Abusi edilizi e doppio binario sanzionatorio
Giammarco Sigismondi - Nicola Berti*
Abusi edilizi e doppio binario sanzionatorio**
English title: Illegal building and double-track sanctioning system
DOI: 10.26350/18277942_000174
Sommario: 1. Un equilibrio difficile. - 2. Oltre la valutazione della (il)legittimità del titolo edilizio da parte del giudice penale: i problemi aperti. - 3. Ordine giudiziale di demolizione, annullamento d’ufficio del titolo edilizio e tutela dell’affidamento. - 4. Ordine giudiziale di demolizione e accertamento di conformità. - 5. Ordine giudiziale di demolizione e acquisizione gratuita al patrimonio comunale. - 6. Ordine giudiziale di demolizione e delibera ex art. 31 c. 5 d.p.r. 380/2001. - 7. Conclusioni.
1. Un equilibrio difficile
Fin dal momento in cui è stato strutturato, il sistema sanzionatorio previsto dal nostro ordinamento per le violazioni in materia edilizia e urbanistica è stato articolato su due piani paralleli. All’attribuzione del potere di irrogare sanzioni amministrative, che accompagna l’esercizio della funzione di vigilanza e controllo sull’attività edilizia, si è fin dal principio affiancato il tradizionale strumento penalistico, con l’introduzione di specifiche fattispecie di reato.
La ripartizione delle funzioni sanzionatorie originariamente seguiva una logica ben definita: l’autorità amministrativa era competente ad esercitare le funzioni in materia urbanistica – quindi a definire le scelte strategiche e operative relative all’uso del territorio – esercitare i poteri autorizzatori (quando previsti) funzionali a garantire che le trasformazioni del territorio a fini edificatori fossero coerenti con le scelte di pianificazione e a vigilare sul rispetto delle relative prescrizioni. Le sanzioni previste miravano ad assicurare quella stessa conformità, stabilendo che quanto fosse stato realizzato in difformità dalle previsioni venisse rimosso o reso conforme. Tali sanzioni avevano quindi carattere essenzialmente ripristinatorio[1].
La funzione sanzionatoria in senso proprio, caratterizzata dal tipico contenuto afflittivo, era invece riservata alle contravvenzioni previste dall’art. 41 l. 17 agosto 1942, n. 1150, che punivano le condotte trasgressive delle disposizioni che avrebbero dovuto assicurare la preventiva valutazione dell’amministrazione sui progetti di lottizzazione di aree a fini edificatori[2], sulle richieste di autorizzazione all’esercizio dell’attività edificatoria[3] e il rispetto delle prescrizioni contenute nella licenza edilizia[4], oltre che degli ordini impartiti dall’autorità amministrativa nell’esercizio dei poteri di vigilanza sull’esercizio dell’attività edilizia[5].
Il quadro è stato modificato in alcuni dettagli, ma confermato nella sua impostazione generale, con la l. 6 agosto 1967, n. 765: invariato l’art. 32 della l. 1150/1942, il sistema sanzionatorio previsto dall’art. 41 è stato caratterizzato da un inasprimento delle sanzioni e, soprattutto, ha mostrato una più chiara percezione della gravità degli illeciti urbanistici: la rilevanza delle lottizzazioni convenzionate e la necessità di inserirle nelle scelte di pianificazione generale – attestata dalle modifiche all’art. 28 della l. 1150/1942, che subordinava espressamente ogni scelta di lottizzazione alla previa approvazione di uno strumento urbanistico generale – è stata infatti accompagnata dall’inserimento delle corrispondenti violazioni tra quelle previste dall’art. 41, c. 1, lett. b), e quindi più severamente punite.
Per quanto riguarda le sanzioni amministrative ripristinatorie, invece, si è introdotta la possibilità di applicare sanzioni pecuniarie sostitutive nel caso di impossibilità di riduzione in pristino o demolizione delle opere abusive.
Il sistema è stato ulteriormente articolato con la l. 28 gennaio 1977, n. 10, che ha posto le basi della struttura attuale. All’introduzione della concessione edilizia come titolo edilizio oneroso destinato a sostituire la precedente licenza gratuita è stata accompagnata una più analitica differenziazione degli illeciti, prevedendo diverse conseguenze in funzione del diverso grado di gravità dell’infrazione e una specifica sanzione per il caso di mancata ottemperanza all’ordine di riduzione in pristino, confermata – almeno sul piano amministrativo – come prima conseguenza della violazione.
Si è così introdotta la distinzione tra interventi compiuti in assenza o totale difformità dal titolo edilizio e interventi eseguiti con difformità solo parziali, prevedendo per il primo caso che la mancata ottemperanza all’ingiunzione per la riduzione in pristino da parte del proprietario determinasse l’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo e dell’area di sedime al patrimonio indisponibile del Comune. In questa ipotesi, inoltre, la regola prevedeva il mantenimento dell’immobile e il suo utilizzo per fini pubblici, mentre la demolizione (da eseguire a spese del costruttore) era solo una conseguenza eventuale e riservata ai casi in cui tale utilizzo non fosse possibile o l’opera fosse in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali[6].
Per le difformità parziali dal titolo edilizio – e quindi per le infrazioni meno gravi – veniva invece mantenuta la regola precedente che prevedeva in termini generali la sostituzione di una sanzione pecuniaria alla riduzione in pristino nel caso che quest’ultima non fosse possibile, circoscrivendola però all’eventualità che la demolizione pregiudicasse le parti conformi dell’edificio, e quindi attribuendo alla nozione di impossibilità una connotazione essenzialmente legata ad aspetti tecnici[7].
Infine, si sono disciplinate per la prima volta in modo espresso le conseguenze dell’eventuale annullamento del titolo edilizio, mantenendo la riduzione in pristino come opzione principale, ma consentendo anche in questo caso l’applicazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva nel caso di impossibilità di rimuovere le opere abusive[8].
L’assetto delle sanzioni penali, invece, non ha subito modifiche sostanziali.
L’ultima evoluzione si è avuta con la l. 28 febbraio 1985, n. 47, che ha definito gli equilibri ancora attuali. Le modifiche introdotte sono state significative sia in termini sistematici, sia per quanto riguarda le possibili interferenze tra la funzione di vigilanza e controllo esercitato dall’autorità amministrativa e funzione sanzionatoria di competenza del giudice penale.
Dal punto di vista sistematico, oltre a una più puntuale individuazione dei soggetti responsabili degli illeciti (titolare del titolo edilizio, committente, costruttore e – solo per i profili relativi alla conformità delle opere al titolo edilizio – direttore dei lavori) e alla definizione dei rapporti tra gli stessi, si è articolata in modo autonomo la fattispecie della lottizzazione abusiva, distinguendola dai semplici abusi edilizi e accompagnandola a previsioni sanzionatorie particolarmente severe[9].
Rispetto agli abusi edilizi, invece, si è integrata la categoria delle infrazioni maggiori con il riferimento agli interventi compiuti con variazioni essenziali rispetto al titolo edilizio[10] e si sono aggiunte due fattispecie specifiche: la prima, relativa agli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza o in totale difformità dal titolo concessorio (con specifiche sanzioni ripristinatorie convertibili, a determinate condizioni, in sanzioni pecuniarie sostitutive della riduzione in pristino)[11]; la seconda, riguardante le opere eseguite in mancanza del (o in difformità dal) titolo autorizzatorio (per gli interventi che al tempo non richiedevano la concessione edilizia, e che attualmente rientrano nell’ambito di applicazione della SCIA edilizia o della CILA), per le quali non è stata prevista l’applicazione di sanzioni penali e le sanzioni amministrative ripristinatorie sono state limitate al caso di interventi su immobili sottoposti a vincolo o collocati nelle zone A[12].
Sempre in questo ambito, sono state parzialmente modificate le conseguenze dell’inottemperanza all’ordine di riduzione in pristino nel caso di abusi maggiori, confermando l’acquisizione dell’opera abusiva e dell’area di sedime al patrimonio del Comune (ora non più indisponibile), ma riservandone la conservazione a una decisione espressa del Consiglio comunale che desse conto dell’esistenza di prevalenti ragioni di interesse pubblico che ne avrebbero reso inopportuna la demolizione (e salvo l’esistenza di contrastanti e rilevanti interessi urbanistici o ambientali)[13]. Nella sostanza, quindi, mentre in precedenza la conservazione dell’opera abusiva era la regola – con il vincolo tuttavia per il Comune di utilizzarla per fini pubblici (destinazione funzionale rafforzata dall’impossibilità di alienare il bene acquisito) – dal 1985 la regola è diventata la riduzione in pristino, mentre a essere motivata deve essere la scelta di non demolire quanto abusivamente realizzato. Si tratta, nella sostanza, di una logica non distante (fatte le dovute distinzioni) da quella che è alla base della possibilità di autorizzare il rilascio di titoli edilizi in deroga alla normativa edilizia e urbanistica vigente, e non a caso la competenza ad esprimersi al riguardo è attribuita in entrambi ai casi al Consiglio comunale: in questa prospettiva (e coerentemente), infatti, all’organo competente a definire le linee essenziali dell’assetto urbanistico che dovrebbe rappresentare il miglior compromesso possibile rispetto ai diversi interessi coinvolti, nell’ambito della cornice normativa di riferimento e sulla base di un apprezzamento che la giurisprudenza riconosce da sempre come ampiamente discrezionale, viene attribuito anche il potere di ammettere deroghe qualora il risultato complessivo della scelta corrisponda comunque a un interesse pubblico apprezzabile.
Inoltre, è stata prevista la possibilità di regolarizzare gli interventi compiuti in assenza di titolo o in difformità rispetto al titolo edilizio, a condizione che ne potesse essere attestata la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della richiesta di sanatoria[14].
La novità più rilevante nella prospettiva delle interazioni reciproche tra sistema di sanzioni penali e controllo amministrativo sull’attività edilizia, tuttavia, ha riguardato la previsione della possibilità per il giudice penale, con la sentenza di condanna e per l’ipotesi che l’infrazione sia riconducibile agli abusi edilizi maggiori, di ordinare la demolizione delle opere abusive non altrimenti rimosse[15]. La disposizione trovava un precedente nell’art. 23 l. 2 febbraio 1974, n. 64[16], relativo alla violazione delle prescrizioni per la costruzione in zone sismiche, e avrebbe avuto una conferma nell’art. 1-sexies, c. 2, l. 8 agosto 1985, n. 431, riguardante la realizzazione di opere in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica[17]. In questo modo – e pur in un contesto di esigenze di tutela non esattamente sovrapponibile a quello riconducibile alle disposizioni richiamate – si è aperta quindi la possibilità per il giudice penale non solo di esercitare la tradizionale funzione sanzionatoria, ma anche di disporre misure ripristinatorie potenzialmente in grado di interferire con lo spazio d’azione fino a quel momento riservato all’amministrazione, e questo nonostante la formulazione della norma la configuri come disposizione di chiusura del sistema[18].
2. Oltre la valutazione della (il)legittimità del titolo edilizio da parte del giudice penale: i problemi aperti
Nel contesto descritto, che salvo successivi interventi di dettaglio corrisponde al quadro normativo delineato dal d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 attualmente in vigore, lo spazio d’azione attribuito al giudice penale – grazie a interpretazioni del sistema dirette a enfatizzarne il ruolo – si è rapidamente tradotto nell’assunzione di una funzione suppletiva dei poteri di vigilanza e controllo sull’attività edilizia di competenza dell’amministrazione.
Le ragioni di questa evoluzione sono note e sono in primo luogo riconducibili alla scarsa efficacia del sistema sanzionatorio amministrativo nel garantire in modo effettivo l’obiettivo di conformità delle trasformazioni edilizie alle prescrizioni e alle scelte compiute dagli strumenti urbanistici perseguito attraverso le misure ripristinatorie previste[19]. Una inefficacia, peraltro, spesso dovute più all’inerzia delle amministrazioni titolari della funzione di vigilanza e controllo sull’attività edilizia che a una reale disfunzionalità delle regole.
Altrettanto note sono le linee evolutive seguendo le quali si è arrivati a trovare un fondamento di diritto positivo che legittimasse tale supplenza: un percorso caratterizzato da alcuni snodi interpretativi fondamentali, il cui approdo finale appare consolidato almeno quanto lo sono le perplessità espresse sulla sua coerenza sistematica.
L’orientamento giurisprudenziale in questione ha infatti avuto origine verso la metà degli anni ’70 in alcune pronunce di merito che hanno sostenuto la possibilità per il giudice penale, in sede di accertamento dell’integrazione della fattispecie tipica prevista dall’art. 41 l. 1150/1942, di valutare incidentalmente l’illegittimità di un eventuale titolo edilizio, disponendone quindi la disapplicazione[20]. Questa linea interpretativa è proseguita anche nel vigore della disciplina posta dalla l. 10/1977, relativamente alla contravvenzione riguardante l’esecuzione di opere in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia. Di conseguenza, ai fini sanzionatori gli interventi realizzati sulla base di un titolo edilizio illegittimo sono stati equiparati a quelli compiuti in assenza o totale difformità dal titolo. L’orientamento ha trovato poi conferma nella giurisprudenza di alcune sezioni della Corte di cassazione penale[21] e nonostante questa interpretazione sia stata superata dalle sezioni unite nel 1987[22], l’equiparazione tra assenza di titolo edilizio e titolo illegittimo è stata riproposta su altre basi e costituisce tuttora l’orientamento del tutto prevalente[23]. La condanna per il reato ora previsto dall’art. 44, c. 1, lett. b) d.p.r. 380/2001, dal 1985 in poi è stata inoltre accompagnata dall’ordine di demolire le opere realizzate sulla base del titolo edilizio ritenuto illegittimo.
Non è il caso di riportare nei dettagli l’evoluzione del percorso argomentativo seguito e delle critiche che sono state opposte[24]. Resta il fatto che le conclusioni raggiunte contrastano con almeno tre dati oggettivi.
Innanzi tutto, con l’elemento testuale, che in nessun caso, anche con le successive modifiche introdotte al sistema sanzionatorio, ha mai fatto riferimento, anche indiretto, alla legittimità del titolo edilizio come condizione rilevante nella descrizione della fattispecie incriminatrice. Appare quindi una evidente forzatura riconoscere tale rilevanza in via interpretativa e ravvisare un cambiamento nell’oggetto di tutela individuato dalla norma su basi esclusivamente sistematiche e senza alcuna indicazione esplicita da parte del legislatore[25].
In secondo luogo, con il dato allo stesso tempo testuale e sistematico rappresentato dalla disciplina positiva dell’accertamento di conformità, che considera abusivo e penalmente sanzionabile l’intervento realizzato in mancanza del – o al di fuori di quanto assentito dal – titolo indipendentemente dalla sua conformità alle prescrizioni urbanistiche. Conformità che, anzi, come è noto, deve sussistere sia al momento di realizzazione dell’intervento, sia a quello in cui ne è chiesto l’accertamento. A fronte di questa disciplina, infatti:
a) se oggetto della tutela della fattispecie penale fosse la conformità dell’assetto del territorio alla disciplina urbanistica non avrebbe senso prevedere espressamente l’estinzione dei reati contravvenzionali come conseguenza del permesso in sanatoria, dal momento che l’insussistenza del reato o dovrebbe essere un effetto automatico di tale accertamento (se si volesse ritenere oggetto di un potere riservato all’autorità amministrativa), oppure non dovrebbe mai esserne condizionata (se si volesse invece ritenere il giudice penale sempre legittimato a svolgere autonomamente il proprio accertamento al riguardo, che corrisponde peraltro all’indirizzo effettivamente seguito, salva la difficoltà di conciliarne le conclusioni – ancora una volta – con il dato positivo attualmente costituito proprio dall’art. 45, c. 3, d.p.r. 380/2001[26]);
b) la rilevanza penale della condotta andrebbe coerentemente esclusa tutte le volte in cui l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente, indipendentemente dal fatto che tale conformità sia originaria o sopravvenuta, venendo in questo secondo caso meno la lesività del fatto rispetto al bene giuridico tutelato (ancora una volta, tuttavia, scontrandosi con la formulazione letterale della norma).
In terzo luogo, con il dato sistematico rappresentato dalla disciplina degli interventi compiuti sulla base di un titolo annullato, ora definita dall’art. 38 d.p.r. 380/2001. La norma infatti – salva l’eventualità di una regolarizzazione formale del titolo e ferma restando la possibile applicabilità in tali ipotesi dell’art. 21-octies, c. 2, l. 241/1990 – consente sempre all’amministrazione di valutare l’opportunità di irrogare una sanzione pecuniaria sostitutiva come alternativa alla riduzione in pristino, lasciando tra l’altro un margine d’apprezzamento più ampio di quanto previsto da altre disposizioni che disciplinano situazioni simili, come gli artt. 33, c. 2, e 34, c. 2, d.p.r. 380/2001[27]. Ciò tuttavia significa che una identica condotta (l’aver realizzato un intervento non conforme alla disciplina urbanistica, pur se sulla base di uno specifico titolo autorizzatorio o, se si preferisce, sulla base di un titolo illegittimo) sarebbe soggetta a conseguenze differenti a seconda che la difformità abbia costituito il presupposto per l’annullamento del titolo (in autotutela o su ricorso di un terzo controinteressato) oppure che sia stata rilevata dal giudice penale ai fini dell’accertamento del reato punito dall’art. 44, c. 1 lett. b), d.p.r. 380/2001, essendo espressamente ammessa solo nel primo caso la possibilità di valutare l’irrogazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva[28].
Inoltre, sia nell’ipotesi in cui l’annullamento del titolo sia conseguenza dell’esercizio dell’ordinario potere d’annullamento d’ufficio ora disciplinato dall’art. 21-nonies l. 241/1990, sia nell’ipotesi dello specifico potere di annullamento regionale previsto dall’art. 39 d.p.r. 380/2001, l’annullamento non è mai una conseguenza automatica dell’accertamento dell’illegittimità del permesso di costruire, dovendo essere mediata dalla valutazione dell’interesse alla tutela dell’affidamento del destinatario ed essere disposta entro limiti temporali definiti (per quanto, nel secondo caso, ampi)[29].
Nonostante le criticità evidenziate, la funzione di controllo sull’attività edilizia che il giudice penale si è attribuito in via interpretativa appare consolidata, e un ripensamento dell’orientamento seguito non sembra probabile. Anche un eventuale – per quanto discutibile e senz’altro problematico in assenza di un intervento diretto della Corte EDU – riconoscimento della natura sostanzialmente penale della misura imposta con l’ordine di demolizione[30], indipendentemente dall’autorità che lo disponga, non appare in grado di spostare gli equilibri in modo significativo, salvo che per la possibile applicazione del principio del ne bis in idem nel caso che l’amministrazione in conseguenza dell’annullamento del titolo edilizio decida per la fiscalizzazione dell’abuso irrogando la sanzione pecuniaria sostitutiva prevista dall’art. 38 d.p.r. 380/2001[31].
Tuttavia l’ordine di demolizione disposto dal giudice penale, per le situazioni specifiche nelle quali può attualmente intervenire e per le modalità secondo le quali viene spesso impartito, oltre che criticità di ordine sistematico presenta anche dei problemi applicativi di ordine concreto, nei quali possono emergere interferenze con gli spazi di decisione riservati all’autorità amministrativa: si pensi alle valutazioni relative all’affidamento nella legittimità del titolo, non necessariamente circoscritte ai responsabili dell’abuso, ma estensibile ad altri soggetti che possono subire gli effetti dell’ordine di demolizione senza essere coinvolti direttamente nel procedimento penale[32]; o ai possibili effetti derivanti dal trasferimento della proprietà dell’immobile abusivo in conseguenza dell’inottemperanza all’ordinanza che dispone la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31, c. 2 e 3, d.p.r. 380/2001; o, ancora, alle interferenze con l’accertamento di conformità dell’intervento all’esito del quale venga emanato un permesso in sanatoria; o alla relazione con la delibera con la quale il Consiglio comunale può decidere di mantenere l’opera abusiva acquisita al proprio patrimonio disponibile.
Le implicazioni della previsione di un doppio binario sanzionatorio – per come si è configurato e trova attuazione – meritano pertanto di essere approfondite anche rispetto a questi aspetti.
3. Ordine giudiziale di demolizione, annullamento d’ufficio del titolo edilizio e tutela dell’affidamento.
L’ormai consolidata possibilità per il giudice penale di condannare per il reato di cui all’art. 44 d.p.r. 380/2001 e, conseguentemente, ordinare la demolizione di interventi conformi ad un titolo edilizio efficace (pur accertato incidentalmente come illegittimo)[33], realizza a ben vedere un’indebita (e difficilmente conciliabile) sovrapposizione tra la funzione di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia (di cui sono espressione i poteri repressivi e ripristinatori demandati all’amministrazione e al giudice penale) e la funzione di controllo della legittimità dei titoli edilizi (cui si ricollegano, invece, i poteri di annullamento, giurisdizionale e in autotutela)[34], le quali devono mantenersi, invece, concettualmente e giuridicamente del tutto distinte[35]. Una possibile sovrapposizione che, invero, nel “binario” amministrativo è impedita dalla circostanza per la quale l’esercizio dei poteri ripristinatori da parte dell’amministrazione è precluso fintanto che gli interventi di trasformazione del territorio risultino conformi ad un titolo legittimante.
L’ingiunzione della demolizione da parte del giudice penale, in presenza di un permesso amministrativo efficace, “scardina” invece il descritto equilibrio, comportando, da un lato, un vero e proprio “appiattimento” della funzione amministrativa di controllo dei titoli su una doverosità e vincolatività di matrice repressiva, così sterilizzando la complessità “gestoria” (a tutela di tutti gli interessi in gioco) che connota tipicamente la funzione amministrativa, e, dall’altro lato, dà luogo a problematiche applicative di non secondario momento, il cui superamento impone spesso forzature di istituti consolidati e soluzioni settoriali, sempre più slegate dal dato normativo.
Per dare ragione di quanto detto, si consideri anzitutto che mentre la funzione di vigilanza e di controllo sulla conformità degli interventi edilizi si connota per la sua “perpetuità” (e senza che il trascorrere del tempo rilevi sulla meritevolezza dell’affidamento dei destinatari)[36], quella di controllo sulla legittimità dei titoli si caratterizza, invece, per la sua “temporaneità”, essendo condizionata non solo al termine per l’impugnazione giurisdizionale, ma anche a quello (“ragionevole”) di decadenza dai poteri di autotutela amministrativa, oggi come noto fissato nel massimo in dodici mesi dall’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990[37], e in dieci anni dall’adozione dei provvedimenti comunali (e in diciotto mesi dall’accertamento delle violazioni) per l’annullamento straordinario regionale ex art. 39 d.p.r. 380/2001, che rappresenta il vero potere di “chiusura” della funzione in parola[38].
Non interessa soffermarsi in questa sede sulle ragioni di politica del diritto che hanno condotto ad una progressiva limitazione temporale dei poteri di autotutela in funzione di rafforzamento della certezza del diritto e dell’affidamento dei cittadini (che deve essere, peraltro, considerato dall’amministrazione anche in sede ponderativa)[39]; ciò che preme, invece, rilevare è che la previsione di termini decadenziali per l’esercizio dei poteri di controllo sui titoli edilizi è inevitabilmente destinata a condizionare anche il (conseguente) potere repressivo-ripristinatorio della ammi-nistrazione, posto che qualsiasi iniziativa in tal senso è preclusa finché sussista in capo ad essa un vincolo efficace al rispetto del proprio titolo, in tal modo riducendosi sensibilmente, con il trascorrere del tempo, la possibilità stessa di demolire interventi (sostanzialmente) abusivi ma (formalmente) assentiti, anche se in modo illegittimo[40].
Si vede, invece, come il riconoscimento in capo al giudice penale del potere di ordinare la demolizione di un immobile conforme ad un titolo edilizio illegittimo (ma permanentemente efficace, in quanto non annullato), non soggetto a limitazioni temporali che non siano quelle di prescrizione della relativa contravvenzione[41], rischi non solamente di introdurre un rilevante elemento di incertezza (che il legislatore ha, invece, inteso limitare)[42], ma altresì di precludere la possibilità stessa per l’amministrazione, una volta esaurito il potere di autotutela, di procedere ad un parallelo e autonomo accertamento dell’illecito, con tutta la varietà di effetti che ad esso si possono ricollegare a tutela dell’interesse pubblico e dell’affidamento del privato[43]. Si pensi, ad esempio, alla conservazione del titolo mediante decisione di conferma, convalida o non-annullamento, alla “fiscalizzazione” dell’abuso ex art. 38 d.p.r. 380/2001 in caso di annullamento, all’acquisizione al patrimonio comunale e alla sanzione pecuniaria nell’ipotesi di inadempimento all’obbligo di demolizione, e, infine, alla decisione di mantenimento del manufatto per fini pubblici[44]; effetti, questi, che sono del tutto estranei al binario penalistico[45], rispetto al quale la demolizione del manufatto abusivo rappresenta, invece, l’unico esito necessitato[46]. A quanto detto si aggiunga che il termine decadenziale per l’esercizio dei poteri di autotutela dell’amministrazione è destinato a essere superato, ai sensi dell’art. 21-nonies, c. 2-bis, l. 241/1990, solamente nel caso in cui il titolo sia stato conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato (circostanza, invero, non infrequente in caso di condanna per illecito edilizio): ossia esattamente nei casi in cui l’affidamento del privato non è ritenuto, per ciò, generalmente meritevole di tutela, neppure in sede ponderativa[47].
Tale rilievo si riconnette linearmente ad un secondo profilo problematico, relativo alla svalutazione della discrezionalità amministrativa, che connota tipicamente l’annullamento d’ufficio, allorquando si sia in presenza di un ordine di demolizione impartito dal giudice penale: in tal caso, la giurisprudenza (non solo penale) tende, infatti, a sterilizzare tutte le componenti valutative previste dall’art. 21-nonies della l. 241/1990: non solamente quelle attinenti alla liceità dell’intervento/illegittimità del titolo (tendenzialmente vincolate all’accertamento compiuto dal giudice penale)[48] e alla sussistenza dell’interesse pubblico (ritenuto generalmente in re ipsa)[49], ma anche la necessaria considerazione dell’affidamento dei destinatari[50]. Quest’ultimo, infatti, è considerato non meritevole di protezione argomentando ora sulla base dell’intervenuta condanna (definitiva) per il falso, ora in ragione dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato urbanistico-edilizio (dolo o colpa, trattandosi di contravvenzioni)[51]. Una siffatta automaticità non appare, tuttavia, condivisibile, non solo perché non si vede come la colpa possa in ogni caso escludere la meritevolezza dell’affidamento nella legittimità di un titolo rilasciato dalla pubblica amministrazione, ma anche in quanto l’affidamento protetto dall’annullamento in autotutela è soprattutto quello di coloro che subiscono gli effetti dell’ordine di demolizione senza essere stati coinvolti direttamente nel procedimento penale, in quanto non responsabili dell’abuso, né autori del falso dichiarativo (come, ad esempio, il terzo acquirente/successore in buona fede o il beneficiario inconsapevole del falso)[52]. Per altro verso, la vincolatezza in concreto del potere di annullamento finisce spesso per “dequotare” anche l’elemento partecipativo ai sensi dell’art. 21-octies, c. 2, l. 241/1990, con la conseguenza di precludere la possibilità per tutti gli interessati di rappresentare in contraddittorio elementi di fatto o di diritto utili ai fini di un corretto accertamento della fattispecie; contraddittorio (procedimentale e processuale) che viene perciò trasposto e surrogato, ancora una volta, nel contesto del solo incidente penale di esecuzione[53].
La discrezionalità amministrativa, infine, appare limitata anche in relazione all’an, in quanto l’intervenuta ingiunzione della demolizione delle opere abusive da parte del giudice penale, rende, secondo una parte della giurisprudenza, doveroso/obbligatorio l’avvio del procedimento di annullamento d’ufficio del titolo accertato come incidentalmente illegittimo[54]. In un caso, poi, il Consiglio di Stato ha ritenuto sussistere una pretesa qualificata all’avvio di un procedimento di riesame in autotutela del titolo edilizio – riconosciuto incidentalmente come illegittimo dal giudice penale – in capo allo stesso beneficiario del permesso (anche non responsabile), in quanto finalizzato ad ottenere una eventuale decisione di “conferma” della legittimità dello stesso, da utilizzare come argomento difensivo in sede di incidente di esecuzione avverso l’ordine di demolizione giudiziale[55]. In tal modo, il procedimento di riesame in autotutela diviene, ancora una volta a dispetto del dato positivo, uno strumento volto all’accertamento della sola legalità obiettiva del provvedimento e la decisione amministrativa risulta “degradata” a mero materiale istruttorio – liberamente valutabile dal giudice – all’interno della sede processuale penale[56]; elementi difensivi che la pubblica amministrazione, invero, potrebbe rappresentare anche “autonomamente” all’interno di un incidente di esecuzione, eventualmente da lei stessa promosso, laddove la difesa della legittimità del provvedimento corrispondesse ad un proprio interesse[57]: circostanza, del resto, tutt’altro che improbabile, posto che l’amministrazione potrebbe essere condannata, sussistendone i relativi presupposti, al risarcimento dei danni a favore del privato che abbia beneficiato di un titolo accertato come illegittimo e, in ragione di ciò, abbia subìto un pregiudizio patrimoniale in conseguenza della demolizione delle opere[58].
Senonché, la richiamata esigenza colta dalla giurisprudenza amministrativa appare scontrarsi frontalmente con il consolidato orientamento del giudice penale, per il quale l’avvio di un procedimento di riesame del titolo edilizio sarebbe comunque inidoneo a sospendere l’esecuzione dell’ordine in attesa delle determinazioni amministrative, in quanto ineluttabilmente convergente con la sentenza penale, considerato l’esito vincolato all’annullamento dell’atto[59].
4. Ordine giudiziale di demolizione e accertamento di conformità.
Il potere del giudice penale di ingiungere la demolizione degli immobili abusivi è inteso dalla giurisprudenza come autonomo e distinto da quello riservato al Comune[60], dovendosi perciò escludere la sussistenza tanto di una pregiudizialità amministrativa[61], quanto di una pregiudizialità penale[62]: i due procedimenti sono considerati, infatti, espressione di compiti «paralleli e sinergici»[63], in quanto convergenti verso il medesimo obiettivo (il ripristino della situazione di fatto a quella di diritto). In tale prospettiva, se è vero che l’ordine giudiziale ha carattere accidentale (potendosi disporre la demolizione solo «se non sia stata altrimenti eseguita»), esso non è espressione di un potere sostitutivo/suppletivo, e in quanto tale non presuppone una “inerzia” della pubblica amministrazione[64].
Nondimeno, nonostante alcune iniziali incertezze, costituisce ormai ius receptum che l’ordine giudiziale di demolizione abbia parimenti natura (formale e sostanziale) di sanzione amministrativa di tipo ablatorio[65], sicché esso, pur accessivo ad una sentenza di condanna, non ha attitudine al giudicato, ma si caratterizza per la sua revocabilità[66]; ciò che consente una permanente possibilità di coordinamento nella fase esecutiva con la parallela iniziativa amministrativa che, come più volte ribadito, potrebbe condurre all’adozione di provvedimenti incompatibili con la demolizione dell’immobile abusivo[67]. In particolare, in sede di incidente di esecuzione penale (promuovibile da qualsiasi soggetto interessato, anche non parte del giudizio di cognizione) è ritenuto doveroso il riesame dell’ordine giudiziale di demolizione in caso di mutamento (attuale o anche solo potenziale) della situazione di fatto o di diritto concernente il bene[68], il quale può concludersi o con la revoca o la modifica dell’ordine, se assolutamente incompatibile con atti amministrativi assunti dall’autorità competente[69], ovvero con la sua sospensione cautelare, nel caso in cui possa ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali provvedimenti saranno emessi in tempi brevi, non essendo peraltro sufficiente la mera eventualità di una loro adozione[70].
Fra i provvedimenti amministrativi incompatibili con la demolizione dell’immobile vi è, in primo luogo, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.p.r. 380/2001[71]. È, del resto, lo stesso art. 45 d.p.r. 380/2001 a disporre che l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria (c. 1)[72], il cui definitivo rilascio estingue i reati contravvenzionali nei confronti di tutti i soggetti responsabili dell’abuso[73] (c. 3), precludendo conseguentemente anche l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva o legittimandone la revoca, laddove sia già intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza penale.
Nonostante il tenore letterale della disposizione appena citata, detti effetti non sono tuttavia ritenuti automatici, posto che la giurisprudenza della Cassazione, da un lato, condiziona la sospensione del procedimento penale non solamente alla proposizione dell’istanza, ma anche alla sussistenza di tutte le condizioni per ottenere il valido rilascio del permesso di costruire in sanatoria[74]; e dall’altro lato, sostiene che il mero rilascio di quest’ultimo non estingua di per sé il reato, avendo il giudice penale pur sempre il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità formale dello stesso e la conformità sostanziale delle opere alla disciplina urbanistico-edilizia, solo in tal caso potendosi dichiarare estinta la contravvenzione, all’esito di un sindacato assai simile a quello svolto rispetto al permesso di costruire in sede di accertamento della fattispecie di reato[75].
Anche rispetto alla fase esecutiva dell’ordine giudiziale (già impartito), la mera presentazione di un’istanza di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.p.r. 380/2001, se non può mai legittimarne la revoca, in quanto il rilascio del titolo è meramente eventuale[76], potrà, invece, abilitarne la sospensione, ma anche in questo caso senza alcuna automaticità: come avviene in sede di cognizione, infatti, il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare se sussistono concreti elementi che consentano una valutazione prognostica positiva circa il prossimo accoglimento della domanda e la conseguente adozione di un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con l’ordine di demolizione[77]. In particolare, il giudice è tenuto a verificare: che sia ragionevolmente prevedibile la risposta dell’amministrazione in un brevissimo lasso di tempo[78]; che non sussistano ictu oculi cause ostative al suo accoglimento[79]; che non risultino cause di insanabilità assoluta dell’opera perché, ad esempio, realizzata in zona vincolata; e, infine, che l’istanza sia formalmente regolare e completa, nonché accompagnata dal versamento della somma dovuta a titolo di oblazione[80].
Neppure il definitivo rilascio del permesso di costruire in sanatoria comporta alcuna automaticità della revoca dell’ordine giudiziale di demolizione[81], essendo, anche in tal caso, demandato al giudice dell’esecuzione il potere-dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo in sanatoria, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio[82], la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, quando trovino applicazione le disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali della legge regionale[83]. La conformità sopravvenuta dell’intervento (c.d. sanatoria giurisprudenziale o impropria), invece, non è ritenuta idonea a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione, in quanto a determinarne la revoca può essere solo la sanatoria corrispondente alle condizioni (anche formali) stabilite dall’art. 36 d.p.r. 380/2001[84].
Insomma, così come si è visto con riferimento al titolo edilizio in relazione all’accertamento della fattispecie di reato, anche rispetto alla verifica della sua estinzione il giudice penale si attribuisce, in spregio all’inequivocabile dato normativo, un sindacato penetrante (per non dire integralmente sostitutivo) sulla legittimità del permesso di costruire in sanatoria, senza alcuna preoccupazione in ordine al rischio di invasione degli spazi di decisione istituzionalmente riservati all’autorità amministrativa; preoccupazione che, paradossalmente, il giudice penale torna a manifestare in malam partem allorquando il provvedimento amministrativo sia rappresentato, all’opposto, da un diniego (illegittimo) di sanatoria, rispetto al quale viene generalmente declinato un accertamento della pretesa sostanziale (al rilascio del titolo) sulla scorta dei motivi dedotti dagli interessati[85]; e ciò eccettuata l’ipotesi in cui il diniego (espresso o tacito) del permesso di costruire in sanatoria sia oggetto di sospensiva da parte del giudice amministrativo: in tal caso, ai fini dell’eventuale sospensione anche del concorrente ordine giudiziale di demolizione, il giudice si riserva una ulteriore valutazione circa la fondatezza delle ragioni sostanzialiin ordine alla concedibilità della sanatoria poste a fondamento del ricorso amministrativo (così come valorizzate nella motivazione del giudice amministrativo in ordine al fumus)[86].
Sul punto, occorre una volta di più ribadire che “delle due l’una”: o l’adozione del permesso di costruire in sanatoria (a prescindere dalla sua legittimità) estingue il reato contravvenzionale e impedisce l’irrogazione dell’ordine demolitorio (come parrebbe disporre l’art. 45 d.p.r. 380/2001), e quindi al giudice penale sarebbe sempre precluso un autonomo accertamento sulla (doppia) conformità sostanziale dell’intervento o sulla legittimità formale del titolo sanante (anche ai fini della condanna), oppure l’autonomo accertamento sulla (doppia) conformità sostanziale, a prescindere dall’adozione/legittimità del permesso di costruire in sanatoria, dovrebbe sempre condizionare l’estinzione del reato (anche ai fini dell’assoluzione). Diversamente, la deferenza “alternata” manifestata dal giudice penale nei confronti del provvedimento amministrativo di sanatoria (“invisibile” in sede di condanna e “assente” nell’eventualità di un’assoluzione) rischia di condurre ad una irragionevole disparità di trattamento fra gli imputati, dipendente da una variabile esterna al processo, quale la legittimità della parallela iniziativa amministrativa.
5. Ordine giudiziale di demolizione e acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
In ragione della sua funzione eminentemente ripristinatoria[87], l’ordine giudiziale di demolizione – al pari di quello amministrativo – possiede altresì una natura “reale”, costituendo un’obbligazione propter rem (la quale segue, cioè, la circolazione del bene), sicché il soggetto intimato è, in primo luogo, il responsabile dell’abuso che è anche proprietario o ha la materiale disponibilità delle opere (e che è tenuto a demolirle a proprie spese)[88] ma, in ogni caso, l’ordine deve essere eseguito nei confronti di tutti coloro che si trovino in rapporto con il bene e vantino su di esso un diritto reale o personale di godimento (ad esempio, terzi acquirenti/successori in buona fede), i quali perciò ne subiscono gli effetti anche se estranei alla commissione del reato[89].
Quest’ultimo aspetto appare rilevante, nella prospettiva di cui ci si occupa, nell’ipotesi in cui la vicenda circolatoria del bene sia rappresentata dall’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune come conseguenza dell’inottemperanza da parte del responsabile dell’abuso al (concorrente) ordine amministrativo (art. 31, c. 3, d.p.r. 380/2001)[90]; acquisizione che, come da ultimo sancito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, opera “di diritto” una volta infruttuosamente decorsi novanta giorni dall’ingiunzione amministrativa[91] e non è preclusa dall’eventuale precedente intervento di quella penale[92].
A tale riguardo, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non è ritenuta ostativa all’irrogazione o all’esecuzione dell’ordine giudiziale, in quanto è considerata un’operazione finalizzata alla demolizione (in danno) delle opere abusive al pari dell’intervento del giudice e, pertanto, non determina di per sé (e salva un’eventuale delibera di mantenimento per prevalenti interessi pubblici)[93] alcuna impossibilità giuridica di eseguire l’ordine di demolizione[94]; del resto, argomentare diversamente condurrebbe ad escludere la possibilità per il giudice penale di ordinare la demolizione dell’immobile ogniqualvolta l’amministrazione comunale abbia parimenti ingiunto la demolizione e questa non sia stata eseguita dal proprietario o dal responsabile, essendo poco probabile che si possa pervenire alla conclusione anche solo del primo grado del procedimento penale in un termine inferiore ai novanta giorni[95].
Nondimeno, la possibilità per il giudice penale di ingiungere al responsabile la demolizione di un bene di cui quest’ultimo non abbia disponibilità giuridica (e potenzialmente materiale) si pone, a ben vedere, in problematico rapporto con il costante insegnamento giurisprudenziale per il quale la tardiva demolizione di un’opera abusiva una volta decorso il termine di novanta giorni deve ritenersi illecita, non solamente in quanto comporta l’eliminazione di un bene di cui il soggetto proprietario ha perduto la proprietà – potendosi in tal caso configurare una responsabilità per intervento su cosa altrui –, ma anche perché l’esecuzione spontanea dell’ordine precluderebbe la possibilità da parte del Comune (divenuto nel frattempo proprietario) di utilizzare l’opera conformemente ai propri scopi in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 31, c. 5, d.p.r. 380/2001[96].
In ragione di quanto detto, secondo la soluzione di “equilibrio” offerta dalla giurisprudenza penale, se il responsabile dell’abuso non ha più la titolarità o neppure il possesso dell’immobile in ragione dell’intervenuta acquisizione al patrimonio del Comune, egli dovrà richiedere a quest’ultimo un’“autorizzazione”[97] a procedere a proprie spese alla demolizione (in tal caso dovendosi sciogliere anche la decisione amministrativa in ordine all’eventuale mantenimento per prevalenti interessi pubblici); in difetto, anche indipendentemente dalla proposizione o dalla sorte di una richiesta siffatta, provvederà l’autorità giudiziaria a spese del condannato, con l’ulteriore specificazione che i materiali risultanti dall’attività demolitoria spetteranno al Comune[98]. E ciò, ovviamente, laddove quest’ultimo non intenda procedere autonomamente alla demolizione del manufatto, previa immissione in possesso mediante atto di accertamento dell’inottemperanza[99].
La stessa giurisprudenza penale ritiene, peraltro, che l’intervenuta acquisizione al patrimonio comunale (e la conseguente perdita della proprietà da parte dell’intimato) faccia venire meno, come principale effetto, l’interesse del condannato a promuovere l’incidente di esecuzione nei confronti dell’ordine giudiziale di demolizione, potendo egli richiedere la revoca o la sospensione dell’ordine al solo fine di evitarne l’esecuzione coattiva e procedere spontaneamente alla demolizione; ciò in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio avrebbe ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso[100]. Non dovrebbe, tuttavia, escludersi la legittimazione del condannato a promuovere l’incidente di esecuzione anche nell’ipotesi di intervenuta delibera comunale di mantenimento dell’immobile, in qualità di soggetto “co-interessato” ai sensi dell’art. 666 c.p.p., insieme all’amministrazione comunale, ad opporsi all’esecuzione coattiva, posto che la demolizione interverrebbe comunque a suo danno.
6. Ordine giudiziale di demolizione e delibera ex art. 31 c. 5 d.p.r. 380/2001.
L’idea di fondo che l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio comunale sia una misura funzionale al successivo ripristino della conformità urbanistica e edilizia attraverso la demolizione di quanto realizzato, e per questo omogenea rispetto alla finalità perseguita con l’ordine di demolizione disposto dal giudice penale[101] condiziona anche le posizioni espresse riguardo alle successive decisioni che possono riguardare il bene.
Al di là delle valutazioni relative alla natura della sanzione prevista in caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione disposta dall’autorità amministrativa e alle potenziali criticità rispetto alle garanzie riconosciute dalla Convenzione EDU[102], dopo che l’art. 7 della l. 47/1985 (ora trasposto nell’art. 31 d.p.r. 380/2001) ha stabilito che l’opera acquisita debba essere demolita – modificando radicalmente la norma prevista dall’art. 15 l. 10/1977, che prevedeva come regola la conservazione dell’opera abusiva e la sua destinazione a fini pubblici – la giurisprudenza penale ha infatti riconosciuto l’esistenza di un criterio generale di preminenza dell’interesse al ripristino dell'assetto territoriale violato, secondo una lettura poi fatta propria anche dalla Corte costituzionale[103].
All’amministrazione, seppure come ipotesi derogatoria rispetto alla regola, è però tuttora consentito di decidere di conservare l’opera abusiva quando tale misura corrisponda a un prevalente interesse pubblico. È quindi possibile che la decisione si ponga in contrasto con l’ordine di demolizione disposto dal giudice penale[104].
In questi casi già nel vigore dell’art. 7 l. 47/1985 la giurisprudenza penale riteneva l’ordine di demolizione incompatibile con la delibera che avesse deciso per il mantenimento dell’opera[105]. Progressivamente, tuttavia, si è andato consolidando un orientamento che precisa come l’incompatibilità per essere rilevante debba essere attuale e non solo eventuale e può essere tale solo quando sono soddisfatti tutti i presupposti stabiliti dall’art. 31, c. 5, d.p.r. 380/2001, secondo una valutazione che può essere compiuta dal giudice penale stesso (e in particolare dal giudice dell’esecuzione, competente a decidere le questioni relative all’ordine di demolizione)[106]. In altre parole, il giudice penale si ritiene legittimato a valutare la legittimità della delibera comunale e solo l’esito positivo di tale giudizio consente la revoca dell’ordine di demolizione.
La conclusione – presentata come orientamento comune al caso dell’accertamento di conformità[107] o del provvedimento di condono[108] – è giustificata con l’esistenza di un principio generale, dal quale si fa derivare il potere di valutazione in ragione dell’eccezionalità del mantenimento dell’opera abusiva rispetto all’esito demolitorio. Fondamento e modalità secondo cui viene esercitato tale potere sono però discutibili.
Si è già rilevato trattando dell’orientamento espresso con riguardo all’accertamento di conformità come tale potere risulti privo di un fondamento normativo espresso. Inoltre, dal punto di vista sistematico le tre ipotesi corrispondono a situazioni profondamente differenti per presupposti, tipologia di potere riconosciuto all’amministrazione ed effetti concreti.
Nel caso dell’accertamento di conformità e del condono edilizio, infatti, l’amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità rispetto all’adozione dell’eventuale provvedimento favorevole. D’altra parte le due fattispecie configurano scenari molto distanti. Nel primo caso il procedimento è diretto a sanare la mancanza del (o la difformità dal) titolo rispetto a un intervento che dal punto di vista sostanziale sin dal momento della sua realizzazione è richiesto essere conforme alla disciplina urbanistica e edilizia. Conseguentemente il potere di valutazione che il giudice penale si riserva sulla legittimità del permesso in sanatoria corrisponde negli effetti (anche se sulla base di un sindacato più ampio, perché esteso ai profili formali dell’atto[109]) allo spazio di apprezzamento esercitato sulla legittimità del titolo edilizio ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 44, c. 1, lett. b) d.p.r. 380/2001 e ne condivide le criticità: in entrambi i casi la valutazione espressa si sovrappone a quella compiuta dall’amministrazione con il provvedimento, disconoscendone alcuni effetti legalmente previsti: o come elemento positivo a contenuto negativo della fattispecie penale, o come fatto estintivo del reato (secondo quanto stabilito dall’art. 45, c. 3, d.p.r. 380/2001). Il provvedimento di condono, invece, consente il mantenimento di un’opera dichiaratamente abusiva anche dal punto di vista sostanziale, in conseguenza di una scelta di opportunità politica e alle condizioni stabilite dalla legge. In questa prospettiva l’incidenza rispetto all’esercizio dell’azione penale è più rilevante, essendo tra l’altro estesa dal legislatore anche alle ipotesi nelle quali la condanna sia già intervenuta o il provvedimento favorevole non possa essere rilasciato, purché sia effettuata l’oblazione[110].
La delibera con la quale il Comune decide di mantenere l’opera abusiva acquisita al proprio patrimonio ha presupposti ulteriormente diversi, perché è espressione di un potere tipicamente discrezionale[111], e già questa circostanza rende difficile ricondurre a una logica comune il potere che il giudice penale ritiene di poter esercitare rispetto alle decisioni dell’amministrazione nelle tre diverse ipotesi.
Inoltre, al di là di alcune ricostruzioni dai toni vagamente moraleggianti[112], il potere di valutazione dell’esistenza di un interesse pubblico al mantenimento dell’opera appare qualitativamente non differente dal potere che sta alla base delle scelte di pianificazione urbanistica (tanto che la competenza a esprimersi è attribuita anche in questo caso al Consiglio comunale). Entro l’ambito di apprezzamento consentito dalla norma – e quindi solo se l’opera non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o non sussistano vincoli di carattere ambientale o idrogeologico – all’organo competente a esprimere le scelte relative all’utilizzo del territorio è consentito ammettere una deroga all’assetto determinato, quando questa deroga corrisponda a un interesse pubblico apprezzabile, la cui sussistenza deve essere adeguatamente motivata. In altre parole, dopo l’adozione della delibera con cui è decisa la conservazione dell’opera abusiva, le sorti di quest’ultima non rientrano più nella prospettiva dei poteri di vigilanza e controllo sull’esercizio dell’attività edilizia, e delle conseguenti misure ripristinatorie, ma riguardano la diversa prospettiva delle scelte di assetto dell’utilizzo del territorio[113].
In questa stessa prospettiva, la preoccupazione per le esigenze di salvaguardia del territorio che sono frequentemente richiamate dalla giurisprudenza penale per giustificare i poteri di valutazione del giudice non appare fondata, dal momento che tali tutele sono assicurate dalla legge nel momento in cui limita la possibilità di conservare l’opera abusiva alle situazioni nelle quali la salvaguardia del territorio non è in discussione (a meno di non voler far coincidere tale nozione con la conformità alle prescrizioni urbanistiche e edilizie), imponendo contestualmente la demolizione senza alternative nel caso di esistenza di vincoli di inedificabilità[114].
Infine, se la scelta compiuta dal Consiglio comunale è riconducibile ai poteri di pianificazione urbanistica, l’eventuale valutazione negativa del giudice penale sulla legittimità della delibera con la quale è deciso di non demolire l’opera abusiva compromette irreparabilmente l’esercizio di una funzione riservata all’amministrazione.
L’esecuzione dell’ordine di demolizione disposto dal giudice penale preclude infatti all’amministrazione – che pure aveva esplicitato le proprie determinazioni riguardo a una possibile modifica dell’assetto di interessi definito dalle scelte di pianificazione vigenti – la possibilità di rinnovare le proprie valutazioni. Anche nel caso che la valutazione possa essere considerata illegittima, tuttavia, l’amministrazione mantiene il proprio potere di esprimersi al riguardo, trattandosi di un tipo di potere la cui inesauribilità non può essere messa in discussione anche ponendosi nella prospettiva di chi considera tale carattere non come un attributo generale del potere amministrativo, ma una qualità che può sussistere o meno a seconda della disciplina di riferimento[115]: la continuità del potere di definire le scelte di utilizzo del territorio è del resto confermata dalla formalizzazione del relativo procedimento, che trova quindi un riscontro positivo.
Per queste ragioni le posizioni espresse dalla giurisprudenza penale – pur giustificabili nelle intenzioni – non sembrano coerenti con una logica di doppio binario che dovrebbe comunque garantire il rigoroso rispetto delle rispettive competenze e funzioni istituzionali, per come sono definite dalla legge.
7. Conclusioni.
Il sistema di repressione degli abusi edilizi nel nostro ordinamento è stato oggetto di una evoluzione significativa, che ha accompagnato l’acquisizione di consapevolezza del legislatore rispetto all’importanza di garantire l’effettività delle scelte di pianificazione urbanistica. L’estensione dei poteri riconosciuti al giudice penale nel contesto del doppio binario sanzionatorio e le modalità secondo le quali il giudice penale stesso ha ritenuto di poter interpretare il proprio ruolo, tuttavia, presenta delle oggettive criticità.
L’intento di sopperire alle conseguenze negative di una applicazione poco effettiva degli strumenti a disposizione dell’amministrazione, per quanto apprezzabili, devono infatti confrontarsi con il limite rappresentato dalla disciplina positiva e dalla sua evoluzione.
Nel primo senso – al di là di quanto riguarda l’interpretazione della fattispecie prevista dall’art. 44, c. 1, lett. b) d.p.r. 380/2001 – sono individuabili una serie di indicazioni esplicite che precludono al giudice di esercitare oltre la propria azione, sia rispetto all’ipotesi in cui intervenga un provvedimento che accerti la (doppia) conformità dell’intervento abusivo alla disciplina urbanistica e edilizia, sia nell’ambito della disciplina del c.d. condono edilizio.
Nella seconda prospettiva appare indubbio il progressivo ampliamento della tutela dell’affidamento, anche a fronte di titoli edilizi illegittimi, rispetto ai quali i recenti interventi normativi diretti a ridurre l’ambito temporale entro cui esercitare il potere d’annullamento d’ufficio e a specificare chiaramente il momento dal quale decorre il termine non prevedono eccezioni. Il modo in cui il giudice penale ritiene di poter accertare in via incidentale l’illegittimità del permesso di costruire ai fini della configurabilità della fattispecie penale, tuttavia, non sembra tenerne conto, producendo il paradossale effetto di un titolo edilizio formalmente inattaccabile, ma sostanzialmente irrilevante ai fini dell’applicazione della fattispecie penale e delle sue conseguenze, a fronte di una disciplina positiva che lascia comunque spazio a soluzioni alternative alla rimozione di quanto realizzato sulla base di un titolo illegittimo.
Sullo sfondo restano i poteri relativi alle scelte di assetto e utilizzo del territorio, che l’ordinamento attribuisce inequivocabilmente all’amministrazione, e all’amministrazione comunale in particolare, anche quando si tratta di scelte che riguardano opere abusivamente realizzate.
Non riconoscere tali limiti sulla base dell’esigenza di garantire una tutela effettiva dell’assetto urbano rischia infatti di compromettere principi e valori altrettanto rilevanti se non fondanti dell’ordinamento giuridico, come il principio di legalità, di separazione dei poteri e di certezza delle situazioni giuridiche e, quindi, in definitiva, il complesso (ma necessario) equilibrio fra istituzioni, economia e territorio[116].
Abstract (ENG): In this essay, after analytically reconstructing the evolution of the powers of repression of illegal buildings up to the current double-track (criminal and administrative) sanctioning system, the Authors highlight its most problematic aspects in the light of an honest reconnaissance of criminal and administrative courts’ rulings. In particular, the self-assigned power of the criminal judge to order the demolition of illegal buildings even if formally authorised is subject to criticism, especially in relation to some open problems that have not yet been sufficiently highlighted in the legal literature. Although aware of the difficulty of achieving a satisfactory balance between all the interests at stake, the Authors warn of the risk that the need to ensure effective protection of urban planning may compromise values that are just as fundamental, such as the principle of legality, the separation of powers and the legal certainty.
Keywords (ENG): Illegal buildings; double-track sanctioning system; demolition order; public administration; criminal judge.
* Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (giammarco.sigismondi@unicatt.it e nicola.berti@unicatt.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review ed è frutto della riflessione comune dei due Autori. Nondimeno, per i fini per cui l’indicazione è richiesta, la stesura dei paragrafi 1, 2 e 6 è attribuibile a Giammarco Sigismondi, quella dei paragrafi 3, 4 e 5 a Nicola Berti. Le conclusioni sono da attribuire ad entrambi gli Autori.
[1] Si veda al riguardo l’art. 32 l. 17 agosto 1942, n. 1150 nel suo testo originario.
[2] Tale valutazione preventiva era prevista dall’art. 28, c. 1, l. 1150/1942 nel suo testo originario. La disposizione in realtà subordinava la proposta di progetti di lottizzazione a iniziativa dei privati all’approvazione del piano particolareggiato, secondo una logica che era confermata dal successivo 2° comma. È peraltro noto come la norma sia stata interpretata nel senso di consentire l’autorizzazione di tali progetti di lottizzazione anche in mancanza di una preventiva pianificazione urbanistica, sia generale, sia attuativa.
[3] Così l’art. 32, c. 3, l. 1150/1942.
[4] Questo il senso della disposizione contenuta nell’art. 32 c. 1 l. 1150/1942.
[5] Al riguardo v. ancora l’art. 32 c. 3 l. 1150/1942.
[6] In questo senso disponeva l’art. 15, c. 3 e c. 8, l. 10/1977.
[7] Art. 15, c. 11, l. 10/1977.
[8] Art. 15, c. 9, l. 10/1977.
[9] Artt. 18, 19 e 20, c. 1, lett. c) l. 47/1985.
[10] Artt. 7, c. 2, e 8 l. 47/1985.
[11] Art. 9, l. 47/1985.
[12] Art. 10, l. 47/1985.
[13] Art. 7, c. 3, l. 47/1985, poi trasposto nell’art. 31, c. 4, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380. Come è noto, nel 2014 a tale misura è stata aggiunta una specifica sanzione amministrativa pecuniaria, attualmente disciplinata dall’art. 31, c. 4-bis, d.p.r. 380/2001.
[14] Art. 13, l. 47/1985 (e ora art. 36 d.p.r. 380/2001).
[15] In questo senso v. l’art. 7 ult. co. l. 47/1985, con disposizione poi trasposta nell’art. 31, c. 9, d.p.r. 380/2001.
[16] Corrispondente all’attuale art. 98 d.p.r. 380/2001.
[17] Al riguardo v. ora l’art. 181, c. 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
[18] Si tenga presente che dal carattere di norma di chiusura della disposizione in questione non consegue necessariamente che al giudice penale sia attribuito un potere da considerare come residuale, ferma restando la necessità di coordinare tale potere con le funzioni e i poteri riconosciuti all’autorità amministrativa: B. Delfino, L’ordine di demolizione impartito dal giudice penale, in Riv. giur. edilizia, 4 (1998), p. 179 ss., spec. note 59 e 67. Tuttavia, in concreto, è proprio il coordinamento che fa sorgere problemi.
[19] Sul punto v. già L. Turco, Spunti giurisprudenziali in tema di ordine giudiziale di demolizione della costruzione abusiva. Presupposti di adozione, qualificazione giuridica, sospensione condizionale della pena, in Riv. pen., 9 (1990), p. 689. Più recentemente S. Perongini, Il sindacato del giudice penale sulle valutazioni discrezionali dell’amministrazione, in Dir. amm., 2 (2023), p. 229 ss., spec. pp. 230-232; G.D. Comporti-E. Morlino, La difficile convivenza tra azione penale e funzione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1 (2019), p. 129 ss., anche su tendenze di carattere generale, comprensive del progressivo allentamento dei rigorosi canoni di individuazione normativa delle fattispecie rilevanti ai fini dell’esercizio dell’azione penale.
[20] Tra le prime pronunce a seguire questa linea interpretativa Pret. Milano, 23 luglio 1974; Pret. Sarpi, 15 maggio 1976, in Nuovo dir. (1976), p. 736; Pret. Menaggio, 31 maggio 1978, ricordate anche da S. Perongini, Il sindacato del giudice penale, cit., p. 237, nt. 17 e su cui in precedenza già R. Villata, Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano 1980, pp. 4-5.
[21] Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 1981, Simonelli, in Foro it., II (1982), c. 88, con nota di C.M. Barone; 23 marzo 1981, Volpicelli, in Giur. it., II (1983), c. 60; Sez. V, 18 novembre 1981, Della Mura, in Riv. pen., 10 (1982), p. 826; Sez. III, 22 gennaio 1982, Romeri; 31 gennaio 1983, Zavagnin, in Riv. giur. edilizia, I (1983), p. 1073, con nota di I. Cacciavillani, Verso una nuova forma di servitù della gleba?
[22] Cass. pen., Sez. un., 17 febbraio 1987, n. 3, Giordano, in Dir. proc. amm., 3 (1987), p. 407, con nota di R. Villata, Le Sezioni Unite della Cassazione penale mettono fine alla c.d. «disapplicazione» della concessione edilizia (asserita) illegittima nel processo penale.
[23] Al riguardo v. inizialmente Cass. pen., Sez. un., 12 novembre 1993, n. 11635, Borgia, in Cass. pen., 4 (1994), p. 904, con nota di R. Mendoza, Le Sezioni Unite affermano la rilevanza penale della concessione edilizia emessa in difformità dalla normativa urbanistica e dalle previsioni di piano; in Riv. giur. edilizia, I (1994), p. 405, con nota di M. Milone, Sulla sindacabilità dell’atto amministrativo da parte del giudice penale, che sul presupposto del mutamento dell’oggetto della tutela della disposizione sanzionatoria conseguente all’introduzione dell’art. 1-sexies, c. 2, l. 431/1985 ha sostenuto la possibilità per il giudice penale di valutare direttamente la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici vigenti, anche se sia stato realizzato sulla base di un titolo edilizio (e senza disporne la disapplicazione). Tale conclusione, formulata con riguardo alla fattispecie di reato prevista dall’art. 20 c. 1 lett. a) l. 47/1985 [corrispondente all’attuale art. 44 c. 1 lett. a) d.p.r. 380/2001] è stata tuttavia estesa dalla giurisprudenza successiva [salvo isolati precedenti contrari: Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 1998, n. 7927, Di Domenico, in Riv. giur. edilizia, I (1999), p. 894; 28 novembre 1997, n. 2906, Bortoluzzi, ivi, I (1998), p. 1254 e in Urb. app., 12 (1998), p. 1255, con nota di A. Ferraro, Concessione edilizia, illegittima: principio di legalità e disapplicazione dell’atto] anche alla più grave infrazione sanzionata dalla lett. b), pur se in fattispecie spesso caratterizzate da specificità rilevanti: Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 1994, Cremona, in Riv. giur. edilizia, I (1995), p. 954, con nota di E. Zucca, Oltre le Sezioni Unite 12 novembre 1993 (Borgia). Incertezze e coerenza della Cassazione (nel caso specifico il titolo edilizio era stato ottenuto sulla base di un’illecita collusione tra funzionario pubblico e parte privata); 20 luglio 1996, n. 7310, Venè, in Riv. pen., 12 (1996), p. 1346 (che tuttavia da un lato faceva ancora riferimento al potere di disapplicazione e dall’altro attribuiva rilevanza al carattere macroscopico dell’illegittimità del titolo edilizio); 28 ottobre 1997, n. 11988, Controzzi, in Dir. pen. e proc., 12 (1998), p. 1542, con nota di P.M. Vipiana, Concessione edilizia illegittima: i poteri del giudice penale (con simile richiamo al carattere macroscopico dell’illegittimità e con la specificazione che tale circostanza si rifletterebbe sull’elemento psicologico del reato); Sez. VI, 2 marzo 1998, n. 3396, Calisse, in Urb. app., 3 (1999), p. 329, con nota di S. Lorusso, Acquisizione di sentenze irrevocabili ex art. 238-bis c.p.p. e pregiudizialità penale: una norma controversa (ancora in fattispecie relativa a un caso di collusione tra beneficiario del titolo illegittimo e funzionario pubblico e che sviluppava ulteriormente l’argomento, già accennato da Cass. pen., Sez. III, 28 ottobre 1997, cit., secondo cui il titolo edilizio costituirebbe elemento normativo della fattispecie penale oggetto del potere di accertamento del giudice); Sez. V, 22 marzo 1999, Rubino, ivi; Sez. III, 3 marzo 2004, Dalla Fior, in Cass. pen., 1 (2005), p. 34 (con considerazioni di portata generale in motivazione, ma in fattispecie relativa alla violazione dell’art. 734 c.p.); 21 marzo 2006, n. 21487, Tantillo, in Foro it., Rep., (2007), voce Edilizia e urbanistica, n. 485; 2 ottobre 2007, n. 41620, Emelino, ivi, Rep., (2008), voce cit., n. 442; 24 febbraio 2011, n. 9308, S., ivi, Rep., (2011), voce cit., n. 523; Sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2598, G.C. in Dir. proc. amm., 3 (2017), p. 1096, con nota di M. Lavatelli, La Cassazione si pronuncia sul potere del Giudice penale di sindacare la legittimità degli «atti amministrativi dal contenuto normativo» che regolano il rilascio dei permessi di costruzione [che ha ritenuto configurabile il reato punito dall’art. 44 c. 1 lett. b) d.p.r. 380/2001 solo in presenza di una illegittimità macroscopica, ma con considerazioni condizionate dalla circostanza che il titolo era stato rilasciato conformemente a uno strumento attuativo a sua volta considerato illegittimo, tanto che era stato contestato anche il reato di lottizzazione abusiva]; compiutamente, infine, Sez. III, 7 giugno 2018, n. 49687, Bruno, in Riv. giur. edilizia, I (2018), p. 1657 e in Riv. giur. ambiente, 4 (2018), p. 780 con nota di A. Nicòtina e R. Saglimbeni, Reati edilizi e atti amministrativi illegittimi: confermata la centralità del bene giuridico «ambiente» [che, pur in un caso nel quale era stato contestato il reato previsto dall’art. 44 c. 1 lett. a) d.p.r. 380/2001, ha considerato le diverse fattispecie di reato previste dall’art. 44 come riconducibili a una logica unitaria e proposto pertanto una ricostruzione comune dei poteri di accertamento del giudice penale della legittimità sostanziale dell’intervento edilizio, fondandoli sull’oggetto di tutela della disposizione sanzionatoria, sulla rilevanza del titolo edilizio come elemento normativo della fattispecie penale, sul principio di legalità espresso dall’art. 101, 2° c., Cost. e sul potere di risolvere in via pregiudiziale ogni questione dalla quale dipende la decisione finale stabilito dall’art. 2, c. 1, c.p.p.]. Successivamente nello stesso senso Cass. pen., Sez. III, 23 aprile 2021, n. 22832, L., in Riv. giur. edilizia, I (2021), p. 1389.
[24] Per un efficace quadro complessivo e ulteriori riferimenti da ultimo v. C. Cudia, Il sindacato del giudice penale sugli abusi edilizi ‘a prescindere’ dall’atto, in http://www.federalismi.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); P. Tanda, Attività amministrativa e sindacato del giudice ordinario: il caso del permesso di costruire illegittimo, Napoli, 2023; nonché Id., I reati urbanistico-edilizi, Milano 2022, spec. p. 581 ss.; Id.,La disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario: in particolare, l’ipotesi del permesso di costruire illegittimo, in Dir. proc. amm., 2 (2019), p. 418; S. Perongini, Il sindacato del giudice penale., cit., p. 251 ss. In precedenza già R. Villata, Un problema non ancora (o, forse meglio, erroneamente) risolto dalla giurisprudenza della Cassazione penale, in Dir. proc. amm., 3 (2015), p. 1152. Per una riflessione critica dal punto di vista del diritto penale G. Cocco, Dalla disapplicazione dell’atto amministrativo alla disapplicazione della fattispecie incriminatrice (I parte), in Resp. civ. prev., 1 (2021), p. 6, e Id., Dalla disapplicazione dell’atto amministrativo alla disapplicazione della fattispecie incriminatrice (II parte), ivi, 2 (2021), p. 358.
[25] Chiaramente sul punto R. Villata, Un problema, cit., testo e note 34 e 35.
[26] Questo punto è colto nella sua rilevanza da Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 1998, cit., che non a caso si discosta dall’orientamento prevalente.
[27] La prima disposizione fa riferimento espresso a un accertamento, lasciando intendere il contenuto essenzialmente tecnico dell’impossibilità di riduzione in pristino che determina l’applicazione della sanzione pecuniaria; la seconda pur senza qualificare l’attività svolta dall’amministrazione richiama un parametro ugualmente tecnico (l’impossibilità di eseguire la demolizione senza pregiudizio delle parti conformi alle prescrizioni). Coerentemente, in tali casi la giurisprudenza esclude ogni margine d’apprezzamento discrezionale nel decidere al riguardo. Al contrario, nel caso dell’art. 38 viene riconosciuta al potere di apprezzamento dell’amministrazione «una componente valutativa di opportunità/equità, improntata al bilanciamento dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata con le posizioni giuridiche soggettive del privato che incolpevolmente abbia confidato nella legittimità dell’esercizio del potere amministrativo»: Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 2019, n. 7508, in Riv. giur. edilizia, I (2020), p. 128.
[28] Si tenga presente che il giudice penale – per quanto la fattispecie sembri estranea agli abusi per i quali l’art. 31, c. 9, d.p.r. 380/2001 prevede la possibilità di ordinare con la sentenza di condanna la demolizione che non sia stata altrimenti eseguita – nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di titolo o in totale difformità e alle condizioni stabilite dall’art. 33 d.p.r. 380/2001 (che come ricordato fanno riferimento a una impossibilità di carattere tecnico) ritiene possibile irrogare sanzioni pecuniarie sostitutive in luogo della riduzione in pristino, riservando la relativa valutazione al giudice dell’esecuzione: Cass. pen., Sez. III, 2 novembre 2022, n. 43250, S.M., in Cass. pen., 3 (2023), p. 960. La fattispecie disciplinata dall’art. 38 d.p.r. 380/2001, tuttavia, fa riferimento espresso all’intervenuto annullamento del titolo, situazione non assimilabile all’accertamento della sua illegittimità da parte del giudice penale. La specifica finalità di tutela dell’affidamento di chi ha realizzato l’intervento edificatorio in base a un titolo successivamente annullato è ribadita da Cass. pen., Sez. III, 2 febbraio 2023, n. 11783, L.C., in Riv. giur. edilizia, I (2023), p. 679.
[29] Esplicitamente al riguardo, da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, in http://www.giustizia-amministrativa.it, (ultimo accesso 7 maggio 2024) spec. §§ 14.3 e 14.4.
[30] Questa eventualità è prospettata da R. Pepe, Riflessioni sul potere sanzionatorio di ripristino del giudice penale, in Riv. giur. edilizia, 1 (2021), p. 35, che indica come decisiva al riguardo la sentenza della Corte EDU, Sez. II, 27 novembre 2007, n. 21861/03, Hamer c. Belgium, in hudoc.echr.coe.int (ultimo accesso 7 maggio 2024). Vi sono tuttavia una serie di ragioni che suggeriscono cautela nell’estensione incondizionata di conclusioni che da un lato sono maturate in un contesto normativo non esattamente sovrapponibile a quello italiano e dall’altro sembrano emergere dalla motivazione della sentenza solo in via incidentale. Nella prima prospettiva va infatti considerato che nella legislazione belga l’ordine di demolizione, anche se è disposto dal giudice penale e ha un procedimento penale come presupposto, deve essere sempre richiesto dall’autorità amministrativa, che tra l’altro alle condizioni stabilite dalla legge ha il potere di concordare una compensazione monetaria o modifiche all’opera realizzata come alternativa al ripristino, anche in contraddittorio con eventuali soggetti lesi dall’abuso. In altre parole, non esiste qualcosa di assimilabile al nostro doppio binario sanzionatorio (nell’ambito del quale l’ordine di demolizione del giudice penale ha – o dovrebbe avere – funzione di chiusura del sistema). Inoltre, in tale ordinamento la qualificazione dell’ordine di demolizione come sanzione penale o misura ripristinatoria (di natura civile) – diversamente da quanto accade nell’ordinamento italiano – era controversa anche nell’ambito della giurisprudenza interna, con giudice ordinario e corti amministrative attestati su posizioni diverse (v. in particolare i §§ 39, 43 e 57 della motivazione). Nella seconda prospettiva, invece, dallo stesso § 57 della motivazione emerge come la Corte EDU abbia ritenuto la questione relativa alla natura della misura imposta irrilevante per la decisione, dal momento che la violazione del diritto a un giudizio di durata ragionevole (di quello si discuteva nel punto specifico, avendo dedotto il ricorrente che l’ordine di demolizione era intervenuto a quasi dieci anni dalla contestazione dell’abuso) è garantita dall’art. 6.1 CEDU tanto nei giudizi civili quanto in quelli penali, così che la successiva affermazione relativa al collegamento della richiesta di demolizione con un giudizio penale e alle rilevanti conseguenze per il destinatario dell’ordine appare sostanzialmente marginale o comunque non in grado di fondare conclusioni di carattere generale e non limitate al contesto specifico del caso deciso.
[31] Applicando tale principio, infatti, anche nel caso di una eventuale condanna disposta ai sensi del 44, c. 1, lett. b) d.p.r. 380/2001 il giudice penale non potrebbe ordinare la demolizione. Attualmente invece l’applicazione del ne bis in idem viene esclusa proprio in conseguenza della qualificazione dell’ordine di demolizione come sanzione amministrativa ripristinatoria (carattere che non viene meno anche nell’ipotesi nelle quali venga disposta la sanzione pecuniaria sostitutiva nel caso la riduzione in pristino risulti impossibile): Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 18463, G.A., in Riv. giur. edilizia, I (2021), p. 316; 3 ottobre 2018, n. 51044, M.A., in Foro it., Rep., (2018), voce Edilizia e urbanistica, n. 207; T.a.r. Campania, Sez. II, 17 giugno 2021, n. 4150, in Riv. giur. edilizia, I (2021), 1349; T.a.r. Lazio, Sez. II, 20 febbraio 2018, n. 1961, ivi, I (2018), p. 442. Ritiene invece che il problema non si porrebbe P. Cirillo, Sanzioni non punitive e garanzie penalistiche, ivi, I (2021), p. 317 ss., spec. pp. 327-328, che ricorda come la giurisprudenza più recente della Corte EDU (almeno a partire da Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, 24130/11 e 29758/11, A. e B. c. Norvegia, in http://www.hudoc.echr.coe.int (ultimo accesso 7 maggio 2023) richieda essenzialmente un coordinamento tra i due procedimenti sanzionatori. Resta tuttavia il fatto che nell’ipotesi ricordata la sanzione pecuniaria sostitutiva rappresenterebbe, appunto, un’alternativa all’applicazione della misura ripristinatoria, con la conseguenza che quest’ultima, se fosse disposta anche dal giudice penale, verrebbe ad essere sostanzialmente duplicata. Si tenga inoltre presente che nell’ipotesi inversa (nell’ipotesi, quindi, che sia il giudice penale a ordinare per primo la demolizione) non vi sarebbe più alcuna possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria. Sembra quindi che la situazione – potenzialmente paradossale anche condividendo la qualificazione dell’ordine di demolizione come sanzione amministrativa ripristinatoria – per soddisfare le condizioni richieste dalla Corte EDU richiederebbe quantomeno di tenere conto della sanzione irrogata nel corso del primo procedimento.
[32] Così per esempio nel caso deciso da Cons. Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, cit.
[33] Per una recente riflessione complessiva sul tema cfr. i lavori in precedenza richiamati alla nt. 24.
[34] In argomento, v. A.M. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in federalismi.it, XVIII (2019), p. 1 ss.; P. Urbani-S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico. Organizzazione e rapporti, Torino, 2023, p. 329 ss.
[35] Come rimarcato, da ultimo, da Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), spec. § 46, ove si rileva come «la distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli che ne consentono le modifiche, chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica. In astratto, dunque, il primo, quale strumento conferito per dare effettività alle scelte di pianificazione urbanistica rimesse all’Ente locale, attiene alla verifica, effettuabile senza limiti di tempo, della conformità degli interventi al regime di edificabilità dei suoi per come cristallizzati nei titoli edilizi, ove rilasciati, ovvero all’illecita realizzazione in assenza degli stessi di modifiche che in qualche modo impattino sul territorio; il secondo, invece, implica, a monte e preventivamente, la verifica della sussistenza dei presupposti per assentire una determinata richiesta di esercizio dello ius aedificandi, ex post, esclusivamente la possibilità del loro annullamento, sussistendone i presupposti di legge, volti a contemperare le esigenze di tutela della legalità con quelle di certezza delle situazioni giuridiche e di legittimo affidamento che il privato ripone nella correttezza dell’operato della pubblica amministrazione».
[36] Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[37] Cfr., da ultimo, C.g.a.r.s., Sez. riun., parere 7 dicembre 2023, n. 472, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). Deve, a tale riguardo, ritenersi ormai superata l’affermazione di Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8, ivi, secondo cui il termine decorre dalla scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro, in quanto la pronuncia si riferisce ad una fattispecie antecedente alla l. 124/2015 (e, pertanto, sottoposta ancora alla logica del solo “termine ragionevole”). Oggi l’inequivocabile dato testuale afferma che, in caso di provvedimenti di autorizzazione (nei quali rientra pacificamente il permesso di costruire), l’annullamento d’ufficio non può intervenire oltre i dodici mesi dall’«adozione» dell’atto; cfr., da ultimo, T.a.r. Campania, Sez. VIII, 28 maggio 2020, n. 2049; T.a.r. Campania (Salerno), Sez. II, 28 gennaio 2019, n. 199; T.a.r. Sicilia, Sez. II, 20 marzo 2019, n. 802, tutte reperibili in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[38] Il quale deve intendersi parimenti discrezionale, in quanto trova il proprio fondamento pur sempre nell’art. 21-nonies l. 241/1990, nella parte in cui prevede che il potere di annullamento d’ufficio può essere attribuito ad altro organo previsto dalla legge; cfr., ex plurimis, C.g.a.r.s., Sez. giur., 26 maggio 2020, n. 325, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), secondo cui «il carattere discrezionale dell’annullamento regionale, in una con la sua riconduzione al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241/1990, inducono a ritenere che al fine dell’annullamento non sia sufficiente la sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Occorre invece che sia stata commessa una grave violazione urbanistico edilizia e che vi sia un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, da compararsi con l’affidamento»; cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 6 agosto 2018, n. 4822, ivi.
[39] In argomento, cfr., per tutti, M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici., Napoli, 2018, spec. p. 187 ss.
[40] Cfr. T.a.r. Puglia, Sez. III, 27 dicembre 2017, n. 1363, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[41] Ma non del relativo ordine, ove già adottato sulla base di una sentenza passata in giudicato, il quale non si prescrive, non avendo natura punitiva; cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2022, n. 7631, in https://www.dirittoegiustizia.it-/#/documentDetail/9671234 (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[42] Perdipiù, senza alcuna considerazione in sede ponderativa dell’affidamento di coloro che subiscono l’ingiunzione; cfr. l’affermazione consolidata a far data da Cass. pen., Sez. III, 28 settembre 1995, n. 3123, per cui «l’ordine di demolizione costituisce per il giudice atto dovuto non suscettibile di valutazione discrezionale». Ma, oggi, v. infra nt. 46.
[43] Essendo precluso all’amministrazione il potere di adottare un ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31, c. 2, d.p.r. 380/2001 fondato sul mero accertamento contenuto nella sentenza penale, senza prima aver «ripristinato un quadro provvedimentale conforme a legge e coerente con le conclusioni raggiunte in sede giurisdizionale rimuovendo in autotutela le proprie determinazioni che costituiscono il frutto delle condotte illecite accertate. Solo tale attività amministrativa di rimozione dei titoli edificatori può legittimare l’ordine (amministrativo) di demolizione dell’immobile realizzato (il quale, diversamente, resta conforme ai provvedimenti amministrativi)»; così, T.a.r. Campania (Salerno), Sez. II, 29 settembre 2017, n. 1421, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[44] Complessità “gestionale” tipica dell’autotutela decisoria ed esecutoria della pubblica amministrazione come fondata sul principio di “pienezza della competenza”, secondo la nota impostazione di F. Benvenuti, (voce) Autotutela, in Enc. dir., IV, Milano 1959, oggi anche in Id., Scritti giuridici, II, Milano, 2006, p. 1789 ss.
[45] Evidenzia S. Lucattini, Le sanzioni a tutela del territorio, Torino, 2022, p. 218, che al giudice penale è precluso «realizzare quel continuum di disciplina amministrativa-vigilanza-misura ripristinatoria-esecuzione della stessa, funzionale al ripristino del disegno originariamente contenuto negli strumenti urbanistici o, comunque, a riassorbire le varie lesioni inferte al territorio». Invero, pur in presenza di un titolo efficace (accertato incidentalmente come illegittimo), la magistratura penale non considera (neppure in fase esecutiva) i profili di affidamento del responsabile, né il potere giudiziale di ordinare la demolizione è sottoposto a limiti temporali che non siano quelli di prescrizione del reato [presupponendo sempre l’accessività ad una sentenza di condanna; cfr. Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2023, n. 12552, A.A., in https://www.one-
legale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 9 giugno 2022, n. 38104, in Cass. pen., VI (2023), p. 2072]; il mancato annullamento “costitutivo” del titolo edilizio, inoltre, preclude la possibilità di percorrere la via della fiscalizzazione ex art. 38 d.p.r. 380/2001; infine, all’inottemperanza al (solo) ordine giudiziale di demolizione non consegue l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale (e quindi la possibilità di conservare l’immobile per fini pubblici), né l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 31, c. 4-bis, d.p.r. 380/2001, salvo «realizzare una impropria combinazione fra procedimenti di natura distinta»; per questa affermazione, cfr. T.a.r. Campania, Sez. VIII, 27 settembre 2023, n. 5235; T.a.r. Puglia (Lecce), Sez. I, 27 gennaio 2023, n. 136; 17 novembre 2022, n. 1817; 31 maggio 2022, n. 901; T.a.r. Campania, Sez. II, 2 luglio 2020, n. 2851, tutte reperibili in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[46] Salvo il rilievo che sta progressivamente assumendo, perlomeno in fase esecutiva, il necessario bilanciamento, in un’ottica di proporzionalità, del potere ripristinatorio edilizio con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sulla scorta dell’ormai consolidato orientamento della Corte EDU [sentenze Sez. V, 21 aprile 2016, n. 46577/15, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, in Urb. app., 12 (2016), p. 1317 ss.; Sez. II, 4 agosto 2020, n. 44817/18, Kaminskas c. Lituania, in Cass. pen., I (2021), p. 358; Sez. III, 11 aprile 2023, n. 30782/16, Simonova c. Bulgaria, in Riv. giur. edilizia, II (2024), con nota di A.M. Di Chio, Abusi edilizi e diritti fondamentali: una lettura convenzionalmente orientata della funzione di ripristino (in corso di pubblicazione)], il quale appare destinato ad arricchire la valutazione effettuata dagli organi dello Stato titolari dei poteri di ingiungere la demolizione di immobili, nel caso in cui questi ultimi rappresentino l’unico luogo di abitazione e al ricorrere di ulteriori elementi, quali la presenza di soggetti minori, l’inconsapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria, l’eventuale compromissione di diritti fondamentali come quello alla salute (c.d. abuso di necessità), superando in tal modo il tradizionale orientamento circa la natura strettamente vincolata dei poteri in discorso (e la correlata “dequotazione” del contraddittorio procedurale). Cfr. Cass. pen., Sez. III, 29 agosto 2023, n. 36025, A.A., in https://www.one-legale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 15 febbraio 2023, n. 21198, Esposito, in CED Cass. n. 284627; 6 luglio 2022, n. 32869, in Riv. giur. urbanistica, 5 (2022), p. 1300;18 febbraio 2022, n. 5822, D’Auria, in CED Cass. n. 282950; 12 novembre 2021, n. 45982, M.G., in Riv. giur. edilizia, I (2021), p. 1980; 4 giugno 2021, n. 34607, ivi, p. 1967; 8 gennaio 2021, n. 423, Leoni, in CED Cass. n. 280270 (caso in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione, avendo il giudice omesso di valutare la documentazione prodotta in ordine alle condizioni socio-economiche e di salute del ricorrente); 20 febbraio 2019, n. 15141, in Ius Penale, 5 (2019), con nota di P. Fimiani, I rapporti tra diritto all’inviolabilità del domicilio e ordine di demolizione di un immobile abusivo da parte del giudice penale; Cons. Stato, Sez. VI, 12 maggio 2023, n. 4794 (ove si paventa una possibile questione di costituzionalità dell’art. 31 d.p.r n. 380/2001 per violazione del parametro interposto rappresentato dall’art. 8 CEDU); T.a.r. Campania, Sez. II, 25 maggio 2023, n. 3186; T.a.r. Lazio, Sez. II, 18 settembre 2020, n. 9607; T.a.r. Campania, Sez. III, 10 agosto 2020, n. 3552 (ove è stato ritenuto illegittimo per violazione del principio di proporzionalità l’ordine di demolizione emanato a distanza di quarant’anni dalla realizzazione delle opere abusive destinate ad abitazione), tutte reperibili in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). A ciò si aggiunga che in un caso (Grande camera, 30 novembre 2004, n. 48939/99, Öneryildiz c. Turchia, in http://www.hudoc.echr.coe.int (ultimo accesso 7 maggio 2024)) la Corte EDU ha ritenuto che l’interesse patrimoniale di un soggetto alla conservazione della propria casa di abitazione, realizzata abusivamente ma “tollerata” dalle autorità per un periodo di cinque anni, fosse di natura sufficientemente riconosciuta da costituire un “bene” ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU, con la conseguenza di ritenere applicabili dei confronti dell’ordine di demolizione le garanzie predisposte dalla Convenzione a tutela della proprietà privata rispetto alle ingerenze pubblicistiche. Sulla “legittima aspettativa” a rilievo patrimoniale (anche fondata sulla tolleranza implicita da parte delle autorità nazionali) come “bene” protetto ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU sia consentito il rinvio a N. Berti, La proprietà fra diritto interno e CEDU, in F.G. Scoca-P. Stella Richter-P. Urbani (a cura di), Trattato di diritto del territorio, I, Torino 2018, spec. p. 117 ss.
[47] Cfr. T.a.r. Toscana, Sez. III, 27 maggio 2022, n. 732, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[48] Cfr. C.g.a.r.s., Sez. giur., 4 ottobre 2022, n. 989, in http://www.giustizia-ammini-strativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), ove si afferma che «nel caso specifico, la doverosità dell’annullamento discende dalla circostanza che il Tribunale, con la sentenza penale divenuta irrevocabile, ha, tra l’altro, ordinato la demolizione delle opere abusivamente eseguite. Né può dubitarsi che la demolizione delle opere in questione postulasse sul piano giuridico il preventivo ritiro del titolo edilizio e, quindi, l’adozione di un provvedimento – si ripete, doveroso – di annullamento d’ufficio». Contra T.a.r. Campania, Sez. IV, 4 maggio 2021, n. 2955, in http://www.dejure.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[49] Cfr. T.a.r. Campania, Sez. II, 6 aprile 2023, n. 2134, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Liguria, Sez. II, 9 dicembre 2022, n. 1059, ivi. Si consideri che, pur in presenza di un titolo efficace, neppure l’ordine di demolizione disposto dal giudice penale richiede alcuna motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico; cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 maggio 2018, n. 41269, in Cass. pen., IV (2019), p. 1661.
[50] Secondo la giurisprudenza consolidata, invece, «anche l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della p.a., entro un termine ragionevole, non essendo, pure nella materia edilizia, sufficiente l’intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata»; cfr., da ultimo T.a.r. Umbria, Sez. I, 12 gennaio 2023, n. 10, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024) , e la copiosa giurisprudenza in essa richiamata.
[51] Cfr. T.a.r. Sicilia (Catania), Sez. I, 28 giugno 2023, n. 2047, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[52] In questo senso, con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 21-nonies, c. 2-bis, l. 241/1990, Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, cit., §§ 30-33.1, ha ritenuto che «l’uso lessicale del verbo servile potere (“possono essere annullati”), anziché dell’indicativo presente del verbo essere (“sono annullati”), pare inequivoco nel rendere l’accertamento penale irrevocabile del falso insufficiente ad imporre l’annullamento dell’atto, dovendo essere effettuate comunque anche le ulteriori verifiche previste dalla norma, fermo restando che nel caso di specie non si porranno esigenze di tutela dell’affidamento del dichiarante il falso o del diretto (e consapevole) beneficiario dello stesso. Ciò a maggior ragione ove si consideri che presumibilmente il giudicato di condanna interverrà dopo un lasso di tempo consistente dall’adozione dell’atto ampliativo, sicché l’Amministrazione non potrà esimersi dal valutare l’incidenza del fattore temporale sulla decisione relativa all’annullamento d’ufficio, tornando ad espandersi anche, si ritiene, l’operatività della ragionevolezza del termine. […] Principi questi che possono – recte, devono – evidentemente orientare la scelta dell’Amministrazione, ma non imporla, giusta l’incidenza del tempo trascorso, ad esempio, sull’attuale titolarità del bene, come avvenuto anche nel caso di specie».
[53] Sulla dequotazione delle garanzie partecipative – procedimentali e giurisdizionali – nel contesto del doppio binario sanzionatorio in materia edilizia, cfr. anche le riflessioni svolte da S. Lucattini, Le sanzioni a tutela del territorio, cit., p. 217 s.
[54] Tale orientamento è stigmatizzato da Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, cit., §§ 47-50, ove si rileva che «il primo giudice ha sostanzialmente posto sullo stesso piano le due richieste, di autotutela e di controllo, operando un’indebita commistione tra le stesse, ovvero giustificando la doverosità della prima in regione della sussistenza dei compiti di controllo. Al contrario, trattavasi di due distinti profili di obbligo di provvedere, uno riferito al richiesto riesame degli atti, l’altro alla verifica di conformità agli stessi, per come “conservati” o caducati, dello stato di fatto esistente».
[55] V. Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020, n. 183, in Riv. giur. edilizia, I (2020), p. 105: «il Comune ha richiesto l’esecuzione della demolizione delle opere edilizie, ma alcuna pronuncia ha esplicitato in ordine alla illegittimità dei titoli edificatori a suo tempo rilasciati né tantomeno ne ha disposto il ritiro. Orbene, una statuizione, in termini di verifica, in ordine alla regolarità urbanistica degli stessi (dal contenuto positivo o negativo) […] si palesa dovuta anche in relazione alle seguenti ragioni. Non può, infatti, obliterarsi che una eventuale conferma, con argomentazioni rafforzative, della legittimità dell’intervento risulta elemento spendibile dal privato all’interno del procedimento di esecuzione e, pertanto, la pronuncia richiesta all’ente locale trova giustificazione anche nell’esigenza di tutela del diritto di difesa, così ulteriormente giustificando l’obbligo di provvedere sul punto».
[56] E ciò, del resto, in linea con una più generale tendenza evolutiva dell’autotutela amministrativa, la quale risulta progressivamente “piegata” a logiche di tutela giustiziale, anche sul piano processuale. Su questi profili, cfr. M. Allena, L’annullamento d’ufficio. Dall’autotutela alla tutela, Napoli, 2018; M. Silvestri, Potere pubblico e autotutela amministrativa. I rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nello specchio dell’annullamento d’ufficio, Torino, 2021,spec. p. 95 ss. Sulla funzione “processuale” dell’autotutela conservativa sia consentito il rinvio a N. Berti, Autotutela conservativa, motivazione del provvedimento e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., I (2022), p. 188 ss.
[57] Si tenga presente che la legittimazione a promuovere l’incidente di esecuzione nei confronti dell’ordine di demolizione è intesa in senso particolarmente ampio dalla giurisprudenza, come estesa non solo alle parti del procedimento di cognizione (P.M., condannato, parti civili), ma anche a soggetti ad esso estranei ma parimenti interessati alle questioni che insorgono nel corso dell’attuazione della misura ripristinatoria (terzi che possono ottenere un pregiudizio, e quindi anche il proprietario non responsabile, pubbliche amministrazioni, associazioni ambientaliste); cfr. Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 1999, n. 758, Sperandio, in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). Sull’incidente di esecuzione come “luogo” ove si esplica il contraddittorio con i soggetti che, pur pregiudicati dalle sanzioni amministrative irrogate dal giudice penale, non hanno preso parte al processo di cognizione cfr. recentemente Cass. pen., Sez. III, 26 aprile 2023, n. 26282, C.R., in http://www.dejure.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), la quale precisa (§ 3.3.) che possono essere oggetto di contestazione da parte dei soggetti estranei al processo esclusivamente i presupposti “sostanziali” dell’ordine giudiziale di demolizione (abusività dell’immobile, inesistenza di provvedimenti incompatibili, possibilità di ripristino senza pregiudizio per le parti conformi, etc.), mentre non possono essere dedotte questioni “processuali” rilevabili esclusivamente dal soggetto imputato (come, ad esempio, la prescrizione del reato); 12 maggio 2022, n. 30424, R., in Riv. giur. edilizia, I (2022), p. 1546. A tal proposito, nota efficacemente S. Lucattini, Le sanzioni a tutela del territorio, cit., p. 264 che l’incidente di esecuzione finisce così per «assumere le sembianze del “procedimento” (amministrativo), dotato di una pretesa dimensione multipolare funzionale alla gestione della complessità, divenendo, in maniera surrettizia, luogo deputato allo svolgimento di un processo decisionale di amministrazione e di governo».
[58] Forma di responsabilità civile riconducibile a quella da c.d. comportamento amministrativo illecito, che, ferma restando l’ancora irrisolta dialettica tra Adunanza plenaria e Sezioni unite in punto di giurisdizione, si configura non solamente nell’ipotesi di annullamento del titolo edilizio (obbligando l’amministrazione, sussistendo i presupposti civilistici, a risarcire le spese sostenute dal beneficiario per la demolizione delle opere, ovvero le somme versate a titolo di sanzione sostitutiva ex art. 38, c. 2, d.p.r. 380/2001 in caso di “fiscalizzazione” dell’abuso, come parrebbe prefigurato da Cons. Stato, Ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, § 8.1.), ma anche in conseguenza del mero “fatto” del rilascio di un titolo illegittimo (anche non annullato), allorquando si ponga come causa efficiente del danno-evento da affidamento incolpevole (si consideri, infatti, che lo stesso art. 21-nonies, c. 1, l. 241/1990 mantiene «ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo»). Cfr. Cass. civ., Sez. un., ord., 19 febbraio 2019, n. 4889; Corte app. civ. Bari, Sez. III, 12 settembre 2022, n. 1306, Matarrese, in http://www.giustiziacivile.com (ultimo accesso 7 maggio 2024), con nota di D. Balbino, Proprietà privata e attività d’impresa fra CEDU e ordinamento nazionale, concernente le vicende risarcitorie relative al complesso caso di “Punta Perotti”.
[59] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2023, n. 17422, A.A., in Urb. app., 2 (2023), p. 529, la quale parla sintomaticamente di «attivazione del procedimento volto all’annullamento in regime di autotutela del permesso di costruire».
[60] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 1° dicembre 2021, n. 11079, U.A., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 11 luglio 2018, n. 49202, G.A., in Urb. app., 1 (2019), p. 132; 22 settembre 2016, n. 55295, Fontana, in CED Cass. n. 268844; 6 dicembre 2011, n. 2860, S.G., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Calabria (Reggio Calabria), 21 ottobre 2019, n. 601, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[61] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2007, n. 1904, T.O., in Riv. pen., 10 (2007), p. 1049; Sez. un., 12 novembre 1993, n. 11635, Borgia, cit.; Corte cost., 31 marzo 1988, n. 369, in http://www.cortecostituzionale.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[62] Cfr. C.g.a.r.s., Sez. giur., 19 luglio 2021, n. 714, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[63] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 905 e T.a.r. Puglia (Lecce), Sez. I, 10 giugno 2022, n. 965, entrambe in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[64] Risulta, infatti, superata la tesi del giudice penale “supplente” della pubblica amministrazione [avanzata a far data da Cass. pen., Sez. un., 10 ottobre 1987, Bruni, in Cass. pen. (1988), p. 420], ritenendosi oggi che l’ordine giudiziale si connetta direttamente all’interesse pubblico sotteso all’esercizio dell’azione penale [cfr. Cass. pen., Sez. un., 19 giugno 1996, n. 15, Monterisi, in Foro it., II (1997), c. 332; Sez. III, 20 novembre 2009, n. 44898, M.E., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 11 novembre 2015, n. 50460, S.G., ivi). Tale mutata considerazione ha avuto riflessi non secondari in ordine all’influenza (automatica o meno) della sospensione giurisdizionale dell’ordinanza (amministrativa) di demolizione sulla sospensione dell’ordine giudiziale da parte del giudice (penale) dell’esecuzione: invero, un risalente orientamento fondato sulla concezione “sostitutiva” del potere del giudice ordinario predicava la sospensione automatica dell’ordine penale in caso di sospensione giurisdizionale dell’ordine amministrativo, dovendosi escludere in tal caso una “inerzia” della pubblica amministrazione, essendo la sua iniziativa paralizzata dalla decisione del giudice (cfr. Cass. pen., Sez. III, 8 maggio 1992, Ruggeri; 8 aprile 1988, Gregori;19 gennaio 1990, Pignatello; 19 dicembre 1991, Piccolo; Sez. II, 12 novembre 1992, Vanello). Oggi, invece, si ritiene che la sospensione giudiziale dell’ordine (amministrativo) non interferisca automaticamente con l’ordine impartito dal giudice penale, dovendo diversamente il giudice dell’esecuzione valutare la natura meramente “formale” ovvero “sostanziale” (attinente, cioè, ai profili di conformità degli interventi) dei vizi fondanti il fumus boni iuris, potendo egli disporre la sospensione solamente nel secondo caso (cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2004, n. 23992; 28 aprile 1999, n. 10747; 20 giugno 1996; n. 2702).
[65] Pur soggettivamente proveniente da un organo giurisdizionale e accessiva ad un provvedimento giurisdizionale; cfr. Cass. pen., Sez. III, 12 settembre 2019, n. 43125, in Ius Penale, 4 (2019), con nota di A. Chelo, Quale natura per l’ordine di demolizione che promana dal giudice penale?; 11 marzo 2011, n. 10123, L.O. e al., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Campania, Sez. II, 17 giugno 2021, n. 4150, in Riv. giur. edilizia, I (2021), p. 1349. Nella dottrina, cfr. P. Tanda, Le conseguenze della natura giuridica di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31, c. 9, T.U.E., in Riv. giur. edilizia, II (2016), p. 307 ss.
[66] Al punto che si è parlato di un vero e proprio «atto di volontaria giurisdizione penale» (Cass. pen., Sez. III, 11 gennaio 1993). Cfr. altresì Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2016, n. 6422, I.G., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 23 gennaio 2007, n. 1904, T.O., in Riv. pen., 10 (2007), p. 1049; 26 maggio 2004, n. 23992, Cena, in Riv. pen., 6 (2005), p. 2054. Sulla “revocabilità” come specifica efficacia formale degli atti amministrativi sia consentito il rinvio a N. Berti, La modifica dei provvedimenti amministrativi, Torino 2022, spec. p. 65 ss.
[67] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 2011, n. 2860, S.G., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 29 settembre 2005, n. 43294, Gambino, in CED Cass. n. 232646; 19 gennaio 2005, n. 1104, P.G., in Riv. pen., 2 (2006), p. 231. Si tenga presente che l’esecuzione dell’ordine amministrativo segue le forme dell’art. 31 d.p.r. 380/2001 ed è demandata alla pubblica amministrazione (ed eventualmente al Prefetto in via sostitutiva, così come previsto dall’art. 41, recentemente novellato dall’art. 10-bis della l. 120/2020, sul quale v. P. Urbani, Art. 10-bis. Semplificazioni in materia di demolizione di opere abusive, in Aa.Vv., L’amministrazione nell’assetto costituzionale dei poteri pubblici. Scritti per Vincenzo Cerulli Irelli, II, Torino, 2021, p. 1260; cfr. T.a.r. Campania, Sez. VIII, 11 dicembre 2023, n. 6836, in http://www.ambientediritto.it (ultimo accesso 7 maggio 2024) e Sez. VI, 7 ottobre 2021, n. 6327, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2021, n. 46194, F.N., in CED Cass. n. 282239), con la conseguenza che le relative controversie sono soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. C.g.a.r.s., Sez. giur., 20 marzo 2020, n. 194, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024)); quanto, invece, all’esecuzione dell’ordine giudiziale penale si ritiene, pur in mancanza di norme specifiche all’interno del d.p.r. 380/2001 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 19 marzo 1992, Conti; Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5324, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024)) e nel Codice di rito (cfr. Cass. pen., Sez. III, 23 marzo 1999, n. 1150), che essa spetti all’autorità giudiziaria ordinaria ex art. 655 e ss. c.p.p. e che l’organo promotore dell’azione esecutiva e dell’eventuale incidente di esecuzione (unitamente agli altri soggetti interessati) sia il Pubblico Ministero. Si esclude, perciò, che la pubblica amministrazione possa dare autonoma esecuzione all’accertamento contenuto nella sentenza penale [cfr. T.a.r. Sicilia, Sez. II, 3 febbraio 2023, n. 343, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Sicilia (Catania), Sez. II, 25 ottobre 2022, n. 3054, ivi], salvo che la funzione esecutoria (cioè l’ingiunzione di demolizione e/o la conduzione delle successive operazioni materiali) le sia delegata dal P.M., anche previo accordo d’intesa, fissandone le relative modalità [Cons. Stato, Sez. VI, 1° aprile 2019, n. 2137, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Puglia (Lecce), Sez. I, 10 febbraio 2022, n. 1817, ivi]. In mancanza, l’ingiunzione amministrativa è nulla per carenza di potere in astratto, posto che la competenza istituzionale in materia spetta al P.M. e che la pubblica amministrazione è titolare di una propria competenza concorrente [cfr. Cass. pen., Sez. III, 19 novembre 2021, n. 5571, in Urb. app., 3 (2022), p. 420]. Rimane ferma la possibilità per il Comune di adottare un autonomo ordine di demolizione ex art. 31 d.p.r. 380/2001 successivo a quello del giudice penale, alla condizione che l’amministrazione fornisca una propria qualificazione giuridica dell’illecito, all’esito di un’istruttoria connota da un’autonoma valutazione delle risultanze processuali e dei fatti materiali accertati in sede penale, e non aderisca acriticamente all’accertamento compiuto nella sede penale [cfr. T.a.r. Puglia (Lecce), Sez. I, 17 ottobre 2022, n. 1817, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024)].
[68] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 23 febbraio 2020, n. 7109; T.a.r. Campania, Sez. II, 12 febbraio 2019, n. 768, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[69] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 17422, A.A., in Riv. giur. edilizia, I (2023), p. 969; 10 novembre 2004, n. 43878, Cacciatore, in Riv. pen., 1 (2006), p. 104.
[70] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2012, n. 25212, Maffia, in CED Cass. n. 253050; 6 dicembre 2011, n. 2860, S.G., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 27 settembre 2006, n. 40188, B.S., ivi; 16 aprile 2004, n. 23992, Cena, in CED Cass. n. 228691. La revoca e la sospensione, dunque, non sono mai automatiche, in quanto permane sempre in capo al giudice dell’esecuzione il potere-dovere di accertare la legittimità sostanziale della determinazione amministrativa, presupposto affinché si determini una “situazione giuridica nuova” che renda incompatibile la sopravvivenza dell’ordine demolitorio; cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2017, n. 30168, Pepe, in CED Cass. n. 270252; 24 maggio 2016, n. 41489, in CED Cass. n. 267910.
[71] Sulle conseguenze processuali derivanti dal (difficile) rapporto tra l’ordinanza di demolizione e il procedimento di sanatoria, v. S. Vaccari, Ordinanza di demolizione e procedimento di sanatoria: alcuni risvolti di ordine processuale, in Dir. proc. amm., III (2017), p. 1158 ss.
[72] Il procedimento penale non è invece sospeso nel caso di proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso il provvedimento (espresso o tacito) di diniego del permesso in sanatoria, atteso che non sussiste in materia alcuna pregiudizialità amministrativa e che la risoluzione del giudizio amministrativo non esplica effetti sulla sussistenza del reato, ma solo sulla sua possibile estinzione, che consegue comunque ad una rinnovata valutazione da parte dell’autorità competente; cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2020, n. 15752, Campagna, in Studium juris, 1 (2021), p. 92; 4 ottobre 2005, n. 2198, Fiore, in Riv. pen., 4 (2006), p. 1344; Corte app. Palermo, Sez. IV, 5 dicembre 2013, n. 4580, Fi. Va. e al., in http://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[73] E non solamente nei confronti di coloro che hanno presentato l’istanza; cfr. Trib. Torre Annunziata, 1° dicembre 2022, n. 2407, in http://www.dejure.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[74] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 3 aprile 2014, n. 20482, Terraciano, in CED Cass. n. 259189.
[75] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 5 gennaio 2022, n. 95, M.M.C., in Guida al diritto, 1 (2022), p. 5, per la quale «il permesso in sanatoria […] svolge la funzione di fatto estintivo di un reato già commesso, che, in quanto tale, come ogni altro fatto estintivo, deve essere controllato dal giudice». Va, a tale riguardo, evidenziato che – alla luce degli orientamenti più recenti del giudice penale – mentre la verifica in ordine alla legittimità del titolo edilizio in sede di accertamento della fattispecie di reato ha, o dovrebbe avere, sempre natura sostanziale (nella logica, evidenziata supra § 2, del bene “territorio” quale oggetto della tutela penale), quella in ordine all’estinzione della contravvenzione (e all’eventuale conseguente revoca dell’ordine di demolizione) presuppone anche un accertamento di validità “formale” del titolo rilasciato in sanatoria (pure a prescindere, dunque, dalla “doppia” conformità sostanziale degli interventi). Ciò che potrebbe comportare problematiche ulteriori rispetto a quelle rappresentate supra § 3: si pensi, ad esempio, alla preclusione del “binario” ripristinatorio amministrativo (ma non di quello penale) discendente dalla non annullabilità del permesso di costruire in sanatoria laddove il vizio sia di carattere “meramente” formale ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2, l. 241/1990; oppure, ad un giudizio prognostico negativo svolto dal giudice penale in ordine all’accoglibilità della domanda di sanatoria per motivi formali (ad esempio, in ragione della incompletezza/irregolarità della domanda, ovvero di mancato o errato versamento dell’oblazione) al di fuori dei meccanismi garantistici di soccorso istruttorio. In termini più cauti, alcune pronunce meno recenti avevano invece riconosciuto la necessità di coordinare l’esecuzione dell’ordine di demolizione con le determinazioni prese in sede amministrativa: Cass. pen., Sez. III, 21 novembre 2004, n. 1104, Calabrese, in Cass. pen., 2 (2006), p. 603. Sul punto, cfr. P. Tanda, Attività amministrativa e sindacato del giudice ordinario, cit., p. 114 ss.
[76] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 17422, cit.
[77] Trattasi, invero, di una valutazione prognostica spesso poco rispettosa delle prerogative della pubblica amministrazione e connotata da una tendenziale presunzione di esito negativo: in un caso, ad esempio, la semplice comunicazione di avvio di un procedimento di sanatoria, lungi dal determinare una sospensione dell’ordine giudiziale in attesa delle determinazioni amministrative, è stato ritenuto un atto non solo assolutamente compatibile, ma anche ineluttabilmente convergente con l’ingiunzione penale; v. Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2023, n. 17422, cit., che parla sintomaticamente dell’«avvio della procedura di diniego [sic!] delle istanze di sanatoria».
[78] Esigenza che, invero, dovrebbe ritenersi già in astratto presidiata dal meccanismo di silenzio-diniego previsto dallo stesso art. 36, c. 3, d.p.r. 380/2001 una volta decorsi sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza di permesso in sanatoria. In questo senso, proprio in relazione all’accertamento penale, si è recentemente pronunciata anche Corte cost., 16 marzo 2023, n. 42, in http://www.cortecostituzionale.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), § 3.1.2., secondo la quale «la definizione del procedimento di sanatoria con i tempi certi del silenzio-rigetto si coordina con la disposizione dell’art. 45 t.u. edilizia relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi: questa prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, in ragione dell’effetto estintivo dei reati contravvenzionali derivante dal suo accoglimento; ma, al contempo, tale sospensione richiede un contenimento temporale non potendo il processo penale arrestarsi sine die»; cfr. altresì Cass. pen., Sez. III, 20 dicembre 2011, n. 6670, B.M., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), la quale precisa che permane comunque il potere dell’autorità amministrativa di rilasciare tardivamente la concessione in sanatoria ove accerti, anche a seguito della decorrenza di tale termine, la sussistenza dei relativi presupposti; 21 novembre 2019, n. 10083, G.D., in Urb. app., 3 (2020), p. 432. In un caso, la disposizione è stata invocata, ancora una volta, per sostenere una sorta di presunzione di esito negativo del procedimento: Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 35182, C.D., in Urb. app., 1 (2021), p. 135, ove si è affermato che «ad escludere la conclusione favorevole dell’iter amministrativo soccorre la stessa previsione di cui all’art. 36 secondo la quale, decorso il termine di sessanta giorni dalla presentazione della domanda senza che l’ufficio comunale adito si sia pronunciato, la stessa si intende respinta con conseguente conclusione del procedimento amministrativo».
[79] E ciò senza alcun obbligo di comunicarle preventivamente al destinatario ai fini dell’attivazione di un contraddittorio supplementare, secondo il meccanismo di cui all’art. 10-bis l. 241/1990, il quale – secondo un orientamento giurisprudenziale pur non univoco – dovrebbe ritenersi operativo anche in relazione a fattispecie soggette a un meccanismo di silenzio-rigetto, quale il permesso di costruire in sanatoria; per questa affermazione, v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2023, n. 3672, in Riv. giur. edilizia, I (2021), p. 627. Sulle problematiche connesse alla sottoposizione del procedimento di accertamento di conformità ad un meccanismo di silenzio-rigetto, anche in relazione agli obiter dicta della sentenza Corte cost. n. 42/2023 cit., v. M. Difino, Il “silenzio-rigetto” sull’istanza per accertamento di conformità edilizia ai sensi dell’art. 36, d.p.r. n. 380/2001: una soluzione che non soddisfa, in ambientediritto.it, IV (2023), p. 1 ss.
[80] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 novembre 2022, n. 48931, M.L., in Diritto & Giustizia (2022); 11 febbraio 2016, n. 5731, C.C., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 1° luglio 2015, n. 9145, Manna, in CED Cass. n. 266763; 6 maggio 2014, n. 3718, I.F., in Urb. app., 11 (2014), p. 1249.
[81] Cfr. Corte app. Trento, 13 maggio 2015, n. 95, in http://www.foroplus.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[82] Ciò che potrebbe porsi in problematico rapporto con il meccanismo preclusivo recentemente introdotto all’art. 10-bis l. 241/1990 nell’eventualità del definitivo rilascio del permesso di costruire in sanatoria a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un precedente diniego (espresso): in tal caso, ulteriori motivi ostativi all’accoglimento della domanda già emergenti dall’istruttoria amministrativa, e non preventivamente comunicati in sede di preavviso, non potrebbero essere più addotti dalla pubblica amministrazione (in sede di riattivazione del procedimento), mentre il giudice penale non subirebbe alcuna preclusione in merito (in sede di accertamento incidentale della validità del permesso di costruire in sanatoria); con la conseguenza, anche in tal caso, di impedire l’attivazione del “binario” ripristinatorio amministrativo parallelamente all’iniziativa penale.
[83] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 18 novembre 2021, n. 3128, in http://www.dejure.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 9 novembre 2018, n. 55028, B.S., in CED Cass. n. 274135; 21 ottobre 2014, n. 47402, Chisci, in CED Cass. n. 260972; 9 luglio 2013, n. 42164, Brasiello, in CED Cass. n. 256679; T.a.r. Campania (Salerno), Sez. I, 3 maggio 2013, n. 1225, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[84] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2019, n. 45845, in Cass. pen., IX (2020), p. 3391; 21 ottobre 2014, n. 47402, Chisci, in CED Cass. n. 260973; inoltre, secondo Id., 7 luglio 2020, n. 28666, in Riv. giur. urbanistica, I (2020), p. 1667, non estingue il reato edilizio il rilascio del permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di interventi che conformino l’opera agli strumenti urbanistici. Non mancano, tuttavia, isolate pronunce che, pur non dichiarando estinto il reato, ritengono non comminabile (o comunque revocabile) l’ordine di demolizione di opere in caso di conformità urbanistica sopravvenuta: v., ad esempio, Cass. pen., Sez. III, 18 ottobre 2017, n. 8540, P.O.G., in Urb. app., 3 (2018), p. 418, § 4 e la giurisprudenza da essa richiamata.
[85] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2022, n. 2357, in Cass. pen. (2023), p. 2070; 19 settembre 2019, n. 45845, in CED Cass. n. 277265; 13 maggio 2015, n. 36902, Milito, in CED Cass. n. 265085; 9 febbraio 2005, n. 13155, Mocerino, in CED Cass. n. 231847. Si veda il caso deciso da Id., 19 febbraio 2015, n. 7388, C.S., in Urb. app., 5 (2015), p. 608 s., dove si afferma che «il provvedimento di sanatoria può essere disapplicato quando sia stato concesso illegittimamente. […] Quando, però, il provvedimento sia negativo, opportunamente i giudici di merito sottolineano che l’eventuale verifica di illegittimità non può avere effetto estintivo del reato. Diversamente, si dovrebbe assistere ad un vero e proprio “volo pindarico” in cui, non solo, il giudice penale ignora il provvedimento amministrativo illegittimamente negato ma, arriva ad escludere il reato sulla base di un provvedimento inesistente (come se l’illegittimità del diniego lo rendesse equipollente ad un rilascio). […] Orbene, siffatta eventualità è praticamente inimmaginabile nel caso, opposto, in cui il “vizio” sia rappresentato da un diniego visto che, anche ad ipotizzare l’esplicazione di un potere di “disapplicazione”, la situazione resterebbe immutata perché il potere di supplenza del giudice penale non potrebbe giungere al punto di “sostituirsi” alla P.A. rilasciando quell’atto che sia stato ingiustamente negato». Tale conclusione non appare in linea neppure con lo stesso orientamento del giudice penale. Se, infatti, come sostiene l’indirizzo prevalente della giurisprudenza (in disparte le critiche che ad esso si sono precedentemente mosse), l’oggetto della tutela della fattispecie contravvenzionale deve ritenersi rappresentata dalla conformità dell’assetto territoriale alla disciplina urbanistica (“a prescindere”, e non in “disapplicazione” degli eventuali titoli rilasciati dall’amministrazione) non si vede perché il giudice penale possa condannare e ordinare la demolizione degli interventi a questa difformi (pur in presenza di un titolo legittimante o sanante), ma gli sia precluso (in virtù di una “riserva” di amministrazione che, in tal modo, finisce per operare esclusivamente in malam partem) di dichiarare estinto il reato laddove essi siano ritenuti conformi (pur in presenza di un diniego di sanatoria illegittimo).
[86] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2013, n. 48108, D.F., in Urb. app., 2 (2014), p. 240; 8 luglio 2013, n. 28955, Benigno, in https://www.ambientediritto.it/giurisprudenza/corte-di-cassazione-penale-sez-3-8-luglio-2013-sentenza-n-28955/ (ultimo accesso 7 maggio 2024); 8 novembre 2000, n. 3531, Consolo, in Urb. app., 2 (2001), p. 226. Valutazione che si estende anche alle decisioni di merito della giurisdizione amministrativa, cfr. Cass. pen., Sez. III, 12 aprile 2023, n. 15257, in http://www.lexambiente.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[87] In quanto tende alla riparazione effettiva di un danno al territorio e non a punire il responsabile; cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 11 gennaio 2023, n. 344, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); Cass. pen., Sez. III, 17 giugno 2022, n. 31934, V.P., in Urb. app., 6 (2022), p. 863; 17 giugno 2020, n. 1846, cit.;18 febbraio 2020, n. 9742, M.A., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 24 maggio 2016, n. 35213, P.E., ivi.
[88] E non il direttore lavori o gli esecutori materiali (eventualmente condannati), per i quali la possibilità di adempiere sarebbe necessariamente subordinata alla volontà del proprietario, avendo concorso all’abuso sulla base di un rapporto obbligatorio; cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 novembre 2021, n. 41586, M.G., in CED Cass. n. 282797.
[89] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 1° luglio 2022, n. 37926, in http://www.dejure.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 23 settembre 2020, n. 26523, Barone, in CED Cass. n. 279915; 1° ottobre 2019, n. 45848, Cannova, in CED Cass. n. 277266; 26 marzo 2015, n. 12976, R.A., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 21 ottobre 2009, n. 47281, A.T., ivi. A questo riguardo occorre distinguere l’ordine di demolizione impartito dal giudice della cognizione con sentenza (che è rivolto al soggetto condannato in quanto responsabile dell’abuso, il quale dovrà eseguire la demolizione a proprie spese) e l’ingiunzione a demolire entro un termine (o a ottemperare all’ordine giudiziale di demolizione) da parte del P.M., quale primo atto della fase esecutiva della sentenza di condanna, che viene impartita nei confronti dell’attuale titolare del diritto reale sul bene, oltre che al responsabile dell’abuso, nei confronti del quale il primo può rivalersi. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 26 aprile 2023, n. 26282, C.R., cit., e 13 novembre 2019, n. 7399, Calise, in CED Cass. n. 278090, le quali precisano che «l’ordine di demolizione si rivolge specificamente verso l’imputato condannato, poiché deve essere eseguito a sue spese, mentre i soggetti rimasti estranei al processo ne subiscono gli effetti solo di riflesso». Per un analogo carattere dell’ordine amministrativo v., da ultimo, C.g.a.r.s., Sez. riun., 5 ottobre 2023, n. 419, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). Sui profili tecnico-operativi dell’esecuzione dell’ordine giudiziale di demolizione, v., per tutti, U. Ricciardi-C. Pacilio, La demolizione giudiziale delle opere abusive, Napoli, 2016.
[90] Come già detto, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non può, invece, in alcun modo discendere dall’inottemperanza al (solo) ordine del giudice penale, né ad un’ingiunzione dell’amministrazione che si basi sul mero accertamento contenuto nella sentenza penale e, quindi, al di fuori della specifica scansione procedimentale configurata dall’art. 31 d.p.r. 380/2001; cfr., da ultimo, T.a.r. Campania, Sez. VIII, 27 settembre 2023, n. 5235, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[91] Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 11 ottobre 2023, n. 16, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), orientamento accolto anche dalla Cassazione penale, per la quale v., da ultimo, Sez. III, 28 aprile 2023, n. 23311, in Riv. giur. edilizia, I (2023), p. 957. Contra C.g.a.r.s., Sez. giur., 15 settembre 2023, n. 569, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), secondo cui, conformemente ai principi della CEDU, la perdita della proprietà presuppone una fase di accertamento dell’inadempimento e l’adozione di un provvedimento formale che definisca l’oggetto dell’acquisizione, con la conseguenza che il mero decorso del termine di novanta giorni non determina la carenza di legittimazione a presentare istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2001. Sul punto, la giurisprudenza penale è ferma nel ritenere che il permesso di costruire in sanatoria, richiesto successivamente ai novanta giorni, è illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto non più titolare del bene (cfr. Cass. pen., Sez. III, 14 settembre 2022, n. 36826, Longobardi); tale eventuale rilascio, peraltro, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull’opera abusiva già acquisita al proprio patrimonio, non essendoci coincidenza quanto ad organi competenti (cfr. Cass. pen., Sez. III, 17 novembre 2020, n. 3261, in CED Cass. n. 280870-01). Si consideri che Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 864, in http://www.lexambiente.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), ha ritenuto di non sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 31, c. 3, d.p.r. 380/2001, argomentando nel senso che esso non comporti alcuna compressione illegittima del diritto di proprietà né violi i principi in tema di sanzioni penali e di garanzia del diritto di proprietà sanciti dalla Convenzione EDU, con conseguente manifesta infondatezza dell’incidente sollevato.
[92] Cfr. T.a.r. Sicilia (Catania), Sez. II, 19 gennaio 2021, n. 174; T.a.r. Campania, Sez. II, 4 maggio 2020, n. 1637; T.a.r. Veneto, Sez. II, 23 maggio 2017, n. 502, tutte in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). La valida ed efficace acquisizione al patrimonio comunale non è preclusa neppure dall’eventuale sequestro dell’immobile, in quanto l’ottemperanza all’ordine di demolizione da parte del proprietario è sempre possibile previa autorizzazione al dissequestro da parte del giudice; così, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2023, n. 6031, Riv. giur. edilizia,I (2023), p. 905; T.a.r. Campania (Salerno), Sez. I, 4 settembre 2023, n. 1950, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Campania, Sez. IV, 7 marzo 2022, n. 1512, ivi; 9 marzo 2021, n. 1574, ivi.
[93] Sicché in realtà, come condivisibilmente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, l’acquisizione gratuita dell’opera abusiva non è affatto una misura strumentale alla demolizione, né rappresenta una sanzione accessoria di questa, bensì costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione, abilitando l’amministrazione ad operare una scelta fra la demolizione d’ufficio e la conservazione del bene per prevalenti fini pubblici; cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2017, n. 4547, in Riv. giur. edilizia, I (2017), p. 1330 e in Giur. it., 4 (2018), p. 930, con nota di A. Cascone, Acquisizione gratuita dell’immobile abusivo da parte della pubblica amministrazione; Sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 358; T.a.r. Campania, Sez. VI, 28 luglio 2023, n. 4567, tutte in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024). Per questo motivo essa (unitamente alla sanzione pecuniaria) non pone problemi di bis in idem rispetto all’ordine di demolizione (penale e amministrativo), mancando l’idem factum (nel secondo caso l’illecito è rappresentato dall’abuso edilizio, nel primo caso dall’inottemperanza all’ordine di demolizione).
[94] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2015, n. 48235, S.L., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 2 febbraio 2012, n. 6592; 23 gennaio 2007, n. 1904, T.O., in Riv. pen., 10 (2007), p. 1049; 13 ottobre 2005, n. 37120, Morelli, in CED Cass. n. 232174; 23 dicembre 2004, n. 49397, Sposato, in Riv. pen., 1 (2006), p. 104.
[95] Per questo rilievo, cfr. Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2007, n. 1904, cit.
[96] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2005, n. 37120, cit.; Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7030, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Lombardia, Sez. II, 26 ottobre 1991, n. 66, ivi. Ciò aveva condotto la giurisprudenza più risalente a ritenere incompatibile (e pertanto non irrogabile o doverosamente revocabile) l’ordinanza giudiziale di demolizione dei confronti del condannato a seguito dell’intervenuta acquisizione (ed eventuale immissione in possesso) al patrimonio comunale, non essendo il soggetto responsabile nella possibilità giuridica e materiale di ottemperare; cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 aprile 2004, n. 22743, Maffongelli, in Riv. pen. 5 (2006), p. 619. Cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. VI, ord., 19 aprile 2023, n. 3974, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024), per il quale è «illecita la demolizione posta in essere dal privato successivamente a tale passaggio di proprietà, in quanto il Comune potrebbe decidere di non demolire l’opera, esercitando le prerogative attribuitegli dal comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, in base al quale l’opera acquisita è demolita salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici».
[97] Possibilità ammessa anche dalla giurisprudenza amministrativa, cfr., da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen. 16/2023, cit., la quale, nel richiamare la posizione della sezione rimettente, ha precisato che «se il privato non può più demolire l’opera abusiva decorso il termine di 90 giorni, questi manterrebbe interesse a collaborare con l’Amministrazione, poiché l’adempimento tardivo all’ordine di demolizione varrebbe ad evitargli conseguenze più gravi, quali la perdita anche dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime».
[98] Cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. III, 21 novembre 2023, n. 46702, in http://www.lavoripubblici.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 6 settembre 2021, n. 32896, C.A., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 11 novembre 2015, n. 48235, S.L., ivi; 23 gennaio 2007, n. 1904, T.O., in Riv. pen., 10 (2007), p. 1049; T.a.r. Campania, Sez. II, 10 gennaio 2018, n. 151, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[99] Cfr. T.a.r. Abruzzo, Sez. I, 23 giugno 2011, n. 382, in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024).
[100] Cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. III, 26 luglio 2023, n. 32466, A.A. e al., in https://www.onelegale.wolterskluwer.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); 18 gennaio 2023, n. 1680, A.A., ivi; 24 giugno 2020, n. 26523, in Riv. giur. edilizia, I (2020), p. 1424.
[101]Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2010, n. 35546, B., in Riv. giur. edilizia,I (2010), p. 2088, che su tale presupposto ha ritenuto l’ordine di demolizione disposto dal giudice penale compatibile con l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune. Si è peraltro ricordato (v. alla nt. 93) come questa lettura non sia pienamente condivisa dalla giurisprudenza amministrativa (e anche dalla giurisprudenza civile, come è chiarito alla nota immediatamente successiva).
[102] La giurisprudenza riconosce espressamente all’acquisizione gratuita una funzione sanzionatoria [si fa riferimento al riguardo alla «duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti – edificazione in difformità o senza concessione ed inottemperanza all’ordine di demolizione – e di prevenire ed elidere perduranti effetti dannosi per la collettività»: Cass. civ., Sez. III, 4 giugno 2013, n. 14022, in Foro it., Rep., (2013), voce Edilizia e urbanistica, n. 656 e successivamente Cass. civ., Sez. VI, 6 ottobre 2017, n. 23453, ivi, Rep., (2017), voce cit., n. 296; in precedenza già Cass. civ., Sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1693, in Giur. it., 4 (2007), p. 858; in termini simili nella giurisprudenza amministrativa Cons. Stato, Sez. VII, 8 marzo 2023, n. 2459; Sez. II, 11 ottobre 2021; Sez. VI, 16 gennaio 2019, n. 398, tutte in http://www.giustizia-amministrativa.it (ultimo accesso 7 maggio 2024); T.a.r. Valle d’Aosta, 12 ottobre 2018, n. 48, in Riv. giur. edilizia, I (2018), p. 2597]. La sanzione così configurata, che va propriamente riferita all’inottemperanza all’ordine di rimozione dell’abuso (ed è ora accompagnata dalla sanzione pecuniaria introdotta dall’art. 31, c. 4-bis, d.p.r. 380/2001), nella prospettiva delle garanzie riconosciute dalla Convenzione EDU presenta però almeno due profili di criticità, entrambi riconducibili ai principi espressi dalla Corte EDU, Grande Camera, 28 giugno 2018, n. 1828/06, G.i.e.m. e altri c. Italia, in Foro it., IV (2018), c. 389; in Urb. app., 6(2018), p. 759, con nota di A. Scarcella, La grande camera della Cedu sulla confisca urbanistica; in Giur. cost., 5 (2018), p. 2151, con nota di T.E. Epidendio, La grande camera della Corte Edu sulla confisca senza condanna: «oltre l'urbanistica la guerra fra le Corti», l’interpretazione delle sentenze e i diritti delle persone giuridiche, con riguardo alla misura della c.d. confisca amministrativa pervista per le ipotesi di lottizzazione abusiva. Pur trattandosi di situazioni diverse, infatti, da un lato se l’acquisizione gratuita venisse qualificata come sanzione di natura sostanzialmente penale nella prospettiva della Convenzione EDU (fatto non inverosimile, considerato tra l’altro che la misura non si limita all’immobile e all’area di sedime, ma può estendersi oltre tale ambito) l’applicazione sarebbe automatica (come recentemente ribadito da Cons. Stato, Ad. plen., 11 ottobre 2023, n. 16, cit.) e prescinderebbe da qualsiasi valutazione sulla colpevolezza del soggetto, mentre dall’altro (e indipendentemente dalla qualificazione della misura) sarebbe disposta «in assenza di procedimenti che consentano ai giudici, nel contraddittorio con i proprietari, di accertare quali siano gli strumenti più appropriati in relazione alle circostanze del caso». Per alcuni spunti al riguardo, da ultimo, v. C.g.a.r.s., 15 settembre 2023, n. 569, cit. Come già ricordato, peraltro, una questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 31, c. 3, d.p.r. 380/2001, e fondata su tali argomenti (e sulla conseguente violazione dell’art. 117 Cost.) è stata dichiarata manifestamente infondata da Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 864, cit., sul presupposto della diversità sostanziale (definita dalla sentenza «ontologica») tra confisca amministrativa e acquisizione gratuita e della stretta strumentalità di quest’ultima alla necessità di ricondurre a legalità le opere abusive, con conseguente idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto della misura. Resta peraltro il fatto che per gli abusi c.d. minori (artt. 33 e 34 d.p.r. 380/2001) per garantire il risultato finale in caso di inottemperanza all’ordinanza ingiunzione è stato ritenuto sufficiente l’esecuzione in danno dei responsabili dell’abuso.
[103] Corte cost., 5 luglio 2018, n. 140, in Riv. giur. edilizia, I (2018), p. 866 e in Giur. cost. (2018), p. 1579, con nota diE. Rinaldi, La Corte costituzionale e la conservazione degli immobili abusivi come misura alternativa alla demolizione.
[104] In senso analogo P. Tanda, Le conseguenze, cit., p. 347; F. Saitta, La “redenzione della colpa”. Ovvero della conservazione dell’immobile abusivo tra giudice amministrativo e giudice penale, in Riv. giur. edilizia, 4 (2022), p. 309 ss., spec. p. 312.
[105] Cass. pen., Sez. III, 30 marzo 1990, Prosperi, in Giur. it., II (1990), p. 241, con nota di M. Cicala, Come rendere operanti le sanzioni in materia urbanistica?; 19 novembre 1999, n. 3682, Puglisi, in Ambiente e sviluppo, 6 (2000), p. 569, con nota di M.G. Cosentino, L’esecuzione dell’ordine di demolizione cede di fronte alle scelte “conservative” del Comune; 3 novembre 2000, n. 3489, M.R, in Riv. giur. edilizia, I (2002), p. 541. Successivamente all’entrata in vigore del d.p.r. 380/2001 Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2005, n. 43294, Gambino, in Foro it., Rep., (2006), voce Edilizia e urbanistica, n. 525; 13 ottobre 2005, n. 37120, Morelli, in Giust. pen., II (2007), p. 151; 23 gennaio 2007, n. 1904, Turianelli, in Foroplus; 31 gennaio 2008, n. 4962, P.G., ivi.
[106] Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2009, n. 44897, Iavarone, in Riv. pen., 2 (2010), p. 137; 29 gennaio 2013, n. 13746, F., in Foro it., Rep., (2013), voce Edilizia e urbanistica, n. 657; 29 gennaio 2013, n. 11419, B., in Riv. giur. edilizia, I (2013), p. 339; 22 maggio 2013, n. 25824, M., ivi, 966; 25 settembre 2014, n. 47263, R., in Foro it., Rep., (2014), voce Edilizia e urbanistica, n. 487; 17 febbraio 2016, n. 9864, C., in Riv. giur. edilizia, I (2016), p. 1151; 23 maggio 2018, n. 2582, R., in Foro it., Rep., (2019), voce Edilizia e urbanistica, n. 320; 5 marzo 2021, n. 9098, C., ivi, Rep., (2021), voce cit., n. 394.
[107] Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2005, n. 46831, Vuocolo, in Foroplus e la giurisprudenza richiamata alla nt. 83.
[108] Rispetto al quale peraltro la giurisprudenza appare meno uniforme: il potere di accertamento dell’esistenza dei presupposti di estinzione del reato, che legittimerebbe la valutazione incidentale della legittimità del provvedimento di condono è affermato in termini netti da Cass. pen., Sez. III, 12 marzo 1999, n. 736, in Riv. giur. edilizia, I (2000), p. 975; 13 giugno 2012, n. 25170, La Mura, in Guida al diritto, 38 (2012), p. 78. In altre pronunce, tuttavia, si precisa che la valutazione può riguardare solo aspetti riguardanti i presupposti formali e sostanziali e non il rispetto delle norme procedurali, facendo sostanzialmente riferimento a ipotesi di carenza di potere, come emerge chiaramente dalla motivazione di Cass. pen., Sez. III, 17 marzo 2009, n. 25485, Consolo, in Cass. pen., 3 (2010), p. 1138; in termini simili 20 febbraio 2019, n. 12915, P.G., in Guida al diritto, 24 (2019), p. 80.
[109] V. al riguardo le considerazioni espresse nella nt. 75.
[110] V. al riguardo gli artt. 38, c. 3, e 39 l. 47/1985. Queste ragioni, accompagnate al pur non recente intervento di Corte cost., 31 marzo 1988, n. 369, in Giur. cost., I (1988), p. 1559, con nota di G.G. Floridia, Il legislatore tra amnistia e “uso alternativo” della punibilità, che nel dichiarare infondata la questione di legittimità degli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 l. 47/1985 in relazione agli artt. 25 e 101 Cost. ribadiva la possibilità per il giudice penale di svolgere, in via incidentale, adeguati accertamenti in ordine ai requisiti del fatto estintivo, precisando tuttavia che è l’oblazione a costituire l’elemento conclusivo della fattispecie estintiva del reato e che «[l]’ipotesi (…) d'affidare al giudice penale tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria “amministrativa” condurrebbe a consentire, al giudice penale, la sottrazione di competenze (governo del territorio) costituzionalmente attribuite ad altri poteri dello Stato» spiegano l’orientamento più controverso della giurisprudenza penale (v. sopra, nt. 108), le cui decisioni appaiono spesso condizionate dalle peculiarità del caso specifico.
[111] In questo senso v. anche F. Saitta, La “redenzione della colpa”, cit., p. 310 testo e nt. 5, anche per ulteriori riferimenti.
[112] Il riferimento è all’evocazione della redenzione della colpa, della quale la delibera assunta sulla base dell’art. 31, c. 5, d.p.r. 380/2001 sarebbe strumento, da parte di Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2017, n. 1770, in Urb. app., 6 (2017), p. 830, con nota di A. Senatore, Le deroghe alla demolizione degli immobili abusivi: condizioni, prassi applicative e questioni interpretative, che pure individua puntualmente presupposti, ambito di applicazione e funzione della norma in questione, pervenendo alla riforma in appello della sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale, in sede di ottemperanza, aveva invece dichiarato la nullità della deliberazione comunale dopo il passaggio in giudicato della sentenza che aveva respinto il ricorso contro l’originaria ordinanza che ingiungeva la demolizione delle opere, rimasta ineseguita. Evocazione poi ripresa da F. Saitta nel contributo già ricordato.
[113] Sul punto v. G.D. Comporti-E. Morlino, La difficile convivenza, cit., p. 155.
[114] In questo senso v. l’art. 31, c. 6, d.p.r. 380/2001.
[115] Per questa prospettiva M. Trimarchi, L’inesauribilità, cit., p. 209.
[116] P. Urbani, Istituzioni, Economia, Territorio. Il gioco delle responsabilità nelle politiche di sviluppo, Torino, 2020.
Sigismondi Giammarco
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