Obbligazione del comodante e sinallagmaticità del comodato: riflessioni in margine a D. 13.6.17.3
Antonino Milazzo
Professore a contratto di Istituzioni di Diritto romano
Università Lum Jean Monnet di Bari
Obbligazione del comodante e sinallagmaticità del comodato: riflessioni in margine a D. 13.6.17.3*
English title: Obligation of the bailor and synallagmatic nature of the loan: reflections about D. 13.6.17.3
DOI: 10.26350/004084_000064
Sommario: 1. Premessa. Il dibattito su unilateralità e bilateralità del comodato. – 2. I termini del problema nel frammento paolino. – 3. Le mutuae praestationes di Paolo e la bilateralità del comodato. – 4. Il contenuto negativo dell’obligatio gravante sul comodante. – 5. Il comodante e l’obbligazione positiva di garantire l’utilitas della res concessa in prestito. – 6. Considerazioni conclusive: la natura di cor-rispettività delle obbligazioni poste a carico delle parti del contratto di comodato.
- Premessa. Il dibattito su unilateralità e bilateralità del comodato
Appare pienamente consolidato nella dottrina[1] l’orientamento secondo il quale il comodato avrebbe rivestito in diritto romano il carattere di obligatio bilaterale imperfetta: in tal senso, è opinione comune che l’obbligazione sarebbe gravata esclusivamente sul comodatario e avrebbe avuto quale contenuto la restituzione del bene – utilizzato secondo le modalità convenzionalmente stabilite – bene che abbia mantenuto le sue caratteristiche funzionali sostanzialmente inalterate, in modo da costituire eadem res.
Si tratta di un dato, come rilevato, presente nella dottrina romanistica, che appare però abbandonato, almeno nominalmente, dalla civilistica moderna, la quale sembra indulgere a considerare il nostro come un contratto unilaterale[2], pur dividendosi sulla attribuzione dell’obbligazione a carico del comodante o del comodatario[3].
Ho già altrove[4] ritenuto, tuttavia, che possa essere rimeditata l’idea secondo la quale il comodato si fondi esclusivamente su un’obbligazione principale, quella a carico del comodatario, laddove solo in via eventuale il comodante sarebbe tenuto verso la controparte nell’ipotesi in cui quest’ultima subisca danni o sopporti spese.
In particolare, credo sia opportuno volgere lo sguardo ad un celebre passo paolino, nel quale la descrizione del nostro contratto segue binari che appaiono divergere da quelli consueti nella letteratura sul tema:
D. 13.6.17.3 (Paul. 29 ad ed.): Sicut autem voluntatis et officii magis quam necessitatis est commodare, ita modum commodati finemque praescribere eius est qui beneficium tribuit. Cum autem id fecit, id est postquam commodavit, tunc finem praescribere et retro agere atque intempestive usum commodatae rei auferre non officium tantum impedit, sed et suscepta obligatio inter dandum accipiendumque. Geritur enim negotium invicem et ideo invicem propositae sunt actiones, ut appareat, quod principio beneficii ac nudae voluntatis fuerat, converti in mutuas praestationes actionesque civiles. Ut accidit in eo, qui absentis negotia gerere inchoavit: neque enim impune peritura deseret: suscepisset enim fortassis alius, si is non coepisset: voluntatis est enim suscipere mandatum, necessitatis consummare. Igitur si pugillares mihi commodasti, ut debitor mihi caveret, non recte facies importune repetendo: nam si negasses, vel emissem vel testes adhibuissem. Idemque est, si ad fulciendam insulam tigna commodasti, deinde protraxisti aut etiam sciens vitiosa commodaveris: adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet. Ex quibus causis etiam contrarium iudicium utile esse dicendum est.
Il lungo passo[5] del giurista Paolo, prima facie, sembra soffermarsi sulla questione della natura del comodato quale vincolo giuridico: il giurista afferma che inizialmente, prima cioè della stipulazione del comodato, si presenterebbe una posizione delle parti che è soltanto di officium, durante la quale spetta al comodante decidere se dare o meno quello che il giurista definisce il beneficium; soltanto in un secondo momento, il rapporto assume i connotati giuridici, imponendo obbligazioni a carico di ambo le parti. Ma – si noti – il passaggio è visto da Paolo dall’ottica del solo comodante, che una volta concesso il bene in comodato ‘retro agere atque intempestive usum commodatae rei auferre non officium tantum impedit, sed et suscepta obligatio inter dandum accipiendumque’.
Paolo, insomma, utilizza, come si può notare in prima analisi, il termine obligatio per definire la posizione assunta dal comodante in seguito al sorgere del negozio di comodato, obligatio che gli impedisce di richiedere intempestive il bene.
- I termini del problema nel frammento paolino
Il frammento, oggetto di recente rimeditazione[6], è stato ritenuto, soprattutto da parte della dottrina più risalente[7], frutto di un intervento interpolatorio, anche nel principio in esso espresso, mentre non è mancato chi[8], pur ritenendolo genuino, ha affermato essere errata la prospettiva paolina.
Partendo, tuttavia, dal presupposto dell’ormai riconosciuto carattere genuino del frammento[9], almeno nella sua sostanza, cerchiamo di comprendere innanzitutto il suo senso letterale: il giurista osserva che come il dare in comodato dipende più dalla volontà e dai doveri che da un obbligo, allo stesso modo stabilire la durata e le modalità del comodato dipende dalla volontà di chi concede il beneficium. Tuttavia, una volta – prosegue Paolo – che il comodato sia sorto, a fissare un termine, a tornare sulla propria decisione e quindi a togliere intempestive l’uso della cosa data in prestito al comodatario è di ostacolo non solo il dovere che si è costruito tra le parti (officium[10]), ma anche l’obbligazione sorta (suscepta obligatio) con il negozio di comodato, assunta con il dare e il ricevere.
Prosegue Paolo fissando una sorta di spiegazione rispetto a quanto appena affermato: infatti, precisa il giurista severiano, il negozio viene gestito nell’interesse reciproco delle parti e perciò sono state proposte reciproche azioni, di modo che sia chiaro che ciò che in origine era esclusivamente un beneficio, affidato alla nuda voluntas, si converte in reciproche prestazioni e in azioni civili. Una fase iniziale, che potremmo definire ‘unilaterale’, lascia spazio, raggiunto l’accordo delle parti, alla ‘bilateralità’ del rapporto giuridico.
Il frammento, prescindendo da dubbi di manipolazione che come vedremo non toccano la parte che a noi interessa[11], credo che, contrariamente ad un indirizzo rimasto isolato e risalente al Pastori[12] non ponga un discrimine tra due epoche, una originaria di rilevanza esclusivamente sociale e una successiva più recente di rilievo giuridico dell’istituto, bensì tra la fase antecedente e quella successiva alla conclusione del contratto di comodato, conclusione che sembrerebbe seguire alla traditio della res. Secondo il quadro tratteggiato da Paolo, ad una fase ‘precontrattuale’, fondata esclusivamente sull’officium, segue, con la stipulazione del contratto, la fase ‘contrattuale’, segnata appunto dal sorgere delle rispettive obbligazioni delle parti.
Quindi, il giurista sta evidenziando i due momenti dell’iter di formazione del comodato[13]: in un primo momento, nel comodato come in qualsiasi altro negozio giuridico[14], vi è la fase delle trattative, all’interno della quale le parti sono libere di porre in essere o meno l’accordo. Nel comodato, la libertà si esplicita in relazione al comodante, che è colui che concede il beneficium all’altra parte: egli è libero di concedere in prestito un proprio bene ad un altro soggetto, dipendendo tale sua decisione dalla volontà e in ossequio, semmai, in questa fase, all’officium, ossia a quella sfera dei doveri che governano ad esempio i rapporti con i parenti, con gli amici o anche con i vicini di casa[15].
Si può già rilevare, pertanto, come la fase antecedente la stipulazione del contratto di comodato venga ricondotta dal giurista all’iniziativa del comodante, al quale spetta non solo la scelta se concedere o meno il beneficium che si realizza con il prestito d’uso, ma anche stabilire la disciplina di tale prestito. Infatti, si noti come Paolo ricollega il modum finemque praescribere al concedente[16]: la specificazione del termine di durata[17], finis del contratto, e del suo modus, cioè delle modalità di utilizzo della res commodata, implicante necessariamente l’individuazione dello scopo, elementi determinanti al fine di modellare l’eventuale responsabilità del comodatario, il quale violi le modalità di utilizzo della res, stabilite in contratto o desumibili dalla natura della stessa, ovvero restituisca in ritardo o non restituisca, una volta scaduto il termine, il bene ricevuto in prestito[18].
La matrice filosofica della riflessione paolina è stata messa in luce dalla dottrina più recente[19], la quale ha rilevato come nel passo in questione il giurista tenda, sulla scorta di spunti di matrice senechiana[20] e ciceroniana[21], a contrapporre due coppie di termini, ossia voluntas/officium e necessitas/obligatio: ad un momento che possiamo definire pre-negoziale, in cui trova posto la voluntas basata esclusivamente sull’officium, subentra, una volta che si realizza il commodare (postquam commodavit) la necessitas basata sull’obligatio, la quale non si sostituisce ma si aggiunge all’officium, divenendone però elemento determinante, facendo sorgere lo strumento processuale, ossia la coercibilità, laddove prima della conclusione del contratto vi era solamente la doverosità.
Credo, tuttavia, che il dato essenziale ravvisato da Paolo stia non tanto nella circostanza che “la prospettiva dell’operazione giuridica (commodare; obligatio; negotium) incrocia quella della dimensione etica (officium; beneficium)”[22], quanto nella struttura e nella natura del negotium di comodato che il giurista individua partendo dal dato etico-solidaristico dell’officium, per superarlo quindi nella costruzione matura dell’operazione contrattuale.
In definitiva, emerge la circostanza secondo la quale Paolo, in un frammento in cui, come evidenziato, la dottrina più recente tende a ravvisare una sostanziale genuinità[23], voglia individuare il passaggio dalla sfera ‘precontrattuale’ a quella ‘contrattuale’ e segna questo passaggio alla luce non tanto della traditio della res in sé[24], contrassegnata dalla corrispondenza del dare del comodante e dell’accipere del comodatario (inter dandum accipiendumque)[25]; quanto piuttosto sulla base del complessivo commodare che si caratterizza per la consegna del bene, ma anche e soprattutto sulla base dell’accordo che le parti stringono sugli elementi contrattuali. In questa ottica, l’iniziativa appartiene alla sfera del comodante, sulla cui voluntas si basa il sorgere del meccanismo pre-contrattuale il quale, ove si stringa l’accordo con la controparte, condurrà alla nascita del contratto e quindi al sorgere delle reciproche prestazioni e delle actiones civiles[26], le quali presidiano il rapporto giuridico, caratterizzandolo per la sua coercibilità basata sulla obligatio.
- Le mutuae praestationes di Paolo e la bilateralità del comodato
Premessi, quindi, i rilievi evidenziati circa il contenuto del passo paolino, si può rilevare innanzitutto come il giurista utilizzi reiteratamente l’avverbio invicem: il carattere di reciprocità che caratterizza sia “la produzione degli effetti dell’affare o del negozio in capo ad entrambe le parti”[27], sia, per l’effetto, il sorgere di azioni in capo ad entrambe le parti, ponendosi a tutela del comodante e del comodatario.
Come si può notare, il giurista – una volta superata la fase del momento delle trattative, venuto perciò in essere il contratto (negotium), sulla base dell’accordo delle parti, cristallizzatosi nella realità, contrassegnata dalla consegna della res (inter dandum accipiendumque) – passa ad esaminare l’aspetto, cronologicamente successivo (postquam commodavit), dell’operazione giuridica sorta: partendo dal dato della reciprocità degli interessi in capo alle parti del negozio giuridico (geritur enim negotium invicem), Paolo evidenzia, ponendo ciò in una conseguenzialità di effetti (ideo), che reciproche sono le prestazioni (mutuas praestationes) e reciproche quindi le azioni a tutela delle due posizioni giuridiche (invicem propositae sunt actiones; mutuas actionesque civiles).
I termini utilizzati da Paolo non sembrano porre problemi di genuinità quanto al riferimento alle praestationes e alle actiones civiles[28], mentre maggiormente dubbio appare in dottrina il richiamo insistito da parte del giurista alla reciprocità[29].
Credo, tuttavia, che proprio la presenza del sostantivo al plurale ‘praestationes’, qualificato come ‘mutuas’ da Paolo, non possa essere stato oggetto di un rimaneggiamento successivo, laddove si dovrebbe ipotizzare l’inserimento dell’intero periodo, pena l’insensatezza di un richiamo ad una singola prestazione, essendo tutto il discorso paolino legato al sorgere di effetti giuridici in capo ad entrambe le parti del contratto di comodato, e ciò – si noti – indipendentemente dall’utilizzo, insiticio o meno, dell’avverbio ‘invicem’, utilizzato due volte, e dell’aggettivo ‘mutuas’.
La presenza al plurale di praestationes[30] a carico delle parti tecnicamente comporta – costituendo la prestazione un dovere di comportamento del debitore, quale elemento essenziale dell’obligatio – che sia in capo al comodante sia in capo al comodatario si situano delle posizioni giuridiche debitorie, che comportano pertanto una obbligazione a carico di ciascuna delle parti. Non solo, ma nel senso della reciprocità, oltre che della pluralità delle prestazioni, induce l’aggettivazione utilizzata dal giurista (‘mutuas’), la quale indica appunto, utilizzata in questo contesto in relazione alle prestazioni del comodante e del comodatario, il loro carattere ‘reciproco’, ‘scambievole’, ‘vicendevole’, che si pongono, cioè, su un piano di parità e di reciprocità[31].
Si tratta di uno snodo fondamentale: Paolo afferma che in capo ad ognuna delle parti del contratto di comodato si pone una obbligazione, ciascuna tutelata da azioni civili[32], poste reciprocamente a tutela delle rispettive posizioni giuridiche. Quindi, nell’ottica giurisprudenziale classica appare esclusa l’unilateralità del comodato, essendone invece esplicitamente affermata la bilateralità.
- Il contenuto negativo dell’obligatio gravante sul comodante
Occorre a questo punto domandarsi in cosa consista l’obligatio posta a carico del comodante, quale ne sia in altre parole il contenuto, al quale Paolo allude con il termine praestatio.
Se volgiamo nuovamente lo sguardo al frammento in discussione, Paolo afferma che, una volta concluso il contratto con la consegna, atteso che il comodante è destinatario di una obligatio, su di lui incombe il divieto di intempestive usum commodatae rei auferre: il comodante non può più decidere di privare il comodatario della res commodata, laddove ciò avvenga ‘intempestive’.
L’avverbio restituisce il significato dell’obbligazione addossata sul comodante: quest’ultimo, spiega il giurista, non può decidere di riprendersi il bene concesso in prestito in modo intempestivo, inopportuno. Si tratta di un criterio non tecnico, sfuggente nei suoi contenuti, che però è da ritenere vada posto in relazione con l’uso cui è destinata la cosa, alle modalità alle quali alludeva il giurista poco prima allorché parlava di modum commodati finemque da fissare convenzionalmente.
Quindi, una volta concluso il contratto con la conventio, suggellata dalla consegna della res, le parti, su iniziativa del comodante, come suggerisce Paolo allorché ascrive a lui soltanto la decisione sulla disciplina degli elementi fondamentali del contratto, addivengono a fissare il termine di durata e le modalità di utilizzo del bene concesso in prestito, criteri direttivi del comodato, che servono a fissare il contenuto delle due praestationes e quindi per l’effetto la disciplina della responsabilità posta rispettivamente a carico delle parti.
Così argomentando, è facile evincere come il contenuto della prestazione a carico del comodante appaia denotarsi per un contenuto meramente negativo, consistendo l’obbligazione nel divieto di richiedere il bene prima che scada il termine o prima che il comodatario abbia concluso l’utilizzo convenuto.
In questo senso sembra indirizzare lo stesso Paolo:
D. 13.6.17.3 (Paul. 29 ad ed.): Igitur si pugillares mihi commodasti, ut debitor mihi caveret, non recte facies importune repetendo: nam si negasses, vel emissem vel testes adhibuissem. Idemque est, si ad fulciendam insulam tigna commodasti, deinde protraxisti aut etiam sciens vitiosa commodaveris: adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet.
Il giurista, dopo aver esplicitato nella prima parte del paragrafo 3 il principio generale, dopo aver comparato la situazione del comodato con quella della negotiorum gestio e del mandatum, passa all’esemplificazione: si afferma che se tu mi avrai dato in comodato delle tavolette affinché un debitore mi documentasse un debito e poi tu te le sia ripreso importune, non avrai agito correttamente, in quanto io, se tu me le avessi negate fin dall’inizio, avrei potuto comprarle o avrei potuto avvalermi di testimoni.
Dopo ulteriore esemplificazione, relativa alle travi per edificio, Paolo chiude con l’affermazione di una regula che appare possedere carattere generale: il comodato deve recare un beneficium e non indurre in inganno.
Dal frammento emergono alcune linee direttrici in materia di contenuto della prestazione a carico del comodante: tempo[33] e scopo vengono posti in evidenza come cardini essenziali del prestito d’uso, l’uno in connessione con l’altro. Infatti, la fissazione del termine viene operata dalle parti in rapporto stretto con il tipo di uso cui viene destinata la cosa[34], scopo che a sua volta si rapporta al termine di durata stabilito convenzionalmente dai contraenti.
In altre parole, termine di durata e scopo del prestito d’uso vengono fissati dalle parti in stretta connessione tra di loro, rappresentando sintesi ed espressione del programma negoziale e quindi elementi determinanti del profilo causale, il quale ultimo serve da ‘regolatore’ dell’obbligazione ricadente sul comodante che, una volta concluso il contratto e concesso il bene, non potrà più decidere di riprenderselo ‘intempestive’ o ‘importune’, secondo le due espressioni paoline.
I due avverbi testimoniano l’elasticità con la quale la giurisprudenza interpreta il divieto per il comodante di richiedere indietro: il termine si correla al tipo di uso in vista del quale la cosa è stata prestata, con l’effetto che incorre in responsabilità, con conseguente obbligo risarcitorio[35], il comodante che decida unilateralmente, in violazione dell’accordo negoziale, di richiedere la res commodata prima che il comodatario abbia potuto utilizzarla per lo scopo cui era destinata.
Paolo, quindi, chiarisce che, coerentemente con quanto prima affermato circa l’esistenza di mutue prestazioni a carico di entrambe le parti, e correlativamente di azioni a presidio di esse, sul comodante incombe una obbligazione, apparentemente di esclusivo contenuto negativo, che tuttavia non appare consistere in quella individuata tradizionalmente, ossia nell’obbligo di risarcire i danni subiti dal comodatario o le spese da lui sopportate in relazione al bene, bensì in una obligatio principale consistente nel non richiedere anticipatamente indietro la res messa a disposizione del comodatario, prima che il comodatario abbia concluso l’uso contrattualmente stabilito: la presenza di tale obligatio, coerente con la funzione assegnata al commodatum di recare un vantaggio a colui che riceve in prestito il bene (‘adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet’)[36], trova la sua sanzione[37] tramite la previsione, espressamente contemplata da Paolo, del iudicium contrarium (‘ex quibus causis etiam contrarium iudicium utile esse dicendum est’)[38].
Ad ogni modo, occorre notare come la esemplificazione illustrata da Paolo verta, in un primo gruppo, su ipotesi in cui viene in rilievo il petere ante tempus: viene sanzionato, cioè, il comportamento del comodante che richiede il bene prestato al comodatario prima che il termine scada o prima che il comodatario abbia tratto dalla cosa il vantaggio cristallizzato nella conventio contrattuale. Quindi, l’obbligazione gravante sul comodante sembra configurarsi come un pati, un obbligo giuridico di astenersi dal turbare l’utilizzo della res da parte del comodatario.
Si tratta di un dato pacifico nella giurisprudenza classica, rimontante già a Giuliano, come testimoniato dal seguente noto passo ulpianeo:
D. 13.6.5.8 (Ulp. 28 ad ed.): Quin immo et qui alias re commodata utitur, non solum commodati, verum furti quoque tenetur, ut Iulianus libro undecimo digestorum scripsit. Denique ait, si tibi codicem commodavero et in eo chirographum debitorem tuum cavere feceris egoque hoc interlevero, si quidem ad hoc tibi commodavero, ut caveretur tibi in eo, teneri me tibi contrario iudicio: si minus neque me certiorasti ibi chirographum esse scriptum, etiam teneris mihi, inquit, commodati: immo, ait, etiam furti, quoniam aliter re commodata usus es, quemadmodum qui equo, inquit, vel vestimento aliter quam commodatum est utitur, furti tenetur.
Ulpiano rammenta l’opinione di Giuliano[39], il quale afferma che in un caso di comodato di un codex, laddove il comodatario l’abbia utilizzato conformemente allo scopo determinato contrattualmente, e in ossequio a ciò abbia ivi fatto scrivere la promessa di un suo debitore, la condotta del comodante che cancelli tale promessa costituirebbe violazione dell’obbligazione gravante su di lui, tale da legittimare l’utilizzo dell’actio contraria.
Il frammento è particolarmente importante: Ulpiano afferma, sulla scorta dell’insegnamento giulianeo, che determinante nel contratto di comodato è lo scopo contrattualizzato dalle parti. Pertanto, se il comodatario utilizza la cosa concessa in prestito violando tale accordo, egli risponde sia con l’azione contrattuale sia con quella da furto. Se, invece, il comodatario rispetta l’uso pattuito nel contratto, e il comodante viceversa glielo impedisce, recandogli molestia tramite la cancellazione, come nell’esempio riportato, del nome riportato nel codex, allora sarà il comodante a rispondere contrattualmente con l’actio commodati contraria, che appare pertanto autonoma, come precisato anche da Paolo in D. 13.6.17.1[40], rispetto all’esperimento dell’azione principale.
Le testimonianze ulpianea e paolina, sulla scia di un precedente già risalente a Salvio Giuliano, convergono su un punto: sul comodante incombe un’obbligazione non eventuale, come quella di rimborso delle spese e di risarcimento del danno, ma un’obbligazione principale che ha come contenuto quello di non recare turbativa o molestia al comodatario nel godimento secondo l’uso contrattualizzato della res data in prestito[41].
- Il comodante e l’obbligazione positiva di garantire l’utilitas della res concessa in prestito
Finora la nostra ricerca sembra essere pervenuta a riconoscere che sul comodante grava una obbligazione, non eventuale, ma principale, avente contenuto negativo e volta a impedire al comodante di impedire o molestare l’utilizzo del bene da parte del comodatario.
Occorre, tuttavia, compiere un ulteriore approfondimento e chiedersi se possa configurarsi a carico del comodante un obbligo, non esclusivamente con un contenuto negativo, ma anche di carattere positivo.
Si tratta di un punto oggetto di dibattito anche nella civilistica italiana moderna[42].
Invero, si tratta di comprendere se l’obbligazione del comodante si esaurisca nell’astenersi dal recare turbativa al godimento della cosa da parte del comodatario, ovvero se possano individuarsi ulteriori contenuti, tali da ampliare lo spettro dei doveri giuridici incombenti sul comodante e ottenibili tramite l’esperimento dell’actio commodati contraria, grazie alla sua versatilità recata dalla formula ex fide bona[43].
Una testimonianza fondamentale ce la fornisce Paolo, quando afferma nel già riportato D. 13.6.17.3: Idemque est, si ad fulciendam insulam tigna commodasti, deinde protraxisti aut etiam sciens vitiosa commodaveris: adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet. Ex quibus causis etiam contrarium iudicium utile esse dicendum est.
Il giurista afferma, dopo aver insistito sulla proibizione per il comodante dal chiedere ante tempus la res – nel caso in oggetto le travi per puntellare un casamento – che analoga responsabilità incombe sul proprietario, nell’ipotesi in cui abbia dato in prestito delle travi difettose, consapevole di tale difetto.
Si tratta di una ipotesi che apparentemente sembra distanziarsi da quelle considerate prima dal giurista: a tal proposito una dottrina più risalente ha ritenuto questa parte del frammento interpolata[44] sia per ragioni di forma, con riferimento all’utilizzo del tempo ‘commodaveris’ rispetto al ‘commodasti’ utilizzato richiamandosi agli esempi precedenti; sia per ragioni di sostanza, tenuto conto che Paolo cambia angolo visuale, non richiamando più esempi di anticipata richiesta di restituzione del bene da parte del comodante, bensì utilizzando un’ipotesi di consegna di res viziata.
Ora, se i rilievi formali possono essere superati, sulla scorta delle osservazioni di recente dottrina[45] correttamente fondati sulla circostanza della posteriorità della scoperta dei vizi da parte del comodatario rispetto alla consegna, dovendo trattarsi di vizi noti al comodante (sciens) ma ignoti alla controparte, permangono, viceversa, dei dubbi circa il rapporto di questa fattispecie con quelle che la precedono nel discorso paolino[46]. Tali dubbi attengono alla circostanza che la dottrina tende sostanzialmente a ricostruire la posizione del comodante come priva di un’obbligazione a suo carico[47], utilizzandosi l’ambigua formula, coniata dai moderni ma estranea alle fonti, del ‘contratto bilaterale imperfetto’, che sostanzialmente contiene in sé un contratto unilaterale, che tale rimane anche laddove si evidenzia la sussistenza di un’obbligazione negativa a carico del comodante intesa come proibizione di richiedere anticipatamente la cosa data in prestito[48].
Se si parte da questo punto di vista, l’ipotesi della res viziata consegnata dal comodante e fonte di responsabilità a suo carico appare eccentrica rispetto all’obbligazione su di lui ricadente.
Credo, tuttavia, che si possa adottare una diversa chiave di lettura.
Paolo, in realtà, ha chiaro che il peso dell’obbligazione ricadente sul comodante non si limita al divieto di richiedere anticipatamente la cosa, prima cioè che scada il termine, ovvero il comodatario tragga il vantaggio convenuto. Il giurista, in altre parole, afferma espressamente che il perimetro di detta obbligazione appare più ampio, coerentemente con quanto era già stato affermato da Gaio:
D. 13.6.18.3 (Gai. 9 ad ed. prov.): Item qui sciens vasa vitiosa commodavit, si ibi infusum vinum vel oleum corruptum effusumve est, condemnandus eo nomine est.
Il giurista, dopo aver esaminato, nel principium e nel § 1, la materia della responsabilità del comodatario, vagliando le diverse ipotesi di comportamento tenuto dal comodatario, anche alla luce del criterio del diverso interesse dei contraenti, già nel § 2 è passato ad approfondire l’ipotesi inversa della responsabilità del comodante, nell’ottica dell’esercizio dell’actio contraria.
Se nel § 2, intraprendendo il percorso delle iustae causae di azione da parte del comodatario, il giurista tuttavia si era fermato alle ipotesi delle spese sopportate da colui che utilizza il bene in seguito ad eventi straordinari subiti dalla res commodata, come nei casi della malattia[49] o della fuga del servo, ora Gaio sottolinea che ‘item’, ‘allo stesso modo’, il comodante dovrà rispondere nei confronti del comodatario che abbia esperito il iudicium contrarium, qualora il primo abbia consapevolmente dato in comodato al secondo dei vasi difettosi, se il vino o l’olio in essi contenuto si sia guastato o disperso, subendo pertanto la condanna.
Si tratta di un’ipotesi analoga a quella paolina, laddove a venire in considerazione nell’esemplificazione è il caso non dei vasa, ma dei tigna vitiosa: diverso l’oggetto, ma analoga l’ipotesi di consegna di un bene che, in quanto recante un difetto, un’imperfezione, un guasto o un’irregolarità, appare inidoneo a essere utilizzato dal comodatario per lo scopo contrattualizzato. In tal senso, non credo che il discorso condotto sia frutto di “un voluto allargamento di orizzonte contenutistico da parte dello stesso Paolo, diretto ad accomunare ipotesi nelle quali il comodatario subisce un danno e ha, perciò, il diritto ad ottenere il risarcimento attraverso iudicium contrarium”[50].
Semmai, si può rilevare come Paolo, proseguendo un discorso già avviato da Gaio in materia di contenuto dell’obbligazione gravante sul comodante, estenda il ‘fuoco’ del discorso, non limitando la portata della responsabilità esclusivamente alle ipotesi in cui il vizio del bene comodato rechi un danno al ricevente, come espressamente affermato in D. 13.6.18.3; ma facendo riferimento alla consegna di beni che, in quanto viziati, a prescindere da un eventuale danno materiale arrecato al comodatario, come la dispersione del vino o dell’olio, comunque generano un danno per quest’ultimo nella misura in cui non può trarre dal bene medesimo il vantaggio in vista del quale il contratto è stato stipulato, così violando quello che poco prima nel frammento Paolo ha definito il ‘modus commodati’.
Così argomentando, l’esempio portato da Paolo non appare eccentrico, ma perfettamente coerente con il discorso dallo stesso giurista avviato in materia di scopo e durata del contratto: con la consegna del bene, giuridicizzato il rapporto tra le parti – prima basato su rapporti parentali, amicali o comunque di benevolenza – entrambe divengono vincolate da obblighi giuridici. In particolare, il comodatario, come confermato da Ulpiano in D. 13.6.5.8, non può utilizzare il bene preso in prestito per un fine diverso da quello contrattualizzato, pena la responsabilità – non solo per furto – ma anche contrattuale con l’actio commodati contraria[51].
Il dato innovativo espresso da Paolo, tuttavia, sta nell’affermazione della posizione debitoria del comodante: specificamente, se già Gaio individua la responsabilità del comodante per i danni subiti dal comodatario a causa dei vizi della res, Paolo e Ulpiano interpretano estensivamente tale responsabilità, nella misura in cui impongono al primo di rispondere nei confronti del secondo, definendo così il perimetro, in sé assai mobile, dell’actio commodati contraria, facendovi rientrare anche il fine di tutelare l’interesse del comodatario all’utilizzo della res fino alla completa attuazione dello scopo concordato nel programma contrattuale dalle parti.
Va evidenziato che, in particolare, Paolo partendo dal presupposto della comunanza di interesse delle parti[52], sulla base del cui assetto si modella la disciplina del contratto di comodato, legando la responsabilità del comodante alla violazione dell’usus pattuito, analogamente a quanto affermato da Ulpiano a proposito della cancellazione della promessa del debitore, scritta sul codex concesso in comodato, compie un ulteriore passaggio gravido di conseguenze. Infatti, nel frammento si afferma che dal comodato il comodatario deve trarre una utilità e non ricevere un inganno (adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet. Ex quibus causis etiam contrarium iudicium utile esse dicendum est).
Ora, l’operazione interpretativa effettuata da Paolo appare rilevante: sul comodante non incombe soltanto l’obbligazione negativa di non richiedere indietro la cosa ante tempus e di non turbare il godimento della stessa da parte del comodatario. A ben vedere, l’affermazione dell’utilitas, che il comodante deve garantire alla controparte, come emerge implicitamente dal discorso paolino, sembra configurare un’obbligazione gravante sul comodante e avente un contenuto positivo, cioè costruita sul comportamento dovuto dal concedente e finalizzato non solo a consegnare un bene idoneo all’uso pattuito, ma anche a mantenerlo in uno stato tale da consentire al comodatario di trarne il vantaggio pattuito, fino alla scadenza del contratto[53].
- Considerazioni conclusive: la natura di cor-rispettività delle obbligazioni poste a carico delle parti del contratto di comodato
Si tratta di un risultato che andrà approfondito maggiormente.
Tuttavia, va comunque evidenziato come dall’interpretazione di D. 13.6.17.3 il comodato venga tratteggiato da Paolo come negozio basato sulla reciprocità dell’accordo, reciprocità che si sostanzia nella condivisione dell’interesse che muove entrambe le parti alla stipulazione: la bilateralità sfocia in prestazioni reciproche (‘mutuas praestationes’), quindi in obbligazioni ricadenti su entrambe le parti, con l’effetto di far sorgere azioni a tutela di tutti e due i soggetti del negozio (‘actiones civiles’).
In un quadro giuridico così portato a maturazione, e che perdurerà sostanzialmente immutato sino ai giorni nostri, l’actio contraria si configura come ‘strumento di chiusura’ del sistema: essa, difatti, serve a dare concreta attuazione processuale alla bilateralità del commodatum, trasformandolo, sul fondamento del ravvisato elemento della comunanza di interesse delle parti, da contratto primitivamente unilaterale a contratto sinallagmatico, quale ormai appare nel maturo studio della giurisprudenza della tarda epoca classica, nel contesto della quale le obbligazioni scaturenti dal contratto di comodato si pongono, su di un piano paritario, a carico di ambedue le parti, simmetricamente finalizzate a realizzare l’interesse comune delle parti stesse[54] (‘geritur enim negotium invicem’), nella misura in cui all’obbligazione del comodatario, di utilizzare il bene per il raggiungimento dell’utilitas convenzionalmente pattuita, conformemente all’uso fissato in contratto, fa riscontro l’obbligazione gravante sul comodante e avente per contenuto quello di consentire alla controparte il raggiungimento della medesima utilitas.
Abstract: The research deals with the complex issue of the juridical na-ture of the loan agreement, starting from the consolidated doctrine of its character as imperfect bilateral contract. Through a remedia-tion of passage contained in D. 13.6.17.3, an attempt will be made to see if there is room for a different reconstruction of the loan, in-terpreted by prudentes as a bilateral contract, which sees obliga-tions imposed also on the commander, having which content is that of guaranteeing utilitas of the res granted on loan, thus ending up recognizing a correspondence in the obligations imposed on both parties.
Key words: commodatum; loan; imperfect bilateral contract; utilitas.
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Per lo stato della dottrina mi permetto di rinviare in generale a A. Milazzo, Il contratto di comodato. Modelli romani e disciplina moderna, Torino 2018. Per la diffusione nella manualistica della definizione del comodato quale contratto bilaterale imperfetto v. ex pluribus V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, 14a ed., Napoli 2012, rist. anast., 313; M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, p. 547; G. Pugliese, Istituzioni di diritto romano, Torino 2012, p. 321; A. Burdese, Manuale di diritto privato romano, 4a ed., Torino 1994, p. 424; M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, 3 ed., Palermo 2006, p. 445. Più di recente mettono ancora in rilievo la circostanza che nessuna obbligazione graverebbe sul comodante (ad eccezione di quella avente ad oggetto il rimborso e il risarcimento) A. Lovato – S. Puliatti – L. Solidoro Maruotti, Diritto privato romano, Torino 2014, pp. 495 ss. Dubitativo, invece, il giudizio di A. Guarino, Diritto privato romano, 12a ed., Napoli 2001, p. 869.
[2] Appare significativa, nella manualistica di diritto privato italiano, la posizione di F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 18a ed., Napoli 2017, p. 1155: “Il contratto è unilaterale, con obbligazioni, cioè, a carico di una sola parte. Parte della dottrina ravvisa tale obbligazione nell’obbligo di restituire la cosa, posto a carico del comodatario ma in realtà il vero obbligo sembra quello del comodante di non pretendere capricciosamente la restituzione anticipata della cosa e di lasciarla quindi godere al comodatario”.
[3] Sostengono l’unilateralità del contratto di comodato A. Facchiano, Unilateralità del comodato, in Giur. Compl. Cass. Civ., 3 (1952), p. 352; M. Fragali, Del comodato, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1962, pp. 356 ss.; F. Mastropaolo, Il comodato, in I singoli contratti. Vol.VII. I contratti reali, in R. Sacco, Trattato di diritto civile, Torino 1999, pp. 652 ss.; N. Cipriani, Il comodato, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, dir. P. Perlingieri, vol. IV, 18, Napoli 2005, pp. 142 ss. Se appare maggiormente seguita la tesi dell’obbligazione posta invece a carico del comodatario, non mancano autori i quali sostengono consistere l’unilateralità nella sola obbligazione a carico del comodante: cfr. E. Brunori, Del comodato, in Commentario del codice civile, a cura di M. D’Amelio – E. Finzi, Firenze 1949, pp. 4 ss.; F. Carresi, Il comodato. Il mutuo, in Trattato di diritto civile italiano, 2a ed., vol. VIII, diretto da F. Vassalli, Torino 1954, pp. 18 ss.
[4] Per un primo approccio alla problematica qui affrontata cfr. A. Milazzo, Il contratto di comodato, cit., soprattutto pp. 171 ss.
[5] Su questo frammento v. C. Ferrini, Storia e teoria del contratto di commodato, in Archivio Giuridico, (1894), pp. 197 ss.; F. Pastori, Il commodato nel diritto romano. Contributo alla storia della responsabilità contrattuale, Milano 1954, pp. 32 ss. e passim; G. Scherillo, Comodato (Diritto romano) (voce), in Enciclopedia del Diritto, vol. VII, Milano 1960, p. 981; C. A. Maschi, La categoria dei contratti reali. Corso di diritto romano, Milano 1973, p. 306 s.; J. Michel, Gratuité en droit romain, Bruxelles, 1962, pp. 594 ss.; J. Paricio, La pretendida fórmula in ius del comodato en el Edicto pretorio, in RIDA., 29 (1982), p. 241; P. Cerami, Il comodato, in J. Paricio (a cura di), Derecho romano de obligaciones. Homenaje a J. L. Murga Gener, Madrid 1994 (= Il comodato nella storia dell’esperienza giuridica: dal diritto classico ai diritti moderni, in AUPA. 43 [1995]), pp. 287 ss.; A. Mantello, Un’etica per il giurista? Profili d’interpretazione giurisprudenziale nel primo Principato, in AA.VV. Per la storia del pensiero giuridico romano. Da Augusto agli Antonini (Atti del seminario di San Marino, 12-14 gennaio 1995), Torino 1996, p. 163 s.; Id., Etica e mercato tra filosofia e giurisprudenza, in F. Milazzo (a cura di), Affari, Finanza e diritto nei primi due secoli dell’impero, ACOP., Milano 2012, p. 75; G. Falcone, “Obligatio est iuris vinculum”, Torino 2003, pp. 177 ss.; T. Rundel, Mandatum zwischen utilitas und amicitia. Perspektiven zur Mandatarhaftung im klassischen romischen Recht, Munster 2005, pp. 189 ss.; G. Finazzi, Amicitia e doveri giuridici, in A. Corbino - M. Humbert - G. Negri ( a cura di), Homo, caput, persona. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza romana, Pavia 2010, pp. 738 ss.; L. Garofalo, Gratuità e responsabilità contrattuale, in L. Garofalo (a cura di), Scambio e gratuità. Confini e contenuti dell’area contrattuale, Padova 2011, pp. 394 ss. Va appena rilevato che l’excerptum paolino è stato esaminato anche in relazione al profilo più generale del beneficium e dell’etica dei rapporti. Possono in proposito essere ricordate le parole di J. Michel, Gratuité en droit romain, cit., p. 595: “Il n’y a rien à ajouter à cette dernière phrase qui résume admirablement à la fois l’étique des services d'amis et le régime des contrats gratuits dans le droit: “il convient qu’un acte de complaisance nous vienne en aide; il ne convient pas qu’il nous trompe (dans notre attente)” (lo studioso si riferisce, riportandone la traduzione in francese, alla frase di Paolo ‘adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet’).
[6] Di esso si sono occupati da ultimo, con ampi approfondimenti, G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3 (officium, beneficium, commodare), in AUPA., 59 (2016), pp. 241 ss.; Id., La definizione di obligatio tra diritto e morale. Appunti didattici, Torino 2017, pp. 143 ss.; E. Sciandrello, Ricerche in tema di ‘iudicia contraria’, Napoli 2017, pp. 108 ss.
[7] Cfr., con diversità di accenti, G. Provera, Una riforma giustinianea in tema di “iudicia contraria”, in Studi S. Solazzi, Napoli 1948, p. 350.
[8] Si legga quanto afferma G. Scherillo, Comodato (Diritto romano) (voce), cit., p. 981 nt. 2: “Erra pertanto Paolo (in Dig. 13, 6, 17, 3) quando sembra profilare il comodato come un vero e proprio contratto bilaterale o sinallagmatico (“et ideo… invicem propositae sunt actiones”)”.
[9] In tal senso v. G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 244; Id., La definizione di obligatio tra diritto e morale, cit., p. 144 nt. 199.
[10] Sulle accezioni di officium v. Æ. Forcellini, Lexicon totius latinitatis III, Patavii 1805, s.v. officium,p. 254. Cfr altresì L. Castiglioni - S. Mariotti, Vocabolario della lingua latina, 4a ed., Torino 2007, s.v. officium. V. anche K. E. Georges - F. Calonghi, Dizionario enciclopedico della lingua latina4, Torino 2002, s.v. officium; G. Campanini - G. Carboni, Il dizionario della lingua e della civiltà latina, Torino 2007, s.v. officium.
[11] Nella letteratura più risalente cfr. A. Pernice, Parerga, in ZSS., 9 (1888), 225 nt. 5; Id., Parerga, in ZSS., 20 (1899), p. 142 nt. 1; G. Beseler, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, vol. III, Tübingen 1913, p. 86; G. Segrè, Sulle formole relative alla negotiorum gestio e sull’editto e il iudicium de operis libertorum, in Studi L. Moriani, vol. II, Torino 1906, p. 297; Id., Studi sul concetto del negozio giuridico nel diritto romano e nel nuovo diritto germanico, in Scritti giuridici, vol. I, Cortona 1930, p. 258 nt. 1; Id., Sull’età dei giudizi di buona fede cit., p. 74 nt. 22. Ampi ragguagli sulla questione dell’interpolazione delle varie parti del frammento e sulla letteratura in materia in G. Finazzi, Ricerche in tema di negotiorum gestio,II.2, Obbligazioni gravanti sul gestore e sul gerito e responsabilità, Cassino 2006, pp. 41 ss.
[12] F. Pastori, Il commodato, cit., p. 32 s.
[13] Come mette in rilievo anche U. Santarelli, Comodato nel diritto medievale e moderno (voce), in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, 4a ed., vol. III, Torino 1988, p. 34, il quale afferma che nel frammento in questione si segna “entro un sistema obbligatorio già costituito, il momento nel quale l’atto di liberalità assume i connotati del negotium invicem gestum ed il rigore della suscepta obligatio”.
[14] Evidenzia tale dato anche F. Pastori, Il commodato, cit., p. 33.
[15] Cfr. la riflessione sull’utilizzo di tale sostantivo che compie Paolo – ben due volte nello stesso frammento – da parte di G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., soprattutto pp. 247 ss.
[16] In tali termini P. Cerami, Il comodato cit., 288.
[17] Parla di ‘profilo durativo del programma negoziale’ nel caso del comodato reciproco contemplato nel frammento in esame R. Fercia, Il fieri della fattispecie contrattuale sine nomine e l’evizione dell’ob rem datum, in http://Diritto@storia 12 (2014) p. 73.
[18] Approfondimenti sui requisiti disciplinari del commodatum in A. Milazzo, Il contratto di comodato, cit., pp. 182 ss.
[19] Cfr. D. Nörr, Ethik und Recht im Widerstreit? Bemerkungen zu Paul. (29 ad ed.) D. 13, 6, 17, 3, in Ars boni et aequi. Festschrift für Wolfang Waldstein, Stuttgart 1993, pp. 267 ss.; Id., Römisches Recht: Geschichte und Geschichten. Der Fall Arescusa et alii (Dig. 19.1.43 sq.), in Bayerische Akademie der Wissenschaften (Stzb. Jhrg. 2005 Hft. 1), München 2005, passim. Ma v. già sul tema del rapporto etica-diritto A. Mantello, Un’etica per il giurista? Profili d’interpretazione giurisprudenziale nel primo Principato, cit., p. 75. Riesame della questione con spunti interessanti in G. Falcone, Obligatio est iuris vinculum, cit., 177 ss. Id., A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3 (officium, beneficium, commodare), cit., pp. 247 ss.
[20] Sen. de ben. 5.19.8.
[21] Cic. de off. 2.84: Tabulae vero novae quid habent argumenti, nisi ut emas mea pecunia fundum, eum tu habeas, ego non habeam pecuniam? Quam ob rem ne sit aes alienum, quod rei publicae noceat, providendum est, quod multis rationibus caveri potest, non, si fuerit, ut locupletes suum perdant, debitores lucrentur alienum. Nec enim ulla res vehementius rem publicam continet quam fides, quae esse nulla potest, nisi erit necessaria solutio rerum creditarum. Numquam vehementius actum est quam me consule ne solveretur. Armis et castris temptata res est ab omni genere hominum et ordine; quibus ita restiti, ut hoc totum malum de re publica tolleretur. Numquam nec maius aes alienum fuit nec melius nec facilius dissolutum est; fraudandi enim spe sublata solvendi necessitas consecuta est. At vero hic nunc victor tum quidem victus, quae cogitarat, cum ipsius intererat, tum ea perfecit, cum eius iam nihil interesset. Tanta in eo peccandi libido fuit, ut hoc ipsum eum delectaret peccare, etiam si causa non esset.
[22] Così G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 243.
[23] Cfr. F. Pastori, Il commodato, cit., p. 90 e nt. 63; P. Cerami, Il comodato, cit., p. 288; D. Nörr, Ethik und Recht im Widerstreit?,cit., pp. 268 ss.; G. Falcone, Obligatio est iuris vinculum,cit., p. 178 nt. 465; G. Finazzi, Amicitia e doveri giuridici, cit., p. 732 nt. 548. Non appaiono convincenti, viceversa, i dubbi manifestati in proposito da J. Paricio, La pretendida fórmula in ius del comodato en el Edicto pretorio, cit., p. 241 s.
[24] Così P. Cerami, Il comodato, cit., p. 288.
[25] Espressione della cui genuinità non vi è motivo di dubitare: cfr. i rilievi di G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 244.
[26] Sostiene persuasivamente G. Finazzi (Amicitia e doveri giuridici,cit., p. 732) che “con ogni probabilità, nella connessione in esame, la qualifica di civiles descrive le actiones commodati in ius, diretta e contraria, in contrapposizione a quella pretoria, solo diretta, e la delimitazione al versante dell’actio in ius dipende dal fatto che la trattazione concerneva gli obblighi del comodante”. Ciò confermerebbe la tesi da me già sostenuta (A. Milazzo, Il contratto di comodato. Modelli romani e disciplina moderna, cit., pp. 140 ss.) secondo la quale i giuristi dell’età classica avrebbero avuto presente solo la formula in ius dell’actio commodati principalis e contraria. Diversa prospettiva in G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 245 nt. 13.
[27] Così G. Finazzi, Amicitia e doveri giuridici,cit., p. 731.
[28] V. in proposito G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 245.
[29] V. per tutti P. Cerami, Il comodato, cit., p. 300: “il comodato come contratto bilaterale, cioè come contratto dal quale scaturiscono obbligazioni per entrambe le parti, pur se non reciproche”. Lo studioso aggiunge poco più avanti: “Ritengo, invece, che i compilatori si siano limitati ad interpretare la bilateralità, di cui parlava Paolo, in corrispettività delle prestazioni” (ibid. 317 nt. 111). Si vedano da ultimo, in senso contrario, le osservazioni di G. Finazzi, Amicitia e doveri giuridici,cit., p. 732 nt. 548: “Numerosi dubbi sono stati avanzati in dottrina circa la genuinità dell’insistito riferimento alla bilateralità degli effetti e alle azioni contrapposte, che sarebbe poco compatibile con la natura sostanzialmente unilaterale di quei contratti per i quali la dottrina moderna parla di bilateralità imperfetta (…). Va osservato, nel senso della genuinità, che a giustificare l’accentuazione della bilateralità era verisimilmente l’esigenza di dare un fondamento all’azione contraria’.
[30] Termine che peraltro ricorre in Paolo anche in D. 10.3.1 (Paul. 23 ad ed.): Communi dividundo iudicium ideo necessarium fuit, quod pro socio actio magis ad personales invicem praestationes pertinet quam ad communium rerum divisionem. denique cessat communi dividundo iudicium, si res communis non sit; e in 19.4.1. pr. (Paul. 32 ad ed. ): Sicut aliud est vendere, aliud emere, alius emptor, alius venditor, ita pretium aliud, aliud merx. at in permutatione discerni non potest, uter emptor vel uter venditor sit, multumque differunt praestationes. Emptor enim, nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligare possessionem tradere et purgari dolo malo, itaque, si evicta res non sit, nihil debet: in permutatione vero si utrumque pretium est, utriusque rem fieri oportet, si merx, neutrius. sed cum debeat et res et pretium esse, non potest permutatio emptio venditio esse, quoniam non potest inveniri, quid eorum merx et quid pretium sit, nec ratio patitur, ut una eademque res et veneat et pretium sit emptionis.
[31] Cfr. æ. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, vol. III, cit., voce mutuus, p. 139, che tra i significati annovera pure quello di ‘pariter respondens’. Cfr altresì L. Castiglioni - S. Mariotti, Vocabolario della lingua latina4, Torino 2007, voce mutuus. V. anche K. E. Georges - F. Calonghi, Dizionario enciclopedico della lingua latina, 4 ed., Torino 2002, voce mutuus; G. Campanini - G. Carboni, Il dizionario della lingua e della civiltà latina, Torino 2007, voce mutuus.
[32] Il riferimento alle actiones civiles, come sopra notavamo (nt. 24), sembra indicare le azioni civili, non onorarie, che, una volta scomparsa l’actio commodati in factum principalis, tutelavano le obbligazioni poste rispettivamente a carico delle parti.
[33] Contra G. Cicogna, Ancora sull’uso nel commodato, in BIDR., 19 (1907), p. 254, laddove afferma che vi potevano essere, all’interno del comodato, “altre determinazioni, estranee al fine o all’uso, come il tempo”, così evidenziando rispetto al tempo non soltanto la sua accidentalità, ma anche la sua sconnessione rispetto all’uso.
[34] È da ritenere che la fissazione del tipo di uso non vada intesa in senso troppo rigoroso, essendo necessario, come espresso in dottrina (P. Cerami, Il comodato, cit., p. 308), che l’uso non sia “mai generico ed indeterminato, sibbene circoscritto ad uno scopo prefisso o, comunque, determinabile in base alla funzione economico-sociale della cosa contemplata nella convenzione negoziale”.
[35] Così C. A. Maschi, La categoria, cit., p. 196.
[36] Questo passaggio del frammento paolino non desta particolari perplessità: il giurista sottolinea il dato di fatto del vantaggio materiale che il comodato arreca al comodatario, di modo che – soggiunge Paolo – tale contratto deve giovargli e non creargli un inganno. Ciò può servire a spiegare l’assenza di discussioni in dottrina sulla genuinità del passaggio in questione: cfr. per tutti F. Pastori, Il commodato, cit., p. 388. Da ultimo ne ribadisce la natura non insiticia G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3 cit., p. 247 nt. 19.
[37] Sul punto v. P. Cerami, Il comodato, cit., p. 317.
[38] Discussa è la presenza di ‘etiam’, il quale sembrerebbe alludere alla presenza di un ulteriore strumento processuale a disposizione del comodatario e che Paolo avrebbe originariamente menzionato. Nell’ottica di un rifacimento postclassico del testo v. F. Schwarz, Die Konträrklagen, in ZSS. 71 (1954), p. 130, il quale ha ipotizzato che il testo, anteriormente al rimaneggiamento, avrebbe contenuto la menzione, prima di quella del iudicium contrarium, della denegatio actionis. Dal canto suo, G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 247, ipotizza che Paolo avrebbe menzionato la retentio, precisando che “l’omissione, in ogni caso, potrebbe forse esser stata determinata, più che da una svista di un amanuense, da una voluta semplificazione da parte dei compilatori, di un discorso che aveva come direttrice tematica principale la presenza di actiones”. Critica tale ipotesi di lavoro E. Sciandrello, Ricerche in tema di ‘iudicia contraria’, cit., p. 113, il quale pensa che potrebbe ritenersi sottintesa la compensazione.
[39] Cfr. P. Cerami, Il comodato, cit., p. 317: “Le direttive ermeneutiche che stanno a base del brano paolino trovano conferma in un fr. di Ulpiano, nel quale si cita un parere di Salvio Giuliano, che può essere considerato, con ogni verosimiglianza, come la matrice storica di un indirizzo di politica del diritto consolidatosi nel corso dell’età dei Severi”.
[40] D. 13.6.17.1 (Paul. 29 ad ed.): Contraria commodati actio etiam sine principali moveri potest, sicut et ceterae quae dicuntur contrariae. Su di esso v. J. Partsch, Studien zur Negotiorum Gestio, vol. I, Heidelberg 1913, p. 48 nt. 1; G. Segrè, Sulla denominazione di actio confessoria, in Mélanges Girard, vol. II, Paris 1912, p. 590 nt. 5; G. Provera, Contributi alla teoria dei iudicia contraria, Torino 1951, p. 12 nt. 10; E. Sciandrello, Ricerche in tema di ‘iudicia contraria’, cit., p. 114 ss.
[41] Cfr., su un analogo ordine di idee, P. Cerami, Il comodato, cit., p. 318.
[42] Cfr. per tutti A. Galasso, Il Comodato, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni e continuato da P. Schlesinger, Milano 2004, pp. 176 ss., e ivi ampia letteratura.
[43] Credo che il frammento paolino riportato in D. 13.6.17.1-3 lasci intravvedere la possibilità di una formula in ius per l’actio commodati contraria, configurata da Paolo come azione contrattuale autonoma rispetto a quella principale e con uno spettro di contenuti, come stiamo anche per vedere, particolarmente ampio. Sul tema, complesso, rimando alle meditazioni da ultimo formulate da E. Sciandrello, Ricerche in tema di ‘iudicia contraria’, cit., pp. 93 ss.
[44] Cfr. Schwarz, Die Konträrklagen, cit., p. 130; G. Provera, Contributi alla teoria dei iudicia contraria, cit., p. 105 s.
[45] V. G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 246 s.
[46] Afferma che “l’autonomia della fattispecie solleva, in effetti, qualche perplessità” G. Falcone, A proposito di Paul. 29 ad ed. – D. 13.6.17.3,cit., p. 247.
[47] In tal senso esplicito A. Guarino, Diritto privato romano, 12a ed., cit., p. 869: “Nessuna obbligazione sorgeva, dal commodatum, in quanto tale, a carico del comodante, il quale poteva revocare a suo arbitrio la concessione…Tuttavia, p
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