Rifugiati nella Roma imperiale. Flavio Giuseppe, un sorvegliato speciale

Rifugiati nella Roma imperiale. Flavio Giuseppe, un sorvegliato speciale

30.08.2020

Alessandro Galimberti

Professore associato di Storia Romana

Università Cattolica del Sacro Cuore

 

Rifugiati nella Roma imperiale.

Flavio Giuseppe, un sorvegliato speciale*

 

English title: Refugees in the Roman Empire: Flavius Josephus under special surveillance

DOI: 10.26350/004084_000083

 

Sommario: 1. Un caso anomalo – 2. Il primo soggiorno romano – 3. Tra passato e futuro – 4. Da prigioniero a cittadino sorvegliato – 5. Tito e Domiziano.

 

1.       Un caso anomalo

 

Il caso di Flavio Giuseppe è particolare già a partire dal suo aspetto formale. Non so infatti quale sia la dicitura più appropriata per indicare il suo status a Roma: profugo, prigioniero, rifugiato. Per schiarirci le idee la prima cosa è dunque osservare da vicino la sua biografia, con una precauzione però: oltre alla Vita o Autobiografia (la cui composizione risale molto probabilmente al periodo successivo alla morte di Domiziano) e agli accenni presenti nel Bellum (la cui composizione risale alla fine del regno di Vespasiano)[1] le fonti esterne sulla vita del nostro storico sono molto scarse. L’unica notizia di rilievo è tramandata in modo pressoché concorde da Suetonio (Vesp. 5.6), Appiano (frg. 17) e Cassio Dione (76.1) che riferiscono la celebre profezia che Giuseppe fece a Vespasiano dopo la presa romana di Jotapata nel 67 circa il fatto che sarebbe diventato imperatore.

 

 

 

 

 

2.       Il primo soggiorno romano

 

Yosef ben Mattityahu[2] nacque in una data imprecisata tra il marzo del 37 e il marzo del 38 d.C. «nel primo anno del regno di Caligola». La famiglia era di antica origine sacerdotale. All’età di 14 anni il giovane Giuseppe dimostrò di possedere doti fuori dal comune, tanto da venire spesso avvicinato dai sommi sacerdoti e dai notabili di Gerusalemme per ascoltare il suo parere. Può darsi, come sostengono alcuni, che qui Giuseppe riprenda un topos biografico, come potrebbe suggerire l’accostamento con la vita di Gesù che a dodici anni fece il suo esordio nel Tempio[3] (Lc 2, 46-47). A me sembra tuttavia che l’accostamento sia incongruo, poiché nel vangelo la precocità di Gesù è un segno messianico, del tutto assente nella biografia di Giuseppe. A sedici anni Giuseppe si accostò alle tre principali correnti religiose del suo tempo per fare esperienza: Farisei, Sadducei, Esseni, per poi mettersi sulle orme di un “profeta”, un tale Banno che «che si vestiva con quanto ricavava dagli alberi e si cibava di ciò che cresceva spontaneamente, facendo di giorno e di notte frequenti abluzioni con acqua fredda a scopo purificatorio» (Vita 11). Tre anni dopo era di nuovo a Gerusalemme.

 

Compiuti i ventisei anni, mi capitò di andare a Roma per la ragione che dirò. All’epoca in cui Felice era procuratore della Giudea (scil. tra il 52 e il 60 d.C.), alcuni sacerdoti di mia conoscenza, persone rispettabili, furono inviati prigionieri a Roma per una ragione futile e occasionale, per rendere conto a Cesare. Volendo trovare un mezzo per liberarli, e avendo saputo in particolare che, pur essendo in angustie, non avevano dimenticato i loro doveri verso la divinità, ma si cibavano di fichi e noci, arrivai a Roma dopo aver corso molti pericoli per mare. Affondata infatti la nostra nave in mezzo all’Adriatico, nuotammo in circa seicento per tutta la notte, finché allo spuntare del giorno ci apparve mandata da Dio una nave da Cirene. Io e alcuni altri, un’ottantina in tutto, preceduti gli altri, fummo issati sulla nave. Giunto sano e salvo a Dicearchia, che gli Italiani chiamano Puteoli, strinsi amicizia con Alituro, un mimo particolarmente caro a Nerone, di origine giudaica. Presentato da lui a Poppea, la moglie di Cesare provvidi subito a pregarla di liberare i sacerdoti. Ricevuti da Poppea, oltre a questo favore, grandi doni, me ne tornai in patria (Vita 13-16).

 

Questo primo soggiorno romano[4] avvenuto presumibilmente tra il 63 (o il 64) e il 66, vale a dire al tempo di Nerone, è di fondamentale importanza[5]. Al di là delle circostanze romanzesche, Giuseppe ebbe modo di entrare in contatto da subito con la corte imperiale grazie ai buoni uffici di Alituro che lo mise in contatto con Poppea, moglie di Nerone, che era una simpatizzante del giudaismo se non addirittura una proselita (θεοσεβς)[6]. Colpisce la durata del soggiorno di Giuseppe a Roma: due, se non addirittura tre anni, se accettassimo la cronologia più alta. Ciò gli consentì molto probabilmente di entrare in familiarità con i circoli ebraici della capitale ove potrebbe aver conosciuto Alituro (sebbene nella Vita Giuseppe affermi di averlo conosciuto a Pozzuoli, non si può escludere che quello fosse stato soltanto il primo contatto tra i due e che la vera e propria amicizia sia maturata in seguito a Roma). La missione ebbe successo poiché i sacerdoti giudaici furono rilasciati e Giuseppe fu onorato con dei doni.

Durante la sua permanenza Giuseppe ebbe inoltre modo di rendersi conto della grandezza della potenza dominante, alle cui ragioni, come vedremo, farà appello il re Agrippa II in un accorato appello ai suoi compatrioti alla vigilia della guerra. È chiaro però che il protrarsi del soggiorno a Roma sino alla primavera del 66 rappresenta un momento cruciale della sua esistenza poiché in Giudea proprio nell’aprile-maggio di quell’anno era iniziata la grande rivolta contro Roma. Secondo quanto scrive a più riprese nella Vita (§§ 17 e 29) Giuseppe era stato costretto a schierarsi coi rivoltosi assumendo un atteggiamento moderato: prima aveva cercato di calmare i sediziosi e di persuaderli a cambiare idea poi, dopo la vittoria su Cestio Gallo, che aveva acceso le speranze dei vincitori, si era adoperato – insieme ad altri due sacerdoti (Gioazaro e Giuda) perché deponessero le armi e le tenessero in serbo per altri momenti. C’è da dire poi che ad una scelta moderata potrebbe far pensare anche il successo della missione romana: intendo dire che il nostro storico, constatata la potenza di Roma nonché la buona accoglienza ricevuta, coronata da un notevole successo diplomatico, potrebbe essere stato indotto a sedare gli spiriti ribelli che avrebbero condotto allo scontro con Roma e dunque alla catastrofe. Bisogna però anche tener conto che Giuseppe, scrivendo la Vita negli anni 90 del primo secolo in risposta alle pesanti accuse di Giusto di Tiberiade, aveva la necessità di giustificare il suo passato di ribelle edulcorandolo il più possibile[7].

 

  1. Tra passato e futuro

 

Di fatto Giuseppe aveva assunto il comando della regione della Galilea che aveva avuto il compito di organizzare militarmente (oppure, come egli stesso afferma nella Vita, di pacificare) in vista dell’attacco romano. Ecco perché il nucleo incandescente della biografia, ma anche della riflessione politico-storiografica di Giuseppe, è senz’altro l’anno 67. Qui avviene l’episodio centrale, la μεταβολή che modificò radicalmente il suo destino. Secondo quanto afferma egli stesso durante l’assedio di Iotapata, quando nella primavera del 67 Vespasiano investì con tutta la forza del suo esercito la Galilea, la situazione gli si presentò in tutta la sua drammatica chiarezza, rendendogli evidente la necessità di cambiare rotta. La durezza dell’assedio e dei combattimenti attorno a Iotapata spinsero i compagni di Giuseppe a proporre di suicidarsi piuttosto che consegnarsi ai Romani. Giuseppe tuttavia, dopo aver cercato invano di persuadere i suoi connazionali ad evitare il suicidio, propose in alternativa la possibilità che, a turno, ognuno di loro togliesse la vita all’altro; con un particolare e complesso stratagemma riuscì a fare in modo da restare l’ultima persona in vita del gruppo di ribelli e, invece di uccidersi, si consegnò ai Romani. A questo punto Giuseppe fu condotto davanti a Vespasiano (e a suo figlio Tito Cesare) al quale profetizzò che sarebbe divenuto imperatore. Vespasiano non mise in libertà Giuseppe, ma gli fece dono di una veste e di altri oggetti di valore, trattandolo con riguardo anche per le amichevoli pressioni di Tito (Bellum 3, 400-402)[8].

Per comprendere appieno le ragioni di questa μεταβολή è utile prendere in considerazione il discorso che il re di Giudea Agrippa II rivolse ai rivoltosi alla vigilia della guerra, mostrando loro come il corso della storia avesse mutato direzione e ora la Τύχη si fosse traferita a Roma. Agrippa sapeva bene di cosa parlava, poiché aveva avuto occasione di soggiornare a Roma alla corte di Caligola con il quale il padre Agrippa I aveva intrattenuto un lungo rapporto di amicizia. È forse superfluo aggiungere che le parole di Agrippa II rispecchiano il pensiero di Giuseppe. Semmai la discussione potrà concentrarsi circa il grado di rielaborazione che Giuseppe ne fece alla luce di quello che avvenne dopo, vale a dire la disfatta giudaica e la distruzione del Tempio.

Agrippa ritiene che la Fortuna (Τύχη) abbia abbandonato il popolo giudaico e si sia schierata coi Romani che hanno conquistato il dominio del mondo attraverso le loro conquiste. La rivolta è dunque irrazionale poiché si ha di fronte la maggior potenza mondiale dotata di un apparato militare invincibile[9]. I torti compiuti dai governatori Romani non sono tali da permettere di scatenare una guerra. Essi poi in ultima analisi sono solo un pretesto poiché la vera ragione, l’aspirazione al recupero della libertà e dell’indipendenza sono irraggiungibili.

Se giustamente, a più riprese, si è parlato di tradimento della causa ebraica a favore di quella romana da parte del nostro storico[10], bisogna anche rimarcare che nelle parole di Agrippa sussistono, a mio avviso, le autentiche premesse ideologiche della μεταβολή di Giuseppe.

In tal modo possiamo inquadrare meglio anche lo sviluppo successivo della biografia del nostro storico, cogliendo in alcuni momenti più significativi le ragioni di fondo del suo comportamento. La domanda a cui tenteremo di rispondere sarà dunque la seguente: quale fu la sorte e il ruolo di Giuseppe a Roma sotto i Flavi?

 

4.      Da prigioniero a cittadino sorvegliato

 

Una volta consegnatosi a Vespasiano, Giuseppe rimase prigioniero dei Romani per almeno due anni e non raggiunse Roma prima del 71[11]. Egli dovette assistere come prigioniero alla proclamazione di Vespasiano ad imperatore ad Alessandria nel luglio del 69 ad opera delle legioni d’Egitto. Una volta giunto a Roma Vespasiano lo trattò con molto riguardo (Vit. 423):

 

Mi fece alloggiare nella casa che era stata la sua prima della dignità imperiale, mi onorò concedendomi la cittadinanza romana e mi assegnò una rendita in denaro: continuò ad onorarmi fino al momento della sua dipartita, senza mai diminuire in nulla la sua benevolenza nei miei confronti.

 

La profezia di Giuseppe a Iotapata poteva senz’altro essere stata utile a Vespasiano per alimentare la sua personale propaganda. La diffusione di omina imperii da parte degli stessi interessati era una prassi molto comune. Ciò peraltro gli fruttò nell’immediato una ricompensa da parte di Vespasiano, grazie ai buoni uffici di Tito, con il quale Giuseppe aveva stabilito da subito eccellenti rapporti: si legge infatti in Bellum 3.408 che «Vespasiano non mise in libertà Giuseppe, ma gli fece dono di una veste e di altri oggetti di valore[12] trattandolo con simpatia e riguardo, anche per le amichevoli pressioni di Tito».

Possiamo poi facilmente ipotizzare che il regime di detenzione al quale fu sottoposto Giuseppe dovette essere blando o comunque tutt’altro che severo. Apprendiamo infatti dallo stesso Giuseppe (Vita 414) che ebbe modo di frequentare una donna, anch’ella prigioniera, e quindi di sposarla: il matrimonio però durò pochissimo se è vero che, giunto ad Alessandria, si risposò; questa volta con una giudea di Creta da cui ebbe ben tre figli (due dei quali morirono in giovanissima età). Sappiamo infine che al momento della composizione della Vita rimaneva in vita un solo figlio maschio di nome Ircano (Vit. 426).

Questa vita privata così movimentata è segno che la sorveglianza a cui Giuseppe era sottoposto non doveva essere tanto opprimente. Sembra di capire che egli vivesse in una situazione di contubernium. Giuseppe insomma godeva di uno status di sorvegliato speciale, con ampi margini di libertà, anche perché poteva tornare utile a Vespasiano: oltre che come agente della sua propaganda, anche come fonte di informazioni sui Giudei. Vale la pena notare che il nostro storico, che aveva un assoluto bisogno di tenere il più lontano possibile da sé l’accusa di viltà e di tradimento – accusa che peraltro, in considerazione delle responsabilità militari che gli erano state affidate[13], era doppiamente grave - si autodefinisce «non un traditore ma un servitore (διάκονος) (scil. di Vespasiano)» (BI 3.354). Spesso si è definita questa autoinvestitura come “profetica”.

Già per la prima parte del discorso questa etichetta non è del tutto appropriata, se è vero che Vespasiano aveva già ricevuto simile “profezie” anche da Rabbi Johanan Ben Zakkai (b. Gittin 56 a-b). Forse sarebbe meglio osservare l’abile gioco di sponda con la propaganda imperiale (i già accennati omina imperii) più che rimarcare l’esclusivo valore profetico di queste testimonianze. Nel passaggio finale del discorso di Giuseppe a Vespasiano c’è poi ben poco di profetico. A me sembra insomma che Giuseppe volesse presentare il suo ruolo di informatore dei Romani conferendogli una carisma che a tutti gli effetti non aveva, ma che faceva gioco di fronte all’accusa di tradimento. L’essere passato al nemico implicava anche da parte romana una certa dose di sospetto e il ruolo affidatogli – quello di informatore – non poteva certo essere propalato ingenuamente. Anche Vespasiano sarebbe stato ben disposto, oltre che per le ragioni propagandistiche a cui si è accennato, ad accettare l’autoinvestitura di Giuseppe in quanto non gli arrecava alcun impaccio. Del resto διάκονος poteva valere come un più moderato “collaboratore”[14].

Che questo fosse il suo ruolo è mostrato in modo palmare da quanto dice Giuseppe stesso nel quinto libro del Bellum (§§ 360-361)[15] a proposito delle trattative che Tito, durante l’assedio di Gerusalemme, cercò di intavolare coi ribelli per persuaderli ad un’onorevole resa. Scrive Giuseppe:

Tito, ben sapendo che la conservazione o la distruzione della città avrebbe avuto per lui un’importanza ben diversa, mentre proseguiva nelle operazioni d’assedio non tralasciava di esortare i Giudei a riflettere; alternava all’azione i consigli, nella convinzione che spesso con una parola si conclude più che con le armi, e non solo li invitò personalmente a salvarsi consegnando la città che ormai era persa, ma inviò anche Giuseppe a parlamentare nella loro lingua, pensando che quelli si sarebbero lasciati persuadere da un connazionale.

 

Gli argomenti utilizzati da Giuseppe sono peraltro gli stessi che troviamo nel discorso di Agrippa (§§ 362-367):

 

Giuseppe […] scongiurò lungamente i Giudei di risparmiare se stessi e il popolo, di risparmiare la patria e il Tempio, e di non nutrire per tutto ciò un’indifferenza maggiore di quella degli stranieri. I Romani, pur non avendovi alcun interesse, rispettavano i luoghi sacri dei nemici e fino allora non li avevano toccati; invece si adoperavano per la loro distruzione essi che vi erano cresciuti in mezzo e che da soli avrebbero continuato a goderne il possesso se si fossero salvati. Eppure vedevano che i due muri più forti erano stati abbattuti e che ne rimaneva uno più debole di quelli già espugnati; conoscevano la forza invincibile dei Romani e avevano già fatto esperienza di ubbidire a loro. Certamente era bello combattere per la libertà, ma bisognava farlo al principio; ora, una volta sottomessi e rimasti soggetti per tanto tempo, voler scuotere il giogo non era da persone amanti della libertà, ma da persone che volevano fare una brutta fine. Si dovevano certo disprezzare dei padroni di poco conto, ma non quelli che dominavano il mondo intero. Che cosa era rimasto fuori dell’impero romano se non qualche landa desolata per il troppo caldo o per il troppo freddo? La fortuna era passata dappertutto dalla loro parte, e il dio che a turno assegna il comando fra le nazioni si era ora fermato in Italia.

 

5.   Tito e Domiziano

 

Ora, proprio il rapporto con Tito, ancor più che con Vespasiano – al quale pure doveva la libertà - appare cruciale nella biografia di Giuseppe[16]. Il periodo in cui maturò più da vicino la conoscenza di Tito coincide peraltro con il momento in cui Vespasiano dovette lasciare la Giudea per recarsi a Roma.

Di fronte all’insistente invito di Tito durante la caduta di Gerusalemme (Vita 417-418) di impadronirsi di ciò che voleva, Giuseppe oppose il suo rifiuto chiedendo solo i sacri testi e la liberazione di un cospicuo numero di correligionari. È evidente la preoccupazione del nostro storico di presentarsi come un buon giudeo e, come è stato ipotizzato da più parti[17], di difendersi da pesanti accuse circa il suo comportamento in un simile frangente. Peraltro questo episodio serviva a Giuseppe per rafforzare il suo profilo profetico, come parrebbe suggerire l’accostamento ad un analogo episodio occorso al profeta Geremia[18] in un passo delle Antichità Giudaiche (10.158), quando chiese a Nabuzardane, generale babilonese, di liberare il suo discepolo Baruch.

Tito peraltro concesse anche la liberazione del fratello di Giuseppe e di cinquanta suoi amici nonché la concessione di un nuovo appezzamento di terra in Giudea, poiché quello che già gli era stato donato da Vespasiano era stato occupato dalle legioni che si erano accampate non lontano da Gerusalemme.

Ciò che infine testimonia il saldo legame che univa il figlio di Vespasiano a Giuseppe è il fatto che Tito lo difese sempre – come del resto già aveva fatto Vespasiano stesso – dai frequenti attacchi che venivano non solo da parte giudaica ma anche da parte romana, poiché sia i Giudei che i Romani a lui ostili additavano in lui il prototipo del traditore che andava punito (Vita 416).

Da Vespasiano e da Tito (ma soprattutto da quest’ultimo) infine Giuseppe ebbe l’approvazione del Bellum. Studi recenti hanno giustamente messo in luce come sia quantomeno riduttivo affermare che il Bellum sia unicamente opera tesa ad assecondare la propaganda flavia. Aggiungo che il ritratto di Tito del Bellum è tutt’altro che monoliticamente positivo, poiché Giuseppe non gli risparmia alcune critiche circa la ferocia da lui esercitata contro alcuni Giudei durante la guerra.

Più problematici, anche se non ostili, dovettero essere invece i rapporti di Giuseppe con l’ultimo dei Flavi, Domiziano. Bisogna innanzitutto ricordare che questi amava vivere appartato, lontano da Roma presso la sua Villa ad Albano e dunque le occasioni di incontrarlo non erano molto frequenti. Insieme ad altri nelle sue condizioni Giuseppe molto probabilmente beneficiò del rescritto di Domiziano all’inizio del regno con cui si confermavano le donazioni di Vespasiano e Tito[19]. Di più: pare che il nostro storico avesse ottenuto l’esenzione fiscale per i terreni da lui posseduti in Giudea e che anche Domiziano gli avesse garantito la sua protezione dalle accuse che da più parti lo colpivano. Peraltro abbiamo notizia del fatto che anche Domizia, moglie di Domiziano, aveva continuato a garantire la sua protezione a Giuseppe (molto probabilmente dopo la dipartita dello stesso Domiziano).

Ciò che spesso è stato messo in luce è che sotto Domiziano il giudaismo non godeva dei favori dell’imperatore. Anzi. Egli aveva rafforzato i controlli fiscali attorno al giudaismo. Suetonio (Domit. 12, 2) racconta di essere stato testimone da giovane di una perquisizione di un vecchio novantenne per controllare se fosse circonciso al fine di riscuotere la tassa del fiscus Iudaicus. Sebbene l’episodio possa essere definito non più che un fatto di cronaca spicciola, esso rivela quantomeno uno stato di tensione tra l’imperatore e i Giudei. Tuttavia la severità di Domiziano deve essere molto probabilmente inquadrata soltanto nella cornice della questione del fiscus Iudaicus.Egli infatti impose la tassa a quanti vivevano secondo costumi giudaici e a quanti intendevano celare le loro origini giudaiche: la determinazione dell’imperatore nel riscuotere la tassa non deve dunque essere scambiata per una persecuzione. A mio avviso all’origine di questa determinazione si possono trovare almeno due motivi: da una lato la volontà di non tradire il più grande successo ottenuto da Vespasiano e Tito (la guerra giudaica e la conseguente istituzione del fiscus Iudaicus), dall’altra la possibilità di assicurarsi un entrata certa per le casse imperiali, dal momento che il proselitismo giudaico trovava diffusione tra i ceti elevati[20].

Fin qui quello che si può ricavare dalla biografia di Giuseppe per quanto concerne il rapporto con gli imperatore Flavi. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte il bilancio è senz’altro positivo: Giuseppe passò dalla condizione di prigioniero a quella di libero cittadino; mantenne buoni rapporti con tutti gli imperatori Flavi che ebbero per lui sempre un occhio di riguardo, difendendolo tutti dalle accuse a cui era sovente colpito, come lo stesso Giuseppe ha modo di riconoscere a più riprese nelle sue opere. Resta infine da chiedersi quale furono i rapporti di Giuseppe a Roma con i suoi contemporanei.

Diciamo subito che egli era senz’altro una personalità molto discussa e tale appariva ai suoi contemporanei. I moderni sono divisi tra quanti ritengono che Giuseppe fosse sostanzialmente un isolato e quanti invece pensano che egli fosse in contatto con l’élite del tempo[21].

Un approccio più misurato, come è stato recentemente tentato da più parti[22], suggerisce invece che Giuseppe ebbe modo di frequentare alcuni settori della società del suo tempo e godere di una certa stima diffusa. In particolare sono state valorizzate alcune testimonianze dello stesso Giuseppe che ci assicurano che egli era un autorevole esponente della comunità ebraica romana e che attraverso i suoi legami matrimoniali mantenne importanti contatti con le comunità della Diaspora[23].

Vero è però che dopo la fine della relazione di Tito con la principessa giudaica Berenice, la quale fu costretta a lasciare Roma dopo avervi soggiornato per alcuni anni (vi era giunta probabimente nel 75), le cose iniziarono a cambiare per la comunità giudaica di Roma: Agrippa negli ambienti romani veniva considerato comunque un ‘barbaro’ nonostante fosse nato a Roma, discendesse da una dinastia in possesso della cittadinanza romana da cinque generazioni, detenesse gli ornamenta praetoria e avesse fatto parte dell’entourage ristretto di Tito per tutto il corso della guerra giudaica[24]. Nonostante l’improvvisa morte di Tito nell’ 81 e il venir meno della dinastia di Erode in Giudea, la condizione di Giuseppe e della sua famiglia non dovette subire alcun contraccolpo dal momento che Domiziano gli confermò i benficia e la sua protezione. Purtuttavia è vero che con Domiziano furono posti sotto osservazione quanti adottavano comportamenti ‘giudaizzanti’. È in questo clima cioè che Giuseppe inizia a scrivere le Antichità Giudiache nel tentativo di difendere il popolo ebraico narrandone la più antica storia e le altrettanto millenarie tradizioni, vale a dire rivendicando sinanco ai suoi giorni la sua insopprimibile originalità rispetto al sistema culturale e valoriale dominante.

 

Abstract: The paper traces the biography of Flavius Josephus in his discriminating moments, especially at the time of his passage to the Romans. Josephus passed from the state of prisoner to that of ‘special supervised’ and then to that of free citizen and managed to enjoy the protection of the Flavian emperors by skilfully exploiting this privileged position.

 

Keywords: Flavius Josephus, Flavian Emperors, Jews


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] Sulla prima guerra giudaica cfr. M. Hadas-Lebel, Jérusalem contre Rome, Paris 1990; D. Mendels, The rise and Fall of Jewish Nationalism, New York 1992; M. Goodman, Rome and Jerusalem: the clash of Ancient Civilization, London 2007; M. Popovic (ed.), The Jewish Revolt against Rome: Interdisciplinary Perspectives, Leiden 2011; G. Labbe, L’affirmation de la puissance romaine en Judée, 63 a.C.-136 p.C., Paris 2012; S. Mason, An History of the Jewish War (A.D. 66-74), New York 2016.

[2] Cfr. J. Edmondson, From Yoseph ben Mattityahu to T. Flavius Josephus, in J. Edmondson - S. Mason - J. Rives (eds.), Flavius Josephus and Flavian Rome, Oxford 2005, pp. 1-33.

[3] P. Bilde, Flavius Josephus between Jerusalem and Rome, Sheffield 1988; M. Hadas-Lebel, Flavius Josèphe. Le Juif de Rome, Paris 1989; S. Schwartz, Jospehus and Judean Politics, Leiden-New York 1990; L. H. Feldman, Josephus (ce 37- c. 100), in W. Horbury – W. D. Davies – J. Sturdy (eds.), The Cambridge History of Judaism, 3. The Early Roman Period, Cambridge - New York 1999, pp. 901-921. Sulla biografia di Flavio Giuseppe si veda almeno T. Rajak, Josephus: the historian and his society, London 2003; S. J. D. Cohen, Josephus in Galilee and Rome. His Vita and development as a Historian, Boston-Leiden 2002; U. Rappaport, Josephus’ Personality and the Credibility of his Narrative, in Z. Rodgers (ed.), Making History. Josephus and Historical Method, Leiden-Boston 2007, pp. 68-81; D. Seward, Jerusalem’s Traitor. Josephus, Masada and the fall of Judaea, Cambridge (MA) 2009; W. den Hollander, Josephus, the emperors, and the city of Rome: from hostage to historian, Leiden-Boston 2014.

[4] Su cui si veda W. Bohrmann, Le voyage à Rome de Flavius Josephus (Vita, 13-16), in J. U. Kalms – F. Siegert (eds.), Internationale Josephus-kolloquium, Bruxelles 1998, Münster 1999, pp. 222-229.

[5] Lo ha giustamente ben messo in luce di recente W. den Hollander, Josephus, the emperors, cit.,pp. 1-67.

[6] Ant. Iud. 20, 195.

[7] E. Migliario, Per l’interpretazione dell’Autobiografia di Flavio Giuseppe, in Athenaeum, 59 (1981), pp. 92-137, che ben valorizza gli aspetti polemici dell’Autobiografia e sulla natura autoapolgetica dello scritto. Questi aspetti appaiono particolarmente marcati nella descrizione dei suoi rapporti con Tito, su cui cfr. infra.

[8] «E quando Vespasiano ebbe allontanato tutti gli altri tranne il figlio Tito e due amici così gli parlò: ‘Tu credi, Vespasiano, di aver preso con Giuseppe soltanto un prigioniero, mentre io sono qui per annunziarti un più radioso futuro; se non avessi avuto questo incarico dal dio, ben sapevo la legge dei Giudei e come debbono morire i comandanti. Mi mandi a Nerone? E perché? Quanto dureranno ancora Nerone e i successori di Nerone prima di te? Tu, Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio. Fammi ora legare ancor più forte e custodiscimi per te stesso; perché tu, Cesare, non sei soltanto il mio padrone, ma il padrone anche della terra e del mare e di tutto il genere umano, e io chiedo di essere punito con una prigionia più rigorosa se sto scherzando finanche con dio’». Per la sterminata bibliografia su questa profezia mi limito a rinviare a T. Rajak, Josephus,cit., pp. 185-194; P. Bilde, Flavius Josephus, cit., pp. 50-52; S. Mason, Josephus, Daniel and the Flavian House, in F. Parente – J. Sievers (eds.), Josephus and the History of the Graeco-Roman Pariod, Leiden 1994, pp. 161-191, soprattutto pp. 184-190. Su Giuseppe come ‘profeta’ si veda R. Gray, Prophetic Figures in Late Second Temple Jewish Palestine. The Evidence from Jospehus, New York 1993; N. Kelley, The Cosmopolitan Expression of Josephus. Prophetic Perspective in the Jewish War, in Harvard Theological Review, 97 (2004), pp. 257-274; L. H. Feldman, Prophets and Prophecy in Jospehus, in M. Floyd – R. D. Haak (eds.), Prophets, Prophecy and Prophetic Texts in Second Temple Judaism, New York 2006, pp. 210-239; L. L. Grabbe, Thus spoke the Prophet Josephus: the Jewis Historian on prophets and Prophecy, in ibid., pp. 240-247; T. M. Jonquiere, Josephus at Jotapata. Why Josephus wrote what he wrote, in J. Pastor – P. Stern – M. Mor (eds.), Flavius Josephus. Interpretation and History, Leiden-Boston 2011, pp. 217-225.

[9] Si veda BI 3, 70-109, su cui E. Gabba, L’impero romano nel discorso di Agrippa II (Ioseph., B.I. II, 345-401), in Rivista Storica dell’Antichità, VI-VII (1977), pp. 189-194.

[10] Su tutti P. Vidal-Naquet, Il buon uso del tradimento. Flavio Giuseppe e la guerra giudaica, trad. it., Roma 1980.

[11] Sulla prigionia a Roma cfr. W. Bohrmann, Le voyage à Rome, cit., pp. 225-229;W. den Hollander, Josephus, the emperors, cit.,pp. 69-91 e J.-U. Krause, Gefängnisse im Römischen Reich, Stuttgart 1996.

[12] W. den Hollander, Josephus, the emperors, cit.,pp. 79-80 ritiene che gli oggetti di valore donati da Vespasiano a Giuseppe siano da identificare con alcuni oggetti provenienti dal tesoro del Tempio incendiato da Tito. Al di là del fatto che l’incendio del Tempio è di gran lunga successivo alla presa di Iotapata, non credo in ogni caso che Giuseppe avrebbe accettato a cuor leggero i doni di Vespasiano, correndo il rischio di rafforzare le accuse di tradimento che già gli piovevano addosso dai suoi connazionali.

[13] G. Jossa, Josephus’ Action in Galilee during the Jewish War, in F. Parente – J. Sievers (eds.), Josephus and the History of the Graeco-Roman Period, Leiden 1994, pp. 265-278.

[14] Cfr. D. Peretz, The Roman Interpreter and his Diplomatic and Military Roles, Historia 55 (2006), pp. 451-470.

[15] Su ciò cfr. M. Hadas-Lebel, Flavius Josèphe, cit., pp. 184-188.

[16] Si veda J. S. McLaren, Josephus on Titus. The Vanquished Writing about the Victor, in J. Sievers – G. Lembi (eds.), Josephus and the Jewish History in Flavian Rome and Beyond, Leiden-Boston 2005, pp. 279-295.

[17] Cfr. da ultimo W. den Hollander, Josephus, the emperors, cit.,p. 164.

[18] Su Giuseppe e Geremia cfr. S. J. D. Cohen, Josephus, Jeremiah and Polybius, in History and Theory, 21 (1982), pp. 366-381.

[19] Dio 67, 2, 1-2: «Sebbene questo fosse stato il suo comportamento per l'intera durata del suo impero, passò completamente il segno quando cominciò a far cadere in disgrazia e a togliere di mezzo gli amici di suo padre e di suo fratello. Per la verità, aveva divulgato un rescritto con cui confermava la legittimità di tutte le donazioni concesse ad alcuni da parte loro e da parte di altri imperatori.

Tuttavia questa iniziativa serviva solo come pretesto di facciata. In realtà odiava suo padre e suo fratello perché non si erano mostrati accondiscendenti nei riguardi di tutte le sue richieste, molte delle quali erano fuori luogo, ed inoltre perché avevano goduto di una certa considerazione; pertanto considerava suo nemico chiunque fosse stato legato a loro per ragioni di affetto e che da loro avesse ottenuto una particolare influenza».

[20]A. Galimberti, The Emperor Domitian, in A. Zissos (ed.), A Companion to the Flavian Age, Malden 2016, pp. 100-101.

[21]Z. Yavetz, Reflections on Titus and Josephus, GRBS16 (1975), pp. 411-432; H. M. Cotton – W. Eck (eds.), Josephus’ Roman Audience: Josephus and the Roman Elites, in J. Edmondson – S. Mason – J. Rives (eds.), Flavius Josephus and Flavian Rome, Oxford 2005, pp. 37-52 (un isolato); M. Goodman, Josephus as Roman Citizen, in F. Parente – J. Sievers (eds.), Josephus and the History of the Greco-Roman period. Essays in memory of Morton Smith, Brill 1994, pp. 329-338; S. Mason, Of Audience and Meaning: Reading Josephus’ Bellum Judaicum in the Context of a Flavian Audience, in J. Sievers – G. Lembi (eds.), Josephus and the Jewish History in Flavian Rome and Beyond, Leiden-Boston 2005, pp. 71-100.

[22] E. Migliario, Da Yosef ben Mattithyau a T. Flavius Iosephus, o dei limiti dell’integrazione, in G. Urso (ed.), Iudaea Socia – Iudaea Capta, Pisa 2012, pp. 213-228; W. den Hollander, Josephus, the emperors, cit.,pp. 252-304.

[23] BI 7.447: «Ad evitare, poi, che Giudei di altri paesi potessero comprovare la sua iniquità, allargò il raggio delle sue false accuse e convinse Gionata e alcuni altri che erano stati arrestati con lui a denunziare come cospiratori le più importanti personalità giudaiche di Alessandria e di Roma. Uno di quelli che vennero accusati ingiustamente fu Giuseppe, l’autore di questa storia». Per il ruolo di Giuseppe e la sua importanza cfr. G. Bowersock, Foreign Elites at Rome, inJ. Edmondson – S. Mason – J. Rivers, Flavius Josephus and Flavian Rome, New York 2005, pp. 53-62.

[24] E. Migliario, Da Yosef ben Mattithyau, cit.,pp. 224-225.

Galimberti Alessandro



Download:
7 Galimberti.pdf
 

Array
(
    [acquista_oltre_giacenza] => 1
    [codice_fiscale_obbligatorio] => 1
    [coming_soon] => 0
    [disabilita_inserimento_ordini_backend] => 0
    [fattura_obbligatoria] => 1
    [fuori_servizio] => 0
    [has_login] => 1
    [has_messaggi_ordine] => 1
    [has_registrazione] => 1
    [homepage_genere] => 0
    [insert_partecipanti_corso] => 0
    [is_ordine_modificabile] => 1
    [moderazione_commenti] => 0
    [mostra_commenti_articoli] => 0
    [mostra_commenti_libri] => 0
    [multispedizione] => 0
    [pagamento_disattivo] => 0
    [reminder_carrello] => 0
    [sconto_tipologia_utente] => carrello
)

Inserire il codice per attivare il servizio.