Spunti di natura comparatistica in tema di danno da “wrongful” life
Spunti di natura comparatistica in tema di danno da “wrongful” life
di Francesco Zecchin
di Francesco Zecchin
SOMMARIO: 1. Politeismo dei valori e forma giuridica: il c.d. diritto di non nascere se non sano fra duty of care e damages.- 2.Il pendule fra Cour de cassation, Loi «anti-Perruche» e Conseil constitutionnel. - 3. Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte e diritti del feto. - 4. La responsabilità civile: giustizia commutativa o giustizia distributiva?
1. Politeismo dei valori e forma giuridica: il c.d. diritto di non nascere se non sano fra duty of care e damages
Il dinamismo culturale che caratterizza i nostri tempi ha segnato “il tramonto della concezione che identifica il diritto […] con le disposizioni formali, sul presupposto che le parole della legge incorporano un significato normativo univoco, conoscibile col solo ausilio del testo”[1]. Le categorie del nostro codice civile, in buona parte concepite nell’atmosfera di una società fondamentalmente omogenea, vengono, infatti, continuamente sollecitate al confronto con domande di giustizia che non sono immediatamente riconducibili ai valori tradizionali. In tale contesto diviene impercorribile la logica inferenziale e la stessa interpretazione assume connotati particolari, giacché, come è stato messo in luce ormai da tempo, non è più sufficiente rifarsi agli astratti canoni classici (grammaticale, logico, storico e sistematico)[2], ma occorre lasciar interrogare il testo normativo dal caso concreto[3]. Quest’avvio in termini problematici deve però essere messo in relazione con il pensiero sistematico, in modo da verificare che l’ipotesi ermeneutica sia, dal punto di vista dell’ordinamento, intersoggettivamente comunicabile[4]. Tuttavia, sempre più spesso, l’importanza del momento dogmatico viene sottovalutata[5] e ciò conduce ad una eccessiva semplificazione del discorso in cui la poliedricità del nostro diritto privato è trascurata fino al punto da “ridurre la questione […] ad una scelta fra responsabilità e no”[6], sulla scia dell’idea “che diritti e pretese, obblighi e soggezioni possano risolversi nell’apprezzamento pecuniario in grado di rifletterne il valore”[7]. Con questo atteggiamento si fa più alto il rischio che a scolorirsi sia addirittura la funzione stessa della responsabilità civile, la quale, svuotata dei suoi connotati essenziali, finisce per rispondere a esigenze che sarebbero meglio soddisfatte da altri istituti giuridici.
In tal senso un’ipotesi recente nella quale il circolo ermeneutico viene messo a prova è quella del danno da “wrongful” life, in cui un soggetto affetto da disabilità agisce nei confronti del medico che, non avendo diagnosticato per tempo la patologia, ha impedito alla propria madre di interrompere la gravidanza. La maggior parte degli ordinamenti europei ha ormai affrontato la questione e di recente anche le Sezioni unite della nostra Corte di cassazione sono state chiamate a pronunciarsi[8], ma i primi casi si sono registrati negli Stati Uniti d’America e in Inghilterra[9]. D’altro canto, per un verso, in quei contesti il passaggio da una società omogenea a una società pluralistica è avvenuto prima che in altri paesi europei e, per l’altro, la forma giuridica, in proporzione maggiore che in civil law, sembra in qualche modo predisposta a modellarsi su sagome nuove. La carica di duttilità che quando era vigente il sistema delle forms of actions aveva dato vita all’action upon the case[10] trova oggi pieno compimento nel tort of negligence[11], il quale già in Donoghue v. Stevenson veniva individuato come risposta all’idea che “the conception of legal responsibility may develop in adaptation to altering social conditions and standards”[12].
Non per niente i common lawyers tendono a inquadrare la domanda di risarcimento del danno da “wrongful” life proprio nell’ambito del negligence, che in questo caso offre un vantaggio anche da un altro punto di vista. A differenza dei nominate torts, per la sua integrazione sono infatti necessari “duty, breach, causation and damage”[13], mentre non assume rilevanza diretta il profilo della lesione di una situazione soggettiva tutelata dall’ordinamento[14]. Il problema della sussistenza del c.d. diritto di non nascere se non sano - che rappresenta la questione più problematicanel diritto europeo continentale - risulta perciò fortemente attenuato dall’assetto della forma giuridica nella quale la domanda risarcitoria è incardinata[15].
Per le corti americane e inglesi le maggiori difficoltà si sono infatti presentate ad un altro livello della fattispecie[16]. Appurata l’esistenza della responsabilità e verificata la causation fra breach of duty of care e harm[17], rappresentato dall’evento nascita,si apre infatti il problema del danno risarcibile e quello della sua quantificazione[18].
Proprio le difficoltà relative al momento risarcitorio stanno alla base delle decisioni che negli U.S.A. hanno rigettato la domanda di risarcimento del danno da “wrongful”life[19]. Con riferimento all’an,si è ritenuto che una vita menomata non potesse effettivamente essere qualificata come una condizione peggiore rispetto alla non-vita[20], mentre, in relazione al quantum,la difficoltà è emersa nel comparare queste due situazioni[21]. Nei pochi casi in cui si è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno la prima obiezione è stata superata richiamando la normativa che, a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo in alcuni stati degli U.S.A., valorizza il diritto all’autodeterminazione dei malati terminali[22]. Facendo leva sulla circostanza che “public policy supports the right of each individual to make his or her own determination as to the relative value of life and death“[23], si è ammesso che ai genitori di un bambino disabile non possa in assoluto essere impedito di valutare se il best interest del figlio, anziché una vita gravissimamente menomata, fosse la nonexistence[24].
Tuttavia anche queste pronunce risentono dell’aporia relativa alla quantificazione del pregiudizio. Sulla premessa che il danno rappresenta la differenza tra “ciò che sarebbe dovuto essere” e “ciò che invece è stato”, da un lato, preso atto dell’impossibilità di formulare un paragonare tra la non-nascita e la vita con handicap, le Corti Supreme degli Stati della California, di Washington e del New Jersey hanno rigettato l’istanza di risarcimento del danno non patrimoniale. Dall’altro, sulla scia della c.d. benefit doctrine “which requires that the value of the benefit conferred … [be] considered in mitigation of damages”, hanno però riconosciuto i danni economici rappresentati dalle spese mediche e di cura per la disabilità[25].
Le medesime incertezze contraddistinguono il leading case inglese relativo al danno da “wrongful” life. Si tratta di una sentenza della Court of Appeal del 1982 nella quale viene rigettata la domanda risarcitoria avanzata dallo zio e dal rappresentate legale in nome e per conto di una bambina nata parzialmente sorda e cieca[26]. Sebbene nella sentenza si facciano notare le difficoltà di teorizzare un diritto to be born whole or not at all[27], è il tradizionale pragmatismo d’Oltremanica ad orientare i giudici. La decisione è, infatti, basata sulla considerazione che, mentre quando il danno consiste in una vita menomata che poteva essere una vita in salute esiste la possibilità di paragone, nei casi di “wrongful” life il secondo termine manca, poiché nessuno sa cosa sia la non-vita[28]. L’impossibilità della comparazione è talmente radicale che nemmeno rifacendosi ai general damages[29], cioè ad una valutazione approssimativa del danno,è stata ritenuta superabile[30].
La Corte, messo in luce il paradosso per cui si rischierebbe di legittimare una domanda risarcitoria anche nei confronti della madre che ,nonostante la corretta diagnosi, avesse scelto di proseguire la gestazione[31], non rinuncia però ad approfondire il tema del duty of care del medico. Mentre, infatti, non esistono perplessità circa la sua sussistenza con riferimento alla gestante, qualche incertezza può, invece, sorgere quando si volge lo sguardo al nascituro: nei confronti di quest’ultimo esso si configurerebbe infatti come un obbligo di procurare l’aborto là dove il feto mostrasse delle patologie[32]. Al proposito Lord J. Stephenson richiama la normativa in tema di interruzione della gravidanza valorizzando il fatto che la legge richiede due perizie mediche attestanti il rischio di una grave disabilità cui sarebbe affetto il neonato qualora nascesse[33]. L’accento della norma sulla serietà dell’handicap e la circostanza che nel caso di specie la minore non rientrasse de plano nella categoria offrono l’occasione per affermare che nella fattispecie concreta il diritto di non nascere non fosse configurabile, ma lasciano aperto il dubbio che in casi estremi si possa dire lo stesso[34].
Sennonché, per quanto riguarda l’ordinamento inglese, tale eventualità ha visto diminuire le sue chance di accoglimento con l’entrata in vigore del Congenital Disabilities Act del 1976, nella cui Section 1(1) si prevede che è dovuto il risarcimento del danno nel caso in cui il bambino, se fosse stato rispettato il duty of care,sarebbe nato sano[35]. Il fatto che non sia disciplinata l’ipotesi in cui la patologia non trova ragione in un errore medico viene interpretato come un’indicazione del legislatore contraria all’azione per “wrongful” life[36]. Da parte di alcuni è stato però messo in luce che in questi casi l’evento di danno non sarebbe la disabilità in sè, ma l’essere venuto al mondo a causa della sbagliata lettura del referto ecografico, quindi la fattispecie sarebbe fuori dall’ambito di applicazione della normativa[37].
Più di recente un altro intervento legislativo ha riacceso il dibattito. Con lo Human Fertilization and Embryology Act è stata infatti aggiunta una nuova Section al Congenital Disabilities Act, in base alla quale nei casi di Assisted Reproductive Treatment, “where (a) a child carried by a woman as the result of the placing in her of an embryo or of sperm and eggs or her artificial insemination is born disabled, (b) the disability results from an act or omission in the course of the selection, or the keeping or use outside the body, of the embryo carried by her or of the gametes used to bring about the creation of the embryo, and (c) a person is under this section answerable to the child in respect of the act or omission, the child’s disabilities are to be regarded as damage resulting from the wrongful act of that person and actionable accordingly at the suit of the child”[38]. Secondo un’autrice la normativa, nella parte in cui si riferisce alla selezione dell’embrione, renderebbe legittima una domanda di risarcimento del danno da “wrongful” life perché se il medico non avesse commesso l’errore, l’embrione non sarebbe stato trasferito nell’utero e perciò non sarebbe nato[39]. Si tratterebbe quindi di un danno che trova la sua origine non nella mancata possibilità di abortire, ma nella circostanza che se il medico avesse saputo della patologia non avrebbe scelto quell’embrione oppure la donna, una volta informata, avrebbe negato il suo consenso all’impianto. In questo modo nelle ipotesi di procreazione medicalmente assistita non solo l’indirizzo espresso in McKay v Essex Area Health Authority sarebbe superato, ma la preoccupazione manifestata da Lord J. Stephenson in merito all’ipotesi che, in assenza di errore medico, ad essere convenuta potrebbe essere addirittura la madre si arricchirebbe di una nuova fattispecie. A quella in cui la gestante, avuto notizia della malformazione durante la gravidanza, ha deciso di non interromperla, verrebbe, infatti, ad affiancarsi quella in cui, pur sapendo della malformazione dell’embrione, la donna abbia comunque dato il suo assenso all’impianto.
Dalla lettura dei lavori preparatori non sembra, però, che il legislatore volesse creare una disciplina ad hoc per le fattispecie in cui la nascita è avvenuta grazie ad un Assisted Reproductive Treatment, bensì “to give children born as a result of these treatments the same rights against people who have caused him or her injury as a result of some default or negligence as those that have been given to children born naturally”[40]. Del resto la legge fa parola di disabilità che “results from an act or omission in the course of the selection”, quindi sembra riferirsi non ad una patologia di cui il medico doveva accorgersi in modo da non scegliere quell’embrione, bensì ad una malattia che trova la sua causa in un errore nella fase della selezione e in assenza del quale il bambino sarebbe nato sano[41]. Vale a dire la stessa ipotesi che, mutatis mutandis, è prevista nella Section 1(1) del Congenital Disabilities Act.
- Il pendule fra Cour de cassation, Loi «anti-Perruche» e Conseil constitutionnel
Anche nell’ordinamento francese ad innescare il dibattito è stata la richiesta di risarcimento del danno da “wrongful” life rivolta al potere giudiziario da una coppia di genitori in nome e per conto del figlio, nato con gravi handicap a causa della rosolia contratta dalla madre durante la gestazione e, però, non rilevata dal laboratorio presso cui la stessa si era rivolta con l’intento di interrompere la gravidanza ove gli esami avessero mostrato l’assenza di anticorpi alla malattia.
Sin dal giudizio di prime cure la domanda viene inquadrata nel contesto della responsabilità da inadempimento e, segnatamente, nello schema del contratto a favore di terzo previsto all’art. 1121 del Code. Esistendo un rapporto obbligatorio fra il medico e la gestante, la persona nata con malformazioni “se borne à faire valoir le fait de son inexécution, comme tout tiers peut invoquer la situation de fait constituée par le contrat, qu'il soit ou non exécuté“[42]. In questo modo, sulla scia di una legislazione in materia di aborto simile a quella inglese[43], ad essere in evidenza è l’inadempimento del sanitario, con il risultato che il problema della esistenza o meno del c.d. diritto di non nascere se non sano finisce in secondo piano.
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