Lex Aelia Sentia, lex Iunia and manumissio censu

Lex Aelia Sentia, lex Iunia e manumissio censu

22.10.2022

Emanuele Bisio*

 

 

Lex Aelia Sentia, lex Iunia e manumissio censu**

 

English title: Lex Aelia Sentia, lex Iunia and manumissio censu

DOI: 10.26350/18277942_000091

 

Sommario: 1. Introduzione e caratteri generali della manumissio censu. 2. Il rapporto libertas/civitas Romana e le leggi Elia Senzia e Iunia. 3. Le riforme augusteo-tiberiane e la manomissione censoria. 4. La giurisprudenza e la manumissio censu in età imperiale: alcune osservazioni. 5. Conclusioni.

 

 

  1. Introduzione e caratteri generali della manumissio censu

 

Questo contributo tenterà di approfondire lo studio dei rapporti tra la manumissio censu e la normativa augusteo-tiberiana sulle manomissioni. Nel 4 d.C. i comizi approvarono la lex Aelia Sentia de manumissionibus, un provvedimento destinato a regolare le affrancazioni per tutto il corso dell’età imperiale. La lex Iunia – promulgata, probabilmente, nei primi anni del principato di Tiberio – introdusse il genus dei liberti Latini[1].

L’origine più remota della manumissio censu è controversa[2]. Ma, per adesso, mi limiterò a esaminare i caratteri che la connotavano, l’impatto delle leges Aelia Sentia e Iunia sugli status libertorum e, infine, le testimonianze che la pongono in reciproca relazione con i due sunnominati provvedimenti. Come avrò occasione di chiarire meglio in seguito, verosimilmente fu la legislazione d’età augustea a determinare la desuetudine di quest’antica forma di affrancamento. 

Il ius civile ne contemplava tre:

 

Gai. 1.17

…iusta ac legitima manumissione liberetur, id est vindicta aut censu aut testamento…

 

Tit. Ulp. 1.6

Cives Romani sunt liberti, qui legitime...censu aut testamento, nullo iure inpediente.

 

Il dominus affranca validamente in tre differenti modi: vindicta, censu, testamento.

Lo conferma anche Cicerone[3]:

 

Cic. Top. 10

Si neque censu nec vindicta nec testamento liber factus est, non est liber; neque ulla est earum rerum; non est igitur liber.

 

In epoca repubblicana, l’affrancato in modo informale non diventava libero, ma il pretore, nell’esercizio della denegatio actionis e del suo imperium, lo tutelava, causa cognita, da eventuali comportamenti arbitrari del dominus (Fr. Dos. 5[4]Πρότερονγὰρμίαἐλευθερίαἦν, καὶἡἐλευθερίαἐγίνετοἐκπροσαγωγῆς, ἢκατὰδιαθέκην, ἢἐνἀποτιμήσει, καὶπολιτείαῬωμαίωνσυνῄτειἠλευθερωμένοις, ἥτιςπροσαγορεύεταινόμιμοςἐλευθερία. Οὗτοιδέ, οἳδεσπότουθελήσειἐπἐλευθερίανἦσαν, ἔμενονδοῦλοι, καὶοἱἐλευθερῶγτεςἐτόλμων  εἰςδονλείανπάλιναὐτοὺςκατὰβίανἄγειν. Παρεγίνετο (ὁστρατεγός) καὶοὐκἤφιενἐλευθερωθένταδουλεύειν. […] Ante enim una libertas erat et libertas fiebat ex vindictis uel ex testamento uel in censu et administratio Romana competebat manumissis: quae appellatur iusta libertas. Hi tamen, qui domini uoluntate in libertate erant, manebant serui, et manumissores ausi erant in servitutem denuo eos per uim perducere. interueniebat (praetor) et non patiebatur manumissum servire. […]). Sarà esclusivamente la lex Iunia a disciplinare il genus dei Latini Iuniani, nel quale si ricomprenderanno, tra l’altro, gli schiavi manomessi informalmente.

I Tituli ex corpore Ulpiani e Boezio descrivono la manumissio censu:

 

Tit. Ulp. 1.8

Censu manumittebantur olim, qui lustrali censu Romae iussu dominorum inter cives Romanos censum profitebantur.

 

Boeth. Comm. in Cic. Top. 1.2.10

Si quis ergo consentiente vel iubente domino nomen detulisset in censum, civis Romanus fiebat et a servitutis vinculo solvebatur

 

Maxime Lemosse ha individuato quattro elementi indispensabili al compimento dell’atto: la professio, ossia la richiesta al censore di inserire il nome del servo tra i cives; il iussum domini; l’iscrizione nelle liste dei cittadini da parte del censore; il compimento della cerimonia della lustratio[5]. Ma, si chiede lo studioso, come può uno schiavo compiere validamente la dichiarazione se l’ordinamento romano lo considera alla stregua di una res?[6] In forza del iussum domini, il quale “n’est donc pas exclusivement l’extinction unilatérale de la potestas. […] Il est en rapport direct avec le cens, avec l’organisation politique”[7]. I giuristi, però, avevano opinioni diverse sul momento a partire dal quale la manumissio censu iniziava a produrre effetti. Merita, a tal riguardo, particolare attenzione:

 

Fr. Dos. 17[8] 

Καὶὃς  ἐνἀποτιμήσειἐλευθεροῦται, εἰτριάκονταἔτηἔχοι, πολιτείανῬωμαίωνκτᾶται·ἀποτίμησιςδὲἐπὶῬώμης ἄγεσθαι εἴωθεν· ἡ ἀποτίμησις καθαρμῷ κτίζεται· ἐστὶν δὲ ὁ καθαρμὸς πενταετηρικὸς χρόνος, ᾧ Ῥώμη καθαίρεται. Ἀλλὰ ὀφείλει οὗτος ὁ δοῦλος ἐκ δικαίου πολιτικοῦ (ἐλευθεροῦντος) εἶναι, ἵνα πολίτης Ῥωμαίων γένηται. Μεγάλη μέντοι ἀμφισβήτησίς ἐστιν ἐν τοῖς ἐμπείροις, πότερον τούτῳ τῷ χρόνῳ δυνάμεις λαμβάνουσιν ἅπαντα, ἐν ᾧ ἡ ἀποτίμεσις, ἢ ἐν ἐκεινῳ τῷ χρόνῳ, ἐν ᾧ καθαρμὸς κτίζεται. Εἰσὶν γὰρ οἱ ὑπολαμβάνοντες μὴ ἄλλως δυνάμεις λαμβάνειν τὰ πρασσόμενα ἐν τῇ ἀποτιμήσει, ἐὰν μὴ αὕτη ἡμέρα ἀκολουθήσῃ, ὅτε ὁ καθαρμὸς κτίζεται· ὑπολαμβάνουσιν γὰρ ἀποτίμησιν καταβαίνειν ἐπὶ τὴν ἡμέραν τοῦ καθαρμοῦ, οὐχὶ τὸν καθαρμὸν κατατρέχειν ἐπὶ τὴν ἡμέραν τῆς ἀποτιμήσεως. Ὃ διὰ τοῦτο ἐζήτηται, ἐπειδὴ πάντα, <ἅ> τῇ ἀποτιμήσει πράσσονται, τῷ καθαρμῷ ἰσχυροποιοῦνται. Ἀλλὰ  ἐν τῇ πόλει Ῥωμαίων μόνον ἀποτίμησιν ἄγεσθαι δεδήλωται· ἐν ταῖς ἐπαρχίαις μᾶλλον ἀπογραφαῖς χρῶνται. 

Etqui incensum manumittitur, sitrigintaannoshabeat, administrationemRomanorum possidet;CensusauteminRoma agisolet; vel censuslustro conditur, estautemlustrumquiquennaletempusquoRomapurgatur –; seddebethicservusexiureQuiritium (manumittentis) esse, utcivisRomanusfiat. Magna autem dissensio est inter peritos, utrum hoc tempore vires accipiunt omnia, in quo census, aut in eo tempore, in quo lustrum conditur. Sunt enim qui existimant non alias vires accipere quae aguntur in censu, nisi haec dies sequatur, qua lustrum conditur; existimant enim censum descendere ad diem lustri, non lustrum decurrere ad diem census. Quod ideo quaesitum est, quoniam omnia  in censum aguntur lustro confirmantur. Sed in urbem Romanorum tantum censum agi notum est; in provincia autem magis professiones utuntur.

 

Divergenti, ossia almeno due, le posizioni in campo. Alcuni ritengono che l’efficacia si riconnetta, dal punto di vista temporale, al compimento del lustrum; altri guardano alla semplice redazione delle liste del censo[9]. È una questione già discussa ai tempi di Cicerone:

 

Cic. De orat. 1.40.183

Quid? De libertate, quo iudicium gravius esse nullum potest, nonne ex iure civili potest esse contentio, cum quaeritur, is, qui domini voluntate census sit, continuone, an, ubi lustrum sit conditum, liber sit?

 

Maxime Lemosse suppone che l’iscrizione tra i cives affrancasse lo schiavo, ma che soltanto il compimento della lustratio gli conferisse la civitas[10]. Nel frattempo, l’individuo si considerava libero, ma, publico iure, pur sempre in servitù[11]. Viceversa, il Danieli assimila la condizione dello schiavo – una volta effettuata la professio, mentre si era in attesa della cerimonia del lustratio – a quella dell’incensus[12]. Lo studioso scrive: “egli sta per acquistare quei diritti propri del cittadino romano che l’incensus perderà in seguito alla vendita trans Tiberim[13]. La lustratio avrebbe attribuito, al manomesso, libertà e cittadinanza[14]. Per Cristoforo Cosentini è sufficiente l’iscrizione del manomesso nelle liste di censo[15]. A mio giudizio, è un dilemma quasi irrisolvibile, perché, come ha rilevato il Buckland, “the question […] was never determined”[16]. Non si può, comunque, negare che la manumissio censu si fondi su un inscindibile legame tra libertas e civitas. Il manomesso otteneva la libertà e, contestualmente, la cittadinanza sia nel caso in cui la manumissio censu producesse effetti con l’iscrizione nelle liste di censo, sia che, per il perfezionamento dell’atto, si rendesse necessario attendere la cerimonia del lustrum. Né si può formulare una differente ipotesi interpretativa in base a 

 

Cic. Pro Arch. 11

sed quoniam census non ius civitatis confirmat ac tantum modo indicat eum qui sit census ita se iam tum gessisse pro cive

 

L’iscrizione nel census non garantiva alcunché a proposito dell’effettivo possesso della civitas, ma indicava che un determinato individuo agiva come cittadino[17]. “Il brano di Cicerone non permette […] di asserire che l’iscrizione nell’elenco confermasse sempre uno status civitatis già esistente”[18]. Lo schiavo ne era privo. Nel momento in cui ottiene la libertà, il censore glielo attribuisce: o con l’iscrizione tra i cives Romani[19], o col compimento della cerimonia della lustratio.

La manomissione censoria si poteva perfezionare al di fuori dell’Urbs? Il frammento Dositeano distingue tra il censimento effettuato a Roma e le professiones compiute nelle province (Fr. Dos. 17 […] ἈλλὰἐντῇπόλειῬωμαίωνμόνονἀποτίμησινἄγεσθαιδεδήλωται·ἐνταῖςἐπαρχίαιςμᾶλλονἀπογραφαῖςχρῶνται. […] Sed in urbe Romanorum tantum censum agi notum est; in prouincia autem magis professiones utuntur).

Risale quasi certamente a Cesare il decentramento delle procedure del censimento[20]. La Tabula Heracleensis (CIL I2 593) attesta le innovazioni introdotte nei municipia dell’Italia a seguito delle sue riforme; riforme resesi tanto più necessarie proprio per fronteggiare le palesi inefficienze del precedente sistema[21], una volta concessa, dopo il bellum Marsicum, la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi della nostra penisola. “Le procedure del census vengono decentrate nelle singole municipalità, e una procedura ad hoc è stabilita per Roma”[22]. La riforma si propone di effettuare un census locale, contestualmente al censimento nell’Urbe, “secondo schemi comuni”[23]. Forse siffatte innovazioni permisero ai cives Romani dei municipia di manomettere i propri schiavi nella loro patria,ossia nella loro origo – e, in seguito, anche in provincia (cfr. Fr. Dos. 17) –, ricorrendo a queste specifiche procedure, senza, per forza di cose, doversi recare nell’Urbs. Si aprì così la possibilità di decentrare la manumissio censu. In effetti, nella Tabula di Eraclea[24] si legge:

 

CIL I2 593 lin. 144-147[25]

quis mag(istratus) Romae populi censum aget, is diebus (sexaginta) proxumeis, quibus scietRomae cnsum populi/ agi, omnium municip{i}um colonorum suorum queique eius praefecturae erunt, q(uei) c(iues) R(omanei) erunt, censum/ agto; eorumque nomina praenomina patres aut patronos tribus cognomina et quot annos/ quisque eorum habet et rationem pecuniae ex formula census, quae Romae ab eo, qui tum censum/

 

I magistrati locali dovevano registrare i dati anagrafici dei cives. La Tabula vi ricomprende i nomina, la tribù di appartenenza, patres e, soprattutto, patroni (eorumque nomina praenomina patres aut patronos tribus cognomina). Si coglie, in queste linee, un’evidente allusione anche agli schiavi manomessi[26].

Peraltro, a partire dal I secolo a.C., la magistratura della censura andò incontro a un rapido declino. Silla, nell’esercizio della sua dittatura, ne esercitò in prima persona i poteri e procedette ad una lectio senatus[27]. In seguito, si celebrò regolarmente il censimento del 70 a.C. Quando, però, Cesare divenne dittatore, si fece attribuire la censura a vita (Dio. Cass. 44.5.3). La magistratura non fu restaurata da Augusto che procedette in prima persona al compimento delle operazioni del census (28 a.C.; 8 a. C.; 14 d.C.)[28]. Inoltre, fu istituito per tempo (sin dall’epoca augustea, come si induce da un’epigrafe risalente al principato di Claudio, AE. 1994, 375 c) un ufficio a censibus col compito di raccogliere e coordinare le informazioni provenienti dai municipia e dalle province[29].

 

2. Il rapporto libertas/civitas Romana e le leggi Elia Senzia e Iunia

 

Le leges Aelia Sentia e Iunia introdussero profonde innovazioni in materia di status libertorum. Non posso soffermarmi, nelle pagine che seguono, sulla controversa questione dei rapporti cronologici tra i due provvedimenti[30], benché propenda per l’anteriorità della normativa eliana rispetto all’altra. La legge Iunia, com’è noto, introdusse il genus dei Latini Iuniani (Gai. 3.56; Fr. Dos. 6). La Elia Senzia, approvata sotto il consolato di Sesto Elio Catone e Gaio Senzio Saturnino[31], constava di numerose disposizioni. Il dominus minore di anni venti poteva manomettere soltanto vindicta, previa dimostrazione, a pena di nullità, della conformità al ius di una causa manumissionis. Il legislatore non riponeva alcuna fiducia nella volontà del giovane (cfr. D. 18.7.4 Marcell. 24 dig.; D. 40.2.25 Gai. 1 de manumiss.)[32] e imponeva che un apposito consiglio verificasse la fondatezza dell’affrancamento. La legge richiedeva i medesimi requisiti anche per manomettere il servo non ancora trentenne, qualora il proprietario intendesse fargli conseguire la civitas Romana. L’elusione di tale disposizione non pregiudicava, per intero, l’atto, ma esclusivamente lo status del liberto, che – post legem Iuniam – diveniva Latino (cfr. Gai. 1.17-18; Tit. Ulp. 1.12)[33]. Ai liberti Latini minorenni la normativa eliana consentì, a determinate condizioni, di conseguire la civitas Romana, servendosi dell’anniculi causae probatio (Gai. 1.29; Tit. Ulp. 3.3). 

La lex Aelia Sentia introdusse anche un altro genus libertorum. Gli schiavi che avessero subìto condanne comportanti uno stigma, furono collocati, una volta manomessi, nel novero dei dediticii (Gai. 1.13; Gai. 1.15).

L’istituzione dei nuovi status per gli affrancati muta profondamente il rapporto tra libertas e civitas[34]. L’affrancamento consisteva in un atto idoneo a includere il liberto nella comunità romana[35]. Prima dell’approvazione delle leggi Elia Senzia e Iunia, a una manumissio solenne conseguiva necessariamente l’acquisto contestuale di libertas e civitas. La libertà concessa dal privato, secondo le forme del ius civile, risultava idonea regolarmente ad attribuire la cittadinanza romana.

L’introduzione dei genera dei liberti dediticii e dei Latini Iuniani pose fine a questo automatismo. Ai primi si interdisse l’accesso alla cittadinanza (Gai. 1.26). I secondi ottennero una condicio intermedia tra qui in numero dediticiorum sunt (Tit. Ulp. 1.11) e i liberti cives Romani (Giustiniano la definisce libertas minor, cfr. I. 1.5.3 e imperfecta libertas, cfr. C. 7.6.1). E, in effetti, a determinate condizioni potevano conseguire la cittadinanza: 

 

Fr. Dos. 5

Πρότερονγὰρμίαἐλευθερίαἦν, καὶἡ ἐλευθερίαἐγίνετοἐκπροσαγωγῆς, ἢ κατὰδιαθέκην, ἢ ἐνἀποτιμήσει, καὶπολιτείαῬωμαίωνσυνῄτειἠλευθερωμένοις, ἥτιςπροσαγορεύεταινόμιμοςἐλευθερία. […]

Ante enim una libertas erat et libertas fiebat ex vindictis vel ex testamento vel in censu et administratio Romana competebat manumissis: quae appellatur iusta libertas. […]

 

Il termine ‘ante’ rinvia alla situazione antecedente alle riforme augustee. Alle tre modalità di manomissione valide iure civili consegue ‘una libertas’, ossia la libertà con contestuale conferimento della cittadinanza.

In età augusteo-tiberiana si pose fine, servendosi dello strumento della lex, all’automatica correlazione tra libertas e civitas:

 

Fr. Dos. 6[36] 

Ἀλλὰνῦνἔχουσινἰδίανἐλευθερίανεἰςτοὺςφίλουςἠλευθερωμένοι, καὶγίνονταιΛατῖνοιἸουνιανοί, […]

Sed nunc habent propriam libertatem inter amicos manumissi, et fiunt Latini Iuniani, […]

 

Il frammento si coordina col § 5. Il termine ‘nunc’ indica che, al tempo in cui questo scritto fu composto, la lex Iunia operava, prevedendo una forma di manumissio specifica per i cosiddetti Latini Iuniani (propriam libertatem)[37].

Pertanto, le riforme augusteo-tiberiane attribuirono alternativamente al manomesso tre status:

 

Gai. 1.12

Rursus libertinorum genera sunt tria: aut enim cives Romani aut Latini aut dediticiorum numero sunt.

 

Tit. Ulp. 1.5

Libertorum genera sunt tria, cives Romani, Latini Iuniani, dediticiorum numero.

 

Epit. Gai. 1.1.pr.

[…] Ingenuorum omnium unus status est: libertorum vero ideo non unus est, quia tria sunt genera libertatum: quia liberti aut cives Romani sunt, aut Latini, aut dediticii. […]

 

Gai. Aug. 14

[…] ergo his modis exeunt de potestate, quibus modis manumittuntur, aut ut fiant dediticii aut Latini aut cives Romani.

 

I liberti possono, dopo le riforme augustee, acquistare la condizione di cives Romani, di Latini Iuniani o di liberti dediticii. Muta il rapporto tra libertas e civitas (termine che designa, in senso stretto, la cittadinanza romana), e, al contempo, se ne istituisce uno nuovo: quello tra libertas e status civitatis (da intendersi genericamente come “posizione giuridica dell’individuo rispetto ad un dato ordinamento”[38]).

Lo schiavo diventa libertus dediticius, qualora, prima della sua liberazione, abbia subìto pene stigmatizzanti. Lo stigma deriva dai segni impressigli sul corpo o dal carattere spettacolare, che la sanzione irrogatagli poteva assumere agli occhi della comunità (Gai. 1.13; Tit. Ulp. 1.11; Epit. Gai. 1.1.3; Isid. Etym. 9.4.49-50)[39].

Il legislatore d’età augustea ricollega a questo genere di sanzioni effetti sul piano giuridico rispetto ad un evento successivo ed eventuale, come la manomissione del servo, a prescindere dal tipo di manomissione utilizzata (cfr. Gai. 1.13; Gai. 1.15).

Si interdice al libertus dediticius l’accesso alla civitas Romana (Gai. 1.26). La lex Aelia Sentia contempla una sola eccezione: il debitore inadempiente può istituire libero ed erede necessario un servo, anche in deroga al divieto di manomettere in frode ai creditori. L’istituito consegue la cittadinanza romana, benché sussistano perfino gli estremi per annoverarlo tra i dediticii (Tit. Ulp. 1.14). In tal modo, il liberto subisce, in luogo del defunto, l’infamia conseguente all’esecuzione forzata sui beni[40].

L’affrancato Latino acquistava, invece, una condizione migliore. Egli conservava, almeno virtualmente, la possibilità accedere alla cittadinanza romana. L’anniculi causae probatio (Gai. 1.29; Tit. Ulp. 3.3) si propose l’obiettivo di integrare l’intero nucleo famigliare dell’affrancato nella comunità romana, perseguendo, così, un fine dichiaratamente demografico (Tit. Ulp. 3.3 …quod liberorum quaerendorum causa uxorem duxerit…)[41]. Successivi provvedimenti attribuirono la civitas Romana anche ai liberti Latini impiegati in settori di importanza strategica (per esempio, trasporto dell’annona – Gai. 1.32c; sicurezza urbana – Gai. 1.32b; Tit. Ulp. 3.5; rilancio urbanistico della città dopo il devastante incendio di epoca neroniana Gai. 1.33)[42], oppure la concessero, in specifiche circostanze, per regolarizzare la loro condizione (per esempio, con l’iteratio[43]o l’erroris causae probatio[44]).

Ma soltanto uno schiavo che avesse compiuto almeno trent’anni diventava cittadino romano senza che operassero i limiti stabiliti dalla legge Elia Senzia (Gai. 1.17) al momento della liberazione e sempre che non avesse subìto pene stigmatizzanti e che il suo proprietario fosse già ventenne[45].

 

3. Le riforme augusteo-tiberiane e la manomissione censoria

 

Il frammento Dositeano pone in diretta correlazione l’età del servo con la manomissione censoria:

 

Fr. Dos. 17[46]

Καὶὃς  ἐνἀποτιμήσειἐλευθεροῦται, εἰτριάκονταἔτηἔχοι, πολιτείανῬωμαίωνκτᾶται·

Et qui in censum manumittitur, si triginta annos habeat, administrationem Romanam possidet;

 

Se ha almeno trent’anni, l’affrancato ottiene la cittadinanza romana. Nessuna fonte discute lo status del servo che non li ha ancora compiuti. Osserva puntualmente Mario De Dominicis: “poiché […]” la manumissio censu “consisteva nella iscrizione delle liste dei cittadini romani al momento del censimento, è evidente che non poteva esservi compreso un servo che non avesse raggiunto l’età fissata dalla legge. Rimaneva, quindi, esclusa, perché impossibile a verificarsi, ogni questione sullo status del servo manomesso in questa forma e mancante della civitas[47].

Per sua stessa natura, la manumissio censu non può non conferire, contestualmente alla libertas, la cittadinanza. Il servo non ancora trentenne, affrancato tramite iscrizione nelle liste di censo, non consegue, pertanto, la Latinitas Iuniana.

Augusto, ponendo fine all’automaticità del rapporto tra libertas e civitas, ha indirettamente contribuito a limitare l’impiego della manomissione censoria. Quest’ultima, ormai, poteva compiersi solo a determinate condizioni:

-         Che il servo avesse compiuto almeno trent’anni. Il proprietario non poteva procedere alla manumissio censu di uno schiavo di età inferiore nemmeno dopo aver dimostrato la conformità al ius di una causa manumissionis. Lo si induce da:

 

Gai. 1.17

Nam in cuius personam tria haec concurrunt, ut maior sit annorum triginta et ex iure Quiritium domini et iusta ac legitima manumissione liberetur, id est vindicta aut censu aut testamento, is civis Romanus fit; sin vero aliquid eorum deerit, Latinus erit.

 

Il servo deve avere almeno trent’anni perché si compia una iusta ac legitima manumissio (anche censoria, come attesta l’inciso ut maior sit annorum triginta… et iusta ac legitima manumissione liberetur, id est…censu…). L’aggettivo ‘iusta’ indica una concessione della libertà con contestuale acquisto della civitas Romana (cfr. Svet. Aug. 40[48]). Il termine ‘legitima’ allude alla conformità dell’atto alle regole fissate dalla lex Aelia Sentia. Il giurista prosegue affermando che

 

Gai. 1.18

Quod autem de aetate servi requiritur, lege Aelia Sentia introductum est: nam ea lex minores XXX annorum servos non aliter voluit manumissos cives Romanos fieri, quam si vindicta apud consilium iusta causa manumissionis adprobata liberati fuerint.

 

La legge Elia Senzia aveva previsto che, nel caso di liberazione del servo non ancora trentenne, alla causae probatio dovesse necessariamente far seguito una manumissio vindicta. Si escludeva in limine la possibilità di un ricorso alla manumissio censu[49]

-         Che il dominus avesse compiuto almeno venti anni.

-         Che lo schiavo non avesse subìto condanne tali da doverlo ascrivere, una volta affrancato, al novero dei liberti dediticii. E, in effetti, il funzionario imperiale addetto alle operazioni di censo non poteva inserire, nelle liste dei cives il nome di un soggetto cui, per statuto, era stata interdetta ogni possibilità di conseguire la civitas.

Quelle elencate – condizioni essenziali per compiere una valida manumissio censu in età imperiale – si cumulavano. Pertanto, divenne sempre più arduo ricorrere a quest’antico meccanismo negoziale.

Un passo dei Tituli ex corpore Ulpiani, particolarmente controverso, affronta il problema degli status libertorum in relazione alle disposizioni della lex Aelia Sentia:

 

Tit. Ulp. 1.12

Eadem lege cautum est, ut minor triginta annorum servus vindicta manumissus civis Romanus non fiat, nisi apud consilium causa probata fuerit; ideo sine consilio manumissum Caesaris servum manere putat. Testamento vero manumissum perinde haberi iubet, atque si domini voluntate in libertate esset. Ideoque Latinus fit.

 

I contenuti della frase d’apertura possono considerarsi pienamente conformi al diritto d’età imperiale, in quanto essi ben si accordano con Gai. 1.18. Al contrario il significato dell’inciso seguente ci sfugge. Non si comprende quale sia, in tale contesto, il valore del termine ‘Caesaris’. Sono state avanzate differenti congetture interpretative[50]. Per esempio, Martin Avenarius suppone di poterlo sostituire con ‘Cassius[51]. D’altro canto, considerare la legge quale soggetto di putat lascia, a dir poco, perplessi[52], benché, nella frase successiva, il soggetto sottinteso del verbo ‘iubet’ non possa non essere lex.

Non penso, tuttavia, che condannare l’intero scorcio – da ideofino a putat– come un glossema[53]  rappresenti la soluzione migliore.  È, però, proprio quel che fa Marcella Balestri Fumagalli[54], espungendo le ‘parole incriminate’ ed emendando Tit. Ulp. 1.12 in tal modo:

 

Eadem lege cautum est, ut minor triginta annorum servus vindicta manumissus civis Romanus non fiat, nisi apud consilium causa probata fuerit. Testamento vero manumissum perinde haberi iubet, atque si domini voluntate in libertate esset. Ideoque Latinus fit.

 

Carlo Venturini propone di salvare il termine Caesaris, poiché gli schiavi minorenni “avevano usufruito di una manumissio formale, idonea a comportare per chi l’aveva operata la perdita della dominica potestas[55]. Un orientamento giurisprudenziale, risalente nel tempo, avrebbe loro attribuito lo status di servi populi Romani (terminologia sostituita dall’epitomatore con il lemma servumCaesaris)[56]. Lo studioso ritiene, inoltre, di poter correggere il verbo putatcon putant o putaverunt, o, in alternativa, “assegnare al verbo come soggetto il non precisabile nome di un giurista dell’età augustea facendo carico al copista dell’omissione”[57].

Forse, il testo può essere interpretato anche diversamente. L’uso radicale dell’atetesi, così come la impiega Marcella Balestri Fumagalli, mi pare quanto meno arbitrario. Probabilmente non è necessario espungere l’intero inciso, ma senza dubbio occorrono, a tal riguardo, ulteriori precisazioni. La prima frase (eadem lege…cautum est) afferma che gli schiavi non ancora trentenni non diventano cives Romani, a meno che il dominus non compia una manumissio vindicta, dopo aver dimostrato, presso il consiglio, la conformità al ius di una causa manumissionis. La seconda parte del passo da testamento vero a Latinus fit discute del minor manumissus tramite testamento. I Tituli hanno, forse, fatto riferimento anche alla manomissione censoria. Il lemma ‘Caesaris’ potrebbe sostituirsi con ‘censu’. È una tesi, già sostenuta dal Lachmann e dallo Schilling[58], che meriterebbe un’adeguata rivisitazione. I due studiosi emendarono il passo in tal modo: 

 

ideo sine consilio manumissum [Caesaris] servum manere putat.

 

Il servo non ancora trentenne affrancato tramite censimento, in violazione della lex Aelia Sentia, non diventava Latino Iuniano e, di conseguenza, conservava la sua precedente condizione, ossia quella di servus:

 

Fr. Dos. 17 

Καὶὃς  ἐνἀποτιμήσειἐλευθεροῦται, εἰτριάκονταἔτηἔχοι, πολιτείανῬωμαίωνκτᾶται· […]

Et qui censum manumittitur, si triginta annos habeat, administrationem Romanorum possidet […]

 

In caso di manumissio censu, esclusivamente il maggiore di trent’anni diviene cittadino romano. Viceversa, uno schiavo che non li avesse compiuti, in forza delle prescrizioni della legge Elia Senzia, può ottenere la civitas se, adprobata una iusta causa apud consilium, sia stato affrancato mediante vindicta. In effetti, i funzionari del principe non avrebbero mai iscritto un servo non ancora trentenne nelle liste di censo, in violazione della lex. Pertanto, possiamo senz’altro escludere che lo si annoverasse tra i Latini Iuniani[59].   

I Tituli ex corpore Ulpiani potrebbero, forse, aver precisato questo dettaglio, qualora emendassimo il § 1.12 in tal modo:

 

Tit. Ulp. 1.12

ideo sine consilio manumissum [Caesaris] servum manere putat

 

Pur riprendendo i rilievi del Lachmann e dello Schilling, non aggiungerei la congiunzione ‘ve’ alla parola ‘censu[60]. Lo schiavo, che non ha ancora compiuto trent’anni, se manomesso sine consilio tramite censimento, ossia in violazione della normativa eliana, rimane servo. Non penso sia necessario emendare il verbo putat qualora lo si voglia rendere (forzando leggermente la traduzione) con la forma impersonale ‘si ritiene’, oppure, imputando ad un copista distratto l’omissione del nome di un giurista, come ha ipotizzato il Venturini[61].

Luigi Cantarelli[62] e Marcella Balestri Fumagalli[63] avevano contestato le conclusioni del Lachmann e dello Schilling, in base a un passo dei Tituli che parrebbe alludere alla manumissio censu come a un istituto ormai desueto:   

 

Tit. Ulp. 1.8

Censu manumittebantur olim, qui lustrali censu Romae iussu dominorum inter cives Romanos censum profitebantur.

 

Il termine olim indica un tempo lontano. Se ne è dedotto che Tit. Ulp. 1.12 non poteva discutere un istituto presentato poco prima – ossia in Tit. Ulp. 1.8 – come caduto in desuetudine. Sono rilievi che non persuadono per almeno due ragioni. In primo luogo, un riferimento alla manumissio censu si riscontra già in  

 

Tit. Ulp. 1.6

Cives Romani sunt liberti, qui legitime ... censu aut testamento, nullo iure inpediente.

 

Si tratta, a ben vedere, di una forma di manumissio ancora vigente (come attesta il verbo sunt).

In secondo luogo, mi pare che Tit. Ulp. 1.8 guardi, piuttosto, alle origini dell’istituto[64]. In effetti si propone un riferimento alle operazioni del censimento che si compivano a Roma. Manca, invece, qualsiasi riferimento alle procedure poste in essere nei municipia e nelle province, alle quali, al contrario, il frammento dositeano fa cenno (Fr. Dos. 17 ἈλλὰἐντῇπόλειῬωμαίωνμόνονἀποτίμησινἄγεσθαιδεδήλωται·ἐνταῖςἐπαρχίαιςμᾶλλονἀπογραφαῖςχρῶνται. […] Sed in urbem Romanorum tantum censum agi notum est; in provincia autem magis professiones utuntur […]). Tit. Ulp. 1.8 descrive il census anteriormente alla riforma di Cesare, così come essa può essere, a grandi linee, ricostruita alla luce della Tabula Heracleensis

Inoltre, per concludere, va ricordato che il legislatore non ha mai abrogato la manumissio censu[65], benché il compimento di quest’atto risultasse, ormai, decisamente arduo per le tante ragioni poc’anzi ricordate[66]. Non desta stupore, pertanto, che anche Tit. Ulp. 1.12 vi facesse riferimento.

 

4. La giurisprudenza e la manumissio censu in età imperiale: alcune osservazioni

 

La lex Aelia Sentia aveva, di fatto, fortemente compresso la possibilità di un effettivo ricorso alla manumissio censu, pur senza abrogarla. E, in effetti, i proprietari di schiavi avevano la possibilità di utilizzarla anche nel corso della prima età imperiale (I secolo d.C.). Le fonti fanno menzione di differenti censimenti, da quelli di Augusto[67] e Claudio[68] a quello del 72 d.C., durante il principato di Vespasiano (Plin. Nat. Hist. 10.50.162-164; Censorin. De die nat. 13-14)[69]. Vi fa riferimento un’opera del liberto di Adriano, Flegonte di Tralle, intitolata ‘Sui longevi’ (Περἱμακροβίων)[70]. Ma, evidentemente, le riforme d’epoca augustea accentuarono, nel confronto con le altre forme di affrancamento, la peculiare tortuosità di questa procedura. Un proprietario avrebbe dovuto attendere di compiere vent’anni – se di età inferiore – e il suo schiavo almeno trenta, sempre che, ovviamente, non avesse subìto alcuna pena stigmatizzante (Gai. 1.13). Un affrancamento informale appariva molto più agevole, sebbene inidoneo a conferire la civitas Romana. Ma, in fondo, anche una manumissio vindicta risultava, agli occhi dei contemporanei, assai meno problematica:

 

Gai. 1.20

[…] maiores vero triginta annorum servi semper manumitti solent, adeo ut vel in transitu manumittantur, veluti cum praetor aut pro consule in balneum vel in theatrum eat.

 

Il pretore, il proconsole e, benché non sia ricordato, il console si rendono disponibili a compiere la manumissio vindicta degli schiavi trentenni anche mentre si recano alle terme o a teatro. Il dominus porta a termine l’affrancamento facilmente e in qualunque momento.

La giurisprudenza del II e III sec. d.C. annovera la manumissio censu tra le forme di affrancamento ancora in vigore. Le Istituzioni gaiane (Gai. 1.17; Gai. 1.35; Gai. 1.44; Gai. 1.138), il Frammento Dositeano, i Tituli ex corpore Ulpiani (Tit. Ulp. 1.6 e, forse, Tit. Ulp. 1.12; non Tit. Ulp. 1.8, che ne ricorda, a mio giudizio, le origini), il frammento parigino di Papiniano[71] (P. Louvre inv. E 7153) ne fanno certamente menzione, come a un istituto ancora in vigore. Secondo Ugo Coli “la sola spiegazione possibile sta nel carattere tralatizio della problematica delle scuole giuridiche e nella mancanza di un provvedimento ufficiale di soppressione”[72]. È proprio così: ma occorre, a mio parere, tener debito conto anche del ruolo interpretato, in questi sviluppi, dalle riforme d’età augusteo-tiberiana. In effetti, come abbiamo visto[73], si manifestarono incertezze sugli effetti della manumissio censu. I giuristi discutevano se l’atto potesse ritenersi perfezionato con la semplice iscrizione dell’affrancato nelle liste di censo o con la cerimonia del lustrum (Fr. Dos. 17; Cic. De orat. 1.40.183). Le costanti incertezze sulla produzione dei suoi effetti e la possibilità di ricorrere ad altre forme di affrancamento, a causa delle innovazioni introdotte dalla normativa augusteo-tiberiana, hanno determinato una progressiva – non repentina, ma inesorabile – desuetudine dell’istituto. D’altro canto, come il Coli ricordava, nessun provvedimento abrogò espressamente tale istituto. In via del tutto teorica, un dominus avrebbe ancora potuto farvi ricorso. Ma, già alla fine del I sec. d.C., la manumissio non trovava più pratica attuazione nel census.

I censimenti, che il potere imperiale continuò a predisporre, in primis nelle province, servivano a determinare l’ammontare del tributo che ricadeva sulle civitates, che non godevano del ius Italicum o non immunes, e di conseguenza sui loro cittadini, come emerge, tra l’altro, anche dalla lettura del De censibus di Ulpiano, un’opera verosimilmente composta dopo la promulgazione della Costituzione Antoniniana[74]

 

5. Conclusioni

 

In età repubblicana al compimento di una manomissione solenne conseguiva regolarmente l’acquisto, a un tempo, della libertas e della civitas. Con l’approvazione delle leges Aelia Sentia e Iunia, venne meno quest’automatismo. Il liberto poteva ottenere alternativamente tre differenti status: la civitas Romana, la Latinitas Iuniana e la libertas dediticia: la prima se il dominus, di età inferiore ai vent’anni, avesse dimostrato la conformità al ius di una causa presso un apposito consiglio. I medesimi requisiti valevano anche per attribuire la ‘iusta libertas’ al liberto non ancora trentenne (Gai. 1.18; Tit. Ulp. 1.12). Una volta verificata la conformità della causa al dettato normativo della lex, il proprietario doveva necessariamente compiere una manumissio vindicta[75].

La manumissio censu si prestava, per sua intrinseca natura, a conferire la sola cittadinanza romana[76]. Dopo la promulgazione delle leges Aelia Sentia e Iunia, lo spazio per una sua concreta applicazione si restrinse sempre di più. 1) Lo schiavo doveva essere almeno trentenne; 2) non doveva aver subito sanzioni stigmatizzanti tali da renderlo, in caso di manomissione, libertus dediticius; 3) doveva appartenere ad un dominus già ventenne. L’istituto cadde, così, in desuetudine nel corso della prima età imperiale (fine I - inizio II sec. d.C.), innanzi tutto perché i proprietari di schiavi preferirono far ricorso a forme negoziali più agevoli e sicure.

Ma i giuristi, tra II e III secolo d.C., discutevano ancora di quest’istituto. Come ha osservato Ugo Coli[77], nessuna disposizione lo abrogò formalmente e delle controversie sulla produzione dei suoi effetti si continuò, pur sempre, a tenere conto. Pertanto, quanto meno in linea teorica, il dominus avrebbe potuto comunque avvalersi della manumissio censu. Ma, nella prassi, questa formaandò incontro a una lenta ma inesorabile desuetudine. E le leggi Elia Senzia e Iunia senza dubbio posero le premesse di questo processo.   

 

Abstract: The study considers the relationship between the manumissio censu and the Augusto-Tiberian legislation on manumission. The leges Aelia Sentia and Iunia modified the connection between libertas and civitas and introduced the genera of the liberti dediticii and the Junian Latins. Moreover the Aelia Sentia established specific requirements for the manumission and the attribution of the civitas Romana of the dominus minor viginti annis and of the slave, younger than thirty. The manumissio censu can only confer Roman citizenship. But, after the approval of the leges Aelia Sentia and Iunia, the hypotheses of its concrete application decrease more and more. The two measures indirectly contributed to its disappearance.

 

Key words: Lex Aelia Sentia, lex Iunia, manumissio censu, status libertorum.

 

 

 


* Università di Pavia (emanuelebisio2@gmail.com).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] La letteratura sulla lex Iunia e la Latinitas Iuniana è piuttosto ampia. Mi limito a ricordare soltanto alcuni studi. K.A. Vangerow, Über die Latini Iuniani; Eine rechtsgeschichtliche Abhandlung, Marburg, 1833, p. 3 ss.; L. Cantarelli, I Latini Iuniani. Contributo allo studio del diritto latino, in AG, 29 (1882), p. 3 ss. e in AG, 30 (1883), p. 41 ss.; A. Steinwenter, s. v. Latini Iuniani, in PWRE XII.1, Stuttgart, 1924, c. 910 ss.; M. De Dominicis, La Latinitas Iuniana e la legge Elia Senzia, in Scritti romanistici, Padova, 1970, p. 181 ss.; Id., I Latini Iuniani nel pensiero del legislatore romano, in AA.VV., Studi in memoria di Domenico Pettiti, vol. I, Milano, 1973, p. 513 ss.; L. Rodríguez Álvarez, Las leyes limitadoras de las manumisiones en época augustea, Oviedo, 1978, p. 127 ss.; A.J.B. Sirks, Informal Manumission and the Lex Iunia, in RIDA, 28 (1981), p. 247 ss.; Id., The lex Iunia and the effects of informal manumission and iteration, in RIDA, 30 (1983), p. 282 ss.; M. Balestri Fumagalli, La lex Iunia nel sistema dei Tituli ex corpore Ulpiani, in AG, 204 (1984), p. 455 ss.; Ead., Lex Iunia de manumissionibus, Milano, 1985, p. 3 ss.; P. López Barja De Quiroga, Latinus Iunianus. Una aproximación, in Studia Historica 4-5 (1986-1987), p. 125 ss.; Id., Junian Latins: Status and Number, in Athenaeum, 86 (1998), p. 133 ss.; P.R.C. Weaver, Where have all the Iunian Latins gone? Nomenclature and status in the early empire, in Chiron, 20 (1990), p. 275 ss.; Id., Children of Junian Latins, in The Roman family in Italy: status, sentiment, space, ed. B. Rawson-P. Weaver, Canberra, Oxford, 1997, p. 55 ss.; E. Bianchi, Fictio Iuris. Ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico all’epoca augustea, Pavia, 1997, p. 373 ss.; Id., Ancora qualche riflessione su Gai. 3.56 e sulle finzioni della lex Iunia, in Incorrupta Antiquitas. Studi di Storia, Epigrafia e Diritto in memoria di Giorgio Luraschi (Atti dell’incontro di studio di Como 25-26 Maggio, 2012), a cura di S. Lazzarini, Cermenate, 2017, p. 131 ss.; E. Nicosia, ‘Moriuntur ut servi’? Un aspetto rilevante della condizione giuridica dei Latini Iuniani, in ‘Philia: scritti per Gennaro Franciosi, vol. III, a cura di F. M. D’Ippolito, Napoli, 2007,p.1829 ss.; L. Pellecchi, Loi Iunia Norbana sur l’affranchissement, in Lepor. Leges Populi Romani, dir. J.L. Ferrary-P. Moreau, Paris, 2007, § 1 ss. online (consultabile al sito http://www.cn-telma.fr/lepor/notice490/) date de mise à jour: 15/04/20; H. Mouritsen, Freedman in the Roman World, Leiden, 2011, p. 34 s. e p. 86 ss.;E. Koops, Masters and freedmen: Junian Latins and The Struggle for Citizenship, in Integration in Rome and in the Roman World, ed. S. De Benoist-G. De Kleijn, Leiden, Boston, 2014, p. 105 ss.; G. Camodeca, Tabulae Herculanenses. Edizione e commento, vol. I, Torino, 2017, p. 57 ss.; I. Ruggiero, Una breve nota sulla condizione dei liberti latini e dei loro discendenti in età tardoantica, in Koininia 41 (2017), p. 461 ss.; C. Masi Doria, La Latinitas Iuniana. Aspetti patrimoniali, in Gerión. Revista de Historia Antigua 36.2 (2018), p. 555 ss.; M. A. Ligios, Note sul regime successorio dei dediticii Aeliani in Gai. 3.74-76, in Jusonline, 1.1 (2018), p. 298 ss. consultabile al link https://jusvitaepensiero.mediabiblos.it/news/allegati/Fascicolo-I---2018-283-308%20Ligios.pdf., con qualche riflessione sui rapporti cronologici tra la legge Elia Senzia e Iunia; E. Bisio, Il ius liberorum: tra procreazione e concessione imperiale. Una prima ricognizione delle fonti, in RDR, 20 (2020), p. 153 ss. e p. 154 nt. 118 (versione online https://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano-20-Bisio-IusLiberorum.pdf); Id., Il ius Quiritium concesso ai Latini Iuniani e la liberazione di Flavio Giuseppe: brevi spunti di riflessione, in RDR, 21 (2021), p. 1 ss. (versione online https://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano-21-Bisio-Ius-quiritium.pdf). 

[2] Sull’origine dell’istituto e i rapporti con le altre forme di affrancamento v. D. Daube, Two early patterns of manumission, in JRS, 36 (1946), p. 72 ss.; F. De Visscher, De l'acquisition du droit de cité romaine par l'affranchissement, in SDHI, 12 (1946), p. 69 ss.; R. Danieli, In margine a un recente studio sulla ‘manumissio censu’, in SDHI, 15 (1949), pp. 201-202; Id., Contributi alla storia delle manomissioni romane, vol. I. Origine ed efficacia delle forme civili di manomissione, Milano, 1953, p. 5 ss.; G. Piéri, L’histoire du cens a Rome de ses origines à la fin de la République, Paris, 1968, p. 34 ss.; O. Robleda, Il diritto degli schiavi nell’antica Roma, Roma, 1976, p. 115 nt. 498; C. Masi Doria, Civitas operae obsequium: tre studi sulla condizione giuridica dei liberti, Napoli, 1993, p. 1 ss.; P. López Barja De Quiroga, Historia de la Manumisión en Roma. De los origenes a los Severos, Madrid, 2007, p. 97 ss.; A. Tarwacka, Prawne aspekty urzędu cenzora w starożytnym Rzymie [Aspetti giuridici della magistratura censoria nell’antica Roma], Warszawa, 2012, p. 196 ss.

[3] Cfr. A. Tarwacka, Prawne aspekty, cit., pp. 195-196.

[4] Per il fragmentum Dositheanum de manumissionibus seguo il testo edito in G. Flammini, Hermeneumata Pseudodositheana Leidensia, Monaco, Lipsia, 2004, pp. 95-96. Sull’opera, da ultimo, v. G. Falcone, Sul cd. Fragmentum Dositheanum, in Specula Iuris 1.1 (2021), p. 203 ss. e bibliografia ivi citata.

[5] M. Lemosse, L’affranchissement par le cens, in RD, 26 (1949), p. 165 ss. Secondo Luis Rodríguez Álvarez, il iussum domini non era necessario per manomettere una persona in causa mancipii (cfr. L. Rodríguez Álvarez, Las leyes limitadoras, cit., p. 96 s.).

[6] M. Lemosse, L’affranchissement, cit., p. 166.

[7] Ivi, p. 173.

[8] Testo edito in G. Flammini, Hermeneumata, cit., pp. 102-103.

[9] Per l’importanza della manumissio censu nel Frammento Dositeano v. T. Honoré, The ‘Fragmentum Dositheanum’, in RIDA, 12 (1965), pp. 310-311.

[10] M. Lemosse, L’affranchissement, cit., p. 182 ss.

[11] Ivi, p. 179. Cfr. con discussione critica R. Danieli, Contributi, cit., p. 52.

[12] R. Danieli, Contributi, cit., p. 55.

[13] Ivi, pp. 55-56.

[14] Ibidem.

[15] C. Cosentini, Studi sui liberti. Contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini, I, Catania, 1948, p. 15. Olis Robleda non prende posizione, O. Robleda, Il diritto, cit., p. 121.

[16] W. W. Buckland, The Roman Law of Slavery The Condition of the Slave in Private Law from Augustus to Justinian, 1908, Cambridge, p. 441.

[17] Il Frezza ritiene, sulla base della testimonianza ciceroniana, che l’iscrizione nel censo avesse solo carattere dichiarativo (P. Frezza, Note esegetiche di diritto pubblico romano. I. Pro cive se gerere (acquisto della cittadinanza e iscrizione al censo), in AA.VV., Studi in onore di P. De Francisci, vol. I, Milano, 1956, p. 206, ora in Scritti, vol. II, a cura di F. Amarelli-E. Germino, Roma, 2000, p. 212. Sull’espressione ‘pro cive’ nel passo ciceroniano v. V. Marotta, Una nota su D. 49.14.32 (Marcian. 14 inst.) e sulla condizione giuridica degli obsides, in AUPA, 61 (2018), pp. 229-231. Il testo presenta affinità terminologiche con la Tabula Clesiana (CIL V 5050 ll. 34-35), che attesta la concessione da parte di Claudio della cittadinanza agli Anauni, Tuliasses e Sinduni. Costoro avevano usurpato la condizione di municipes, agendo come cives Romani. L’imperatore attribuì loro la civitas Romana “riconoscendo […] con effetto retroattivo, la validità di tutti gli atti giuridici che essi avessero compiuto tamquam cives Romani” (sul punto e per la citazione V. Marotta, Una nota, cit., p. 222 s.).

[18] A. Tarwacka, Appunti su requisiti, percorso ed effetti della manumissio censu, in Diritto@Storia 13 (2015), consultabile al link https://www.dirittoestoria.it/13/tradizione-romana/Tarwacka-Requisiti-percorso-effetti-manumissio-censu.htm.

[19] Cfr. Ibidem.

[20] E. Lo Cascio, Il census a Roma e la sua evoluzione dall’età ‘serviana’ alla prima età imperiale, in MEFRA, 113.2 (2001), p. 568 nt. 13; Id., Le professiones della Tabula Heracleensis e le procedure del census in età cesariana, in Athenaeum, 78 (1990), p. 315 s. Lo studioso colloca la riforma in età cesariana. Anche Claude Nicolet la data all’epoca di Cesare, sia pur con qualche perplessità (cfr. C. Nicolet,L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell’Impero Romano, Roma, Bari, 1989, p. 128; cfr., in tal senso, anche P. López Barja De Quiroga, Historia, cit., p. 33; P.A. Brunt, Italian Manpower: 225 B.C.-A.D. 14, Oxford, 1971, p. 529). Invece, Simone Sisani propende per una datazione anteriore (cfr. S. Sisani, Censimenti romani e demografia: ritorno alle fonti, in Quaderni Lupiensi 9 (2019), p. 119). 

[21] Cfr. S. Sisani, Censimenti romani, cit., p. 87. Sulla Tabula di Eraclea si considerino, oltre agli studi richiamati nella nota precedente, T.P. Wiseman, The Census in the First Century B.C., in JRS, 59.1 (1969), p. 67 ss.; C. Nicolet, La Table d’Héraclée et les origines du cadastre romain, in L’Urbs: espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.-C. - IIIe siècle ap. J.-C.). Actes du colloque international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l'École francaise de Rome (8-12 mai 1985), Rome, 1987, pp. 1-25.

[22] E. Lo Cascio, Il census, cit., p. 568 e p. 568 nt. 13 per ulteriori riferimenti bibliografici.

[23] Ivi, p. 592.

[24] P. López Barja De Quiroga, Historia, cit., p. 33.

[25] Testo edito in M. H. Crawford (ed.), Roman Statutes, I, London, 1996, pp. 355-391 (in particolare, p. 368 per le linee riportate).

[26] Tra il 230 e il 220 a.C. fu stabilito che i liberti potessero iscriversi solo nelle quattro tribù urbane. La situazione dei loro figli migliorò grazie ad un plebiscito del 189 a.C. (cfr. C. Masi Doria, Civitas, cit., pp. 29-31). Un provvedimento anteriore al 169 concesse ai liberti, a certe condizioni, di entrare nelle tribù rustiche. Ma nel 169 si giunse ad una politica più restrittiva (cfr. Ead., Civitas, cit., pp. 32-35). Dopo il Bellum Sociale un plebiscito, accolto in maniera controversa, promosso da Publio Sulpicio Rufo, consentì ai liberti di accedere a tutte le trentacinque tribù (cfr. Ead., Civitas, cit., pp. 37-39). La distribuzione degli affrancati nelle tribù divenne oggetto di strumentalizzazione da parte di Publio Manilio e Clodio (cfr. Ead., Civitas, cit., p. 39 ss.). 

[27] F. Santangelo, Sulla and the Senate: a reconsideration, in Cahiers du Centre Gustave Glotz, 17 (2006), p. 7 ss.

[28] Sui poteri censori di Augusto, v. F. De Martino, Storia della costituzione romana, 2a ed., Napoli, 1974, p. 196 ss.

[29] Cfr. S. Demougin, Le bureau palatin a censibus, in MEFRA, 113.2 (2001), p. 621 ss.

[30] Rinvio alla letteratura citata supra, nt. 1.

[31] Costoro ricoprirono la carica insieme, fino alle Calende di luglio del medesimo anno (cfr. A. Degrassi, I fasti consolari dell’Impero Romano: dal 30 avanti Cristo al 613 dopo Cristo, Roma, 1952, p. 6). Pertanto, i comizi approvarono la legge prima di tale data.

[32] Cfr. L. Pellecchi, Loi Aelia Sentia sur l’affranchissement, in corso di pubblicazione in Lepor. Leges Populi Romani, dir. J.L. Ferrary-P. Moreau, Paris, 2007, § 2.3.2 online.

[33] Cfr. M. De Dominicis, Sulla probatio causae (in tema di manomissione), in AUPE, 58 (1949), p. 125; E. Koops, Masters and freedmen, cit., p. 117; E. Bisio, La deroga al divieto di manomissione in frode ai creditori ex lege Aelia Sentia. Una breve nota su status libertorum e interpretatio giurisprudenziale, in Quaderni Lupiensi 11 (2021), p. 195. Per una diversa interpretazione dei rapporti tra la legge Elia Senzia e la lex Iunia v. J.M. Rainer, Latinitas Aeliana und Latinitas Iuniana, in AUPA, 64 (2021), p. 75 ss.

[34] Contra Marcella Balestri Fumagalli. La studiosa ritiene che la lex Iunia confermasse “in termini chiarissimi il nesso inscindibile che collega libertà e cittadinanza fornendo una prova […] di ciò che asserisce Cicerone in Pro Balbo 9.24 […] la regola non soffre alcuna eccezione in seguito al riconoscimento delle minus iustae manumissiones, che ribadiscono ed esaltano” il principio libertas civitas (M. Balestri Fumagalli, Libertas id est civitas (Cic., pro Balbo 9.24), in Labeo, 33 (1987), p. 74). 

[35] Cfr. E. Volterra, Manomissione e cittadinanza, in AA.VV., Studi in onore di Ugo Enrico Paoli, Firenze, 1956, p. 695 ss.; E. Levy, Libertas und Civitas, in ZSS, 78 (1961), p. 142 ss.;L. Rodríguez Álvarez, Las leyes limitadoras, cit., p. 68 ss. con riassunto delle varie opinioni presenti nella letteratura;A. Muroni, Civitas Romana: emersione di una categoria nel diritto e nella politica tra Regnum e Res publica, in Diritto@Storia 11 (2013), § 2.3 consultabile al link https://www.dirittoestoria.it/11/note&rassegne/Muroni-Civitas-Romana-categoria-tra-regnum-res-publica.htm.

[36] Testo edito in G. Flammini, Hermeneumata, cit., p. 96. 

[37] M. Balestri Fumagalli, ‘Libertas’, cit., p. 73; E. Nicosia, La manumissio per epistulam, in IURA, 47 (1996, pubbl. 2001), pp. 226-227.

[38] E. Volterra, Manomissione, cit., p. 703. Antonello Calore parla, più in generale, di ‘cittadinanze’ che gli individui – liberti e non solo – ottenevano, nell’ordinamento giuridico romano, a seconda della loro condizione (cfr. A. Calore, ‘Cittadinanze’ in Roma antica, vol. I. L’età regia, Torino, 2018, p. 1 ss.).

[39] Per un esame più approfondito della nozione di liberti in numero dediticiorum, si considerino le brevi osservazioni in E. Bisio, La deroga, cit., p. 196 e bibliografia ivi citata. V. anche M.A. Ligios, Note, cit., p. 282 nt. 2.

[40] Cfr. E. Bisio, La deroga, cit., p. 193 ss.

[41] Sulla procedura v. G. Camodeca, Tabulae Herculanenses, cit., p. 57 ss.

[42] Per una rassegna completa dei provvedimenti assunti nei confronti dei Latini Iuniani v. P. López Barja De Quiroga, Junian Latins, cit., p. 161 ss.

[43] Sull’istituto v. A. J. B. Sirks, The lex Iunia, cit., p. 282 ss.

[44] Sull’istituto, v. C. Terreni, Gaio e l’erroris causae probatio, in Labeo, 45 (1999), p. 333 ss.

[45] Carla Masi Doria scrive: «anche dopo le leggi fatte votare da Augusto, non si dubita generalmente dell’esistenza del nesso fra status libertatis e status civitatis per i manomessi iure civili nel rispetto delle disposizioni normative augustee» (C. Masi Doria, Civitas, cit., p. 4). Se non erro la studiosa utilizza l’espressione ‘status civitatis’ per indicare la civitas Romana in senso stretto.

[46] Seguo, anche in questo caso, il testo edito in G. Flammini, Hermeneumata, cit., p. 102.

[47] M. De Dominicis, Sulla probatio causae, cit., pp. 130-131. Cfr. anche L. Cantarelli, I Latini Iuniani, cit., p. 56 s.

[48] Per l’utilizzo dell’aggettivo nella testimonianza svetoniana cfr. M. Balestri Fumagalli, Le riforme augustee in materia di manomissioni secondo la testimonianza di Svetonio, in Atti del III Seminario romanistico gardesano. Promosso dall'Istituto Milanese di Diritto Romano e Storia dei Diritti Antichi, 22-25 ottobre 1985, Milano, 1988, p. 374 s.

[49] Ma la giurisprudenza ammise che il proprietario non ancora ventenne potesse compiere anche una manumissio inter amicos (cfr. Gai. 1.41) o fedecommissaria (D. 40.1.20.1 Pap. 10 resp.; D. 40.5.4.18 Ulp. 60 ad ed.; C. 6.21.4.2).

[50] Per una rassegna completa delle posizioni assunte nei secoli dalla letteratura si considerino L. Cantarelli, I Latini Iuniani, cit., p. 51; E. Hölder, Zur Frage vom gegenseitigen Verhältnisse der lex Aelia Sentia und Iunia Norbana, in ZSS, 19 (1885), p. 214 ss.; A. J. B. Sirks, The lex Iunia, cit., p. 242, nt. 59; W. W. Buckland, The Roman Law of Slavery, cit., p. 543, nt. 6; C. Venturini, Latini facti, peregrini e civitas. Note sulla normativa adrianea, in BIDR, 37-38, (1995-1996), p. 229, nt. 30; M. Avenarius, Der pseudo-ulpianische liber singularis regularum: Entstehung, Eigenart und Überlieferung einer hochklassischen Juristenschrift,Analyse, Neuedition und deutsche Übersetzung, Göttingen, 2005, p. 183; P. López Barja de Quiroga, Junian Latins, cit., p. 151.

[51] M. Avenarius, Der pseudo-ulpianische liber singularis regularum, cit., p. 183.

[52] Così come lascia perplesso Avenarius (cfr. ivi, p. 184); cfr. anche M. De Dominicis, La Latinitas Iuniana, cit., p. 190; L. Cantarelli, I Latini Iuniani, cit., p. 49. 

[53] Ipotesi per cui propendono Steinwenter e Vangerow (K. A. Vangerow, Über die Latini Iuniani, cit., p. 24 ss.; A. Steinwenter, s.v. Latini Iuniani, cit., c. 917). 

[54] M. Balestri Fumagalli, Lex Iunia, cit., pp. 185-186.

[55] C. Venturini, Latini facti, cit., p. 232.

[56] Cfr. Ibidem.

[57] Ibidem.

[58] F.A. Schilling, Animadversionum criticarum ad Ulpiani Fragmenta, vol. I, Lipsiae, 1830, p. 43 ss.; K. Lachmann, Kritischer Beitrag zu Ulpians Fragmenten, in ZRG, 9 (1838), p. 184.

[59] Per una diversa interpretazione v. A. Mateo, La pervivencia clásica del censo de los ciudadanos romanos, in Persona y derecho 75 (2016), p. 73 nt. 35.

[60] Altrimenti il testo proporrebbe un’alternativa tra il manumissus sine consilio e l’affrancato tramite censimento.

[61] Cfr. C. Venturini, Latini facti, cit., p. 232.

[62] Cfr. L. Cantarelli, I Latini Iuniani, cit., p. 50.

[63] Cfr. M. Balestri Fumagalli, Lex Iunia, cit., p. 185 e p. 185 nt. 15.

[64] Secondo Antonio Mateo il termine ‘olim’ in Tit. Ulp. 1.8 si riferisce, non alla manomissione censoria, ma alle parole ‘lustralis censu’ (cfr. A. Mateo, La pervivencia clásica, cit., p. 68 ss.).

[65] Cfr. U. Coli, s.v. Census, in Novissimo Digesto italiano, vol. III, Torino, 1959, ora in Id., Scritti di diritto romano, vol. II, Milano, 1973, p. 959.

[66] Suprain questo stesso §.

[67] 28 a.C.; 8 a. C.; 14 d.C.

[68] 47 d.C. 

[69] Per i censimenti nella prima età imperiale si consideri S. Sisani, Censimenti romani, cit., p. 85 nt. 5 con riferimenti bibliografici.

[70] Cfr. P. Giacomini, Anagrafe dei cittadini ravennati, in Storia di Ravenna, vol. I, L’evo antico,a cura di G. Susini, Venezia, 1990, p. 137. Per lo stile di Flegonte v. A. Stramaglia, Sul ΠEPI ΘAYMAΣIΩN di Flegonte di Tralle: problemi di tradizione, lingua ed esegesi, in Studi Classici e Orientali, 45 (1997), pp. 191-234.

[71] Sul papiro v. I. Alibrandi, Sopra alcuni frammenti del libro IX de’ Responsi di Papiniano con note di Paolo e Ulpiano recentemente scoperti, in SDHI, 4 (1883), p. 125 ss., ora in Opere giuridiche e storiche, vol. I, Roma, 1896, p. 455 ss.; v. anche M. Lemosse, L’affranchissement, cit., p. 181.

[72] U. Coli, s.v. Census, cit., p. 959; Il Duff ritiene che la giurisprudenza la presentasse come attuale ignorando la sua scomparsa, attestata in Tit. Ulp. 1.8 (cfr. A.M. Duff, Freedmen in the Early Roman Empire, Cambridge, 1958, pp. 24-25).

[73] Supra, § 1 e § 3 con bibliografia.

[74] Cfr. V. Marotta, De censibus libri VI. Introduzione. Fiscalità e governo dell’ecumene, in Ulpianus. Institutiones/De censibus, a cura diJ.L. Ferrary - V. Marotta - A. Schiavone, Roma, 2021, p. 129 ss. La recente monografia ha esaminato in dettaglio la struttura e il contenuto dell’opera e il rapporto tra censo e imposte.

[75] La giurisprudenza ammise che il dominus non ventenne potesse compiere anche una manumissio inter amicos (cfr. Gai. 1.41) o fedecommissaria (D. 40.1.20.1 Pap. 10 resp.; D. 40.5.4.18 Ulp. 60 ad ed.; C. 6.21.4.2).

[76] Cfr. le osservazioni di G. Piéri, L’histoire du cens, cit., p. 41.

[77] Cfr. U. Coli, s.v. Census, cit., p. 959.

Bisio Emanuele



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