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Ancora sul promotore di giustizia

26.06.2018

Manlio Miele

Professore ordinario di diritto canonico ed ecclesiastico, Università degli Studi di Padova

 

Ancora sul promotore di giustizia*

 

Sommario: 1. Introduzione. 2. Situazione pre-codiciale e lavori preparatori del Codex del 1917. 3. Ancora sullo 'scandalo'. L'istruzione 'Dignitas Connubii'. 4. Sui criteri di merito posti a fondamento della decisione d'impugnare. Tutela del bonum publicum e esercizio della cura animarum. 5. Promotore di giustizia e tutela della legge processuale.

 

  1. Introduzione

 

Il pontefice Giovanni Paolo II era intervenuto, sui compiti del promotore di giustizia nel processo matrimoniale[1], in due allocuzioni antecedenti il Codex del 1983. Nell’allocuzione del 4 febbraio 1980 il Pontefice accennava all’eventuale votum del promotore, associandone il compito a quello delle altre parti processuali nell’aiutare il giudice a servire la verità perché trionfi la giustizia[2]. In quella del 28 gennaio 1982, poi, il promotore di giustizia veniva dipinto come quell’officiale, eventuale nel processo matrimoniale, che agisce per favorire la verità e la giustizia, non per assecondare ma per salvare[3].

Dopo il Codex del 1983, l’attribuzione al promotore di una pars costruens evidentemente viene realizzata, nel caso dell’esercizio del diritto d’accusa del matrimonio[4], attraverso il condizionamento della sua azione alla circostanza che la possibile nullità sia divulgata nella comunità e il matrimonio non sia convalidabile per motivi oggettivi o di opportunità, come dispone il can. 1674 n. 1[5]. In tal senso, nell’allocuzione del 22 gennaio 1996, il Pontefice collegava l’iniziativa processuale del promotore alla natura della causa di nullità matrimoniale, pubblicistica perché comunque riguardante lo stato delle persone, la loro posizione nell’ordinamento e il bene pubblico[6] della Chiesa[7].

Forse è opportuno tentare di cogliere i principi che moderano l’azione di nullità matrimoniale del promotore di giustizia, anche alla luce dei documenti normativi più recenti, posteriori ad un precedente contributo[8]. Ma dovremo altresì interrogarci sull’ulteriore significato giuridico della presenza del promotore di giustizia, in una causa di nullità del matrimonio, quando questo non sia stato impugnato da lui.

  1. Situazione pre-codiciale e lavori preparatori del Codex del 1917

 

Il senso dell’iniziativa processuale del promotore di giustizia, nell’accusare d’invalidità un matrimonio, viene bene colto anche considerando la situazione precedente il periodo codiciale. All’epoca, impugnare un matrimonio nella sua validità è facoltà di ogni cattolico quando la nullità sia causata da motivi diversi da metus, error, vis, defectus conditionis appositae, impotentia, aetas, raptus e ligamen [9]. Nel voto Bassibey sul processo matrimoniale, punto di partenza per i successivi schemi che condussero alla disciplina processual-matrimoniale nel Codex del 1917[10], l’antico principio veniva integralmente conservato tanto che, se il promotor iustitiae non viene neppure nominato, si prevede però la possibilità che il tribunale proceda d’ufficio «aut ex notorietate facti, aut ex denuntiatione aliove modo sufficiens suppeditat causa»[11]. E ciò, ben s’intende, nelle ipotesi distinte da quelle nelle quali accusare il matrimonio spetta solo ad uno dei coniugi[12].

Questo, tuttavia, non ci deve far pensare che l’ordinamento canonico misconoscesse un’azione pubblica esperita da un pubblico funzionario incaricato di procedere «contra certa matrimonia propter impedimenta iuris publici»[13].

Ed infatti fin dal primo schema del 1909-1910 non solo si canonizza la figura del promotor iustitiae come persona abile ad accusare il matrimonio[14], ma si esclude pure sia la procedibilità d’ufficio del tribunale che l’antica legittimazione generalizzata dei fedeli, i quali potranno solo denunciare la probabile nullità all’Ordinario o al promotore per ragioni di pubblico scandalo o di danno spirituale dei coniugi[15]. I coniugi potranno agire sempre, salvo - su animadversio della Provincia Salisburgensis - non siano essi stessi responsabili della nullità[16].

Si arrivava quindi alla conclusione codiciale del canone 1971, per il quale «§ 1. Habiles ad accusandum sunt: 1.° Coniuges, in omnibus causis separationis et nullitatis, nisi ipsi fuerint impedimenti causa; 2.° Promotor iustitiae in impedimentis natura sua publicis. § 2. Reliqui omnes, etsi consanguinei, non habent ius matrimonia accusandi, sed tantummodo nullitatem matrimonii Ordinario vel promotori iustitiae denuntiandi».

Premessa logica di codesto canone, così formulato, era che la causa matrimoniale canonica assumesse in ogni caso - e cioè qualunque fosse la natura del caput nullitatis - le forme di un processo di parti, soprattutto con riferimento al suo momento genetico[17]. Ed infatti, subito prima, il can. 1970 stabiliva che «Tribunal collegiale nullam causam matrimonialem cognoscere vel definire potest, nisi regularis accusatio vel iure facta petitio praecesserit». Si rinunciava dunque, in materia matrimoniale, al processo d’ufficio[18], nel quale, tra l’altro, poteva mancare il libello[19]. In tal senso, tenuto conto di cotesta evoluzione, non sembrano esservi dubbi a che il promotore di giustizia debba essere qualificato ‘parte’ processuale quando accusi un matrimonio per una causa petendi divenuta di pubblica ragione e quando, tale pubblicità, sia suscettibile di provocare scandalo[20].

Naturalmente non può sfuggire la peculiarità di una cotesta ‘parte’ attrice che, per impossibilità naturale prima ancora che giuridica, non subisce quelle vicende processuali strettamente inerenti al coniuge-attore. Il promotore, in tal senso, non può esplicare la confessio iudicialis né gli si può deferire il giuramento a norma del can. 1532[21]. In particolare non gli è possibile la confessio iudicialis, poichè questa è affermazione circa un fatto proprio - non altrui - contrario alla validità del matrimonio[22].

Il promotore, poi, è parte sui generis fino al punto da poter e dover essere interrogato quando abbia agito lui ad nullitatem obtinendam. Egli però ha anche il diritto di presenziare all’esame delle parti, dei testi e dei periti (can. 1678, § 1, n.1°), facoltà questa non concessa alle altre parti, come prescrive il can. 1678, § 2. Ciò si spiega col fatto che il promotore è, ex lege, difensore di un ente razionale qual è il bonum publicum, che egli e rappresenta e tutela[23]. Egli, in un certo senso, patrocina come avvocato l’interesse comunitario nei riguardi di un vincolo, quello matrimoniale, contratto formalmente coram Ecclesia e quindi necessariamente dotato di effetti che riguardano la comunità ecclesiale stessa.

Il promotore inteso come parte sui generis, finanche come ‘avvocato’, ci consente di colmare l’apparente omissione di cui all’art. 159 dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’. Qui, rispetto al Codex, manca una menzione espressa del promotore come titolare del diritto di essere presente all’esame delle parti, dei testi e dei periti nonché del diritto di prendere visione degli atti giudiziari e di esaminare i documenti prodotti dalle parti. Ne sono titolari, per l’istruzione citata, difensore del vincolo e avvocati delle parti[24]. Ragionevolezza sembra imporre che gli stessi diritti siano riconosciuti anche al promotore, nella sua qualità di avvocato del bonum publicum[25].

  1. Ancora sullo 'scandalo'. L'istruzione 'Dignitas Connubii'

 

Nell’allocuzione del 22 gennaio 1996, Giovanni Paolo II parlava di un promotore che si fa «parte attrice in determinati casi»[26], e cioè quando egli «sentirà il dovere di avanzare una richiesta di dichiarazione di nullità... dietro la spinta della verità e della giustizia; non per accondiscendere, ma per salvare»[27].

Nel precedente contributo sul promotore di giustizia[28], s’era tentato di identificare i presupposti di un’azione promotoriale, alla luce dei due Codices oltre che dell’istruzione ‘Provida Mater[29]. In quell’occasione s’era ritenuto di sottolineare l’elemento ulteriore dello scandalo, richiesto dalla ‘Provida Mater’, i cui artt. 38 e 39 «prescrivevano non solo la pubblicità del caput nullitatis, ma anche che dalla pubblicità fosse derivato scandalo»[30]. Ciò pareva aggravare i presupposti necessari per un’azione del promotore di giustizia, giacché - si sosteneva - non era sufficiente che il falso vincolo matrimoniale fosse conosciuto come tale, essendo altresì necessario che tale pseudo-legame apparisse utile e gradevole per i coniugi colpevoli[31].

Va subito premesso che l’istruzione ‘Dignitas Connubii’ come pure la lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus” omettono qualsivoglia accenno allo scandalo come presupposto dell’azione del promotore, limitandosi alla richiesta, pedissequa al Codex del 1983, che la nullità sia divulgata e che il matrimonio non si possa o non sia opportuno convalidarlo. Tale scelta appare apprezzabile poiché lo ‘scandalo’ sembrerebbe concetto appartenente, in forma tipica, al dominio della teologia morale e dalla sua importazione nel diritto canonico emergerebbero i problemi generali del rapporto tra foro interno e foro esterno oltre che serie difficoltà derivanti dall’uso in sede giuridica di concetti elaborati altrove[32].

Il trattato de scandalo del Liguori, ad esempio, viene svolto pressoché esclusivamente sul piano del peccato. Ciò, evidentemente, conduce ad esigere che la realizzazione dello scandalo sia subordinata ad elementi soggettivi interni riferiti tanto alla persona dello scandalizans[33] che a quella dello scandalizatus[34]. Dal peccare pubblicamente e coram aliis non sortisce sempre lo scandalo poiché la pubblicità è circostanza storico-ambientale mentre lo scandalo richiede maggiore o minore intenzionalità, tanto che indeliberatio excusat[35]. A ciò si aggiunga che scandalo non si ha quando l’atto esteriore (nel nostro caso il vincolo matrimoniale nullo) costituisca semplicemente l’occasione o di un peccato materiale o di una giusta indignazione o di un pubblico stupore o di una diffamazione di colui che male agisce[36].

Agire male pubblicamente, quindi e di per sé, non necessario è agire male scandalosamente[37].

Nel Codex del 1983 la nozione di scandalo viene utilizzata soprattutto, ma non esclusivamente, in materia penale. Ritengo però che siffatta utilizzazione non avvenga, nei diversi canoni, con significato univoco e, comunque, non con lo spessore tecnico proprio della tradizione morale[38]. Talora, nel Codex, lo scandalo viene considerato nella sua potenzialità, talché il termine potrebbe essere facilmente scambiato con quelli di ‘meraviglia’, ‘stupore’, ‘indignazione’[39]. Talaltra i canoni richiedono che lo scandalo si sia effettivamente perfezionato, tanto che se ne pretende la riparazione[40]. In uno stesso canone si prospetta sia l’esigenza di prevenire che quella di riparare lo scandalo[41].

Ma nella società globale e secolarizzata lo scandalo - forse - dovrebbe essere provato volta per volta ed una normativa penale che si proponga di prevenirlo probabilmente dovrebbe parlarne sempre in termini di possibilità[42]. Poiché nel sistema penale canonico l’autore di un delitto è sempre, anche, colui che ha gravemente peccato, il fatto da lui commesso comunque rappresenta un disordine a diversi livelli: nei confronti di sé, nei confronti della società e nei confronti della Chiesa[43]. Verso la società e verso la Chiesa la sua è certamente una contro-testimonianza, che può diventare scandalo, soprattutto quando il cattivo comportamento, pubblicamente divulgato, che derivi da un modo d’agire colpevole[44], non sia adeguatamente sanzionato dalla Chiesa[45].

In realtà, la conferma della dizione codiciale da parte dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’, ed ancor più dalla lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus”, sembra consentire al promotore l’accusa di un matrimonio non solo di fronte ad uno scandalo realizzato, ma anche per prevenirlo, purché la notizia della probabile nullità sia divulgata[46].

 

4. Sui criteri di merito posti a fondamento della decisione d'impugnare. Tutela del bonum publicum e esercizio della cura animarum

Non minori problemi pone la determinazione dei criteri di merito che debbono stare a fondamento della decisione concreta, da parte del promotore di giustizia, di impugnare un matrimonio[47]. Al di fuori di quelli che condizionano la legittimità della sua azione (divulgazione della nullità e impraticabilità della convalida), è venuta meno quell’indicazione propria della ‘Provida Mater’, per la quale talvolta sul promotore incombeva non solo uno ius, ma anche un officium in ordine all’impugnazione. Questo si verificava quando, in forza dell’art. 38, § 2, la notizia della nullità: si fosse divulgata; si fosse verificato scandalo; il denunciante avesse offerto segni di resipiscenza[48].

È noto che ciò veniva previsto per le ipotesi - invero non più attuali - di inabilità del coniuge o dei coniugi ad accusare il matrimonio, secondo le statuizioni degli artt. 37, 38 e 39 dell’istruzione ‘Provida Mater[49]. Tuttavia, anche quando il promotore poteva agire «iure proprio» ex art. 35, § 1, num. 2°, istr. cit., autorevole dottrina ne collegava l’iniziativa processuale alla tutela del bene pubblico, consistente nel rimuovere «publicum malum, nempe scandalum»[50].

Se da un lato il promotore di giustizia come propria funzione generale ‘deve’, e non ‘può’, tutelare il bene pubblico ex can. 1430[51], è anche vero come il successivo can. 1431, § 1, costituisca il vescovo diocesano (e non semplicemente l’ordinarius loci) come giudice ultimo, nei singoli casi, della vulnerabilità del bene pubblico; a meno che l’azione del promotore («interventus» lo chiama genericamente il Codex) non sia imposta dalla legge o dalla natura dell’affare[52].

Ora non v’ha dubbio che il matrimonio, come ogni altro sacramento[53], nella sua «duplice dimensione naturale e sacramentale», coinvolga anche un interesse pubblico e sociale, tanto che in funzione dell’accertamento della sua validità l’ordinamento ha predisposto un processo peculiare proprio perché vertente su «materie che esulano dalla capacità di disporre delle parti»[54].

Da questo punto di vista, all’azione di nullità il promotore di giustizia, di primo acchito, sembrerebbe comunque tenuto, in presenza di una notizia di nullità già divulgata. Il rapporto tra il can. 1431, § 1, ed il can. 1674, num. 1°, sarebbe cioè nel senso che il secondo semplicemente specificherebbe il primo. L’azione del promotore risulterebbe, quindi, comunque doverosa e evidentemente necessaria «ex natura rei».

Sennonché i due presupposti dell’azione promotoriale - divulgazione della probabile nullità e accertamento della non-convalidabilità - rimandano ad un’attività peculiarmente pastorale, rispetto alla quale il promotore di giustizia non può che porsi in atteggiamento recettivo rispetto ai responsabili della cura animarum.

Quanto al primo presupposto - la divulgazione della probabile nullità -, è evidente come questo generalmente sia relativo ad una specifica comunità territorialmente determinata, che non potrà che identificarsi con il luogo del domicilio o del quasi-domicilio dei coniugi; oppure ancora con il luogo dove è avvenuta la celebrazione inficiata; oppure ancora con il luogo dove, di fatto, si trova la maggior parte delle prove utili a dimostrare la nullità, come già avevo tentato di dimostrare[55]. Qui però vorrei aggiungere che ‘luogo’ significa territorio e ‘territorio’ significa parrocchia (territoriale). In tal senso è il parroco territorialmente competente, nell’ambito dei suoi doveri pastorali e più precisamente nell’ambito della cura animarum che unicamente gli compete, ad assumere la responsabilità di ascoltare l’eventuale opinione pubblica comunitaria circa situazioni matrimoniali sospette di invalidità. A lui, principalmente pensiamo, il promotore di giustizia stabile[56] dovrà rapportarsi, per averne certificazione, circa una divulgazione che è fatto pertinente la comunità a lui affidata. E ciò tanto nel caso in cui denunciante sia il parroco stesso quanto nel caso in cui lo sia quivis de populo. Del resto se è vero che in materia matrimoniale la denuncia al promotore di giustizia non è espressamente codificata[57], è anche certo come la possibilità ne discenda direttamente dalle competenze generali del promotore ex can. 1430.

Alla tutela del bonum publicum in sede giurisdizionale, infatti, indubbiamente corrisponde una posizione giuridica soggettiva diffusa, che io definirei ‘aspettativa diffusa’. Ad essa provvede autoritativamente, per motivi gerarchici, il vescovo diocesano, che in questo caso esercita appunto la sua funzionalità gerarchica (cfr. can. 1431, § 1)[58], mentre l’aspettativa diffusa potrà essere fatta valere, dai fedeli privi di actio[59], attraverso la denuncia al promotore[60]. La quale denuncia, in fondo, diventa un modo concreto per concorrere alla realizzazione della Giustizia nella Chiesa, ch'è dovere di tutti[61].

In ipotesi specifiche la divulgazione potrà riguardare - rispetto al territorio parrocchiale - o una comunità territorialmente più ampia, diocesana ad esempio, o una comunità qualitativamente diversa[62]. In tali casi sarà coinvolta la cura animarum del vescovo diocesano, cui spetterà darne indicazione autoritativa al promotore stabile o, anche, ad un promotore nominato ad singulam causam[63].

Ipotesi ulteriormente specifica è quella in cui la divulgazione risulti, com'è stato detto, «da un atto pubblico quale la sentenza canonica», come nel caso «del secondo matrimonio celebrato da soggetto, il cui primo matrimonio sia stato successivamente dichiarato valido a seguito di nova causae propositio presentata dal primo coniuge». Giustamente, in tale evenienza, s'è notato che «l'azione del Promotore di Giustizia non è discrezionale: si tratta di un atto dovuto»[64].

Quanto al secondo presupposto - impossibilità o inopportunità della convalida - appare impensabile che un tale accertamento possa essere condotto personalmente dal promotore di giustizia; in effetti, sembra rientrare nell’attività pastorale coniugale e familiare il tentativo di sanare situazioni matrimoniali d’invalidità. Questa attività spetterà o al parroco o ad organismi di livello sovra-parrocchiale e specialmente diocesano[65]. Infatti poiché nessun testo canonico attribuisce al promotore di giustizia competenze di tipo pastorale, egli recepirà dal competente operatore pastorale un’attestazione, più o meno formale, della non-convalidabilità. Dopo di che agirà in giudizio, per quanto di sua competenza, «dietro la spinta della verità e della giustizia; non per accondiscendere, ma per salvare»[66].

Da questo punto di vista, non può essere fraintesa l’ampia locuzione, di cui al can. 1430, che identifica l’officium providendi bono publico come proprio del promotore di giustizia.

Da un lato, se il canone appena citato connette bonum publicum e giustizia - che dev’essere promossa, per l’appunto, dal promotore -, quest’ultima non può essere intesa secondo un «concetto formale di convenienza» percepita materialmente o addirittura materialisticamente[67]. D’altro canto, strumentale alla realizzazione del bene pubblico ecclesiale e della quies Ecclesiae - che in ultima pensiamo coincidano con la salus animarum[68] o, forse, con la salus personae[69] - sta anche l’esercizio della cura animarum. Tuttavia, le funzioni del promotore di giustizia sono rigidamente configurate dal Codex all’interno e entro i limiti del processo[70].

Gli aspetti propriamente pastorali connessi all’accertamento giuridico della divulgazione e della non-convalidabilità possono comportare valutazioni divergenti circa la loro sussistenza. In particolare il pastore d’anime - che, non dimentichiamolo, non è abilitato ad impugnare direttamente un matrimonio nullo - può ritenere sussistenti o insussistenti i presupposti d’una impugnazione promotoriale e ciò in contrasto con l’opinione del promotore. In tali casi, se il vescovo può provvedere a nominare un promotore ad singulam causam, ogni altro interessato all’impugnazione del matrimonio potrà ricevere - avverso una determinazione negativa del promotore - tutela in via amministrativa secondo i normali mezzi giuridici[71].

Va posta, a questo punto, la seguente questione: in che termini l’accertamento della divulgazione e della non-convalidabilità condiziona l’abilità all’impugnazione da parte del promotore di giustizia? Ne ho scritto nel precedente contributo[72]. Qui vorrei aggiungere che, in tema di reiezione del libello, l’art. 121, § 1, num. 2°, dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’ declina il can. 1505, § 2, per le cause di nullità matrimoniale, disponendo che il libello può essere respinto soltanto, tra l’altro, «si petitio sine dubio exhibita sit ab eo qui impugnandi matrimonium iure non pollet».

Poiché sia il can. 1674, anche nella versione novellata dalla lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus”, che l'art. 92 dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’ utilizzano il termine «habiles», ci si chiede se il promotore che impugni il matrimonio in assenza dei presupposti prescritti lo faccia ponendo in essere un atto nullo ex can. 10, in quanto la sua azione sarebbe «sine dubio» proposta da soggetto privo di ius impugnandi. E poiché il promotore che non soddisfa i presupposti richiesti è inhabilis, il tribunale ne può accertare l'esistenza (o l'inesistenza) sia in sede di accettazione (o di reiezione) del libello che nel prosieguo della causa.

Un risvolto pratico promanante dall’azione litis introcductoria posta in essere dal promotore di giustizia riguarda la forma del processo di nullità che venga celebrato su istanza della stessa parte pubblica, essendo stato introdotto, dalla vigente normativa, il processus brevior per quei casi ove recurrant rerum personarumque adiuncta [...] quae [...] nullitatem manifestam reddant[73]. In questi casi, infatti, a norma del canone appena citato, la richiesta di adire il processus brevior deve essere presentata congiuntamente da entrambi i coniugi, ovvero da uno solo di essi con il consenso dell’altro, così che si potrebbe sostenere, ad un primo sguardo, che il promotore di giustizia non sia legittimato a porre istanza per la celebrazione di cotale forma di processo[74]. Ciò beninteso, tuttavia, emerge che nel caso di intervento quale parte attrice del promotore di giustizia debba ritenersi quasi certamente soddisfatta la seconda condizione di procedibilità, ossia quella nullità manifestam, atteso che la c.d. divulgatio della stessa, causa efficiente dell’azione della parte pubblica, non può prescindere dalla sussistenza dei fatti che la rendano manifesta. In tale situazione, allora, risulta fondamentale l’azione del Vicario Giudiziale, cui è demandata l’auctoritas di valutare, e conseguentemente applicare, quale sia la forma procedurale più idonea alla trattazione del caso[75]. A comporre l’apparente dicotomia, nel caso in specie, tra la condizione di procedibilità soggettiva – la richiesta dei coniugi – e quella oggettiva – la presenza di fatti che rendano la nullità manifesta – risolvendo così lo stallo procedurale che si creerebbe con una conseguente trattazione inqua della causa, viene l’art. 15 della ratio procedendi, in virtù del quale in presenza di una domanda di dichiarazione di nullità per processum ordinarium che secondo il vicario giudiziale processu breviore pertractari posse, è compito di quest’ultimo contattare le parti private al fine di ottenere il consenso di entrambe alla trattazione della causa di fronte al Vescovo diocesano attraverso la forma procedurale più breve[76].

 

5. Promotore di giustizia e tutela della legge processuale

 

Quando il promotore di giustizia non abbia impugnato il matrimonio, la sua presenza nel processo di nullità matrimoniale è necessaria, e ad validitatem, quando si tratti di tutelare la legge processuale, come avevo tentato di dimostrare nel precedente contributo[77]. La necessità di tale presenza sembrerebbe ora espressamente prevista dall'art. 57, § 2, dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’, per la quale «promotor iustitiae, dato decreto a iudice, sive ex officio sive ad instantiam defensoris vinculi vel partis, intervenire debet ubi de lege processuali tutanda agitur, potissimum ubi res est de actuum nullitate vel de exceptionibus». Che la citazione ad praesentiam del promotore sia richiesta ad validitatem, lo statuisce espressamente l'art. 60 dell’istruzione ‘Dignitas Connubii[78].

Invero non è di facile interpretazione il disposto del citato art. 57, § 2, dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’, specialmente se raffrontato - come giustamente fatto notare[79] - al successivo art. 223, per il quale “Collegium ad instantiam partis vel defensoris vinculi aut ex officio, interventum promotoris iustitiae, etsi processui nondum intersit, exquirere potest, si quaestionis incidentis natura vel difficultas id consulat”. Guardando attentamente al testo latino dei predetti articoli, pare che la proposizione normativa di cui all'art. 57, § 2, dell’istruzione citata, abbia come destinatario non solo il promotore di giustizia, ma anche - se non in primis - lo stesso giudice; al quale verrebbe fatto l’obbligo, tutte le volte in cui si tratti di tutelare la legge processuale, di citare il promotore di giustizia con un decreto emesso «sive ex officio sive ad instantiam defensoris vinculi vel partis». Quello del giudice sarebbe obbligo, e non facoltà, poiché per l’appunto, a norma dell’art. 57, § 2, il promotore «intervenire debet».

Su tali presupposti, una volta citato ad validitatem ex art. 60 dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’, il promotore di giustizia potrebbe ritenere nel caso concreto di non dover comparire. Rimanendo salva la possibilità che, nel caso di questione incidentale per sua natura rilevante o difficoltosa, il promotore sia nuovamente compulsato ad intervenire.

 

 

Abstract: As John Paul II, often reminded, in all ecclesiastical trials truth must always be, from the beginning to the judgment, the foundation, mother, and law of justice. When it is concerned “the nullity or not of the marriage bond”, the immediate purpose of the trial is to ascertain whether or not the facts exist that by natural, divine or ecclesiastical law invalidate marriage, in order to be able to issue a true and just sentence concerning the alleged non-existence of the marriage bond. The possible opinion of the promoter of justice, just like the pleadings of the advocates and the observations of the defender of the bond, exist for the purpose of helping this delicate and important work. They, too, in carrying out their task, the first in iure inquirendo, the second in favor of the parties, the third in defense of the bond, must serve the truth, in order that justice may triumph.

 

Key words: promoter of justice, marriage bond, truth, ecclesiastical trial, nullity.


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] Per una trattazione in generale del tema, ex multis, si rinvia a J.I. Donlon, Promoting Justice in the Church, in Proceedings 67 (2009), p. 131 ss.; A.A. Faílde Rodríguez, La intervención del defensor del vínculo y del promotor de justicia en los procesos declarativos de numida de matrimonio, in AA.VV., Nulidad y disolución del matrimonio /Actas de la I y II Jornadas de Derecho Matrimonial Canónico de la Universidad de Huelva), Córdoba 2007, p. 57 ss.; J.C. Glynn, The promotor of justice. His rights and duties, Washington 1936; C. Izzi, Promotor de justicia, in Diccionario General de Derecho Canónico, Pamplona 2012, VI, p. 561 ss.; P. Moneta, Promotore di giustizia, in Enciclopedia del diritto 37 (1988), p. 96 ss.; V. Palestro, Il Difensore del vincolo e il Promotore di giustizia, in AA. VV., Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas connubii”, II, Città del Vaticano 2007, p. 177 ss.; P. Pavanello, Il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, in AA. VV., I giudizi nella Chiesa. Il processo contenzioso e il processo matrimoniale, Milano 1998, p. 109 ss.; G.M. Usai, Il Promotore di giustizia e il Difensore del vincolo, in AA.VV., Il processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano 1988, p. 135 ss.

[2] «Il Giudice deve ricavare tale certezza “ex actis et probatis”... Ad aiutare quest’opera delicata ed importante dei giudici sono ordinate le "defensiones" degli Avvocati, le “animadversiones” del Difensore del Vincolo, l’eventuale voto del Promotore di Giustizia. Anche costoro nello svolgere il loro compito, i primi in favore delle parti, il secondo in difesa del vincolo, il terzo in “iure inquirendo”, devono servire alla verità, perché trionfi la giustizia». Giovanni Paolo II, Allocutio, 4 febbraio 1980, in Acta Apostolicae Sedis, LXXII (1980), p. 175. L'obiettivo di assicurare con norme idonee la funzione veritativa dell'attività processuale è irrinunciabile nella comunità ecclesiale, parte integrante della missione essenziale della Chiesa. Trattandosi di missione comune, essa comporta la necessità di intendere i rapporti processuali in termini di "corresponsabilità" nella ricerca della verità. Cfr. M.J. Arroba Conde, Conoscenza e giudizio nella Chiesa, in Apollinaris, 84 (2011), p. 513; nonché Id., Risultati della prova e tecnica motivazionale nelle cause matrimoniali. Casi pratici di prima istanza, Città del Vaticano 2013, p. 5.

[3] «Il “promotor iustitiae”, sollecito del bene comune, agirà anche lui nella prospettiva globale del mistero dell’amore vissuto nella vita familiare; allo stesso modo, se egli sentirà il dovere di avanzare una richiesta di dichiarazione di nullità, lo farà dietro la spinta della verità e della giustizia; non per accondiscendere, ma per salvare». Giovanni Paolo II, Allocutio, 28 gennaio 1982, in Acta Apostolicae Sedis, LXXIV (1982), p. 453.

[4] Se nel presente scritto verrà utilizzato, in relazione al processo di nullità matrimoniale, sia il termine ‘accusa’ che ‘impugnazione’, si tengano però presenti le connesse sfumature di significato, su cui cfr. R. Rodríguez-Ocaña, sub can. 1674, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, IV/2, 3a ed., Pamplona 2002, pp. 1855-1856.

[5] Norma letteralmente confermata nella versione novellata dalla lettera apostolica in forma di «motu proprio» del sommo pontefice Francesco Mitis iudex dominus Iesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice di diritto canonico.

[6] “Il promotore di giustizia è l’ufficio deputato alla difesa del bene pubblico sia quanto all’accusa nelle cause penali […] sia quanto alla vigilanza sull’osservanza delle leggi processuali sia, ancor più in generale, quanto alla difesa della legge. Per definizione, infatti, il bene pubblico è realizzato nella rigorosa osservanza della legge”. Cfr. G.P. Montini, De iudicio contentioso ordinario. De processibus matrimonialibus. I. Pars statica. Ad usum Auditorum, Romae 2016, p. 155. Al proposito si veda anche, per una più ampia trattazione, J. Wolter, "The promoter of justice and the common good in matrimonial causes" in The Jurist 11 (1951), p. 206 e ss..

[7] «Così il Legislatore, mentre da una parte ha stabilito alcune norme specifiche per le cause di nullità di matrimonio, dall’altra ha disposto che, per il resto, in esse debbano applicarsi i canoni “de iudiciis in genere et de iudicio contentioso ordinario”. Nello stesso tempo, ha espressamente ricordato che si tratta di cause attinenti allo stato delle persone, cioè alla loro posizione in rapporto all’ordinamento canonico e al bene pubblico della Chiesa. Non sarebbe possibile, senza queste premesse, intendere varie prescrizioni di entrambi i Codici, sia latino che orientale, in cui appare prevalente l’attività del pubblico potere. Si pensi, ad esempio, al ruolo che svolge il Giudice nel guidare la fase istruttoria del processo, supplendo anche alla negligenza delle stesse parti; oppure all’indispensabile presenza del difensore del vincolo, in quanto tutore del sacramento e della validità del matrimonio; oppure, ancora, all’iniziativa esercitata dal promotore di giustizia nel farsi parte attrice in determinati casi». Giovanni Paolo II, Allocutio, 22 gennaio 1996, in Acta Apostolicae Sedis, LXXXVIII (1996), p. 774.

[8] Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, a cura di S. Gherro, Padova 1991, pp. 133-178.

[9] Cfr. B. Ojetti, Synopsis rerum moralium et iuris pontificii, 4a ed., Romae 1912, s.v. accusatio matrimonii, coll. 48-49.

[10] Cfr. J. Llobell - E. de León - J. Navarrete, Il libro "de processibus" nella codificazione del 1917. Studi e documenti, vol. I, Milano 1999, pp. 193- 204.

[11] Ivi, p. 854.

[12] L’art. 15, § 1, del voto Bassibey statuiva: «Uni tantum ex coniugibus accusatio nullitatis reservabitur: 1° propter vim et metum, ei qui iniustam coationem passus est; 2° propter conditionem non impletam, ei qui nec dolo nec sua culpa, ne conditio impleretur, impedierit; 3° propter impubertatem ei qui, tempore matrimonii contracti impuber erat; 4° propter raptum, puellae quae rapta fuerit; 5° propter ligamen, ei qui, dum invalidas celebravit nuptias, impedimenti existentiam absque sua culpa ignorabat; 6° propter consensum simulatum, ei qui deceptus est». Cfr. J. Llobell - E. de León - J. Navarrete, Il libro "de processibus" nella codificazione del 1917. Studi e documenti, cit., p. 853.

[13] Cfr. F. X. Wernz, Ius Decretalium, vol. V, I, Prati 1914, p. 164.

[14] «Promotor iustitiae in impedimentis publicis, necnon in coeteris casibus, in quibus bonum sacramenti aut publicum ecclesiae bonum postulare existimaverit» (schema 1909-1910); «Promotor iustitiae in impedimentis publicis, necnon ceteris in casibus, in quibus sanctitas sacramenti aut publicum Ecclesiae bonum id [ipse postulare existimaverit]» (schema 1914-1914): J. Llobell - E. de León - J. Navarrete, Il libro "de processibus" nella codificazione del 1917. Studi e documenti, cit., pp. 882-883.

[15] Ivi, pp. 884-885.

[16] Ivi, p. 914.

[17] Al proposito si rinvia a F. Roberti, De actione promotoris iustitiae et coniugum in causis matrimonialibus, in Apollinaris 11 (1938), p. 571 ss.

[18] «Quando alii praeter coniuges possunt matrimonium accusare, potest etiam iudex ecclesiasticus, et debet, si habeat sufficientem causam ad suspicandam nullitatem matrimonii, procedere ex officio»: Ojetti, Synopsis rerum moralium et iuris pontificii, 4a ed., Romae 1912, cit., col. 50.

[19] Cfr. F.X. Wernz, Ius Decretalium, vol. V, I, cit., 311: «At libellus non requiritur in arbitrio, si reus consentiat, vel in causis processu summario definiendis, vel in notoriis, vel in causis appellationum, vel in processu inquisitionis et denuntiationis, et generatim ubi proceditur ex officio».

[20] Tornerò più avanti sulla questione dei limiti in cui lo scandalo sia presupposto dell’iniziativa del promotore di giustizia. Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., pp. 160-164.

[21] «Numquam autem ad promotorem iustitiae applicari poterunt normae de actoris absentia, de partium interrogationibus ac declarationibus; neque promotori iustitiae iusiurandum ullum deferri potest». Questa bozza di disposizione - che evidentemente si riferisce al processo in generale e non specificamente a quello di nullità matrimoniale - venne ritenuta superflua dal Coetus studiorum de processibus nella sessione dell’8 aprile 1978: cfr. Communicationes, 10 (1978), p. 239.

[22] Cfr. Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, instructio ‘Dignitas Connubii’, 25 gennaio 2005, art. 179, § 2.

[23] Cfr. J. Llobell, Le parti, la capacità processuale e i patroni nell’ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, XII (2000), pp. 96-97; Id, I processi matrimoniali nella Chiesa, Roma 2015, p. 184 ss.

[24] La stessa omissione si aveva in una stesura primitiva del canone, che però venne mutata dai consultori. Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 262.

[25] È vero che l’art. 58 dell’Instructio citata enuncia il principio generale di equiparazione tra promotore di giustizia accusante e parte attrice, quanto ai diritti processuali; si noti, però, che ciò vale «nisi ex rei natura vel ipso iuris praescripto aliud constet». L’omissione dell’art. 159 non appare utile ad escludere il promotore dall’esame delle parti, dei testi e dei periti e dal prendere visione degli atti giudiziari poiché, comunque, il promotore è avvocato del bonum publicum. Ciò, naturalmente, prescindendo dal permanente vigore del can. 1678, § 1, in forza del principio per cui «leges processuales Codicis Iuris Canonici ad declarandam matrimonii nullitatem manent in toto suo vigore, ad quas semper referendum erit in instructione interpretanda» (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, instructio ‘Dignitas Connubii’, cit., proemio).

[26] Cfr. Giovanni Paolo II, Allocutio, 22 gennaio 1996, cit., n. 2.

[27] Cfr. Giovanni Paolo II, Allocutio, 28 gennaio 1982, cit., n. 10.

[28] Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., pp. 160-164.

[29] Sacra Congregatio de Disciplina Sacramentorum, instr. 'Provida Mater', 15 agosto 1936, in Acta Apostolicae Sedis, XXVIII (1936), pp. 313-372.

[30] Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., p. 161.

[31] Così, sulla base di alcune meditazioni del Bartoccetti, M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., p. 162.

[32] Cfr. P. Lombardia, Norma y ordenamiento jurídico en el momento actual de la vida de la Iglesia, in AA.VV., La norma en el Derecho Canónico, Pamplona 1979, vol. II, p. 854.

[33] «Non semper esse scandalum, si peccas coram aliis, sed tantum quando, attentis circumstantiis tam personae agentis, quam coram quibus fit actus, potest probabiliter timeri, ne per hunc actum trahantur ad peccatum, qui alias peccaturi non essent»: Alphonsi de Ligorio, Theologia Moralis, libro III, num. 43, 3 (tomo I, Bassani 1836, p. 190).

[34] «Non censetur dare scandalum, qui licet publice peccet, facit id tamen coram iis, qui vel sunt ita viles, vel infames, aut improbi, ut nemo moveatur ad peccatum; vel qui sunt ita promti, v. gr. si quis fornicetur coram aliis, qui sunt parati idem facere, nec ejus exemplo moventur; vel si coram mansuetis quis contendat, rixetur, vel alium cedat»: op. ult. cit., libro III, num. 44, p. 5 (ed. cit., loc. cit.).

[35] Op. ult. cit., libro III, num. 44, p. 1 (ed. cit., loc. cit.).

[36] Cfr. N. Iung, s.v. scandale, in Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. XIV, Parigi 1939, col. 1247.

[37] Ibidem, col. 1249.

[38] A sua volta ‘scandalo’ nella Bibbia ha significato «considerevolmente diverso dall’uso che ne fa la teologia morale»: B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo, vol. II, 2a ed., Milano 1989, p. 572.

[39] Cfr. ad esempio can. 277, § 2; can. 933; can. 990; can. 1132; can. 1184, § 1, num. 3°; can. 1211; can. 1318; can. 1352, § 2; can. 1394, § 1; can. 1455, § 3; can. 1560, § 2; can. 1722.

[40] Cfr. can. 695, § 1; can. 1328, § 2; can. 1339, § 2; can. 1341; can. 1344, numm. 2° e 3°; can. 1347, § 2; can. 1357, § 2; can. 1361, § 3; can. 1364, § 2; can. 1727, § 2.

[41] Cfr. can. 1399.

[42] Temi vicini a quelli qui trattati sono toccati da A. Chirico, Norme penali canoniche e comunicazione mediatica, in Processo penale e tutela dei diritti nell’ordinamento canonico, a cura di D. Cito, Milano 2005, pp. 469-490. Per l’Autrice «si tratta… dell’imporsi, anche in ambito ecclesiale, di una dimensione nuova della comunicazione, dell’informazione, della stessa ricerca scientifica e della vita intellettuale, che apre scenari giuridicamente imprevisti nell’ambito della codificazione canonica, anche in ambito penalistico» (ivi, p. 469).

[43] Cfr. A. Borras, Les sanctions dans l’Église, Paris 1990, p. 41.

[44] Come richiede, in caso specifico ma a mio avviso corrispondente ad un principio generale, il can. 696, § 1, per il quale lo scandalo grave del sodale dimittendo deve sorgere «ex culpabili modo agendi».

[45] Cfr. G. Lo Castro, Responsabilità e pena. Premesse antropologiche per un discorso penalistico nel diritto della Chiesa, in Processo penale e tutela dei diritti nell’ordinamento canonico, cit., 3-31, sopr. pp. 29-31.

[46] La stesura originale del canone 1674 prevedeva l’abilità del promotore di giustizia «in tuitionem publici boni, quando nullitas fundatur in facto de se publico» (Communicationes, 8 (1976), p. 194). Un consultore, successivamente, propose la formula: «... quando factum, in quo nullitas fundatur, publicum evaserit». Si associarono altri due consultori «quia... casus interventus Promotoris iustitiae omnino extraordinarius esse debet, cum scilicet ratio gravis scandali adsit». Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 259. Ma nella versione definitiva del canone non v’ha alcuna menzione dello ‘scandalo’. Contra R. Rodríguez-Ocaña, sub can. 1674, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, vol. IV/2, cit., 1862.

[47] Al proposito si rinvia a M.J. Arroba Conde, Azione, eccezione e pubblico intervento, in Id., Giusto processo e peculiarità del processo canonico, Roma 2016, p. 67 ss. (ed in particolare pp. 79-81).

[48] Cfr. V. Bartoccetti, De causis matrimonialibus, in M. Lega, Commentarius in iudicia ecclesiastica, III, Romae 1950, p. 96.

[49] Nell’ipotesi dello stesso art. 39 il promotore iniziava l’azione purché lo richiedesse il «bonum publicum, scandali nempe amotio».

[50] Cfr. Bartoccetti, De causis matrimonialibus, in M. Lega, Commentarius in iudicia ecclesiastica, cit., p. 88.

[51] In tal senso sta in giudizio difendendo un interesse proprio, anche se pubblico e non privato; cfr. M.J. Arroba Conde, El principio dispositivo en el proceso contencioso canónico, Roma 1989, p. 27.

[52] A livello diocesano, la presenza del promotore di giustizia è imposta dalla legge nel caso delle inchieste nelle cause dei santi. Qui il promotore è chiamato a predisporre gli interrogatori «quae apta sint ad verum indagandum et inveniendum de Servi Dei vita, virtutibus vel martyrio, fama sanctitatis vel martyrii»: Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum, Normae servandae in inquisitionibus ab episcopis faciendis in causis sanctorum, 7 febbraio 1983, art. 15, lett. a, in A.A.S., LXXV (1983), vol. I, pp. 398-399. Cfr. J. L. Gutiérrez, Studi sulle cause di canonizzazione, Milano 2005, pp. 215-217.

[53] Benedetto XVI, Allocutio, 28 gennaio 2006, in Acta Apostolicae Sedis, XCVIII (2006), p. 137.

[54] Ibidem.

[55] Sul punto cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., pp. 163-164.

[56] Cfr. can. 1430, e art. 53, § 1, dell’instructio ‘Dignitas Connubii’, cit.

[57] R. Rodríguez-Ocaña, sub can. 1674, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, IV/2, cit., 1863.

[58] Cfr. S. Gherro, Diritto canonico e «pastoralità» della gerarchia, in Il concetto di diritto canonico. Storia e prospettive, a cura di C.J. Errázuriz e L. Navarro, Milano 2000, pp. 183-185.

[59] Che i soggetti diversi dai coniugi e dal promotore di giustizia siano attualmente privi dell’actio ad impugnandum matrimonium discende direttamente dal can. 1674. Ma l’assenza di azione in capo al quivis de populo non può spingersi fino al punto di privarlo di qualunque mezzo per far valere il suo interesse, in una tipica questione di status - e dunque pubblicistica - come quella relativa alla nullità matrimoniale. Questo interesse è un tipico interesse ecclesiale, poiché il matrimonio, oltre «ad essere tramite di grazia, è ambito in cui si costruisce la Chiesa, “velut Ecclesia domestica”»: G. Lo Castro, Matrimonio, diritto e giustizia, Milano 2003, p. 91.

[60] Per Llobell il promotore di giustizia difende un bene che non gli appartiene e rappresenta il «“titolare” del bene pubblico», essendo parte la Chiesa «di cui il Vescovo è “capo”, non “padrone”» (cfr. J. Llobell, Le parti, la capacità processuale e i patroni nell’ordinamento canonico, cit., p. 96). Il dettato del can. 1431, § 1, sembra rappresentare una specificazione del fondamentale can. 381, come dice C. de Diego-Lora, sub can. 1431, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, vol. IV/1, 3a ed., Pamplona 2002, cit., p. 819. Si noterà che quando il recente Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi auspica che il vescovo rispetti «la giusta indipendenza degli organi legittimamente costituiti», evidentemente non faccia riferimento al rapporto tra vescovo e promotore di giustizia così come configurato dal can. 1431, § 1; canone che, del resto, dal Direttorio non viene neppure nominato, nonostante il promotore di giustizia sia espressamente menzionato come colui che ha «l’incarico di vigilare ... sul bene pubblico ecclesiale». Cfr. Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi «Apostolorum Successores», 22 febbraio 2004, num. 181 (Città del Vaticano 2004, p. 189). Già la Rota Romana, in ambito penale, aveva sentenziato che «actio criminalis exercetur a Promotore Justitiae sub ductu et regimine Ordinarii qui peculiarem exercet potestatem circa stadium praevium processus»: S.R.R., decisio 42, 8 giugno 1943, in V. Palestro, Rassegna di giurisprudenza rotale nelle cause iurium e penali (1909-1993), Milano 1996, p. 125.

[61] Cfr. G. Lo Castro, Matrimonio, diritto e giustizia, cit., pp. 158-160.

[62] Ad esempio di tipo associativo.

[63] Cfr. can. 1436, § 2, e art. 53, § 2, dell’instructio ‘Dignitas Connubii’, cit.

[64] Così C. Gullo - A. Gullo, Prassi processuale nelle cause canoniche di nullità del matrimonio, 2a ed., Città del Vaticano 2005, p. 34. Ci si può domandare, circa la c.d. obbligatorietà dell’azione del promotore di giustizia, come questa caratteristica debba essere intesa a fronte dell’emanazione di una sentenza negativa in una causa di nullità del matrimonio che ha visto il promotore partecipare in qualità di attore. Il can 1680 §1 specifica che è fatto salvo il diritto delle parti ed itemque promotori iustitiae sia di appellare che di interporre querela di nullità. È fuori di ogni questione che l’impugnativa non sarà mai esperibile dal promotore di giustizia a seguito di una sentenza affermativa che non ha arrecato nessun gravamen alla sua posizione processuale (cfr. G. Erlebach, Alcuni aspetti applicativi del processo ordinario secondo il motu proprio mitis iudex, in Ius et Iustitia. Acta XVIII Symposii iuris canonici, Spisská Kapitula 2016, p. 160). Per quel che concerne le decisioni negative, invece, l’interposizione dell’appello sembrerebbe da considerarsi se non un obbligo giuridico per lo meno un obbligo morale dal momento che l’azione volta ad evitare lo scandalo, promossa dalla parte pubblica, derivante dal mantenimento di una situazione giuridica segnata da nullità divulgata, non può limitarsi ad una mera azione di introduzione della causa ma dovrebbe risolversi nella messa in atto di tutti i mezzi esperibili affinché la situazione di scandalo cessi.

[65] Per l’Italia, si veda quanto previsto in: Conferenza Episcopale Italiana, Decreto generale sul matrimonio canonico, 5.11.1990, num. 56 (in Enchiridion Cei, vol. IV, Bologna 1986-1990, p. 1337); Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, 25 luglio 1993, numm. 204-206 (Padova 1993, pp. 171-172).

[66] Giovanni Paolo II, Allocutio, 28 gennaio 1982, cit., n. 10.

[67] Cfr. P. Landau, Il concetto giuridico del diritto ecclesiale in prospettiva filosofico-storica, in Ius Ecclesiae, XVII (2005), pp. 365-369. Si cfr. anche il commento al can. 1430 in Codice di diritto canonico (e leggi complementari) commentato, ed. it. dir. da J.I. Arrieta, Roma 2004, p. 955, dove il bene pubblico è riallacciato alla nozione di bene comune ed alla definizione che ne dà il num. 26 della cost. past. Gaudium et Spes: «... l’insieme delle condizioni di vita sociale che consentono alle associazioni e ad ogni singolo loro membro, di perseguire, in modo più pieno e più facile, la propria perfezione», aggiungendosi che «nella Chiesa la legge suprema è la salus animarum».

[68] Sull’insegnamento di San Tommaso, per cui «finis iuris canonici tendit in quietem Ecclesiae et salutem animarum», si veda J. Herranz, Salus animarum, principio dell’ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, XII (2000), p. 292.

[69] Cfr. C.J. Errázuriz M., La salus animarum tra dimensione comunitaria ed esigenze individuali della persona, loc. ult. cit., pp. 333-341.

[70] Cfr. C. de Diego-Lora, sub can. 1430, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, vol. IV/1, 3a ed., Pamplona 2002, cit., p. 815.

[71] Persiste, pertanto, la possibilità di ricorrere all’ordinarius loci (rectius, al vescovo) e alla Curia Romana. Cfr. R. Rodríguez-Ocaña, sub can. 1674, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, vol. IV/2, cit., p. 1863.

[72] Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., pp. 164-166.

[73] Cfr. can. 1683 § 1.

[74] In argomento si analizzi il dato testuale del can. 1383 §1, asserente: “petito ab utroque coniuge vel ab alterutro, altero consentiente, proponatur”. Nel caso i soggetti agenti sono qualificati non soltanto nella loro qualità di partes ma addirittura nel loro status di coniuges, ponendo così una condizione di procedibilità in merito. Cfr. G. P. Montini, L’accordo dei coniugi quale presupposto del processus matrimonialis brevior (can. 1683, 1 MIDI), in Periodica 105 (2016), p. 410 e ss..

[75] La scelta del Vicario giudiziale, tuttavia, non è un atto arbitrario ma deve sottostare a precise regole procedurali, a norma del can. 1676, tra le quali è da enumerare il dovere di sentire il parere del Difensore del Vincolo che, tuttavia, on è per lui vincolante. Per approfondire si veda: Ph. Hallein, Nuove facoltà per il difensore del vincolo nello svolgimento di un processo di nullità matrimoniale?, in Periodica 99 (2010), p. 520.

[76] É da notarsi che in questo caso la norma utilizza il lemma pars per indicare coloro che sono chiamati a prestare il loro consenso nella trattazione del processo in forma brevior. Nel caso potrebbe apparire pleonastica la necessità di consenso anche del promotore di giustizia, introducente la causa e quindi garante della divulgatio della nullità. Tuttavia, non è così, atteso il munus del promotore di boni publici tutor, ossia colui che evita qualsiasi scandalo. Infatti, può darsi il caso in cui, come già di è ricordato, il promotore di giustizia introduca il libello di nullità del matrimonio su istanza del Vescovo diocesano che, di conseguenza, avrebbe una conoscenza previa e precostituita della situazione che andrebbe a giudicare. Sebbene vi sia chi sostiene la possibilità che in questi casi il Vescovo diocesano possa essere colui che, per mezzo del promotore, introduce la causa e nello stesso tempo giudice della stessa – a tal proposito si veda: N. Schöch, Il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, in AA.VV. I soggetti del nuovo processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 2018, p. 235 e ss.-; allo scrivente sembra invece più consono sostenere che il ruolo del promotore, in questo caso, sia quello di impedire che si verifichi una tale situazione. Infatti, il Vescovo diocesano che muove il promotore affinché interponga il libello, risulta essere, quindi, intervenuto nella fase pregiudiziale della causa stessa, sicché si troverebbe nella situazione di incompatibilità sancita dall’art. 113 § 2 D.C., arrecando così uno scandalo. In questo senso, allora, risulta essere necessario, affinché si possa esperire la via del processo più breve, anche il consenso del promotore di giustizia, inteso nella sua qualità di parte, il quale può valutare, sulla base della causa motiva dell’istanza presentata, se sia più conforme all’esigenza di bonum publicum, rifuggendo così la ratio scandali, adire la via ordinaria o più breve affinché sia dichiarato giudizialmente nullo un matrimonio che manifestamente già lo è di fatto.

[77] Cfr. M. Miele, Il promotore di giustizia nelle cause di nullità del matrimonio, in Studi sul processo matrimoniale canonico, cit., pp. 160

Miele Manlio



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