L’itinerario della Commissione parlamentare per la semplificazione tra co-legislazione, controllo e indirizzo
Davide Servetti
dottore di ricerca in Diritto costituzionale
Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano
L’itinerario della Commissione parlamentare per la semplificazione tra co-legislazione, controllo e indirizzo*
English title: The evolution of co-legislative and control powers of Parliamentary Committee for rationalization of regulation
DOI: 10.26350/004084_000078
Sommario: 1. Premessa. 2. La genesi dell’organo sul finire della XIV legislatura. 3. L’esperienza della Commissione dalla XV alla XVIII legislatura; 3.1. Uno sguardo d’insieme ai compiti e all’attività dell’organo nel periodo considerato; 3.2. La Commissione alla prova del “taglia-leggi” tra la XV e XVI legislatura; 3.3. L’evoluzione dei compiti della Commissione nella XVII legislatura; 3.4. Cenni all’attività nella legislatura corrente e qualche interrogativo alla luce del “decreto Semplificazioni” (d.l. 16 luglio 2020, n. 76). 4. Considerazioni conclusive e prospettive.
- Premessa
Nell’esperienza degli organismi bicamerali del Parlamento italiano, tradizionalmente oggetto di un’attenzione circoscritta ma speciale all’interno della dottrina[1], la Commissione parlamentare per la semplificazione mostra ormai un radicamento non trascurabile. Istituita con legge sul finire della XIV legislatura, è stata regolarmente costituita a partire dalla successiva e ha conosciuto un’interessante evoluzione del proprio ruolo, segnata sia da progressive integrazioni al bagaglio di funzioni, che il legislatore le aveva originariamente assegnato sul calco del suo più immediato precedente[2], sia da una rimarchevole iniziativa nell’impiego dei propri poteri conoscitivi.
L’interesse per la vicenda di quest’organo bicamerale può cogliersi a partire dalla circostanza che in essa si intreccino, principalmente, due grandi processi di trasformazione dell’ordinamento: uno più recente, ma soggetto a rapide metamorfosi, rappresentato dalle c.d. politiche di semplificazione normativa e amministrativa; l’altro, di portata storica e sistemica evidentemente più estesa, che riguarda la trasformazione dell’istituzione parlamentare.
Su entrambi i versanti, la Commissione per la semplificazione rappresenta un oggetto di studio significativo. Sul primo, l’incremento di funzioni e, soprattutto, l’effettivo andamento delle attività dell’organo rispecchiano – talora con una discreta capacità d’incidenza sui medesimi – gli sviluppi delle politiche di semplificazione, nella loro duplice dimensione, normativa (praecipue legislativa) e amministrativa. Questa natura ancipite, “geneticamente” impressa nelle politiche di semplificazione per come queste sono state strutturate e sviluppate a partire dall’inizio degli anni Novanta fino ad oggi[3], ha assunto i connotati altresì di una doppia polarità, che, lungo le quattro legislature di attività della Commissione, risulta ben visibile nelle differenze esistenti tra le operazioni di semplificazione della XV e XVI legislatura (incentrate sulla semplificazione legislativa), da un lato, e della XVII e (nella misura in cui su di essa possono esprimersi valutazioni non del tutto provvisorie) XVIII legislatura (incentrate su quella amministrativa), dall’altro: differenze evidenti, anzitutto, sul piano dell’“investimento politico” dei Governi succedutisi nel periodo considerato, di fronte alle quali vanno registrate una certa capacità di adattamento della Commissione al mutamento delle politiche di settore e un corrispondente impiego diversificato dei poteri a sua disposizione.
Quest’ultima osservazione introduce al secondo versante, poiché la vicenda della Commissione per la semplificazione si inscrive entro dinamiche evolutive dell’istituzione parlamentare da tempo oggetto di attenzione nella discussione scientifica, come la perdita di rilevanza della funzione legislativa a beneficio di procedimenti (eterogenei e polivalenti) riconducibili alla funzione di controllo[4], nonché l’orientamento del Parlamento a rafforzare le forme bicamerali di esercizio dei propri poteri[5]. Se queste tendenze, almeno in parte, possono leggersi come ricorsi interni sia alla “storia lunga” dei parlamenti (nel caso del revirement della funzione di controllo) sia alla storia più breve del nostro parlamento repubblicano (nel caso dell’incremento di sedi e procedure bicamerali)[6] e, dunque, il loro contributo al rinnovamento dei poteri del Parlamento va valutato con prudenza, è pur vero che proprio una vicenda come quella qui all’attenzione mostra che una accorta combinazione di procedimenti non legislativi e la loro imputazione a organi bicamerali possano costituire una risorsa preziosa, che sarebbe consigliabile coltivare in chiave sistematica, non soltanto quale strumento per presidiare spazi di potere del Parlamento nei rapporti con il Governo, ma quale veicolo per un complessivo miglioramento della qualità sostanziale della legge. Quest’ultima, infatti, se intesa quale «reale capacità della legge di “inserirsi” nelle situazioni e nei rapporti che è chiamata a regolare, e di misurarsi con le problematiche e gli interessi che richiedono l’intervento legislativo»[7], è un attributo che tale intervento può meglio perseguire sia attraverso un processo di produzione normativa quanto più possibile inclusivo nella selezione e sintesi degli interessi rilevanti nella materia da regolare, sia ambendo a che la legge così prodotta acquisisca un carattere organico e una prospettiva di stabilità nel tempo, nell’ottica tanto del pluralismo politico e sociale quanto della certezza del diritto.
- La genesi dell’organo sul finire della XIV legislatura.
La Commissione parlamentare per la semplificazione[8] viene istituita con l’art. 14, comma 19, della legge 28 novembre 2005, n. 246, quale organo bicamerale con funzioni consultive e di controllo da esercitareall’interno della procedura c.d. “taglia-leggi” disegnata da tale disposizione[9].
Siamo negli ultimi mesi della XIV legislatura e le Camere approvano, dopo un iter durato circa un anno[10], la quarta legge di semplificazione, che, dopo le precedenti del 1999, 2001 e 2003, sarà anche l’ultima delle leggi “annuali”[11] pianificate dall’art. 20 della legge 59/1997.
Nelle intenzioni del legislatore, essa avrebbe dovuto imprimere una svolta quantitativa e qualitativa alle politiche di semplificazione normativa, introducendo un meccanismo di abrogazione generalizzata finalizzato a produrre una forte riduzione dello stock normativo, benché – almeno inizialmente[12] – limitato alla sua porzione più risalente nel tempo, prevedendo l’abrogazione di tutte le disposizioni legislative statali pubblicate antecedentemente al 1° gennaio 1970 delle quali non si ritenesse indispensabile il mantenimento in vigore. Avrebbero dunque conservato la propria vigenza soltanto le disposizioni escluse da tale meccanismo per diretta previsione della legge oppure quelle individuate dal Governo in attuazione della delega ivi contenuta[13]: un’abrogazione che, non a caso, autorevole dottrina definì «da abbandono»[14], rieditando una metafora già impiegata per altri processi di riforma[15]. Nel disegno del legislatore del 2005, questa forte riduzione dello stock legislativo vigente ma inutile, la cui ricognizione avrebbe potuto contare su precedenti iniziative di censimento e raccolta[16], avrebbe dovuto combinarsi con la semplificazione e il riassetto normativo delle materie oggetto delle disposizioni salvate dai decreti attuativi della delega, secondo i principi e le forme dell’art. 20, l. 59/1997. Sulla delega “salva-leggi” si sarebbe dunque dovuta innestare – secondo una previsione troppo ottimistica[17] – anche la prosecuzione di quel cammino di semplificazione dei procedimenti amministrativi e di codificazione settoriale che aveva caratterizzato le politiche di semplificazione normativa e amministrativa incardinate sul menzionato art. 20, il quale, pur con qualche correzione apportata dalla stessa legge 246/2005, veniva confermato nella formulazione introdotta due anni prima con la riforma c.d. Frattini-Mazzella[18].
L’istituzione della Commissione, dunque, va anzitutto inquadrata in questo, ambizioso, progetto di riforma della legislazione e nel connesso clima politico-parlamentare in cui fu discusso e approvato il disegno di legge governativo, almeno per quanto riguarda la prima (determinante) lettura in Senato.
Il “taglia-leggi”, benché rientrasse tra le ipotesi in elaborazione da parte del Governo al momento della presentazione del disegno di legge nella camera alta[19], non faceva parte dell’originaria versione dell’A.S. 3186 e fu introdotto con un emendamento del relatore[20]. A questo seguirono tre emendamenti governativi[21], uno dei quali dedicato proprio all’istituzione di una commissione bicamerale di controllo sull’attuazione della delega[22]. In base ad essi, si pervenne ad una nuova formulazione del primo emendamento del relatore[23], poi approvato in commissione[24] e confermato, con qualche modifica, in assemblea[25]. L’intero percorso all’interno della commissione referente fu caratterizzato da un dialogo costruttivo tra commissari di maggioranza e di opposizione[26], che pesò decisivamente[27] al momento del voto in assemblea, il quale, sull’emendamento avente ad oggetto il futuro art. 14, fu favorevolmente espresso anche da parte del principale gruppo di opposizione, che, in sede di dichiarazione di voto, sottolineò positivamente proprio l’introduzione di un controllo rafforzato del Parlamento sull’esercizio della delega legislativa[28].
Questi aspetti apparentemente minori consentono, invero, di cogliere un primo dato rilevante, poiché confermano che, almeno al momento della sua istituzione – nel prosieguo si metterà alla prova questa lettura alla luce del concreto funzionamento dell’organo – la Commissione per la semplificazione rispose ad una dinamica consolidata nella prassi parlamentare italiana. Alcuni autori[29], tra coloro che assumono una posizione più favorevole nei confronti di queste forme di collaborazione strutturale tra le Camere[30], osservano infatti che, tradizionalmente, l’istituzione di commissioni bicamerali corrisponde all’esigenza di rafforzare il ruolo del Parlamento e i suoi poteri di controllo nei confronti del Governo su materie e procedure rimesse alla prevalente responsabilità (e discrezionalità) dell’esecutivo. Se il peso e il senso politico di questa prassi parlamentare sono certamente mutati in confronto ad una prima stagione in cui essa si sviluppò con successo (il periodo del compromesso storico e della solidarietà nazionale), successivamente, dopo un suo “riflusso” negli anni Ottanta[31], la trasformazione in senso maggioritario della forma di governo a beneficio dell’esecutivo ha offerto un contesto favorevole ad un suo revirement[32], specialmente in occasione dei grandi processi di riforma realizzati attraverso la delegazione legislativa[33]. Ecco che, in queste condizioni, l’istituzione di un organo bicamerale incaricato di controllare l’attuazione della riforma, attraverso il parere obbligatorio sugli schemi di decreti legislativi, da un lato, e attraverso una serie più o meno tipizzata di poteri conoscitivi e di verifica, dall’altro, può comportare (almeno in teoria) alcuni benefici, aumentando il peso del controllo parlamentare sotto il profilo sia formale sia sostanziale, poiché: introduce un procedimento consultivo ad hoc, che viene a combinarsi con quelli riferiti alle commissioni permanenti delle due Camere[34], così incrementando i momenti del controllo parlamentare e accentuandone la dimensione di co-decisione legislativa (o co-legislazione che dir si voglia[35]); favorisce un maggior peso politico del parere, sia perché il parere della bicamerale può essere occasione per il coordinamento e l’integrazione di indicazioni provenienti dalle commissioni monocamerali[36], sia perché nelle bicamerali consultive la dialettica maggioranza-opposizione vive, tendenzialmente, condizioni di contesto che rendono più agevole il dialogo e la mediazione tra gruppi. Quest’ultimo profilo sarà ripreso oltre, ma va segnalato che costituisce uno degli aspetti più interessanti, benché anche tra i più sfuggenti nel già fluido scorrere del diritto parlamentare, sui quali riflettere in tema di commissioni bicamerali. Se può senz’altro condividersi l’opinione per cui proprio sull’aggravamento delle procedure di controllo, a mezzo di commissioni bicamerali ad hoc, possono coagularsi maggioranze contingenti e più ampie rispetto a quelle della formula di governo e l’introduzione di simili strumenti parlamentari può così facilitare il raggiungimento di intese tra maggioranza e opposizione[37], il caso della Commissione per la semplificazione (il quale conferma l’opinione appena riferita) suggerisce di ragionare anche su altri due fattori che possono migliorare il processo di decisione politica dal punto di vista del coinvolgimento delle opposizioni: le bicamerali non lavorano quotidianamente sotto il peso dell’attività legislativa, nella quale l’asse fisiologico tra maggioranza e Governo e le frequenti prove di forza cui il Governo induce la propria maggioranza tendono a inasprire il confronto con i gruppi di opposizione; la prassi, in crescita, di programmare i lavori delle bicamerali specialmente intorno a procedimenti come le indagini conoscitive[38] – pur generando i rischi che si noteranno più avanti – può consentire a questi organi di profilarsi quali interlocutori privilegiati per conto del Parlamento, sui temi oggetto della propria competenza ad hoc, non solo nei confronti del Governo, ma anche delle organizzazioni economiche e sociali e delle istituzioni consultate nei cicli di audizioni, nonché di trovare più facilmente, su questo terreno, posizioni comuni tra maggioranza e opposizioni. Si tratta di aspetti che, nella prospettiva di un miglioramento della qualità sostanziale della legge, sarebbe a nostro avviso consigliabile non liquidare come eccessivamente esposti alla variabilità dalle contingenze politiche (se non altro perché è difficile rintracciare dimensioni dei lavori parlamentari che non lo siano).
- L’esperienza della Commissione dalla XV alla XVIII legislatura.
3.1. Uno sguardo d’insieme ai compiti e all’attività dell’organo nel periodo considerato.
Come già ricordato, l’art. 14 della legge n. 246/2005 assegnava alla Commissione per la semplificazione due principali compiti riferiti all’operazione “taglia-leggi”: esprimere il parere sugli schemi dei decreti legislativi recanti le disposizioni sottratte all’abrogazione generalizzata e abilitati anche a provvedere alla semplificazione e al riassetto normativo delle relative materie; verificare periodicamente lo stato di attuazione dell’operazione, sul quale riferire alle Camere con relazione semestrale. Benché pluriennale, la procedura del “taglia-leggi” era programmata – e tale è stata effettivamente, pur tra modifiche e contingenti deviazioni – come un’operazione di semplificazione legislativa “a termine”, destinata ad esaurirsi nel giro di alcuni anni, con l’adozione degli ultimi decreti legislativi integrativi e correttivi. In tal senso, anche la Commissione avrebbe esaurito naturalmente i propri compiti. A proiettarla verso un futuro più duraturo, invece, poteva paradossalmente essere l’attribuzione all’organo delle funzioni già esercitate dalla Commissione per l’attuazione della riforma amministrativa istituita dalla legge 59/1997. Al termine della XIV legislatura, infatti, del processo di riforma originato dalle ben note deleghe legislative concernenti i trasferimenti di funzioni amministrative a Regioni ed enti locali e il riordino della presidenza del Consiglio, dei ministeri e di altre amministrazioni statali, residuavano ancora alcuni provvedimenti attuativi da adottare, i quali, tuttavia, sarebbero presumibilmente andati anch’essi, prima a poi, ad esaurirsi[39]. Diverso discorso poteva farsi, invece, per un istituto a carattere stabile, come la legge annuale di semplificazione, destinata potenzialmente a determinare indirettamente la permanenza in attività della commissione bicamerale, cui, genericamente, l’art. 5 della legge Bassanini assegnava una competenza di verifica sullo stato di attuazione di tutte le riforme da essa previste[40].
In effetti, nell’esperienza di funzionamento della Commissione lungo le quattro legislature di attività, sono ben visibili due fasi.
La prima è stata senz’altro dominata dalla travagliata operazione “taglia-leggi”, che si sviluppa tra la XV e (soprattutto) la XVI legislatura. Durante tale periodo, la Commissione ricevette anche ulteriori nuovi compiti, tutti implicanti l’espressione di pareri su atti del Governo primari[41] e secondari[42], alcuni dei quali previsti in sede di conversione di decreti-legge[43], secondo una scelta che va a confermare la dinamica di rafforzamento del controllo parlamentare sottolineata nel precedente paragrafo; tuttavia, la sua attività si concentrò sulla predetta operazione, al cui interno essa giocò un ruolo rilevante, che merita un esame più ravvicinato (v. § 3.2).
La seconda fase, invece, si può ritenere sia stata avviata, in un certo senso, proprio sulle fondamenta di quelle competenze generali sulla verifica dello stato di attuazione della l. 59/1997 ereditate dalla Commissione per la riforma amministrativa: tali virtualità sono state senza dubbio valorizzate dalla stessa Commissione per la semplificazione all’indomani della sua riattivazione nei primi mesi della XVII legislatura, quando, come vedremo, essa assunse l’iniziativa di una indagine conoscitiva che alimentò la discussione di diverse mozioni, una delle quali fu approvata alla Camera nel giugno 2014. Questi primi passaggi non furono, come si vedrà, senza conseguenze nello sviluppo delle politiche di semplificazione della legislatura, nella quale la Commissione ricevette presto nuovi compiti con riferimento tanto alla consultazione su schemi di decreti legislativi, quanto con riferimento alla verifica e al controllo di attività del Governo e dell’amministrazione: sul primo versante, essa ha partecipato all’attuazione della delega avente ad oggetto la riforma della pubblica amministrazione di cui alla legge n. 124/2015 (c.d. riforma Madia), oltre che a codificazioni settoriali[44]; sul secondo, dopo averne proposto l’introduzione, essa ha acquisito funzioni di verifica sullo stato di attuazione dell’Agenda per la semplificazione, individuata dall’art. 24 del d.l. 90/2014 (conv. l. 114/2014) quale principale atto di programmazione delle politiche di semplificazione amministrativa comune a Stato e Regioni, nonché sui risultati e sullo sviluppo dei progetti “Normattiva” e “X-leges”. Su questa “seconda vita” della Commissione, ci soffermeremo nel § 3.3.
3.2. La Commissione alla prova del “taglia-leggi” tra la XV e XVI legislatura.
Il percorso di abrogazione generalizzata disegnato dall’originaria versione dell’art. 14 della l. 246/2005 prevedeva una prima fase di ricognizione delle disposizioni legislative statali vigenti, da realizzarsi entro due anni da parte del Governo, finalizzata non solo a delineare il corpus normativo oggetto dell’operazione “taglia-leggi”, ma altresì ad evidenziare «le incongruenze e le antinomie normative relative ai diversi settori legislativi»[45]. La relazione governativa in questione fu elaborata nei tempi e fu illustrata presso la Commissione parlamentare l’11 dicembre 2007, nel corso dell’indagine conoscitiva da essa avviata nel marzo di quell’anno. La bicamerale, infatti, aveva deliberato di procedere, nell’attesa dell’espletamento di quella prima fase, ad un ciclo di audizioni sulla semplificazione legislativa e sullo stato di attuazione dell’operazione “taglia-leggi”. Durante le dieci sedute dedicate all’indagine si alternarono specialmente rappresentanti di associazioni di categoria e i resoconti stenografici restituiscono efficacemente la circostanza che sulla reale portata del “taglia-leggi” convivessero idee varie e non sempre coordinate. Nelle audizioni s’intrecciarono, oltre che temi assai diversi, tanto considerazioni generali sull’ipertrofia legislativa quanto (soprattutto) problemi generali e settoriali attinenti alla riduzione degli oneri amministrativi in capo a cittadini e imprese: da un lato, gli auditi non disconoscevano affatto l’esigenza di un “disboscamento” della legislazione in grado di aumentare la certezza del diritto e, per ciò solo, rendere più semplice lo svolgimento delle attività economiche e sociali, ma certamente posero in primo piano la richiesta di interventi sostanziali di riordino dei diversi settori materiali, oltre che, più in generale, per l’efficientamento dei processi di attuazione ed esecuzione della normativa, tanto nel rapporto tra fonti comunitarie e fonte legislativa, quanto tra questa e le fonti secondarie.
La legislatura, come si sa, terminò precocemente e così anche l’indagine conoscitiva. Nell’ultima seduta convocata, tuttavia, la Commissione fece in tempo a prendere atto proprio della già menzionata relazione governativa. Questa ebbe senza dubbio il merito di tracciare, entro un quadro razionale e documentato, la situazione di partenza e le prospettive realistiche dell’abrogazione generalizzata, secondo una impostazione che non ne dissimulava complessità e rischi ma ne profilava anche un percorso di attuazione graduale e consapevole della necessità di coordinare adeguatamente – senza improprie sovrapposizioni – la riduzione dello stock legislativo al riassetto normativo sostanziale, il quale non avrebbe potuto svolgersi in base alla sola delega contenuta nella l. 246/2005.
Durante quell’ultima seduta, fu formulato dal rappresentante del Governo, quasi incidentalmente, un auspicio circa il ruolo futuro della Commissione, che non pare da ascrivere soltanto al galateo istituzionale del sottosegretario audito[46], ovvero l’auspicio che essa vigilasse con attenzione sulle resistenze che le singole amministrazioni avrebbero fisiologicamente opposto al “disboscamento”, premendo per l’inclusione nei decreti legislativi “salva-leggi” anche di disposizioni effettivamente non indispensabili.
Con il senno di poi, la notazione si presta a considerazioni meno scontate di quanto appaia.
L’auspicio è ineccepibile sul piano teorico ed è aderente all’immagine – anche qui accolta, nelle sue linee generali – di un Parlamento controllore rigoroso di un potere esecutivo che tende a creare o mantenere a suo vantaggio quanti più spazi di discrezionalità possibile: e la conservazione di una certa stratificazione legislativa, fatta di plurime norme particolari, spesso richieste di anno in anno dalle “burocrazie ministeriali”, che consentono all’amministrazione l’adozione di scelte, a seconda delle contingenze, anche molto diverse tra loro, favorisce certamente la discrezionalità in parola. Tuttavia, il seguito dell’operazione “taglia-leggi” mostrerà, di massima, un’inversione dei ruoli, con un Governo che, su altri fronti impegnato ad iniettare nell’ordinamento migliaia di norme attraverso la decretazione d’urgenza, perseguirà – attraverso lo stesso strumento del decreto-legge – un approccio draconiano alla riduzione dello stock normativo più risalente e un Parlamento moderatore di quell’approccio, anche nel senso di valutare l’indispensabilità della permanenza in vigore di un più ampio novero di disposizioni rispetto a quelle ritenute tali dall’esecutivo. Se è assai banale notare che tutto questo conferma che le spinte dell’uno e dell’altro tipo convivono tanto in seno all’esecutivo quanto in seno alle Camere, lo è forse meno osservare che questa variabilità suffraga l’opinione per cui, in nome della semplificazione, possono accogliersi gli orientamenti di politica legislativa più diversi e determinarsi gli esiti più disparati tanto sul piano normativo quanto su quello amministrativo: la better regulation non è solo un problema di tecnica della legislazione e di qualità formale della legge, ma è necessariamente una questione di qualità sostanziale della legislazione. Ed è noto che la neutralizzazione delle politiche di semplificazione legislativa e amministrativa sottenda invero indirizzi tutt’altro che neutri nella visione dei rapporti tra Stato e mercato, andando ben oltre quindi le ambizioni di aumentare la certezza del diritto[47].
Queste considerazioni paiono allora segnare un punto a favore della tesi – che muove del resto da una visione classica del pluralismo democratico coerente con l’equilibrio tra poteri e tra organi tipico della Costituzione italiana – per cui sia necessario che in Parlamento sia presente una sede ad hoc capace di presidiare efficacemente le politiche di semplificazione, senza che questo corrisponda ad una visione preconcetta dei ruoli, ma perché, se non è predeterminabile quali spinte prevarranno nella maggioranza e nel Governo, dipendendo questo dai cicli politici, è assai probabile che presso le Camere trovino sempre rappresentanza tanto gli orientamenti dell’uno che dell’altro tipo, con le rispettive concezioni dei rapporti tra legge ed economia e le rispettive sfumature interne.
Tornando al filo degli eventi, è noto che con il cambio di legislatura, a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere, si verificò anche un ribaltamento della maggioranza, che riportò al Governo lo schieramento politico che nella XIV si era intestato l’introduzione del “taglia-leggi”.
Se la nomina di un ministro senza portafoglio con delega alla semplificazione normativa indicava senz’altro la volontà politica del nuovo Governo di reinvestire sull’operazione, il primo atto significativo in questa direzione determinò anche una deviazione dal percorso delineato nella legge 246/2005[48]. Il 25 giugno 2008 fu infatti emanato il decreto-legge n. 112 che, annoverabile tra i provvedimenti omnibus più poderosi dell’esperienza repubblicana, recava anche un articolo 24 espressamente rubricato “taglia-leggi”, il quale disponeva l’abrogazione espressa di un lungo elenco di atti e disposizioni allegato al decreto, tratto dai lavori preparatori della precedente legislatura e avente ad oggetto un insieme di disposizioni legislative che, nella logica dell’abrogazione “da abbandono”, sarebbe andato incontro a questo fenomeno.
Questa decisione, oltre a dar luogo ad un impiego della decretazione d’urgenza manifestamente criticabile[49], determinò un’obiettiva complicazione dell’operazione “taglia-leggi” nel suo insieme, la quale, però, mise alla prova anche il ruolo assegnato alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Rinviando, per i dettagli della vicenda “taglia-leggi”, alla dottrina che si è occupata di seguirne lo sviluppo[50], è interessante ai nostri fini soffermarsi sui profili che hanno riguardato proprio l’attività della bicamerale.
Inizialmente, lo spostamento dell’attenzione dall’attuazione della delega “taglia-leggi” alla conversione del decreto-legge “taglia-leggi” determinò anche qualche incertezza circa la futura effettiva rilevanza della Commissione, a beneficio delle commissioni permanenti monocamerali[51].
Essa, tuttavia, rieditò la scelta di avviare fin da subito un’indagine conoscitiva sull’attuazione del “taglia-leggi” e aprì attraverso questo strumento un canale di dialogo costante con il Governo, a livello politico e tecnico, mediante il quale riuscì presto a ricavarsi nuovamente uno spazio di azione[52].
Così, se nel procedimento di conversione del decreto-legge 112/2008 (conv. l. 133/2008) la Commissione non ebbe naturalmente alcun ruolo, vanno notati alcuni fatti immediatamente successivi grazie ai quali si ebbe una ricucitura formale tra la deviazione del decreto-legge “taglia-leggi” e il percorso tracciato dalla delega di cui all’art. 14, l. 246/2009; fatti che, però, modificarono anche diversi aspetti di quel percorso.
Anzitutto, la stessa legge di conversione del d.l. 112/2008 pose le premesse per il successivo coordinamento tra le due operazioni, introducendo nel testo dell’art. 24, c. 1, del decreto una clausola che, dopo la previsione dell’abrogazione espressa delle disposizioni elencate nell’allegato al medesimo, faceva salva l’applicazione dei commi 14 e 15 dell’art. 14 l. 246/2005, portando altresì a centottanta giorni (dai sessanta inizialmente previsti) il termine di tale abrogazione espressa.
Fu questa la premessa per tre iniziative che andarono ad intrecciarsi tra loro e ridisegnarono nel suo complesso l’operazione “taglia-leggi”.
Nell’autunno, infatti, approdò in Senato il d.d.l. S.1082[53], nel quale fu introdotto, in 1a Commissione, un emendamento del relatore recante una rilevante novella dell’art. 14 della l. 246/2005, volto a ridisegnarne i contenuti anche alla luce del decreto “taglia-leggi”. Non si tratta certamente di una iniziativa riferibile formalmente alla bicamerale e tuttavia non è senza rilievo che la persona del presidente di quest’ultima e del relatore in 1a Commissione del predetto d.d.l. coincidessero. L’emendamento, poi approvato e sostanzialmente conservato anche nelle successive letture, sfociò infine nel testo finale dell’art. 4 della legge 18 giugno 2009, n. 69. Tale novella, insieme a quella più puntuale di cui all’art. 13, l. 15/2009[54], apportò alcune rilevanti innovazioni all’art. 14, l. 246/2005, tra le quali vanno segnalati: l’introduzione di una nuova delega per l’adozione di decreti legislativi incaricati dell’abrogazione espressa di disposizioni sia antecedenti sia successive al 1° gennaio 1970[55] (comma 14-quater); l’inserimento di una autonoma (benché temporalmente connessa) delega per il riassetto normativo delle materie oggetto dei decreti “salva-leggi”, il cui termine biennale di esercizio sarebbe scattato al momento di entrata in vigore dei “salva-leggi” medesimi (commi 18 e 18-bis)[56]; la rimodulazione temporale del termine a quo dell’abrogazione generalizzata, che fu differito a un anno di distanza da quello stabilito per i decreti “salva-leggi” (comma 14-ter), secondo una previsione tale anche da garantire al parere della Commissione bicamerale margini di effettiva incidenza sui testi di tali decreti (comma 22).
Parallelamente, il Governo adottò il d.l. 200/2008, essenzialmente con funzioni – sic! – integrative e correttive del precedente d.l. 112/2008 (e del suo allegato). La conversione del d.l. 200 (con la legge 18 febbraio 2009, n. 9) portò a due ulteriori risultati: l’allineamento del termine delle abrogazioni espresse stabilite dai due decreti-legge al termine del 16 dicembre 2009, ovvero il medesimo previsto per l’abrogazione generalizzata di cui all’art. 14, l. 246/2005, con l’effetto di coordinare dunque i due meccanismi; l’accoglimento da parte del Governo di identici ordini del giorno presentati presso la Camera dei deputati (il 27 gennaio 2009) e presso il Senato (il 17 febbraio 2009), che impegnavano l’esecutivo a riportare l’operazione “taglia-leggi” nell’alveo del percorso facente capo alla l. 246/2009, senza più ricorrere alla decretazione d’urgenza e con un pieno coinvolgimento del Parlamento nell’attuazione delle relative deleghe.
Tra la conversione del d.l. 200/2008 e la definitiva approvazione della l. 69/2009, infine, fu la Commissione parlamentare per la semplificazione a prendere una propria iniziativa, che non va sottovalutata. Essa, nell’ambito dell’indagine conoscitiva in corso, organizzò, tra marzo e aprile del 2009, un seminario di approfondimento, il quale parve avere l’intenzione di operare un altro tipo di “ricucitura”, ovvero la ripresa di un confronto con il mondo accademico (rimasto estraneo alle audizioni fino ad allora tenutesi), una parte del quale aveva aspramente criticato l’originale delega “taglia-leggi” e poi, ancor più, dei decreti-legge 112 e 200 del 2008. Nel seminario intervennero alcuni autorevoli voci della dottrina giuspubblicistica, offrendo un contributo che non fu vano: negli atti dei tre incontri si ritrovano in effetti questioni che le commissioni permanenti delle due Camere stavano affrontando in quei mesi nell’ambito del procedimento legislativo dal quale sarebbe scaturita la già menzionata novella di cui all’art. 4 della legge 69/2009, nonché problemi e soluzioni tecniche che torneranno nel corso della compilazione dei decreti legislativi attuativi della delega, come rinnovata e integrata dal menzionato art. 4.
Dopo questa ristrutturazione della procedura “taglia-leggi”, riportata alla logica della “grande riforma” a mezzo di delegazione legislativa, la Commissione poté iniziare a svolgere appieno le funzioni consultive e di controllo assegnatele dal comma 21 dell’art. 14 l. 246/2005. In questa veste, essa proseguì ad avvalersi dell’indagine conoscitiva sia per verificare lo stato di avanzamento dell’attuazione delle deleghe da parte del Governo sia per acquisire ab externo elementi utili ad esaminare gli schemi di decreto legislativo che le furono presentati.
Sul primo versante, va segnalata l’approvazione di tre ampie relazioni (nel giugno 2009, nel febbraio 2011 e nel luglio 2012) che recano una illustrazione particolarmente dettagliata dell’intera procedura di attuazione della delega e degli ulteriori atti del governo di abrogazione e/o di riordino delle fonti primarie e secondarie.
Sul secondo versante, l’attività consultiva riguardò principalmente l’unico decreto legislativo “salva-leggi” emanato in attuazione del comma 14 dell’art. 14 in parola, l’unico decreto legislativo “taglia-leggi” ex comma 14-quater[57] e i codici settoriali adottati in forza della delega sul “riassetto” di cui ai commi 15 e 18[58], nonché i relativi decreti integrativi e correttivi. Tale attività risulta regolarmente svolta, anche se non sempre la Commissione approdò, per l’approssimarsi del termine di scadenza della delega, alla formale approvazione del parere; ciò che, stando alle puntuali informazioni rinvenibili nelle relazioni, pare non abbia impedito, in questi casi, il positivo accoglimento all’interno della versione finale dei decreti delegati di talune delle proposte informalmente trasmesse agli uffici ministeriali. Il subprocedimento che, tuttavia, merita maggiore attenzione, in ragione della peculiare posizione assunta dalla bicamerale nel rapporto con le commissioni permanenti, è quello che ha riguardato il più dibattuto dei decreti-legislativi scaturiti dalla delega, ovvero l’unico “salva-leggi” approvato, il n. 179/2009[59].
Un’accurata analisi[60] pubblicata qualche anno dopo, infatti, ha documentato come, in quella vicenda, si sia verificata una positiva e – in questa misura – inedita cooperazione tra la Commissione bicamerale e le commissioni permanenti del Senato e (anche se con riferimento alla sola prima Commissione) della Camera. La bicamerale svolse effettivamente, su propria iniziativa e – volendo ipotizzare le ragioni anche della compliance dimostrata da molte commissioni permanenti – in ragione dell’acquisizione di un riconosciuto ruolo di interlocutore privilegiato con il Governo, una funzione di raccordo che resta singolare nella sua esperienza, ma merita in questa sede di essere sottolineata. Il parere della Commissione, peraltro, non si limitò a raccogliere i contributi delle commissioni permanenti, ma ne operò anche una selezione e sistematizzazione complessiva; inoltre, il parere si fece portatore anche di alcune istanze provenienti da singoli ministeri che nei rapporti infragovernativi non avevano trovato accoglimento, ciò dando prova dell’acquisizione di una posizione di rilievo sia all’interno che all’esterno delle Camere.
3.3. L’evoluzione dei compiti della Commissione nella XVII legislatura.
L’ultima seduta (la novantanovesima) della Commissione bicamerale nel corso della XVI legislatura si svolse nel dicembre 2012, quando uno dei gruppi, che avevano sostenuto il governo entrato in carica nel novembre dell’anno precedente, dichiarò di ritirare tale sostegno, pur senza alcun voto di sfiducia.
Nella successiva legislatura, la Commissione fu riattivata nell’estate del 2013 ed elesse il proprio presidente nell’ottobre di quell’anno[61]. Il mese seguente la Commissione assunse nuovamente la decisione di avviare un’indagine conoscitiva, ma, nel corso della legislatura, non ne fece un impiego identico alla precedente. Nella XVI, infatti, la Commissione aveva reso l’indagine il procedimento principale intorno al quale sviluppare l’esercizio del suo intero bagaglio di funzioni. Nella XVII, invece, lo strumento fu utilizzato in modo più puntuale, secondo la prassi più consueta comune anche alle commissioni permanenti, ma non perciò fu meno rilevante nella configurazione del suo ruolo.
Con l’esaurimento della delega “taglia-leggi”, infatti, la principale operazione di semplificazione normativa alla base della sua esistenza era venuta meno[62]. Così l’indagine, come risulta dal documento finale approvato all’unanimità il 31 marzo del 2014, fu visibilmente condotta con la finalità tanto di tracciare un bilancio delle politiche di semplificazione per come sviluppate nelle precedenti legislature[63], quanto di delineare un vero e proprio programma per la nuova. La presentazione del documento avvenne nelle prime settimane di attività del Governo nominato nel febbraio di quell’anno e, in occasione della propria audizione in Commissione, il ministro competente per la semplificazione e la pubblica amministrazione segnalò la consonanza tra il programma dell’esecutivo e le conclusioni dell’indagine. Inoltre, ai primi di giugno di quell’anno furono discusse, presso la Camera, alcune mozioni in materia di semplificazione[64], provenienti da tutti i gruppi parlamentari, i quali poi scelsero di approvarne una unitaria (1/00509), a prima firma Tabacci, il 18 giugno. Il contenuto di tale mozione, diversamente da quello di alcune delle altre presentate e poi ritirate in omaggio alla posizione comune raggiunta tra tutte le forze parlamentari di maggioranza e opposizione, non si distinse per particolare originalità, indicando quale strada maestra quella di una più organica stagione di codificazioni settoriali, ma fu senza dubbio significativo il consenso ottenuto intorno ad uno degli indirizzi qualificanti il documento finale dell’indagine conoscitiva, nel quale, del resto, il richiamo all’importanza dei codici e dei testi unici si associava alla denuncia di uno dei mali mai risolti della normazione nel nostro Paese, qual è la combinazione tra l’incessante produzione di nuove disposizioni e la loro dispersione in numerosi atti, con una debole capacità di impiegare adeguatamente la tecnica della novellazione.
Senza voler forzare questa chiave interpretativa, le iniziative poc’anzi riferite segnalano che sul terreno della semplificazione si registrasse in quel frangente un consenso che appare significativo, specialmente alla luce di un contesto politico-parlamentare che nella XVII legislatura fu fin dall’inizio caratterizzato da una dialettica particolarmente aspra.
Il primo atto in materia di semplificazioni del Governo, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, si inserì in questo quadro e in esso trovarono effettivamente riscontro alcune delle proposte della Commissione per la semplificazione. La più rilevante fu probabilmente l’introduzione dell’Agenda per la semplificazione, quale piano pluriennale di interventi in quest’ambito comune a Stato e Regioni. Fu invero la legge di conversione – e non l’originaria versione dell’art. 24 del decreto – a prevedere per la Commissione bicamerale un compito di controllo sull’adozione e sull’attuazione dell’Agenda, a mezzo di periodiche relazioni del ministro competente all’organo parlamentare, ma fu comunque rilevante che tale strumento si trovasse suggerito all’interno del documento finale dell’indagine conoscitiva, rispondendo peraltro ad un metodo di pianificazione delle politiche pubbliche ormai da tempo raccomandato e praticato a livello europeo, del quale l’Italia aveva recentemente già fatto uso con l’Agenda per il digitale.
L’individuazione di questa funzione “a regime” in capo alla Commissione contribuì ad uno spostamento del focus della sua attività dal campo della semplificazione legislativa a quello della semplificazione amministrativa, secondo una direzione confermata dall’ampia delega che il Parlamento (con la l. 124/2015) assegnò al Governo per la riforma della pubblica amministrazione (altro indirizzo programmatico contenuto nel documento finale dell’indagine conoscitiva prima menzionata). Non che questo abbia significato l’estraneità alle politiche di semplificazione della XVII legislatura, e dunque alle competenze della Commissione, di interventi di semplificazione normativa, che si ebbero sia con una nuova – ma certamente più limitata – operazione “taglia-leggi” sia con una importante attività di codificazione settoriale; tuttavia l’attività della Commissione rispecchia un quadro delle politiche di semplificazione più equilibrato tra dimensione normativa e amministrativa, nel quale esse si intrecciano maggiormente[65].
Ne risulta, appunto, anche un’attività più articolata della Commissione, nonché (almeno quantitativamente) più intensa (con un totale di centosessantatré sedute) rispetto alla già non trascurabile laboriosità registrata nella precedente legislatura[66]. E in quest’ampio spettro di competenze e nella varietà della sua azione può rintracciarsi forse la cifra del suo consolidamento nel periodo considerato.
Volendone tracciare un quadro sintetico[67], oltre alle già menzionate audizioni svolte in funzione di verifica sullo stato di attuazione dell’Agenda per la semplificazione e dei progetti “Normattiva” e “X-leges”, devono segnalarsi due principali aree di azione.
La prima fu rappresentata dall’attività consultiva svolta prevalentemente sui decreti scaturenti dalle numerose deleghe contenute nella legge 124/2015 di riforma della pubblica amministrazione (ma anche della delega in materia agricola e forestale: l. 154/2016). A loro volta, i decreti sembrano rispondere a tre tipi principali: un gruppo di decreti volti alla razionalizzazione di procedimenti ed enti, ma tendenzialmente estranei alla logica della codificazione settoriale e riconducibili nell’alveo della semplificazione amministrativa; un gruppo di decreti che, invece, realizzarono un’opera di codificazione settoriale e, dunque, si presentano a cavallo tra le due dimensioni; un decreto, veicolante un’operazione di semplificazione normativa in senso stretto, recante l’abrogazione espressa e la modifica di disposizioni legislative, adottate tra il 2011 e l’entrata in vigore della l. 124/2015, che prevedessero provvedimenti non legislativi di attuazione (secondo un indirizzo favorevole al contrasto del fenomeno della “non attuazione” anch’esso contenuto nel documento finale dell’indagine conoscitiva del marzo 2014).
La seconda area di attività coincise con un impiego sistematico ma puntuale delle indagini conoscitive. La Commissione, infatti, oltre a quella “generale” condotta tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, ne eseguì altre tre: sulle semplificazioni possibili nel superamento delle emergenze (ottobre 2015-febbraio 2016), sulla semplificazione e sulla trasparenza nei rapporti con gli utenti nei comparti finanziario, bancario e assicurativo (giugno-dicembre 2016), sulle semplificazioni possibili nel settore fiscale (febbraio-settembre 2017). Si tratta di tre ambiti tematici interessati, in quegli anni, da interventi normativi di riordino sui quali la Commissione non fu competente in sede consultiva, ma cui essa ritenne rilevante estendere la propria cognizione e il proprio controllo attraverso lo strumento dell’indagine conoscitiva. Non è agevole valutare se e quale impatto tali indagini – diversamente da quella svolta per prima – abbiano effettivamente avuto e, in questa misura, un simile esercizio dei poteri conoscitivi rischia dunque di essere annoverato tra quei casi che contribuiscono, complessivamente, ad una visione riduttiva dello strumento dell’indagine conoscitiva quando essa non possa essere – in tal caso per limiti di funzioni dell’organo bicamerale – finalizzata a specifiche iniziative assunte, in sede legislativa o di controllo, dalla commissione.
3.4. Cenni all’attività nella legislatura corrente (e qualche interrogativo nella prospettiva della conversione del “decreto Semplificazioni”)
L’avvio incerto della XVIII legislatura non ha probabilmente favorito una rapida attivazione della Commissione per la semplificazione, la quale è avvenuta soltanto nel gennaio 2019, con l’elezione del presidente, che, variando la prassi esistente per le bicamerali consultive, è stato tratto da uno dei gruppi che, in quel momento, si collocava all’opposizione ed oggi, invece, partecipa alla maggioranza di Governo[68].
Al momento[69], la Commissione ha svolto circa trentacinque sedute, tenendo alcune audizioni che, oltre a quelle di prammatica con il titolare del ministero competente all’inizio del mandato governativo, sono state finalizzate a compiti di controllo “ereditati” dalle precedenti legislature (verifica dello stato di avanzamento dell’attuazione dell’Agenda per il digitale e del progetto “Normattiva”), esaminando due atti del governo in sede consultiva (uno proveniente da una “coda” delle deleghe di cui alla legge Madia, l’altro di nuova attribuzione) e, infine, intraprendendo una indagine conoscitiva in materia di semplificazione dell'accesso dei cittadini ai servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale.
Si tratta di attività che non si prestano ad osservazioni significative, a parte qualche notazione superficiale sulla conferma della prassi che vuole contrassegnato l’inizio dell’attività di tale Commissione da un’indagine conoscitiva – secondo un’opzione tematica, peraltro, che segnala una variazione rispetto a tutte le legislature precedenti –, piuttosto che sull’assenza, ad oggi, di particolari nuove attribuzioni da parte del legislatore.
L’unico spunto di riflessione, forse, attiene proprio al fatto che tale assenza sia al momento confermata anche dopo l’adozione da parte del Governo del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione”, il quale non contiene alcun riferimento alla bicamerale.
Ora, non è inusuale che la previsione di compiti in capo alla Commissione per la semplificazione, quando vi sia di mezzo un intervento d’urgenza, si verifichi in sede di conversione e possa riguardare anche competenze importanti. Così come tale circostanza può dipendere dalla stretta connessione – benché il provvedimento risultasse in gestazione da più tempo – che i contenuti del decreto-legge in questione hanno con la situazione di emergenza sanitaria determinata dalla pandemia di Covid-19, la quale potrebbe consigliare di non frapporre tra adozione e attuazione del decreto troppi adempimenti procedurali. Certamente, però c’è da chiedersi se, nell’ambito di un atto d’urgenza che demanda così spesso e così estesamente la propria attuazione a provvedimenti governativi, non vi fosse spazio per qualche modalità di coinvolgimento del Parlamento nel controllo dell’esecuzione delle numerose misure previste dagli oltre sessanta articoli di cui si compone il decreto e se tale modalità non potesse consistere nell’individuazione della Commissione bicamerale competente in materia quale organo cui imputare tali funzioni. La conversione scioglierà, forse, questo nodo, in attesa di sapere se anche in questa legislatura, nonostante l’avvio lento, la Commissione per la semplificazione si ricaverà un ruolo di qualche rilievo.
- Considerazioni conclusive e prospettive.
Nell’introdurre la figura della commissione bicamerale istituita dall’art. 14, comma 19, della l. 246/2005, si è detto che, al momento della sua previsione, essa presentava un profilo funzionale ascrivibile a una tipologia collaudata nell’esperienza repubblicana: veniva prevista come organo bicamerale ad hoc, con funzioni consultive sull’attuazione da parte del Governo di una vasta riforma affidata al meccanismo della delegazione legislativa, al fine di assicurare al Parlamento una maggiore partecipazione e una migliore capacità di controllo e indirizzo su tale attuazione.
Complessivamente, l’esperienza della Commissione parlamentare per la semplificazione nella XV e, soprattutto, nella XVI legislatura ha corrisposto a tali aspettative, poiché l’attività della bicamerale si è coordinata con quella delle commissioni permanenti e il peso politico della sua azione ha trovato riscontro nella sua capacità di affrontare con intraprendenza le complicazioni generate dai d.l. 112 e 200 del 2008 e con autorevolezza la successiva fase di attuazione di una delega che, nel frattempo, anch’essa aveva concorso – seppure nelle modalità indirette già illustrate – a ristrutturare.
A valle di quel percorso e anche alla luce dell’esperienza maturata nella legislatura successiva, interessa soprattutto sottolineare alcuni aspetti.
In primo luogo, va notato che l’esperienza della bicamerale per la semplificazione concorre a confermare la tendenza, da tempo notata in dottrina, a esercitare la funzione consultiva sugli schemi di decreto legislativo accentuandone la natura co-legislativa piuttosto che quella di controllo. Vanno in questa direzione, ad esempio, sia l’intensa attività, sostanzialmente emendativa, condotta dalla Commissione nella XVI legislatura con riferimento ai decreti legislativi “salva-leggi” (nn. 179/2009 e 213/2010) e “taglia-leggi” (n. 212/2010), sia l’evidente atteggiamento collaborativo che la tecnica di redazione dei pareri mostra nei confronti del Governo, tanto in quella vicenda quanto nella successiva concernente l’attuazione della riforma c.d. Madia della pubblica amministrazione nel corso della XVII legislatura[70].
In secondo luogo – e questo aspetto potrebbe in parte riequilibrare quello poc’anzi riferito – nell’esperienza della Commissione si può costantemente osservare un buon livello di dialogo e di cooperazione tra maggioranza e opposizioni: vi torneremo tra poco.
In terzo luogo, l’attività della bicamerale si è affiancata a quella delle permanenti senza che siano emersi particolari contrasti o conflitti con le stesse. Anzi, come si è già riferito, in occasione della elaborazione del d.lgs. 179/2009, la bicamerale assunse di un ruolo di coordinamento e di raccordo dell’attività consultiva delle medesime (tecnicamente, attraverso la richiesta di osservazioni da parte delle medesime). Questo livello di cooperazione è rimasto effettivamente un unicum, ma ciò non toglie che, comunque, in assenza di dati che testimonino l’emergere di antagonismi durante altre fasi dei lavori parlamentari sul “taglia-leggi”, il caso continua a poter essere indicato come un efficace esempio di divisione del lavoro e come la prova che le commissioni bicamerali consultive possono giocare a somma positiva sul tavolo del controllo parlamentare, senza interferire con quelle permanenti: si tratta, a nostro avviso, di una delle direttrici di sviluppo più proficue, benché non facili, che questo e altri organi bicamerali dotati di una competenza ad hoc su materie tendenzialmente trasversali rispetto agli ambiti assegnati alle permanenti dovrebbero sviluppare (il che potrebbe avvenire, se non con il supporto di una modifica regolamentare, almeno con l’adozione di intese tra i presidenti di assemblea).
Quanto si è detto sembra indebolire anche l’opinione, formulata con specifico riguardo alla Commissione per la semplificazione – mentre l’accusa di antagonismo con le commissioni permanenti è riferita classicamente alla generalità delle commissioni bicamerali consultive[71] –, per cui tale organismo finirebbe per sovrapporsi indebitamente con il Comitato per la legislazione della Camera[72]. Se è vero che alcune questioni fatte emergere dalla bicamerale, in sede di parere sugli schemi di decreto legislativo o di relazione periodica sull’attuazione della delega “taglia-leggi”, hanno riguardato aspetti di tecnica legislativa, stante la centralità di questi profili per la funzionalità dell’operazione di semplificazione normativa allora in corso, occorre notare che, fuori da operazioni di abrogazione sul modello del “taglia-leggi”, i pareri del Comitato per la legislazione e della Commissione per la semplificazione guardano ad aspetti diversi e l’attività della Commissione presenta margini di contributo alla qualità sostanziale della legge derivanti anche dalla possibilità di supportare la propria attività consultiva mediante le procedure conoscitive che abbiamo visto essere una costante di questo organo.
Proprio la praticabilità di canali stabili di dialogo all’interno e all’esterno delle istituzioni, infatti, costituisce una delle potenzialità dell’indagine conoscitiva che la bicamerale sembra aver valorizzato con maggior continuità lungo le quattro legislature di attività
La possibilità di una combinazione positiva dei procedimenti disponibili da parte della Commissione per la semplificazione, in effetti, è stata notata più volte. Nella XVI legislatura l’indagine conoscitiva è stata impiegata come strumento di confronto continuativo con il Governo, così come di acquisizione di informazioni e proposte da parte di altre istituzioni o delle organizzazioni di categoria, tale da sorreggere sia la funzione co-legislativa svolta mediante i pareri sugli schemi di decreto legislativo sia la funzione di controllo in sede di verifica sullo stato di attuazione della delega. Inoltre, nella XVII legislatura, l’indagine conoscitiva avviata all’inizio del mandato della Commissione, approvata all’unanimità, ha favorito il raggiungimento di una mozione unitaria alla Camera dei deputati ed è riuscita a incidere significativamente sui contenuti delle principali iniziative governative in tema di semplificazione, ad iniziare dall’introduzione di un’agenda di settore, sulla cui attuazione il legislatore parlamentare ha voluto poi prevedere un ruolo di controllo della Commissione medesima.
Il che, complessivamente, va a confermare come la perdita di spazi di incidenza parlamentari in sede di formazione della legge, possa essere compensata, almeno parzialmente, con un recupero attraverso un accorto utilizzo delle funzioni non legislative, che, nel caso di specie, troviamo comporsi in una combinazione virtuosa.
Queste notazioni positive, tuttavia, non sgombrano il campo da rischi e dubbi che l’esame dell’esperienza della Commissione bicamerale può conservare almeno in parte.
Il primo ordine di tali dubbi e rischi attiene ad una circostanza che, come si è già detto più sopra, conviene non enfatizzare. È vero: non può negarsi che tanto nella XVI quanto nella XVII la Commissione bicamerale ha beneficiato della capacità del suo presidente di agire formalmente uti singulo, ma sostanzialmente in sinergia con la posizione della commissione da lui presieduta, all’interno della propria camera di appartenenza. Se e quanto questo fattore personale sia determinante non è dimostrabile né in un senso né nell’altro; ed è del resto assai noto come la qualità di chi ricopra la carica di presidente di commissione sia sempre, anche presso le permanenti, un fattore che pesa sui lavori dell’organo. Tuttavia, non si può sottovalutare che, all’interno delle dinamiche parlamentari, la presidenza di una commissione bicamerale rappresenti una posizione ambita e di prestigio, tale da poter innescare una competizione tra personalità adatte al ruolo più che in altri casi. Inoltre, la capacità dei singoli commissari di valorizzare, nella propria azione entro l’organismo bicamerale, la funzione svolta all’interno di una commissione permanente (e viceversa), nonché all’interno della propria camera di appartenenza, è di per sé una eventualità che pare avere, in potenza, più vantaggi che svantaggi.
Il secondo ordine attiene ad una ripetizione stanca, riduttiva e, sul lungo termine, depotenziante dell’indagine conoscitiva come metodo stabile di lavoro. Si è visto che tale strumento si può utilizzare in modo diverso, quale fil rouge dell’azione della Commissione lungo tutta la legislatura, oppure come puntuale veicolo per condurre all’attenzione della Commissione temi che riguardano il suo ambito di competenza, ma rispetto ai quali essa non ha attribuiti compiti che le consentano di incidere sui lavori parlamentari. Non sfugge però che, quando l’indagine non sfoci in una qualche iniziativa formale o non abbia ricadute immediate sull’esercizio delle altre funzioni della Commissione, bensì rappresenti soltanto il tentativo di alimentare il dibattito sul tema e attrarre su di esso l’attenzione, allora o questo tentativo percorre risolutamente la via dell’instaurazione di un legame forte con le organizzazioni economiche e sociali (o anche altre istituzioni pubbliche), tale per cui l’indagine conoscitiva diviene uno strumento di rappresentanza[73], oppure il rischio è che essa non faccia altro che aggravare la frustrazione sia per la perdita di centralità delle Camere sia per la carenza di rappresentanza della società nel processo di produzione normativa.
Si gioca qui, in effetti, una buona parte dell’effettiva capacità di un organo bicamerale come la Commissione per la semplificazione di apportare un reale contributo al miglioramento della legge sotto un profilo sostanziale, ovvero che sia in grado di favorire, da un lato, la semplificazione della legislazione e dei procedimenti amministrativi, senza inondare l’ordinamento di nuove norme semplificatrici: su questo piano, il confronto che può conseguirsi in sede di procedure conoscitive rappresenta uno strumento difficilmente rinunciabile, specie nell’ottica di un monitoraggio costante dell’attuazione delle misure di semplificazione.
In tal senso, si manifesta un’altra virtualità positiva che presto può trasformarsi in un rischio esiziale per un organismo come la Commissione: la sua funzione di controllo, infatti, può tradursi un rituale di maniera oppure dar luogo a un confronto impegnativo con il Governo. L’impressione è che nel periodo esaminato si siano alternati l’uno e l’altro approccio; anche se il tendenziale instaurarsi di un clima di collaborazione tra maggioranza e opposizione, insieme all’estraneità già rilevata dei lavori delle bicamerali allo “scontro” quotidiano che può registrarsi presso le permanenti, può favorire un atteggiamento di maggior terzietà da parte del presidente della commissione e, in generale, di maggior autonomia dei commissari appartenenti alla maggioranza.
Infine, come conferma anche la recentissima approvazione del decreto-legge n. 76/2020, le politiche di semplificazione proseguono ad essere un veicolo trainante non solo per le politiche della legislazione, ma in generale per la disciplina dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese. Un veicolo che il Governo è sempre tentato di manovrare da solo, ad iniziare dalla scelta della fonte mediante la quale introdurlo nell’ordinamento, secondo una prassi ormai pluriennale. In questo contesto, il rafforzamento dei poteri di controllo degli organi parlamentari continua ad essere un presidio non rinunciabile e, come si è visto, intorno ad essi una Commissione com
Servetti Davide
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