Sui giudizi di responsabilità civile intentati contro i c.d. global carbon majors: riflessioni internazionalprivatistiche a margine della climate chan
Caterina Benini*
Sui giudizi di responsabilità civile intentati contro i c.d. global carbon majors: riflessioni internazionalprivatistiche a margine della climate change litigation**
English title: On Tort Law Proceedings Brought against Global Carbon Majors: Reflections of Private International Law upon Climate Change Litigation
DOI: 10.26350/18277942_000175
Sommario: 1. Lliuya c. RWE: caso emblematico dei giudizi di responsabilità civile intentati contro i c.d. Global Carbon Majors. - 2. La private climate change tort litigation come contenzioso strategico in cui si invoca un uso innovativo del giudizio di responsabilità civile. - 3. Il campo di applicazione materiale del regolamento (CE) n. 864/2007 (Roma II): quali azioni inerenti all’ambiente e/o al clima rientrano nella materia civile e commerciale? - 4. Implicazioni per l’ambito operativo della regola di conflitto speciale di cui all’art. 7 del regolamento Roma II: distinzione tra danno ecologico e danno antropico. - 5. Emissioni di gas ad effetto serra continuativamente immesse nell’atmosfera e applicabilità ratione temporis del regolamento Roma II. - 6. Identificazione della legge applicabile e valutazione della possibilità giuridica dell’azione. - 7. Conclusioni: la centralità delle norme di conflitto di diritto comune dinanzi alle sfide poste dal cambiamento climatico.
1. Lliuya c. RWE: caso emblematico dei giudizi di responsabilità civile intentati contro i c.d. Global Carbon Majors
Saúl Ananías Luciano Lliuya (“Lliuya”), cittadino peruviano domiciliato in Perù, si rivolgeva al tribunale di Essen, in Germania, facendo valere che vi era il rischio che la sua abitazione, situata nella città di Huaraz (Perù), venisse distrutta o quantomeno danneggiata dalla possibile esondazione del lago glaciale Palcacocha situato sopra la città[1]. Lliuya promuoveva la sua domanda nei confronti di RWE AG (“RWE”), società tedesca operante nel settore energetico, responsabile dello 0,47 % del totale delle emissioni globali di gas ad effetto serra prodotte nel periodo 1751-2010[2]. Secondo l’attore, per effetto delle sue emissioni, la RWE avrebbe contribuito ad aumentare la concentrazione di gas ad effetto serra presenti nell’atmosfera, con conseguente aumento medio delle temperature, progressivo scioglimento del ghiacciaio situato sopra il lago Palcacocha, ed aumento del rischio di distruzione della sua abitazione. A sostegno della propria pretesa Lliuya citava il quinto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (“IPCC”)[3], secondo cui il progressivo sciogliersi dei ghiacciai nelle Ande del Sud-America è da attribuirsi con molta probabilità al cambiamento climatico[4].
Secondo Lliuya, con la propria attività inquinante la RWE interferiva con il godimento del suo diritto di proprietà, e, in base all’art. 1004 del Codice civile tedesco che impone a chi interferisce con la proprietà altrui di rimuovere la condotta alla base del disturbo, chiedeva che la RWE venisse condannata a pagare una quota, proporzionale al suo contributo, dei costi necessari per la costruzione di un sistema di drenaggio dell’acqua del lago, che avrebbe attenuato il rischio di esondazione.
Con sentenza del 15 dicembre 2016[5], il tribunale di Essen rigettava la domanda per una serie di motivi, tra cui quello per cui non vi era un nesso causale tra la condotta della convenuta e l’interferenza con il diritto di proprietà dell’attore. Secondo il tribunale, visto che le emissioni rilasciate dalla convenuta sono soltanto una frazione della miriade di emissioni che sono state e continuano ad essere rilasciate nell’atmosfera, è impossibile attribuire specifici danni derivanti dal cambiamento climatico a singoli autori di emissioni. Questo perché «quando innumerevoli società emettono gas ad effetto serra, che si mescolano in modo indistinto tra di loro e, per effetto di complessi processi naturali, provocano un’alterazione climatica, è impossibile identificare qualcosa che assomigli ad un nesso causale lineare che conduca da una particolare fonte di emissione ad un particolare danno»[6].
Appellata dall’attore, tale sentenza è stata parzialmente riformata dal tribunale regionale di Hamm, che, con decisione del 30 novembre 2017[7], ha dichiarato la domanda ammissibile e sufficientemente specifica, e ha ordinato che la causa passasse alla fase istruttoria. Il tribunale regionale di Hamm ha chiesto alle parti di produrre pareri di esperti sui seguenti aspetti: (i) che, a seguito del significativo aumento del volume d’acqua del lago Palcacocha, vi sia un serio rischio per la proprietà dell’attore; (ii) che le emissioni della convenuta si raccolgano nell’atmosfera e che, per effetto di leggi scientifiche, risultino in una maggiore concentrazione di gas serra nell’atmosfera; (iii) che la maggiore concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera si traduca in una riduzione della radiazione termica globale e in un aumento della temperatura globale; (iv) che, come conseguenza dell’aumento delle temperature medie, vi sia un’accelerazione nello scioglimento del lago Palcacocha, e che da questo consegua l’aumento del volume d’acqua, che non può essere contenuto dalla morena glaciale; (v) che il contributo della convenuta alla catena di eventi precedentemente indicati può essere misurato e calcolato, e che al momento ammonti a 0,47%.
Come riportato sul sito di Germanwatch, l’associazione non governativa tedesca che assiste Lliuya in questa battaglia legale, nel maggio 2022 i rappresentanti del tribunale regionale di Hamm, gli esperti e gli avvocati delle parti hanno visitato Huaraz e il lago Palcacocha. Secondo le informazioni disponibili, il Tribunale regionale avrebbe fissato un’udienza di discussione delle opinioni degli esperti nella prima metà del 2024. Sebbene non si sia ancora avuta una pronuncia sul merito, scienziati del clima e giuristi hanno definito storica la decisione con cui il tribunale di Hamm ha ritenuto la domanda di Lliuya ammissibile, permettendo che si passasse alla fase probatoria del giudizio[8]. Nella misura in cui i giudici tedeschi hanno ritenuto plausibile che un cittadino peruviano chiedesse ad una impresa tedesca di sostenere una parte dei costi necessari per l’adozione di misure di gestione del rischio derivante dal cambiamento climatico, questa sentenza sembra preludere ad un cambio di visione circa la responsabilità dei Global Carbon Majors rispetto ai danni provocati dal cambiamento climatico[9].
2. La private climate change tort litigation come contenzioso strategico in cui si invoca un uso innovativo del giudizio di responsabilità civile
Con l’espressione climate change litigation si fa riferimento ai procedimenti giudiziari inerenti al cambiamento climatico e/o agli effetti dallo stesso conseguenti[10]. Quando questi procedimenti sono avviati nei confronti di soggetti privati, si suole parlare di private climate change litigation[11]. Si utilizza invece la locuzione public climate change litigation in riferimento ai giudizi avviati nei confronti di Stati o altri enti pubblici. Secondo questa categorizzazione, è la natura privatistica o pubblicistica del convenuto, e non tanto il fondamento dell’azione esercitata in giudizio, a far ricadere un procedimento nell’uno o nell’altra categoria. Pertanto, sia le azioni intentate contro gli Stati in base ad obblighi internazionalmente assunti[12] sia quelle fondate su clausole generali di responsabilità civile[13] rientrano nella public climate change litigation. Ricadono invece nel private climate change litigation sia le azioni promosse contro società inquinatrici per presunte violazioni di diritti umani sia le azioni con cui lo Stato intende recuperare dall’impresa responsabile i costi conseguenti a bonifica ambientale.
Appartengono dunque alla private climate change litigation i giudizi nei quali l’attore rivolge nei confronti della società convenuta doglianze di responsabilità aquiliana, asserendo che, con la propria attività inquinante, la convenuta si sia resa in parte responsabile del danno da lui subito per effetto di un evento atmosferico estremo (siccità, ondata di calore, cicloni tropicali) o di cambiamenti ambientali a lenta insorgenza (scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, acidificazione degli oceani). Rispetto a giudizi di questo tipo – che a rigore dovremo chiamare private climate change tort litigation –si è assistito negli ultimi anni, oltre che ad un loro aumento in numero e visibilità, ad un progressivo affinamento degli argomenti giuridici e delle strategie processuali che hanno condotto fino alla decisione con cui il tribunale regionale di Hamm ha ritenuto ammissibile la domanda di Lliuya[14].
I giudizi di private climate change tort litigation sono strategici perché, al pari degli altri casi di climate change litigation, vengono avviati non tanto per perseguire gli effetti che tradizionalmente seguono alla decisione giudiziaria di una lite (ovvero l’emanazione di una sentenza, che fungerà da regola specifica per il caso concreto, suscettibile di acquisire valore di cosa giudicata), ma per alimentare il dibattito pubblico su interessi lato sensu pubblicistici, per stimolare l’adozione di normative climatiche più ambiziose e per indurre un cambio di paradigma comportamentale tra i consociati[15]. Visti da questa prospettiva, i giudizi in parola sono uno strumento di attivismo climatico[16]. Se l’uso politicamente orientato del contenzioso civile non è di per sé in contrasto con le regole del processo civile, rimane il fatto che, ove la decisione giudiziaria passi dalla valutazione dell’adeguatezza delle politiche climatiche statali, i giudici tendono a rigettare la domanda per evitare di ingerirsi in questioni proprie del potere legislativo[17]. Ciò, ad ogni modo, non impedisce alle azioni promosse di sortire gli effetti auspicati, visto che la sola promozione dell’azione è nella maggioranza dei casi capace di realizzarli.
I giudizi in parola sono altresì caratterizzati dal fatto che gli stessi invocano un uso innovativo dell’istituto della responsabilità civile. Se l’illecito civile ruota di norma intorno alla condotta antigiuridica di A che lede il bene giuridico di B, di modo che dall’illecito sorga un rapporto bilaterale tra danneggiante e danneggiato, dove il danneggiante è chiamato a rispondere del danno ingiusto subito dal danneggiato per effetto della condotta a lui imputabile, ben più complessa è la situazione nel private climate change tort litigation[18]. Trattasi di casi nei quali la condotta della società di rilasciare gas ad effetto serra nell’atmosfera, oltre a non essere vietata, non provoca alcuna diretta lesione né del diritto del singolo né del clima in quanto tale. A collegare le emissioni realizzate da una società al danno al clima e al danno del singolo vi è una lunga catena causale, visivamente rappresentata dal seguente schema[19]:
Una volta rilasciate, le emissioni di gas ad effetto serra (in figura A1-n) finiscono nell’atmosfera, dove si mescolano e si alterano le une con le altre; le emissioni antropogeniche, insieme ad altre attività umane come il disboscamento (in figura X), determinano un aumento della concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera (in figura B1), che, a sua volta, determina, insieme ad altri fattori di origine naturale (in figura Y), un aumento medio globale delle temperature (in figura B2). Dall’ aumento medie delle temperature, e da altre variabili naturali (in figura Z), discendono cambiamenti climatici a lenta insorgenza, come lo scioglimento dei ghiacciai (in figura C1), ed eventi atmosferici estremi (in figura C2-n), da cui derivano o rischiano di derivare danni alla salute, alla vita o alla proprietà dei singoli individui.
La catena causale che porta dalla condotta all’evento è, pertanto, molto complessa perché tanto la condotta quanto l’evento sono, di per sé, plurimi. Alla base del danno subito del singolo vi sono più eventi causali, solo alcuni dei quali di origine antropogenica. Al tempo stesso, ogni singola emissione antropogenica è, per effetto dell’incremento che provoca nella concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, capace di ledere beni giuridici di più soggetti identificabili secondo tempistiche diverse a seconda del tempo di latenza del danno da cambiamento climatico.
Per comprimere fattispecie così complesse nella struttura lineare della responsabilità civile[20], i giudici e gli avvocati delle parti possono avvalersi dei risultati della ricerca scientifica sul cambiamento climatico, e in particolare della scienza dell’attribuzione, ovvero quella branca della scienza sul cambiamento climatico che cerca di identificare l’impatto che le attività antropogeniche hanno sul clima e sul sistema Terra[21]. Servendosi di dati empirici, nozioni di fisica, analisi statistica e modelli probabilistici, gli scienziati sono giunti alla conclusione che è inequivoco che le emissioni antropogeniche di gas ad effetto serra hanno condotto ad un aumento medio delle temperature globali terrestri[22] e, di conseguenza, ad un aumento della frequenza e/o dell’intensità di cambiamenti a lenta insorgenza e ad eventi metereologici estremi[23]. I più recenti sviluppi scientifici sono persino in grado di dimostrare con alta probabilità l’esistenza di un nesso causale tra le emissioni di una specifica impresa e il danno subito da uno specifico individuo, visto che (i) il danno subito dal singolo è riconducibile, per effetto della scienza di attribuzione degli impatti (impact attribution), ad un dato fenomeno meteorologico estremo (es. ondata di calore anomala) o ad un dato cambiamento climatico a lenta insorgenza (es. scioglimento del ghiacciaio); (ii) il fenomeno meteorologico estremo o il cambiamento climatico a lenta insorgenza è stato reso molto più ricorrente o intenso nella sua portata, in base a quanto dimostra la scienza di attribuzione degli eventi (event attribution), dall’aumento delle temperature medie terrestri; (iii) l’aumento delle temperature medie globali è stato causato, con probabilità studiata ed identificata dalla scienza di attribuzione degli eventi, dall’aumento delle emissioni antropogeniche di gas effetto serra nell’atmosfera; e (iv) una quota ben precisa delle emissioni di gas ad effetto serra rilasciate nell’atmosfera è attribuibile, in base alla scienze dell’attribuzione delle fonti (source attribution), ad una società ben precisa[24].
3. Il campo di applicazione materiale del regolamento (CE) n. 864/2007 (Roma II): quali azioni inerenti all’ambiente e/o al clima rientrano nella materia civile e commerciale?
Come il caso di Lliuyamette bene in luce, i giudizi di private climate change litigation sono di norma internazionalmente connotati. Si tratta di casi in cui le parti del giudizio sono in genere domiciliate in Stati differenti e nei quali gli elementi costitutivi dell’illecito civile – ovvero la condotta o, come nel caso di emissioni cumulative, le plurime condotte causali, e la lesione lamentata in giudizio – sono localizzabili in paesi differenti. Ciò impone a qualsivoglia giudice adito di determinare la legge applicabile mediante le pertinenti norme di conflitto.
Nel caso in cui il giudice adito sia situato in uno Stato membro dell’Unione europea, questi dovrà servirsi delle norme di conflitto di cui al regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“regolamento Roma II”)[25] solo se il caso portato alla sua attenzione rientra nella materia civile e commerciale. Invero, l’art. 1 del regolamento Roma II limita il suo campo di applicazione «in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale. Esso non si applica, in particolare, alle materie fiscali, doganali o amministrative né alla responsabilità dello Stato per atto od omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)».
La nozione di materia civile e commerciale circoscrive il campo materiale d’applicazione delle norme di diritto internazionale privato dell’Unione europea. Nonostante la diversità delle funzioni delle norme di cui delimita il raggio d’azione, la nozione di materia civile e commerciale ha un significato unitario, valido per tutti gli strumenti di diritto internazionale privato dell’Unione[26]. In aggiunta, la stessa deve intendersi in modo autonomo, ovvero indipendentemente dal significato che la nozione di materia civile e commerciale ha nel diritto materiale degli Stati membri.
Riassumendo la giurisprudenza che la Corte di Giustizia ha elaborato sul punto[27], non rientrano nella materia civile e commerciale le liti nelle quali lo Stato agisce nell’esercizio di potestà d’imperio. Ciò avviene, per esempio, quando lo Stato agisce nei confronti dei privati negli ambiti di pertinenza del diritto fiscale, del diritto doganale e del diritto amministrativo, che sono quei rami del diritto che l’art. 1 espressamente esclude dalla materia civile e commerciale[28]. In questo senso, si può affermare che la materia civile e commerciale non ricomprende ciò che è regolato dal diritto pubblico (ovvero il diritto fiscale, doganale e amministrativo, così come il diritto penale)[29].
Il fatto che lo Stato o un ente pubblico siano parte in causa non è da solo sufficiente ad escludere la lite dalla materia civile e commerciale. Invero, è solo quando lo Stato o l’ente pubblico agiscono nell’esercizio di poteri d’imperio che la lite in questione deve ritenersi estranea alla materia civile e commerciale. In modo speculare, il fatto che il giudizio sia tra due soggetti privati non implica necessariamente che la lite sia di natura privatistica; se alla base della lite vi è l’esercizio, da parte di uno dei due privati, di funzioni pubblicistiche, tale lite deve ritenersi esclusa dalla materia civile e commerciale[30].
Quanto ai giudizi di private climate climate change tort litigation,non vi è dubbio che gli stessi ricadano nella materia civile e commerciale. Come visto, si tratta di giudizi in cui si discute della compatibilità con il principio generale del neminem laedere delle emissioni di gas ad effetto serra realizzate dalla società convenuta nell’esercizio della sua attività produttiva. In casi di questo tipo, né all’attore né al convenuto, entrambi soggetti privati, competono prerogative di tipo sovrano.
Più difficile è invece far rientrare nella materia civile e commerciale i giudizi in cui si fa valere non tanto la lesione del diritto del singolo o dei singoli, ma la lesione della risorsa ambientale in quanto tale. Tali giudizi nella maggioranza dei casi vedono coinvolto lo Stato, a cui compete la funzione di tutelare l’ambiente nel suo complesso e di agire per il suo risarcimento. A prescindere dall’esatta qualificazione giuridica che ciascun ordinamento gli dà, l’ambiente è un interesse collettivo privo di materialità e non suscettibile di appropriazione da parte dei singoli[31]. La sua natura pubblica ha indotto molti ordinamenti ad adottare discipline speciali di responsabilità ambientale[32]. Secondo la disciplina italiana, per esempio, la legittimazione attiva ad agire per il risarcimento del danno ambientale spetta unicamente allo Stato[33].
Se dunque la tutela dell’ambiente è nella maggioranza dei casi una prerogativa che spetta allo Stato come ente esponenziale della collettività, incerta è la riconduzione dei giudizi promossi dallo Stato a favore dell’ambiente alla materia civile e commerciale. Si pensi, a titolo di esempio, ai giudizi intentati dallo Stato contro gli autori di illeciti ambientali per ottenere il risarcimento del danno ambientale o la restituzione dei costi sostenuti per l’adozione di misure di prevenzione e di riparazione ambientale[34].
Per sciogliere tale dubbio, occorre valutare se tali azioni siano fondate sull’esercizio di poteri d’imperio da parte dello Stato. Riassumendo e semplificando la giurisprudenza della Corte di Giustizia[35], l’azione dello Stato è fondata sull’esercizio di poteri d’imperio se la causa petendi dell’azione, ovvero il rapporto che sta alla base dell’azione, è connotato dalla sussistenza di prerogative sovrane in capo allo Stato[36]. Al contrario, l’azione dello Stato è rapportabile a quella di un privato quando la stessa sia fondata su prerogative proprie anche dei privati e sia di conseguenza svolta secondo norme di diritto comune, ovvero norme che regolano le azioni dei privati[37]. Pertanto, se la causa petendi di un’azione statale è un rapporto Stato-privato sorto dall’esercizio di potestà d’imperio da parte del primo, la stessa è un atto iure imperii, a prescindere dalle norme su cui si fondi l’azione; se la causa petendi di un’azione statale è invece un rapporto Stato-privato in cui lo Stato ha fatto esercizio di prerogative che competono anche ai privati, l’azione è realizzata iure gestionis, e, come tale, fondata su norme di diritto comune azionabili da tutti[38].
Applicando questo criterio alle azioni con cui lo Stato chiede il risarcimento del danno ambientale o la restituzione dei costi delle misure di ripristino ambientale, entrambe appaiono qualificabili come realizzate iure imperii. In entrambe il fondamento dell’azione dello Stato, ovvero la causa petendi dell’azione svolta in giudizio, risulta essere un rapporto Stato-privato caratterizzato dall’esercizio da parte dello Stato di prerogative che gli competono in via esclusiva come ente esponenziale della collettività, ovvero la facoltà di ottenere il risarcimento del danno ambientale così come il potere di adottare misure di prevenzione e di riparazione ambientale. Tale qualificazione non muta se l’azione svolta in giudizio è un’azione basata su norme di diritto comune, azionabili da parte di tutti; come visto, è sufficiente che l’azione sia fondata su un rapporto in cui lo Stato ha fatto esercizio di prerogative d’imperio per qualificarla come realizzata iure imperii. Pertanto, tanto le azioni statali di risarcimento del danno ambientale[39] quanto le azioni statali di recupero dei costi associati all’adozione di misure di riparazione del danno ambientale[40] sono da qualificarsi come acta iure imperii, e, conseguentemente, non rientrano nell’ambito di applicazione materiale del regolamento Roma II.
4. Implicazioni per l’ambito operativo della regola di conflitto speciale di cui all’art. 7 del regolamento Roma II: distinzione tra danno ecologico e danno antropico
L’ art. 7 del regolamento Roma II reca una norma di conflitto speciale per le ipotesi di danno ambientale. Essa dispone che «la legge applicabile all’obbligazione extracontrattuale che deriva da danno ambientale o da danni arrecati alle persone o ai beni per effetto di un tale danno è quella risultante dall’articolo 4, paragrafo 1, a meno che la persona che chiede il risarcimento dei danni scelga di fondare le sue pretese sulla legge del paese in cui il fatto che ha determinato il danno si è verificato».
Nell’indicare le fattispecie astrattamente rientranti nel suo ambito applicativo, la disposizione fa riferimento, da un lato, alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da danno ambientale, e, dall’altro, alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da danni arrecati alle persone o ai beni per effetto di danno ambientale.
Quanto alla prima tipologia di danno ambientale, a cui ci si riferirà come di danno ecologico, il considerando 24 chiarisce che lo stesso dovrebbe intendersi come «il mutamento negativo di una risorsa naturale, come l’acqua, il terreno o l’aria, il deterioramento di una funzione svolta da tale risorsa naturale a vantaggio di un’altra risorsa naturale o del pubblico, oppure il deterioramento della variabilità tra gli organismi viventi». Tale definizione riprende in parte la definizione di danno ambientale di cui all’art. 2 della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale[41], direttiva che riguarda unicamente il rapporto tra chi inquina e le autorità pubbliche[42]. Così inteso, il danno ecologico deve intendersi come la lesione di una risorsa naturale o delle funzioni da queste svolte. Ovviamente per poter individuare una responsabilità extracontrattuale per la lesione di una risorsa naturale è necessario che la lesione in questione sia la conseguenza di attività umana, e non di processi o mutamenti naturali[43].
Accanto al danno ecologico, l’art. 7 fa riferimento alle ipotesi di danno alla persona o ai suoi beni per effetto del danno all’ambiente. Trattandosi di ipotesi di danno a beni giuridicamente tutelati dell’uomo, lo si chiamerà danno antropico.
Non è ben chiaro se, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 7, il danno antropico debba essere provocato da un danno ecologico – di modo che il danno ecologico sia sempre la causa del danno antropico – o se sia sufficiente che il danno antropico sia l’effetto di condotte umane che, sebbene non provochino una lesione della risorsa naturale, abbiano un certo impatto sull’ambiente. Diversi argomenti militano a favore della seconda soluzione. Anzitutto, l’espressione impiegata dal legislatore («danni arrecati alle persone o ai beni per effetto di un tale danno»)[44] non evoca l’idea della causa, ma, piuttosto quella della connessione tra danno antropico e danno ecologico[45]. In secondo luogo, il fatto che l’art. 7 si riferisca al danno ecologico e al danno antropico come fattispecie astrattamente rientranti nel suo ambito applicativo suggerisce che il danno antropico sia una fattispecie sì collegata, ma autonoma e distinta dal danno ecologico. Se non fosse così, e il danno antropico dovesse essere sempre la conseguenza del danno ecologico, non si capirebbe perché il legislatore europeo li abbia posti sullo stesso piano, quand’anche il danno antropico dovesse essere sempre la conseguenza (lesione secondaria) del danno ecologico (lesione primaria). In terzo luogo, l’obiettivo sostanziale di tutela dell’ambiente favorisce la soluzione qui propugnata. Invero, se per beneficare della norma di conflitto speciale di cui all’art. 7 del regolamento Roma II il danno antropico dovesse essere sempre causato dal danno ecologico, i casi di private climate change tort litigation ne sarebbero esclusi, visto che il rilascio di emissioni nell’atmosfera da parte della società produttrice non provoca il deterioramento dell’atmosfera (come visto, è la concentrazione anomala di tali gas nell’atmosfera a deteriorare il sistema climatico). Così facendo, tuttavia, si andrebbe a restringere notevolmente l’ambito applicativo della norma di conflitto speciale in questione, contrariamente a quanto impone l’obiettivo di tutela ambientale che la sorregge, che suggerisce invece un’applicazione estensa a tutti i casi inerenti ad un danno ambientale[46].
Chiarita la distinzione tra le due tipologie di danno ambientale a cui fa riferimento l’art. 7 del regolamento Roma II, occorre ora identificare quali tra le stesse siano concretamente disciplinabili dalla regola di conflitto in parola. Invero, solo il combinato disposto della norma sul campo di applicazione materiale del regolamento e della norma che delimita il campo applicativo della norma di conflitto in questione permette di identificare il reale perimetro operativo di quest’ultima. Detto altrimenti, solo se una fattispecie astrattamente contemplata dall’art. 7 del regolamento Roma II ricade nella materia civile e commerciale di cui all’art. 1 la stessa può essere effettivamente regolata dall’art. 7. Alcontrario, ipotesi di danno ambientale prive di natura civile e commerciale non possono essere regolate dall’art. 7 del regolamento, pena la violazione dell’art. 1 del regolamento.
Si è visto come fuoriescono dalla materia civile e commerciale i casi in cui lo Stato agisce nell’esercizio di potestà d’imperio, e che tali potestà sono ravvisabili quando il rapporto alla base dell’azione dello Stato (la causa petendi) è connotato dall’esercizio da parte dello Stato di prerogative non accessibili ai privati. Orbene, applicando questo criterio alle ipotesi contemplate dall’art. 7, solo le fattispecie di danno antropico – in cui un privato fa valere danni subiti ai suoi beni o alla sua persona per effetto di danno ambientale nei confronti di un altro privato – risultano rientrare nella materia civile e commerciale. Non così per le fattispecie di danno ecologico, che, come visto, si sostanziano in azioni con cui lo Stato agisce a tutela dell’ambiente come ente esponenziale della collettività. Essendo queste azioni fondate sull’esercizio da parte dello Stato di prerogative d’imperio, le stesse non possono, allo stato, rientrare nella materia civile e commerciale.
Consapevoli del problema, alcuni autori hanno suggerito di interpretare la nozione di materia civile e commerciale di cui all’art. 1 del regolamento Roma II alla luce dell’obiettivo di tutela ambientale che sorregge l’art. 7 del medesimo regolamento, così da far rientrare le azioni inerenti al danno ecologico nel campo applicativo del regolamento (e dell’art. 7)[47]. Questa soluzione non è condivisa da chi scrive. Anzitutto, non è possibile adottare un’interpretazione della nozione di materia civile e commerciale che si discosti, per il solo art. 7 del regolamento Roma II, dal significato che tale nozione ha per le altre norme di conflitto del regolamento Roma II, per il regolamento Roma I, per il regolamento Bruxelles I bis e per gli altri strumenti di diritto derivato adottati in base all'art. 81 TFUE[48]. In aggiunta, piegando l’interpretazione della nozione di materia civile e commerciale agli obiettivi di tutela ambientale propri dell’art. 7 del regolamento Roma II si andrebbe ad alterare l’equilibrio esistente tra i diversi valori perseguiti dalle norme di diritto internazionale privato dell’Unione europea, ed in particolare tra gli obiettivi di prevedibilità e di certezza del diritto che sorreggono le norme generali del regolamento Roma II[49] e gli obiettivi, quale quello di tutela ambientale, che sorreggono le norme speciali del medesimo regolamento.
Pertanto, se, in base al significato che ha assunto in base agli obiettivi e al sistema delle regole uniformi di diritto internazionale privato dell’Unione europea e al complesso dei principi generali desumibili dagli ordinamenti degli Stati membri, la nozione di materia civile e commerciale non è in grado di abbracciare le azioni inerenti al danno ecologico, questa è una conseguenza della categorizzazione giuridica del danno ecologico nel diritto materiale dell’Unione europea e degli Stati membri, a cui non si può rimediare mediante l’adozione di un’interpretazione ambientalisticamente orientata a livello di conflitto di leggi[50].
Muovendo oltre, alle fattispecie regolate dall’art. 7 del regolamento Roma II viene applicata la lex loci damni, ovvero la legge del luogo dove è stato leso o rischia di essere leso l’interesse giuridico protetto, a meno che la vittima non chieda l’applicazione della legge del luogo dove si è verificato il fatto che ha dato origine al danno. Come chiarisce il considerando 25 del regolamento Roma II, tale richiesta da parte della vittima deve essere effettuata in modo conforme a quanto prescritto dalla legge dello Stato membro il cui giudice è stato adito. Pertanto, spetterà alla lex fori determinare la forma e la fase processuale entro cui tale opzione debba essere esercitata.
Alla base della facoltà concessa alla vittima di optare per l’applicazione della legge del luogo della condotta vi è l’obiettivo di promuovere un elevato livello di tutela ambientale[51]. Nella misura in cui si concede al danneggiato di scegliere se basare la propria pretesa sulla legge del luogo della condotta o su quella del luogo della lesione, si evita che la diversità tra standard normativi ambientali vigenti tra paesi diversi diventi uno stimolo per una corsa al ribasso da parte delle società produttrici, ovvero che le stesse siano indotte a fissare il proprio centro produttivo nel paese dove vigono regole meno stringenti. Se la vittima può scegliere, al momento in cui avanza la propria pretesa risarcitoria, di fondarla sulla legge dell’uno o dell’altro paese, la società produttrice, per evitare di incorrere in sanzioni o in responsabilità, sarà indotta a conformare la propria attività allo standard normativo più elevato, dando così vita ad una competizione virtuosa tra ordinamenti[52].
Come detto poc’anzi, il diritto oggettivamente applicabile alle fattispecie disciplinate dall’art. 7 del regolamento Roma II è il diritto del paese in cui si è verificata o rischia di verificarsi la lesione del bene giuridico protetto. Prescindendo dalle considerazioni sopra esposte circa la non riconducibilità, allo stato attuale del diritto sostanziale dell’Unione e degli Stati membri, del danno ecologico alla materia civile e commerciale, e considerando il danno antropico e il danno ecologico come fattispecie astrattamente contemplate dall’art. 7 del regolamento Roma II, non vi sono ragioni, a parere di chi scrive, per sostenere che il luogo della lesione debba essere lo stesso per il danno ecologico e il danno antropico[53]. Considerato che i beni giuridici oggetto di possibile lesione sono differenti – il danno ecologico lede il bene giuridico dell’ambiente, mentre il danno antropico lede il bene giuridico della vita, salute e/o integrità fisica, proprietà privata della persona – anche i luoghi in cui tali beni giuridici vengono lesi saranno differenti[54]. Per il danno ecologico, la lesione sarà localizzabile nel luogo in cui si verifica il mutamento negativo della risorsa naturale impattata. Per il danno antropico, la lesione sarà localizzabile nel luogo in cui la vita o la salute della persona è stata menomata o nel luogo in cui i beni di proprietà che subiscono la lesione sono situati[55].
5. Emissioni di gas ad effetto serra continuativamente immesse nell’atmosfera e applicabilità ratione temporis del regolamento Roma II
Assodato che i casi di private climate change tort litigation, ovvero i casi inerenti al danno antropico,rientrano nell’ambito di applicazione materiale del regolamento Roma II, occorre verificare se gli stessi soddisfano il requisito di applicazione temporale del regolamento. L’art. 31 del regolamento Roma II dispone che: «Il presente regolamento si applica ai fatti verificatisi dopo la sua entrata in vigore che danno origine a danni». Come chiarito dalla Corte di Giustizia[56], nell’applicazione di questa disposizione deve aversi riguardo alla data di applicazione che, ai sensi dell’art. 32, è l’11 gennaio 2009. Pertanto, «un giudice nazionale è tenuto ad applicare tale regolamento unicamente ai fatti generativi di un danno verificatisi a partire dall’11 gennaio 2009, e che la data di instaurazione del procedimento di risarcimento o la data di determinazione della legge applicabile da parte del giudice adito non hanno alcuna incidenza ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione nel tempo di detto regolamento»[57].
Nei giudizi di responsabilità civile intentati contro i Global Carbon Majors, il fatto generatore del danno è rappresentato dal rilascio di emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera. Tale condotta non è un’azione puntuale che inizia e finisce in momenti temporali ben precisi. Trattasi al contrario di una condotta protratta nel tempo, che è stata e continua ad essere realizzata in concomitanza con lo svolgimento di attività di estrazione di combustili fossili e/o di loro combustione ai fini della produzione di energia. Ciò si evince dagli studi di Richard Heede, che attribuiscono quasi il 70% delle emissioni di gas ad effetto serra prodotte a livello globale nel periodo 1751-2018 a 108 società del settore energetico e di produzione del cemento, denominate, per l’appunto, Global Carbon Majors[58].
Se la domanda di responsabilità civile viene formulata, sulla falsariga di quanto fatto da Lliuya, avendo riguardo alle emissioni che tali società produttrici hanno realizzato lungo l’intero arco temporale preso in considerazione da Heede, ci si trova dinanzi a illeciti civili continuativi posti in essere con condotte realizzate in parte prima (dal 1751 fino al 10 gennaio 2009) e in parte dopo l’11 gennaio 2009 (da tale data al 2018). In una siffatta situazione non è chiaro se il regolamento Roma II sia applicabile. Sono state immaginate cinque differenti soluzioni[59]: (i) il regolamento Roma II si applica all’illecito continuativo se il primo segmento causale si è verificato a partire dall’11 gennaio 2009; (ii) il regolamento Roma II si applica all’illecito continuativo se l’ultimo segmento causale si è verificato a partire dall’11 gennaio 2009; (iii) il regolamento Roma II si applica se il segmento causale con maggiore efficienza causale nella produzione del danno si è verificato a partire dall’11 gennaio 2009; (iv) il regolamento Roma II si applica solo se tutti i segmenti causali si sono verificati a partire dal 11 gennaio 2009 o (v) il regolamento Roma II si applica all’illecito continuativo di cui anche solo un segmento causale si è verificato a partire dall’11 gennaio 2009[60].
Nel silenzio serbato dal regolamento sul punto, appare opportuno risolvere la questione avendo riguardo agli obiettivi di certezza e di prevedibilità del diritto a cui è ispirato il regolamento Roma II nel suo complesso[61]. Tali obiettivi appaiono prevalere su quello, pur valorizzato da autorevole dottrina, di favorire un’applicazione quanto più estesa possibile delle norme uniformi di conflitto del regolamento così da evitare le divergenze che possano conseguire dalla diversità delle norme di conflitto statali[62]. Tale obiettivo, che punta a raggiungere l’armonia delle soluzioni tramite un’interpretazione volutamente estensiva delle disposizioni del regolamento, non sembra essere tra i fini sottostanti al regolamento, come dimostra il fatto che lo stesso regolamento lascia diversi di spazi di operatività alle norme di conflitto statali (si pensi alle esclusioni di cui all’art. 1, par. 2, del regolamento).
Se le norme uniformi di conflitto del regolamento Roma II mirano a favorire la prevedibilità dell’esito delle controversie, la certezza sulla legge applicabile e la libera circolazione delle sentenze, è giocoforza ritenere che le norme del regolamento non possano trovare applicazione retroattiva a illeciti continuativi nei quali anche solo una delle condotte causali sia stata realizzata prima dell’11 gennaio 2009[63]. Invero, l’autore di un illecito civile continuativo che ha posto in essere un primo fascio di condotte causali prima di tale data, non poteva prevedere, al tempo della loro realizzazione, che alle stesse venissero applicate retroattivamente le regole di conflitto del regolamento Roma II. In base a questa soluzione, che vuole evitare un’applicazione retroattiva del regolamento Roma II, se anche solo uno degli eventi causali è stato realizzato prima dell’11 gennaio 2009 l’intera fattispecie dovrà ritenersi estranea all’ambito di applicazione temporale del regolamento Roma II, e alla stessa dovranno applicarsi le norme di conflitto di diritto comune.
Trattandosi di illeciti civili continuativi, nei quali ad una serie di eventi causali consegue l’evento di danno lamentato in giudizio, non risulta possibile procedere ad una frammentazione normativa della fattispecie, ovvero ad una divisione secondo cui agli eventi causali anteriori all’11 gennaio 2009 si applicheranno le regole di conflitto di diritto interno e agli eventi successivi le regole di conflitto del regolamento Roma II[64]. Invero, se anche fosse possibile separare le condotte in questione immaginando quale sia la parte di danno conseguente alle condotte precedenti all’11 gennaio 2009 e quale quella conseguente alle condotte successive, questa divisione immaginaria non cambierebbe il fatto che, per addivenirsi ad un giudizio di responsabilità civile, è necessario avere riguardo all’intera catena di eventi causali che ha condotto alla produzione del danno. Inoltre, a sottoporre le condotte precedenti e le condotte successive a norme di conflitto differenti, potenzialmente in grado di condurre all’applicazione di regole di responsabilità civile differenti, si rischia di giungere alla situazione paradossale in cui secondo il diritto applicabile alle condotte precedenti l’11 gennaio 2009 la società non è responsabile, mentre lo è in base al diritto applicabile alle condotte successive a tale data.
6. Identificazione della legge applicabile e valutazione della possibilità giuridica dell’azione
Un dubbio che può sorgere in relazione ai giudizi di private climate change tort litigation è se il giudice adito possa, prima ancora di addivenire alla fase di merito, rigettare la domanda in quanto fondata sull’allegazione di un improbabile nesso causale tra l’azione del convenuto e il danno subito dall’attore. Tale scrupolo fa subito pensare alle condizioni dell’azione, ovvero ai requisiti intrinseci della domanda che il giudice adito deve verificare come sussistenti per poter procedere verso la decisione di merito e non arrestarsi in limine litis. Oltre alla legittimazione e all’interesse ad agire, l’azione deve soddisfare il requisito della c.d. possibilità giuridica, ovvero deve esistere una norma che contempli in astratto il diritto fatto valere in giudizio[65]. Dati i notevoli sforzi di normalizzazione che si rendono necessari per far rientrare i casi di private climate change tort litigation nella struttura dell’illecito civile, è immaginabile che un purista del diritto privato obietti che non esiste nell’ordinamento una norma che permetta all’attore di far valere il suo diritto nei confronti della società inquinatrice, stante che le regole generali di responsabilità civile consentono di instaurare il giudizio di responsabilità civile nei confronti di colui la cui condotta sia astrattamente in grado di ledere il diritto della vittima.
Data la natura internazionale dei casi di private climate change tort litigation, per valutare la possibilità giuridica della domanda dedotta in giudizio risulta indispensabile determinare dapprima la legge applicabile alla fattispecie. Questo perché, per verificare se esiste una norma che contempli in astratto il diritto azionato in giudizio, il giudice deve prima determinare la legge regolatrice del rapporto su cui l’attore fonda la sua pretesa. Detto altrimenti, per valutare l’esistenza di una norma che contempli il diritto azionato in giudizio, il giudice deve prima determinare l’ordinamento all’interno del quale collocarsi per effettuare tale indagine.
Se dunque l’identificazione del diritto applicabile necessariamente precede la valutazione della possibilità giuridica dell’azione, scrupoli di efficienza processuale potrebbero portare a chiedersi se il giudice adito possa evitare di addentrarsi nell’analisi internazionalprivatista se ritiene che la domanda sia del tutto implausibile. A parere di chi scrive, ciò non è possibile. Non solo perché, come visto, per determinare la possibilità giuridica dell’azione occorre preliminarmente identificare l’ordinamento in relazione al quale compiere questa valutazione, ma anche per il fatto che le norme di conflitto non lasciano al giudice adito alcun margine per valutare la plausibilità dell’azione avanzata. Le regole di conflitto del regolamento Roma II, ad esempio, devono trovare applicazione quando i criteri di applicabilità del regolamento e di ciascuna disposizione sono soddisfatti. Nel valutare se l’azione avanzata soddisfa questi requisiti, il giudice adito verificherà se, per il fondamento e le modalità dell’azione e le caratteristiche del caso concreto, la stessa possa dirsi rientrare nel novero delle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale e nella categoria a cui si riferisce ciascuna norma di conflitto, senza poter attribuire rilevanza al fatto che la domanda è prima facie implausibile.
Sarà dunque solo in sede di valutazione della sussistenza delle condizioni dell’azione che il giudice adito potrà valutare la possibilità giuridica dell’azione e, nel caso in cui ritenga che nell’ordinamento di riferimento non esiste una norma che contempli in astratto il diritto fatto valere in giudizio, pronunciare una sentenza di rigetto in rito.
7. Conclusioni: la centralità delle norme di conflitto di diritto comune dinanzi alle sfide poste dal cambiamento climatico
Per affrontare il problema del cambiamento climatico, le scienze giuridiche, non meno che le scienze politiche, economiche e ingegneristiche, sono chiamate ad uno sforzo di adattamento se non addirittura di rinnovamento dei loro meccanismi di comprensione e di gestione del reale. Ciascuna branca del sapere è chiamata ad offrire il proprio contributo per l’elaborazione di una risposta che riesca quanto più efficacemente ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico.
In relazione a questo obiettivo, si è visto come il diritto privato sia chiamato a riflettere sull’opportunità di abbracciare una concezione probabilistica della sussistenza del nesso causale sulla scorta di quanto insegna la scienza dell’attribuzione[66]. Di natura diversa è il contributo richiesto al diritto internazionale privato. Lungi dal dover identificare come rendere civilmente responsabili i Global Carbon Majors, il diritto internazionale privato e, segnatamente, le norme di conflitto sono chiamate ad accrescere la certezza del diritto e la prevedibilità dell’esito della controversia individuando il diritto applicabile.
Come si è visto, le norme di conflitto uniformi del regolamento Roma II non risultano, allo stato, applicabili alle azioni inerenti al danno ecologico e alle azioni inerenti al danno antropico che siano avanzate per illeciti civili continuativi che siano stati provocati da uno o più eventi causali verificatisi prima dell’11 gennaio 2009, quali, per l’appunto, le emissioni cumulative realizzate dai Global Carbon Majors. Ciò implica che tanto per l’una quanto per l’altra ipotesi il giudice adito dovrà determinare la legge applicabile in base alle norme di conflitto di diritto comune.
A differenza delle norme di conflitto di cui al regolamento Roma II, le norme di conflitto di diritto interno si applicano a prescindere da quando si sono verificati i fatti che hanno dato origine all’evento dannoso[67]. Inoltre, quando un giudice italiano viene investito di una controversia aventi elementi di internazionalità su cui lo stesso possa validamente pronunciarsi (perché dotato di giurisdizione e perché il convenuto non è immune dalla giurisdizione italiana), lo stesso è tenuto ad avvalersi delle norme di conflitto italiane se, per il fondamento pubblicistico dell’azione, la legge applicabile non può essere determinata in base al regolamento Roma II. Invero, il fatto che una controversia sia esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento Roma II non implica che rispetto alla stessa non possa o non debba più condursi alcuna indagine conflittualistica.
Si pensi alle ipotesi, già ricordate sopra, in cui uno Stato avanza davanti agli organi giurisdizionali civili del proprio paese una domanda di risarcimento dei danni ambientali o di restituzione di costi sostenuti per il ripristino ambientale nei confronti della società estera ritenuta responsabile dell’illecito ambientale. Verificata la sussistenza della propria giurisdizione[68], il giudice adito deve determinare la legge applicabile all’obbligazione extracontrattuale dedotta in giudizio. Stante la presenza di uno o più elementi di internazionalità, tale indagine non può che essere condotta mediante le norme di conflitto, e, segnatamente, tramite le norme di conflitto di diritto comune, che variano da Stato a Stato.
Se l’art. 62, comma 1, della legge italiana di diritto internazionale privato relativo alla responsabilità per fatto illecito permette al danneggiato, allo stesso modo dell’art. 7 del regolamento Roma II, di chiedere che si applichi la legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno al posto della legge dello Stato in cui si è verificata la lesione (che è la legge oggettivamente applicabile), non così nella disciplina di diritto internazionale privato di altri Stati membri dell’Unione europea[69]. Il fatto che le regole di conflitto di diritto comune di alcuni Stati membri non diano al danneggiato la possibilità di scegliere unilateralmente la legge su cui fondare la sua pretesa potrebbe indurre le società inquinatrici, non più minacciate dall’applicabilità degli standard normativi più elevati per effetto della scelta del danneggiato, a riprendere la corsa al ribasso e a fissare il proprio centro produttivo nello Stato dove gli standard di protezione ambientale sono inferiori. Inoltre, il fatto che le regole di conflitto interne dei diversi Stati membri siano differenti potrebbe indurre le società inquinatrici a promuovere domande di accertamento negativo davanti al giudice le cui norme di conflitto siano a loro favorevoli, così aggiungendo al fenomeno di seat shopping appena descritto pratiche di forum shopping.
A prescindere da come le si valutino, queste pratiche denotano l’importanza che le norme di conflitto di diritto interno rivestono nel fornire una risposta internazionalprivatistica a fenomeni che, per la loro connotazione lato sensu pubblicistica o per essersi svolti in periodi temporali con inizio risalente nel tempo, non rientrano nelle strette maglie delle norme uniformi di conflitto del regolamento Roma II. Pertanto, per quanto il diritto dell’Unione europea prevalga sul diritto interno, le norme di conflitto di diritto comune restano fondamentali nell’affrontare questioni che cadono nelle zone d’ombra del diritto internazionale privato dell’Unione europea. Data la loro importanza, è cruciale che i legislatori nazionali procedano ad un costante aggiornamento e revisione delle norme di conflitto di diritto interno, al fine di renderle funzionali al perseguimento degli obiettivi politici che ciascuno Stato intende perseguire in ambito climatico.
Abstract (ENG):TakingLliuya v. RWE as a starting point, the present contribution analyses the climate change litigation from a private international law perspective. In particular, it investigates which law applies to tortious actions brought against large polluters, such as the Global Carbon Majors, in front of courts of EU Member States. Because of the material and temporal scope of application of the Rome II Regulation, it is argued that cases relating to damage to the environment and to damage to individuals caused by continuous emissions which started before 11 January 2009 fall outside the scope of application of the Regulation. For both cases residual role is vested upon national conflict of law rules, which national legislators should align to their goals to combat climate change.
Keywords (ENG):Lliuya v. RWE, Climate Change Litigation, Rome II Regulation, Continuous Environmental Torts.
* Università Cattolica del Sacro Cuore (caterina.benini@unicatt.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review, e riprende, sviluppandola, la relazione tenuta alla prima edizione del laboratorio dei ricercatori del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano “Biancamaria Spricigo” dedicata al tema «Solidarietà e sostenibilità. Tra diritto positivo e politica del diritto». La mia relazione si è collocata all’interno del seminario «Il diritto internazionale privato nel contenzioso relativo agli effetti del cambiamento climatico».
[1] L’atto di citazione, redatto in tedesco, è disponibile all’indirizzo https://rwe.climate-case.org/en (ultimo accesso il 1° febbraio 2024) dove sono disponibili le traduzioni libere in inglese e in spagnolo di questo e altri documenti processuali, incluse le sentenze citate infra.
[2] Lo scienziato Richard Heede ha condotto un’analisi quantitativa dei dati storici relativi alla produzione di combustibili fossili e di cemento e, in base ai dati ricavati, ha attribuito a 90 società, definite Global Carbon Majors, la produzione del 63% delle emissioni mondiali di biossido di carbonio e di metano realizzate tra il 1751 e il 2010. Vedasi R. Heede, Tracing Anthropogenic Carbon Dioxide and Methane Emissions to Fossil Fuel and Cement Producers, 1854-2010, in Climate Change, 122 (2014), p. 229 ss. La lista dei Global Carbon Majors è stata aggiornata nel 2020, ed ora ricomprendere 108 entità, responsabili del 69,9% di tutte le emissioni industriali compiute dal 1751 al 2018. Il Global Carbon Majors 2020 Dataset è disponibile all’indirizzo https://climate-accountability.org/carbon-majors/ (ultimo accesso il 1° febbraio 2024).
[3] L’IPCC è il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite degli esperti sul cambiamento climatico. Esso venne istituito nel 1988 per dare base scientifica all’azione politica in materia di lotta al cambiamento climatico.
[4] IPCC 5th Assessment Report, Working Group II, Full Report Part B: Regional Aspects, Chapter 27, p. 1544, Table 27.8, disponibile all’indirizzo https://www.ipcc.ch/re-port/ar5/wg2/ (ultimo accesso il 1° febbraio 2024).
[5] Landgericht Essen, 15.12.2016, Nr. 2 O 285/15.
[6] Landgericht Essen, p. 8.
[7] Oberlandesgericht Hamm, 30.11.2017, I-5 U 15/17.
[8] W. Frank - C. Bals - J. Grimm, The Case of Huaraz: First Climate Lawsuit on Loss and Damage Against an Energy Company Before Germany Courts, in Loss and Damage from Climate Change. Climate Risk Management, Policy, and Governance, a cura di R. Mechler - L.M. Bouwer - T. Schinko - S. Surminski - J. Linnerooth-Bayer, Cham, 2019, a pp. 475-476 sostengono che la decisione del tribunale regionale di Hamm «has written legal history»; W. Frank, The Huaraz Case (Lliuya v. RWE) – Germany Court opens Recourse to Climate Law Suit against Big CO2-Emitter, in Climate Law – A Sabin Centre Blog, 7 dicembre 2017, disponibile all’indirizzo https://blogs.law.colum-bia.edu/climatechange/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024), definisce la decisione «a major breakthrough with respect to climate litigation and liability»; C. Voigt, Climate Change as a Challenge for Global Governance, Courts and Human Rights, in Climate Change Litigation. A Handbook,a cura di W. Kahl - M.P. Weller, München, 2021, a p. 13 la definisce «significant development in law».
[9] Sul contributo del contenzioso climatico alla narrazione relativa al rischio climatico, vedasi J. Peel - H.M. Osofsky, Climate Change Litigation: Regulatory Pathways to Cleaner Energy, Cambridge, 2015, p. 221 ss.
[10] Trattasi di una categoria assai eterogenea popolata da casi in cui la normativa, la politica o la scienza del cambiamento climatico costituiscono una questione sostanziale in diritto o in fatto. Per una mappatura dei casi di climate change litigation vedasi il database Climate Case Chart, disponibile all’indirizzo https://climatecasechart.com (ultimo accesso 1° febbraio 2024), e V. J. Setzer - C. Higham, Global Trends in Climate Change Litigation: 2023 Snapshot, London, disponibile all’indirizzo https://www.l-se.ac.uk/granthaminstitute/publication/global-trends-in-climate-change-litigation-2023-snapshot/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024).
[11] Questa espressione è impiegata da E. Benvenuti, Climate change litigation e diritto internazionale privato dell’Unione europea: quale spazio per la tutela collettiva?, in Riv. dir. int. priv. proc., 59 (2023), p. 859 e, con minime variazioni, da S. Marino, La climate change litigation nella prospettiva del diritto internazionale privato e processuale, in Riv. dir. int. priv. proc., 57 (2021), p. 901 («private climate litigation»), e da E. Álvarez-Armas, SDG 13: Climate Action, in The Private Side of Transforming Our World. UN Sustainable Development Goals 2030 and the Role of Private International Law, a cura di R. Michaels - V. Ruiz Abou-Nigm - H. van Loon, Cambridge, 2021, p. 410 («private international climate change litigation»).
[12] Così nel caso A Sud c. Italia, altresì noto come Giudizio Universale, in cui attivisti e organizzazioni non governative hanno agito contro lo Stato italiano dinanzi al tribunale civile di Roma facendo valere che lo Stato italiano, in violazione degli impegni internazionalmente assunti, non ha adottato misure sufficientemente rigorose per arginare il cambiamento climatico. L’atto di citazione è disponibile all’indirizzo https://giudiziouniversale.eu/la-causa-legale/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024).
[13] Questo è quanto avvenuto nel caso Urgenda Foundation c. Paesi Bassi, dove, con sentenza della Corte distrettuale dell’Aja del 24 giugno 2015, confermata in appello e in ultimo grado, i giudici olandesi hanno condannato i Paesi Bassi a adottare una politica ambientale ambiziosa che preveda una drastica riduzione delle emissioni di gas serra, in base alla regola generale di responsabilità civile di cui all’art. 6:126 del Codice civile olandese. Sentenze ed altri documenti processuali relativi a questo caso sono disponibili all’indirizzo https://www.urgenda.nl/en/themas/climate-case/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024).
[14] Sulla progressiva evoluzione degli argomenti e delle strategie processuali dei casi intentati contro i Global Carbon Majors vedasi K. Bouwer, The Unsexy Future of Climate Change Litigation, in Journal of Environmental Law, 30 (2018), p. 489 ss.
[15] Sul contenzioso strategico, vedasi K. Bouwer - J. Setzer, Climate Litigation As Climate Activism: What Works?, in The British Academy – COP26 Briefings, (2020), disponibile all’indirizzo https://www.lse.ac.uk/granthaminstitute/publication/climate-litigation-as-climate-activism-what-works/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024), p. 3 ss.; P. Franzina, Il contenzioso civile transnazionale sulla corporate accountability, in Riv. dir. int. priv. proc., 58 (2022), p. 828 ss., J. Peel - H.M. Osofsky, Climate Change Litigation,cit., p. 221 ss.
[16] K. Bouwer - J. Setzer, Climate Litigation As Climate Activism, cit.; S. Dominelli, ‘Einmal ist keinmal’. L’insostenibile leggerezza degli obblighi di diritto internazionale in tema di climate change mitigation nella prospettiva di una proliferazione delle azioni giudiziarie pubbliche e private, in Riv. giur. amb., 3 (2023), p. 903. Così anche E. Gabellini, Note sul contenzioso climatico e le azioni di classe, in corso di pubblicazione in questa Rivista, che ho avuto l’opportunità di leggere per gentile concessione dell’Autrice, al par. 1.
[17] Ciò è quanto ha affermato il Tribunale di Roma con sentenza del 26 febbraio 2024 con cui ha dichiarato inammissibile il ricorso nel caso Giudizio Universale (v. supra), perché un sindacato dei provvedimenti contestati con ricorso sarebbe in violazione del principio di separazione dei poteri. La sentenza è disponibile all’indirizzo https://sidi-gruppodiedi.files.wordpress.com (ultimo accesso il 6 aprile 2024). Sulla compatibilità tra le cause di climate change litigation e il principio di separazione dei poteri, v. C.V. Giabardo, Climate Change Litigation and Tort Law. Regulation through Litigation?, in Diritto e processo (Derecho y Proceso – Right & Remedies), (2019), p. 367-368; J. Peel - H.M. Osofsky, Climate Change Litigation,cit., p. 270 ss.; L. Serafinelli, La responsabilità civile come tecnica di compensazione assiologica degli interessi climatici nell’inerzia delle politiche legislative. Un’analisi comparatistica di controversie private per pubblici interessi, in DPCE online, 55 (2022), p. 2220 ss.
[18] La complessità e diversità è tale che queste fattispecie sono state definite come «anti-torts» da D.A. Kysar, What Climate Change Can Do About Tort Law, in Environmental Law, 41 (2011), p. 4 e p. 8 ss.
[19] Lo schema è di W. Frank, The Huaraz Case (Lliuya v. RWE), cit., § 2.5.4.
[20] D.A. Kysar, What Climate Change Can Do,cit., a p. 9 parla di strategia normalizzante posta in essere tanto da giuristi quanto da economisti.
[21] M. Burger - J. Wentz - R. Horton, The Law and Science of Climate Change Attribution, in Environmental Law Reporter, 51 (2021), p. 10641; S. Marjanac - L. Patton, Extreme Weather Event Attribution Science and Climate Change Litigation: An Essential Step in the Causal Chain?, in Journal of Energy & Natural Resources Law, 36 (2018), p. 268 ss.
[22] IPCC, 6th Assessment Report, Working Group I, Full Report, Summary for Policymakers, p. 4, A.1, disponibile all’indirizzo https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/ (ultimo accesso 1° febbraio 2024).
[23] IPCC, 6th Assessment Report, Working Group I, Full Report, Summary for Policymakers, p. 8, A.3.
[24] T. Burman, A New Causal Pathway for Recovery in Climate Change Litigation?, in Environmental Law Reporter, 52 (2022), p. 10039 ss., M. Burger - J. Wentz - R. Horton, The Law and Science of Climate Change Attribution, cit., p. 10641.
[25] Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, in G.U.U.E., L 199 del 31 luglio 2007, p. 40 ss.
[26] Così si ricava anche dal considerando 7 del regolamento Roma II secondo cui il campo d’applicazione materiale del regolamento Roma II deve essere coerente con quello del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (“Bruxelles I”) (G.U.C.E., L 12 del 16 gennaio 2001, p. 1 ss.), poi sostituito dal regolamento (UE) n. 1215/2012(“Bruxelles I bis”) e dal considerando 7 del regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”) (G.U.U.E., L 177 del 4 luglio 2008, p. 109 ss.), che dispone che il campo di applicazione materiale e le disposizioni dello stesso dovrebbero essere coerenti con il regolamento Bruxelles I e il regolamento Roma II. .
[27] La giurisprudenza di seguito riportata è stata elaborata in relazione alla nozione di materia civile e commerciale di cui all’art. 1 della Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (G.U.C.E., C 27 del 26 gennaio 1998, p. 1 ss.), poi sostituita dal regolamento Bruxelles I e dal regolamento Bruxelles I bis: sentenza del 14 ottobre 1976, causa 29-76, Eurocontrol, ECLI:EU:C:1976:137, §§ 2 ss.; sentenza del 16 dicembre 1980, causa 814/79, Rüffer, ECLI:EU:C:1980:291, §§ 6 ss.; sentenza del 21 aprile 1993, causa C-172/91, Sonntag, ECLI:EU:C:1993:144 §§ 13 ss.; sentenza del 14 novembre 2002, Baten, C-271/00, ECLI:EU:C:2002:656, §§ 28 ss.
[28] La seconda frase dell’art. 1, par. 1, è stata aggiunta dalla convenzione del 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito alla Convenzione di Bruxelles (in G.U.C.E., L 304 del 30 ottobre 1978, p. 1 ss.), per precisare mediante esempi le materie che non rientrano nella sfera d’applicazione della Convenzione di Bruxelles. Sulla genesi di questa aggiunta vedasi la Relazione Schlosser sulla Convenzione di adesione del 9 ottobre 1978 sopra citata, in G.U.C.E., C 59 del 5 marzo 1979, p. 71 ss., punto 23.
[29] A. Halfmeier, Article 1 Scope, in Rome Regulations Commentary, a cura di G.P. Calliess - M. Renner, 3a ed., Alphen aan den Rijn, 2020, p. 508.
[30] P. Mankowski, Article 1, in Rome II Regulation Commentary, a cura di U. Magnus - P. Mankowski, Kӧln, 2019, p. 65. Si pensi al caso in cui associazioni non governative o gruppi di privati agiscano per conto dello Stato mediante meccanismi di private enforcement o strumenti di class action; in casi di questo tipo, il fondamento pubblicistico dell’azione (che spetterebbe allo Stato) non viene meno neppure di fronte alla legittimazione processuale di soggetti privati.
[31] E. Álvarez-Armas, SDG 13: Climate Action, cit., p. 432; G. Alpa, Pubblico e privato nel danno ambientale, in Contratto e impresa, 3 (1987), p. 687 ss.
[32] Per un’analisi comparatistica, vedasi, per tutti, C. Von Bar, Environmental Damages in Private International Law, in Recueil des Cours, 268 (1997), p. 306 ss.
[33] Art. 311 (Azione risarcitoria in forma specifica) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Codice dell’ambientale (in G.U. n. 88 del 14 aprile 2006).
[34] Cfr. gli art. 8, par. 2, e art. 10 della direttiva 2004/35/CE, i quali attribuiscono la legittimazione attiva ad avviare azioni per il recupero dei costi legati all’adozione di misure di prevenzione o di riparazione alle sole autorità pubbliche.
[35] Tale giurisprudenza è stata detta incoerente da G. Betlem - C. Bernasconi, European Private International Law, the Environment and Obstacles for Public Authorities, in Law Quartertly Review, 122 (2006), pp. 132-135. A parere di chi scrive, il fatto che le pronunce rese dalla Corte di giustizia non siano perfettamente sovrapponibili non le rende incoerenti. La diversità dei dicta è, al più, il riflesso della diversità dei casi portati all’attenzione della Corte.
[36] Così la Corte di Giustizia in Rüffer cit., §§ 15.
[37] Così la Corte di Giustizia in Baten cit., §§. 34, 36.
[38] Considera la causa petendi come elemento cruciale per valutare la natura di un’azione esercitata dallo Stato anche P. Franzina, Il regolamento «Roma II» sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, in La Unión europea ante el derecho de la globalización, a cura di A.L. Calvo Caravaca - E. Castellanos Ruiz, Madrid, 2008, p. 314.
[39] C. Von Bar, Environmental Damages,cit., a p. 394 esclude che le azioni avanzate dallo Stato per la compensazione del danno ecologico rientrino nella materia civile e commerciale. Contra S. Poli - G. Biagioni, Recenti sviluppi in materia di danno ambientale nell’Unione europea: profili di diritto sostanziale e diritto internazionale privato, in Riv. dir. int. priv. proc., 41 (2005), p. 671, secondo i quali nell’azione promuovibile dallo Stato italiano o dagli enti territoriali per danno ambientale ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349/1986 (attuale art. 311 del Codice dell’ambiente) non è ravvisabile l’esercizio di un potere d’imperio visto che per tale iniziativa lo Stato usa uno strumento tipico dei rapporti inter-privati, ovvero l’azione risarcitoria. Oltre alla considerazione per cui è il fondamento dell’azione e non l’azione esperita a fungere da elemento dirimente nella valutazione dell’atto come realizzato iure imperii o iure gestionis, va segnalato che l’azione risarcitoria per danno ambientale si discosta in molti aspetti dall’azione risarcitoria di cui all’art. 2043 c.c. Sulla differenza tra azione ex art. 2043 c.c. e azione ex. art. 311 Codice dell’ambiente, vedasi F.D. Busnelli, La parabola della responsabilità civile, in Danno e responsabilità civile, a cura di F.D. Busnelli - S. Patti, 3a ed., Torino, 2013, p. 169 ss., dove discorre di «impiego deformante dell’istituto della responsabilità civile per risolvere problemi di diritto pubblico».
[40] Escludono le azioni con cui lo Stato richiede la restituzione dei costi derivanti dall’adozione di misure di prevenzione e di riparazione del danno ambientale dalla materia civile e commerciale A. Fuchs, Art. 7 Rome II, in Rome II Regulation: Pocket Commentary, a cura di P. Huber, Munich, 2011, p. 211; A. Dickinson, The Rome II Regulation: The Law Applicable to Non-Contractual Obligations, Oxford, 2010, p. 432; H. Unberath - J. Cziupka - S. Pabst, Artikel 7: Umweltschädigung, in Europäisches Zivilprozess- und Kollisionsrecht EuZPR/EuIPR. Band III: Rom I-VO, Rom II-VO, a cura di T. Rauscher, 4a ed., Kӧln,2016, p. 828; K. Thorn, Artikel 7 Rom II-VO, in Palandt Bürgerliches Gesetzbuch mit Nebengesetzen, 80a ed., München, 2021, p. 2830. Contra T. Kadner Graziano, The Law Applicable to Cross-Border Damage to the Environment. A Commentary on Article 7 of the Rome II Regulation, in Yearbook of Private International Law, 9 (2007), p. 81 ss.; J. Von Hein, Article 7 – Environmental Damage, in Rome Regulations Commentary, a cura di G.P. Calliess - M. Renner, 3a ed., Alphen aan den Rijn, 2020, p. 655.
[41] Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in G.U.U.E., L 143 del 30 aprile 2004, p. 56 ss.
[42] L’art. 3, par. 3 della direttiva 2004/35 dispone espressamente che: «Ferma restando la pertinente legislazione nazionale, la presente direttiva non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno».
[43] V. la relazione della Commissione alla proposta di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, COM(2023) 427 def., p. 20.
[44] Art. 7 regolamento Roma II, enfasi aggiunta.
[45] Vedasi il confronto tra diverse versioni linguistiche fatto da G. Van Calster, Lex Ecologia. On Applicable Law for Environmental Pollution (Article 7 Rome II), A Pinnacle of Business and Human Rights as well as Climate Change Litigation, in IPRax, 42 (2022), pp. 446-447.
[46]M. Lehmann - F. Eichel, Globaler Klimawandel und Internationales Privatrecht. Zuständigkeit und anzuwendendes Recht für transnationale Klagen wegen klimawandelbedingter Individualschäden, in RabelsZ, 83 (2019), pp. 94-95; E.M. Kieninger, Conflicts of Jurisdiction and the Applicable Law in Domestic Courts’ Proceedings, in Climate Change Litigation. A Handbook, a cura di W. Kahl - M.P. Weller, München, 2021, p. 140.
[47] G. Betlem - C. Bernasconi, European Private International Law,cit., pp. 136-137.
[48] A. Fuchs, Art. 7 Rome II,cit., p. 211.
[49] V. considerando 6 del regolamento Roma II.
[50] H. Unberath - J. Cziupka - S. Pabst, Artikel 7: Umweltschädigung,cit., p. 830.
[51] Il considerando 25 del regolamento Roma II richiama espressamente l’art. 174 del TFUE, disposizione che «giustifica pienamente il ricorso al principio del trattamento favorevole per la parte lesa».
[52] P. Ivaldi, Unione europea, tutela ambientale e diritto internazionale privato: l’art. 7 del regolamento Roma II, in Riv. dir. int. priv. proc., 49 (2013), p. 879; J. Von Hein, Article 7,cit., p. 651.
[53] Questa posizione è sostenuta da M. Bogdan, The Treatment of Environmental Damage in Regulation Rome II, in The Rome II Regulation on the Law Applicable to Non-Contractual Obligations: A New International Litigation Regime, a cura di J. Ahern - W. Binchy, Leiden, 2009, p. 223; S. Matthes, Umwelthaftung under der Rom II-VO, in GPR, 8 (2011), p. 147; S. Marino, La climate change litigation nella prospettiva del diritto internazionale privato,cit., p. 920.
[54] Così anche A. Dickinson, The Rome II Regulation,cit., pp. 438-439; H. Unberath - J. Cziupka - S. Pabst, Artikel 7: Umweltschädigung,cit., p. 830; A. Junker, Art. 7 Rom II-VO Umweltschädigung, in Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch. Band 13., a cura di J. von Hein, 8a ed., München, 2021, p. 1036; E.M. Kieninger, Conflicts of Jurisdiction and the Applicable Law,cit., p. 140; K. Thorn, Artikel 7 Rom II-VO,cit., p. 2830; M. Lehmann, F. Eichel, Globaler Klimawandel und Internationales Privatrecht,cit., p. 96.
[55] Così dispone il considerando 17 del regolamento Roma II.
[56] Sentenza del 17 novembre 2011, C-412/10, Homawoo, ECLI:EU:C:2011:747.
[57] Homawoo cit., § 37.
[58] V. supra nota 2.
[59] P. Mankowski, Article 31: Application in Time, in Rome II Regulation Commentary, a cura di U. Magnus - P. Mankowski, Kӧln, 2019, p. 714.
[60] A favore di questa soluzione: P. Mankowski, Article 31,op. cit., il quale argomenta che in questo modo si favorisce un’ampia applicazione delle regole uniformi di conflitto del regolamento Roma II; A. Halfmeier, Articles 31 and 32 Rome II Regulation, in Rome Regulations Commentary, a cura di G.P. Calliess - M. Renner, 3a ed., Alphen aan den Rijn, 2020, p. 900, ma solo se non sia possibile procedere ad una frammentazione della fattispecie, su cui infra.
[61] Considerando 6 regolamento Roma II.
[62] P. Mankowski, Article 31,op. cit.
[63] X.E. Kramer, The Rome II Regulation on the Law Applicable to Non-Contractual Obligations: The European Private International Law Tradition Continued, in NIPR, 4 (2008), p. 417.
[64] A favore di questa soluzione, A. Halfmeier, Articles 31 and 32 Rome II Regulation, op. cit.; B. Den Tandt - M. Verhulst, The Temporal Scope of the Rome II after Homawoo, in European Review of Private Law, 21 (2013), p. 298. Così sembra anche E.M. Kieninger, Conflicts of Jurisdiction and the Applicable Law,cit., p. 139.
[65] C. Mandrioli - A. Carratta, Diritto processuale civile. Tomo I – Nozioni introduttive e disposizioni generali, 28a ed., Torino, 2022, p. 39.
[66] Sul contributo richiesto al diritto processuale civile, vedasi E. Gabellini, Note sul contenzioso climatico e le azioni di classe, cit., §§ 3 ss.
[67] Ai sensi dell’art. 72, comma 1, della legge italiana di diritto internazionale privato (legge del 31 maggio 1995, n. 218, in G.U. n. 128 del 3 giugno 1995), le disposizioni di questa legge si applicano in tutti i giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore, che, ai sensi dell’art. 74, è il 1° settembre 1995.
[68] Per una disamina dei fori utilizzabili nel private climate change litigation vedasi E. Benvenuti, Climate change litigation e diritto internazionale privato dell’Unione europea,cit., p. 864 ss.
[69] Per esempio, l’art. 48 della legge austriaca di diritto internazionale privato n. 304/1978 (Gesetz über das internationale Privatrecht – IPR-Gesetz) stabilisce che la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali derivanti da un illecito non rientranti nell’ambito applicativo del regolamento Roma II è quella scelta dalle parti o, in mancanza, dalla legge del luogo in cui è stata tenuta la condotta causale. È fatta salva l’applicazione della legge dello Stato con cui le persone coinvolte nell’illecito presentano una connessione più stretta; l’art. 99, § 3, del codice belga di diritto internazionale privato del 16 luglio 2004 (Loi portant le code de droit international privé) prevede che le obbligazioni extracontrattuali derivanti da un danno ai beni o alla persona per effetto di danno ambientale sono regolate dalla legge dello Stato sul cui territorio la lesione si è verificata o rischia di verificarsi; l’art. 26 del codice civile greco del 1981 prevede che le obbligazioni risultanti da un illecito sono regolate dalla legge dello Stato dove la condotta causale è stata compiuta.
Benini Caterina
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