Sui poteri giurisdizionali del praefectus annonae in età del principato
Mariangela Ravizza
Ricercatrice di diritto romano e diritti dell’antichità
Università di Firenze
Sui poteri giurisdizionali del praefectus annonae in età del principato*
English title: About the jurisdictional powers of the praefectus annonae at the age of the principality
DOI: 10.26350/004084_000074
Sommario: 1. Una breve premessa; 2. Provvedimenti imperiali; 3. Cura dei trasporti e privilegi dei navicularii; 4. Giurisdizione del praefectus annonae; 5.Dardanariato; 6. Conclusioni
- Una breve premessa
Problemi relativi all’approvvigionamento alimentare si posero in Roma, con una gravità sempre crescente, sin dall’inizio dell’età repubblicana. La cura dell’annona, affidata originariamente agli edili, si rivelò ben presto inadeguata di fronte ai tentativi di frode, sempre più frequenti, di accaparratori che in periodi di carestia[1]occultavano grandi quantitativi di grano per poi immetterli sul mercato a prezzi molto elevati[2]. Il fatto che gli aediles non potessero incidere nei confronti degli illeciti compiuti fuori Roma e non potessero comminare misure punitive che non fossero solo multaticie[3], pose l’esigenza di un intervento di riforma volto adaffrontare in modo risolutivo i problemi legati al vettovagliamento dell’Urbe. Nel 57 a.C., pertanto, venne conferito a Pompeo, un incarico quinquennale per la cura annonae[4]e, qualche anno più tardi, venne affidata agli aediles caeriales, istituiti da Cesare, la cura del grano. Tuttavia, anche tali provvedimenti, per quanto indubbiamente efficaci nell’immediato, non furono in grado di risolvere in modo definitivo i problemi annonari. Nel 22 a.C., infatti, in concomitanza con nuove carestie, furono poste in atto, ancora una volta, condotte criminose che si rivelarono sempre più radicate e con risvolti catastrofici dal punto di vista economico. Ciò indusse Augusto a intervenire nel tentativo di riformare in modo definitivo il servizio dell’approvvigionamento alimentare dell’Urbe. Era sempre più evidente che una città cresciuta enormemente da un punto di vista demografico non potesse più far fronte ai numerosi problemi in materia annonaria con provvedimenti occasionali, emanati in situazioni contingenti e come tali non risolutivi.
- Provvedimenti imperiali
Avvertendo dunque la necessità di una politica economica più definita, che non si basasse sulle iniziative dei privati, ma sull’intervento diretto dello stato, Augusto ritenne opportuno procedere ad una vasta riorganizzazione dei servizi pubblici. Assunse pertanto la cura annonae[5]e la delegò a due curatores frumenti dandi[6], nominati ex senatusconsulto, lasciando invece la cura della distribuzione del grano per i cittadini romani agli aediles caeriales, già introdotti da Cesare[7], ai quali, a seguito di una successiva carestia, aggiunse, come ulteriore supporto, due consulares[8].
Ma un provvedimento molto più efficace del principe fu quello del 18 a.C. quando, incidendo in modo significativo sul liberismo economico[9], emanò la lex Iulia de annona con cui si punivano, tramite un’apposita quaestio[10] e con una consistente pena pecuniaria[11], tutte quelle azioni a danno dell’approvvigionamento alimentare che provocassero o favorissero un rialzo del prezzo o quei comportamenti che bloccassero o ritardassero la partenza di una nave diretta a Roma e carica di derrate[12]: tese a ostacolare il trasporto, e quindi il normale andamento delle consegne alimentari, tali condotte danneggiavano pesantemente le attività annonarie destabilizzando l’intera economia romana. Il reato previsto e disciplinato dalla lex Iulia riguardava, inoltre, non solo colui che, singolarmente, alterasse le consuete regole del mercato, ma anche ogni tipo di societas che avesse lo scopo di incidere negativamente sui prezzi, frodando il sistema annonario[13]:
D. 48.12.2. pr. (Ulp. de off. proc.): Lege Julia de annona poena statuitur adversus eum, qui contra annonam fecerit societatemve coierit, quo annona carior fiat.
L’esigenza di un organo permanente che si occupasse con costanza e competenza delle questioni annonarie, ormai sempre più complesse, fu soddisfatta, probabilmente nell’8 d.C., con l’istituzione del praefectusannonae, funzionario di rango equestre[14], nominato dal principe a tempo determinato[15] e alle sue strette dipendenze. Per poter affrontare con la massima efficienza le questioni annonarie, era necessaria anche la collaborazione di ulteriori soggetti, come un subpraefectus[16] e un procurator annonae[17], anch’essi funzionari appartenenti a un apparato burocratico sempre più complesso e articolato che esigeva un personale stabile e specializzato.
Assicurare i servizi essenziali per l’approvvigionamento di Roma significava, per il praefectus annonae, controllare che l’afflusso delle derrate avvenisse sempre con puntualità, curare che la distribuzione venisse effettuata a prezzi equi[18], agevolare il più possibile i trasporti e assicurare una corretta conservazione del grano una volta che fosse arrivato a destinazione. Quest’ultima incombenza vide un’efficace soluzione con Traiano che prese l’iniziativa di predisporre ampi horrea nei quali riporre notevoli quantitativi di grano, la cui conservazione, peraltro, richiedeva l’osservanza di regole precise per evitare che l’umidità generasse muffe e decomposizione del frumento[19].
Nel loro insieme, le competenze del prefetto non erano semplici e presupponevano il continuo controllo della regolarità dei contratti tra lo stato e i negotiatores frumentarii e i mercatores, addetti all’acquisto del frumento, e tra lo stato e i navicularii[20], armatori di piccole e grosse navi, la cui attività di navigazione veniva sospesa all’inizio dell’inverno per poi riprendere a primavera, entrando nella c.d. stagione di «mare clausum»[21].
- Cura dei trasporti e privilegi dei navicularii
Sicuramente uno dei problemi principali che si poneva al prefetto era quello dei trasporti che si rivelavano eccessivamente costosi e con un alto indice di rischio sia per le variabili condizioni climatiche sia per l’incursione dei pirati, imprevisti che rendevano la navigazione fortemente pericolosa e aleatoria. Tale questione si inseriva in un quadro sempre più complesso dal punto di vista dell’organizzazione annonaria, così da far assumere maggior consapevolezza di come si rendessenon solo opportuna ma necessaria una collaborazione sempre più stretta tra lo stato e i navicularii, categoria che appariva preziosa per un funzionamento del sistema annonario che fosse sempre attivo ed efficiente. I sistemi escogitati nel corso del tempo dagli imperatori al fine di incrementare e incoraggiare la loro attività, furono individuati soprattutto nella concessione di privilegi[22]: ai latini, che avessero trasportato grano a Roma per un periodo di sei anni o che avessero costruito una nave di capienza tale da contenere almeno diecimila moggi di grano, Claudio concedeva con un editto la cittadinanza romana[23], così come incoraggiava le traversate invernali attribuendo allo stato le perdite che eventualmente avessero subito i negotiatores[24]. L’imperatore Tiberio decise, invece, che, qualora in periodi di carestia avesse dovuto imporre ai negozianti un prezzo del grano inferiore a quello di mercato, si sarebbe fatto carico lui stesso della differenza[25].
Tuttavia, al fine di godere dei numerosi benefici, erano sempre più numerosi coloro che si professavano navicularii senza essere effettivamente tali; ciò spinse gli imperatori a subordinare tali concessioni a delle verifiche: Adriano promise di elargire immunità, tramite rescritto, ai possessori di navi a condizione che queste fossero effettivamente impiegate per servizi annonari[26].
Tale sorta di cooperazione sempre più stretta che si veniva a instaurare tra lo stato e i navicularii-mercatores ha insinuato in qualche studioso[27] il dubbio, mi pare legittimo, che la lex Iulia de annona, pur ponendo sicuramente un freno all’attività degli accaparratori, non avesse poi inferto quel duro colpo al libero commercio come invece da altri sostenuto[28].
Gli imperatori si attivarono anche per rendere più agevole, soprattutto in periodi di carestia, l’importazione di derrate alimentari che poteva risultare difficoltosa qualora fosse dovuta avvenire in città non portuali, considerando quanto fosse costoso il trasporto terrestre[29]. La costruzione di nuovi porti e il consolidamento di quelli esistenti rappresentarono, quindi, ulteriori valide iniziative per intensificare i traffici con Roma: il porto di Ostia, ideato da Claudio[30] e inaugurato sotto Nerone, permise che il grano potesse sbarcare, anziché al porto di Pozzuoli, direttamente nelle vicinanze dell’Urbe, evitando così la percorrenza della lunga via Appia[31].
- Giurisdizione del praefectus annonae
Una corretta ed efficace gestione dell’approvvigionamento a Roma da parte del praefectus annonae richiedeva sicuramente sia un’oculata amministrazione del denaro pubblico destinato all’acquisto del frumento, sia la competenza necessaria per affrontare e risolvere questioni organizzative e di strategia dei trasporti. Ma non solo. Occorreva anche la possibilità di disporre di poteri giurisdizionali che consentissero, da un lato, di giudicare su controversie relative al commercio o al trasporto del grano e, dall’altro, che garantissero l’esecuzione e il rispetto delle misure assunte in materia annonaria. Su quest’ultimo punto, la dottrina non sempre si è mostrata concorde. A studiosi dalle opinioni “estremiste”, secondo i quali il funzionario imperiale aveva solo competenze amministrative[32], si contrappongono coloro che, al contrario, riconoscono imprescindibili funzioni giudiziarie anche in ambito criminale[33] e, infine, quelli che, con maggiore e forse eccessiva cautela, concordano nel ritenere che il prefetto avesse funzioni giudiziarie ma limitatamente al settore civile[34]. Incominciamo da queste ultime.
Note testimonianze forniscono in proposito utili indizi:
Paul. (l.Idecr.) D.14.5.8: Titianus Primus praeposuerat servum mutuis pecuniis dandis et pignoribus accipiendis: is servus etiam negotiatoribus hordei solebat pro emptore suscipere debitum et solvere. cum fugisset servus et is, cui delegatus fuerat dare pretium hordei, conveniret dominum nomine institoris, negabat eo nomine se conveniri posse, quia non in eam rem praepositus fuisset. cum autem et alia quaedam gessisse et horrea conduxisse et multis solvisse idem servus probaretur, praefectus annonae contra dominum dederat sententiam. Dicebamus quasi fideiussionem esse videri, cum pro alio solveret debitum, non pro aliis suscipit debitum: non solere autem ex ea causa in dominum dari actionem nec videtur hoc dominum mandasse. Sed quia videbatur in omnibus eum suo nomine substituisse, sententiam conservavit imperator.
Tiziano Primo prepone uno schiavo per dare denaro a mutuo e ricevere pegni. Il servus-institor, tuttavia, che è solito estendere la propria attività ad altri affari, nel caso specifico stipula con un venditore una compravendita di cereali, assumendo il debito del prezzo al posto del compratore. Datosi poi alla fuga, il creditore chiama in giudizio il padrone in qualità di preponente dello schiavo, intentando contro di lui l’actioinstitoria dinanzi alla giurisdizione del praefectus annonae, il quale condanna il dominus al pagamento. Quest’ultimo nega qualunque responsabilità perché l’attività svolta dallo schiavo esula dalla praepositio e muove appello all’imperatore contro la decisione del prefetto[35]. La giustificazione del dominus non viene accolta e il princeps conferma la sentenza del funzionario[36].
È evidente che, stando a una rigida applicazione dei principi pretorii, il provvedimento del praefectus annonae apparirebbe iniquo perché l’attività posta in essere dal servus esorbita effettivamente dai limiti dell‘ incarico affidatogli[37], ma la motivazione posta alla base della decisione del prefetto, e confermata dall’imperatore, si fonda sul carattere abituale dell’attività dello schiavo perché, come specifica Paolo nel frammento, “era stato provato che egli avesse già concluso altri affari, preso in conduzione magazzini, pagato a molti” e che quindi il padrone fosse solito farsi sostituire in tutto (in omnibus) dal servus.
Prima di addentrarci in ulteriori considerazioni, prendiamo in esame un’altra testimonianza relativa a un intervento del praefectus annonae in ambito, questa volta, di commercio marittimo:
Ulp. D.14.1.1.18: Sed ex contrario exercenti navem adversus eos, qui cum magistro contraxerunt, actio non pollicetur, quia non eodem auxilio indigebat, sed aut ex locato cum magistro, si mercede operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest. Solent plane praefecti propter ministerium annonae, item in provinciis praesides provinciarum extra ordinem eos iuvare ex contractu magistrorum.
Nel passo, inserito dai compilatori all’interno del titolo relativo all’actioexercitoria, Ulpiano ci informa che i prefetti dell’annona e i presidi delle province erano soliti tutelare extra ordinem gli exercitores per i contratti conclusi dal magister navis e ciò a differenza di quanto facesse in tali circostanza il pretore il quale (nell’editto) non prometteva l’actioexercitoria all’armatore: quest’ultimo, tuttavia, si sarebbe potuto avvalere dell’actio locati o dell’actiomandati a seconda che il comandante della nave avesse prestato la propria opera dietro compenso o gratuitamente[38]. Questa prassi del prefetto, così diversa da quella pretoria, ha indotto parte della dottrina a ritenere che il passo sia stato rimaneggiato dai compilatori[39]. È indubbio, com’è stato osservato[40], che esso sia “stilisticamente poco corretto”, ma non per questo necessariamente interpolato: la differenza di disciplina trova la sua giustificazione, probabilmente, in una serie di accorgimenti giuridici apportati dal prefetto, così come prima veniva fatto dal pretore, e perfettamente consentiti in un processo cognitorio che, essendo extra ordinem, permetteva di operare con discrezionalità, senza la stretta osservanza delle regole legislative tradizionali[41].
Ulpiano ci offre una testimonianza inequivocabile non solo sulla competenza giudiziaria del praefectus annonae e dei presidi di provincia, volta a tutelare extra ordinem gli exercitores per i contratti conclusi per loro conto dai magistri navium, ma anche, così come fa Paolo nel passo precedente, di un modus operandi del prefetto molto più libero e indipendente di quello imposto dagli schemi prestabiliti del processo formulare. In un procedimento davanti al pretore, infatti, in presenza della medesima fattispecie descritta nel passo paolino, il preponente non avrebbe mai potuto essere considerato responsabile per le attività compiute dal servus che fossero andate al di là di quanto stabilito nella praepositio, a meno che non fossero state connesse o funzionali a quelle negoziali previste. Quest’ultima ipotesi non rientra certamente nel caso dello schiavo citato dal giurista severiano, in quanto il servus, come ipotizzava Riccobono[42], molto probabilmente era stato inizialmente preposto all’esercizio di una banca, ma aveva trovato poi conveniente fare il commerciante di granaglie: a questo scopo aveva preso in affitto dei magazzini dove i clienti di campagna depositavano i cereali che egli poi vendeva ai commercianti di città. In tutto questo non è dunque ravvisabile alcun nesso con l’attività che gli era stata richiesta e cioè l’erogazione di mutui garantiti da pegni[43].
Nella seconda fattispecie, il prefetto veniva ad agire in modo del tutto difforme da quanto avrebbe fatto il pretore, adottando rimedi giuridici che, in base al vecchio ordinamento, non sarebbero mai stati applicati nel medesimo contesto.
Dobbiamo pensare allora che i provvedimenti presi abbiano rappresentato delle “decisioni arbitrarie, sovversive dell’ordine giuridico, imposte dal dispotismo imperiale”?[44] Ciò può essere escluso con assoluta certezza. Si è trattato, più verosimilmente, di soluzioni più al passo con i tempi, maggiormente rispondenti ad una realtà che aveva assistito a un notevole sviluppo del diritto commerciale e che esigeva, di conseguenza, una maggiore tutela dei terzi[45]. Nel caso specifico dianzi esaminato, ciò doveva comportare inevitabilmente un maggiore aggravio della responsabilità del dominus che era tenuto quindi a rispondere non solo delle attività legate strettamente alla praepositio, ma di tutti quei possibili negozi che l’institor avrebbepotuto compiere nell’esercizio della sua attività. Ciò era possibile perché ci si trovava ormai in presenza di un processo cognitorio in cui l’organo giudicante godeva di un potere discrezionale molto più ampio di quello del iudex del processo formulare. Era stato questo a consentire, nel passo di Paolo prima esaminato, di poter rigettare la domanda di Tiziano Primo, del tutto legittima in linea di principio, ma non più al passo con i tempi e con le mutate esigenze commerciali; una prassi ancora troppo legata al tecnicismo e alla rigidità del vecchio ordinamento[46]. Tale contrasto tra vecchio e nuovo è nitidamente posto in luce, da un lato, dalle parole di Paolo che tentano di far rientrare il comportamento del servo in un’ipotesi di fideiussione salvando così i principi del diritto pretorio, dall’altro, dalla sentenza del praefectus annonae, confermata dall’imperatore, espressione di un “diritto in movimento”[47], proiettato ad accogliere principi, forme e norme del tutto nuove e prive di formalismo[48].
Se la competenza giurisdizionale civile del praefectusannonae è riconosciuta quasi unanimemente in dottrina, non altrettanto può dirsi per quella criminale. Sicuramente le funzioni amministrative del funzionario sono preponderanti sulle altre e non c’è alcuna fonte che parli espressamente di una sua competenza penale, ma alcuni testi contengono comunque indizi preziosi in suo favore:
D. 48.2.13 Marc.: Mulierem propter publicam utilitatem ad annonam pertinentem audiri a praefecto annonae deferentem divus Severus et Antoninus rescripserunt. famosi quoque accusantes sine ulla dubitatione admittuntur. milites quoque qui causa alienas deferre non possunt, qui pro pace excubant, vel magis ad hanc accusationem admittendi sunt. servi quoque deferentes audiuntur.
Il passo riporta il contenuto di un rescritto di Settimio Severo e Antonino Caracalla con cui gli imperatori attribuivano legittimità processuale, in materia annonaria, a una serie di persone che di solito ne erano prive[49]. Il motivo di questa eccezione è da rinvenire nell’utilitas publica, fattore evidentemente di maggior rilievo rispetto all’osservanza dei principi generali, ai quali la cognitio extraordinem, ancora una volta, consentiva di derogare. Si riteneva opportuno che tutti i cittadini, e anche coloro ai quali di solito non era riconosciuto il ius delationis come mulieres, servi, milites e famosi, potessero accusare dinanzi ad praefectus annonae o fornire informazioni utili qualora fossero venuti a conoscenza di fatti in grado di nuocere al vettovagliamento dell’Urbe[50]. Il processo cognitorio, con cui si venne a perseguire il reato d’annona, poteva essere promosso infatti anche da un accusatore, così come precedentemente avveniva nei processi instaurati davanti alla relativa quaestio, istituita – ricordiamo - dalla lex Iulia di Augusto.
Esaminiamo ora un altro testo anch’esso sicuramente significativo ai fini della competenza giudiziaria criminale del praefectus annonae:
Pap. Iust. D. 48.12.3.pr.: Imperatores Antoninus et Verus Augusti in haec verba rescripserunt:ʿMinime aequum est decuriones civibus suis frumentum vilius quam annona exigit vendere᾽. 1. Idem scripserunt ius non esse ordini cuiusque civitatis pretium grani quod invenitur statuere. item in haec verba rescripserunt: ʿEtsi non solent hoc genus nuntiationis mulieres exercere, tamen quia demonstraturam te quae ad utilitatem annonae pertinent polliceris, praefectum annonae docere potes᾽
In base a un rescritto di Marco Aurelio e Lucio Veronon era concesso ai decurioni di poter vendere il grano ad un prezzo inferiore a quello di mercato[51]. Gli imperatori stabilirono inoltre che, sebbene le donne non avessero il ius nunciationis, potevano eccezionalmente denunciare fatti per l’utilità dell’annona, purché dimostrassero che avevano agito per tale scopo[52].
Viene quindi ribadito l’interesse primario delle questioni riguardanti l’approvvigionamento e ciò giustifica ancora una volta la possibilità riconosciuta alle mulieres di portare a conoscenza dell’autorità competente fatti a loro noti su questioni di derrate alimentari: si deroga, quindi, nuovamente, ai principi ordinari per poter favorire il maggior numero di denunce su reati e abusi in materia annonaria. In assenza di un corpo di polizia organizzato a livello centrale, diventava di primaria importanza l’opera del privato che, con le sue delazioni, consentisse all’organo competente di venire a conoscenza e di reprimere una serie di abusi[53]. È evidente, peraltro, che l’ampio potere di controllo e direzione sull’approvvigionamento a Roma attribuito al praefectus annonae poteva essere svolto in maniera adeguata e soddisfacente solo se supportato da un corrispondente potere giurisdizionale tale da consentirgli di reprimere i reati nelle materie di sua competenza.
- Dardanariato
Una reato su cui si dovette costantemente vigilare fu il dardanariato[54], un illecito che si verificava a Roma con preoccupante frequenza. Con questo termine si faceva riferimento a un’attività dalle finalità ingannevoli che, pur presente già nel corso dell’età repubblicana, solo nei primi anni dell’impero arrivò a configurare un vero e proprio crimen. Strettamente connesso alla lex Iulia de annona, ma inserito da Ulpiano nell’ottavo libro del de officio proconsulis come reato autonomo, il dardanariato comprendeva molteplici ipotesi di manovre fraudolente come l’incetta di beni a fini speculativi o il loro occultamento al fine di provocare un aumento dei prezzi o ancora la soppressione delle merci[55]. Lo stesso giurista severiano ci informa che, in presenza di una situazione difficilmente gestibile, furono gli imperatori a rivolgersi, tramite mandata e costituzioni imperiali, ai governatori provinciali inducendoli a vigilare e a punire l’aviditas dei negozianti e dei grandi latifondisti (locupletiores), restii a vendere rispettivamente le merci e i loro prodotti a prezzo equo in attesa di farlo in periodi meno produttivi:
Ulp. D. 47.11.6. pr.: Annonam ademptare et vexare vel maxime dardanarii solent: quorum avaritiae obviam itum est tam mandatis quam constitutionibus. mandatis denique ita cavetur: ‛Praeterea debebis custodire, ne dardanarii ullius mercis sint, ne aut ab his, qui coemptas merces supprimunt, aut a locupletioribus, qui fructus suos aequis pretiis vendere nollent, dum minus uberes proventus exspectant, annona oneretur’. poena autem in hos varie statuitur: nam plerumque, si negotiantes sunt, negotiatione eis tantum interdicitur, interdum et relegari solent, humiliores ad opus publicum dari.
Ulpiano, alla fine del passo, illustra anche le pene previste per tale reato, differenziando, almeno a una prima lettura, il trattamento riservato ai negotiatores, ai quali veniva interdetta la mercatura o veniva comminata la relegatio, da quello previsto per gli humiliores, ai quali invece spettava la condanna ai lavori pubblici. Stando alla consueta dicotomia honestiores-humiliores[56], tutto farebbe supporre che i primi in questo caso coincidessero con i negotiatores. Ma, contrariamente all’ età repubblicana in cui la differenza tra negotiatores e mercatores era netta[57], indicando, i primi, i commercianti professionali, “ad alto livello” e, i secondi, i piccoli commercianti, o “i gestori di una botteguccia”[58], in età imperiale, i due termini diventarono equivalenti, tanto da comprendere sia il commercio all’ingrosso sia quello al dettaglio[59]. Precisato dunque che i negotiatores potevano essere sia humiliores che honestiores, non è semplice proporre un’interpretazione univoca del passo. Evelin Höbenreich ha proposto, pertanto, una duplice lettura, Secondo la prima, forse apparentemente più aderente al testo, Ulpiano potrebbe aver preso in considerazione, ai fini della pena, la contrapposizione fra i negotiatores, ossia gli honestiores che esercitavano un’attività commerciale, e gli humiliores: in caso di dardanariato, ai primi sarebbe stata comminata l’interdizione dal commercio, e a volte la relegatio, mentre, ai secondi, la condanna all’opus publicum. La seconda interpretazione, considerata preferibile anche dalla stessa studiosa, orienterebbe, invece, nel senso che il giurista severiano prevedesse, in generale, l’interdizione dal commercio per i negotiatores-dardanarii, e che solo nei casi in cui si ponesse la necessità di una pena più severa, venisse comminata la pena della relegatio agli honestiores e dei lavori forzati agli humiliores[60].
Proseguiamo nell’esame del passo ponendolo immediatamente a confronto con un testo paolino:
Ulp. 47.11.6.1-2: 1.Onerant annonam etiam staterae adulterinae, de quibus divus Traianus edictum proposuit, quo edicto poenam legis Corneliae in eos statuit, perinde ac si lege testamentaria, quod testamentum falsum scripsisset signasset recitasset, damnatus esset. 2. Sed et divus Hadrianus eum, qui falsas mensuras habuit, in insulam relegavit.
Paul. D. 48.19.37: In dardanarios propter falsum mensurarum modum ob utilitatem popularis annonae pro modo admissi extra ordinem vindicari placuit.
Paolo riteneva che la pesatura della merce con false misure rientrasse nella fattispecie del dardanariato, mentre Ulpiano considerava questa fattispecie, anch’essa fortemente perturbatrice dell’ordine sociale, un crimen annonae[61]. Era stata equiparata da Traiano a un reato di falso e sottoposta alla disciplina della lex Cornelia testamentaria nummaria dell’81 a.C.[62], mentre Adriano aveva stabilito per l’autore di falsaemensurae la relegatio. La gravità della pena, palesemente eccessiva rispetto all’illecito cui veniva riferita, si giustificava solo se, com’è stato osservato in dottrina[63], la contraffazione degli strumenti di misura fosse stata funzionale alla commissione di un crimine annonario.
6. Conclusioni
La praefectura annonae assunse indubbiamente un’importanza centrale nella vita economica della Roma imperiale. Augusto stesso, per primo, aveva compreso quanto la cura dell’annona fosse cruciale al fine di controllare un segmento dell’economia significativo e delicato, tanto che, prima ancora di creare un apposito funzionario in sua rappresentanza, la assunse personalmente. Questo, a mio avviso, dà il senso dell’importanza politica che la vigilanza sulle più rilevanti questioni, come i crimini annonari, aveva assunto negli anni. Il controllo dell’approvvigionamento conferiva poteri strategicamente importanti in quanto comportava, inevitabilmente, anche un controllo politico sull’intera città di Roma che il praefectus annonae, operando come delegato del princeps, e quindi in regime di cognitio extra ordinem, effettuava in piena libertà. Nell’assumere le sue decisioni, non era vincolato strettamente al ius, alle leges e a regole ormai antiquate ma, come abbiamo visto nell’ambito della giurisdizione civile, attribuiva una rilevanza non secondaria a tutti quegli “elementi economici, psicologici, etici, sociologici”[64], necessari per inquadrare la soluzione giuridica in modo più confacente all’equità.
Abstract: The figure of praefectus annonae was established, as is well known, by Augustus as a consequence of an increasingly difficult annonary situation. This essay aims to demonstrate, with the support of sources, that officials, in order to ensure proper implementation of their many measures, had a judicial, civil and criminal function, albeit limited to matters within their competence. The essay also refers to the phenomenon of “dardanariato”, which had become so worrying as to be the subject of imperial provisions, and to the growing importance of the state-navicularii relationship. Since the control of supply and the surveillance of its related crimes led to exercise control over the entire city of Rome, the function of the praefectus annonae inevitably took on also a political character.
Keywords: Praefectus annonae; navicularii; wheat; actioinstitoria; transportations;jurisdiction;honestiores-humiliores
* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Come quelle riportate in Liv. 2.34.2-5; Dion. Hal. 7.1.1 e in Liv. 4.12.7 ss; Dion. Hal. 12.1.1.
[2] Come sottolinea A. TORRENT, La cura «annonae» en «lex Irn.» 75. Un intento de explicaciòn en clave econòmica del control de los mercados, in INDEX XL (2012), p. 642, ancora in assenza di una politica economica definita, spesso i comportamenti degli speculatori durante la repubblica erano solo oggetto di riprovazione morale o tutt’al più di multe da parte degli edili.
[3] Si trattava infatti di magistrati sine imperio con giurisdizione limitata. Esempi di pene pecuniarie sono riportati in Plaut. Capt. 3.1.122, dove viene citato il caso di alcuni soggetti che, accordatisi per privare altri delle derrate, vennero minacciati di ricevere una multa; nel passo si fa riferimento a una lex barbarica che avrebbe legittimato la comminazione dell’ammenda da parte degli edili. Com’è stato opportunamente osservato da A. POLLERA, ʿAnnonam ademptare et vexare vel maxime dardanarii solent᾽. D. 47.11.6: note sulla repressione dei crimini annonari, in INDEX XIX (1991), p. 426 nt. 48, la pronuncia di multe rientra nei poteri degli edili, e non ha bisogno, pertanto, di trovare il suo fondamento in una legge, che peraltro, in materia annonaria, fu emanata per la prima volta da Augusto: A. TORRENT, La cura ʿannonae᾽ cit., p. 650. Sui poteri edilizi, v. R.A. BAUMAN, Criminal prosecutions by the aediles, in Latomus XXXIII (1974), p. 257. Liv. 38.35.5-6 fa riferimento a due episodi di multe comminate dagli edili curuli nei confronti di frumentarii.
[4] Cic. ad Att. 4.1.7.
[5] Aug. Res Gestae 5; Dio Cass. 54.1.4. La cura annonae era intimamente legata alla pratica delle frumentationes, ossia delle distribuzioni gratuite da elargire agli aventi diritto, corrispondenti, in genere, a coloro che provenivano dalla plebe.
[6] Suet. Aug. 37.In seguito presero il nome di praefecti frumenti dandi e nel 18 furono portati a quattro: Dio Cass. 54.17.1. G. CAMODECA, Le curae municipali nella regio I Campania, in M.G. CERERE (a cura di), Le curae cittadine nell’Italia romana, Atti conv. Siena 18-19 apr. 2016, Roma 2017, p. 25 e ss., sottolinea la grande rilevanza dell’attività dei curatores considerando come fosse “essenziale l’oculata amministrazione delle somme stanziate per l’acquisto del frumento e per la costituzione di adeguate scorte”.
[7] Pomp. D. 1.2.2.32. La cura del grano si distingueva dalla generica cura annonae in quanto quest’ultima, come sottolinea E. HÖBENREICH, «Negotiantes» - «Humiliores» in un testo di Ulpiano, in LABEO XLII (1996), p. 246, comprendeva anche alimenti come olio d’oliva, vino, frutta, verdura, legumi, pesce e salsa di pesce, carne e spezie.
[8] Sul tema, A. PALMA, Le ʿcuraeʾ pubbliche. Studi sulle strutture amministrative romane, Napoli 1980, p. 184.
[9] A. VISCONTI, Dardanariatus e monopolium come reati contro l’economia pubblica, in AUMA VIII (1932), p. 5.
[10] Sulla quaestio de annonae non abbiamo molte informazioni; pare certo, tuttavia, che, a differenza della lex Iulia che continuava a costituire un punto di riferimento per la disciplina in materia annonaria, essa abbia avuto breve vita.
[11] La pena prevista era di 20 aurei, corrispondenti a 20.000 sesterzi, come risulta da Ulp. D. 48.12.2.1-2: Eadem lege continetur, ne quis navem nautamve retineat aut dolo malo faciat, quo magis detineatur: et poena viginti ‛aureorum’ statuitur.
[12] Le navi provenivano soprattutto dall’ Africa, dall’ Egitto e dalla Sicilia: F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, II, Firenze 1980, p. 332. Dalla fine del I secolo d.C., l’Africa era indubbiamente la più importante fornitrice di grano: G. RICKMAN, The Corn Supply of Ancient Rome, Oxford 1980, p. 231.
[13] A. VISCONTI, Dardanariatus cit., p. 7.
[14] Dio Cass. 52.24.6. Ricopriva il terzo posto nelle cariche equestri dopo il praefectus praetorio e il praefectus Aegypti. Nel 328 d.C., però, come sottolinea H. PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, service administratif impérial, d’Auguste à Constantin, Roma 1976, p. 48 nt. 20, il praefectus annonae acquistò il titolo di clarissimus.
[15] Tale carica doveva durare dai tre ai cinque anni ma di fatto veniva rinnovata, come si evince dal caso di Caio Turranio, primo praefectus annonae, trasferito dalla prefettura egiziana, che ricoprì il suo ufficio per 34 anni: A. OLIVA, La politica granaria di Roma antica, Piacenza 1930, p. 238.
[16] Preceduto da un adiutor: cfr. P. DE FRANCISCI, Storia del diritto romano, II, (I parte), Milano 1944, p. 344.
[17] Cfr. E. LO CASCIO, L’organizzazione annonaria in S. SETTIS (a cura di), Civiltà dei Romani. La città, il territorio, l’impero, Napoli 1991, p. 240 e s.
[18] P. GARNSEY-O. VAN NIJF, Contrôle des prix du grain à Rome et dans les cités de l’empire, in La mémoire perdue, Recherches sur l’administration romaine, École française de Rome 1998, p. 303 e ss.
[19] E. LO CASCIO, Ancora sugli «Ostia’s services to Rome». Collegi e corporazioni annonarie a Ostia, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 114, n˚1, 2002, p. 326.
[20] H. PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone cit., p. 220 e ss.
[21] B.J. SIRKS, Food for Rome. The legal structure of the transportation and processing of supplies for the imperial distributions in Rome and Constantinople, in Studia Amstelodamensia ad Epigraphicam, Ius Antiquum et Papyrologicam pertinentia, Amsterdam 1991, p. 41 e ss.; E. SAINT-DENISE, Mare clausum, in REL XXV (1947), p. 106 e ss.; J. ROUGÉ, La navigation hinvernale sous l’Empire romain, in REA LIV (1952), p. 316 e ss.
[22] Call. D.50.6.6.3: Negotiatores, qui annonam urbis adiuvant, item navicularii, qui annonae urbis serviunt, immunitatem a muneribus publicis consequuntur, quamdiu in eiusmodi actu sunt. nam remuneranda pericula eorum, quin etiam exhortanda praemiis merito placuit, ut qui peregre muneribus et quidem publicis cum periculo et labore fungantur, a domesticis vexationibus et sumptibus liberentur: cum non sit alienum dicere etiam hos rei publicae causa, dum annonae urbis serviunt, abesse.
[23] Gai 1.32 c; Tit. ex c. Ulp. 3.6.
[24] Suet. Cl. 18.4; Tac. Ann. 15.39.2. In proposito, H. PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone cit., p. 218 e ss.
[25] Tac. Ann. 2.87. Anche Nerone prese provvedimenti in tal senso ed esonerò i negotiatores dal pagamento delle imposte: Tac. Ann. 13.51-2.
[26] Call. D. 50.6.6(5).5 e 8. Anche Antonino Pio, con un rescritto, avvertì che la condizione di navicularius, per colui che si fosse affermato tale, sarebbe stata sottoposta a verifica: Call. D. 50.6.6(5).9. Tali elargizioni, al tempo di Claudio, venivano fatte nei confronti di trasportatori e proprietari di navi, intesi ancora singolarmente e non come corporazioni: fu solo a partire da Traiano che assunsero quest’ultima accezione, e di conseguenza “l’amministrazione annonaria si trovò di fronte un organismo in cui la responsabilità era collettiva e condivisa”: E. LO CASCIO, Ancora sugli «Ostia’s services to Rome» cit., p. 98; F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, II, cit., p. 332. Sui privilegi v. V.J. ROUGÉ, Recherches sur la organisation du commerce maritime en Mediterranée sous l’Empire romain, Paris 1966, p. 265; P. BALDACCI, Negotiatores e mercatores frumentarii nel periodo imperiale, in RIL 101 (1967), p. 428; A. POLLERA, ʿAnnonam ademptare᾽ cit., p. 409; B. SANTALUCIA, I libri opinionum di Ulpiano, II, Milano 1971, p. 153 e ss.; F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, II, cit., p. 333; A. PALMA, L’evoluzione del naviculariato tra il I e il III sec. d.C., in AAN 86 (1975), p. 7 e ss.; A. TORRENT, La cura «annona» cit., p. 649; E. LO CASCIO, L’organizzazione annonaria cit., p. 242 e s.; ID., Ancora sugli «Ostia’s services to Rome» cit., p. 97 e s. ; G. VIARENGO, Studi sulla tutela dei minori, Torino 2015, p. 80.
[27] A. TORRENT, La cura «annona» cit., p. 649.
[28] A. POLLERA, ʿAnnonam ademptare᾽ cit.,p.410.
[29] G. CAMODECA, Le curae municipali cit., p. 25.
[30] Suet, Cl. 20.3.
[31] F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, II, cit., p. 331. Un deterrente per i pirati, e in generale un modo per fornire una maggiore sicurezza alla navigazione, fu l’installazione all’ingresso dei porti, e lungo le coste, di fari, come quelli di Alessandria, Ostia, Pozzuli, Laodicea (p. 336).
[32] A. DELL’ORO, I libri de officio nella giurisprudenza romana, Milano 1960, p. 231. Lo studioso ritiene che al praefectus annonae spettassero solo ed esclusivamente competenze amministrative, e ciò si dedurrebbe dalla duplice mancanza di un liber de officio praefecti annonae e di un titolo nel Digesto dedicato da Giustiniano a tale funzionario: ciò dimostrerebbe disinteresse da parte dei privati nei confronti di tale prefetto. A ciò si aggiunge – ad avviso di Dell’Oro - il ruolo di subordinazione che il parefectus annonae avrebbe avuto rispetto al praefectus urbi, subordinazione facilmente deducibile da Pomp. D. 1.15.3.1 relativo al praefectus vigilum: quest’ultimo, come risulta dal passo, una volta ricevuta un’informazione rispetto a un reato, avrebbe dovuto rimettere la causa al praefectus urbi; non vi sarebbe motivo – secondo lo studioso – di una diversa disciplina nei confronti del praefectus annonae (p. 247). Da qui il silenzio, e quindi l’indifferenza, dei giuristi per tale figura. Anche E. HÖBENREICH, Annona. Juristische Aspekte der stadtrömischen Lebensmittelversurgung im Prinzipat, Graz 1997, p. 58 ss., pur rilevando l’anomalia dell’assenza del liber singularis de officio praefecti annonae, propone, tuttavia, varie giustificazioni tra le quali, come sottolinea G. MAININO, Una recente indagine sui profili giuridici dell’annona, in SDHI LXVI 2000, p. 409, appare particolarmente suggestiva quella dello stretto rapporto tra imperatore e la cura annonae (assunta quest’ultima inizialmente, come ricordiamo, dallo stesso princeps e poi delegata al suo funzionario), che avrebbe portato i giuristi a tacere, per motivi di opportunità, su tale prefettura.
[33] P. DE FRANCISCI, Storia del diritto romano, II, cit., p. 344; A.A. SCHILLER, The Jurists and the Praefects of Rome, in BIDR LVII-LVIII (1953), p. 64 s.; A.H.M. JONES, The Criminal Courts of the Roman Republic and Principate, Oxford 1972, 97; M. MICELI, L’actio institoria e l’azione concessa al preponente contro i terzi che hanno negoziato con un preposto libero, in Studi per G. Nicosia, V, Milano (2007), p. 377; F. ARCARIA-O. LICANDRO, Diritto romano. I. Storia costituzionale di Roma, Torino 2014, p. 325.
[34] W. ENSSLIN, s.v. Praefectus annonae, in RE, XXII.2, Stuttgart 1954, p. 1267; G. RICKMAN, Roman Granaries and Store Buildings, Cambridge 1971, p. 310; H. PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., p. 277.
[35] Per l’appello all’imperatore contro le sentenze del praefectus annonae, v. anche Dio Cass. 52.33.1.
[36] Paolo, nel frammento, avanza l’ipotesi che si potesse trattare di fideiussione avendo, il servo, assunto il debito per un altro; in base a tale causa, non si sarebbe potuta concedere l’actio institoria. L’ipotesi di una fideiussione viene esclusa da C. SANFILIPPO, Pauli decretorum Libri Tres, Milano 1938, p. 44 che ritiene invece che si trattasse di una delegazione novatoria come risulta dal fatto che, “fuggito il servo, il creditore si fosse rivolto contro il dominus e non contro il debitore originario”. Sul testo in questione, v. anche S. RICCOBONO, Lineamenti della dottrina della rappresentanza diretta in Diritto Romano, in AUPA XIV (1930), p. 398; F. DE MARTINO, La giurisdizione nel diritto romano, Padova 1937, 335; G. HAMZA, Aspetti della rappresentanza negoziale in diritto romano, in INDEX IX, 1980, p. 208; A. PETRUCCI, Mensam exercere. Studi sull’impresa finanziaria romana (II secolo a.C. – metà del III secolo d.C.), Napoli 1991, p. 235 ss; M. MICELI, Studi sulla «rappresentanza» nel diritto romano, Milano 2008, p. 81 e ss. M. RIZZI, Imperator cognoscens decrevit. Profili econtenuti dell’attività giudiziaria imperiale in età classica, Milano 2012, p. 381 e ss.
[37] Come sottolinea C. SANFILIPPO, Pauli decretorum libri tres cit., p. 42 argomentando da Pap. D. 14.3.19.3 che conclude per l’irresponsabilità del dominus.
[38] Sul passo si vedano F. DE MARTINO, La giurisdizione cit., p. 335; G. LONGO, Actio exercitoria, actio institoria, actio quasi institoria, in Studi Scherillo, II, Milano 1972, p. 596; A. DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo manager in Roma antica, Milano 1984, p. 139 e ss.; G. HAMZA, Aspetti della rappresentza cit., p. 197 nt. 43; A. WACKE, Alle origini della rappresentanza diretta: le azioni adiettizie,in Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Prof. Gallo, II, Napoli 1997, p. 607 e ss.
[39] G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, I, Tübingen 1913, 82; F. DE MARTINO, La giurisdizione cit., p. 335; G. LONGO, Actio exercitoria, cit., p. 604 e ss.
[40] M. MICELI, L’actio institoria cit., p. 376.
[41] Cfr. G. PUGLIESE, Linee generali dell’evoluzione del diritto penale pubblico, in ANRW II.14, p. 739 e ss. e nt. 33.
[42] S. RICCOBONO, Cognitio extra ordinem. Nozione e caratteri del «ius novum», in RIDA III (1949), p. 288 e ss.
[43] Il deposito delle merci negli horrea poteva essere funzionale a vere e proprie manovre di politica commerciale. F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, II, cit., p. 336 e s., ci informa che a Roma vigeva la prassi, per chi avesse bisogno di un prestito per poter compiere una data attività, di depositare una quantità di merci in un magazzino per darla poi in pegno al creditore in cambio di un finanziamento. Tutto ciò non significa – come sottolinea lo studioso – che ci fosse una vera e propria politica commerciale di governo, ma sicuramente una grande attenzione e solerzia nell’assumere iniziative dirette ad agevolare il commercio e soprattutto a renderlo sicuro da pirati e briganti. Sugli horrea come luoghi nei quali esercitare il commercio al dettaglio, cfr. E. LO CASCIO, L’organizzazione annonaria cit., p. 244.
[44] S. RICCOBONO, Cognitio extra ordinem cit., p. 278.
[45] P. CERAMI-A. PETRUCCI, Diritto commerciale romano. Profilo storico, (3˚ ed.), Torino 2010, p. 172.
[46] M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis. Profili di continuità e di autonomia nell’esperienza giuridica-romana, Torino 2013, p. 72 nt. 155, ipotizza che il praefectus annonae e l’imperatore abbiano pronunciato una sentenza favorevole al servus-imprenditore (in quanto gestore degli affari del dominus) anche perché “con la sua attività collabora a una funzione essenziale della città, e cioè il rifornimento dei cereali”. In effetti, potrebbe essere stata non secondaria, nella decisione del prefetto e dell’imperatore, l’opportunità, determinata dall’interesse pubblico, di agevolare le importazioni a Roma di generi di prima necessità, tutelando – come sottolinea la studiosa – i negotiatores che esercitavano tale attività.
[47] S. RICCOBONO, Cognitio extra ordinem cit., p. 278 e s.
[48] Efficaci le parole di S. RICCOBONO, Cognitio extra ordinem cit., p. 285: “(La cognitio extra ordinem) dove i giudici decidono non iure et legibus, ma considerando nei singoli casi la realtà delle cose…. La decisione si trae non dal ius né dalla lex, ma dalla vita medesima, dal modo di vedere e di sentire comune, senza artifizi di norme e principi precostituiti”.
[49] Cfr. R. SCEVOLA, Utilitas publica. II.Elaborazione della giurisprudenza severiana, Padova 2012, p. 268 e ss.
[50] Una questione che emerge dal passo marcianeo è quella relativa alla contrapposizione, almeno apparente, tra i verbi deferre, riferito alle mulieres e ai servi, e accusare, riferito invece ai famosi e ai milites. Il problema non è secondario perché l’attribuire al verbo deferre il significato di “portare a conoscenza di qualcuno” fatti di cui si è al corrente, ha indotto a ritenere che il praefectus annonae avrebbe dovuto semplicemente ascoltare, raccogliere le informazioni fornite da donne e schiavi e trasmetterle all’organo competente: in tal senso D. LIEBS, Der Schutz der Privatsfäre in einer Sklavenhaltergesellschaft: Aussagen von Sklaven gegen ihre Herren nach römischen Recht, in BIDR LXXXIII (1980), p. 147. Questa semplice facoltà di “ascoltare” troverebbe conferma in Pap. D. 48.4.8 relativo alle questioni di lesa maestà, in riferimento alla congiura di Catilina: In quaestionibus laesae maiestatis etiam mulieres audiuntur. Coniurationem denique Sergii Catilinae Iulia mulier detexit et Marcum Tullium consulem indicium eius instruxit. In effetti, il testo di Macro contenuto in D. 48.2.8 (Qui accusare possunt, intellegemus, si scierimus, qui non possunt. Itaque prohibentur accusare alii propter sexum vel aetatem, ut mulier, ut pupillus…) sembrerebbe non lasciare dubbi sull’incapacità delle donne ad accusare. Ma a questo ragionamento possono opporsi alcune obiezioni. Nel corso del principato, venuta meno l’espressione nomen deferre tipica delle quaestiones, il termine usato per accusare è deferre. Infatti, come risulta da molte testimonianze, il verbo deferre ha certamente il significato di “riferire”: Cic. Pro Mil. 26; Caes. B.G. 5.25, ma anche quello più tecnico di “accusare”: Quint. Inst. 4.2.98; 12.7.3; Tac. Ann. 14.48.1; 14.41. D’altro canto, che questa sia l’interpretazione da dare al testo è comprovato dalla stessa testimonianza marcianea che ci dice che i milites, i quali di regola non possono deferre (=accusare), in materia annonaria sono eccezionalmente ammessi all’accusa. Inoltre, già prima dei Severi, erano state apportate delle deroghe al divieto dell’accusatio mulieris, che consentivano alla mulier di poter accusare nel caso in cui la vittima dell’omicidio rientrasse tra i parentes e liberi o, nel caso in cui fosse stata una liberta, tra i patroni e i suoi discendenti: Pomp. D. 48.2.1: Non est permissum mulieri publico iudicio quemquam reum facere, nisi scilicet parentium liberorumque et patroni et patronae et eorum filii filiae nepotis neptis mortem exequatur (sul passo, F. BOTTA, Legittimazione, interesse ed incapacità all’accusa nei publica iudicia, Cagliari 1996, p. 239 s.). Macro in D. 48.2.11. pr. ci informa su ulteriori eccezioni: … si suam iniuriam exequantur mortemve propinquorum defendent, ab accusatione non excluduntur. Come sembra risultare dal frammento leidense delle Pauli Sententiae 8-9: mulieres milites famosi adulti huius legis reos deferre non prohibentur, le donne sarebbero state progressivamente ammesse all’accusatio nei confronti del crimen maiestatis e, possiamo supporre, del crimen annonae (Cfr. G. PUGLIESE, Linee generali cit., p. 772; F. SERRAO, Il frammento leidense di Paolo. Problemi di diritto criminale romano, Milano 1956, p. 126). La spiegazione può attribuirsi a due diversi motivi: la salus principis nel primo, essendo l’imperatore la personificazione dello stato, e l’interesse pubblico economico nel secondo, messo continuamente a repentaglio da manovre speculative sempre più frequenti che danneggiavano non solo l’immagine del praefectus annonae ma anche quella dello stesso imperatore che, avendolo delegato alle relative funzioni, ricopriva un ruolo di garante. Esigenze, in entrambi i casi, della massima importanza (Cfr. R. SCEVOLA, Utilitas publica cit., II, p. 313 ss.). Anche per quanto riguarda i servi, il discorso è analogo: in tema di maiestas, fu ammessa la deroga al divieto di accusare i propri padroni (Mod. D. 48.4.7.2: Servi quoque deferentes audiuntur et quidem dominos suos: et liberti patronos) così come essa fu consentita anche nel caso di frode all’annona (Marc. D.48.12.1: Constitit inter servum et dominum iudicium, si annonam publicam fraudasse dicat dominum).
Su D. 48.4.8, v. P. CERAMI, «Accusatores populares», «delatores», «iudices», in INDEX 26 (1998), p. 138; C. RUSSO RUGGERI, Indices e Indicia, Contributo allo studio della collaborazione giudiziaria dei correi dissociati nell’esperienza criminale romana, Torino 2011, p. 73: secondo tali studiosi è da escludere che il verbo audiri, usato da Papiniano, potesse alludere alla pubblica accusa, potendo riferirsi solo alla collaborazione giudiziaria fornita dalle donne nella qualità di corree dissociate; diversamente M. VARVARO, «Certissima indicia». Il valore probatorio della chiamata in correità nei processi della Roma repubblicana, in AUPA LII (2007-2008), p. 392 e ss. Sul testo, v. anche L. SOLIDORO MARUOTTI, Profili storici del delitto politico, Napoli 2002, p. 34; M.F. PETRACCIA, Indices e delatores nell’antica Roma, Milano 2014, p. 98. Per quanto riguarda il potere di accusare dei milites, v. G. ZANON, Le strutture accusatorie della cognitio extra ordinem nel principato, Padova 1998, p. 33 e nt. 35. v. anche Mod. D. 48.4.7. pr.-1 e Ulp. D. 48.2.4 su cui BOTTA, Legittimazione cit., p. 246.
[51] A. TORRENT, La cura «annona» cit., p. 663, argomentando dal passo citato, ma anche da Marc. D. 50.1.8, Paul. D. 50.8.7, Ulp. D. 7.1.27.3, che riportano il divieto, imposto ai decurioni, di vendere il grano a un prezzo inferiore a quello di mercato, pone l’attenzione sulla difficoltà di individuare il giusto prezzo che, da un lato deve tener conto degli interessi dei venditori, su cui gravano i costi di produzione e di trasporto, dall’altro di quelli dei compratori che mirano ad acquistare al prezzo più basso possibile.
[52] Cfr. R. SCEVOLA, Utilitas publica, II, cit., pp. 264 e 307.
[53] B. SANTALUCIA, «Accusatio» e «inquisitio» nel processo penale romano di età imperiale, in Altri studi di diritto penale romano, Padova 2009, p. 323.
[54] L’etimologia di dardanarius è oscura. La parola è tarda e pare derivare da Dardania, regione posta a nord della Macedonia e confinante con la Mesia, da cui proveniva il grano: ERNOUT-MILLET, Dictionnaire Etymologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris 1953, p. 164, s.v. Dardanarius. La provenienza del termine da Dardano, un famoso mago che, attraverso incantesimi, distruggeva il frumento conservato nei granai - come risulterebbe da DAREMBERG - SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines, II.1, s.v. Dardanarii, Graz 1892, p. 26 - appare meno probabile.
[55] Anche il crimen stellionatus poteva trovare la sua causa nella soppressione delle merci e delle derrate, e anche per esso, nonostante la sua estraneità all’ordo iudiciorum, si poteva agire per accusationem. Le differenze tra i due crimini, tuttavia, esistevano ed erano da rinvenire non solo nello scopo, dato che il reo di stellionato nascondeva o sopprimeva la merce per danneggiare un’unica persona mentre l’autore di un crimen in danno dell’annona colpiva l’intera comunità, ma anche nel fatto che lo stellionato, prima della elaborazione dei rescritti imperiali operata dalla giurisprudenza, non era una figura criminosa tipica, ma un insieme di casi singoli che gli imperatori decidevano di far confluire, appunto, nello stellionato. Sulla pericolosità della mancanza di una tipicizzazione si veda U. ZILLETTI, ʿAnnotazioni sul crimen stellionatus᾽ in AG. XXX (1961), p. 89 e ss. Sul tema, tra gli altri, A. DELL’ORO, I libri de officio cit, p. 181 e s.; A. VISCONTI, Dardanariatus cit., p. 13; A. POLLERA, ʿAnnonam ademptare᾽ cit., p. 414; L. GAROFALO, La persecuzione dello stellionato in diritto romano, Padova 1992, p. 99; A. TORRENT, Crimen annonae y mantenimiento del orden pùblico econòmico, in S. BELLO, J.L. ZAMORA (a cura di), El derecho comercial, de Roma al derecho moderno II, Las Palmas de Gran Canaria, 2007, p. 1017 ss.; R. SCEVOLA,Utilitas publica, II, cit., p. 280 e s. e nt. 20.
[56] La bibliografia sul tema è estremamente ampia. Tra i numerosi studiosi che si sono occupati dell’argomento, F.M. DE ROBERTIS, La variazione della pena pro modo admissi, 1942 (poi in Scritti varii di diritto romano, III, Bari 1987, p. 575); G. CARDASCIA, L’apparition dans le droit des classes d’honestiores et d’humiliores, in RIDA, XXVIII, 1950, p. 324 ss.; P. GARNSEY, Social Status and Legal Privilege in the Roman Empire, Oxford 1970, p. 103 e ss.; R. RILINGER, Humiliores-Honestiores. Zue einer sozialen Dichotomie im Strafrecht der römischen Kaiserzeit, München 1988; V. MAROTTA, Multa de iure sanxit. Aspetti della politica del diritto di Antonino Pio, Milano 1988, p. 214 e ss.; M. HUMBERT, La peine en droit romain, in La peine. Première partie: antiquité (Recu
Ravizza Mariangela
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