fbevnts Legal nature and effects of the payment block pursuant art. 48 bis of the Presidential Decree n. 602/73

Natura ed effetti della sospensione dei pagamenti di cui all’art. 48 bis del d.P.R. n. 602/73

24.02.2019

M.G. Ortoleva

Ricercatore di Diritto tributario, Università degli Studi di Verona

 

Natura ed effetti della sospensione dei pagamenti di cui all’art. 48 bis del d.P.R. n. 602/73*

 

Legal nature and effects of the payment block pursuant art. 48 bis of the Presidential Decree n. 602/73

 

Sommario: I caratteri del blocco: affinità e differenze rispetto al fermo amministrativo generale ex art. 69 del r.d. n. 2440/1923 - 2. La natura e la funzione del blocco dei pagamenti secondo la dottrina - 3. I caratteri e i presupposti delle misure cautelari di diritto comune - 4. … e delle misure cautelari della pubblica amministrazione - 5. La natura cautelare della sospensione dei pagamenti di cui all’art. 48 bis d.p.r. n. 602/73 - 6. Le forme di tutela avverso il blocco dei pagamenti - 6.1… quella amministrativa - 6.2… e quella giurisdizionale.

 

1. I caratteri del blocco: affinità e differenze rispetto al fermo amministrativo generale ex art. 69 del R.D. n. 2440/1923.

 

Nell’ambito di una più ampia riforma dell’attività esattiva, posta in essere in tempi relativamente recenti al fine di ridurre l’evasione da riscossione[1], il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre una nuova ed ulteriore[2] forma di sospensione dei pagamenti di cui risultano destinatari i creditori/debitori di enti appartenenti alla pubblica amministrazione, la quale al pari di misure coeve sembra derogare a principi e regole di «civiltà giuridica ed equilibrata composizione di interessi elaborati negli altri rami del diritto»[3].

Ci si riferisce all’istituto del blocco dei pagamenti della pubblica amministrazione disciplinato dall’art. 48 bis del d.p.r. n. 602/73 il quale, nell’attuale formulazione e dopo reiterate modifiche[4], impone alle amministrazioni pubbliche (di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)[5] e alle società a prevalente partecipazione pubblica – «prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a cinquemila euro» – di accertare che il beneficiario sia «inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo» e, qualora l’esito di detta verifica sia positivo, di sospendere il pagamento (per sessanta giorni) e segnalare «la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo»[6].

Detta misura sembra di primo acchito finanche più incisiva del risalente istituto del fermo amministrativo generale di cui all’art. 69, co. 6, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440[7], non solo perché è fisiologicamente finalizzata al soddisfacimento del credito iscritto a ruolo in un brevissimo lasso temporale, ma anche a causa delle evidenti patologie della disciplina nella quale si predilige la celerità del risultato a discapito di quell’ordito di garanzie e diritti che devono essere riconosciuti ai destinatari di misure che comprimono la  loro sfera giuridica.

Il regolamento di attuazione della disciplina di cui all’art. 48 bis configura infatti la misura come esclusivamente strumentale al pignoramento speciale ex art. 72 bis del d.P.R. 602/73[8], ma non prevede alcun obbligo di comunicare al destinatario l’avvenuta sospensione. Con il risultato che il creditore di una p.a., il quale è al contempo inadempiente all’obbligo di versamento di somme recate da cartelle di pagamento o avvisi di accertamento immediatamente esecutivi, può subire in termini assai rapidi la sospensione del pagamento ed il successivo pignoramento speciale (del proprio credito) senza averne alcuna contezza[9].

Queste peculiarità e in primis la posizione di supremazia che per effetto di questa disciplina è attribuita nella fase della riscossione delle somme iscritte a ruolo agli enti creditori[10] inducono a ricercare un inquadramento sistematico dell’istituto, anche al fine di appurare se esista una giustificazione a siffatta compressione dei diritti del debitore/ destinatario[11].

A questo scopo sembra innanzitutto opportuno mettere a fuoco le affinità e le differenze che intercorrono fra il fermo amministrativo generale e il blocco dei pagamenti e verificare se quest’ultimo possa di fatto avere circoscritto l’ambito di applicazione del primo[12], se  il rapporto fra i due possa essere ricostruito [come osservato da taluna dottrina] in termini di genus a species[13] e se le soluzioni maturate per colmare il deficit di tutela inizialmente connesso al fermo amministrativo possano valere anche per l’istituto in esame.

Molteplici sono le questioni che nel corso degli anni – anche in ragione della stringatezza del dato normativo – si sono poste con riguardo al fermo: dall’identificazione delle amministrazioni legittimate ad adottarlo fino ad arrivare all’individuazione della giurisdizione.

Muovendo dai risultati raggiunti dalla dottrina[14]e dalla giurisprudenza è agevole osservare che i suddetti istituti differiscono tanto sul piano dei soggetti e dei presupposti quanto sotto il profilo procedurale.

Innanzitutto – mentre ai sensi dell’art. 69 soltanto le amministrazioni dello Stato in senso stretto (ivi incluse le Agenzie fiscali)[15] sono legittimate a chiedere ad altra amministrazione dello Stato la sospensione del pagamento delle somme da questa dovute[16] – possono beneficiare del blocco previsto dall’art. 48 bis tutti gli enti pubblici relativamente alle entrate riscosse a mezzo ruolo[17] e, dunque, ad esempio, e a tacer d’altro, le Regioni, le Provincie, i Comuni.

Alla stessa stregua i soggetti debitori in capo ai quali è posto l’obbligo di avviare il procedimento (dal quale può scaturire il provvedimento di sospensione) sono non solo le amministrazioni statali, ma tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165[18] e finanche le società a prevalente partecipazione pubblica[19].

A fronte di questa maggiore ampiezza della misura in esame sotto il profilo soggettivo, più rigorosi sono i presupposti oggettivi necessari per la sua adozione.

Nel caso della sospensione di pagamento non è infatti sufficiente, come è per il fermo, la sussistenza di una “ragione creditoria” dotata secondo l’orientamento prevalente di ragionevole apparenza e fondatezza[20], ma occorre che la pretesa sia iscritta a ruolo e “scaduta”, id est che risulti da un titolo esecutivo e che per essa sia decorso il termine per il pagamento[21].

A ben guardare è proprio nell’ulteriore condizione dell’inadempimento del “contribuente”, piuttosto che nell’iscrizione a ruolo / esecutività del credito, che risiede la peculiarità della misura “speciale” e, conseguentemente, la maggiore differenza sul piano dei presupposti[22]; invero anche il credito iscritto a ruolo, sebbene liquido ed esigibile, potrebbe non essere definitivo rectius certo[23].

 Sostanzialmente analoga è invece la posizione del destinatario delle misure, il quale in entrambi i casi è titolare di un credito certo, liquido ed esigibile[24]; sicché il blocco, al pari del fermo amministrativo generale, sembra suscettibile di importare un affievolimento dei diritti di credito dei privati ad opera della stessa amministrazione (la quale è parte del rapporto). Anche questo istituto pertanto dovrebbe essere considerato, già solo per tale motivo, uno strumento di carattere eccezionale.

Sul piano procedurale poi le due misure presentano delle indubbie differenze.

Nella fattispecie di cui all’art. 69 è rimessa alle singole amministrazioni creditrici la decisione se emettere il provvedimento di richiesta di fermo, il quale assume la forma della lettera-circolare diretta ad altra amministrazione dello Stato[25]; e il successivo «provvedimento (deliberazione) dell’Amministrazione debitrice del terzo», con il quale si «blocca il credito a quest’ultimo dovuto», non è che la conseguenza necessitata del primo[26].

Nell’ipotesi del blocco ex art. 48 bis ad avviare il procedimento (che può condurre alla sospensione del pagamento) sono invece le amministrazioni pubbliche debitrici, le quali – è bene ribadirlo – sono tenute a farlo prima di ogni “pagamento” di importo superiore a cinquemila euro, e l’eventuale provvedimento di sospensione è l’esito “obbligato” della comunicazione da parte dell’agente della morosità del creditore della p.a. In base alle norme del regolamento esse devono inoltrare all’agente della riscossione la richiesta di accertare se il suo creditore sia inadempiente e, solo qualora l’agente comunichi che il beneficiario del pagamento sia “moroso”, l’iniziale istanza dell’amministrazione integra anche la segnalazione «all’agente della riscossione competente per territorio» prevista dal comma 1 dell’art. 48-bis e il soggetto pubblico non procede al pagamento.

Al di là delle evidenziate differenze sembra dunque che in entrambe le fattispecie il “divieto” di pagamento sia l’esito del provvedimento adottato dall’amministrazione creditrice ovvero, nell’ipotesi del blocco ex art. 48 bis, per essa dall’agente della riscossione.

A tal proposito occorre aggiungere che in quest’ultimo caso ai sensi dell’art. 3, co. 4, del d.m. 40/2008 la sospensione opera «fino alla concorrenza dell’ammontare del debito comunicato» e «per i sessanta giorni successivi a quello della comunicazione». Dal tenore letterale del dato normativo di fonte primaria e secondaria risulta dunque che è la comunicazione di accertato inadempimento adottata dall’agente l’atto chiamato a produrre l’effetto inibitorio e che determina sia il quantum sia il momento a decorrere dal quale perdura siffatto divieto[27].

Questo atto è invero adottato all’esito di una procedura istruttoria la quale, sebbene svolta dall’agente della riscossione esclusivamente sulla base dei dati in suo possesso, mira ad accertare la realtà fenomenica e a darle una qualificazione giuridica. L’incaricato della riscossione, ricevuta la richiesta ex art. 48 bis, pur non potendo effettuare alcuna valutazione sull’opportunità o necessità di adottare il provvedimento, non si limita a riprodurre nella comunicazione quanto risulta dai sistemi informatici[28] ma compie un apprezzamento di questi dati diretto a qualificare la situazione del beneficiario in termini di regolarità o inadempimento (rispetto all’obbligo di versamento di somme iscritte a ruolo) e a «fare certezza legale»[29], vincolando i soggetti dell’ordinamento (in primis l’amministrazione richiedente) a riconoscere alla realtà sottostante la rilevanza attribuitale. Si è pertanto in presenza, come rilevato peraltro dalla giurisprudenza[30], di una «potestà certificativa», la quale si estrinseca in un atto che, inibendo il pagamento, incide direttamente sulla sfera giuridica del creditore della p.a. e ha natura provvedimentale [31].

Tornando al rapporto fra il fermo amministrativo generale e il blocco dei pagamenti, in ragione dell’analisi sin qui svolta è indubbio che detti istituti presentino caratteri comuni: sono entrambi provvedimenti “autoritativi”, provvisori e di natura “eccezionale”; ambedue sono poi senza dubbio fenomeni pubblicistici[32], che incidono direttamente sulla fase finale del procedimento di liquidazione della spesa e sono atti a paralizzare l’obbligo di pagamento di somme a qualunque titolo dovute dalle amministrazioni[33].

Queste affinità non sembrano però sufficienti ad asserire che il rapporto fra le due misure sia di genus a species.

I due istituti hanno infatti ambiti di applicazione tendenzialmente distinti e, mentre il fermo è finalizzato alla compensazione delle reciproche posizioni creditorie/debitorie, il blocco è funzionale all’esecuzione. Quest’ultimo non può pertanto considerarsi una declinazione del fermo, né può averne ridotto il perimetro di applicazione[34]. A produrre siffatto effetto sembrano piuttosto essere le trasformazioni dell’organizzazione amministrativa (si pensi ai processi di privatizzazione) e il conseguente cambiamento dello statuto giuridico degli enti da esse interessati[35]. In particolare, in campo tributario con la disposizione di cui all’art. 48 bis si è introdotta una fattispecie di sospensione dei rimborsi ulteriore rispetto non solo quelle “speciali” previste dall’art. 28 ter del medesimo decreto[36] e dall’art. 23 del d.lgs. n. 472/97[37], ma anche a quella “generale” del fermo amministrativo ex art. 69, co. 6, citato, fermo restando che quest’ultimo al pari del blocco è atto a impedire il pagamento di somme a qualunque titolo dovute da una p.a.

In forza della comune finalità si tratta semmai di verificare se entrambi appartengano al medesimo genus delle misure cautelari della p.a. al quale è pressoché pacificamente ascritto il fermo[38].

 

2. Gli orientamenti della dottrina sulla natura e sulla funzione del blocco dei pagamenti.

 

La dottrina che si è occupata dell’istituto è giunta a riguardo, come sovente accade, a risultati non del tutto univoci.

Secondo un primo orientamento questa misura avrebbe la medesima matrice del fermo amministrativo dei pagamenti regolato dal citato art. 69, del quale costituirebbe una «forma speciale ed ampliata» dal punto di vista sia dei soggetti che assumono l’iniziativa sia dell’oggetto della misura[39]; essa tuttavia, stante la «diversità soggettiva tra l’amministrazione creditrice e quella debitrice», sarebbe funzionale, non alla «compensazione (che è l’effetto finale del fermo amministrativo di cui all’art. 69) tra le somme dovute rispettivamente in favore e a carico del soggetto iscritto a ruolo», ma, ove non sia servita a stimolare l’adempimento, al «pignoramento presso terzo, effettuato nella forma abbreviata di cui all’art. 72 bis del D.P.R. n. 602/1973»[40].

A differenti conclusioni giunge altra dottrina secondo la quale la sospensione ex art. 48 bis, pur essendo riconducibile alle misure cautelari che «operano nella fase della riscossione e più esattamente che precedono l’esecuzione forzata (donde la collocazione nella fase non esecutiva della riscossione)», sarebbe «decisamente diversa» dalle «sospensioni dei pagamenti … comunemente note come fermi amministrativi» (id est da quelle previste dal citato art. 69 e dall’art. 23 del d.lgs. n. 472/1997), giacché «è obbligatoria; avviene su iniziativa dell’ente debitore; implica un rapporto trilatero, che coinvolge amministrazioni diverse; è finalizzata al pignoramento presso terzi, segnatamente presso l’ente che informa l’agente della riscossione, secondo la disciplina recata dall’art. 72 bis D.P.R. 602/73». Secondo tale tesi essa sarebbe piuttosto «un complemento della compensazione ex art. 28 ter D.P.R. 602/73»[41].

Non manca, poi, chi esclude che il blocco dei pagamenti sia un provvedimento cautelare e ritiene che allo stesso possa ascriversi natura di «misura conservativa», vuoi perché ha «la funzione di accantonare le somme necessarie al soddisfacimento della pretesa erariale, in vista dell’esecuzione forzata»[42], vuoi perché non è volto «a garantire l’effettiva fruttuosità di un eventuale giudizio di merito circa la sussistenza del credito erariale»[43]. Secondo quest’ultima tesi andrebbero qualificate, infatti, come conservative «tutte le misure che, pur avendo finalità lato sensu cautelare, non sono caratterizzate dalla strumentalità rispetto al processo di cognizione, da intendersi come collegamento anche potenziale ad un successivo provvedimento definitivo»[44].

In realtà la questione sulla natura del blocco sembra essere così mal posta.

È invero anzitutto pacifico che le categorie processualcivilistiche non possano essere meramente trasposte in ambito tributario, ma – stante la diversità della vicenda procedimentale amministrativa – debbano essere all’uopo opportunamente “adattate”.

L’idea secondo la quale le misure cautelari esistano solo con riferimento al giudizio di cognizione sembra, poi, l’esito di un approccio che non coglie appieno le stesse nozioni processualcivilistiche di azione e di provvedimento cautelare. A riguardo non sembra superfluo ricordare che secondo la migliore dottrina la funzione cautelare trae la sua ragion d’essere dall’esigenza di assicurare gli effetti dei provvedimenti alla cui produzione è diretta la funzione giurisdizionale sia di cognizione sia di esecuzione[45]. La tutela cautelare è invero strettamente legata alle esigenze di effettività di quella giurisdizionale ed è diretta a offrire un ausilio immediato nelle more del giudizio[46] e ad evitare l’ulteriore danno marginale che il diritto può subire in quell’attesa [47]. L’obiettivo è quello di fornire al titolare dell’azione, sia cognitiva sia esecutiva, gli strumenti idonei a salvaguardare in via provvisoria e mediata la situazione tutelanda nel tempo necessario a conseguire la tutela definitiva[48]. In generale, fin dalle prime ricostruzioni, si è affermato che l’azione cautelare è finalizzata all’emanazione di misure speciali «determinate da pericolo od urgenza … omissis … prima che sia accertata la volontà della legge che ci garantisce un bene, o prima che sia compiuta la sua attuazione, per garanzia della sua futura attuazione pratica»[49] e che essa è diretta anche ad evitare che la futura esecuzione forzata sia infruttuosa.

In proposito occorre inoltre ricordare che preclara dottrina non solo annovera espressamente fra i provvedimenti cautelari quelli che «servono ad agevolare la fruttuosità pratica di una futura esecuzione forzata, impedendo la dispersione dei beni che potranno essere oggetto della medesima», ma osserva anche che nel nostro ordinamento esiste un parallelismo fra i vari tipi di procedimenti cautelari aventi tale finalità ed «altrettanti tipi di procedimento esecutivo, di cui il procedimento cautelare costituisce per così dire il preannuncio e l’avanguardia»[50].

Da ultimo, quanto alla rilevanza dell’istituto della sua funzione ai fini della qualificazione, non è superfluo ricordare che secondo la migliore dottrina non solo l’essenza della tutela cautelare non può essere colta sulla base di analisi prevalentemente funzionali[51] ma esistono anche misure di natura chiaramente cautelare con funzione conservativa[52].

In ragione di quanto fin qui esposto si ritiene in sintesi che la natura cautelare della sospensione dei pagamenti non possa essere esclusa sulla base né della sua funzione né della strumentalità all’esecuzione forzata, ma poi, e soprattutto, che l’indagine sulla sua natura vada condotta sul piano della struttura.

In questa prospettiva si procede, dunque, prima a individuare i caratteri propri delle misure cautelari di diritto comune e, poi, a verificare se essi siano effettivamente presenti nell’istituto della sospensione dei pagamenti. Trattandosi di una misura assunta non nell’esercizio di una funzione giurisdizionale ma a conclusione di un procedimento amministrativo (le cui fasi sono scandite nel d.m. 18 gennaio 2008, n. 40), detti tratti distintivi andranno adeguati al contesto nel quale l’istituto opera, guardando all’uopo anche al significato ad essi attribuito in ambito amministrativo.

 

3. I caratteri e i presupposti delle misure cautelari di diritto comune.

 

Nel diritto comune l’indagine sui caratteri dei provvedimenti cautelari (condotta sul piano degli effetti e del contenuto) ha indotto la dottrina – anche dopo la novella di cui alla legge 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35)[53] – a ravvisare i connotati strutturali di dette misure nei caratteri della «provvisorietà» nel tempo e della «strumentalità»[54] e a ritenere che, di regola, la loro adozione sia subordinata alla sussistenza nella fattispecie concreta tanto del fumus boni iuris quanto del periculum in mora, i quali delimitano il «quod decidendum et probandum (con cognizione superficiale) della valutazione del giudice in sede cautelare»[55].

In particolare, quanto alla caratteristica della provvisorietà, si sottolinea che le misure cautelari, essendo ineluttabilmente destinate o a venir meno (ove il diritto a causa del quale sono state emesse venga dichiarato inesistente) oppure ad essere assorbite o sostituite dal provvedimento che riconosca il diritto a cautela del quale siano state concesse, sono inidonee a comporre definitivamente e in modo stabile l’assetto di interessi in conflitto [56]; e che per tale motivo esse si contraddistinguono, non per la durata temporale[57], ma per la qualità degli effetti giuridici, i quali sono destinati ad esaurirsi al momento in cui sarà emanato il provvedimento c.d. definitivo sulla controversia.

In ragione di questi effetti si è poi autorevolmente affermato che il provvedimento cautelare «è provvisorio nel fine»[58] e che la nota veramente tipica delle misure è costituita dal tratto della strumentalità, essendo dei provvedimenti che «non sono mai fine a sé stessi, ma sono immancabilmente preordinati alla emanazione di un ulteriore provvedimento definitivo, di cui assicurano la fruttuosità pratica»[59]. Segnatamente si ritiene che il rapporto di strumentalità sussistente fra il provvedimento cautelare e quello definitivo sia di natura tale che il primo nasca «in previsione, ed anzi in attesa» del secondo[60] e con la specifica funzione di assicurare, in via provvisoria, che gli accadimenti che potrebbero verificarsi durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo ordinario non si risolvano in un danno per colui che asserisce di essere titolare di un diritto non ancora accertato esistente (c.d. strumentalità ipotetica)[61].

A seguito della novella di cui alla citata legge n. 80/2005 i suddetti caratteri hanno certamente subito una progressiva attenuazione in quasi tutte le misure cautelari[62] (sia tipiche[63] sia atipiche [64]): da un contesto in cui esse erano esclusivamente serventi alla tutela di merito, si è passati ad un sistema nel quale per la maggior parte di queste misure si prevedono provvedimenti provvisori del giudice potenzialmente idonei a regolare anche in via permanente la situazione.

Non sembra però che a causa di tali modifiche possa dubitarsi della essenzialità dei suddetti caratteri.

L’elemento strutturale dei provvedimenti cautelari, il quale secondo la migliore dottrina rappresenta «il proprium della cautela», è ancora costituto dalla «previsione di inefficacia per il momento – eventuale, ma sempre possibile – della pronuncia» del provvedimento di merito[65], giacché è rimasta impregiudicata la possibilità di una loro riconsiderazione mediante l’instaurazione della causa sul merito[66]. La provvisorietà, nella accezione di «permanente possibilità di superamento della statuizione interinale» e di «inattitudine al giudicato»[67], era ed è dunque «intrinseca alla stessa funzione e struttura dei provvedimenti cautelari che nascono provvisori e tali rimangono finché continuano ad esistere»[68], così come è immanente la loro strumentalità all’azione di merito e all’esigenza di tutela immediata[69]. Sembra pertanto confermato che - sebbene nell’attuale sistema la regola generale sia quella della c.d. strumentalità attenuata[70] e si sia «correlativamente “ridotta”, ancorché non “rimossa”, la caratteristica, strutturale provvisorietà»[71] - la dimensione ipotetica e la necessità di garantire che il decorso del tempo non pregiudichi il diritto dell’attore continuino a caratterizzare i provvedimenti cautelari anche di tipo anticipatorio.

La loro adozione rimane invero subordinata all’esistenza di un periculum in mora scaturente dalla lentezza della tutela ordinaria e concernente la futura soddisfazione del diritto cautelato; questo, a sua volta, se per un verso non è ancora accertato come esistente, per l’altro deve essere suscettibile di una delibazione non immediatamente sfavorevole (fumus boni iuris).

Segnatamente la condizione del periculum in mora, pur assumendo gradazioni diverse nella disciplina sui vari tipi di provvedimenti cautelari[72], è di regola[73] imprescindibile al fine dell’accoglimento dell’istanza cautelare[74] ed è considerata sussistente quando durante l’attesa del provvedimento definitivo sia prevedibile che, qualora esso tardasse, il danno temuto si trasformerebbe in definitivo o si aggraverebbe il danno già verificatosi[75].

Controversa è invece la nozione di fumus, trattandosi di una formula evocativa che non è espressamente codificata neanche nelle disposizioni specifiche sui vari tipi di provvedimento[76]. Volendo individuare una nozione “minimale”, generalmente condivisa, non si può che muovere dall’insegnamento della migliore dottrina secondo la quale «il carattere ipotetico di questo giudizio è intimamente connaturato alla natura stessa del provvedimento cautelare ed è un aspetto necessario alla sua strumentalità»[77] e sulla base di esso ritenere sufficiente che la pretesa fatta valere in giudizio appaia fondata ad una preliminare e superficiale analisi. In altri termini, l’ipoteticità del giudizio è l’inevitabile conseguenza del fatto che i provvedimenti cautelari rappresentano «una conciliazione tra le due esigenze spesso contrastanti della giustizia, quella della celerità e quella della ponderatezza»; essi mirano «innanzitutto a far presto, lasciando che il problema del bene e del male, cioè della giustizia intrinseca del provvedimento, sia risolto successivamente colla necessaria ponderatezza nelle riposate forme del processo ordinario»[78].

L’analisi fin qui svolta ha restituito un quadro assai complesso dal quale emerge chiaramente l’esistenza di una stretta connessione fra principio di effettività della tutela giurisdizionale e misure cautelari[79]; queste, proprio perché dirette a soddisfare tale principio, non possono che essere strumentali e provvisorie. Ne consegue, per quanto qui rileva, che in tanto pare possibile qualificare un istituto come cautelare in quanto siano ravvisabili in esso i suddetti caratteri. Analoga rilevanza non sembra invece doversi attribuire alla sussistenza nella singola fattispecie dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris, poiché, come detto, il primo è talvolta assorbito dalla valutazione fatta ex ante dal legislatore alla stregua dell’id quod plerumque accidit, mentre il secondo è diversamente declinato a seconda delle ipotesi in considerazione[80].

In forza di tali criteri occorre ora verificare se l’istituto in esame possa annoverarsi fra quelli di natura cautelare.

Prima di procedere in questa direzione pare necessario, come anticipato, scrutinare anche i provvedimenti cautelari di diritto amministrativo, onde appurare se le peculiarità connesse all’azione amministrativa si riverberino sulla “qualità” dei relativi provvedimenti ed eventualmente in quale misura.

 

4. … e delle misure cautelari della pubblica amministrazione.

 

Guardando alle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza sui provvedimenti amministrativi di natura cautelare[81], è agevole in prima battuta affermare che i caratteri della strumentalità e provvisorietà connotino anche queste misure. Secondo la migliore dottrina infatti «quella lotta con il tempo e quell’esigenza di sollecitudine che … sono aspetti caratteristici della misura cautelare, si possono riscontrare anche nel procedimento amministrativo»[82].

In tale ambito però essi assumono connotazioni parzialmente differenti in ragione non solo delle peculiarità dell’agire pubblico[83], ma anche degli interessi tutelati[84]. Invero, per un verso l’esercizio del potere cautelare[85] deve avvenire nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità e di quelli dell’ordinamento comunitario, per l’altro l’interesse alla cui tutela esso è diretto è quello pubblico, specifico e concreto, quale risulta dalla ponderazione e valutazione comparativa di tutti gli interessi (pubblici e privati) coinvolti dall’azione amministrativa[86].

Ciò premesso è in relazione al carattere della provvisorietà che si riscontrano le maggiori differenze rispetto alle misure processualciviliste.

Si sostiene infatti che i provvedimenti cautelari della p.a., poiché incidono sulla realtà giuridica esterna e sulle situazioni soggettive dei destinatari senza l’osservanza delle norme stabilite in via di regola per l’esercizio dell’attività amministrativa, non solo debbano valere per il tempo necessario allo svolgimento del procedimento principale, ma soprattutto debbano avere una durata ridotta e predeterminata, di modo che non risulti eccessivamente gravoso il sacrificio dei diritti del soggetto e si possa escludere l’intenzione di determinare un assetto di interessi definitivo o sine die[87]. Con riferimento al tratto della provvisorietà – ora peraltro codificato per i provvedimenti di sospensione nell’art. 21 quater della legge n. 241/90[88] – la Corte Costituzionale ha in più occasioni precisato che una misura cautelare, proprio perché tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento, «in ossequio al criterio di proporzionalità … riconducibile all’art. 3 della Costituzione» deve per sua natura essere «contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime»[89]. In conformità a tale principio il carattere interinale della misura deve dunque garantire che il provvedimento emanato non incida sulla sfera giuridica degli amministrati «in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare» e che lo stesso «sia idoneo, cioè adeguato all’obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile»[90]. A riguardo occorre inoltre tenere a mente che in forza del comma 2 dell’art. 7 della l. 241/90 le misure cautelari possono essere disposte anche in deroga alle ordinarie regole sulla partecipazione al procedimento ovvero al dovere di comunicazione del suo avvio[91].

Quanto al tratto della strumentalità, essa in tale ambito si manifesta (e, dunque, va appurata) rispetto al fine perseguito con il provvedimento finale. Le misure cautelari mirano cioè a impedire che la durata del procedimento “principale” possa compromettere l’interesse affidato alle cure della p.a. e, a tale scopo, talvolta anticipano gli effetti dell’atto in corso di adozione o i poteri di autotutela esecutiva[92], talaltra impediscono che nelle more del procedimento possa mutare la situazione di fatto o di diritto esistente[93].

Il rispetto dei suddetti principi costituzionali e comunitari di buona amministrazione incide poi, come è naturale, sulle condizioni del periculum e del fumus che legittimano l’adozione di queste misure[94].

Segnatamente, secondo la dottrina[95] e il costante orientamento giurisprudenziale il provvedimento cautelare, in ossequio al principio di imparzialità che deve caratterizzare l’azione amministrativa, può essere di regola assunto se sussistono «quegli elementi di fatto significativi ed indicativi a far ritenere leso o messo in pericolo l’interesse pubblico perseguito»[96] o meglio a far ipotizzare che, nelle more del provvedimento finale, vi sia un pericolo grave ed irreparabile per gli interessi rilevanti nell’ambito delle relazioni che ineriscono al suo esercizio[97].

Se, dunque, per un verso il carattere dell’urgenza proprio di queste misure, risultando incompatibile con i normali adempimenti procedimentali, ne giustifica l’adozione sulla base di un’istruttoria sommaria, per l’altro questa deve di regola consentire alla p.a. di ponderare comparativamente le esigenze dell’urgenza e i diritti dei soggetti (a partire da quello a partecipare al procedimento)[98].

Anche in tale ambito non mancano tuttavia ipotesi nelle quali, in ragione della natura degli interessi alla cui tutela le misure cautelari tendono, si prevede che il provvedimento debba essere assunto in presenza delle circostanze indicate dalla legge[99]. In questi casi il periculum in mora ed il fumus boni iuris si considerano in sostanza presunti iuris et de iure dalla legge e l’istruttoria si riduce alla mera constatazione della sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’adozione del provvedimento. Ciò non esclude che si tratti di misure cautelari: «l’indagine sulla sussistenza del presupposto costituisce una modalità che non incide sulla natura del provvedimento»[100].

In sintesi indici univoci della natura cautelare dei provvedimenti della p.a. sono la strumentalità al buon esito del procedimento principale e la previsione di una durata predeterminata; sicché vanno qualificate come tali soltanto quelle misure interinali dirette ad evitare che, nelle more del procedimento, l’interesse affidato alle cure della p.a. possa essere gravemente ed irreparabilmente compromesso[101]. Il carattere della temporaneità è in specie un tratto imprescindibile che  differenzia queste misure da quelle di diritto comune.

È alla luce di questi risultati che occorre ora guardare all’istituto di cui all’art. 48 bis e verificare se quei caratteri ritenuti irrinunciabili dei provvedimenti cautelari ricorrano in esso.

 

5. La natura cautelare della sospensione dei pagamenti di cui all’art. 48 bis d.p.r. n. 602/73.

 

L’indagine fin qui svolta consente innanzitutto di superare i dubbi sulla ascrivibilità della misura in esame a quelle cautelari inizialmente evidenziati e derivanti dalle sue peculiarità rispetto al fermo amministrativo generale ovvero essenzialmente dal carattere non discrezionale della misura e dalla collocazione a ridosso dell’esecuzione.

Invero, quanto al primo si è visto che il legislatore in ragione degli interessi coinvolti talvolta sottrae la valutazione sulla “opportunità” di adottare il provvedimento al giudizio della p.a., stabilendo ex lege le condizioni al ricorrere delle quali lo stesso vada assunto. L’assenza di discrezionalità non è pertanto affatto singolare, tanto più che nel caso l’interesse tutelato è per lo più quello fiscale in senso stretto id est quello alla riscossione pronta e sicura delle imposte[102].

Quanto al secondo dallo scrutinio delle tutele cautelari è emerso che sono qualificati come tali anche quei provvedimenti diretti a garantire la fruttuosità di una futura azione esecutiva ovvero, in ambito amministrativo, quelli che anticipano i poteri di autotutela esecutiva della p.a. Il fatto che il blocco sia propedeutico all’esecuzione dunque non osta ma al contrario depone a favore alla sua qualificazione in termini di provvedimento cautelare.

La misura in esame sembra invero rispondere pienamente al paradigma secondo il quale i provvedimenti cautelari amministrativi nascono al servizio, per così dire, di un successivo provvedimento finale e per tutelare, nelle more di quest’ultimo, gli interessi affidati al soggetto pubblico che lo assume, senza però comprimere sine die i diritti degli altri soggetti coinvolti.

La disposizione di cui all’art. 48 bis delinea infatti inequivocabilmente la sospensione dei pagamenti come diretta a garantire «l’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo». Siffatta funzione è poi delimitata dal d.m. n. 40 del 2008, il quale configura la sospensione come esclusivamente strumentale al pignoramento speciale di cui all’art. 72 bis del d.p.r. n. 602/73. Segnatamente all’art. 3 si prevede, innanzitutto, che l’agente della riscossione, ove accerti l’inadempimento del creditore dell’amministrazione pubblica, nella comunicazione dell’esito della verifica «preannunci l’intenzione dell’agente della riscossione competente per territorio di procedere alla notifica dell’ordine di versamento di cui all’articolo 72 bis»[103]; e poi che, in caso di mancata notifica di detto ordine di pagamentoentro il termine di sessanta giorni successivi a quello della comunicazione, l’amministrazione pubblica proceda al pagamento delle somme dovute al beneficiario[104]. Dal tenore letterale dell’art. 3 del regolamento risulta dunque in modo non equivoco che il blocco dei pagamenti non è fine a sé stesso, ma è emesso in attesa del pignoramento presso terzi ex art. 72 bis[105]. Può pertanto dirsi verificato il carattere della strumentalità del provvedimento in esame al procedimento di esecuzione e in specie, in forza dell’attuale formulazione del regolamento, a quella particolare forma di pignoramento presso terzi che si realizza mediante l’ordine dell’agente della riscossione di pagare nelle proprie mani[106].

Quanto poi al carattere della provvisorietà, dirimente è la disposizione di cui al comma 6 dell’art. 3 la quale – laddove stabilisce che, decorso il termine di sessanta giorni successivi alla comunicazione «senza che il competente agente della riscossione abbia notificato, ai sensi dell’articolo 72 bis del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, l’ordine di versamento … omissis …, il soggetto pubblico procede al pagamento delle somme spettanti al beneficiario» – individua un tempo di durata della misura oltre il quale essa non può in ogni caso protrarsi[107]. Invero in forza di tale previsione, entro il termine indicato, la sospensione del pagamento o viene sostituita dal pignoramento speciale la cui fruttuosità ha in tal modo garantito oppure, in assenza dell’ordine di pagamento, viene meno per mancanza di scopo e l’ente debitore procede al pagamento[108]. Ricorre pertanto nell’istituto anche il tratto della temporaneità tipico dei provvedimenti cautelari della pubblica amministrazione, i quali sono destinati ad esaurirsi in un tempo predeterminato. Nel caso poi è bene ricordare che la previsione di un termine perentorio di durata, assicurando che il diritto del beneficiario del pagamento alla percezione delle somme a lui dovute non sia compresso sine die in ragione dell’interesse alla riscossione delle somme iscritte a ruolo, garantisce che il provvedimento assunto unilateralmente (senza cioè l’intervento del giudice né la partecipazione dell’interessato) e “automaticamente” dall’agente della riscossione sia conforme ai principi generali di ragionevolezza e di proporzionalità[109].

In forza di queste argomentazioni si può dunque giungere alla conclusione che la sospensione dei pagamenti ex art. 48 bis abbia natura cautelare o meglio sia un provvedimento interinale cautelare diretto a garantire, in base all’attuale formulazione del regolamento, il buon esito del pignoramento speciale.

Un’ultima notazione va fatta con riferimento ai presupposti per la sua adozione[110] e segnatamente all’esistenza in fattispecie, non tanto del fumus (essendo la pretesa recata da un titolo esecutivo già liquida ed esigibile), quanto delle ragioni dell’urgenza, stante che – come detto – è proprio la sussistenza del pericolo, per così dire, da attesa del provvedimento finale a giustificare in genere l’assunzione della misura cautelare.

A riguardo va ribadito che il dato normativo sembra escludere qualsivoglia valutazione in merito sia alla fondatezza della pretesa sia alle condizioni finanziarie e patrimoniali del debitore ovvero alla sussistenza di comportamenti atti a ipotizzare l’esistenza di un pericolo di sottrazione delle ordinarie garanzie patrimoniali.

Tale circostanza, come anticipato, non è singolare e, in particolare, quanto al periculum ipotesi di questo genere non sono ignote né al sistema processualcivilistico[111] né a quello amministrativista[112]. Sotto tale profilo, mutuando la distinzione elaborata dalla dottrina fra i provvedimenti con finalità conservative e quelli “anticipatori” del diritto (ovvero fra misure dirette a neutralizzare il pericolo da infruttuosità piuttosto che quello da tardività del provvedimento)[113], pare che in fattispecie il legislatore abbia valutato ex ante l’esistenza del pericolo da tardività (ossia il rischio che il tempo necessario per iniziare l’esecuzione possa causare un pregiudizio), per evitare il quale prevede la possibilità di adottare un provvedimento che anticipa gli effetti del successivo pignoramento “bloccando” le somme che stanno per essere corrisposte al debitore iscritto a ruolo. Se questo è vero, allora nel caso sembra ricorrere un’ipotesi nella quale l’esigenza cautelare (che fonda la sospensione del pagamento) sia apprezzata in via generale ed astratta dalla stessa legge; sicché sembra verosimile che le condizioni del fumus e del periculum siano sottese alla prescrizione dei presupposti per l’adozione della misura ovvero all’esistenza rispettivamente di una pretesa recata da un titolo esecutivo e di una situazione di inadempimento.

Sulla base della ricostruzione qui prospettata la sospensione di pagamenti, in quanto diretta ad evitare il pericolo che il diritto di credito possa rimanere insoddisfatto nell’attesa dell’espropriazione, pare in sintesi ascrivibile fra le misure cautelari automatiche con contenuto anticipatorio.

L’automatismo della misura impone un’ulteriore riflessione. Potrebbe invero sorgere il dubbio che la disciplina dell’istituto nella parte in cui non prevede per così dire uno spatium deliberandi per la sua adozione, rimettendo all’agente soltanto l’accertamento qualificativo della situazione di inadempimento, comprima ingiustificatamente il diritto di credito del beneficiario del pagamento. Se infatti è vero che l’individuazione delle situazioni nelle quali l’esigenza cautelare può essere valutata in astratto rientra nella discrezionalità del legislatore, altrettanto vero è che l’esercizio di detta discrezionalità deve per così dire superare il controllo di ragionevolezza.

In realtà, quando il credito ha per oggetto tributi, la compressione del diritto del creditore pare giustificata dal fine della concreta attuazione del principio di capacità contributiva; l’interesse alla pronta riscossione dei tributi, rispondendo all’esigenza di garantire l’effettiva attuazione del principio dell’equa ripartizione del carico fiscale, sembra cioè legittimare siffatta previsione[114]. Il dubbio potrebbe permanere quando invece il credito ha per oggetto altre entrate dello Stato ed in specie quelle «aventi causa in rapporti di diritto privato»[115]. In questo caso la giustificazione alla posizione di supremazia dell’ente creditore può però rinvenirsi nella rilevanza pubblica del credito da riscuotere: questa, legittimando a monte le deroghe alle regole di diritto comune in materia di riscossione (id est l’ampliamento del sistema di riscossione a mezzo ruolo alle somme diverse dai tributi)[116], autorizza a valle la limitazione, come nel caso, dei diritti del soggetto inadempiente all’obbligo di versare somme “pubbliche” iscritte a ruolo.

A ben vedere sotto tale profilo la misura in esame sembra da inquadrare nell’ambito dell’esercizio del potere di autotutela esecutiva della p.a. (ora codificato dall’art. 21 ter della legge n. 241/90)[117] e in specie, qualora il credito sia tributario, in quello di autotutela esecutiva della amministrazione finanziaria[118].

Rientra infatti in questo potere quello dell’amministrazione fiscale di costituirsi il titolo esecutivo e di procedere, tramite l’intervento dell’agente della riscossione[119], al soddisfacimento coattivo del diritto in esso “consacrato” mediante esecuzione diretta, al di fuori cioè dell’esercizio di un’azione esecutiva per così dire ordinaria.

Segnatamente secondo la migliore dottrina l’esecuzione tributaria si concreta in una pluralità di atti tra loro avvinti da un nesso di sequenza e di progressione, «talché ogni atto della serie è il presupposto del successivo, in quanto fa nascere il dovere o il potere di compiere il successivo»[120]. Ed è in detta sequenza, la quale ha inizio con la formazione del ruolo[121] ed è interamente finalizzata all’obiettivo della «riscossione celere delle imposte»[122], che si colloca la misura di cui all’art. 48 bis. In specie la sospensione dei pagamenti – essendo in una posizione intermedia fra la notificazione del titolo esecutivo e l’inizio dell’esecuzione forzata tributaria – svolgerebbe una funzione di “raccordo” fra le due diverse fasi, garantendo il buon esito della seconda e anticipandone sostanzialmente gli effetti. L’opinione più autorevole considera invero l’esecuzione forzata “esattoriale” come una manifestazione del potere di autotutela esecutiva della pubblica amministrazione[123], «esercizio di funzione amministrativa»[124], nella quale l’ “esattore” (ora agente della riscossione) sulla base di un diritto già perfetto «si fa giustizia, in gran parte, da sé»[125] e nella quale l’intervento dell’organo giurisdizionale ha natura autorizzativa od ausiliaria, e quindi amministrativa, mentre esprime funzione giurisdizionale nelle parentesi di cognizione, proprie dell’esecuzione forzata e della ripartizione del ricavato[126].

Detto istituto, pertanto, pur non essendo collocato all’interno del procedimento esecutivo, sembra presentare – al pari di altre misure cautelari tributarie (quali l’ipoteca ed il fermo)[127] – i tratti propri dell’autotutela esecutiva.

 

6. Le forme di tutela avverso il blocco dei pagamenti.

 

Muovendo dalla riconosciuta natura cautelare della misura in esame occorre affrontare il tema della carenza di tutela per il destinatario del blocco[128].

A riguardo giova subito precisare che la temporaneità della misura, l’assenza di discrezionalità in senso stretto ovvero la natura per così dire “necessitata” dell’atto, il quale deve essere adottato in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, non giustificano la mancata notifica al destinatario del provvedimento di blocco né a fortiori il difetto di tutela. I suddetti caratteri incidono indubbiamente sulla ampiezza della motivazione e sui vizi eccepibili avverso un simile atto, per il quale potrebbe cioè ritenersi rispettivamente esclusa la necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni dell’urgenza (identificate, come detto, ex lege nella situazione di inadempienza) e la possibilità di ravvisare ipotesi di eccesso di potere. Ma ciò non toglie che il provvedimento, in quanto lesivo della sfera giuridica del destinatario, debba in linea di principio potere essere sottoposto al controllo giurisdizionale, al fine di verificare il corretto esercizio del potere cautelare innanzitutto nel momento del c.d. accertamento “qualificativo” delle inadempienze di natura tributaria ed extra tributaria.

Non è da escludere, infatti, che l’agente della riscossione possa compiere “errori” nell’apprezzamento della condizione di inadempimento a causa di un non corretto scrutinio degli elementi in fatto[129] o ancora in ragione di opinabili valutazioni in diritto. Invero l’attività dell’agente della riscossione non consiste nella mera riproduzione delle informazioni risultanti dai sistemi informativi ma comporta, come detto, una valutazione di detti dati alla stregua delle regole sulle modalità e sui tempi dell’adempimento[130]; e poiché, peraltro, talune di queste regole risultano di non univoca interpretazione[131], può ben accadere che l’esito di siffatta attività sia controvertibile.

A ciò si aggiunga che la previsione di cui al primo comma dell’art. 48 bis – laddove dispone l’obbligo di verifica «prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a cinquemila euro» – è solo apparentemente chiara[132] e che l’interpretazione della nozione di “pagamento” prospettata dall’amministrazione non è del tutto condivisibile[133].

Sulla base di siffatte considerazioni sembra innegabile, stante l’immediata lesione del diritto del beneficiario del pagamento, l’esigenza di assicurare avverso il provvedimento di sospensione una tutela immediata[134]. Il differimento della stessa al momento successivo dell’opposizione al pignoramento ex art. 72 bis si rivela all’uopo inadeguato[135] a causa innanzitutto della mancata previsione dell’obbligo di notifica dell’ordine di pagamento al debitore esecutato[136] e, poi, dei limiti alla tutela cautelare nell’ambito della procedura esecutiva esattoriale[137] e della rapidità del procedimento di pignoramento speciale[138].

L’assenza di un’esplicita previsione dell’obbligo di comunicazione non può certo valere ad escludere la necessità di un controllo giurisdizionale sulla legittimità di tale misura.

L’obbligo di comunicare gli atti amministrativi si ricava invero innanzitutto dal principio comunitario di buona amministrazione recepito nell’ordinamento nazionale dall’art. 1 della l. n. 241/90[139], poi dall’obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso di cui all’art. 2 della stessa legge[140] e dal principio generale di pubblicità[141], il quale secondo la Consulta fa parte del patrimonio costituzionale comune dei paesi europei[142]. Esso inoltre è ora espressamente previsto dall’art. 21 bis della l. n. 241/90[143], sebbene non per la generalità dei provvedimenti, come auspicato dalla dottrina[144], ma solo per il «provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati»[145], qual è certamente, come detto, quello in esame. Vero è che ai sensi dell’ultimo alinea di detta disposizione «I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci», questo precetto però, lungi dal consentire l’omessa comunicazione del provvedimento cautelare, ne conferma la necessità anche se solo in funzione dell’esigenza di garantire un’immediata tutela. Siffatta previsione invero, stabilendo che i provvedimenti cautelari, proprio in ragione dell’urgenza che li caratterizza, producono l’effetto per il quale sono assunti fin dalla loro adozione (e non da quando il destinatario ne ha avuto giuridica conoscenza), per un verso presuppone (e non potrebbe essere altrimenti) che essi siano comunicati[146], per l’altro assume che per i suddetti provvedimenti la comunicazione non ha una funzione costitutiva degli effetti[147].

Alla stregua di tali canoni dovrebbe ritenersi che in presenza di un provvedimento limitativo della sfera giuridica del destinatario sia compito dell’interprete, laddove manchi l’espressa previsione della sua comunicazione, denunciarne l’esigenza al fine di garantire il rispetto dei più elementari principi generali e costituzionali. Se questo è vero, allora, stante la natura e gli effetti della misura in esame, non pare possa dubitarsi della obbligatorietà della comunicazione del provvedimento di sospensione[148] e con esso di quello “presupposto” con il quale l’agente segnala all’amministrazione debitrice l’esistenza della accertata condizione di inadempimento[149], anche in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 6 dello Statuto del contribuente, il quale, come noto, prevede che debba essere garantita l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati[150].

Una conferma della fondatezza di siffatta conclusione può trarsi dalle vicende in materia di fermo amministrativo generale. In mancanza di un’espressa previsione di legge e nonostante l’orientamento contrario della prassi[151], la dottrina, prima, e la giurisprudenza, poi, hanno escluso che la sospensione del pagamento fosse un atto meramente interno e hanno affermato l’obbligo della sua comunicazione al destinatario e il diritto di quest’ultimo alla impugnazione[152].

Si consideri poi che per le altre misure cautelari nella disponibilità dell’agente della riscossione, id est per l’ipoteca e il fermo dei beni mobili registrati di cui rispettivamente agli artt. 77 e 86 del d.p.r. 602/73, sono previsti ex lege l’obbligo di notificazione di una comunicazione ancorché preventiva, contenente cioè l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, «sarà iscritta l’ipoteca»[153] o «sarà eseguito il fermo»[154], nonché l’impugnabilità dei relativi provvedimenti davanti al giudice tributario qualora il credito a tutela del quale sono assunti abbia natura tributaria[155].

 Queste ultime considerazioni dimostrano l’esigenza di garantire al destinatario delle misure cautelari una tutela immediata e confermano per altra via che il blocco, pur essendo atto non recettizio e non “discrezionale”, in quanto lesivo della sfera giuridica del destinatario debba essere comunicato a questi al fine di consentirgli di ottenere una tutela immediata e di evitare gli effetti di un pignoramento ritenuto illegittimo[156].

 

6.1… quella amministrativa.

 

A tal proposito, passando all’indagine sulle forme di tutela ravvisabili avverso la misura in esame, occorre innanzitutto interrogarsi sulla possibilità del destinatario di avvalersi della sospensione legale della riscossione ai sensi dell’art. 1, commi da 537 a 543, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013)[157], allorché la causa della asserita illegittimità del provvedimento consista in una di quelle ivi espressamente previste, id est nell’inesistenza del debito a ruolo o nell’insussistenza della situazione di inadempimento per vicende giudiziali o stragiudiziali intercorse esclusivamente fra il contribuente ed il titolare del credito (alle quali l’agente della riscossione non abbia preso parte).

Al ricorrere di una di queste ipotesi tale istituto riconosce, come noto, al soggetto al quale è stato notificato un atto della riscossione (o meglio «il primo atto di riscossione utile») o anche «un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario» il diritto a ottenere – previa presentazione di una dichiarazione corredata da adeguata documentazione[158] – la sospensione immediata di «ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate» e, ove la richiesta sia fondata, l’annullamento dell’atto.

Ora, se si muove dall’assunto che la misura in esame abbia natura cautelare e sia ascrivibile a quelle che operano nella fase della riscossione, non pare possa dubitarsi della possibilità per il destinatario del blocco di ricorrere – a prescindere dalla natura del debito a ruolo[159] – a tale “rimedio”. Questo gli consentirebbe innanzitutto di evitare il pignoramento delle somme che si assumono illegittimamente bloccate e poi di ottenere il pagamento delle stesse.

Segnatamente, quanto al primo effetto, il tenore letterale della disposizione di cui al comma 527 (ed in specie l’uso dell’avverbio immediatamente) depone nel senso che alla mera presentazione di detta istanza consegua automaticamente l’immediata sospensione di «ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione»[160] e, dunque, nel caso del blocco, l’arresto

Ortoleva Maria Grazia



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