelli, a cura di M. Avagliano-M. Iannaccone.

[1] Seppure non sono mancati rilievi parzialmente critici in merito che convergono, ad ogni modo, nel ritenere applicabili agli enti di fatto le norme dettate sul contratto in quanto compatibili: per tutti, F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati: artt. 36-42 c.c., in Commentario Scialoja-Branca, Libro I, Delle persone della famiglia, Bologna-Roma, 1976, p. 6; Id., Delle persone giuridiche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 2006, p. 1. Imprescindibili, poi, D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, p. 27; F. Ferrara, Le persone giuridiche (con note di F. Ferrara Jr.), in Trattato Vassalli, II, 2, Torino, 1956, p. 9; G. Volpe Putzolu, La tutela dell’associato in un sistema pluralistico, Milano, 1977, p. 138; P. Rescigno, Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Padova, 1987; M. Eroli, Le associazioni non riconosciute, Napoli, 1990; An. Fusaro, L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991; R. Di Raimo, Le associazioni non riconosciute, Napoli, 1996; M.V. De Giorgi, Le persone giuridiche in generale, in Trattato Rescigno, 2, I, Torino, 1982 (e poi 2 ed. 1999), p. 293; Id., Il nuovo diritto degli enti senza scopo di lucro: dalla povertà delle forme codicistiche al groviglio delle leggi speciali, in Riv. dir. civ., I (1999), p. 293, e ora in Id., Enti del primo libro e del Terzo settore. Ventun scritti fra due secoli, Pisa, 2021, p. 29; M. Basile, Gli enti di fatto, in Trattato Rescigno, 2, I, Torino, 1982, 273 e poi 2 ed. 1999 e ora anche ed. 2021; Id., Le persone giuridiche, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2014; M. Costanza, I soggetti: gli enti non commerciali, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale notariato, II, 2, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2012.

[2]Si v., per tutti M.V. De Giorgi, Le organizzazioni collettive, in Diritto civile, I, 1, N. Lipari, diretto da P. Rescigno, Milano, 2009, p. 335; M. Basile, Le persone giuridiche, cit., passim; M. Costanza, I soggetti, cit., passim. Sia consentito un richiamo a V. Montani, Sub art. 36 c.c., in Le associazioni non riconosciute, a cura di G. Ponzanelli, in Il codice civile. Il Commentario, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2016, p. 31.

[3] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., pp. 6-30, 136, 180; Id., Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, 1996, pp. 65 ss.

[4] M. Tamponi, Persone giuridiche, Artt. 11-35 c.c., in Il codice civile. Il Commentario, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2018, pp. 117, 204, 279, 346 richiama l’attuale centralità del modello societario; si v. altresì G. Ponzanelli, Gli enti senza scopo di lucro, Torino, 2000, p. 130, nonché, con specifico riferimento ai temi dell’attività economica, si v. G. Marasà, Le società senza scopo di lucro, Milano, 1984, p. 120; Id., Contratti associativi e impresa, Padova, 1995, p. 145; D. Preite, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988, p. 322, nonché A. Carrabba, Scopo di lucro e autonomia privata. La funzione nelle strutture organizzative, Napoli, 1994; V. Barba, Associazione, fondazione e titolarità d’impresa, Napoli, 1996; A. Cetra, L’impresa collettiva non societaria, Torino, 2003; Id., Gli enti non societari titolari di impresa, in Analisi giur. econ., 1 (2014), p. 68 e ampiamente, La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni: riforma del diritto societario e enti non profit, a cura di A. Zoppini-M. Maltoni, Padova, 2007.

[5]Si v., per tutte, Cass., 23 gennaio 2007, n. 1476, in leggiditaliaprofessionale.it nonché, in particolare, in tema di invalidità e sospensione delle delibere,Trib. Genova, 10 aprile 2017, in Nuova giur. civ. comm., I (2017), p. 871; Cass., 13 giugno 2008, n. 16017, in leggiditaliaprofessionale.it; Trib. Milano, 7 giugno 1990, in Giur. it., I, 2 (1991), p. 96; nonché in tema di soggetti legittimati alla predetta azione si v. Cass., 10 maggio 2011, n. 10188, in leggiditaliaprofessionale.it e la più recente Cass., 30 settembre 2019, n. 24214, in Nuova giur. civ. comm., I (2020), p. 227.

[6]L’applicabilità agli enti associativi dell’art. 2201 c.c. è stata sostenuta inizialmente da W. Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948, p. 86, e poi ripresa da F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., p. 100.

[7] Per tutti, A. Cetra, L’impresa collettiva non societaria, cit., passim; Id., Enti del Terzo settore e attività di impresa, in Riv. dir. soc., 4 (2019), pp. 671 ss.

[8]Specificamente sull’ammissibilità della trasformazione da associazione in fondazione si v. An. Fusaro, Trasformazioni e fusioni tra enti non profit, in La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni, Quaderni della Fondazione Italiana per il notariato, Milano, 2011, pp. 94, 147; M.V. De giorgi, Le vicende estintive e modificative degli enti, in Le persone giuridiche, cit., pp. 375, 435; A. Zoppini, La disciplina delle associazioni e delle fondazioni dopo la riforma del diritto societario, in La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni,  a cura di A. Zoppini-M. Maltoni, Padova, 2007, p. 1.

In merito all’art. 42 bis c.c. si v. F. Magliulo, Trasformazione, fusione e scissione degli enti non profit dopo la Riforma del Terzo settore, in Riv. notariato, 1 (2018), p. 29; An. Fusaro, Trasformazioni, fusioni, scissioni degli enti del Libro primo del Codice civile e del Terzo settore, in La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale, a cura di A. Fici, Napoli, 2018, p. 447; A. Cetra, Le operazioni straordinarie negli enti del Terzo settore, Relazione al Convegno tenutosi a Genova il 6 aprile 2019 dal titolo “Enti del Terzo settore e impresa sociale: la nuova disciplina”;M. Bianca, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del Terzo settore, in Il codice del Terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, a cura di M. Gorgoni, Pisa, 2018, ed ora, 2 ed., 2021, pp. 137 ss.

[9] A. Fici, L’impresa sociale e le altre imprese del Terzo settore, cit., p. 19; V.M. Marcelli, L’ente del Terzo settore e l’esercizio dell’attività d’impresa, in La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, cit., pp. 123 ss.; M. D’ambrosio, Impresa e modelli organizzativi degli enti del Libro I del codice civile: note preliminari al Codice del Terzo settore, in Regolazione, attività e finanziamento delle imprese sociali. Studi sulla riforma del Terzo settore in Italia, F. Cicognani, a cura di F. Quarta, Torino, 2018, pp. 63 ss. nonché, più ampiamente, G.D. Mosco, L’impresa non speculativa, in Giur. comm., 2 (2017), pp. 216 ss.

[10] M. Tamponi, Persone giuridiche, cit., p. 111; Id., Introduzione, in La riforma del c.d. Terzo settore e l’imposizione fiscale delle liberalità indirette, Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano 2017, p. 11 che discorre di “progressiva affermazione della fungibilità funzionale fra figure associative del libro primo e quinto del codice civile”, in una “marcia di avvicinamento disciplinare profit e non-profit”.

Si v. anche A. Carrabba, Fondazione e interessi del fondatore: neutralità della “forma” e regolamentazione codicistica, in Autonomia privata e strutture organizzative. Enti del libro primo del codice civile e Terzo settore, a cura di F. Rossi, Napoli, 2019, pp. 21 ss. e, più ampiamente, M. Costanza, Enti non commerciali. Dall’atipicità strutturale alla tipicità funzionale, sempre in, Autonomia privata e strutture organizzative. Enti del libro primo del codice civile e Terzo settore, cit., pp. 3 ss.

[11] A. Fici, L’impresa sociale e le altre imprese del Terzo settore, cit., p. 19.

[12] G. Marasà, Enti del Libro primo ed attività di impresa: problemi di disciplina, Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 22 giugno 2017 presso l’Università Luiss dal titolo “La riforma del c.d. Terzo settore” per primo ha discorso di societarizzazione del Terzo settore; in senso analogo anche C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, in Riv. soc., 1 (2019), p. 62 e An. Fusaro, Gli enti del Terzo settore nel codice introdotto dalla riforma, in Liber amicorum Pietro Rescigno, I, Napoli, 2018, p. 855.

Il tema del rapporto tra riforma del Terzo settore e diritto societario è ampiamente indagato da C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., p. 62; C. Amato, Ordinamento e amministrazione, in, Il codice del Terzo settore, cit., pp. 215 ss. e ivi da A. Nervi, Controlli interni e responsabilità, p. 427 che nei rispettivi contributi analizzano la compatibilità delle norme di libro V con le trasposizioni del d.lgs. 117/2017 e, altresì, le regole di libro I applicabili nel silenzio del Codice del Terzo settore. Si v. inoltre M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, in Riv. soc., 2 (2019), p. 393.

[13] M. Tamponi, Persone giuridiche, cit., p. 111.

[14] Possono assumere la qualifica di ETS le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali (incluse le cooperative sociali), le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore. Senza pretese di esaustività, si v. A. Fici, Enti del Terzo settore: nozione, requisiti e tipologie, in Gli enti del Terzo settore. Lineamenti generali, a cura di A. Bassi, Napoli, 2020, pp. 119-142; E. Quadri, Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., II (2018), p. 708; G. Marasà, Appunti sui requisiti di qualificazione degli enti del Terzo settore: attività, finalità, forme organizzative e pubblicità, in Nuove leggi civ. comm., 3 (2018), p. 675; M. Ceolin, Il c.d. codice del Terzo settore: un’occasione mancata?, ivi, (2018), p. 1; C. Granelli, Impresa e Terzo settore: un rapporto controverso, in Juscivile, 6 (2018), p. 21; L. Bozzi, Il codice attuativo della riforma del Terzo settore. Profili ricostruttivi e spunti problematici, in Osservatorio dir. civ. comm., 1 (2019), pp. 19 ss; M.V. De Giorgi, Terzo settore. Il tempo della riforma, in Studium iuris, 2 (2018), p. 139; G. Ponzanelli, La nuova categoria degli enti del Terzo settore: alcune considerazioni introduttive, in Il codice del Terzo settore, cit., pp. 1 ss.; Id., La riforma del Terzo settore, in M. Schirippa (a cura di), Il Terzo settore e la stella del no profit, Napoli 2019, pp. 431 ss.; G. Ponzanelli, V. Montani, Dal “groviglio di leggi speciali” al Codice del Terzo settore, in La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, cit., pp. 31 ss., nonché in Analisi giur. dell’economia, (2018), pp. 3 ss. i contributi di R. Costi, Le linee portanti dell’ordinamento del Terzo settore; A. Fici, L’impresa sociale e le altre imprese del Terzo settore; S. Poledrini, E. Tortia, L’impresa sociale italiana nella prospettiva economico-manageriale, G.D. Mosco, Scopo e oggetto nell’impresa sociale e nella società benefit; G. Bevivino, La responsabilità sociale delle imprese fra autonomia privata, nuovi obblighi di legge e prospettiva rimediale; nello speciale Non profit, (2017), pp. 1 ss. i contributi di F. Pacini, L’impianto del codice del Terzo settore; M. Consorti, La nuova definizione giuridica di Terzo settore; V. Tondi Della Mura, Riforma del Terzo settore e principio di sussidiarietà; M.V. De Giorgi, Autorità e libertà nella riforma del Terzo settore; A. Propersi, L’ibridazione della normativa e dei comportamenti nelle aziende profit e non profit e A. Bassi, L’impatto della riforma del Terzo settore sulla società, G. Donadio, La disciplina generale delle associazioni e delle fondazioni del Terzo settore; Id., La destinazione patrimoniale nel codice del Terzo settore, E. Vivaldi, Il Registro Unico del Terzo Settore, M. Tagliabue, Le diverse tipologie di enti del Terzo settore.

Tra i contributi monografici si segnalano in particolare A. Mazzullo, Il nuovo codice del Terzo settore, Torino, 2017; Il Codice del Terzo settore, cit.; La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, a cura di A. Fici, Napoli, 2018; Id., Un diritto per il Terzo settore. Studi sulla riforma, Napoli 2020; A. Fici-E. Rossi-G: Sepio-P. Venturi, Dalla parte del Terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Bari, 2020; Il Terzo settore. Profili critici della riforma, a cura di D. Di Sabato-O. Nocerino, Napoli, 2019; Il codice del Terzo settore. Commento al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 e ai decreti attuativi, a cura di F. Donat-F. Sanchini, Milano, 2019.

[15] L. Gori, Il sistema delle fonti nel diritto del Terzo settore, in www.osservatoriosullefonti.it, 1 (2018), pp. 17 ss.

[16] In tal senso gli artt. 30 e 31 Cts ma, altresì, nella direttiva della graduazione si pongono anche gli artt. 13 e 14 Cts, per esempio, in tema di scritture contabili e bilancio.

[17] Il tema è indagato ampiamente da C. Amato, Enti del Terzo settore: ordinamento e amministrazione, cit., spec. p. 182; C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 62 ss.; Id., La pubblicità degli enti del Terzo settore, in Riv. dir. civ., (2019), pp. 622 ss.; A. Nervi, Controlli interni e responsabilità, cit., pp. 427 ss.

Si v. altresì G. Marasà, Imprese sociali, altri enti del Terzo settore, società benefit, Torino, 2019, nonché sui temi della responsabilità degli amministratori A. Mignozzi, La responsabilità civile degli amministratori degli enti del Terzo settore. Profili ricostruttivi, in Autonomia privata e strutture organizzative. Enti del libro primo del Codice civile e Terzo settore, a cura di F. Rossi, Napoli, 2019 pp. 107 ss.; Id., L’assenza di un regime di responsabilità dell’organo gestorio negli enti del Terzo settore. Mero rinvio o disciplina sui generis?, in Contr. impr., 3 (2019),  p. 3; G. Barillà, La responsabilità degli amministratori di fondazioni tra diritto societario e Codice del Terzo Settore, in Riv. soc., 5-6 (2019), pp. 1046 ss; Id., Poteri di gestione e poteri di rappresentanza degli amministratori di enti non profit. Tra Codice del Terzo settore e diritto societario, Torino, 2020; F. Gennari, La responsabilità degli amministratori degli enti non profit nella riforma del Terzo settore, in Regolazione, attività e finanziamento delle imprese sociali. Studi sulla riforma del Terzo settore in Italia, a cura di F. Cicognani, F. Quarta, Torino, 2018, pp. 75 ss.

[18] D. Poletti, Costituzione e forme organizzative, in Il codice del Terzo settore, cit., 203.

[19] In generale sul tema delle fondazioni di partecipazione si v. E. Bellezza-F. Florian, Fondazioni di partecipazione, Piacenza, 2006; M. Gorgoni, Le fondazioni di partecipazione, in Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro, a cura di L. Bruscuglia-E. Rossi, Milano, 2002, p. 523; F. Greco, La moda delle fondazioni di partecipazione, in Non profit, 2 (2009), p. 107.

Particolarmente interessanti le osservazioni di M. Maltoni, L’organizzazione delle fondazioni del Terzo settore, in Biblioteca on line Fondazione del Notariato. Atti del convegno tenutosi a Genova il 6 aprile 2019 dal titolo “Enti del Terzo settore e impresa sociale: la nuova disciplina relative all’individuazione dei profili di compatibilità delle norme associative con il modello fondazionale e, più in particolare, con quello di partecipazione: l’A. richiama gli studi di A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, passim.Sul tema si v. anche M. Romano, I limiti all'autonomia statutaria nelle fondazioni di partecipazione alla luce della riforma del Terzo settore, in Nuove leggi civ. comm., 2 (2019), p. 345.

[20] M. Costanza, Le associazioni del Terzo settore private dell'autonomia privata, in Vita not., 3 (2018), p. 1013.

[21] Cons. Stato, comm. spec., 14 giugno 2017, n. 1405.

[22] Il riferimento, per tutti, è a M.V. De Giorgi, Il nuovo diritto degli enti senza scopo di lucro: dalla povertà delle forme codicistiche al groviglio delle leggi speciali, cit., p. 287.

[23] Così C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., spec. p. 182.

[24] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., pp. 183, 184.

[25] Così art. 4, lett. d) l. 6.06.2016, n. 106.

[26] Ancora C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 196. Sul tema si v. anche G.D. Mosco, L’organizzazione degli enti del Terzo settore tra codice civile, leggi speciali e autonomia privata. Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 2021 presso l’Università Luiss dal titolo La governance degli enti del Terzo settore dopo la riforma e ora pubblicata in Luiss Law Rev., 1 (2022), p. 72.

[27] Per tutti F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, cit., pp. 37 ss.

In senso critico circa l’opportunità di un riferimento massivo alle norme delle società cooperative e circa le differenze caratterizzanti associazioni e enti cooperativi si v. M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., pp. 393 ss.

[28] Ampiamente M. Tamponi, Soci e assemblea, Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 2021 presso l’Università Luiss dal titolo La governance degli enti del Terzo settore dopo la riformariforma e ora pubblicata in Luiss Law Rev., 1 (2022), p. 85.

Sui temi della democraticità interna, di cui il principio della porta aperta e del voto capitario sono esplicazione, si v. diffusamente E. Tuccari, La disciplina "democratica" delle associazioni non riconosciute fra codice del Terzo settore e codice civile, in Resp. civ. prev., 2 (2019), pp. 438 ss., il quale si interroga, peraltro, giungendo ad un giudizio negativo, sulla possibile vis espansiva delle regole di democraticità e porta aperta del Codice del Terzo settore rispetto agli enti non profit estranei al perimetro del Codice stesso.

[29] Ampiamente C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., pp. 213-216.

[30] C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 63 ss. Sul punto si v. anche R. Caprioli, L'annullabilità delle deliberazioni assembleari delle associazioni e l'art. 23 c.c., in Contr. impr., 1 (2004), pp. 53 ss.; M. Tamponi, Persone giuridiche, cit., pp. 362 ss.; F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., p. 233.

[31] A. Mignozzi, La responsabilità civile degli amministratori degli enti del Terzo settore. Profili ricostruttivi, cit., pp. 107 ss.; Id., L’assenza di un regime di responsabilità dell’organo gestorio negli enti del Terzo settore. Mero rinvio o disciplina sui generis?, cit., p. 3; C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 63 ss.; G. Barillà, La responsabilità degli amministratori di fondazioni tra diritto societario e Codice del Terzo settore, cit., pp. 1046 ss; Id., Poteri di gestione e poteri di rappresentanza degli amministratori di enti non profit. Tra Codice del Terzo settore e diritto societario, cit.; F. Gennari, La responsabilità degli amministratori degli enti non profit nella riforma del Terzo settore, cit., pp. 75 ss.

[32] Per quando riguarda la responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente, si deve osservare come la stessa sia arricchita da profili ulteriori e peculiari nel contesto degli enti del Terzo settore. Si pensi, al necessario e concreto perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all’art. 4 Cts, al contestuale svolgimento delle attività d’interesse generale previste dall’art. 5 Cts, al puntuale rispetto del vincolo di non distribuzione diretta e indiretta della ricchezza raccolta e prodotta, secondo le previsioni dell’art. 8 Cts, al rispetto dei requisiti di secondarietà e strumentalità delle attività economiche eventualmente esercitate ai sensi dell’art. 6 Cts, alla verifica che le raccolte fondi siano effettuate secondo i canoni posti dall’art. 7 Cts, alla redazione della documentazione contabile (comprensiva della relazione di missione e, ove richiesto del bilancio sociale) effettuata secondo le norme della riforma e della regolamentazione secondaria ivi prevista, nonché, all’inquadramento dell’ente a fini tributari: così circolare CNDCEC “Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative - III versione 28 luglio 2021”, p. 80.

[33] Il richiamo alla lesione subita dal fondatore o dagli associati da parte degli amministratori necessita una lettura degli articoli richiamati alla luce del contesto del Terzo settore in cui detti soggetti non possono subire perdite o mancati guadagni, giacchè si tratta di enti che per definizione non distribuiscono utile o ritorni di natura economica (fatta eccezione per le imprese sociali costituite in forma societaria). Si tratterà dunque di valutare la possibilità, per fondatori e associati, di configurare una lesione del danno non patrimoniale, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.

[34] Circolare CNDCEC “Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative”, cit., 81 osserva come “i terzi nei confronti dei quali gli amministratori di ETS potrebbero essere chiamati a rispondere potranno invece corrispondere con i destinatari delle attività di interesse generale statutariamente perseguite, che tuttavia appaiono di difficile individuazione nel caso appartengano ad una collettività indifferenziata di beneficiari, tutti portatori di un medesimo interesse diffuso”. Il tema appare di estremo interesse, in particolare, in considerazione dei soggetti destinatari delle prestazioni erogate dall’ente e dei soggetti stakeholders eventualmente coinvolti nell’ente o dall’ente. Rispetto al coinvolgimento degli stakeholders si v. M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., p. 393; A. Fici, La nuova disciplina dell'impresa sociale nella prospettiva dei suoi diversi stakeholders, in Impr. Soc., 11 (2018), pp. 7 ss.; M. Palmieri, La «corporate governance» delle imprese sociali riformate. Dal «multistakeholder approach» verso la «Mitbestimmung», in Analisi giur. economia, 1 (2018), p. 125 nonché sul più ampio rapporto tra impresa e stakeholders, C. Angelici, A proposito di shareholders, stakeholders e statuti, in Riv. dir. comm. e dir. obbl., II (2021), p. 213; Marchegiani, Riflessioni su informazione non finanziaria, comunicazione d’impresa e fiducia degli stakeholders, in Osservatorio dir. civ.  comm., 1 (2021), p. 105; L. Ventura, "If not for profit, for what?" Dall'altruismo come "Bene in sè" alla tutela degli stakeholder nelle società lucrative, in Riv. dir. comm. e dir. obbl., I (2018), p. 545.

[35] Sul punto C. Amato, L’ente del Terzo settore, cit., p. 220; C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 63 ss. nonché sul rapporto tra art. 38 c.c. e art. 28 Cts si v. M. Barela, Capacità di obbligare il fondo comune e responsabilità patrimoniale: note sull'art. 38 c.c., in Ianus, 19 (2019), p. 251; P. Sanna, L'art. 38, seconda parte, c.c.: ermeneusi consolidate e profili di innovazione alla luce della disciplina degli enti del terzo settore, in Resp. civ., 4 (2020), p. 1241.

[36]E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche sulla disciplina ‘democratica’ delle associazioni del Terzo settore, in Arch. giur. online, 1 (2022), spec. pp. 23-26.

[37]E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., spec. p. 26.

[38]Nota n. 3877 del 19 marzo 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in merito ai limiti del sindacato degli uffici preposti circa gli adeguamenti statutari al d.lgs. 117/2017 effettuati da enti iscritti ai registri regionali nelle more dell’attivazione del RUNTS. Sul punto, cfr. M. Renna, Il controllo degli Uffici del RUNTS e gli adeguamenti statutari, in http://terzjus.it/articoli/note-e-commenti/il-controllodegli-uffici-del-runts-e-gli-adeguamenti-statutari(28 aprile 2022).

[39]Fatta salva la possibilità per il pubblico dipendente, previa motivazione, di non ottemperare all’ordine, e dell’eventuale illegittimità, per eccesso di potere, dell’atto amministrativo esterno contrastante con esse): sia concesso ancora il richiamo a E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., pp. 23 ss. a cui si rimanda altresì per gli ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali (spec. note 33, 34, 36).

[40] M.V. De Giorgi, Autorità e libertà nella riforma del Terzo settore, in Non profit paper, I (2017), pp. 63 ss. e ora in Id., Enti del primo libro e del terzo settore. Ventun scritti fra due secoli, Pisa 2021, spec. p. 342; M. Costanza, Le associazioni del Terzo settore private dell’autonomia privata, in Vita not., 3 (2018), p. 1013.

[41]Si v. ampiamente, M.V. De Giorgi, Integrare, ma dove? Enti senza fissa dimora, in

Nuova giur. civ. comm., II (2019), p. 1069 ss. e ora in M.V. De Giorgi, Enti del primo libro e del terzo settore. Ventun scritti fra due secoli, cit., pp. 361 ss.

[42]Non può, in verità, tralasciarsi il ruolo delle Corti tributarie e dell’Agenzia delle Entrate: ex art. 94 Cts, quest’ultima è infatti individuata, ex pluribus, quale soggetto investito dei controlli esterni (ex post rispetto all’iscrizione nel Runts) nei confronti degli enti del Terzo settore. In particolare, l'oggetto del controllo operato dall'Amministrazione finanziaria può estendersi al controllo del rispetto di tutti gli articoli richiamati nel suddetto art. 94 Cts (8, 9, 13, 15, 23 e 24 Cts), che includono sia profili di carattere fiscale (i.e., la prevalenza delle entrate qualificate come commerciali rispetto a quelle istituzionali e la loro separata indicazione in contabilità) ma anche profili di natura civilistico-amministrativa (i.e, la mancata partecipazione democratica degli associati alla vita associativa, la non corretta redazione dell'atto costitutivo e dello statuto, la distribuzione, anche indiretta, di utili, la mancata tenuta dei libri sociali obbligatori, la convocazione dell'assemblea con modalità non idonee a garantire la più ampia partecipazione dei soci).

Per espressa previsione normativa (art. 94, co. 2 Cts), l'atto di accertamento, qualora divenuto definitivo, deve essere trasmesso dall'Amministrazione finanziaria all'Ufficio del Runts e quest’ultimo, innovativamente rispetto alla normativa di cui al d.lgs. 4 dicembre 1990, n. 460 (c.d. decreto ONLUS), è l’unico soggetto deputato alle attività di iscrizione, cancellazione, variazione degli ETS iscritti (art. 94, co. 3 Cts). Ne potrebbero derivare dunque paradossali ipotesi di valutazioni divergenti da parte dei due organi preposti al controllo, giacchè, come ricordato, ai sensi dell'art. 94 Cts, l'Amministrazione Finanziaria può verificare anche ambiti diversi da quelli squisitamente fiscali, dovendo però rimettere ogni valutazione circa il possesso dei requisiti in capo all’ente per il mantenimento dell’iscrizione nel Registro al Runts stesso.

[43] D. Poletti, Costituzione e forme organizzative degli enti del Terzo settore, in Il codice del Terzo settore, cit., spec. p. 227.

[44] Sui temi della democraticità si v., per tutti, F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., pp. 188 ss.; Id., Delle persone giuridiche, cit., pp. 233 ss.; G. Volpe Putzolu, La tutela dell’associato in un regime pluralistico, cit., p. 92; D. Vincenzi Amato, Associazione e tutela dei singoli, Napoli, 1984, pp. 182 ss. e sia concesso il richiamo alla bibliografia citata in V. Montani, Sub art. 36, in Le associazioni non riconosciute, cit., pp. 87 ss.

Sui profili della democraticità rapportata agli enti del Terzo settore si v. in particolare, C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 182; E. Tuccari, La disciplina democratica delle associazioni non riconosciute fra codice del Terzo settore e codice civile, cit., pp. 438 ss.

[45] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., pp. 184 ss.

[46] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., pp. 152 ss.; Id., Delle persone giuridiche, cit., pp. 277-278; M.V. De Giorgi, Le persone giuridiche in generale. Le associazioni. Le fondazioni, cit., p. 360; M. Basile, Gli enti di fatto, cit., p. 291; P. Rescigno, Il principio di uguaglianza nel diritto privato, in Persone e Comunità, Padova, 1987, pp. 335 ss.; M. Tamponi, La governance degli enti del Terzo settore dopo la riforma: i soci e l’assemblea, cit., p. 90.

[47]Il tema assume altra connotazione al di fuori dell’ambito del Terzo settore tanto che ampia dottrina ha argomentato la legittimità di associazioni anche a struttura oligarchica, di ammissibilità di clausole selettive circa l’ammissione di nuovi associati e di legittimità di poteri e diritti differenziati tra diversi associati: sia consentito un richiamo alla bibliografia citata in V. Montani, Sub art. 36 c.c., in, Le associazioni non riconosciute, a cura di G. Ponzanelli, in Il codice civile. Il Commentario, fond. da P. Schlesinger, dir. da F.D. Busnelli, Milano, 2016, pp. 67 ss.

Lo specifico tema delle clausole di ammissione è di particolare attualità alla luce dalle cronache del Circolo Aniene che a inizio del mese di aprile ha modificato il suo storico statuto, che limitava l’adesione ai solo uomini, consentendo quindi ora anche alle donne di poter avanzare richiesta di divenirne associate. La vicenda, in quell’occasione divenuta oggetto di contesa giudiziaria, ricorda quella del Rotary Club del 1987, in cui la Corte Suprema statunitense dichiarò illegittime clausole limitative del diritto di adesione ad un’associazione in ragione del sesso: Rotary Club of Duarte 481 U.S. 537 (1987).

[48] Così espressamente la nota n. 1309 del 6 febbraio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con espresso riferimento all’ulteriore e più specifico requisito indicato dall’art. 35, co. 2 Cts che tuttavia risulta valevole, nelle sue linee di indirizzo, anche in relazione ai requisiti di ammissione di cui all’art. 21 Cts. In particolare, al Ministero veniva chiesto se «un’associazione di promozione sociale debba, in relazione all’ammissione di nuovi associati, vedersi precluso ogni potere discrezionale nella fissazione dei criteri di ammissione stessi» e, in particolare, se «un’APS possa darsi delle ‘semplici regole oggettive’ a garanzia dell’onorabilità o della serietà dell’associazione», come, per esempio, «la richiesta della maggior età o di un determinato titolo di studio o della cittadinanza italiana, oppure che non vi siano condanne penali, oppure ancora che l’aspirante associato non si sia posto in posizioni diffamatorie individualmente o in altri gruppi nei confronti dell’APS cui desidera accedere». Sul punto ampiamente E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., pp. 5 ss.

[49] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 187.

[50]E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., spec. p. 7 ss.

[51] Ancora nota n. 1309 del 6 febbraio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[52] M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., pp. 393 ss.

[53] Il tema è ampiamente dibattuto con riferimento alle società cooperative: cfr. A. Chieffi, Sub. art. 2528 c.c., in Società cooperative, a cura di G. Presti, Milano 2006, spec. pp. 251-252; G. Bonfante, Sub art. 2528 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, III, Torino 2004, p. 2503; E. Toninelli, Sub. art. 2528 c.c., in M. Sandulli, V. Santoro, La riforma delle società. Società per azioni, IV, Torino, 2003, p. 103, nonché A.E. Fabiano, L’ammissione di nuovi soci e la circolazione della partecipazione nelle imprese cooperative tra salvaguardia della mutualità e promozione delle istanze lucrative, in I battelli del Reno-Rivista on line, 30 dicembre 2017 (2017), pp. 3 ss. a cui si rimanda per l’ampia bibliografia.

[54] Circolare n. 20 del 27 dicembre 2018 del Ministero e delle Politiche Sociali.

[55] E. Tuccari, La disciplina democratica delle associazioni non riconosciute fra Codice del Terzo settore e codice civile, cit., p. 446 che analizza diffusamente i profili del diritto di voto e dell’inderogabilità del voto capitario.

[56] La nota n. 18244 del 30 novembre 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali affronta il tema dell’ammissibilità (o meno) delle previsioni statutarie che introducono categorie di soci con diritti limitati, operando, a tal fine, un distinguo tra le ipotesi di differenziazioni basate sul diritto di voto attivo e quelle basate sul diritto di voto passivo. Così, da un lato, l’incomprimibilità del diritto di espressione della propria partecipazione attività alla vita dell’ente comporterebbe una totale inammissibilità di previsioni volta a introdurre categorie di soci prive o limitate proprio del diritto di voto attivo. Diversamente, eventuali limitazioni al diritto di concorrere a ricoprire cariche associative non possono di per loro dirsi in contrasto con i principi di pari opportunità ed eguaglianza: ne consegue una valutazione di legittimità di eventuali limitazioni al diritto al voto passivo (si pensi, per esempio, a casi di incapacità di agire del candidato; a situazioni ostative di ineleggibilità e/o di decadenza ex art. 2382 c.c.; a previsioni di requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, secondo quanto ammesso dallo stesso Codice del Terzo settore ex art. 26, co. 3) nell’ipotesi e nella misura in cui queste “siano volte al miglior assolvimento dei compiti e delle funzioni connesse all’incarico ed assistite dai canoni della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’adeguatezza (…) (e) non finiscano con il riservare di fatto l’accesso alle cariche sociali (e, quindi, alla gestione dell’associazione) soltanto a una ‘rosa’ ridotta di soggetti predeterminati o predeterminabili, così da precludere ogni realistica possibilità di ricambio interno”: così E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., spec. pp. 19-20). Diversamente, ove simili limitazioni trovino declinazione in relazione a specifiche ed intere categorie di associati – e non in ragione di situazioni o specifici requisiti valevoli trasversalmente per tutti gli associati – esse non risultano ammissibili. 

[57] Per tutti, G. Ponzanelli, Gli enti senza scopo di lucro, cit., e sia altresì consentito, con riferimento alla specifica ipotesi delle associazioni non riconosciute alla bibliografia in V. Montani, Sub art. 37, in Le associazioni non riconosciute, cit., pp. 187 ss.

[58] Un’ulteriore eccezione rispetto al voto capitario è rappresentata dall’esclusione in capo agli amministratori, anche ove siano associati, del voto nelle ipotesi in cui l’assemblea deliberi sulla loro responsabilità. Sul punto si rinvia alle considerazioni più articolate formulate da C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., spec. pp. 207, 208.

Inoltre, l’applicabilità dell’art. 21 del Codice civile per le associazioni riconosciute renderà impossibile per gli associati che fossero anche amministratori partecipare alle deliberazioni di approvazione del bilancio. Questo significa che non sarà possibile avere ETS in cui le figure di amministratori ed associati si sovrappongono in modo perfetto”: così circolare CNDCEC“Elementi professionali e criticità applicative, cit., p. 77.

[59] In tema di direzione, coordinamento e controllo, si v. nota n. 2243 del 4 marzo 2020 in cui si afferma come, “in mancanza di un’espressa disciplina contenuta nel d.lgs. n. 117/2017, trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme del codice civile. In virtù di tale disposizione, si deve in primo luogo prendere in considerazione l’art. 2359 c.c.”.

[60] Le suddette ipotesi sono invece normativamente escluse in relazione all’impresa sociale, per la quale, l’art. 4, co. 3 d.lgs. 112/2017 statuisce che “le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche […] non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile”. Inoltre, a completamento del suddetto divieto si pone l’art. 7, co. 1 in base al quale la nomina della maggioranza dei componenti dell'organo di amministrazione è riservata all'assemblea degli associati o dei soci dell'impresa sociale e co. 2 per cui “non possono assumere la presidenza dell'impresa sociale i rappresentanti degli enti di cui all'articolo 4, comma 3”.

[61] Ciascun associato può rappresentare sino ad un massimo di tre associati nelle associazioni con un numero di associati inferiore a cinquecento e di cinque associati in quelle con un numero di associati non inferiore a cinquecento. Per espresso richiamo dei co. 4 e 5 dell’art. 2372 c.c., la delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre revocabile nonostante ogni patto contrario ed il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. Inoltre, nelle ipotesi in cui la rappresentanza sia conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore e non anche ai membri degli organi amministrativi o di controllo.

[62] Sul punto, si v. nota n. 5093 del 30 maggio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali relativa all’applicabilità del limite di raccolta di deleghe con riferimento ad enti associativi di dimensioni pari o prossime alla soglia minima di associati.

[63] Purché sia possibile verificare l'identità dell'associato che partecipa e vota.

[64] Sul tema, si v. F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., pp. 196, 197, 278; G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, cit., p. 130; D. Pettiti, Associazioni primarie, secondarie e parallele, cit., 819; Id., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, cit., p. 279; C. Bianca, I gruppi minori e la responsabilità dell’associazione non riconosciuta, cit., p. 1326.

[65] Per un approfondimento si v. E. Cusa, Sub art. 2540 c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, in Delle società, dell’azienda e della concorrenza, a cura di D. Santosuosso, Torino, 2014, pp. 360 ss.

[66] L’unico riferimento è dettato dall’art. 48 Cts, secondo cui il bilancio deve essere depositato entro il 30 giugno di ogni anno presso il Registro Unico Nazionale del Terzo settore: si rende quindi opportuno che sia lo stesso statuto a prevedere regole riguardo il procedimento di approvazione del bilancio e la relativa tempistica: cfr. CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative, cit., 77.

Inoltre, in tema di approvazione del bilancio, si v. nota n. 7073 del 26 maggio 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo cui il termine individuato dal legislatore nel richiamato articolo 106 (180 giorni dalla chiusura dell’esercizio) riguarda l’effettuazione della convocazione dei soci/associati chiamati a partecipare all’assemblea e non alla data entro cui quest’ultima dovrà tenersi.

Infine, si v. D.M. 5 marzo 2020 relativamente alla modulistica di bilancio che troverà piena applicazione a partire dal bilancio dell’esercizio 2021 (cfr. nota n. 19740 del 29 dicembre 2021, in coerenza con il criterio interpretativo già esposto nella nota n. 11029 del 3 agosto 2021, in tema di bilancio sociale e la recentissima nota n. 5941 del 5 aprile 2022), nonché il principio contabile n. 35 elaborato da parte dell’Organismo Italiano di Contabilità per gli enti del Terzo settore (dapprima bozza pubblicata ad agosto 2021 e successivamente principio contabile pubblicato a febbraio 2022).

[67] Per un ampio approfondimento, C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., spec. pp. 204-206.

[68] Ex pluribus, M.V. De Giorgi, Le persone giuridiche in generale, le associazioni e le fondazioni, cit., p. 407.

[69] Ampiamente, ancora C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., pp. 213-216.

[70] In merito al rapporto tra amministratori ed ente in termini di mandato si v. D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 110; F. Ferrara Sr., Le persone giuridiche, cit., p. 417; U. Belviso, L’institore, Napoli, 1966, 263; A. Auricchio, voce Associazioni riconosciute, cit., p. 898.  La fonte del rapporto deriverebbe dal contratto associativo invece per F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., p. 200, il quale in Id., Diritto civile e commerciale, I, Padova 1990, p. 29; Id., Il negozio giuridico, cit., p. 445 rileva come la concezione del rapporto organico sia disgiunto dal concetto di persona giuridica. In questi termini anche, ex pluribus, G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, cit., p. 38.

 Cfr. sul tema anche G.B. Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum di Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale,2, Torino 2006, pp. 5 ss.

[71] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 198, condivisibilmente, afferma come i principi di democraticità e partecipazione compaiono ora espressamente ora implicitamente in ampie parte del Cts, legittimando quindi una lettura secondo cui i principi di democraticità, pari opportunità, eguaglianza e elettività delle cariche sociali dovrebbero troverebbe applicazione per tutti gli ETS di tipo associativo, a prescindere dalla composizione numerica degli associati.

[72] In senso dubitativo anche C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., spec. p. 208 che ne rileva la compatibilità con i soli ETS che svolgono attività commerciale in forma societaria.

[73] Diverse le possibili riflessioni in relazione allo schema delle reti associative su cui si v. A. Fici, Profili organizzativi di associazioni a base diffusa, associazioni di secondo livello e reti associative, Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 2021 presso l’Università Luiss dal titolo La governance degli enti del Terzo settore dopo la riforma e ora pubblicata in Luiss Law Rev., 1 (2022), p. 117.In tema di reti associative si v. peraltro la recente circolare 5 marzo 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[74] Nota n. 7551 del 7 giugno 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Sul punto ampiamente E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., spec. p. 9.

[75] Ivi.

[76] Ivi.

[77] Si v. circolare n. 20 del 27 dicembre 2018 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[78] Sul punto cfr. circolare CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative”, cit., 76.

[79] Per esempio, in tema di cessazione o sostituzione: C. Ibba, Codice del Terzo settore e diritto societario, cit., pp. 62 ss.; C. Amato, Ordinamento e amministrazione, cit., p. 296.

[80] Così nota n. 18244 del 30 ottobre 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo cui “non si ritiene che per le associazioni del Terzo settore si possa ricorrere de jure alla cooptazione di uno o più amministratori in sostituzione di quelli eletti” e, altresì, “appare […] non conforme al Codice del Terzo settore una espressa clausola statutaria in tal senso”. Diversa e dunque legittima sarebbe, invece, sempre secondo l’argomentazione del Ministero, l’ipotesi in cui, per espressa previsione statutaria, agli amministratori venuti meno per decesso, decadenza, revoca, dimissioni o altra causa subentrino, secondo l’ordine di preferenza, altri soggetti che all’epoca delle nomine dell’organo di amministrazione erano candidati ma erano risulti non eletti.

Per un più ampio commento si v. ampiamente, E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., spec. p. 11-17.

[81] Sul punto cfr. circolare CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative” - I versione: Aprile2019, spec. 28.

[82] Così, in relazione agli enti senza scopo di lucro, si v. G. Ponzanelli, Gli enti senza scopo di lucro, cit., p. 128.

In senso favorevole all’ammissibilità dell’amministratore unico anche negli ETS, M. Stella Richter, L’organo di amministrazione, Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 2021 presso l’Università Luiss dal titolo La governance degli enti del Terzo settore dopo la riforma.

[83] Art. 1, co. 936 l. 27 dicembre 2017, n. 205 “Legge di bilancio 2018”.

[84]Così era già stato argomentato nella circolare CNDCEC, “Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative” dell’aprile 2019 e così è stato nuovamente ribadito nella III versione della circolare, datata luglio 2021, pur osservandosi come si affermi (spec. 78) che “parrebbe maggiormente in linea con il principio di democraticità interna proprio degli ETS, in termini generali, l’esclusione della possibilità di nomina di un amministratore unico, stante il mancato richiamo esplicito della disciplina a figure di amministratori che svolgano il proprio ruolo in via monocratica, come, al contrario, avviene, per esempio, per l’organo di controllo”.

[85] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 217.

[86] Nota n. 9313 del 16 settembre 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[87] Ivi.

[88] Il Ministero chiarisce poi, sempre nella nota n. 9313 del 16 settembre 2020, che è ammessa un’unica ipotesi di associazione del Terzo settore con organo amministrativo monocratico, nell’ipotesi in cui, “nel caso di associazioni in fase di costituzione, l’individuazione nell’atto costitutivo di un organo di amministrazione monocratico temporaneo con il rinvio ad una integrazione elettiva dell’organo stesso entro un determinato periodo (ad esempio un esercizio annuale) o anticipatamente qualora si sia raggiunto un numero di soci superiore al minimo”. Altresì è ammesso un organo monocratico con riferimento agli enti religiosi civilmente riconosciuti giacché “l’applicazione del Codice riguarda soltanto lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5 così da salvaguardare il rispetto della struttura e della finalità di tali enti, sulla base di accordi tra l’ordinamento italiano e altri ordinamenti giuridici in cui detti enti si trovano ad operare”.

[89] Nota n. 7551 del 7 giugno 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[90] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 219.

[91] Circolare CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative”, cit., 78.

[92] F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., p. 255 ma contra D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 3, 127, secondo cui nelle associazioni ben può essere attribuita la carica di amministratore a titolo di privilegio.

[93] Così sempre Circolare CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative”, cit., p. 79.

[94] Si v. nota n. 6214 del 9 luglio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[95] Nel silenzio del Codice, può spettare ai medesimi statuti prevedere le concrete modalità di designazione di tali quote “facoltative” di componenti; in mancanza si presuppone un rinvio agli ordinamenti interni degli enti designanti: cfr. nota n. 6214 del 9 luglio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[96] C. Amato, Enti del Terzo settore, cit., p. 198.

[97] N. Riccardelli, La democraticità degli enti del Terzo settore, Relazione al Convegno tenutosi a Genova il 6 aprile 2019 dal titolo “Enti del Terzo settore e impresa sociale: la nuova disciplina”. In senso contrario M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., pp. 393 ss.

[98] In senso critico circa l’adozione di un modello di coinvolgimento dei lavoratori sull’esempio tedesco si v. ampiamente M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., p. 393.

[99] Ampiamente S. Lopreiato, Il sistema dei controlli, Relazione al Convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 2021 presso l’Università Luiss dal titolo La governance degli enti del Terzo settore dopo la riforma e ora pubblicata in Luiss Law Rev., 1 (2022), p. 101.

[100] Con riferimento al rapporto tra durata della nomina - che, in assenza di diversa previsione, ai sensi dell’art. 2400 c.c. dura tre esercizi - e previsione del Codice del Terzo settore, si v. le riflessioni di A. Nervi, Controlli interni e responsabilità, cit., spec. p. 444, le quali trovano pari applicazione anche in relazione alla durata dell’incarico dei revisori legali.

[101] Il riferimento alla disciplina della revisione legale di cui al d.lgs. 39/2010 è assente nel dettato dell’art. 31 Cts; eppure, la valenza al predetto riferimento normativo deriva dal richiamo ad esso contenuto nell’art. 28 Cts. Peraltro, la coincida con il dettato del d.lgs. 39/2010 è espressamente affermata nel D.M. 5 marzo 2020 avente ad oggetto la “Adozione della modulistica di bilancio per gli enti del Terzo settore”.

[102] Con particolare riferimento alle soglie previste per l’obbligo di nomina degli organi di controllo interno è stato criticamente osservato da A. Mazzullo, I controlli del Terzo settore, relazione al convegno “I venerdì del Terzo settore”, organizzato dall’Università degli Studi di Padova, 14 dicembre 2020, come le stesse siano eccessivamente stringenti, essendo peraltro più rigorose di quelle previste in tema di società a responsabilità limitata. Ai sensi dell’art. 2477 c.c., infatti, le società a responsabilità limitata devono nominare - obbligo prorogato dal c.d. decreto Rilancio al 2022 - un organo di controllo al superamento, per due esercizi consecutivi, dei seguenti parametri: attivo patrimoniale: 4 milioni di euro; ricavi da vendite e prestazioni: 4 milioni di euro; numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità. L’Autore osserva come la previsione delle soglie trovasse fondamento nella previsione della legge delega, la quale, in realtà, indicava l’introduzione delle stesse in ragione del trattamento fiscale agevolativo e ne imponesse un criterio di gradualità. Diversamente, è stato rilevato come la declinazione offerta dal Codice del Terzo settore sia, sì, parzialmente graduale (parzialmente giacchè l’obbligo di nomina è invece fisso per fondazioni e enti con patrimoni destinati) ma dimensionalmente sproporzionata rispetto alle società di capitali. Se da un lato, infatti, il controllo interno è il contraltare dei benefici fiscali riconosciuti e sia previsto a protezione delle donazioni private, dei creditori, fornitori degli enti ed anche dei soggetti esterni che operano agevolando gli enti del Terzo settore, dall’altro è stato puntualmente osservato come dette previsioni trovino già applicazione pur a fronte di un sistema di fiscalità agevolata non ancora entrata in vigore e incerto nell’an, nel quantum e nel quando. In senso critico anche M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., pp. 393 ss.

[103] Sempre con la derogabilità di cui all’art. 25, co. 2 Cts.

[104] Trovano applicazione, in ragione dell’espresso richiamo all’art. 2399 c.c., la cause di ineleggibilità o decadenza: non possono essere eletti e, se eletti, decadono dall'ufficio a) l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi; b); il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza. Altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi possono essere previste dallo statuto o dall’atto costitutivo.

[105] Il principio era già stato espresso nella nota n. 12604 del 29.12.2017 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ne discende che il computo dei due esercizi consecutivi debba partire dall’esercizio 2018, sicché la verifica dell’eventuale integrazione dei presupposti dimensionali fissati dal legislatore andrà fatta considerando i dati di consuntivo del bilancio di esercizio relativo agli anni 2018 e 2019: così, nota n. 11560 del 2 novembre 2020. Sul punto si v., però, anche il documento CNDCEC relativo a “La fase di nomina dei revisori legali dei conti e dei componenti degli organi di controllo negli Enti del Terzo settore” del dicembre 2020.

[106] Documento CNDCEC “Norme di comportamento dell’organo di controllo degli enti del Terzo settore”, dicembre 2020: la Sezione 1 affronta le tematiche correlate a nomina, incompatibilità e cessazione dei componenti dell’organo di controllo; la Sezione 2 è dedicata alle regole organizzative e di funzionamento dell’organo di controllo, con particolare riguardo alle previsioni di cui all’art. 15 del Cts e all’applicazione analogica dell’art. 2404 c.c., nonché della seconda parte dell’art. 2403-bis c.c. in ordine all’utilizzo degli ausiliari e, ancora, in relazione al ruolo del Presidente dell’organo di controllo; la Sezione 3 è dedicata alle norme di comportamento e, in particolare, declina fattispecie rinvenienti dalla prassi e dalla normativa degli ETS; la Sezione 4 si occupa di definire i rapporti tra l’organo di controllo e gli altri organi dell’ente, approfondendo il ruolo dei componenti dell’organo di controllo nelle assemblee ovvero la rilevanza che i flussi informativi con l’organo di amministrazione possono assumere per agevolare il diligente svolgimento dell’incarico di vigilanza da parte dell’organo di controllo, offrendo anche indicazioni circa le soluzioni operative da intraprendere per espletare l’attività di vigilanza; la Sezione 5 analizza gli scambi informativi con gli organi e i soggetti incaricati di altri controlli, nonché i poteri di ispezione e controllo funzionali allo svolgimento dell’incarico e i poteri vicari dell’organo di controllo in caso di omissione degli amministratori come disciplinati dall’ordinamento, con particolare attenzione agli adempimenti da effettuare per la dichiarazione di scioglimento o di estinzione dell’ente, secondo la disciplina individuata nell’art. 20 d.m. n. 106/2020; la Sezione 6 fornisce raccomandazioni in ordine ai poteri reattivi rispetto alle irregolarità degli amministratori che la legge riconosce all’organo di controllo e su cui, solo marginalmente, va a incidere la disciplina del Cts (che si sofferma sula denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. e sulla denuncia dei fatti censurabili da parte degli associati ex art. 2408 c.c.); la Sezione 7, infine, è dedicata alla relazione dell’organo di controllo all’assemblea degli associati in merito ai controlli effettuati in occasione delle proprie verifiche periodiche, alle eventuali osservazioni sul bilancio e ai rapporti tra questo documento e quello redatto, ove esistente, dall’incaricato della revisione legale, anche al fine di meglio definire le rispettive responsabilità, nonché indicazioni con riguardo alle relazione relativa al monitoraggio, all’osservanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ETS che è parte integrante del bilancio sociale dell’ETS e con riguardo all’attestazione di conformità del bilancio sociale alle linee guida di cui all’art. 14,  co.1 Cts e adottate con il d.m. 4 luglio 2019, attestazione quest’ultima da allegare al bilancio sociale dell’ETS.

Il Consiglio Nazionale ha altresì predisposto, nel giugno 2021, un documento contenente i modelli di verbale dell’assemblea degli associati (o dell’organo deputato nelle fondazioni) di nomina dell’organo di controllo/soggetto incaricato della revisione legale dei conti negli enti del Terzo settore; il verbale di insediamento dell’organo di controllo con la dichiarazione di insussistenza di ragioni di incompatibilità o ineleggibilità per la nomina di componente effettivo dell’organo di controllo, la dichiarazione di accettazione della nomina di componente dell’organo di controllo, la valutazione delle cause di ineleggibilità e dell’indipendenza nonché il verbale di pianificazione dell’attività di vigilanza dell’organo di controllo.

Non da ultimo, si segnala ancora il documento del CNDCEC relativo a “La fase di nomina dei revisori legali dei conti e dei componenti degli organi di controllo negli Enti del Terzo settore” del dicembre 2020 che affronta il problema della nomina dei due organi nel periodo transitorio, alla luce della nota n. 11560 del 2 novembre 2020 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali: in particolare, viene osservato come “gli ETS tenuti, ai sensi del CTS, alla nomina dell’organo di controllo e/o del soggetto incaricato della revisione legale possano effettuare tale nomina con la prima assemblea utile successiva alla citata nota n. 11560 del 2 novembre 2020 e che tale assemblea possa coincidere, nella maggior parte dei casi, con l’assemblea di approvazione del bilancio dell’esercizio 2020 tenuta, usualmente, nella primavera dell’esercizio successivo alla data di chiusura dell’esercizio, almeno per gli enti che hanno coincidenza tra periodo amministrativo ed anno solare. Tale soluzione sembra essere dettata, come accennato, anzitutto da considerazioni di coordinamento con la normativa emergenziale esistente. […] Ciò premesso, l’interpretazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è giunta (probabilmente anche consapevolmente) fuori tempo massimo per la nomina dei “controllori” (la nota ministeriale è del 2 novembre 2020, mentre il termine ultimo per l’approvazione dei bilanci d’esercizio 2019 era fissata al 31 ottobre 2020), sostanziando nei fatti una nomina per il periodo futuro dei controllori. […] (L)a data successiva di riferimento più naturale appare essere, quindi, la data di approvazione del bilancio d’esercizio 2020”.

[107] A. Nervi, Controlli interni e responsabilità, cit., spec. p. 451.

[108] Ancora A. Nervi, Controlli interni e responsabilità, cit., pp. 456-457.

[109] M. Tola, La governance degli enti del Terzo settore e i sistemi multistakeholders, cit., p. 393.

[110] Detta responsabilità si configura anche in assenza dell’attribuzione della revisione legale, giacchè, a prescindere da quest’ultima, l’organo di controllo assume compiti di natura contabile che attengono alla verifica circa l’idoneità del sistema contabile approntato, il processo di formazione e di veste formale della rendicontazione obbligatoria: così circolare CNDCEC “Elementi professionali e criticità applicative”, cit., p. 83.

[111] In tema di bilanci sociali, si v. D.M. 4 luglio 2019 recante l’adozione delle “Linee guida per la redazione del bilancio sociale degli enti del Terzo settore”, nonché si v. nota n. 11029 del 3 agosto 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in relazione all’approvazione del bilancio sociale 2020 da parte di Fondazioni /Onlus non ancora trasformate in ETS, la quale conferma in capo alle Onlus che raggiungano i requisiti dimensionali di legge, la necessità di redigere, approvare e pubblicare sul proprio sito internet il bilancio sociale, nonché la nota n. 5941 del 5 aprile 2022.

[112] Sezione 1 delle “Norme di comportamento dell’organo di controllo degli enti del Terzo settore” elaborate dal CNDCEC - dicembre 2020.

[113] A. Fici, L’impresa sociale e le altre imprese del Terzo settore, cit., p. 19.

[114] Eccezion fatta per le reti associative che possono, al contempo, iscriversi in più sezioni del Registro Unico Nazionale del Terzo settore.

[115] Le Odv devono svolgere un’attività di interesse generale prevalentemente in favore di terzi non associati nonché prevalentemente mediante volontari associati e a fronte del solo rimborso delle spese sostenute.

[116] Se un ente si costituisce con un numero di associati inferiore a quello riportato in precedenza e nel tempo la composizione numerica viene incrementata, per poter richiedere l’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo settore come Odv (o come Aps) è necessaria una delibera assembleare idonea a modificare lo statuto ed espressa da un numero di associati favorevoli tale da soddisfare il requisito del numero minimo di cui all’art. 32, co. 1 Cts (o art. 35, co. 1 Cts), in cui, dopo aver preso atto della precedente carenza del requisito numerico, si affermi o si ribadisca la volontà di essere Odv (o Aps) ai sensi della vigente normativa in materia, dando mandato al rappresentante legale di richiedere la relativa qualificazione. Per tal via, tale secondo atto, intervenendo prima della richiesta di iscrizione, integra la volontà espressa nell’atto costitutivo. Così nota n. 4995 del 28 maggio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

[117] Cfr. nota n. 6214 del 9 luglio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo cui l’espressione “enti senza scopo di lucro” include anche le pubbliche amministrazioni e gli altri enti pubblici.

[118] E’ possibile senza dubbio che gli statuti consentano di ammettere nella compagine associativa sia persone fisiche che enti la cui natura sia omogenea con quella del soggetto di cui si tratta (es. una Aps che associ sia persone fisiche sia altre Aps; una Odv che associ sia persone fisiche sia altre Odv, a condizione che sia rispettato almeno uno dei requisiti numerici minimi alternativi, di almeno sette persone fisiche o, rispettivamente, tre Aps o tre Odv) ma nel caso in cui la base associativa sia aperta, per via statutaria, anche ad altri enti del Terzo settore o senza scopo di lucro dette ammissioni devono necessariamente rispettare i limiti numerici richiamati dall’art. 32, co. 2 Cts (il loro numero non sia superiore al cinquanta per cento del numero delle organizzazioni di volontariato) ovvero dell’art. 35, co. 3 Cts (il loro numero non sia superiore al cinquanta per cento del numero delle associazioni di promozione sociale).

La nota n. 1082 del 5 febbraio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali chiarisce, così, come “non si ritiene ammissibile, ad esempio, né per previsione statutaria né in concreto, che di una Aps facciano parte solo persone fisiche ed enti del Terzo settore o senza scopo di lucro diversi dalle Aps, o che tali enti siano concretamente in numero superiore al 50 per cento delle Aps effettivamente associate; ciò snaturerebbe le caratteristiche dell’ente rendendo squilibrata la compagine. (…). È evidente che in questo caso l’ente in questione non avrebbe più, di fatto, le caratteristiche di una associazione di promozione sociale, pur potendo appartenere ad altra tipologia di ETS”. Esattamente in modo coincidente il ragionamento può essere replicato in relazione alle organizzazioni di volontariato.

Non da ultimo si deve osservare come, in relazione tanto alle organizzazioni di volontariato quanto alle associazionidi promozione sociale, non sia ammissibile, alla luce dalla formulazione della norma in discorso, che enti for profit facciano parte della base associativa, diversamente da quanto può avvenire con riferimento agli altri ETS: cfr. nota n. 1082 del 5 febbraio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[119] Ai sensi dell’art. 34, co. 1 Cts, dunque, tutti i componenti dell’organo di amministrazione devono essere scelti tra le persone fisiche associate ovvero indicate dagli enti associati e non solo la maggioranza come, invece, ammesso dall’art. 26 co. 2 Cts, quale norma generale. Peraltro, la norma richiede che i designatori debbano appartenente necessariamente alla base associativa dell’ente di riferimento. A tal proposito, come, peraltro, sottolineato dalla nota n. 18244 del 20 novembre 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, detta previsione risulta compatibile anche con l'ipotesi di cui all'art. 26, co. 5 Cts: la facoltà di delegare la nomina di una minoranza di amministratori ai soggetti esterni infatti può trovare spazi di applicabilità a condizione che siano rispettate le previsioni del citato articolo 34 comma 1 e cioè, per esempio, che gli statuti affidino ad enti "qualificati" la nomina di una minoranza di amministratori ove l’ente nominando sia esso stesso associato dell'Odv oppure  potrebbe avvenire all'interno di una rosa di soggetti preindividuati dagli enti associati all'Odv, nell'ambito delle rispettive basi associative.

Con specifico riferimento, poi, all’ipotesi in cui la base associativa di Aps e Odv siano composta anche da enti senza scopo di lucro, tra cui anche pubbliche amministrazioni o altri enti pubblici, il Ministero precisa come in tal caso, essendo tali enti, per loro natura, privi di base associativa, non potrà trovare applicazione il vincolo del richiamato articolo 34, co. 1 Cts circa l’individuazione dei designati tra i propri associati. In tal caso la designazione/nomina di uno o più amministratori non dovrà comunque configurare situazioni di direzione, coordinamento o controllo di cui all’art. 4, co. 2 Cts (su cui si v. ampiamente nota n. 2243 del 4 marzo 2020): così. nota n. 6214 del 9 luglio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[120] Il richiamo all’art. 2382 c.c. comporta che “non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l’interdetto, l’inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi”.

[121] È ammesso esclusivamente il rimborso delle spese per l’attività effettivamente prestata fatta eccezione per i componenti dell’organo di controllo, i quali possono essere remunerati per l’attività svolta (purché in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2397, co. 2 c.c.).

[122] F. Greco, Categorie di enti del Terzo settore, in Il codice del Terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, a cura di M. Gorgoni, Pisa, 2021, p. 325; M. Montaldi, Sub art. 35 CTS, in Dalla parte del Terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Roma-Bari, 2020, p. 244; R. Di Giulio, Sub art. 35 CTS, in C. Contessa, D. Simeoli, I. Volpe, Codice del Terzo settore, Piacenza, 2019, p. 221.

[123] Si v. quanto detto in relazione alle Odv.

[124] Si v. nota n. 1309 del 6 febbraio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che trova declinazione, tuttavia, per tutti gli ETS, come già osservato in precedenza (retro, nota 47). Sul punto ampiamente E. Tuccari, Note ministeriali e notazioni critiche, cit., p. 5.

[125] Per un approfondimento si v. M. Renna, Associazioni di promozione sociale ed enti filantropici nello sviluppo del Terzo settore, in Riv. crit. dir. priv., 1 (2021), pp. 503 ss.

[126] A. Fici, Enti del Terzo settore: nozione, requisiti e tipologie, in Gli enti del Terzo settore. Lineamenti generali, cit., pp. 119 ss.; Id., Le fondazioni filantropiche nella riforma del terzo settore, Centro ricerche sulla cooperazione e sul nonprofit dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Working Paper n. 20, Milano, 2018, pp. 1 ss.; M. Renna, Associazioni di promozione sociale ed enti filantropici nello sviluppo del Terzo settore, cit., pp. 503 ss.

[127] Gli altri ETS, pur non essendo obbligati, possono redigere e pubblicare il bilancio sociale e, nel caso in cui tale documento risulti conforme alle linee guida in materia di bilancio sociale degli ETS, potrà essere ufficialmente denominato “Bilancio sociale predisposto ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 117/2017”.

In tema di bilancio sociale si v. il d.m. 4 luglio 2019 “Adozione delle Linee guida per la redazione del bilancio sociale degli enti del Terzo settore”, già precedentemente richiamato.

[128] Per tutti, A. Fici, La nuova impresa sociale, in La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, a cura di A. Fici, Napoli, 2018, pp. 343 ss.; Id., L’impresa sociale e le altre imprese del terzo settore, cit., p. 19.

[129] Del resto, con una logica assolutamente speculare, ha previsto che non possano assumere la qualifica di ETS gli enti sottoposti a direzione, coordinamento o controllo da pubbliche amministrazioni, formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche e associazioni di datori di lavoro.

[130] Negli atri ETS le previsioni non impongono un obbligo di nomina, lasciando che essa sia una facoltà rimessa alla disciplina statutaria.

[131] A. Fici, La riforma del terzo settore e le fondazioni di origine bancaria, in Fondazioni di origine bancaria. XXIII Rapporto annuale. Anno 2017, Roma, ACRI, 2018, spec. p. 343.

[132] A. Fici, La riforma del terzo settore e le fondazioni di origine bancaria, cit., p. 343.

Montani Veronica



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