Le professioni legali nel mercato unico europeo tra libertà di circolazione e concorrenza
Matteo Manfredi
Dottore di ricerca per il Sistema Agroalimentare
Le professioni legali nel mercato unico europeo tra libertà di circolazione e concorrenza
Sommario: 1. Libertà di stabilimento e professioni legali. - 2. La prestazione di servizi legali nel diritto dell’Unione europea. - 3. Professioni legali e concorrenza: il problema delle tariffe. - 4. La pubblicità delle professioni legali nel mercato interno. - 5. Considerazioni conclusive.
1. Libertà di stabilimento e professioni legali
Il presente contributo mira a evidenziare come l’armonizzazione della disciplina delle professioni legali, ed in particolare di quella forense e notarile, all’interno del mercato unico europeo si sia evoluta attraverso una duplice linea di sviluppo: da un lato, mediante strumenti di diritto derivato volti a dare attuazione al diritto dei professionisti di circolare liberamente nel territorio dell’Unione europea; dall’altro, attraverso il tentativo di inserire anche i prestatori di servizi legali nelle logiche di mercato, mediante l’applicazione delle regole di concorrenza.
Nell’inquadrare i problemi di diritto dell’UE che pone l’evoluzione delle professioni legali, occorre fare una breve premessa: nei Trattati dell’Unione europea non sono presenti norme dedicate esclusivamente ai professionisti intellettuali, i quali vengono semplicemente assimilati ai lavoratori autonomi. Agli avvocati e ai notai risultano quindi applicabili le norme che disciplinano la libertà di circolazione dei lavoratori non dipendenti nelle due forme della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi[1].
Con il diversificarsi delle modalità di esercizio della libera prestazione di servizi e del diritto di stabilimento, la linea di discrimine tra le due libertà garantite dal Trattato è divenuta sempre più complessa, tanto che la Corte di giustizia è intervenuta più volte per cercare di delinearne i tratti specifici[2].
Le professioni legali sono, senza dubbio, alcune tra le professioni che più hanno tardato a ricevere una compiuta disciplina del diritto di stabilimento, a causa soprattutto delle profonde divergenze esistenti all’interno degli ordinamenti dei singoli Stati membri in tema di formazione accademica, di accesso alla professione e di esercizio delle attività legali. Diversamente, anche per le minori implicazioni nei sistemi giuridici dei singoli Stati membri, la prestazione di servizi legali è da tempo oggetto di direttive sulle quali si è formata ormai una costante giurisprudenza della Corte[3].
L’approccio tradizionale seguito dalle istituzioni europee nei provvedimenti relativi alla libera circolazione dei professionisti, si fondava sull’armonizzazione dei percorsi formativi o sul riconoscimento dei diplomi professionali al fine di consentire all’interessato di operare nello Stato ospite[4].
Un punto di svolta si è avuto con la direttiva 98/5/CE del 16 febbraio 1998, con cui il legislatore dell’Unione ha inteso facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui ha conseguito il titolo. Con tale atto è stato introdotto il principio del mutuo riconoscimento del titolo professionale che abilita alla professione di avvocato, consentendo, a condizioni determinate, che il professionista forense possa esercitare stabilmente la propria attività sulla base del proprio titolo d’origine. Egli può, infatti, offrire consulenza legale sul diritto dello Stato membro di origine, sul diritto dell’UE, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante[5]. Inoltre, per quanto attiene alla rappresentanza e difesa in giudizio, lo Stato ospitante può imporre all’avvocato di un altro Stato membro di agire di concerto con un professionista che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita[6].
Al fine di dare completa attuazione al principio della libertà di stabilimento degli avvocati, la Corte di giustizia è intervenuta affermando che gli Stati membri non possono prevedere requisiti ulteriori per l’accesso alla professione, quali un colloquio finalizzato alla conoscenza della lingua italiana[7], o la presentazione periodica del certificato di iscrizione presso la competente autorità dello Stato d’origine[8].
Agli avvocati è riservata una disciplina più favorevole, ad oggi non estendibile ad altre professioni intellettuali, la quale prevede che è sufficiente l’abilitazione nello Stato d’origine o di provenienza e il trasferimento della residenza da uno Stato all’altro per poter beneficiare della libertà di stabilimento. Come si evince anche dai considerando della direttiva, tali peculiarità sono da ricondursi al carattere strumentale dell’attività dell’avvocato rispetto all’esercizio dei diritti tutelati dal diritto dell’UE[9].
Ad oggi quindi il sistema della direttiva 98/5/CE risulta applicabile alla sola professione forense, mentre non vi è alcun riferimento diretto alla professione notarile. Solo l’articolo 5.2 prevede che qualora il Paese ospitante riservi a particolari categorie di avvocati o ad altre figure professionali, come i notai, la redazione di atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, gli avvocati stabiliti possono essere esclusi da tali attività[10].
Analizzando i diversi atti di diritto derivato con cui il legislatore dell’Unione intende dare attuazione alla libertà di stabilimento, non si rinviene alcuna norma tesa a facilitare l’esercizio della professione notarile all’interno del mercato unico europeo.
Secondo alcuni autori[11], la mancata armonizzazione delle normative nazionali in tema di libertà di stabilimento dei notai può essere ricondotta al fatto che in molti Stati membri l’attività di tali professionisti persegue un obiettivo di interesse generale, ossia garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati in un determinato ordinamento giuridico. Inoltre, il ruolo dei prestatori di servizi legali nelle transazioni immobiliari all’interno dell’Unione europea è strettamente connesso al sistema di registrazione e trascrizione previsto in ciascuno Stato membro.
La Corte di giustizia ha affrontato il tema della libertà di stabilimento dei notai nel mercato interno solo con riferimento a specifici aspetti. In particolare, ha precisato che non trovano applicazione per l’attività notarile, come per quella forense, le esclusioni consentite dall’articolo 51 TFUE per le attività che partecipano, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri[12]. Più specificamente, siffatta deroga non si applica alle professioni considerate nel loro complesso, ma a quelle attività che costituiscono una partecipazione diretta specifica all'esercizio dei pubblici poteri. In una pronuncia del 2008, ad esempio, i Giudici di Lussemburgo hanno evidenziato che i notai non partecipano all’esercizio di pubblici poteri non solo nell’attività di autenticazione degli atti giuridici, ma anche nelle attività di diritto immobiliare e di diritto successorio[13].
2. La prestazione di servizi legali nel diritto dell’Unione europea
Nel diritto dell’Unione europea la nozione di prestazione intellettuale viene sostituita dal concetto di servizio professionale, inteso come prestazione di rilievo economico che non rientra nella nozione di merce o di capitale[14].
Gli atti di diritto derivato inerenti alla materia hanno costantemente confermato la qualificazione delle prestazioni intellettuali come servizi professionali: ne è un esempio la direttiva 2005/36/CE, in cui le professioni intellettuali sono appunto definite come attività praticate da “coloro che forniscono servizi intellettuali e di concetto nell’interesse dei clienti e del pubblico”[15].
Anzitutto, la libera prestazione dei servizi legali ha trovato una propria disciplina legislativa nelle disposizioni introdotte dalla direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati[16].
La direttiva ricomprende nel proprio ambito la prestazione di attività sia giudiziali sia stragiudiziali. In particolare, nelle prime gli avvocati che esercitano in un Paese diverso da quello di origine devono comunicare l’assunzione dell’incarico all’autorità adita ed al presidente dell’Ordine degli Avvocati competente per territorio, e devono comunque svolgere le prestazioni di concerto con un avvocato iscritto all’albo ed abilitato all’esercizio della professione dinanzi all’autorità adita. Nelle prestazioni stragiudiziali, invece, è soltanto richiesta l’osservanza della normativa vigente per il corretto esercizio dell’attività professionale[17].
Seppur in assenza di un’indicazione precisa del limite temporale che la prestazione professionale deve avere, la direttiva del 1977 ribadisce la necessità che la prestazione stessa sia occasionale[18]. Essa, inoltre, attribuisce ai Paesi membri la facoltà di riservare ad altre figure professionali, come i notai, le attività che riguardano la compilazione di atti autentici che abilitano l’amministrazione dei beni di persone defunte o che riguardano la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari. Sul punto è intervenuta recentemente la sentenza del 9 marzo 2017, causa C-342/15, Piringer, la quale ha riconosciuto la compatibilità con le regole del mercato interno della riserva, prevista dall’ordinamento austriaco, dell’attività di autenticazione della firma nelle trascrizioni immobiliare ai notai, ad esclusione di altri professionisti[19].
Nell’ambito del complesso quadro della libera prestazione dei servizi legali, va considerata un’ulteriore fonte di diritto derivato: la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (“direttiva servizi”), il cui obiettivo è eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l’informazione dei consumatori, in modo da consentire agli stessi la più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori[20].
La “direttiva servizi” incide significativamente sulle professioni legali nella parte in cui impone agli Stati membri l’abolizione di divieti o l’incoraggiamento di pratiche. Il riferimento è alle norme riguardanti l’obbligo di soppressione, per le professioni regolamentate, del divieto totale di comunicazioni commerciali, salve le regole professionali riguardanti indipendenza, dignità, integrità e segreto professionale se giustificate da motivi imperativi di interesse generale e purché proporzionate[21]. Dovrà inoltre essere soppresso il divieto di offerte di servizi multidisciplinari, salve le restrizioni necessarie ad assicurare imparzialità e indipendenza del professionista[22].
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la legge 124/2017, entrata in vigore il 29 agosto 2017, ha recepito definitivamente l’articolo 25 della “direttiva servizi” stabilendo che l’avvocato può far parte di più associazioni tra avvocati e associazioni multidisciplinari, costituite con altri professionisti. Al riguardo, la legge italiana precisa che, anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria, la prestazione professionale rimane comunque personale. La responsabilità della società e dei soci, infatti, non esclude quella del professionista che ha eseguito la prestazione. Inoltre, i soci professionisti che eseguono la prestazione devono assicurare indipendenza e imparzialità e dichiarare possibili conflitti di interessi o incompatibilità[23].
A tutela dei consumatori la “direttiva servizi” impone che siano rese disponibili, in modo chiaro e prima che il servizio sia prestato, il prezzo del servizio o le modalità di calcolo dello stesso o un preventivo sufficientemente dettagliato, informazioni sulle regole professionali, sui codici di condotta cui il professionista è assoggettato, sull’esistenza di organismi di conciliazione per la risoluzione delle controversie, sulle attività multidisciplinari svolte e sulle misure assunte per evitare conflitti di interesse[24].
Gli Stati possono poi prevedere l’obbligo di assicurazione per le attività che possano comportare un rischio finanziario per il destinatario[25] e l’elaborazione da parte degli ordini professionali di codici di condotta al livello di Unione europea finalizzati in particolare a promuovere la qualità dei servizi. Gli ordini professionali sono dunque chiamati alla sfida della collaborazione internazionale per la promozione della qualità dei servizi, in particolare facilitando il riconoscimento della qualità dei prestatori[26].
Le rilevanti novità introdotte dalla direttiva incidono direttamente sui prestatori di servizi legali, ma incontrano un limite: non si applicano alle attività connesse all’esercizio di pubblici poteri, ai servizi forniti dai notai[27] e anche a quegli atti per i quali la legge richiedere l’intervento di un notaio[28].
Tale esclusione non sembra tenere in considerazione una distinzione, fatta già propria dalla Corte di giustizia, che permetta concretamente di individuare quelle singole attività che sono caratterizzate dalla partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, con conseguente esclusione totale di un settore o di una professione dalla normativa dell’Unione in materia di servizi. Infatti, l’attività andrebbe esclusa, secondo la giurisprudenza della Corte, se il coinvolgimento nell’esercizio del pubblico potere sia del tutto prevalente, mentre un’attività preparatoria o collaterale all’esercizio di una funzione pubblica, come le attività di consulenza del notaio, dovrebbero rientrare pienamente nel campo di applicazione del diritto dell’Unione europea[29].
Appare quindi evidente come anche nell’ambito della libera prestazione dei servizi vi sia una diversità di trattamento tra servizi forensi e servizi notarili. Se è pur vera la circostanza che i servizi notarili perseguono obiettivi di interesse generale, miranti in particolare a garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, la direttiva, non distinguendo fra attività che presentano o non caratteristiche proprie della funzione pubblica, pare preservare certe attività professionali più che facilitare la libera prestazione dei servizi. In merito a questo punto, parte della dottrina ha evidenziato come le esclusioni appaiano ingiustificate, dal momento che anche i settori estromessi devono comunque conformarsi agli obblighi generalmente imposti dai Trattati[30].
Un ultimo punto che merita di essere chiarito concerne il fatto che la qualificazione delle professioni intellettuali in termini di servizi professionali, oltre a consentire l’applicazione della disciplina dell’UE in tema di libertà di circolazione, ha una rilevante conseguenza: la definizione dell’attività professionale intellettuale come attività d’impresa.
Nell’ambito del diritto dell’Unione europea, in assenza di un’espressa definizione normativa, la definizione di impresa si individua sulla base di un criterio economicistico. È infatti impresa qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue attività di finanziamento[31].
Sulla base di tali premesse si deduce che, poiché i professionisti intellettuali offrono servizi sul mercato e sopportano il rischio di eventuali perdite, essi devono essere considerati, ai fini del diritto dell’Unione europea, come imprese[32]. È evidente, quindi, che il diritto dell’Unione recepisce una nozione di impresa più ampia rispetto a quella prevista dall’ordinamento italiano, non definita sulla base di elementi strutturali quali il requisito dell’organizzazione e della professionalità. Si spiega così perché la Corte di giustizia e il legislatore dell’UE abbiano incluso nella nozione di impresa anche l’attività del professionista, prescindendo dal carattere intellettuale, tecnico o specializzante della stessa e dal fatto che essa è spesso fornita su base personale e diretta.
- Professioni legali e concorrenza: il problema delle tariffe
Il diritto dell’Unione europea identifica il professionista legale come un’impresa esercente un’attività economica, che se svolta, quindi, nel mercato unico europeo deve rispettare il principio della concorrenza tra imprese.
La Corte di giustizia è intervenuta in numerose occasioni sulla questione della concorrenza nelle professioni legali ed in particolare sulla fissazione di tariffe minime inderogabili da parte dei consigli dell’ordine degli avvocati e dallo Stato per quanto attiene la professione notarile[33].
Come noto, il diritto della concorrenza dell’Unione europea contempla una serie di divieti il cui contenuto sostanziale è rimasto immutato sin dall’origine dei Trattati, in particolare gli articoli da 101 a 108 del TFUE. Nella fattispecie qui in esame rileva l’articolo 101 TFUE che proibisce alle imprese di costituire intese atte a falsare la concorrenza, comprendendo tra queste le decisioni di associazioni di imprese. Nella misura in cui gli avvocati e i notai sono imprese è pacifico annoverare le decisioni dei relativi ordini professionali, in particolare quelle aventi ad oggetto limiti tariffari, tra le intese potenzialmente vietate dal disposto dell’art. 101 TFUE[34].
Nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia ha affermato, infatti, che la tariffa contrasta con le regole della concorrenza, perché adottata dall’associazione di imprese che persegue interessi esclusivamente privati[35].
Tuttavia, una volta che siano abrogate le tariffe obbligatorie, il problema si sposta sulla verifica della compatibilità delle tariffe che acquistano significato di mero orientamento. In un caso del 2002, per esempio, la Corte di giustizia ha affermato che “il fatto che uno Stato membro prescriva ad un’organizzazione di categoria l’elaborazione di un progetto di tariffa non priva automaticamente la tariffa redatta del suo carattere di normativa statale”[36]. In altri termini, la Corte ha ritenuto che occorre appurare, caso per caso, se lo Stato rinuncia ad esercitare il suo potere di decisione o a controllare l’applicazione della tariffa[37].
Posta in questi termini, la distinzione tra tariffa legittima, perché determinata dallo Stato, e tariffa illegittima, perché proveniente dalla categoria professionale, vi sono dei casi in cui l’individuazione esatta risulta di particolare difficoltà. Il caso più evidente è quello della tariffa professionale forense in Italia, la cui elaborazione segue un procedimento complesso nel quale sono coinvolti il Consiglio nazionale forense, il Ministero della giustizia, nonché – con funzioni consultive obbligatorie - il Comitato Interministeriale dei Prezzi e il Consiglio di Stato[38].
La Corte di giustizia, in un caso in cui si trattava di valutare la compatibilità di siffatta tariffa con l’ordinamento dell’UE, nonostante la constatazione della natura privatistica del Consiglio nazionale forense, ha stabilito che l’intervento degli organi statali sopra citati consentisse di ritenere che si trattasse di una normativa statale, e pertanto di una tariffa legittima[39].
Secondo i Giudici di Lussemburgo, quindi, il sistema tariffario inderogabile per gli avvocati, nei suoi minimi e nei suoi massimi, non essendo imputabile al Consiglio Nazionale Forense, quale associazione di imprese, non può essere giudicato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 101 TFUE[40].
Da ultimo, a conferma di quanto sopra affermato, la Corte di giustizia è intervenuta con una sentenza del dicembre 2016 ritenendo compatibile con l'articolo 101 TFUE una normativa spagnola che assoggetta gli onorari dei procuratori legali a una tariffa che può essere aumentata o diminuita solamente di una certa percentuale e della quale i giudici nazionali si limitano a verificare la rigorosa applicazione[41]. La Corte, ancora una volta, sembra non considerare che un meccanismo imposto di determinazione delle tariffe risulta potenzialmente idoneo a pregiudicare la competitività del mercato dei servizi legali e a incidere in maniera negativa soprattutto sulla libera prestazione dei servizi nel mercato italiano da parte degli avvocati di altri Stati membri[42].
Con riferimento alla professione notarile, la stessa giurisprudenza evidenzia che, nonostante gli onorari dei notai siano fissati dalla legge[43], resta la possibilità per il cliente di scegliere il singolo professionista a seconda della qualità del servizio prestato. Implicitamente la Corte conferma in tal modo che la fissazione delle tariffe non esclude che questa attività si svolga in regime di concorrenza.
Avvocati e notai, quindi, seppure non partecipino dei pubblici poteri e siano, in qualità di imprese, soggetti alle norme della concorrenza, nondimeno possono veder regolamentati taluni aspetti della loro professione[44].
Vi è da aggiungere, come sostengono alcuni autori[45], che ancora numerosi Stati membri mantengono la pratica di fissare le tariffe sull’assunto che esse sono necessarie per evitare al consumatore prezzi eccessivi e assicurare altresì a queste professioni quel prestigio e quell’indipendenza che sarebbero altrimenti sacrificati dalla scarsa qualità delle prestazioni. Sul punto la Commissione, proprio rispetto al notariato latino[46], riconosce che esso è attualmente caratterizzato da una elevata regolamentazione di molti aspetti della professione e che, in siffatto contesto, la regolamentazione anche delle tariffe può risultare necessaria per proteggere i consumatori[47].
Da questa breve analisi si può dedurre che la particolarità del sistema di formazione delle tariffe professionali, nonché la rilevanza sociale della professione forense e notarile, hanno indotto la Corte di giustizia a non opporsi completamente alla previsione di tariffe imposte, ma ad adottare un approccio collaborativo con le giurisdizioni e le autorità degli Stati membri.
4. La pubblicità delle professioni legali nel mercato interno
Tra le norme generalmente previste nei codici deontologici, particolare rilevanza assume quella relativa al divieto o alla limitazione della possibilità per i professionisti di farsi pubblicità.
La questione deve essere, anzitutto, analizzata alla luce del precetto deontologico che sancisce il divieto per il professionista di pubblicizzare la propria attività al fine di ottenere incarichi e commesse. Si deve, infatti, osservare che i vincoli all’utilizzo di strumenti pubblicitari derivano quasi esclusivamente da forme di autoregolamentazione contenuta nei codici deontologici[48].
Il divieto o limitazione di pubblicità trova la sua ratio nell’idea che gli atti di pubblicità espongono il professionista al discredito sociale, perché equiparano l’attività professionale a quella commerciale e, in tal modo implicano che la prestazione professionale sia considerata alla stregua di una merce o di un prodotto. La pubblicità commerciale, infatti, è ritenuta un mezzo che altera la rappresentazione della effettiva qualità della prestazione ed è, pertanto, giudicata incompatibile con la tutela del decoro e della dignità della professione, poiché incide sul rapporto fiduciario tra professionista e cliente. In tal senso, il divieto o la limitazione è funzionale e strettamente legato al requisito della personalità della prestazione che caratterizza il rapporto cliente-professionista, anche se le conseguenze della violazione di tale rapporto si riflettono su tutto il corpo professionale[49].
La compatibilità delle norme deontologiche in materia di pubblicità comparativa è stata oggetto di una decisione del 1999[50]. La Commissione ha assunto posizione nel caso riguardante il codice di condotta dell’Istituto dei Mandatari abilitati (I.M.A.), un ordine professionale che raggruppa, a livello dell’UE, tutti i mandatari abilitati presso l’ufficio europeo dei brevetti di Monaco, in relazione all’applicazione dell’articolo 101 TFUE.
Tale decisione è stata oggetto di annullamento parziale da parte del Tribunale[51], il quale ha affermato che la qualificazione delle regole imposte dall’ordine nazionale ai propri iscritti, quali le regole di deontologia professionale, non rappresenta un valido motivo per escludere a priori l’applicazione ad esse del diritto dell’UE della concorrenza, ed in particolare dell’articolo 101 TFUE. Secondo i Giudici di Lussemburgo, l’esclusione può avvenire solo caso per caso, dopo aver valutato la validità di una norma deontologica rispetto al Trattato, in particolare tenendo conto del “suo impatto sulla libertà di azione dei membri della professione e sull’organizzazione di questa, nonché sugli utenti dei servizi in questione”[52].
Pertanto, la pubblicità può rappresentare un fattore determinante per il mercato, in quanto, se effettuata in modo leale e con modalità adeguate, consente al consumatore di scegliere consapevolmente il professionista a cui rivolgersi[53].
Un effetto dirimente in tema di pubblicità delle professioni è da imputarsi alla già citata direttiva 2006/123/CE, il cui articolo 24 prevede espressamente che gli Stati membri sopprimano tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate e dispone altresì che essi vigilino affinché siano garantite l’indipendenza, la dignità e l’integrità delle professioni, nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione[54].
La Corte di giustizia è intervenuta sull’interpretazione dell’articolo 24 della direttiva, sottolineando la contrarietà alla “direttiva servizi” di una norma che vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata di effettuare atti di promozione commerciale dei propri servizi diretta e ad personam (c.d. atti di démerchage), poiché tale divieto integra una restrizione alla libera prestazione di servizi transfrontalieri[55]. Gli Stati membri sono legittimati a fissare eventuali limiti al contenuto o alle modalità delle comunicazioni commerciali, purché tali limitazioni siano giustificate e proporzionate all’obiettivo di garantire l’indipendenza, la dignità, l’integrità della professione, nonché il segreto professionale[56].
Per quanto attiene la situazione italiana, diverse critiche sono state sollevate in merito all’attribuzione in capo agli ordini professionali del potere di verifica sulla trasparenza e veridicità della pubblicità. L’Autorità Antitrust, per esempio, ha rilevato che il controllo da parte degli ordini sulla correttezza dei messaggi pubblicitari diffusi dei professionisti non trova alcuna giustificazione razionale nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, che prevede il controllo della pubblicità da parte dell’Autorità ai sensi del D. Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo), ed inoltre determina il rischio che esso possa essere utilizzato dagli stessi Ordini per limitare l’utilizzo della fondamentale leva concorrenziale della pubblicità da parte dei professionisti[57].
Al fine di dare piena attuazione alla normativa sulla concorrenza, secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana è opportuno che non vi sia alcuna verifica, né ex ante né ex post, da parte degli Ordini sui messaggi pubblicitari veicolati dai professionisti, posto che l’AGCM è competente ad esercitare il controllo sulla correttezza, veridicità e non ingannevolezza dei messaggi pubblicitari diffusi da qualsiasi soggetto nell’ambito dello svolgimento della sua attività economica, e quindi anche dai soggetti che svolgono attività libere professionali e intellettuali[58]. Come, però, è stato affermato nei paragrafi precedenti, è vero che i professionisti legali sono da assimilare alle imprese, ma è altrettanto vero che il controllo sulla pubblicità di una società che commercia prodotti non può essere il medesimo di quello richiesto per la pubblicità di uno studio legale o notarile. Proprio per questo gli ordini e, più in generale le associazioni tra professionisti legali, non possono essere privati completamente della funzione di verificare il decoro e la correttezza dei loro iscritti, ma è necessario che essi interpretino le norme deontologiche in una logica concorrenziale e transnazionale.
5. Considerazioni conclusive
L’analisi svolta ha mirato a delineare l’evoluzione della disciplina della professione forense e della professione notarile nel mercato unico europeo.
Come dimostrato, il diritto di circolazione tra gli Stati membri è oggi divenuto per l’avvocato una concreta realtà: grazie alle pronunce della Corte di giustizia e agli atti di diritto derivato delle Istituzioni, al professionista forense sono riconosciute le due libertà fondamentali di stabilimento e di prestazione di servizi, nonché la possibilità di giovarsi del sistema del mutuo riconoscimento delle qualifiche.
Per i notai, invece, sussistono ancora numerose limitazioni, come da ultimo evidenziato dalla Corte nel caso Piringer. I Giudici di Lussemburgo riconoscono le peculiarità della figura notarile rispetto alla professione forense, mostrando essenzialmente come queste rimangano due attività non equiparabili, sebbene entrambe forniscano servizi giuridici[59]. Il rigido sistema di accesso alla professione notarile, gli oneri previsti in tema di assistenza alla sede, di vincolo territoriale, di obbligo di assistenza ai clienti, conducono la stessa Corte di giustizia ad attribuire a questa professione dei connotati distintivi che giustificano eventuali deroghe da parte degli Stati membri.
Ciononostante, la Corte nelle sue pronunce si è concentrata esclusivamente sulla funzione dell’attività notarile in casi specifici e in sistemi giuridici circoscritti. Non vi è alcun riferimento, invece, alle garanzie minime che i liberi prestatori di servizi legali devono offrire negli ordinamenti in cui operano nell’ambito del diritto successorio, delle trascrizioni e annotazioni immobiliari e del diritto societario. Pertanto, senza una definizione nel diritto derivato dell’Unione dei requisiti e dei sistemi di controllo dell’esercizio delle professioni legali nel mercato interno, non si potrà avere una piena e completa attuazione dell’articolo 56 TFUE.
Il punto più critico, però, è certamente rappresentato dalla concorrenza delle professioni legali nel mercato interno.
Gli Stati membri sono soliti giustificare i limiti alla libera concorrenza sulla base dell’interesse pubblico tutelato. Anzitutto l’esercizio delle attività professionali incide su beni e valori primari, alcuni dei quali di rango costituzionale, quali la certezza del diritto, la corretta amministrazione della giustizia, la tutela del diritto di proprietà[60].
In secondo luogo, tra gli aspetti che vengono tradizionalmente evocati per tracciare i tratti di peculiarità della prestazione intellettuale vi è il problema delle asimmetrie informative. Nel caso delle professioni liberali la questione assume contorni particolarmente significativi, essenzialmente in ragione della natura altamente tecnica dei servizi. Il consumatore, in sostanza, non risulta in condizione di giudicare adeguatamente la qualità dei servizi a lui offerti, quando li esamina prima della decisione di procedere o meno al conferimento dell’incarico al prestatore, ma solamente dopo averne fruito[61].
Proprio per questo il controllo dell’accesso alla professione, attraverso gli esami di Stato, viene ritenuto uno strumento idoneo ad assicurare un elevato livello iniziale di conoscenza e competenza tecnico-professionale del prestatore d’opera. Anche le regole di condotta, siano esse di fonte autoregolamentare o di emanazione statale usano trovare il proprio riconoscimento in tale peculiare caratteristica delle prestazioni[62].
Bisogna, però, considerare che nel diritto dell’Unione europea le regole sulle libertà fondamentali operano parallelamente alle regole sulla concorrenza. Alcuni autori temono che la disciplina della concorrenza possa prevalere sulla tutela delle libertà fondamentali andando così a stemperare le peculiarità delle professioni legali[63].
Appare chiaro che per individuare una soluzione alla questione, non si possa prescindere dall’assimilazione delle professioni intellettuali all’attività imprenditoriale, non solo sul piano della evidenza empirica, ma su quello dei principi giurisprudenziali e delle norme sopra esaminati. I professionisti sono dunque imprese, ma particolari, per le quali le esigenze del libero mercato devono essere contemperate con quelle della salvaguardia di elevati livelli morali ed etici.
In ragione dell’eterogeneità delle professioni liberali, della limitata armonizzazione della materia e delle specificità dei mercati nei quali i professionisti operano, non è possibile individuare una soluzione applicabile in generale. Occorre piuttosto valutare in ogni fattispecie se una certa restrizione di comportamento conduca ad una restrizione della concorrenza sul mercato interessato e se le norme di concorrenza possano essere interpretate in modo da tenere conto della necessità di salvaguardare elevati livelli di qualità dei servizi professionali.
*Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Per libera di stabilimento si intende l’esercizio stabile e continuo di un’attività autonoma in uno Stato membro che non sia quello di appartenenza (art. 49 TFUE). La libera prestazione di servizi, invece, consente l’esercizio di un’attività autonoma in maniera occasionale e temporanea in uno Stato membro diverso da quello di origine (art. 56 TFUE). Si veda B. Nascimbene, E. Bergamini, The Legal Profession in the European Unione, Alphen aan den Rijn 2009, pp. 1 e ss.
[2] Cfr. Corte di giustizia, 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard. Nel caso in esame, la Corte ha precisato che la circostanza che il prestatore sia dotato nello Stato ospitante di un’infrastruttura, quale un ufficio o uno studio, non comporta ipso iure l’applicabilità delle norme sul diritto di stabilimento. Per un approfondimento si rimanda a A. Arena, La libertà di stabilimento, in A. Arena, F. Bestagno, G. Rossolillo, Mercato unico e libertà di circolazione nell’Unione europea, Torino 2016, pp. 266-267.
[3] Per un approfondimento sul punto si rinvia a C. Barnard, The Substantive Law of the EU: the Four Freedoms, Oxford 2016, pp. 310 e ss.
[4] S. Bastianon, Avvocati, diritto comunitario e diritto nazionale, in Corriere giuridico, 2002, pp. 602-608.
[5] Articolo 5 della direttiva 98/5/CE.
[6] Per un approfondimento sulla direttiva “stabilimento” si vedano, ex multis, J. Salvemini, La direttiva sulla libertà di stabilimento degli avvocati, in Rivista di diritto pubblico comunitario, 1999, pp. 808 e ss.; F. Ferraro, L’avvocato comunitario. Contributo allo studio della libertà di circolazione e di concorrenza dei professionisti, Napoli 2005, pp. 62 e ss.
[7] Cfr. Corte di giustizia, 19 settembre 2006, C-506/04, Wilson.
[8] Corte di giustizia, 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi. Nel caso di specie, la Corte ha anche precisato che se un cittadino di uno Stato membro sceglie di conseguire il proprio titolo in un altro Stato membro al fine di beneficiare della normativa più favorevole vigente per poi esercitare nello Stato membro di cui è cittadino, questo costituisce uno dei casi in cui l’obiettivo della direttiva 98/5/CE è stato raggiunto e quindi non si ha abuso del diritto.
[9] B. Nascimbene, M. Condinanzi, A. Lang, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano 2014 pp. 12 e ss.
[10] Art. 5.2 della direttiva 98/5/CE: Gli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse da quella dell'avvocato, possono escludere da queste attività l'avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri.
[11] P. Zanelli, Professioni, notariato, Europa, Milano 2008, pp. 5 e ss.
[12] Cfr. Corte di giustizia, sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, quanto all’esercizio dell’attività di avvocato; Corte di giustizia, sentenza 24 maggio 2011, C-47/08, Commissione c. Belgio, quanto ai notai.
[13] Cfr. Corte di giustizia, sentenza del 22 dicembre 2008, C-161/07, Commissione c. Austria, punto 24. Per un approfondimento si veda G. Caggiano, La “filigrana del mercato” nello stauts di cittadino europeo, in E. Triggiani, Le nuove frontiere della cittadinanza europea, Bari 2011, pp. 220 e ss.
[14] Più precisamente, l’art. 57 del TFUE stabilisce espressamente che “sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: (...) d) attività delle libere professioni”.
[15] Punto 43 del considerando della direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
[16] Tale direttiva è stata invocata in numerosi ricorsi alla Corte di giustizia. Tra le più recenti pronunce si ricordala sentenza 18 maggio 2017, C-99/16, ove la Corte ha ritenuto il rifiuto di fornire un dispositivo di accesso alla rete privata virtuale degli avvocati, opposto dalle autorità competenti nei confronti di un avvocato debitamente iscritto ad un Ordine forense di un altro Stato membro – per il solo motivo che tale avvocato non risultasse iscritto presso un foro del primo Stato membro in cui intende esercitare la professione in qualità di libero prestatore di servizi - costituisce una restrizione non in linea con la direttiva europea 77/249/CEE.
[17] Si vedano, ex multis, Corte di giustizia, 10 luglio 1991, C-294/89, Commissione c. Francia, ove sono state dichiarate incompatibili con la direttiva le norme francesi che imponevano all’avvocato prestatore di servizi di agire in concerto con un professionista locale per l’esercizio dell’attività davanti autorità e organi no giurisdizionali. Oppure con la sentenza 11 dicembre 2003, C-289/02, AMOK, la Corte è intervenuta dichiarando incompatibile con l’ordinamento dell’UE la prassi giurisprudenziale tedesca che prevedeva, nel caso di concerto tra un avvocato prestatore di servizi e un professionista locale, la rimborsabilità delle sole spese legali del professionista forense straniero.
[18] Articolo 2 della direttiva 77/249/CEE. Per un approfondimento sulla direttiva si rimanda a B. Nascimbene, C. Sanna, Norme comunitarie, norme nazionali sull’esercizio della professione forense in Italia, in Rivista di diritto internazionale privato processuale, 2002, pp. 349 e ss.
[19] Nella sentenza del 9 marzo 2017, causa C-342/15, Piringer, i giudici dell’UE hanno preso in esame la compatibilità della normativa austriaca in materia di trascrizioni immobiliari con il diritto dell’UE, a partire dall’analisi di tutti i requisiti necessari per poter invocare una deroga all’articolo 56 TFUE. Si veda M. Manfredi, La libera circolazione dei servizi nell’Unione europea: note a margine del caso Piringer, in DPCE online, n. 3, 2017.
[20] Sulle principali novità della direttiva si rimanda a G. Berardis, La direttiva generale in materia di servizi, in F. Bestagno, L.G. Radicati di Brozolo (a cura di), Il mercato unico dei servizi, Milano 2007, pp. 27 e ss.
[21] Articolo 24 della direttiva 2006/123/CE. Come si analizzerà meglio nel paragrafo dedicato al rapporto tra professioni legali e concorrenza, la questione della pubblicità ha sollevato numerose resistenze da parte del Consiglio Nazionale Forense italiano. Solo nel gennaio del 2016 il CNF, a seguito delle sanzioni comminate dall’Antitrust, il CNF ha modificato l’articolo 35 del codice deontologico forense prevedendo al paragrafo 1 che: “L'avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale”.
[22] Articolo 25 della direttiva 2006/123/CE.
[23] Per un approfondimento sulle novità introdotte dalla legge si rimanda a un primo commento di M. Crisafi, L. Izzo, E. Trunfio, Il Codice deontologico forense, Vicalvi 2017, pp. 29 e ss.
[24] Articolo 22 della direttiva 2006/123/CE.
[25] Articolo 23 della direttiva 2006/123/CE.
[26] Articolo 26 della direttiva 2006/123/CE.
[27] Articolo 2 par. 2, lett. l, della direttiva 2006/123/CE.
[28] Articolo 17 della direttiva 2006/123/CE.
[29] Per un approfondimento vedi B. Nascimbene, Le eccezioni ai principi. Interessi generali e ordine pubblico, in F. Bestagno, L.G. Radicati di Brozolo (a cura di), Il mercato unico dei servizi, Milano 2007, pp. 60 e ss.
[30] Sul punto si rimanda a G. Berardis, La direttiva generale …, cit., p. 33. L’autore afferma che la direttiva “non crea la libera circolazione dei servizi, ma cerca solamente di facilitarla”.
[31] Cfr. C. Townley, The Concept of an ‘Undertaking’: The Boundaries of the Corporation – a discussion of agency, employees and subsidiaries, in G. Amato, C.D. Ehlermann, (a cura di), EC Competition Law: a critical assessment, Oxford 2007, pp.15 e ss.
[32] In giurisprudenza, ex multis, Corte di giustizia, 19 febbraio 2002, C-309/99, Wouters, punto 49.
[33] Per un approfondimento si rinvia a F. Ferraro, L’avvocato comunitario: contributo allo studio delle libertà di circolazione e di concorrenza dei professionisti, Napoli 2005, 87 e ss.
[34] S.M. Carbone, A. Taramasso, Libera prestazione di servizi, tariffe professionali e professione di avvocato, in Diritto del commercio internazionale, 2005, pp. 231 e ss.
[35] Cfr. Corte di giustizia, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia. Nel caso di specie, le tariffe degli spedizionieri doganali italiani sono state ritenute intese restrittive non compatibili con il diritto dell’UE della concorrenza perché adottate dallo stesso Consiglio nazionale degli spedizionieri.
[36] Corte di giustizia, 19 febbraio 2002, C-35/99, punto 36.
[37] Nel caso di specie, la Corte ravvisa che lo Stato italiano ha mantenuto il potere di intervenire sia nella fissazione della tariffa, sia di controllarne l’applicazione, atteso che ai giudici è possibile derogare ai limiti fissati da tariffa stessa. Ne emerge, pertanto, che le tariffe professionali possono anche essere obbligatorie, purché siano fissate da un organo dello Stato, in ragione del fatto che questo dovrebbe garantire il perseguimento dell’interesse generale. Per un approfondimento si rinvia a B. Nascimbene, S. Bastianon, Avvocati, diritto comunitario e diritto nazionale: recenti orientamenti della Corte di giustizia, in Corriere giuridico, 2002, pp. 602 e ss.
[38] Articolo 57 del R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578.
[39] Corte di giustizia, sentenza del 5 dicembre 2006, procedimenti riuniti C-94/04, C-202/04, Cipolla, punto 32. Ai fini della decisione è stato ritenuto determinante il fatto che il Consiglio nazionale forense redigesse soltanto un progetto di tariffa non vincolante e che il giudice, nella eventuale fase di liquidazione degli onorari, conservasse la facoltà di derogare al minimo con decisione motivata.
[40] E. Bergamini, La Corte di giustizia e le tariffe (massime) degli avvocati: ultime evoluzioni o ultimo round? in Diritto comunitario degli scambi internazionali, 2011, pp. 491 e ss.
[41] Corte di giustizia, 8 dicembre 2016, pronunce riunite C-532/15, C-538/15.
[42] Per un approfondimento sul punto si rinvia a I.E. Wendt, EU Competition Law and Liberal Professions: an Uneasy Relationship?, Leiden 2012, pp. 173 e ss.
[43] Corte di giustizia, 24 maggio 2011, C-47/08, Commissione c. Belgio, punto 117.
[44] F. Ferraro, L’applicazione del diritto dell’Unione alla professione notarile: il diritto di stabilimento dei notai alla luce della sentenza del 24 maggio 2011, Aspetti di interesse notarile, in Studio immigrazione, 2012.
[45] S.M. Carbone, Il notaio tra regole nazionali ed europee: diritto societario e professioni regolamentate alla prova delle libertà comunitarie, in Diritto dell’Unione europea, 2003, pp. 689 e ss.; V.C. Licini, Riflessioni sulla qualificazione della professione notarile alla luce delle norme comunitarie a tutela della concorrenza, in Notariato, 2010, pp. 62 e ss.
[46] Con notariato latino si fa riferimento all’esercizio della professione notarile nei sistemi giuridici c.d. “latini” o di civil law. In tali ordinamenti il notaio svolge una funzione pubblica strettamente connessa alla speciale efficacia probatoria ed esecutiva degli atti dallo stesso redatti. Cfr. A. Barone, P. Piccolo, I notai, in L. Nogler (a cura di), Le attività autonome, Torino 2006, p.279.
[47] Sul punto si veda A. Andreangeli, Editorial Comment: Between the Public Interest and the Free Market: Would the Liberalisation of the Legal profession Bring Benefit to the Client – And to the Market?, in European Business Law Review, 2008, p. 1051.
[48] A. Fusaro, Tendenze nel diritto privato in prospettiva comparatistica, Torino 2015, pp. 535 e ss.
[49] G. Colavitti., La pubblicità degli avvocati tra «diritto vivente» della giurisprudenza disciplinare e disciplina della concorrenza, in Rassegna Forense, 2004, 3-4, pp. 703 e ss., P. Cappelli, Guida alla conoscenza dell’ordinamento e della deontologia forensi, Milano 2005, pp. 71 e ss., nonché V. Meli, La pubblicità degli avvocati, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2005, pp. 41 e ss.
[50] Decisione 1999/267/CE della Commissione europea del 7 aprile 1999.
[51] Tribunale, 28 marzo 2001, T-144/99, Istituto dei mandatari abilitati presso l’Ufficio europeo dei brevetti c. Commissione. Ai fini della presente analisi, il Tribunale ha ritenuto in contrasto con l’articolo 101 TFUE, l’articolo 2 lettera b) del Codice di condotta dei mandatari abilitati, il quale integra un vero e proprio divieto di pubblicità comparativa.
[52] Tribunale, cit., punto 65.
[53] Tribunale, cit., punti 72-74.
[54] Articolo 24 della direttiva 2006/123/CE.
[55] Corte di giustizia, 5 aprile 2011, C-119/09, Société fiduciaire nationale d'expertise comptable.
[56] Corte di giustizia, C-119/09, cit. punto 30.
[57] Con la sentenza n. 1164/2016, il Consiglio di Stato di Stato italiano ha confermato la sanzione imposta dall’Antitrust al CNF, per aver dato vita ad un’intesa restrittiva della concorrenza e riconoscendola legittimità del sistema «Amica Card». Si tratta di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale, il cui scopo è quello di mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, un spazio on line nel quale l'avvocato può presentare la propria attività professionale proponendo uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi.
[58] F. Ghezzi-G. Olivieri, Diritto antitrust, Torino 2013, pp. 330 e ss.
[59] Corte di giustizia, Piringer, cit., punto 66.
[60] B. Nascimbene-E. Bergamini, cit., 235 ss.
[61] E. Bergamini, cit.,157 ss.
[62] Ibidem.
[63] Cfr., ex multis, M. Gnes, Le professioni intellettuali tra tutela nazionale e concorrenza, in Giornale di diritto amministrativo, 2002,pp. 611 e ss.; A. Berlinguer, La vexata questio delle tariffe professionali forensi, in Mercato concorrenza regole, 2011, pp. 65 e ss.
Manfredi Matteo
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