Michel Villey e il significato “autentico” della responsabilità
Maria Antonietta Foddai*
Michel Villey e il significato “autentico” della responsabilità**
English title: The “Authentic” Meaning of Responsibility According to Michel Villey
DOI: 10.26350/18277942_000206
Sommario: 1. Introduzione. 2. La critica alla modernità e la riscoperta della responsabilità. 3. Responsabilità penale e responsabilità morale: le suggestioni della filosofia tomista. 4. Alle origini della responsabilità giuridica: le suggestioni del diritto romano. 4.1 Respondeo. 4.2. Il significato “autenticamente giuridico” della responsabilità. 5. Critica del giusnaturalismo moderno: la ‘responsabilità’ di Villey.
- Introduzione
Michel Villey è un autore controverso, poco amato dai contemporanei per il suo giusnaturalismo militante che lo spinge a criticare il ruolo assegnato ai giuristi dal positivismo legalista e a rivendicare per essi la ricerca del ‘giusto,’ propria del metodo del diritto naturale classico[1]. La dottrina aristotelica, il diritto romano e la filosofia tomista tracciano il perimetro della sua teoria filosofica, in cui il diritto naturale corrisponde alla ricerca di un giusto equilibrio nel sistema ordinato di forme che compongono la natura, natura umana compresa: il giusto equilibrio nei rapporti sociali, il giusto equilibrio nella distribuzione dei beni[2]. Si tratta di un equilibrio instabile, in costante cambiamento che tuttavia, secondo Villey, risulta preferibile alle false costruzioni del razionalismo moderno, perché rispecchia l’autenticità del reale[3].
In tutti i suoi scritti, infatti, egli insiste nel rifiutare l’idea di un diritto naturale statico, composto da norme predeterminate dalla ragione umana, descrivendo un diritto naturale mutevole, aderente alla realtà storica, oggetto di una costante ricerca del giusto, come lo ius del diritto romano classico. Del resto, egli scrive, “L’ABC du droit naturel c’est que le droit naturel se tire, non d’une formule arrêtée de loi, mais de la nature.”[4]
Ma cos’è dunque la natura? Bisogna intenderla nella sua accezione moderna, cartesianamente, alla maniera dei fisici, che cercano tra i fenomeni di una natura inanimata i rapporti immutabili, come la legge della caduta dei corpi, o piuttosto aristotelicamente, come una realtà più vasta e cangiante, in costante movimento verso la realizzazione di un fine?
La parola ‘natura’, scrive Villey, include la vita e tutto ciò che esiste nel nostro mondo, non solo gli oggetti fisici, ma anche l’uomo nella sua dimensione integrale, spirituale, sociale e istituzionale.[5] Il diritto tratto dalla natura rispetta l’ordine oggettivo delle cose, sottratto alla volontà umana, ma piegato alle ragioni umane. Qui emerge il tema centrale del metodo del diritto naturale che per Villey consiste nella costante ricerca del giusto[6].
Come si riconosce il giusto? Come si pratica la virtù sociale della giustizia? La ricerca del giusto limite tra il tuo e il mio, di soluzioni ai conflitti e alle controversie non può partire dalla ragione soggettiva, sostiene Villey, ma deve essere cercata in un confronto dialettico delle reciproche pretese: i principi del giusto vanno cercati al di fuori delle pretese individuali[7].
Il tema richiama la sua posizione critica nei confronti dell’individualismo giuridico, inaugurato dalla Scuola moderna del diritto naturale, che ha svuotato di senso l‘espressione ‘diritto naturale’, riducendola a un insieme predeterminato di regole e principi, tratti dalla natura razionale dell’uomo. La posizione critica di Villey sul “culto” dei diritti umani[8] trova qui la sua radice teorica, nella critica alla concezione soggettiva del diritto, nata dal nominalismo di Ockham e sublimata dall’età moderna nell’idea dei diritti naturali. Non si tratta di una posizione ideologica, come sottolinea, tra gli altri, Dufour, ma di una posizione coerente con la sua concezione realista del diritto e della giustizia, offerte dalla dottrina di Aristotele e dal diritto romano[9].
La militanza di Villey, cui si faceva cenno in apertura, non è quella che emerge tuttavia dalle sue veementi critiche alla concezione dei diritti umani, quanto piuttosto dalla puntuale ricerca delle soluzioni ai quesiti posti al diritto dallo sviluppo contemporaneo, come possiamo vedere nei suoi studi sulla responsabilità.
Qui vediamo alla prova il metodo del diritto naturale classico, piegato da Villey alle ragioni del mondo contemporaneo, molto più vicino alla sapienza giuridica greco-romana di quanto la filosofia moderna non ci abbia educati a pensare.
2. La critica alla modernità e la riscoperta della responsabilità
Villey tratta il tema della responsabilità in due brevi saggi, l’uno dedicato alla responsabilità penale nel pensiero di San Tommaso, l’altro alle radici romanistiche della responsabilità. Sebbene non contengano una trattazione sistematica del tema, i due lavori consentono, in misura diversa, una ricostruzione dell’originale concetto di responsabilità elaborato da Villey che intende offrire ai tecnici del diritto, costretti nelle categorie giuridiche della modernità, l’attualità delle soluzioni escogitate dal diritto romano e le suggestioni provenienti dalla lettura della Summa Theologiae.
È proprio attraverso l’analisi di questa categoria fondamentale del pensiero giuridico che Villey mostra «l’impuissance spécifique de la philosophie moderne à penser le phénomène du droit»[10].
Il suo concetto di responsabilità esprime la critica all’individualismo giuridico, al soggetto di diritto definito esclusivamente dalla sua volontà, all’idea di un’azione umana che esercita il controllo sul mondo e di una natura espressa nei termini cartesiani della quantità e dello spazio, al principio, infine, secondo cui il dovere di rispondere per i danni cagionati può derivare solo da un atto colpevole.
Tutti gli elementi della filosofia del diritto naturale di Villey vengono declinati nella tesi di una responsabilità da riscoprire, una volta eliminate le incrostazioni del giusnaturalismo moderno, e restituire all’esperienza giuridica contemporanea, chiamata a dare risposte di giustizia che la teoria individualista e formalista del diritto non è in grado di fornire.
Attraverso la sua particolare analisi storico-filologica, orientata a fare filosofia attraverso la storia, Villey offre un nuovo approccio su un tema centrale nell’attuale dibattito filosofico e giuridico[11].
- Responsabilità penale e responsabilità morale: le suggestioni della filosofia tomista
Il primo saggio, intitolato “Responsabilité pénale. La responsabilité chez Saint Thomas”, può essere considerato una sorta di lavoro introduttivo al tema dei rapporti tra diritto e morale attraverso il nodo della responsabilità penale. Elaborato in occasione del Colloquio internazionale di studi su “La responsabilité pénale” all’università di Strasburgo e pubblicato nel 1969 nel volume “Seize essais de philosophie du droit”,[12] affronta il tema della responsabilità penale attraverso una breve analisi della filosofia tomista sul tema del peccato e della pena.
Giustificando il ricorso a una fonte teologica per indagare storicamente il tema proposto, Villey previene le critiche dei “professeurs” e “techniciens du droit”, spiegando che la Summa Theologiae è una delle fonti essenziali della nostra storia giuridica e che in essa troviamo un trattato completo, metodico, ordinato, della responsabilità penale[13]. Il problema che egli affronta, pur senza fare alcun riferimento alle fonti giuridiche contemporanee, è la relazione tra responsabilità morale e giuridica, concludendo che nessuna forma di responsabilità, sia morale che giuridica, si basa esclusivamente sulla volontà del soggetto agente.
L’analisi delle cause del peccato, illustrate da Tommaso nella Prima Secundae della Summa, nelle Quaestiones 75 e seguenti, mostra infatti che il peccato e quindi la responsabilità morale non derivano solo da cause interne, quali la volontà malvagia (malitia), il carattere (habitus), l’ignoranza (nella quale riconosciamo l’influsso di Aristotele) o il desiderio (appetitus sensitivus), ma anche da cause esterne che inducono la volontà individuale al peccato, come quelle derivanti dall’influenza del gruppo sociale di cui fa parte l’agente.[14].
Il tema, come suggerisce lo stesso Villey, merita maggiore approfondimento, tuttavia la nozione di colpa collettiva riferita ai componenti di gruppi, come ad esempio quelli familiari che “communicant in culpa” (Ia IIae, Qu. 81), appare di una certa rilevanza per le attuali concezioni della responsabilità giuridica[15]. Al pari e ancor più della responsabilità morale, anche la responsabilità giuridica infatti deriva da fattori interni ed esterni che concorrono, insieme alla volontà dell’atto, a determinare il dovere di subire la pena per garantire un giusto equilibrio sociale.
San Tommaso illustra gli elementi essenziali di una dottrina della responsabilità dal punto di vista della filosofia morale ma, sottolinea Villey, questo approccio ci riguarda direttamente, in quanto anche il nostro attuale diritto penale è fondato sul presupposto che il diritto dello Stato di punire e del giudice di infliggere una pena sia basato sulla violazione di un principio giuridico moralmente fondato.
Ma di che tipo di morale si tratta?
Il modello di giustizia penale accolto nell’attuale sistema giuridico è espressione di una precisa antropologia, derivata dalla filosofia moderna: quella di un individuo libero, privo di condizionamenti sociali e moralmente responsabile di tutti i suoi atti. Vi è una sorta di “presunzione generale” di responsabilità morale, continua Villey, come se, contrariamente al buon senso, l’uomo potesse godere di una libertà assoluta e incondizionata[16].
Il diritto contemporaneo paga un pesante tributo al pensiero della modernità: da Cartesio in poi i filosofi hanno consegnato ai giuristi un’immagine dell’uomo morale “affreusement fausse et abstraite” che separa l’anima dal corpo, la volontà morale dall’intelligenza, l’individuo dal gruppo[17]. San Tommaso, all’opposto, elabora un’antropologia “realista” e rispettosa delle relazioni di anima e corpo, volere e intelligenza, individuo e gruppo[18]. La responsabilità penale ha una necessaria connessione con la responsabilità morale ma si tratta di due specie distinte di responsabilità, come mostra chiaramente la finalità della pena, il cui scopo primario non è quello retributivo affermato dalla dottrina giuridica kantiana[19].
Nei manuali che parlano dell’antica dottrina cristiana del diritto penale, scrive Villey, si può leggere l’erronea affermazione secondo cui il fine primario della pena sarebbe la retribuzione dei peccati. Poiché la retribuzione dei peccati spetta a Dio, la funzione riservata ai suoi ministri e al principe, così come al giudice, sarà ben più modesta. Il loro ruolo, esercitato attraverso la giustizia penale della lex humana, è quello di tutelare l’ordine sociale messo in pericolo dalle azioni delittuose: “Et ideo lex humana non potuit prohibere quisquid est contra virtutem; sed ei sufficit ut prohibeat ea quae destruunt hominum convictum (II IIae, Qu. 77, art.1).
Stabilendo una chiara gerarchia tra giustizia divina e umana, Tommaso le distingue, accettando le imperfezioni e le approssimazioni, anche le ingiustizie, della valutazione degli atti umani[20]. Per questo appare troppo debole e fragile una responsabilità fondata esclusivamente sulla volontà che non tenga conto realisticamente di “un homme de chair, dépendant de son corps et sujet aux pressions sociales.” [21]
Poiché compito dello storico è quello di cogliere nel passato ciò che è degno di essere conservato, Villey conclude la sua analisi con un quesito e una suggestione rivolti ai cultori del diritto penale, chiedendo loro se la filosofia tomista non possa offrire, attraverso una realistica analisi dell’atto umano, una sintesi tra le esigenze derivanti dall’esercizio del libero arbitrio e quelle di un’azione determinata da fattori sottratti al controllo umano.
- Alle origini della responsabilità giuridica: le suggestioni del diritto romano
Ma è nel secondo studio che Villey offre una ricostruzione del concetto di responsabilità, sciogliendo il nodo lasciato irrisolto nel lavoro precedente. Egli propone infatti una definizione di responsabilità svincolata dalla colpa, mostrando la sopravvivenza dei principi del diritto romano nel nostro attuale panorama giuridico.
Si tratta dell’articolo dal titolo “Esquisse historique sur le mot responsable”, apparso in un prezioso numero del 1977 degli Archives de Philosophie du Droit, dedicato a “La responsabilité”[22]. Lo studio viene successivamente pubblicato col medesimo titolo in una versione lievemente modificata nella raccolta di saggi dal titolo “La responsabilité à travers les âges” che affronta il tema sotto un profilo storico e vedrà la luce nel 1989, un anno dopo la sua morte[23].
Potrebbe essere interpretato come un lavoro filologico che in tredici pagine analizza il significato di respondeo e dei suoi derivati latini; si tratta invece di una vera e propria fondazione teorica del concetto di responsabilità giuridica che contiene tutti gli elementi della filosofia di Villey, mostrando un’estrema coerenza con l’impianto del suo pensiero e l’attualità di un modello di responsabilità che si apre ai problemi della postmodernità.
Al pari di altri concetti che compongono la cultura giuridica contemporanea, anche quello di responsabilità ha subito la moralizzazione operata dalla Scuola moderna del diritto naturale che ha «contaminato» l’originario significato di respondēre, introducendo la categoria morale della colpa nel concetto giuridico di responsabilità. È nel diritto romano che è possibile trovare il significato della responsabilità giuridica, la cui finalità non è quella di tutelare l’individuo, ma garantire il “iustum”, un giusto equilibrio sociale che deve contemperare le esigenze di chi compie l’azione e di chi ne subisce gli effetti.
Villey intende riportare la responsabilità nell’alveo del diritto naturale classico, espresso dalla dottrina di Aristotele e dal diritto romano che ne ha recepito i principi e “l’eccezionale pensiero”[24]. Il ricorso all’equità, che costituisce uno dei valori fondamentali del diritto privato romano, l’uso della dialettica che si manifesta nel confronto tra le opinioni dei giuristi e l’attenzione ai casi concreti, da cui essi traggono i principi, segnalano una linea di continuità tra il pensiero aristotelico e la giurisprudenza romana[25]. In particolare, se Aristotele traccia i confini dell’azione volontaria, i giuristi romani costruiscono, attraverso la ricchezza e la molteplicità che caratterizzano lo ius civile, la forma giuridica della responsabilità.
4.1. Respondeo
È sempre la storia il campo di indagine filosofica di Michel Villey; quella storia che, come sottolinea D’Agostino nell’Introduzione a La formazione del pensiero giuridico moderno, “non si autogiustifica mai”, ma è lo spazio che gli permette di argomentare e sviluppare nel modo migliore i suoi temi di ricerca. Questo spiega la ragione per cui l’ordine storico-filosofico di Villey non corrisponda a una scansione temporale di autori e teorie, quanto piuttosto a un metodo di ricostruzione teorica che possiamo vedere all’opera nel tema ‘responsabilità’[26].
La ricerca comincia quindi dalla storia di una parola centrale nell’impianto giuridico europeo che non può vantare antenati nel greco e nel latino antico, dove manca il sostantivo astratto corrispondente a ‘responsabilité’[27]. Il termine, nota Villey, compare solo nell’orizzonte linguistico dell’età contemporanea, sul finire del XVIII secolo, in coincidenza con le grandi trasformazioni determinate dalle Rivoluzioni americana e francese. Sarebbe inutile cercare nel latino classico il corrispondente del sostantivo astratto ‘responsabilité’; la presenza di responsabilitas, che riscontriamo ad esempio nel Codex iuris canonici vigente, corrisponde ad un uso recente derivato probabilmente dagli impieghi del termine nelle lingue moderne[28]. Se è un dato indiscusso che il latino antico non presenti il vocabolo, tuttavia ne racchiude l’origine nel verbo respondeo: è qui che si trova lo strato di senso originario del termine ‘responsabilità’[29].
Respondeo derivada spondeo, che indica l’atto solenne del promettere e del garantire.
A differenza del greco σπένδω, che ha il significato religioso di fare offerte agli dei per assicurarsene il favore, Benveniste specifica che il suo corrispondente latino ha, fin dall’origine, il significato giuridico di «portarsi garante in giustizia, dare la propria cauzione personale per qualcuno»[30]. La pronuncia del termine conferisce all’atto il significato della promessa, così come mostra chiaramente la terminologia del matrimonio, dove i termini sponsus, sponsa e sponsalia riflettono un impegno solenne che nasce dalla libera comunicazione della volontà[31].
Re-spondeo indica uno scambio di garanzie, significa «promettere vicendevolmente»[32], garantire a propria volta[33]. Il responsor è colui che, di fronte all’impegno altrui, s’impegna a propria volta per garantirne il buon esito. Egli interviene in un rapporto obbligatorio già definito tra le parti, fornendo, con la sua parola, la sicurezza che l’impegno assunto da altri verrà rispettato. Se Benveniste evidenzia che respondēre significa scambiarsi un’offerta di sicurezza, assicurarsi reciprocamente un determinato risultato, Villey sottolinea un significato ulteriore, che avrà notevoli sviluppi nel diritto. Il responsor è infatti colui che nella stipulatio interviene a favore del debitore a garanzia del suo debito; pronunciando la formula «respondeo», egli rafforza l’impegno formalmente assunto dallo sponsor[34]. In questo caso la parola che impegna viene spesa per altri, si risponde per qualcuno, garantendo per lui.
Come scrive Villey «Le mot répondre implique dès lors l’idée de se tenir garant du cours d’évènements à venir»[35]. L’argomento evoca la dimensione del tempo implicata nell’enunciato di responsabilità: il responsor pronuncia le parole che, oggi, lo impegnano a garantire la stabilità di una relazione futura, più che a rendere conto di un’azione passata, come accadrà in età moderna[36].
Sono due gli elementi che emergono da queste prime formulazioni che per Villey cominciano a segnare la distanza con il concetto moderno di responsabilité: il primo sottolinea una concezione della responsabilità che definiremo come ‘indiretta’, che riguarda il comportamento di un altro soggetto del quale si deve rendere conto; il secondo anticipa una concezione prospettica della responsabilità: la dimensione temporale del respondēre è il futuro, nel quale si realizza un progetto comune, non il passato che si volge a un giudizio retrospettivo sul comportamento tenuto[37].
Promettere vicendevolmente, scambiarsi una garanzia è dunque il significato di respondeo che Villey assume come significato fondamentale della responsabilità. Dall’idea dell’impegno assunto formalmente e pubblicamente deriva quella dell’impegno a subire la sanzione nel caso in cui l’accordo non venisse rispettato[38].
Nelle sue riflessioni sul tema, pubblicate cinque anni dopo l’articolo di Villey, Uberto Scarpelli nota che in ciascuno dei numerosi significati di ‘respondeo’ sono presenti due elementi che si conserveranno nei termini moderni da questo derivati: «l’idea di una relazione intersoggettiva e l’idea di una garanzia o sicurezza data circa l’oggetto della relazione»[39]. La relazione tra due o più soggetti rappresenta una condizione necessaria del respondēre, fin dalle sue origini. Si risponde infatti sempre verso qualcuno, prima ancora che di qualcosa. Il dovere verso l’altro ha una priorità logica rispetto all’oggetto di tale dovere, alla prestazione. La stessa oralità dell’atto ne è un segno importante, non si può rispondere a sé stessi, né ci si può impegnare verso sé stessi, ma solo verso qualcuno. La risposta e l’impegno relativo avvengono in un contesto relazionale che conferisce il senso all’evento; rispondere implica sempre un rivolgersi a qualcuno, stabilendo una comunicazione[40].
A questi due elementi se ne affiancheranno altri, che in età moderna andranno a comporre la rete dei significati della responsabilità, e presenteranno uno spostamento dal polo oggettivo della relazione e della garanzia per altri a quello soggettivo della capacità di agire secondo consapevolezza e di pagare per le azioni compiute[41].
Ma ci vorranno ancora circa mille anni perché avvenga questa oscillazione e il termine francese responsable si affacci nell’orizzonte linguistico dell’Occidente. È questo il percorso che segue Villey, analizzando il termine.
4.2. Responsable: Il significato “autenticamente giuridico” della responsabilità
Al pari del termine ‘responsabilitas’, nei dizionari latini si cercherebbe inutilmente quello di ‘responsabilis’. L’aggettivo corrispondente appare nelle lingue europee, e per primo in quella francese, solo nel medioevo, conservando il significato di colui che può essere chiamato a rispondere per un’azione propria o altrui[42]. Nei testi medievali e moderni analizzati, Villey nota che in origine “répondre” o “être responsable” non implicavano in alcun modo l’esistenza di un atto colpevole, né la possibilità di essere costretti a subire una sanzione, quanto piuttosto la condizione di colui al quale poteva essere riferita un’azione propria o altrui.
Esiste dunque un primo nucleo di significati del termine ‘responsable’, derivato dal diritto romano, che richiama la situazione di chi è chiamato a rivestire un ruolo, assolvere un compito che gli viene affidato e che per questo potrà venir chiamato a rendere conto.
Villey conclude che è il diritto romano a restituirci il significato «autenticamente giuridico» del termine ‘responsabile’: «Sont responsables […] tous ceux qui peuvent être convoqués devant quelque tribunal , parce que pése sur eux une certaine obligation, que leur dette procède ou non d’un acte de leur volonté libre. Nous qualifieront ce premier sense d’autentiquement juridique. Pour nos juristes c’est le meilleur, bien que le plus ancient»[43].
Questa definizione esclude espressamente dal giudizio di responsabilità l’accertamento della colpa e segna la differenza tra il sistema attuale di responsabilità civile, accolto negli ordinamenti giuridici europei, e quello dell’età romana classica [44]. Sia l’analisi etimologica del termine responsable, sia la ricostruzione della disciplina degli illeciti confermano che nel diritto romano il significato di ‘responsabile’ è disgiunto da quello di ‘colpevole’. La tesi di Villey, profondo conoscitore del diritto romano, appare confortata dalle numerose autorevoli interpretazioni fornite dalla dottrina romanistica in materia di responsabilità aquiliana[45].
Nel regime del damnum iniuria datum, sancito dalla Lex Aquilia del III secolo A.C., il principale criterio d’imputazione dei danni era infatti l’iniuria, non la culpa. Iniuria indica un comportamento non iure, che non appare giustificato dal diritto, senza alcuna connotazione soggettiva riferita all’intenzione del soggetto chiamato a rispondere[46]. La culpa aveva un ruolo marginale che serviva ad integrare il criterio oggettivo d’imputazione del danno in alcuni particolari casi; questi si presentavano come eccezioni rispetto alla regola generale secondo cui si risponde del danno causato sulla base della constatazione oggettiva della diminuzione del valore del bene leso[47].
Questa particolare forma di oggettivazione della responsabilità, tanto avversata dalla dottrina civilistica contemporanea con cui Villey polemizza, è spiegata dalla stretta relazione tra il concetto giuridico di iniuria e il principio di giustizia “rettificatrice,” volto a ristabilire l’equilibrio turbato dal damnum.
La parola “furtum”, spiega Villey, non indica l’atto colpevole del rubare, quanto piuttosto “la cosa rubata”, e così le “res creditae” indicano i beni usciti dal patrimonio del creditore che dovranno farvi ritorno. In tutti questi casi è la considerazione oggettiva del danno che sollecita la risposta, più che la considerazione delle intenzioni del responsabile[48].
Negli ordinamenti contemporanei sono tuttora operanti numerose ipotesi di responsabilità senza colpa, direttamente derivate dal diritto romano; tuttavia, nel nostro diritto, i giuristi sono costretti a una serie di vere e proprie contorsioni concettuali per attribuire a un atto colpevole il danno, altrimenti non giustificabile secondo le categorie dell’individualismo giuridico moderno[49].
Altro carattere che determina la distanza tra il concetto classico di responsabilità e quello contemporaneo, ereditato dalla modernità, è l’assenza della nozione di diritto soggettivo, di cui per Villey non vi è traccia nella giurisprudenza classica romana. Sebbene il tema dei diritti soggettivi non compaia in Esquisse historique, rappresenta la premessa teorica della sua analisi, che egli ha espresso in numerosi scritti [50] e che è stata fatta oggetto di numerose critiche[51].
Il dovere di rispondere non nasce dunque dalla lesione di un diritto soggettivo, come verrà sostenuto dalla dottrina giuridica novecentesca europea e nord americana, ma dalla constatazione di una frattura nelle relazioni interpersonali, determinata da un’azione lesiva che turba l’equilibrio sociale.
La ragione di questa incongruenza è da ricercare nel processo di moralizzazione dei concetti giuridici inaugurato nell’età moderna.
5. Il mélange fumeux della responsabilità
Nel lento processo di evoluzione della responsabilità si delinea con chiarezza un mutamento, avvenuto nel XVII secolo ad opera della Scuola moderna del diritto naturale, che avrebbe moralizzato i concetti del diritto svuotandoli del loro originario contenuto.
Qui notiamo una certa semplificazione operata da Villey nella ricostruzione storica della formula del danno, in cui i segni del cambiamento si colgono già in alcune interpretazioni medievali della lex Aquilia, ma è comunque a Grozio e alla sua interpretazione del damnum che si deve l’attuale formulazione codicistica, francese e italiana della responsabilità civile.
Grozio, infatti, rinnova radicalmente la formula della Lex Aquilia, che si era conservata pressoché immutata nell’arco del medioevo, costruendo una norma generale e astratta che prevede l’obbligo del risarcimento tutte le volte che si è in presenza di un danno cagionato da un illecito, purché commesso con colpa[52].
La prima formulazione generale della responsabilità per danni si legge nel capitolo 17 del libro II del De jure belli ac pacis: «Veniamus ad id quod ex maleficio naturaliter debetur. Maleficium hic appellamus culpam omnem, sive in faciendo sive in non faciendo, pugnantem cum eo quod aut homines communiter, aut pro ratione certae qualitatis facere debent. Ex tali culpa obligatio naturaliter oritur si damnum datum est, nempe ut id resarciatur»[53].
Villey conclude che il concetto di responsabilità che si afferma nella modernità è un ibrido che nasce dalla contaminazione tra l’antico significato di ‘respondeo’ e i principi filosofici dell’età moderna. Questa non avrebbe inventato l’idea di responsabilità che noi sperimentiamo ancora oggi nel diritto e nella morale, ma piuttosto avrebbe trasformato i principi elaborati dal pensiero filosofico dell’antica Grecia e dal diritto romano, introducendo nuovi significati.
L'attuale significato dell'aggettivo ‘responsabile’ è quindi il frutto di un «mélange fumeux» tra principi del diritto romano e precetti della morale cristiana, che ha segnato le sorti del diritto[54].
Nel diritto romano il responsabile è chi può essere chiamato a rispondere delle conseguenze negative di un atto proprio o altrui, nel diritto moderno il responsabile è colui che è tenuto a rispondere delle conseguenze negative di un atto proprio, compiuto con coscienza e volontà.
La filosofia moderna sposta l’attenzione dall’oggetto al soggetto, concentrando sul mondo morale del singolo il significato fondamentale della responsabilità. Nel diritto della modernità, la responsabilità nasce da un atto colpevole, e la colpevolezza riguarda l'ambito psicologico e morale dell'intenzione, più che quello fisico dei risultati dell'azione; nel mondo giuridico romano invece la responsabilità è originata da una violazione del diritto, che ha prodotto uno squilibrio nell'ordine sociale ed economico, prima che morale[55].
Con Grozio il diritto abbandona definitivamente il concetto di giustizia aristotelica che era stato recepito dal diritto romano e si trasforma in un principio della ragione, piegato all’utilità umana. Anche il ruolo del giurista cambia, non più volto alla realizzazione del giusto equilibrio, ma a soddisfare, in base ai principi universali del nuovo diritto, le esigenze individuali[56].
Dalla distinzione deriva sia un differente significato attribuito alla colpa, sia il diverso ruolo che il concetto svolge nella determinazione della responsabilità. Nel diritto contemporaneo la colpa è connotata soggettivamente, come espressione di libertà interiore e giudizio morale sull'esercizio di tale libertà; nel diritto romano presenta invece un significato oggettivo, che indica innanzitutto il nesso causale tra l'evento e l'agente e ne presuppone la paternità psicologica.
Se nella concezione moderna della responsabilità l'indagine sulla colpa ha una priorità logica ai fini del giudizio, in quella espressa dal diritto romano ha un ruolo solo eventuale. In essa, come afferma Villey «la faute ne suffit pas à rendre responsable»[57]; entrano in gioco una serie di altri criteri, riferibili alla natura del danno, alla vittima, alla persona del danneggiante, che consentono di attribuire ad un soggetto - non necessariamente a colui che ha compiuto l’azione - la responsabilità.
L'azione si giudica in base alle sue conseguenze, oltre - e più - che in base all'intenzione, proprio perché tra l'una e le altre non vi è la separazione logica tra mondo fisico e mondo morale che plasmerà l'orizzonte culturale dell'età moderna.
Poiché la responsabilità coordina e riflette una serie di elementi ricavabili dall'ordine oggettivo delle relazioni sociali che esprimono un insieme di valori e pratiche condivise, il suo accertamento partirà da un'indagine esterna, che ha come fine quello di ristabilire un giusto equilibrio.
Riemerge chiaramente nell’analisi di Villey il tema del diritto naturale che non si declina in una serie di pretese soggettive, la cui violazione determina l’accertamento della responsabilità in capo all’agente, ma in un metodo teso ad accertare il “iustum”, ciò che esige una risposta da parte di chi viene individuato in questo ordine sociale come colui che è in grado di fornirla.
Questo spiega perché nel mondo romano il responsabile possa essere persona diversa da quella che ha materialmente cagionato il danno o commesso il delitto. Il paterfamilias che è chiamato a rispondere dei danni commessi dal filius, così come oggi un genitore è tenuto a pagare la vetrina che suo figlio ha infranto giocando a pallone, risponde in quanto garante di un ordine (quello delle relazioni parentali) che fa parte del più generale ordine di rapporti che compongono la comunità.
Nel diritto romano troviamo la radice dei significati che il termine ‘responsabilità’ racchiude al suo sorgere, che possono essere riassunti nelle espressioni ‘essere responsabili’ ed ‘essere fatti responsabili’. Infatti, nei confini della responsabilità romana sono compresi sia i casi in cui si risponde per i propri atti, sia quelli in cui si risponde per le azioni di chi o cosa ricade nella propria sfera d'influenza.
Mentre in età contemporanea, come rilevò Benedetto Croce, le due espressioni rivelano concetti distinti e separati: una responsabilità morale, espressione dell'autonomia di una natura libera, ed una responsabilità convenzionale che sottolinea l'eteronomia nascente dall'imposizione di un obbligo[58], in Roma antica i due significati sono in relazione: si è responsabili non solo e non tanto per ciò che si fa, ma soprattutto per ciò che si è. Il ruolo e le funzioni rivestiti nella famiglia, nella società e nello Stato impongono una serie di obblighi, tutti riconducibili ad un unico dovere, quello di essere garanti di un equilibrio. Per questo Villey ritiene che il significato “autentico” del termine ‘responsabile’ nasca nel diritto, e la sua compiuta elaborazione si trovi nelle soluzioni dei giuristi romani ispirate ai principi aristotelici della giustizia.
6. Critica del giusnaturalismo moderno: la ‘responsabilità’ di Villey
La proposta teorica di Villey, sebbene suggestiva, risente di un approccio critico al tema della responsabilità che sollecita alcuni approfondimenti di cui in questa sede si può fare un breve cenno.
Egli infatti ci propone, come risultato della sua analisi storico-giuridica e filologica il ‘vero’ significato della responsabilità, assumendo come inautentico il prodotto giuridico del giusnaturalismo moderno, senza tuttavia chiarire cosa significhi ‘autentico’ e ‘inautentico’ nel suo discorso.
Perché Villey si preoccupa di rivendicare tanto appassionatamente l’efficienza e la coerenza del regime romano della responsabilità contro il sistema moderno imperniato sulla colpa?
Nell’analisi egli assume come premessa la tesi dell’inadeguatezza dell’attuale concetto giuridico di responsabilità, e del suo impiego nel settore del risarcimento dei danni. Egli nota, condividendo le analisi di buona parte del pensiero civilistico, che la scienza giuridica contemporanea non è in grado di proporre un modello di responsabilità che superi le difficoltà connesse al regime della colpa, la cui storia, come scrisse Rotondi, è più «storia di dogmi», che «di istituti»[59].
Ciò che manca è una concezione ‘realistica’ del diritto che consenta la costruzione di un modello in cui siano ricomprese, oltre alla regola generale che impone di rispondere per gli atti volontari compiuti in violazione di norme giuridiche, anche le ipotesi in cui si è tenuti a rispondere per fatti altrui o per azioni non connotate dall’elemento intenzionale all’interno di una cornice[60]. Queste, come spiega Villey, vengono poste ai margini delle trattazioni civilistiche e relegate come eccezioni alla regola generale di matrice groziana.
Per questa ragione, egli propone un ritorno alla tradizione giurisprudenziale romana, saltando, come fosse un corpo estraneo e un elemento perturbatore nel sistema dell’iniuria, la colpa, e presentando la definizione giuridica di ‘responsabile’ come colui che può essere chiamato a rispondere davanti a un’autorità delle conseguenze di un’azione che gli venga attribuita, sia o meno espressione della sua libera volontà.
Questo viene presentato come l’unico significato coerente con le attuali istanze della giustizia civile che esigono l’abbandono delle premesse individualistiche della responsabilità e l’elaborazione di una nuova forma di responsabilità ‘oggettiva’, in cui l’oggettività corrisponde per Villey, alla ricerca dell’equilibrio nel confronto tra le differenti pretese giuridiche.
L’autenticità che Villey intende rivendicare riguarda una responsabilità espressione del “giusto naturale”, la cui formula non viene ricavata dal principio astratto del libero volere, ma da un’attenta valutazione delle pretese in conflitto[61].
Tuttavia, l’assunzione, in verità un po’ sbrigativa, della formula che egli ci propone, sebbene suggestiva, sembra contribuire solo in parte alla ricomposizione di un modello attuale di responsabilità, soprattutto nell’utile critica dell’ideologia giusnaturalista e dell’innesto della morale, con specifico riferimento alla colpa, nel corpo del diritto.
La rimozione del pensiero della scuola moderna del diritto naturale[62] che viene raffigurato come un’incrostazione sul corpo solido della responsabilità, da rimuovere nel rispetto della tradizione del diritto naturale classico, ci spinge a pensare che, in questo caso, invece che servirle, dovremmo servirci criticamente delle tradizioni.
Il panorama della società e della filosofia greca che Villey racconta nelle sue appassionate ricostruzioni storiche, mostra l’idea di uomini e donne che con le loro azioni conservano e garantiscono un ordine complesso di credenze, in cui la responsabilità ha la funzione di consentire e preservare un equilibrio di vita. La responsabilità significa essere in relazione con una comunità, verso cui si risponde e a cui si rende conto delle proprie azioni, con un mondo soprannaturale, che non si governa, ma che si deve apprendere a subire, a conoscere e a gestire, con una natura fragile e con la sorte, che ci costituisce come persone morali e modella i nostri giudizi.
Il mondo romano ha rafforzato e rielaborato l’idea di un tessuto relazionale che compone la vita individuale, tradotto in regole e figure giuridiche, in cui respondeo significa essere presenti con la parola, garantire l’equilibrato svolgimento di utili scambi e relazioni.
Queste idee hanno lasciato le tracce nei sistemi giuridici attuali, ma sono tracce che si scoprono a partire da un luogo, con uno sguardo che non può che essere figlio dell’età moderna, e quindi per tornare al nostro tema, di Grozio, Pufendorf, Kant, e prima ancora concettualmente di Galileo e Cartesio, proprio come quello di Villey.
Abstract: The essay explores the concept of responsibility as theorized by Michel Villey in two studies: the first, published in 1969, focuses on criminal responsibility in the thought of St. Thomas Aquinas, while the second, from 1977, examines the Roman roots of Aquilian responsibility. It is in the second essay, in particular, that Villey presents his concept of responsibility, derived from Roman law, aimed at ensuring social balance, rather than emphasizing individual prerogatives as seen in the modern era. All elements of Villey’s natural law philosophy are developed within the thesis of a responsibility to be rediscovered, once the influences of modern natural law are removed, and reintroduced into contemporary legal experience, which is called upon to provide answers of justice that the individualistic and formalist theory of law cannot offer.
Key Words: Michel Villey; Responsibility; Natural Law; Respondeo; Romanist roots of responsibility.
* Università degli studi di Sassari (foddaima@uniss.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review. Il presente lavoro è il frutto di una ricerca sul giusnaturalismo del Novecento coordinata e diretta dal prof. Franco Todescan, i cui risultati verranno pubblicati nel volume Vae mihi thomistizavero! Il diritto naturale di ispirazione tomista nel secolo XX, a cura di E. Ancona, S. Langella, F. Todescan, della collana Lex Naturalis. Classici del diritto naturale moderno.
[1] Per una ricostruzione degli approcci critici alla filosofia di Villey si vedano L. Parisoli, Michel Villey, in E. Ancona e G. De Anna (a cura di), Il tomismo giuridico del XX secolo, Torino, 2015, pp. 165-175. Con uno specifico riferimento alla tesi dei diritti individuali, cfr. B. Tierney, L’idea dei diritti naturali, Bologna 2002, p. 29 ss. (ed. or. The Idea of Natural Rights. Studies on Natural Rights, Natural Law and Church Law, 1997). Si veda inoltre S. Bauzon, Il mestiere del giurista. Il diritto politico nella prospettiva di Michel Villey, Milano 2001, p. 223 ss.
[2] M. Villey, L’idée de droit subjective et le droit romain, in Id., Le droit et les droits de l’homme, Paris 1990, p. 73, (1983).
[3] M. Villey, Philosophie du droit, vol. II Les moyens du droit, Paris, 1979, p. 94 ss. Sul realismo di Villey si veda J.L. Vouillerme, Penser le droit de l’homme avec Michel Villey, in Revue européenne de sciences sociales, 56/2 (2018), pp. 241-259, (p.250).
[4] M. Villey, Le droit naturel et l’histoire, in Id. Seize essais de philosophie du droit. Dont un sur la crise universitaire, Paris 1969, p. 77.
[5] M. Villey, La nature des choses, in Id. Seize essais de philosophie du droit, cit., p. 50.
[6] M. Villey, Abrégé du droit naturel classique, in Id., Leçons d’histoire de la philosophie du droit, Paris 1962, p. 133 ss.
[7] Ivi, p. 135.
[8] M. Villey, Philosophie du droit, vol. I Definitions et fin du droit, Paris 1979, p. 166. Id., Le droit et les droits de l’homme, Paris 1990 (1983). A. Dufour, Michel Villey et les droits de l’Homme: la critique d’un Antimoderne? in Droit et Philosophie, 8 (2016), pp. 1-11.
[9] A. Dufour, Michel Villey et les droits de l’Homme: la critique d’un Antimoderne? cit., p.10.
[10] M. Villey, La formation de la pensée juridique moderne, Paris, 1975, p. 578 (ed. it.La formazione del pensiero giuridico moderno, Milano 1986, da cui verranno tratte le citazioni nel testo).
[11]Sul ruolo di Villey nell’ambito degli studi filosofico-giuridici in Francia si veda J. L. Vouillierme, Penser les droits de l’homme avec Michel Villey, cit., p. 244:“Sur le plan de contexte, il faut bien voir qu’il y a dans la philosophie du droit en France, un avant e un après Villey”.
[12] M. Villey, Responsabilité pénale. La responsabilité chez Saint Thomas, in Id. Seize essais de philosophie du droit, don’t un sur la crise universitaire, cit., pp. 247-262.
[13]Ivi, p. 248.
[14]S. Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, traduzione e commento a cura dei Domenicani italiani. Testo latino dell’edizione Leonina, Bologna 1984, vol. XI. Per gli amplissimi riferimenti bibliografici sul tema, rinvio alla Introduzione bibliografica di O. De Bertolis -F. Todescan (a cura di), Tommaso d’Aquino, Padova 2003, pp. 3-72.
[15]M. Villey, Responsabilité pénale. La responsabilité chez Saint Thomas, cit., p. 254.
[16]Ivi, p. 249.
[17] Ivi, p. 250.
[18] M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. 131.
[19] I. Kant, La metafisica dei costumi, trad. di G. Vidari G., Roma-Bari 1989, p. 164 ss. (Die Metaphysik der Sitten,1797). Sul modello kantiano di giustizia retributiva cfr. M. A. Cattaneo, Pena, diritto e dignità umana: saggio sulla filosofia del diritto penale, Torino 1990. Sugli sviluppi del retributivismo si veda F. Zanuso, A ciascuno il suo. Da Immanuel Kant a Norval Morris: oltre la visione moderna della retribuzione, Padova 2000; Per un approccio critico al paradigma della retribuzione si veda il volume curato da L. Eusebi, La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, Milano 1989.
[20]Si vedano inoltre le riflessioni contenute nel saggio De la laicité du droit selon Saint Thomas, cap. X del volume Leçons d’histoire de la philosophie du droit, Paris 1962, p. 219.
[21]M. Villey, La responsabilité chez Saint Thomas, cit., p 262.
[22] La rivista che egli contribuì con la sua attività a riportare al centro del dibattito filosofico-giuridico internazionale, con l’intento di restituire dignità alla materia della filosofia del diritto, maltrattata dalla cultura giuridica e filosofica francese, come si può leggere nei Prolégomenes del primo volume di Philosophie du droit, Definitions et fins du droit, in cui Villey lamenta il ruolo marginale della materia in Francia,: “Si, comme on le sohuaite, des étudiants en droit français avaient la possibilité de travailler quelques semestres hors de l’hexagone, dans les grandes universités voisines de l’Europe, ils y verraient qu’une discipline pu connue en France, nommée “philosphie du droit”, tient dans les programmes une place importante”, Paris 1978, p. 1. Si vedano le riflessioni di O. Pfersmann, Après Michel Villey, la philosophie du droit aujourd’hui, in Cités, 58/2 (2014), pp. 61-73.
[23] M. Villey, Esquisse historique sur le mot «responsable», in Archives de Philosophie du Droit, 22 (1977), pp. 45-58; successivamente pubblicato in AA.VV., La responsabilité à travers les âges, Paris 1989. (Le citazioni si riferiscono all’edizione del 1977).
[24]M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. 58, ma si vedano le sue riflessioni nel secondo capitolo di Leçons d’histoire de la philosophie du droit, intitolato La philosophie grecque classique et le droit romain, cit., p. 24 ss.; si veda inoltre Le droit romain, Paris 2012 (ed. or. 1945), p. 77 ss.
[25] Si veda sul tema la fondamentale opera di F. Schulz, Principi del diritto romano, Firenze 1985 (Prinzipien des römischen Rechts, München 1934).Cfr. L. Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano 1975, p. 13.
[26]F. D’Agostino, Introduzione a M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. XIV.
[27]Come sottolinea R. Mc Keon, The Development and the Significance of the Concept of Responsibility, in Revue Internationale de Philosophie, 39 (1957), pp. 3-32, l’aggettivo responsabilis invece fa la sua comparsa nel latino medievale alla fine del 1200, in coincidenza con l’uso di responsable: «Neither the noun nor the adjective occurs in classical Latin, and the adjective “responsabilis” is not found in medieval Latin until the 14th century, after the formation of the French word», (pp.8-9).
[28]Così S. Schipani, Lex Aquilia, culpa, responsabilità, in F. Milazzo, (a cura di), Illecito e pena privata in età repubblicana, Atti del convegno internazionale di diritto romano, Copanello 4 - 7 giugno 1990, Napoli, 1992, p. 161.
[29] M. Villey, Esquisse historique sur le mot «responsable», cit., p. 46.
[30] E. Benveniste rileva la chiara parentela del verbo latino spondeo col greco σπένδω,fra i cui significati spicca quello di «concludere un patto e prendersi reciprocamente a garanti»[30]. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol II, Torino, 1976, (Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Paris, 1969), vol. I, p.446 s.
[31]Come mostrano le formule matrimoniali, scambiate tra il padre della sposa e il pretendente che sanciscono l’impegno assunto a garanzia del patto concluso, riportate da Plauto nel Trinummus, Plauto, Trinummus, 1157-1162, cit. in E. Benveniste, op. cit., p.446.
[32]J. Facciolati, Æg. Forcellini, et J. Furlanetti, Lexicon Totius Latinitatis, Patavii, 1887, tom. IV, v. Respondeo, p. 115.
[33] Anche in questo caso un dialogo di Plauto viene in aiuto a chiarire il significato del verbo: «Il parassita Ergasilo porta a Egione una buona notizia: suo figlio, sparito da molto tempo, sta per rientrare. Egione promette a Ergasilo di nutrirlo in eterno, se dice la verità. E costui si impegna a sua volta: 898. Sponden tu istud? – Spondeo. 899. At ego tuum tibi advenisse filium respondeo ‘Promesso? – Promesso - E io ti prometto a mia volta che tuo figlio è arrivato’» Cit. in E. Benveniste, op. cit., p.446-447.
[34] M. Villey, Esquisse historique sur le mot responsable, cit., p.46 s.
[35] Ibidem, «Le mot répondre implique dès lors l’idée de se tenir garant du cours d’évènements à venir».
[36]Cfr. E. Garzón Valdés, L’enunciato di responsabilità, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1 (2000), pp. 171-202, il quale distingue tra “enunciato di responsabilità (ER) retrospettivo” ed “enunciato di responsabilità (ER) prospettico”: il primo imputa una responsabilità che si riferisce a un evento passato; il secondo imputa una responsabilità che si riferisce a un evento futuro, (p. 171).
[37]L’accento posto sul futuro e sull’idea di sicurezza si conserverà soprattutto in una particolare forma moderna di responsabilità: la responsabilità per ruolo, che ha consolidato l’idea di garanzia riferita all’assolvimento di un insieme complesso di doveri derivanti da un compito sociale Cfr. H.L.A. Hart, Responsabilità e pena, Milano, 1981 (Punishment and Responsibility, Oxford, 1968), p.240. Cfr. inoltre R. S. Downie, Roles and Values, London, 1971.
[38] Per un’analisi puntuale dei significati di respondeo cfr. S. Schipani, Lex Aquilia, culpa, responsabilità, cit., p. 161 ss.
[39] U. Scarpelli, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell’uomo, in R. Orecchia (a cura di), La responsabilità politica. Diritto e tempo, Atti del XIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica, Milano 1982, p. 45.
[40]Nel suo Lexicon Totius Latinitatis, Forcellini scrive che «respondēre proprie est ore loqui, non scripto», evidenziando quel carattere che si conserverà nell’uso moderno più diffuso del rispondere, del dare una risposta a una domanda, Cfr.Facciolati, Æg. Forcellini, et J. Furlanetti, Lexicon Totius Latinitatis, cit., v. Respondeo., p. 115; si veda inoltre J. Schwartländer, Responsabilità, in H.Krings, H.M.Baumgartner, C. Wild, Concetti fondamentali di filosofia, vol. III, Roma, 1982, (Verantwortung, in Handbuch philosophischer Grundbegriffe, München, 1974).
[41]Si veda O. Descamps, L’histoire de la responsabilité: un essai de synthèse, in Archives de Philosophie du droit, 63 (2022), p. 3-24.
[42] J. Henriot, Note sur la date et le sens de l’apparition du mot “responsabilité”, in Archives de philosphie du droit, 22 (1977), pp. 59-62.
[43] M. Villey, Esquisse historique sur le mot «responsable, pp. 51-52. Si veda inoltre Id.,Signiifications philosophiques du droit romain, in Archives de philosophie du droit, 26 (1981), p. 381-392.
[44]Cfr R. Robaye, Responsabilité objective ou subjective en droit romaine, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, LVIII (1990), pp. 345-359,
[45] Imprescindibile il riferimento agli studi di G. Rotondi, Dalla “lex Aquilia” all’art. 1151 c.c. Ricerche storico-dogmatiche, in Rivista di diritto commerciale, I (1916), pp. 942-970; si veda inoltre L. Vacca, (a cura di), La responsabilità civile da atto illecito nella prospettiva storico-comparatistica, Atti del Congresso Internazionale ARISTEC, 7- 10 ottobre 1993, Torino 1995. A. Cannata, Sul testo della Lex Aquilia e la sua portata originaria, in Id. Scritti scelti di diritto romano, a cura di L. Vacca, vol. II, Torino, 2012, pp. 153-183.
[46] Con questo termine i giuristi romani intendevano esprimere un generale criterio di ingiustizia riassunto dalla formula «quod non iure fit» [Ulpiano, Digesto, 47, 10, 1 pr. (Ulpianus 56 ad edictum)] che conferiva all’evento il carattere di illiceità e che riverberava sul comportamento dell’agente; cfr.S. Schipani, Lex Aquilia. Culpa Responsabilità, cit., p. 140.
[47] La tesi è confortata da tutte quelle ipotesi di responsabilità, elaborate dai giuristi romani, come nel caso dell’actio de pauperie, che imponeva l’obbligo di riparare il danno causato dalla caduta di una tegola, o delle actiones de deiectis vel effusis che, al fine di assicurare l’incolume transito per le strade della città, imponevano all’habitator l’obbligo di risarcire il danno causato da una cosa gettata o versata nel luogo dove la gente era solita transitare o sostare.Sul punto S. Schipani, Il contributo dell’Edictum de his qui deiecerint vel effuderint e dell’Edictum ne quis in suggrunda ai principi della responsabilità civile dal Corpus Iuris ai codici civile europei e latinoamericani, in Scintillae Iuris, Studi in memoria di Gino Gorla, Milano 1994, vol. II, p. 1108 ss.
[48]M. Villey, Esquisse hystorique sur le mot responsable, cit., p. 50. Cfr. J.L. Vuillierme, La chose, (le bien) et la métaphysique, in Archives de Philosophie du Droit, 24 (1979), pp. 31-54; cfr. inoltre Y.P. Thomas, Res, chose et patrimoine (Note sur le rapport subjet-objet en droit romain), in Archives de Philosophie du Droit, 25 (1980), pp. 413-428.
[49] Ibidem; cfr. Id.,Signification philosophique du droit romain, cit.; si vedano inoltre le osservazioni di G. Viney sull’evoluzione della responsabilità nel diritto civile in Francia, La responsabilité, in Archives de Philosophie du Droit, 34 (1990), pp. 275-292, (p. 280 s.).
[50]Al tema, com’è noto, Villey ha dedicato numerosi scritti, tra questi M. Villey, L’idée de droit subjectif et les systèmes juridiques romaines, in Revue historique de droit français et étranger, 24 (1946), pp. 201-227, Id., Le droit et les droits de l’homme, cit., cap.5 Qu’est le “droit” dans la tradition d’origine romaine? e cap. 6 Le “Droit subjectif” et la science juridique romaine, pp. 55-79.
[51] Si vedano le riflessioni di B. Tierney che, pur ritenendo in parte condivisibile la tesi sulla mancanza del concetto di diritto soggettivo nella Roma classica, ne critica il metodo: “La critica più aspra che potrebbe essere svolta riguardo al modo in cui Villey tratta il diritto romano (e che potrebbe valere anche per la sua successiva discussione di Tommaso d’Aquino) è che egli sceglie una manciata di testi che fanno al caso suo, appronta tutta una teoria del diritto a partire da essi, e poi rifiuta di prendere sul serio qualsiasi testo che non si accorda con la sua lettura”, L’idea dei diritti naturali, cit., p. 36.
[52] Cfr. P. Cerami, La responsabilità extracontrattuale dalla compilazione di Giustiniano ad Ugo Grozio, in L. Vacca (a cura di), La responsabilità civile da atto illecito nella prospettiva storico-comparatistica, cit., p. 107 ss.
[53] Hugo Grotius, De iure belli ac pacis. Libri tres, a cura di R. Feenstra E C.E.Persenaire, Aalen 1993, riproduzione anastatica, dell’edizione a cura di B.J.A. De Kanter-Van Hettinga Tromp, et. Al., pubblicata a Leiden, 1939, L. II, Cap. XVII, p. 427. Sul pensiero di Grozio si veda F. Todescan, Le radici teologiche del giusnaturalismo laico, Padova 2014.
[54] M. Villey, Esquisse hystorique, p. 45.
[55]«Sans doute aussi le droit romain s’inscrivait-il dans une morale: mais une autre espèce de morale, morale de bien et du juste, morale qui s’addressait au juge chargè de definir le juste. La morale moderne s’adresse à n’importe quel individu, dictant des règles de conduite », così M. Villey, Esquisse hystorique, cit., p. 52.
[56] M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. 519 ss.
[57]Ivi, p. 51.
[58] Benedetto Croce mette in luce la distinzione sostenendo la tesi secondo cui la responsabilità giuridica corrisponde esclusivamente all’assoggettabilità ad un obbligo giuridico che deriva dalla violazione di una norma: “l’uomo non è responsabile della sua azione, ossia […] l’azione non è scelta da lui ad arbitrio, e perciò non gliene spetta né biasimo né lode, né castigo né premio. […] Non si è responsabili, ma si è fatti responsabili, e chi ci fa responsabili è la società, che impone certi tipi di azione, e dice all’individuo: Se tu vi ti conformi avrai premio: se vi ti ribelli, avrai castigo; e, poiché tu sai quel che fai e intendi quel che io chiedo, io ti dichiaro responsabile dell’azione che eseguirai», Frammenti di etica, in ID., Etica e politica, Bari 1945, p. 107.
[59]G. Rotondi, Dalla Lex Aquilia all’art. 1151 c.c., cit., p. 237.
[60]Sul realismo di Villey si veda J. L. Vouillierme, Penser les droits de l’homme avec Michel Villey, cit., p. 246. Cfr. B. Tierney, L’idea dei diritti naturali, cit., p. 36 ss.
[61] Ibidem.
[62]Filtrato dalle elaborazioni dei filosofi della Seconda Scolastica; M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. 293 ss. sul punto si vedano le riflessioni di. F. Todescan, Michel Villey et la Seconde Scolastique, in Droit et Philosophie, 8 (2016), pp. 1-16.
MARIA ANTONIETTA FODDAI
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