The ‘amor’ of the Roman Legal Sources

L’‘amor’ delle fonti giuridiche romane

30.12.2021

Elena Pezzato

Dottore di ricerca in Scienze giuridiche, Università di Bologna

 

L’‘amor’ delle fonti giuridiche romane*

 

English title: The ‘amor’ of the Roman Legal Sources

DOI: 10.26350/18277942_000061

 

Sommario: 1. Introduzione. 2. Le fonti del Digesto. 3. Le fonti del Codice teodosiano. 4. Le fonti delle Istituzioni di Giustiniano. 5. Le fonti delle Novelle giustinianee. 6. Conclusioni.

 

 

  1. Introduzione

 

Nelle fonti giuridiche romane, la parola ‘amor[1], opportunamente declinata, ricorre complessivamente 46 volte, di cui soltanto 5 nel Digesto, 11 nel Codex Theodosianus, ben 18 nelle Novelle post-teodosiane, una nelle Istituzioni, 9 nel Codice giustinianeo e 2 nelle Novelle giustinianee[2]. Questo sentimento può essere diversamente indirizzato: l’‘amor’, ad esempio, può riguardare un principio morale (la pudicitia, la castitas o la virginitas[3]), un oggetto inanimato (la propria vita, la patria o la res publica, la quies o la pax, l’otium o la socordia[4]), la fede, la religione o Dio[5], ma anche altre persone, come i propri figli o genitori[6].

L’‘amor’ tra un uomo e una donna, a ogni modo, è la ricorrenza principale e, in particolare, compare 10 volte: 4 nel Digesto, 2 nel Codice teodosiano – in costituzioni riportate anche nel Codex Iustinianus –, una sola volta nelle Istituzioni, così come nelle Novelle di Giustiniano nella versione dell’Authenticum[7]. Pare dunque di un qualche interesse soffermarsi su quest’ultima accezione ed esaminare i passi in cui si incontra il termine, per tentare di determinarne la valenza assunta ed evidenziare le eventuali oscillazioni di significato. Dato lo specifico e limitato campo di analisi, l’indagine si estenderà a considerare anche le ricorrenze del verbo ‘amo’ (debitamente coniugato) in relazione al rapporto tra un uomo e una donna[8], in modo da cogliere, più ampiamente e per quanto possibile, il significato attribuito dalle fonti giuridiche romane a questo sentimento.

 

  1. Le fonti del Digesto

 

Procedendo a una rassegna, la prima fonte del Digesto da prendere in considerazione è D. 1, 2, 2, 24, escerpito dal liber singularis enchiridii di Pomponio, in particolare dalla parte in cui si trattavano nomina et origo magistratuum[9]. Il frammento racconta del leggendario episodio che vede come protagonista la giovane Virginia, uccisa per mano del padre[10]:

D. 1, 2, 2, 24 (Pomp. l. s. enchirid.): Et cum placuisset leges quoque ferri, latum est ad populum, uti omnes magistratu se abdicarent, quo decemviri constituti anno uno cum magistratum prorogarent sibi et cum iniuriose tractarent neque vellent deinceps sufficere magistratibus, ut ipsi et factio sua perpetuo rem publicam occupatam retineret: nimia atque aspera dominatione eo rem perduxerant, ut exercitus a re publica secederet. initium fuisse secessionis dicitur Verginius quidam, qui cum animadvertisset Appium Claudium contra ius, quod ipse ex vetere iure in duodecim tabulas transtulerat, vindicias filiae suae a se abdixisse et secundum eum, qui in servitutem ab eo suppositus petierat, dixisse captumque amore virginis omne fas ac nefas miscuisse: indignatus, quod vetustissima iuris observantia in persona filiae suae defecisset (utpote cum Brutus, qui primus Romae consul fuit, vindicias secundum libertatem dixisset in persona Vindicis Vitelliorum servi, qui proditionis coniurationem indicio suo detexerat) et castitatem filiae vitae quoque eius praeferendam putaret, arrepto cultro de taberna lanionis filiam interfecit in hoc scilicet, ut morte virginis contumeliam stupri arceret, ac protinus recens a caede madenteque adhuc filiae cruore ad commilitones confugit. qui universi de Algido, ubi tunc belli gerendi causa legiones erant, relictis ducibus pristinis signa in Aventinum transtulerunt, omnisque plebs urbana mox eodem se contulit, populique consensu partim in carcere necati. ita rursus res publica suum statum recepit.

 

La vicenda, che segna anche la fine del secondo decemvirato, è nota. Appio Claudio, invaghitosi di Virginia, già promessa sposa al tribuno della plebe Lucio Icilio, tenta di sottrarla alla potestà paterna e di farla passare per schiava di un suo cliente al fine di farla propria[11]. Il padre Lucio Virginio, non potendo tollerare un simile oltraggio, decide allora di uccidere la figlia, evitandole così la ‘contumelia strupri[12]. Al drammatico evento fanno seguito la secessione plebea sul colle Aventino e, a seguire, la cacciata dei decemviri[13], contestualmente al ripristino dell’ordinamento repubblicano.        

Ai nostri fini preme sottolineare il passaggio “captumque amore virginis omne fas ac nefas miscuisse”. Il turpe desiderio di Appio Claudio, che lo porta a non distinguere ciò che è fas da ciò che è nefas[14], è definito ‘amor’. Il termine assume dunque in questo contesto un’accezione fortemente negativa, volta a significare un impulso irrazionale, amorale e irrispettoso, che induce il decemviro sino al disprezzo della “vetustissima iuris observantia”. È il sentimento di un’unione illegittima, di uno stuprum, identificabile – a voler adoperare un termine cui fa più volte riferimento Tito Livio nel suo racconto – con la libido[15]

Nel Digesto, il termine ricorre nuovamente in tre frammenti inseriti sotto il titolo D. 24, 1 de donationibus inter virum et uxorem, al centro del dibattito dottrinale relativo all’origine del divieto di donazione tra coniugi, che – nonostante la chiarezza delle fonti – alcuni non hanno mancato di ricondurre a una fonte legislativa[16]. Questi testi attribuisconounivocamente il divieto di donazione tra coniugi a una decisione dei maiores e ai mores e presentano, come tema comune, quello di esplicitare la ratio di questo divieto, ossia la tutela del singolo coniuge dal suo ‘amor’ nei confronti dell’altro[17].

Il primo passo cui volgere la nostra attenzione è stato escerpito dal XXIV libro ad Sabinum di Ulpiano:

 

D. 24, 1, 1 (Ulp. 24 ad Sab.): Moribus apud nos receptum est, ne inter virum et uxorem donationes valerent. hoc autem receptum est, ne mutuo amore invicem spoliarentur donationibus non temperantes, sed profusa erga se facilitate:

 

La proibizione di cui si sta parlando viene qui ricondotta a una decisione dei mores finalizzata ad arginare il ‘mutuus amor’, che non permette ai coniugi di ‘temperare’ le loro donazioni, profuse con sconsiderata facilità[18].

Sempre Ulpiano nella sua opera ad Sabinum – questa volta nel XXXII libro – riferisce di un’orazione pronunciata dall’imperatore Caracalla in tema di donazioni inter virum et uxorem:

 

D. 24, 1, 3 pr. (Ulp. 32 ad Sab.): Haec ratio et oratione imperatoris nostri Antonini Augusti electa est: nam ita ait: “Maiores nostri inter virum et uxorem donationes prohibuerunt, amorem honestum solis animis aestimantes, famae etiam coniunctorum consulentes, ne concordia pretio conciliari viderentur neve melior in paupertatem incideret, deterior ditior fieret”.

 

Si afferma nuovamente che sono stati i maiores a introdurre il divieto, al fine di evitare l’impoverimento di un coniuge a beneficio dell’altro. Caracalla sposta però il focus su un piano esterno a quello del rapporto tra i due coniugi e pone la proibizione in una prospettiva pubblicistica.Alla base del divieto rinviene, infatti, ancor prima della preservazione del patrimonio dei consorti, la tutela della loro reputazione sociale (“famae etiam coniunctorum consulentes”): non è opportuno che si pensi che l’equilibrio coniugale sia stato raggiunto con il danaro e che un coniuge appaia agli occhi di tutti povero e l’altro ricco. Soltanto quando riguarda i sentimenti (letteralmente, l’‘animus’), l’‘amor’ si dice assumere un carattere ‘honestus[19]. Nell’oratio dell’imperatore, sembra così porsi una distinzione tra un amore ‘onesto’, giusto, che riguarda la sfera intima, sentimentale ed emozionale, e un amore ‘disonesto’, da respingersi, che si dispiega sotto un profilo materialistico e utilitaristico. Al termine ‘amor’, quindi e in questo caso, viene attribuita un’accezione tendenzialmente neutra.

Una terminologia simile a quella vista in D. 24, 1, 1 ricorre anche in un frammento del XIV libro ad Sabinum di Pomponio:

D. 24, 1, 31, 7 (Pomp. 14 ad Sab.): Quod legaturus mihi aut hereditatis nomine relicturus es, potes rogatus a me uxori meae relinquere et non videtur ea esse donatio, quia nihil ex bonis meis deminuitur: in quo maxime maiores donanti succurrisse Proculus ait, ne amore alterius alter despoliaretur, non quasi malivolos, ne alter locupletior fieret. 

 

La prima parte del frammento tratta di una particolare ipotesi in cui non si può considerare concretizzata una donazione tra coniugi, ovvero quella in cui un marito ‘rogat’ di intestare un’eredità o un legato, a lui originariamente destinati, alla moglie. La motivazione sta nel fatto che, in tal caso, i beni dell’uomo non subiscono alcuna diminuzione, non essendosi ancora realizzato il trasferimento patrimoniale. Per mezzo dell’autorevole voce di Proculo, si afferma che proprio in tema di donazioni tra marito e moglie hanno portato soccorso i maiores, impendendo a un coniuge di privarsi delle proprie ricchezze a beneficio dell’altro, spinto dall’‘amor alterius’. Il pericolo che ci si propone di aggirare è dunque quello che uno dei due effettui delle donazioni sconsiderate nei confronti del consorte, spogliandosi dalle proprie ricchezze e impoverendosi a fronte dell’arricchimento dell’altro. L’‘amor’ non appare certo come un sentimento ostile o malvagio (“non quasi malivolos” parrebbe doversi correggere con “non quasi malivolo[20]), bensì come un impulso irrazionale che necessita di essere controllato e limitato dall’autorità legislativa.

Nelle fonti del Digesto, infine, un ulteriore riferimento all’‘amor’ tra un uomo e una donna – sotto forma del suo verbo corrispondente ‘amo’ – si legge in un altro passo ulpianeo, escerpito dal II dei libri ad legem Iuliam de adulteriis:

 

D. 48, 5, 14(13), 1 (Ulp. 2 de adult.): Plane sive iusta uxor fuit sive iniusta, accusationem instituere vir poterit: nam et Sextus Caecilius ait, haec lex ad omnia matrimonia pertinet, et illud Homericum adfert: nec enim soli, inquit, Atridae uxores suas amant. οὐ μόνοι φιλέουσ’ ἀλόχους μερόπων ἀνθρώπων Ἀτρεῖδαι.

 

Qui Ulpiano riconosce al marito la possibilità di “accusationem instituere” di adulterio nei confronti tanto della ‘iusta’quanto della ‘iniustauxor. Citando Sesto Cecilio Africano, infatti, afferma che la lex Iulia riguarda tutti i tipi di matrimonio e, con un’erudita citazione, riporta quindi un passo tratto dall’Iliade (9.340), tradotto in latino e seguito dall’originale in lingua greca: “οὐ μόνοι φιλέουσ’ ἀλόχους μερόπων ἀνθρώπων Ἀτρεῖδαι”, reso con “nec enim soli Atridae uxores suas amant”. Uno dei principali problemi esegetici del frammento consiste nell’identificare la ‘iniusta uxor’ e, invero, in letteratura si rinvengono opinioni divergenti. Probabilmente, anche alla luce della relativa interpretazione dei Basilici[21] (che stranamente non è stata sinora presa in considerazione), il riferimento deve essere letto con riguardo alla donna sposata in violazione di uno specifico divieto legislativo[22].

Ciò che qui maggiormente interessa, però, è il riferimento all’‘amor’ tra un uomo e la sua ‘uxor’ nella traduzione della dotta citazione omerica, su cui è opportuno soffermarsi con alcune brevi riflessioni[23]. Ci troviamo nel IX libro dell’Iliade: Achille, profondamente ferito dall’oltraggio subito da Agamennone, che gli aveva sottratto Briseide, è irremovibile nella sua decisione di deporre le armi. A Odisseo, che cerca di convincerlo a tornare in campo, egli risponde con queste parole:

 

… τί δὲ δεῖ πολεμιζέμεναι Τρώεσσιν

Ἀργείους; τί δὲ λαὸν ἀνήγαγεν ἐνθάδ᾽ἀγείρας

Ἀτρεΐδης; ἦ οὐχ Ἑλένης ἕνεκ᾽ ἠϋκόμοιο;

340.    ἦ μοῦνοι φιλέουσ᾽ ἀλόχους μερόπων ἀνθρώπων

Ἀτρεΐδαι; ἐπεὶ ὅς τις ἀνὴρ ἀγαθὸς καὶ ἐχέφρων

τὴν αὐτοῦ φιλέει καὶ κήδεται, ὡς καὶ ἐγὼ τὴν

ἐκ θυμοῦ φίλεον δουρικτητήν περ ἐοῦσαν[24].

 

L’eroe acheo ribadisce le proprie ragioni: il motivo stesso della guerra che si stava combattendo era il rispetto della φιλία di un uomo nei confronti della propria ‘ἄλοχος’ (lett. ‘compagna di letto’) e non erano certo i soli atridi Menelao e Agamennone a provare questo sentimento, comune invece a ogni uomo “ἀγαθὸς καὶ ἐχέφρων”. Il sentimento di φιλία richiamato si riferisce dunque tanto al legame tra il re di Sparta ed Elena, sua legittima sposa, quanto a quello tra Achille e Briseide, sua schiava (sullo stesso piano di quello tra Agamennone e Criseide). Nel precisare il proprio sentimento, tuttavia, Achille carica maggiormente di significato il verbo φιλέω (φιλῶ): il suo, invero, è un ‘ἐκ θυμοῦ φιλεῖν’, letteralmente ‘amare con il cuore, con l’animo’. La specificazione suggerisce, come già si è sottolineato, una sfera affettiva individuale, differente da (anche se non per forza in contrapposizione a) una dimensione istituzionalizzata e pubblica come quella di un’unione matrimoniale proiettata sul piano dei rapporti sociali[25]. In tale contesto, a ogni modo, φιλέω esplica certamente un’accezione positiva, pur suggerendo al contempo un’ampia gamma di possibili sfumature.  

Tornando al passo ulpianeo, è evidente come qui, invece, non si possa certo parlare del recepimento del concetto greco di φιλία coniugale. L’errato parallelismo tra una uxor iniusta e Briseide – schiava con cui poteva invece instaurarsi un concubinato o, rectius, un contubernium, ma non di certo un matrimonium (neppure iniustum)[26] – dimostra che Africano fosse probabilmente più preoccupato di ostentare la propria erudizione che interessato alla pertinenza e al reale significato delle sue dotte citazioni[27]. Stride, in particolar modo, l’affermazione che la possibilità di istaurare un giudizio di adulterio contro la propria moglie trova fondamento nel sentimento coniugale[28].

 

 

 

  1. Le fonti del Codice teodosiano

 

Proseguendo lo scandaglio delle fonti, C.Th. 9, 7, 3, una costituzione riportata senza alcuna rilevante modifica anche in C.I. 9, 9, 30(31)[29], tratta indirettamente dell’‘amor’ tra un uomo e una donna prendendo in primis in considerazione quello tra due uomini.  

 

C.Th. 9, 7, 3: Impp. Constantius et Constans AA. ad populum. Cum vir nubit in feminam, femina viros proiectura quid cupiat, ubi sexus perdidit locum, ubi scelus est id, quod non proficit scire, ubi venus mutatur in alteram formam, ubi amor quaeritur nec videtur, iubemus insurgere leges, armari iura gladio ultore, ut exquisitis poenis subdantur infames, qui sunt vel qui futuri sunt rei. Dat. prid. non. Dec. Med(iolano), p(ro)p(osita) Romae XVII kal. Ian. Constantio III et Constante II AA. conss.

 

La costituzione è da ritenersi emanata il 4 dicembre del 342 da parte dell’imperatore Costante a Milano, nonostante parte della dottrina più risalente (con qualche recente reviviscenza) abbia proposto di postdatarla al 354 o forse al 357, attribuendola quindi a Costanzo II[30]. La ricostruzione dell’anno della subscriptio qui accolta è già dell’Haloander ed è stata recepita da Mommsen e Krüger nelle rispettive edizioni critiche dei Codici, da Seeck, nonché dalla dottrina maggioritaria[31]. Un elemento a favore della datazione al 342, inoltre, è la possibilità di collocare con certezza in quello stesso anno e nella stessa Milano il primo incontro tra Costante e Atanasio vescovo di Alessandria[32], la cui influenza su questa legge è stata sostenuta da autorevole dottrina[33].Posto che Costante fu tanto ben disposto nei confronti del teologo da offrirgli un fondamentale sostegno politico nella lotta contro il fratello Costanzo II – arrivando a minacciare le armi, qualora Atanasio non fosse stato revocato dall’esilio –[34], in C.Th. 9, 7, 3, come si vedrà, pare riecheggiare in più punti l’insegnamento del vescovo di Alessandria.

La disposizione punisce l’omosessualità maschile passiva (“Cum vir nubit in feminam”)[35] con ‘exquisitae poenae[36] e, nella sua brevità, si connota per un’intensa carica retorica che ha portato la dottrina a ritenerla oscura in molteplici punti[37]. Più nel dettaglio, i destinatari della costituzione, come si evince da un confronto con la vicina C.Th. 9, 7, 6 (riportata in forma più estesa in Coll. 5, 3), sembrano essere coloro che abitualmente praticavano la prostituzione maschile, fenomeno che in quegli anni dovette conoscere particolare diffusione[38]. Seguendo un climax ascendente, si descrive in termini enfatici la situazione contro cui si comanda che ‘insorgano le leggi e il diritto si armi della spada vendicatrice’ (“insurgere leges, armari iura gladio ultore”)[39]. In presenza di unioni omosessuali passive maschili, si dice perdere di significato l’unione sessuale (“sexus perdidit locum”) e realizzarsi uno “scelus” di cui è meglio non avere conoscenza. Inoltre – ed è questo il passaggio che maggiormente interessa – si afferma che, in presenza di questo genere di rapporti, “venus mutatur in alteram formam” e “amor quaeritur nec videtur”. La comprensione e traduzione di questi termini, invero, è risultata particolarmente ostica alla dottrina, che per la maggior parte non ha mancato di tradurre – tra l’altro e in modo insoddisfacente – il termine ‘amor’ con ‘amore’ o ‘Amore’[40].

Come si andava dicendo, nella disposizione di Costante si è sospettata l’influenza dell’insegnamento di Atanasio. A tal proposito, tra tutte le opere del vescovo di Alessandria, particolare considerazione mi sembra meritare il breve trattato giovanile Λόγος κατὰ Ἐλλήνων (Contra Gentes), redatto poco prima di C.Th. 9, 7, 3 (probabilmente tra il 335 e il 336[41]), in cui il vescovo lancia spiccate invettive contro i pagani e, in più punti, parla dell’omosessualità. Proprio qui Atanasio, dal canto suo, sembra aver lanciato un diretto invito al legislatore a intervenire in materia: “Ἐκ μὲν γὰρ Διὸς τὴν παιδοφθορίαν καὶ τὴν μοιχείαν, ἐκ δὲ Ἀφροδίτης τὴν πορνείαν... ἃ οἱ νόμοι μὲν κολάζουσι, πᾶς δὲ σώφρων ἀνὴρ ἀποστρέφεται”(§ 26)[42].

Più nel dettaglio, sempre nel § 26 si legge: “Ἄνδρες δέ, τὴν φύσιν ἀρνούμενοι, καὶ μηκέτι εἶναι θέλοντες ἄρρενες, τὴν γυναικῶν πλάττονται φύσιν, ὡς ἐκ τούτων καταθύμια καὶ τιμὴν τῇ μητρὶ τῶν παρ’αὐτοῖς λεγομένων θεῶν ποιοῦντες”[43]. È interessante notare che l’intero passaggio iniziale del § 26 sembra riprendere da vicino la struttura dell’invettiva di Eusebio di Cesarea proprio in merito alla prostituzione maschile (praticata a Baalbek)[44]. Le divinità a cui fa riferimento Atanasio erano già state da lui richiamate nel precedente § 9, laddove aveva accusato i pagani di deificazione dei propri vizi: “Ἐπιτείνοντες δὲ τὴν ἀσέβειαν ἕτεροι, τὴν πρόφασιν τῆς τούτων εὑρέσεως καὶ τῆς ἑαυτῶν κακίας τὴν ἡδονὴν καὶ τὴν ἐπιθυμίαν θεοποιήσαντης προσκυνοῦσιν, οἷός ἐστιν ὁ παρ’ αὐτοῖς Ἔρως, καὶ ἡ ἐν Πάφῳ Ἀφροδίτη”[45]. La figura di Afrodite, in particolare, ricorre più volte nello scritto del vedovo di Alessandria[46] e non sembra quindi un caso ritrovarla nella costituzione di Costante menzionata in senso figurato, sotto forma della latina Venus, accanto a Amor, la divinità romana corrispondente a Eros.

Tornando a C.Th. 9, 7, 3 e ipotizzando – pur con la dovute cautele – la lettura da parte della cancelleria imperiale dell’opera di Atanasio, dunque, proprio come nel Contra gentes, ‘venus’ starebbe a significare, ‘ἡ ἐπιθυμία’ (il desiderio sessuale, la libidine) e a ‘amor’ ‘ἡ ἡδονή’ (il piacere). In sostanza, in questa legge le unioni omosessuali passive maschili verrebbero caratterizzate come situazioni in cui ‘il desiderio è trasformato in altra forma’ e ‘il piacere è cercato, ma non è trovato’. Tale ultima affermazione trova peraltro riscontro nella nota concezione della cultura greca, secondo cui il soggetto passivo, l’ἐρώμενος, non avrebbe tratto alcun piacere dal rapporto sessuale[47]. E il termine ‘amor’, pertanto, cosa che più preme sottolineare, risulterebbe così proiettato su un piano prettamente fisico e sessuale, come d’altronde l’intera restante descrizione dei rapporti omoerotici presente nella legge.

Il termine ‘amor’ ricorre nuovamente, nella legislazione di età tardoantica, in C.Th. 8, 17, 2, promulgata da Teodosio II il 4 settembre del 410 e diretta ad abrogare la lex decimaria[48]:

 

C.Th. 8, 17, 2: Impp. Honorius et Theodosius AA. Isidoro p(raefecto) u(rbi): In perpetuum hac lege decernimus inter virum et uxorem rationem cessare ex lege Papia decimarum et, quamvis non interveniant liberi, ex suis quoque eos solidum capere testamentis, nisi forte lex alia minuerit derelicta. Tantum igitur post haec maritus vel uxor sibi invicem derelinquant, quantum superstes amor exegerit. Dat. prid. non. Sept. Varane v.c. cons.

 

Attenuatasi la diffidenza del legislatore rispetto agli scambi patrimoniali tra coniugi, vengono superati i vincoli successori predisposti dalla legislazione augustea e a marito e moglie, quindi, viene riconosciuto il diritto di lasciarsi reciprocamente in eredità “quantum superstes amor exegerit”.

È evidente che, in questo caso, l’accezione del termine ‘amor’ sia marcatamente positiva: allude un sentimento tra marito e moglie assimilabile per certi versi all’affetto coniugale della nostra concezione romanticizzata di matrimonio, all’amore c.d. ‘romantico’. Un sentimento che tende a deteriorarsi nel tempo (l’‘amore’ è ‘superstes’), ma che porta l’uno a preoccuparsi delle necessità dell’altro, anche dopo il termine della sua esperienza terrena.

 

  1. Le fonti delle Istituzioni di Giustiniano

 

Prendendo ora in considerazione le fonti prettamente di età giustinianea, il termine ‘amor’ ricorre due volte, una nelle Istituzioni e una nelle Novelle nella versione dell’Authenticum (dove invero compare più volte il verbo ‘amo’). Più in particolare, in I. 3, 12, 1 si fa riferimento a una “mulier servili amore bacchata[49]:

 

I. 3, 12, 1: Erat et ex senatus consulto Claudiano miserabilis per universitatem adquisitio, cum libera mulier servili amore bacchata ipsam libertatem per senatus consultum amittebat et cum libertate substantiam: quod indignum nostris temporibus esse existimantes et a nostra civitate deleri et non inseri nostris digestis concessimus.

 

Il passo ricorda l’abrogazione del senatoconsulto Claudiano da parte della cancelleria imperiale giustinianea, realizzatasi con C.I. 7, 24, 1 pr., risalente al 17 novembre del 533 (quindi di poco precedente alla pubblicazione delle Istituzioni). Come noto, il senatusconsultum prevedeva la perdita della libertà e delle sostanze della donna che avesse intrattenuto una relazione sessuale con uno schiavo contro la volontà del suo dominus, a seguito di una triplice denuntiatio[50].

È rilevante notare come la donna che si trovi in una simile situazione venga definita “amore bacchata”, facendo ricorso a un verbo che, come facilmente intuibile, deriva dal nome del dio Bacco e rimanda subito a un contesto di confusione e possessione estatica[51]. Nelle fonti giuridiche romane, ‘bacchor’ compare soltanto un’altra volta, ossia in D. 21, 1, 1, 10 (Ulp. 1 ad ed. aedil. curul.), dove viene impiegato da Viviano per descrivere il vitium animi di chi, in prossimità di luoghi sacri (fana), come un demente, invasato, dà dei responsi[52]. È dunque evidente che, in questo ambito, ‘amor’ è da identificarsi come una spinta irrazionale, un impulso così inebriante da condurre una donna a privarsi del proprio stato di libertà e dei propri averi e, sotto questo profilo, si avvicini molto a quel turpe desiderio che si è visto aver colto Appio Claudio in D. 1, 2, 2, 24.

 

  1. Le fonti delle Novelle giustinianee

 

Volgendo l’attenzione al complesso mondo del diritto novellare, nell’Authenticum il verbo ‘amo’ – che convive con il greco ‘ἐράω’ della Collectio graeca – compare per ben quattro volte. Si tratta di leggi tutte promulgate tra il 535 e il 539, quindi dalla cancelleria imperiale guidata da Triboniano.

La prima fonte da prendere in considerazione è la Nov. 12, emanata il 16 maggio 535 e rubricata de incestis et nefariis nuptiis, di cui rileva il caput 1[53]:

 

Nov. 12, 1: (Imp. Iustinianus A. Floro comiti divinae rei privatae): Sancimus igitur, de cetero, si quis illicitas et contrarias naturae, quas lex incestas et nefandas et damnatas vocat, contraxerit nuptias, si quidem non habuerit filios ex prioribus legitimis et inculpabilibus sibi contractis nuptiis, mox ei suarum rerum casum imminere, simul autem et ea, quae nomine dotis data sunt ei, in nullo potiri, sed omnia aerario assignari, eo quod, dum licuerit nuptias facere legitimas, contra leges amaverit, et confuderit quidem sobolem, nocuerit autem et generi, egerit vero quae impia sunt et scelesta, et talia concupierit qualia plurima etiam irrationabilia amovent animalia: sitque ei poena non confiscatio solum, sed etiam cinguli privatio et exilium, et si vilis fuerit, etiam corporis verberatio, quatenus discat caste vivere et intra naturam se continere, non autem delectari et amare ultra terminum et traditis nobis a natura etiam his legibus repugnare. Muliere quoque, si legem sciens hanc quidem neglexerit, incestis autem semetipsam tradiderit nuptiis, sub eadem constituenda poena. (Dat. VI. idus Octobr. CP. Belisario v. c. cons. indictione XIV). [54]

La cancelleria imperiale punisce chi ha contratto delle nozze ‘incestae et nefandae et damnatae’[55]. Salvo abbia precedentemente avuto dei figli da un matrimonio legittimo, infatti, è prevista la confisca di tutti i suoi beni e di ciò che gli è stato eventualmente dato a titolo di dote (“mox ei suarum rerum...assignari”). La ragione di questa previsione si rinviene nella riprovevolezza del suo comportamento: avrebbe potuto concludere delle ‘legitimae nuptiae’, ma ha preferito ‘contra leges amare’, danneggiare la propria prole, rendersi responsabile di “impia” e “scelesta”, desiderare ciò che rifuggono persino gli animali (“concupierit qualia plurima etiam irrationabilia amovent animalia”). Alla pena della confisca si decide dunque di aggiungere anche quella della “cinguli privatio”, dell’“exilium”, nonché, se il reo era di condizione vile, anche la “corporis verberatio[56]. In tal modo, si spera di ricondurre il peccatore a una vita casta, che sappia “intra naturam se continere”, rifuggendo così dal “delectari et amare ultra terminum” e rinunciando a opporsi a quelle leggi che ci sono date dalla natura. Le disposizioni sono ritenute valide anche nei confronti della donna che si trovi in una condizione di ignorantia legis (“Muliere quoque...constituendapoena”)[57].

Nella costituzione si parla dunque di un ‘amor’ che travalica ciò che è consentito dalle leggi e dalla natura, che conduce chi ne è colpito a compiere nefandezze indegne di un essere umano, ma anche di un animale[58]. A differenza di quanto visto in altri fonti – si pensi ad Appio Claudio ‘captus amore virginis’ di D. 1, 2, 2, 24 o alla donna “amore bacchata” di I. 3, 12, 1 –, l’accento non è posto sull’‘amor’ e sulla sua forza prorompente, irrefrenabile. La prospettiva è sempre quella dell’uomo, che invero è capace di decidere come indirizzare il proprio sentimento (“licuerit nuptias facere legitimas”) e che ‘amat’ e ‘concupiscit’ deplorevolmente, ma pur sempre con consapevolezza[59]. Tanto è vero che il legislatore, a differenza di quanto si è visto nel caso delle donazioni tra coniugi e di quanto si vedrà in Nov. 74, ma anche nei confronti della donna vittima dell’‘amor’ per uno schiavo, non interviene con commiserazione e comprensione ad aiutare i propri sudditi, vittime innocenti di una forza indomabile, ma li punisce con durezza. Anche se qui, di certo, si pone l’accento sulla negatività dei suoi effetti, non si esclude che l’‘amor’ possa anche essere un sentimento positivo e con effetti meritevoli, come – vien da pensare – nel caso delle ‘legitimae nuptiae’. 

Che l’‘amor’possa interessare tanto un’unione illegittima quanto un rapporto legittimo viene prospettato in Nov. 18, 5 e Nov. 89, 12, 5, promulgate, rispettivamente, nel 536 e nel 539. Nov. 89, 12 nei suoi capita 4 e 5 riprende pressoché verbatim parte di Nov. 18, 5[60]:

 

Nov. 18, 5: (Imp. Iustinianus A. Iohanni pp.). [...]. Si autem confusa concupiscentia ita fiat, et alias superinducat priori concubinas et multitudinem habeat concubinarum fornicantium (sic enim dicere melius est) et ex eis filios faciens moriatur, multas simul relinquens concubinas: odibilis quidem nobis iste qui talis est, procul autem omnibus modis ab hac lege expellatur. Sicut enim si quis legitimae uxori coniunctus alias superinducere non poterit matrimonio consistente et ex eis legitime filios procreare, sic neque post cognitam, quemadmodum diximus, concubinam et ex illa filios dabimus, si et aliud opus libidinis egerit, etiam hoc ad successionem eius introduci, si mortuus fuerit intestatus. Nam si hoc non constituimus, erunt indiscretae mulieres, quam maius aut quam minus amaverit, indiscreti etiam filii: et nos non praebemus luxuriantibus, sed caste viventibus legem. Non autem distinguimus de filiis, sive masculi sive feminae sint. Sicut enim natura nihil circa haec arte ratiocinatur, ita nec nos alteram in masculis et alteram in feminis secundum hoc ponimus legem. [...]. (Dat. k. Mar. CP. post cons. Belisarii v. c.).[61]

Nov. 89, 12, 5: (Idem Aug. Iohanni pp. secundo). Si vero effusa concupiscentia ei fuerit et alias super alias introduxerit priori concubinas, et multitudinem habuerit mulierum fornicantium (sic enim dicere melius est), et ex eis filios habens moriatur multas simul deserens concubinas, odibilis quidem est iste talis, procul autem hac lege modis omnibus cum talibus filiis et concubinis excludatur. Sicut enim si quis legitimae copulatur uxori, alias superinducere non poterit matrimonio consistente et ex his legitimos procreare, ita neque post agnitam quo diximus modo concubinam et ex illa filios dabimus, si etiam aliquod opus libidinis aliud fecerit, etiam hoc ad successionem eius introduci, si mortuus fuerit intestatus. Nam si non hoc sanciverimus, indiscreta quidem erunt quae mulierum sunt,quam potius aut quam minus amaverit, indiscreta quidem quae filiorum: et nos non damus luxuriantibus, sed pudicis legem. Non autem differentiam facimus de filiis, sive masculi sive sint feminae. Sicut enim natura nihil circa talia tractat, sic neque nos aliam in masculis et aliam in feminis secundum hoc ponimus legem. (Dat. kal. Sept. CP. imp. dn. Iustiniani pp. Aug. anno XIII. Apione v. c. consule).[62]

Nel riconoscere alla concubina e ai suoi figli un limitato diritto di successione ab intestato – due once da spartirsi in parti uguali[63] – nei confronti del compagno e padre defunto, privo di discendenti e di moglie legittima, si sottolinea il carattere monogamico del concubinato. La legge, infatti, riconosce i diritti ereditari della sola concubina legittima (e dei figli avuti da lei), negando ogni pretesa successoria alle donne facenti parti di una ‘multitudoconcubinarum fornicantium’. Così come nel caso di un matrimonio, l’uomo non potrà avere più di una concubina[64]. Il legislatore afferma, infatti, di non voler includere nella successione intestata “aliud opus libidinis”: la disposizione non è per i ‘luxuriantes, sed caste viventes[65]. In tal modo, è possibile distinguere tra le donne (e i loro figli), e non doversi porre la questione “quam maius aut quam minus amaverit” (“τίνος μᾶλλον ἢ τίνος ἔλαττον ἐρᾷ”).

Nella Novella, dunque, l’‘amor’ indirizzato nei confronti di una donna che non sia né la moglie, né la concubina, riguarda le ‘concubinae fornicantes’ ed è guidato dalla ‘libido’ dei ‘luxuriantes’. Ciò non toglie che, come aveva affermato anche Caracalla secondo quanto riportato in D. 24, 1, 3 pr., possa esistere anche un ‘amor honestus’ che interessa le mogli o le concubine legittime.

L’ultima fonte che rimane da prendere in considerazione è Nov. 74, una costituzione emanata da Giustiniano il 4 giugno del 538 e avente a oggetto l’acquisizione dello status di figlio legittimo e volta a prescrivere un sistema di forme di celebrazione del matrimonio. In particolare, il passaggio che qui rileva è il principium del caput 4[66]:

 

Nov. 74, 4 pr.: (Idem Aug. Iohanni pp. secundo ex consule et patricio). Illud quoque melius arbitramur constituere competenter, quod ex plurimo causarum experimento cognovimus; multae quidem et continuae lites nuntiatae nostrae maiestati ad opus nos deduxerunt legis. Quia enim et antiquis promulgatum est legibus et a nobis ipsis sunt haec eadem constituta, ut nuptiae et extra dotalia documenta ex solo affectu valeant et ratae sint, sed falsatis contractibus nostra ex hoc est completa respublica (nam introeunt testes sine periculo mentientes, quia vir vocabat dominam cohaerentem et istum illa similiter nominabat, et sic eis finguntur matrimonia non pro veritate confecta), hoc aestimavimus oportere secundum naturales definire leges. Novimus etenim et castitatis sumus amatores et haec nostris sancimus subiectis: sed nihil est furore amoris vehementius, quem retinere philosophiae est perfectae, monentis et insilientem atque inhaerentem concupiscentiam refrenantis; ut hi qui hoc tali detinentur se abstinebunt sermone ad eas quas amant, quem eis non per blandimenta conferunt? denique in tantum etiam ante nos legislatores tales scierunt animorum affectus, ut etiam donationes constante matrimonio prohiberent, ut non concupiscentiae magnitudine victi laterent paulatim coniuges semet ipsos sua privare substantia. Haec ergo casta lege sancire bene se habere credidimus. (Dat. prid. non. Constantinopoli imp. dn.Iustiniani pp. Aug. anno XII. Iohanne v. c. cons).[67]

La cancelleria imperiale giustinianea afferma anzitutto di voler meglio disporre in merito a una questione per la quale si sono già presentate molteplici lites. Dal momento che, infatti, era stato espressamente previsto, tanto nelle più antiche leggi quando in alcune disposizioni dello stesso Giustiniano, che i matrimoni potessero essere validi “et extra dotalia documenta”, basandosi dunque sul ‘solus affectus’, si verificavano molteplici casi di matrimoni fittizi, resi possibili anche grazie alle false testimonianze di alcuni. Il legislatore, quindi, conformandosi alla legge naturale (“secundum naturales... leges”)[68], decide di intervenire e, in tale contesto, sviluppa alcune considerazioni – interessantissime ai nostri fini – circa il ‘furor amoris’, la ‘μανία ἐρωτική’. Il legislatore dice di essere amante della ‘castitas’ (un topos che si è già visto in Nov. 18, 5 e Nov. 89, 12, 5)[69], ma non può comunque far a meno di riconoscere la forza ‘vehemens’ della follia amorosa, quella concupiscenza scalpitante e recalcitrante (“insilientem atque inhaerentem”), che può essere arginata solo da una ‘philosophia perfecta[70]. L’uomo in suo potere non può sottrarsi da alcuna promessa e donazione nei confronti della sua amata – si osservi che la prospettiva è quella maschile e sono le donne a essere oggetto del ‘furor amoris’ (“ad eas quas amant” “τὰς ὧν ἐρῶσιν”; “eis” ossia “αὐταῖς”) –, tanto che già gli antichi avevano provveduto a vietare le donazioni tra coniugi, evitando così ai mariti il rischio di privarsi dei propri beni.

È evidente che la disposizione si caratterizzi come una vera e propria invettiva nei confronti dell’‘amor’ tra coniugi, cruccio del legislatore di ieri e di oggi, che è stato ed è chiamato a intervenire al fine di salvaguardare le ricchezze dei propri cittadini, incapaci di proteggere i loroaveri una volta preda della follia amorosa. Anche se,come accennato – e a differenza di quanto visto nelle fonti del Digesto relative al divieto di donazioni tra coniugi – come possibili vittime della ‘μανία ἐρωτική’ qui sono presentati soltanto gli uomini, il veloce richiamo alle antiche disposizioni in materia della suddetta proibizione pone l’operato dell’imperatore in diretta linea di continuità con quello dei maiores e dei prudentes[71].Il contesto di stesura della legge, in effetti, come messo in luce da un breve – ma illuminante – contributo di Giuliana Lanata, sembra esser stato quello di “un laboratorio filosofico pagano” vicino al neoplatonismo, benché non si possano del tutto escludere contaminazioni derivanti dall’etica cristiana[72].      

  1. Conclusioni

 

Da questa rassegna, emerge che le fonti di diritto romano assegnano al sentimento di ‘amor’ tra un uomo e una donna un’ampia varietà di significati, che si connotano in modo tendenzialmente negativo o, raramente, neutrale (così in D. 24, 1, 3 pr. e, anche se in misura minore, in Nov. 18, 5 e Nov. 89, 12, 5). L’‘amor’ è presentato come un sentimento turpe, irrazionale, che spesso si pone addirittura in contrasto con le leggi della natura e della società (vd. in ispecie D. 1, 2, 2, 24 e Nov. 12, 1). Il legislatore – tranne in un solo caso, quello di Nov. 12, 1 –, ha comprensione e pena dei propri sudditi e cerca di ricondurli sulla via più virtuosa, limitando il più possibile i danni che l’innamorato potrebbe arrecare alle proprie finanze (vd. D. 24, 1, 1, D. 24, 1, 31, 7 e Nov. 74, 4 pr.), ma anche all’intera società (vd. D. 24, 1, 3 pr.).

Anche nella legislazione novellare, benché con riguardo al rapporto tra moglie e marito emergano sotto più profili le tendenze neoplatoniche di Triboniano[73], non si è recepita – se non altro sotto un profilo terminologico – quella concezione sublimata dell’ἔρως tra coniugi, di cui, ad esempio, parla Plutarco nel suo Ἐρωτικός (Amatorius)[74]. Nelle Novelle, invero, a differenza che nei precedenti testi normativi, la forza indomabile dell’‘amor’ pare essere caratterizzata con minore intensità. L’uomo, benché preda del ‘furor amoris’, può salvarsi ricorrendo a una ‘perfecta philosophia’ (vd. Nov. 74, 4 pr.) e rimane colpevole e meritevole di essere punito qualora decida di “contra leges amare” (vd. Nov. 12, 1).

Il solo caso in cui l’‘amor’ viene connotato con un’accezione prettamente positiva è quello di C.Th. 8, 17, 2. Difficile è determinare quale sia l’origine dell’impiego di questo termine, un unicum tra le fonti di diritto romano. Benché parte della dottrina abbia ricondotto tout court la disposizione a influenze di stampo cristiano[75], nel valutare il contesto dell’abolizione teodosiana sembra opportuno prendere in considerazione anche la coeva situazione socio-economica. Le contestuali strategie familiari, infatti, finalizzate alla preservazione del patrimonio familiare e a evitare una sua dispersione, sembrano aver avuto ricadute di non poco conto sulla prassi dell’istituto dotale, da sempre di fondamentale importanza per il sostentamento della moglie superstite, al pari del testamento maritale[76]. Con una qualche probabilità, dunque, pare possibile inquadrare la disposizione all’interno di un più complesso riassetto legislativo di equilibri tra gli istituti finalizzati al sostentamento vedovile. E se ciò suggerirebbe – pur cautamente – di escludere una terminologia di origine prettamente cristiana, uno sguardo al (non) ricorrere del termine ‘amor’ nella prima letteratura patristica, tanto meno a proposito del rapporto coniugale, avvalorerebbe ulteriormente questa ipotesi[77].

Ciò detto, è vero anche che altre considerazioni sembrano contrastare quanto si è appena detto. Alcune indagini sul ricorrere della parola nella terminologia patristica registrano una ‘riabilitazione’ del termine in senso cristiano a partire dal IV secolo, in particolare nelle opere di S. Ambrogio, sotto l’influenza del Cantico dei Cantici e l’interpretazione di Origene, e, soprattutto, di S. Agostino[78]. Un frequente uso di ‘amor’, adoperato in un’accezione spirituale, si riscontra anche nelle opere di Prudenzio, il poeta cristiano che, chiamato alla corte da Teodosio I, svolse una brillante carriera nell’amministrazione imperiale[79]. Non è dunque neppure possibile escludere che la lettura degli scritti di Prudenzio, ben noto negli ambienti della cancelleria, o dei menzionati Padri della Chiesa possa aver in qualche modo influenzato la terminologia legislativa del prefetto del pretorio d’Oriente Flavio Antemio, che nel 410 – anno di promulgazione di C.Th. 8, 17, 2 – era reggente in nome del giovanissimo Teodosio II[80].

Quale che sia l’origine del termine, tra le fonti giuridiche romane inerenti al rapporto tra uomo e donna, tra amori irrazionali, indomabili e illegali, l’‘amor’ di Teodosio II è il solo a offrire speranza e fiducia. È l’amore che accudisce e assiste, che consente di superare i limiti temporali cui è relegato l’essere umano, che lega oltre la vita.

 

Abstract: The paper deals with the examination of the Roman legal sources containing the Latin term ‘amor’ (and its corresponding verb ‘amo’) in reference to the relationship between a man and a woman, in order to determine its meaning and to detect possible variations of meaning. In the light of the analysis carried out, it emerges that the sources of Roman law assign to ‘amor’ between a man and a woman a wide variety of meanings, all of which, however, tend to be negative or, rarely, neutral: ‘amor’ is presented as a foul, irrational sentiment, which often goes against the laws of nature and society. The only exception is represented by Theodosius II’s C.Th. 8, 17, 2 (a. 410) which, probably written in a Christian context, sublimates conjugal ‘amor’.

 

Key words: amor, love, Theodosian Code, Novels of Justinian.


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1]Sul generale significato del lemma nella lingua latina, in particolare nelle fonti letterarie, cfr. in ispecie e tra gli altri: s.v. Amor, in Lexicon totius latinitatis ab Aegidio Forcellini... curantibus F. Corradini et I. Perin...4, V, A-I, Patavii, 1965 (rist. anast. 1940, 1965), p. 105; s.v. Amor, in Thesaurus linguae latinae..., I, Lipsiae, 1900, pp. 1967-1973; H. Pétré, Caritas. Étude sur le vocabulaire latin de la charité chrétienne, Louvain, 1948, p. 30 ss.; E. Fischer, Amor und Eros. Eine Untersuchung des Wortfeldes „Liebe“ im Lateinischen und Griechischen, Hildesheim, 1973 e H. Fliedner, Amor und Cupido. Untersuchungen über den römischen Liebesgott, Meisenheim am Glan, 1974, p. 17 ss.

[2] Cfr. D. 1, 2, 2, 24 (Pomp. l. s. enchirid.); D. 24, 1, 1 (Ulp. 32 ad Sab.); D. 24, 1, 3 pr. (Pomp. 14 ad Sab.); D. 24, 1, 31, 7 (Ulp. 32 ad Sab.); D. 39, 6, 35, 2 (Paul. 6 ad leg. Iul. et Pap.); C.Th. 4, 4, 6 (a. 418); C.Th. 7, 13, 16 (a. 406); C.Th. 7, 13, 17 (a. 406); C.Th. 7, 20, 12, 2 (a. 400); C.Th. 8, 17, 2 (a. 410) (= C.I. 8, 57[58], 2); C.Th. 9, 7, 3 (a. 342) (= C.I. 9, 9, 30[31]); C.Th. 12, 1, 79 (a. 375); C.Th. 12, 1, 116 (a. 387); C.Th. 12, 1, 177 pr. (a. 413); C.Th. 12, 13, 4 (a. 379); C.Th. 15, 1, 4 (a. 326 ma 320, vd. O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit, Stuttgart, 1919 [rist. anast. Frankfurt am Main, 1964 e 1984], pp. 170 e 437); Nov. Theod. 3 pr. e 8 (a. 438); Nov. Theod. 18 pr. (a. 439); Nov. Theod. 19 pr. (a. 440); Nov. Theod. 22, 1 pr. (a. 442); Nov. Theod. 23, 2 (a. 443); Nov. Val. 7, 1, 4 (a. 440); Nov. Val. 22, 1 (a. 446); Nov. Val. 23, 9 (a. 447); Nov. Val. 25, 4 (a. 447); Nov. Val. 27 pr. (a. 449); Nov. Val. 33 (a. 451); Nov. Maior. 1 (a. 458); Nov. Maior. 6, 4, 5 e 10 (a. 458); Nov. Maior. 7, 6 (a. 458); Nov. Maior. 11 (a. 460); I. 3, 12, 1; C.I. 1, 1, 8 pr., 6 e 23 (a. 534); C.I. 1, 5, 19 pr. e 3(1) (a. 529); C.I. 12, 19, 12, 6; C.I. 12, 57(58), 5 pr. (a. 375); Nov. 74, 4 pr. (a. 538); Nov. 94, 1 (a. 539).

[3] Cfr. Nov. Theod. 18 pr. (“amore pudicitiae castitatisque”) e Nov. Maior. 6, 4 (“virginitatis amore”).

[4] Cfr. D. 39, 6, 35, 2 e Nov. Maior. 1 (‘amor’ per la vita); C.I. 12, 57(58), 5 pr., C.Th. 7, 13, 16, C.Th. 7, 13, 17 e C.Th. 12, 1, 79 (per la patria); Nov. Theod. 19 pr. (per la res publica); C.I. 12, 19, 12, 6 (per la quies); C.Th. 7, 13, 17 (per la pax); C.Th. 7, 20, 12, 2 (per l’otius e la socordia).

[5] Cfr. C.I. 1, 1, 8 pr. e 6, C.Th. 4, 4, 6 (per la fides); Nov. Theod. 3, 8, Nov. Val. 23, 9 e Nov. Maior. 6, 5 (per la religio); C.I. 1, 5, 19 pr. (per il deus omnipotens).

[6] Cfr. C.Th. 12, 1, 177 pr. e Nov. Maior. 7, 6 (‘genitalis amor’); Nov. Maior. 11 (“liberis amore”) e Nov. 94, 1 (“amor pius circa filios”).

[7] Cfr. D. 1, 2, 2, 24; D. 24, 1, 1; D. 24, 1, 3 pr.; D. 24, 1, 31, 7; C.Th. 9, 7, 3 (= C.I. 9, 9, 30[31]); C.Th. 8, 17, 2 (= C.I. 8, 57[58], 2); I. 3, 12, 1 e Nov. 74, 4 pr.

[8] Cfr. D. 48, 5, 14(13), 1 (Ulp. 2 de adult.); Nov. 12, 1 (a. 535); Nov. 18, 5 (a. 536), che viene ripresa pressoché verbatim in Nov. 89, 12, 5 (a. 539).

[9] Sull’opera di Pomponio, vd., tra gli altri, M. Bretone, Motivi ideologici dell’«enchiridion» di Pomponio, in Labeo 11 (1965), pp. 7-35 e Id., Linee dell’enchiridion di Pomponio, Bari, 1965 (rist. con l’aggiunta della traduzione dei testi in latino: Torino, 1974) nonché, recentemente, C. Iodice, Problemi e aspetti dell’Enchiridion di Sesto Pomponio. Materiali per un commento, Napoli, 2008. Più in generale, si consideri il quadro di D. Nörr, Pomponius oder Zum Geschichtsverständnis der römischen Juristen”, in ANRW, II.15, Principat. Recht (Methoden, Schulen, einzelne Juristen), ed. H. Temporini, Berlin-New-York, 1976, pp. 512-539 (anche nella versione tradotta e aggiornata Pomponio o “della intelligenza storica dei giuristi romani”, in RDR 2 [2002], pp. [15]181-[35]201), che offre una sintesi delle questioni più dibattute in dottrina. Al centro di un’accesa querelle la parziale riproposizione di D. 1, 2, 2, 22-24 nel de magistr. 1, 26 e 1, 34 di Giovanni Lido, che li attribuisce ai libri ad legem XII tabularum di Gaio: sul punto, vd., in ispecie e da ultimo, J. Caimi, Burocrazia e diritto nel De magistratibus di Giovanni Lido, Milano, 1984, pp. 160-174, con ampia ricognizione dottrinale.  

[10] Vastissima è la letteratura sul celebre accadimento. Senza alcuna pretesa di completezza, sulla figura di Virginia e sulla sua rappresentazione, si vedano, in particolare, H. Geldner, Lucretia und Verginia. Studien zur Virtus der Frau in der römischen und griechischen Literatur, Mainz, 1977, p. 185 ss.; B. Kowalewski, Frauengestalten im Geschichtswerk des T. Livius, München-Leipzig, 2002, in ispecie pp. 142-175; M.T. Fögen, Römische Rechtsgeschichten. Über Ursprung und Evolution eines sozialen Systems, Göttingen, 2002, pp. 61-124; S. Freund, Pudicitia saltem in tuto sit. Lucretia, Verginia und die Konstruktion eines Wertbegriffs bei Livius, in Hermes. Zeitschrift für klassische Philologie, 136.3 (2008), pp. 308-325.

[11] Il processo che ha visto coinvolta Virginia è descritto più nel dettaglio da Liv., ab Urb. con., 3, 44-48 e da Dion. 11, 28-37 ed è stato ampiamente discusso dalla dottrina più risalente (in particolare quella tedesca e francese), che ha assunto differenti e contrastanti posizioni interpretative: tra i contributi principali, quelli di V. Puntschart, Der Prozess der Verginia, Wien, 1860, passim (con la recensione di A. Ubbelohde, in Göttingische gelehrte Anzeigen [1863.2], pp. 1481-1500); R. Maschke, Der Freiheitsprozess im klassischen Altertum insbesondere der Prozess um Verginia, Berlin, 1888 (con la recensione di A. Ubbelohde, in Göttingische gelehrte Anzeigen [1888.1], pp. 356-387); D. Schmidt, Der Prozeß um die Freiheit der Virginia, in ZSS 14 (1848), pp. 71-94; R. Taubenschlag, Proces o Werginię. Studyum historyczno-prawne, in Rozprawy Akademii Umiejętności. Wydział Historyczno-Filozoficzny Serya II 35 (1917), pp. 118-136; C. Appleton, Trois épisodes de l’histoire ancienne de Rome: les Sabines, Lucrèce, Virginie, in RHDFE 3 (1924), pp. 592-670 (come estratto autonomo: Paris, 1924, p. 3 ss.); M. Nicolau, Causa liberalis. Étude historique et comparative du procès de liberté dans les législations anciennes, Paris, 1933, pp. 99 ss. e 179 ss.; P. Noailles, Fas et ius. Études de droit romain, Paris, 1948, pp. 188-221 e Id., Du Droit sacré au Droit civil. Cours de Droit Romain Approfondi 1941-1942, Paris, 1949, p. 177 ss.; J.C. van Oven, Le procès de Virginie d’après le récit de Tite Live, in TR 18 (1950) pp. 159-190; G. Franciosi, Il processo di Virginia, in Labeo 7 (1961), pp. 20-35 e Id., Il processo di libertà in diritto romano, Napoli, 1961, pp. 7 ss. e 200 ss.; S. Tondo, Aspetti simbolici e magici nella struttura giuridica della manumissio vindicta, Milano, 1967, p. 58 ss.; C.S. Tomulescu, Sur la maxime “Vindiciae secundum libertatem”, in Iura 22 (1971), pp. 141-153.

[12] Sul significato del termine ‘contumelia’ nei testi giuridici, vd. in ispecie A. Sicari, Leges venditionis. Uno studio sul pensiero giuridico di Papiniano, Bari, 1996, p. 194 ss. (e pp. 208-209 per il riferimento in D. 1, 2, 2, 24).

[13] Nel testo si afferma che “populique consensu partim in carcere necati”: probabilmente si tratta di una lacuna da ricostruirsi con “popolique consensu partim in carcere necati”: vd. R. Knütel, I problemi della traduzione giuridica, in Index 25 (1997), p. 7. In merito alla genuinità del passo, messa in dubbio esclusivamente dalla letteratura più risalente, vd. Index interpolationum quae in Iustiniani Digestis inesse dicuntur, I, a cura di E. Levy ed E. Rabel, Weimar, 1929, coll. 4-5.

[14] Circa il valore di questi termini, vd., per tutti, F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, Sassari, 1991, pp. 83-141 (p. 94 per il riferimento all’espressione di Pomponio), nonché Id., Bellum, fas, nefas: aspetti religiosi e giuridici della guerra (e della pace) in Roma antica, in Diritto@Storia 4 (2005), § 4.  

[15] Cfr. Liv., ab Urb. con., 3, 44; 45; 48; 50; 51; 57; 61.

[16] Secondo parte della dottrina, infatti, il divieto di cui si sta parlando sarebbe stato introdotto dalla legislazione augustea. Nel dibattito è recentemente intervenuto P. Buongiorno, Il divieto di donazione fra coniugi nell’esperienza giuridica romana, I, Origini e profili del dibattito giurisprudenziale fra tarda repubblica ed età antonina, Lecce, 2018, cui rinvio anche per una completa ricognizione bibliografica (p. 23 ss.). L’autore ha dimostrato come una completa analisi delle fonti induca a datare il divieto negli anni centrali della prima metà del II sec. a.C., nonché a escluderne una previsione nella legislazione di Augusto. Concorde anche M. Varvaro, nella recensione a Buongiorno apparsa in IAH 10 (2018), pp. 186-187.

[17] Si sofferma con particolare attenzione su questo fondamento del divieto K. Misera, Die Zeugnisse zum Grund des Schenkungsverbots unter Ehegatten, in Festschrift für Max Kaser zum 70. Geburtstag, München, 1976, pp. 409-413.

[18] Si osservi che, nel corrispondente passo dei basilici, Bas. 30, 1, 1 (ed. Heimbach, III, p. 499; ed. Scheltema-Van der Wal, A IV, p. 1506), al termine ‘amore’ viene fatto equivalere il greco ἔρως.

[19] In Sch. 1 ad Bas. 30, 1, 1 (ed. Heimbach, III, p. 499; ed. Scheltema-Holwerda, B V, p. 2155), ove parimenti si fa riferimento all’orazione caracalliana, si parla di “amore onesto e pudico” (“τὸν ἔτιμον καὶ σεμνὸν ἔρωτα”).

[20] Così già Mommsen, ad. h. l., seguito da Misera, Die Zeugnisse zum Grund des Schenkungsverbots unter Ehegatten, cit., pp. 409-410. Secondo B. Kübler, Emendationen des Pandektentextes, in ZSS 11 (1890), p. 47, il passo sarebbe stato manomesso dai compilatori e “malivolos” sarebbe un avverbio costruito “alla greca”. Diversamente G. Beseler, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, III, Tübingen, 1913, p. 14, considera l’espressione “quasi malivolos” una glossa interlineare.

[21] Cfr. Sch. 1 ad Bas. 60, 37, 15 (ed. Heimbach, V, p. 723) = Sch. 18 ad Bas. 60, 37, 14 (ed. Scheltema-Holwerda-Van der Wal, B IX, p. 3696), indicato in entrambe le edizioni come di più recente datazione. Nel passo si pone come esempio di un matrimonio “ἀσύστατος” (invalido) ossia “παράνομος” quello tra tutore e pupilla (contratto prima della restituzione dei registri e che fosse trascorso il tempo necessario alla consegna) e quello tra un senatore e una donna di teatro, contrapponendolo al matrimonio “ἀθέμιτος”, come ad esempio quello con una monaca o una parente.

[22] Secondo alcuni Autori, nella nozione di ‘uxor iniusta’ sarebbe da ricomprendersi anche la concubina, come si evincerebbe dal riferimento a Briseide nel passo omerico (anche se parrebbe più corretto parlare di contubernium, anziché di concubinato). In tal senso, tra gli altri, vd. G. Rizzelli, Lex Iulia de adulteriis. Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum, Lecce, 1997, pp. 187-188 e R. Quadrato, “Maris atque feminae coniunctio”: “matrimonium” e unioni di fatto, in Index 38 (2010), pp. 235-236. Diversamente M.V. Sanna, Matrimonium iniustum, accusatio iure viri e ius occidendi, in AUPA 54 (2010-2011), pp. 214-219 e Ead., Matrimonio e altre situazioni matrimoniali nel diritto romano classico. Matrimonium iustum - matrimonium iniustum, Napoli, 2012, pp. 145-150 (ma vd. anche Ead., Dalla paelex della lex numana alla concubina, in BIDR 109 [2015], pp. 204-205), che ha limitato il riferimento alla donna sposata in violazione di divieti come quelli posti dalla lex Iulia et Papia. Secondo R. Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano classico2, Padova, 2014, p. 28 e n. 46 (il primo capitolo della monografia è apparso anche in Diritto@Storia 15 [2017], Monografie), dovrebbero includersi anche i matrimonia iniusta per carenza di conubium (esclusi quelli dei coniugiperegrini). Dal momento che il passo sembrerebbe riconoscere anche al maritus iniustus l’accusatio iure viri, parte della dottrina ha ritenuto di anteporre a “poterit” le parole “iure extranei”, seguendo la lezione di O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, II, Lipsiae, 1889 (rist. Graz, 1960; Roma, 2000), col. 932 n. 5: così, tra gli altri, C. Castello, In tema di matrimonio e concubinato nel mondo romano, Milano, 1940, p. 162; S. Solazzi, Attorno ai “caduca„, in Atti della Reale Accademia Pontoniana di Scienze morali e politiche 61 (1942), p. 193(123) (come estratto autonomo: Napoli, 1942) (= Scritti di diritto romano, IV, (1938-1947), Napoli, 1963, pp. 355-356) e, più di recente, Astolfi, op. cit., p. 27. Secondo D. Daube, The Accuser under the lex Julia de adulteriis, in Πεπραγμένα του Θʹ Διεθνούς Βυζαντινολογικού Συνεδρίου (Θεσσαλονίκη, 12-19 Απριλίου 1953), Τόμος Βʹ, Ανακοινώσεις: Bʹ Δίκαιον - Γʹ Θεολογία - Δʹ Ιστορία, εκδιδόμενα επιμελεία Στ. Κυριακίδου, Α. Ξυγγόπουλου, και Π. Ζέπου, Αθήναι, 1956, pp. 8-11 (= Collected Studies in Roman Law, I, hrsg. von D. Cohen und D. Simon, Frankfurt am Main, 1991, pp. 561-563), seguito da J.A.C. Thomas, Accusatio adulterii, in IURA 12 (1961), pp. 68-69, a seguito della constitutio Antoniniana si sarebbe sfocata la distinzione tra ‘uxor iusta’ e ‘uxor iniusta’ (la peregrina) – contro cui sarebbe comunque spettata l’accusatio iure extranei – e il passo sarebbe sintomatico di tale cambiamento. Recentemente, R. Fiori, La struttura del matrimonio romano, in BIDR 105 (2011), pp. 204-205 e 217, pur rigettando questa proposta di ricostruzione del testo, ha ritenuto corretto distinguere tra l’accusatio viri ‘piena’ del maritus iustus e l’accusatio ‘rinforzata’ del maritus iniustus (descritta in Coll. 4, 5, 1).    

[23] Su questa citazione, vd., in particolare, F. Stella Maranca, Omero nelle Pandette, in BIDR 35 (1927), p. 33 ss.

[24] Trad.: “Ma dimmi, perché combatton coi Teucri gli Argivi? Perché raccolto un esercito, qui l’ha condotto l’Atride? non per Elena chioma bella? E fra i mortali essi soli aman le spose gli Atridi? Ah no! ogni uomo nobile e saggio ama e protegge la sua, come io quella amavo di cuore, benché conquistata di lancia” (Omero. Iliade19, trad. di R. Calzecchi Onesti, Torino, 2007, pp. 303 e 305). 

[25] In tal senso cfr. R. Luca, Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone, Venezia, 2017, pp. 53-54.

[26] Circa l’identificazione della iniusta uxor con la concubina, cfr. quanto detto immediatamente supra p. 179 n. 22.

[27] Di diverso parere R. Quadrato, “Maris atque feminae coniunctio”: “matrimonium” e unioni di fatto, cit., p. 236, che sottolinea l’inserimento della citazione omerica (e, in particolare, la traduzione del termine ‘uxores’) al fine di motivare l’estensione della lex Iulia de adulteriis a tutti i matrimoni. Sulla tendenza di Sesto Cecilio Africano di citare i poeti come “argomento di autorità, perentorio di ogni ulteriore opposizione”, qui, in particolare, al fine di “dimostrare la fondatezza della propria tesi”, cfr. F. Casavola, Cultura e scienza giuridica nel secondo secolo d.C.: il senso del passato, in ANRW, II.15, cit., p. 145 (= Id., Giuristi adrianei, Napoli, 1980, pp. 24-25).

[28] Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano classico2, cit., p. 27, arbitrariamente sovrappone all’‘amor’ di D. 48, 5, 14(13), 1 il concetto di ‘affectio maritalis’: “Il testo conferma l’opinione, secondo la quale l’affectio maritalis è presente anche nel matrimonium iniustum e perciò il marito può accusare la moglie di adulterio anche in questo caso”. È innegabile che, in tal modo, da un punto di vista logico, il frammento assumerebbe un maggiore significato: è possibile accusare di adulterio anche la donna sposata in contravvenzione ai divieti matrimoniali perché l’uomo aveva la volontà di far sussistere un rapporto coniugale. Ciò non toglie che nulla autorizzi a tradurre ‘affectio coniugalis’ con ‘amor’. 

[29] Si rilevano delle minime differenze tra l’edizione dei due Codici. Per ciò che qui più interessa, ‘amor’ viene indicato con la lettera maiuscola da Krüger, ad h. l., così come “Venus”, mentre Mommsen, ad h.l., adopera la lettera minuscola e, comunque, riporta “Venus”. Dal momento che si tratta di nomi propri utilizzati in senso figurato e che personificano determinati concetti (vd. subito a seguire), mi pare corretto scriverli entrambi con la minuscola. Secondo parte della dottrina, la costituzione di Costante assume in entrambi i codiciun significato più ampio di quello originario, perché si riferisce a ogni tipo di rapporto omosessuale maschile, non solo quello passivo (anche qui, vd. subito infra), essendo genericamente collocata in C.Th. 9, 7 ad legem iuliam de adulteriis e C.I. 9, 9 ad legem Iuliam de adulteriis et de stupro. Così D. Dalla, “Ubi Venus mutatur”, Milano, 1987, pp. 188-189 (ma contra M. Talamanca nella sua recensione a Dalla apparsa in BIDR 91 [1988], pp. 771-772).

[30] Così, ritenendo corretta la subscriptio presente in Vat. Reg., Iacobi Gothofredi Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis… Tomus tertius, Lipsiae, 1738 (rist. anast. Hildesheim-New York, 1975), p. 65 e M.L. de Tillemont, Histoire des empereurs, et des autres princes qui ont regné durant les six premiers siècles de l’Église, de leurs guerres contre les Juifs, des Ecrivains profanes, & des personnes les plus illustres de leurs temps..., IV, Venezia, 1732, p. 471 (pur ritenendola “assez incertaine”). Più di recente, vd. Materiali per una palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. Serie seconda. 2. La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), a cura di P.O. Cuneo, Milano, 1997, pp. 105-106 e 465, in cui si dà per certa la data del 357.

[31] Vd. Codicis Dn. Iustiniani... ex repetita praelectione libri XII... à Greg. Haloandro diligentissime purgati recognitique..., Basileae, 1541, p. 517; Mommsen, ad h. l.e Krüger, ad h. l. (che, in base al luogo di emanazione, dà per possibile anche il 346), O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit, Stuttgart, 1919 [rist. anast. Frankfurt am Main, 1964 e 1984], pp. 49, 191, 432 e 443, e tutti gli autori citati a seguire.

[32] Del ricevimento del vescovo da parte dell’imperatore da conto lo stesso Atanasio in Apol. ad Const. 3, 4 (PG 25, pp. 599-602).

[33] In tal senso, Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., cit., p. 49 e, in particolare, G. de Bonfils, Il comes et quaestor nell’età della dinastia costantiniana, Napoli, 1981, p. 97; Id., Alcune riflessioni sulla legislazione di Costanzo II e Costante, in Accademia Romanistica Costantiniana. Atti V Convegno Internazionale (Spello-Perugia-Bevagna-Sansepolcro) (14-17 ottobre 1981), Perugia, 1983, p. 306 e Id., La ‘terminologia matrimoniale’ nelle costituzioni di Costanzo II: uso consapevole della lingua e adattamento politico, in Il linguaggio dei giuristi romani. Atti del Convegno internazionale di Studi. Lecce, 5-6 dicembre 1994, a cura di O. Bianco e S. Tafaro, Lecce, 1994, p. 18 n. 31 (= La ‘terminologia matrimoniale’ di Costanzo II: uso della lingua e adattamento politico, in Labeo 42 [1996], p. 263 n. 31), che parla di una “connessione spirituale” tra l’insegnamento del vescovo e la legge di Costante. Più in generale, la costituzione è stata ritenuta fortemente contrassegnata dalle idee cristiane: cfr., ad esempio, C. Ferrini, Diritto penale romano. Esposizione storica e dottrinale, Estratto dall’Enciclopedia del Diritto Penale Italiano diretta dal Prof. E. Pessina, Milano, 1902 (rist. Roma, 1976), p. 367; B. Biondi, La concezione cristiana del diritto naturale nella codificazione giustinianea, in Jus 1.1 (1950), p. 17 (dove però sembra confonderla con C.Th. 9, 7, 6 del 390) e Id., Il diritto romano cristiano, III, La famiglia – rapporti patrimoniali – diritto pubblico, Milano, 1954, p. 468; S. Troianos, Kirchliche und weltliche Rechtsquellen zur Homosexualität in Byzanz, in JÖB 39 (1989) p. 31. Contra Dalla, “Ubi Venus mutatur”, cit., p. 168, che non solo nega l’influenza di Atanasio, ma parla anche di una legge dal carattere pagano, a suo vedere riscontrabile “nell’impostazione retorica”, “nell’accenno all’amore personificato da Venere”, nonché “nella mancanza di una dimensione moralistica assonante con le idee che vedemmo esposte nei testi cristiani”. Sul punto si tornerà a breve.

[34] Sterminata è la letteratura sulle vicende politico-religiose della vita del vescovo Atanasio (anche se ormai datato, un utile strumento per orientarsi è la ricognizione bibliografica di C. Butterweck, Athanasius von Alexandrien. Bibliographie, Wiesbaden, 1995). Tra le indagini più recenti, si ricordino almeno T. D. Barnes, Athanasius and Constantius. Theology and Politics in the Constantinian Empire, Cambridge-London, 1993 (rist. 1994); M. Tetz, Athanasiana. Zu Leben und Lehre des Athanasius, Berlin, 1995; A. Martin, Athanase d’Alexandrie et l’Église d’Égypte au IVe siècle (328-373), Rome, 1996; P. Barceló, Constantius II. und seine Zeit. Die Anfänge des Staatskirchentums, Stuttgart, 2004; Aavv., Athanasius Handbuch, hrsg. von P. Gemeinhardt, Tübingen, 2011; D.M. Gwynn, Athanasius of Alexandria. Bishop, Theologian, Ascetic, Father, Oxford, 2012; M. Clauss, Athanasius der Grosse. Der unbeugsame Heilige, Darmstadt, 2016. Si ricordi che – paradossalmente – allo stesso Costante la storiografia ha attribuito atteggiamenti omosessuali: cfr. Aur. Vict. de Caes. 41, 24 e Eutr. 10, 9. Forse, proprio con questa legge, l’imperatore sperava di ‘redimersi’ dai propri ‘peccati’ (diversamente in Materiali per una palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. Serie seconda. 2. La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), cit., p. 106).

[35] Vd. D.S. Bailey, Homosexuality and the Western Christian Tradition, London, 1955, pp. 70-71; A.D. Manfredini, Qui commutant cum feminis vestem, in RIDA 32 (1985), pp. 269-270; Dalla, “Ubi Venus mutatur”, cit., pp. 169-170; L. Sandirocco, “Cum vir nubit in feminam”, in RDR 9 (2009), p. 11 ss.; E. Cantarella, Etica sessuale e diritto. L’omosessualità maschile a Roma, in RJ 6 (1987), pp. 279-280 ed Ead., Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico5, Milano, 2021, pp. 224-225. Non accoglibile la tesi di J. Boswell, Christianity, Social Tolerance and Homosexuality. Gay People in Western Europe from the Beginning of the Christian Era to the Fourteenth Century, Chicago-London, 1980, p. 123 e n. 9 (= Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo, trad. di E. Lauzi, Milano, 1989, pp. 159-160 e pp. 173-174 n. 9), secondo cui, più in generale, sarebbero stati vietati i matrimoni tra omosessuali (in tal senso anche C.A. Williams, Roman Homosexuality2, Oxford, 2010, p. 280), così come quella di D. Grodzynski, Tortures mortelles et catégories sociales. Les summa supplicia dans le droit romain aux IIIe et IVe siècles, in Du châtiment dans la cité. Supplices corporels et peine de mort dans le monde antique. Table ronde organisée par l’Ecole française de Rome avec le concours du Centre national de la recherche scientifique (Rome 9-11 novembre 1982, Rome, 1984, p. 378 n. 50), per la quale sarebbero stati puniti gli omosessuali che avessero sposato una donna. Parimenti poco condivisibili la lettura di S.P. Scott, The Civil Law, XV,Cincinnati, 1932 (rist. New York, 1973), p. 16, che così traduce l’incipit della legge: “When a man marries, and his wife becomes pregnant”, e quella di P. Pescani, che nella sua recensione all’opera di Dalla apparsa in IURA 38 (1987), pp. 182-183, parla di veri e propri tentativi (anche attraverso operazioni chirurgiche) di mutare sesso.

[36] Quale fosse la pena prevista non è chiaro. Secondo Iacobi Gothofredi Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis… Tomus tertius, cit., p. 65, si tratterebbe della poena igni (la vivicombustione). Cantarella, Etica sessuale e diritto. L’omosessualità maschile a Roma, cit., pp. 280 e 286 ed Ead., Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico5, cit., pp. 226 e 236, invece, ritiene che i prostituti sarebbero stati puniti con la pena della castrazione. Cfr. anche infra p. 185 n. 39 circa il significato dell’espressione ‘gladius ultor’.

[37] Secondo Dalla, “Ubi Venus mutatur”, cit., p. 169, la costituzione sarebbe stata massimata, così come Coll. 5, 3 in C.Th. 9, 7, 6.

[38] Sul punto vd. Dalla, “Ubi Venus mutatur”, cit., p. 170 ss. (diversamente Talamanca, rec. cit. a Dalla, che attribuisce alla costituzione maggior respiro e la considera diretta a colpire, più in generale, l’omosessualità passiva). Al clima politico-culturale di C.Th. 7, 9, 3 è stata riferita la Pseudo-Quint. decl. 3 (cfr. C. Schneider, [Quintilien]. Le soldat de Marius. (Grandes déclamations, 3), Cassino, 2004, pp. 36-37, ma contra vd. B. Santorelli, Datazione e paternità delle Declamazioni maggiori pseudo-quintilianee, e G. Traina, Le Declamazioni maggiori: istruzioni agli storici, entrambi in Le ›declamazioni maggiori‹ pseudo-quintilianee nella Roma imperiale, ed. by A. Lovato, A. Stramaglia and G. Traina, Berlin/Boston, 2021, rispettivamente pp. 364-366 e 442-443).

[39] In merito all’espressione ‘gladius ultor’ e al suo significato (probabilmente inerente a una pena capitale), vd. de Bonfils, Il comes et quaestor nell’età della dinastia costantiniana, cit., pp. 97-98; Id., Alcune riflessioni sulla legislazione di Costanzo II e Costante, cit., p. 306 e Id., La ‘terminologia matrimoniale’ nelle costituzioni di Costanzo II: uso consapevole della lingua e adattamento politico, cit., p. 18 n. 31 (= La ‘terminologia matrimoniale’ di Costanzo II. Uso della lingua e adattamento politico, cit., p. 263 n. 31). 

[40] Vd., tra gli altri e ad esempio, le seguenti traduzioni: The Theodosian Code and Novels and The Sirmondian Constitutions. A Translation with Commentary, Glossary and Bibliography,byC. Pharr, Princeton, 1952 p. 232 (“when Venus is changed into another form; when love is sought and not found”); Scott, The Civil Law, cit., (“when the sexual act assumes another form; when love is sought, but does not appear”); Das Corpus Iuris Civilis in’s Deutsche übersetzt, a cura di C.E. Otto, B. Schilling, C.F.F. Sintenis, VI, Leipzig, 1832, p. 332 (“wo der Geschlechtstrieb seine Gestalt wechselt, wo Liebe gesucht wird, ohne gesehen zu werden”) riprodotta anche da Troianos, Kirchliche und weltliche Rechtsquellen zur Homosexualität in Byzanz, cit., p. 31; Corpo del diritto corredato delle note di Dionisio Gotofredo, e di C.E. Freiesleben...,Codice. Volume secondo, a cura di G. Vignali, Napoli, 1861, p. 828 (“Dove la venere si cambia in altra via? Dove l’amore si cerca e non si vede”); S. Bailey, Homosexuality and the Western Christian Tradition, cit., p. 70 (“when Venus is changed into another form; when love is sought and not found”);de Bonfils, Alcune riflessioni sulla legislazione di Costanzo II e Costante, cit., p. 305 n. 16 (“quando Venere si muta nel suo contrario, dove c’è amore ma non il suo frutto”) (= La ‘terminologia matrimoniale’ di Costanzo II. Uso della lingua e adattamento politico, cit., p. 262 n. 30, dove però l’a. sostituisce con la congiunzione “e” l’avversativo “ma” e avvisa il lettore che la “bella prosa del testo di Costante è piena di sottintesi e sfaccettature che rendono non facile una traduzione italiana”); Pescani, rec. cit. all’opera di Dalla, “Ubi Venus mutatur”, cit., p. 182 (“quando la bellezza (maschile) si muta nell’altra forma” e “quando si cerca amore né sembra (amore)”); Codex Justinianus, ausgewählt und herausgegeben von G. Härtel und F.-M. Kaufmann, Leipzig, 1991, pp. 196-197 (“wo Venus (hier = Beischlaf, fleischliche Vermischung) in eine andere Form gebracht wird, wo Amor (= Liebe) gesucht, aber nicht gesehen wird “); The Codex of Justinian. A New Annotated Translation, with Parallel Latin and Greek Text, III, Books VIII-XII, ed. by B.W. Frier, Cambridge, 2016, p. 2311 (“where sexual passion (Venus) is altered to a different form, where Love (Amor) is sought yet not seen”) (ma a n. 59 si premette che la traduzione di questo testo risulta “especially challenging”); Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico5, cit., p. 225 (“quando Venere ha cambiato natura, quando si cerca l’amore e non lo si trova”); B. Santorelli, Datazione e paternità delle Declamazioni maggiori pseudo-quintilianee, cit., (“quando Venere assume un altro aspetto, quando l’amore viene cercato e non visto”).

[41] Sulla disputata datazione dell’opera, vd., in ispecie, G. Fernández, La fecha de redacción del De incarnatione y Contra gentes de Atanasio de Alejandría: una polémica historiográfica, in Perficit 20.2 (1996), p. 179 ss. e, più di recente, T.G. Weinandy, Athanasius. A Theological Introduction, Washington D.C., 2018, p. 11 n. 2.

[42] “C’est de Zeus qu’ils ont appris la pédérastie et l’adultère, d’Aphrodite la prostitution... que les lois punissent et que tout homme sage évite” (SC 18 bis Athanase d’Alexandrie. Contre les Païens3, texte grec, introduction, traduction et notes par P.T. Camelot, Paris, 1983 [rist. 2008], p. 135). Su questo passo, vd. anche Athanasius. Contra Gentes and De Incarnatione, edited and translated by R. Thomson, Oxford, 1971, pp. 70-71 e E.P. Meijering, Athanasius: Contra gentes. Introduction, Translation and Commentary, Leiden, 1984, p. 87.  

[43] “Les hommes aussi, reniant leur sexe et ne voulant plus être des mâles, se changent en femmes comme si par là ils faisaient chose agréable et honorable à la Mère de ceux qu’ils appellent dieux” (ed. e trad. Camelot, cit., pp. 132-133; vd. anche ed. e trad. Thomson, cit., pp. 68-69 e trad. Meijering, cit., p. 86). Cfr. altresì il § 12: “καὶ ὁμολογοῦντες εἶναι κακὸν τὴν παιδοφθορίαν, τοὺς ἐπὶ ταύτῃ διαβαλλομένους θρησκεύουσι· καὶ ἃ μηδὲ ἐν ἀνθρώποις εἶναι ἐπιτρέπουσιν οἱ νόμοι, ταῦτα τοῖς ὑπ’αὐτῶνὀνομαζομένοις εἶναι θεοῖς περιτιθέντες οὐκ ἐρυθριῶσιν” “ils confessent que la pédérastie est un mal, et ils rendent un culte à ceux qui ont la réputation; et ce que les lois n’autorisent même pas chez les hommes, ils ne rougissent pas de l’attribuer à ceux qu’ils appellent dieux” (ed. e trad. Camelot, cit., pp. 92-93; vd. anche ed. e trad. Thomson, cit., pp. 36-37 e trad. Meijering, cit., p. 55).

[44] Così Thomson, nella sua edizione e traduzione  dell’opera di Atanasio, cit., p. 69 n. 26. Cfr. dunque Eusebius Werke, III.2, Die Teophanie. Die griechischen Bruchstücke und Übersetzung der syrischen Überlieferungen, hrsg. von H. Gressmann, Leipzig, 1904, p. 85 (il testo originale siriaco è edito da S. Lee, Eusebius Bishop of Cesarea on the Theophania or Divine Manifestation of our Lord and Saviour Jesus Christ, London, 1842). Diversamente trad. Meijering, cit., pp. 86-87, il quale ritiene che qui si stia più propriamente parlando della pratica di auto-castrazione in onore di Cibele (ma nel senso qui proposto vd. ancoraed. e trad. Camelot, cit., p. 133 e n. 2).

[45] “D’autres, allant plus loin dans leur invention et de leur méchanceté, le plaisir et le désir, et ils les adorent: tels sont chez eux l’Éros, et l’Aphrodite de Paphos” (ed. e trad. Camelot, cit., pp. 76-79; vd. anche ed. e trad. Thomson, cit., pp. 24-25 e trad. Meijering, cit., p. 45).

[46] Cfr. Athan. contra Gent. 9, 34; 10, 16; 12, 15; 12, 22; 26, 16.

[47] Cfr., ad esempio, Sen. simp. 8, 21 e Plat. Fedr. 240 d.

[48] Assieme a C.Th. 8, 17, 2, concorre C.Th. 8, 17, 3 a comporre un’unica previsione normativa, come si evince dalla coincidenza di destinatario e data nella subscriptio. Entrambe le disposizioni sono riportate senza rilevanti variazioni nel Codice giustinianeo (rispettivamente in C.I. 8, 57[58], 2 e C.I. 8, 58[59], 1). Sul contenuto dispositivo di C.Th. 8, 17, 2 e C.Th. 8, 17, 3, vd. P. Voci, Il diritto ereditario romano nell’età del tardo impero. Il V sec., in SDHI 48 (1982), pp. 26-27 (= Il diritto ereditario romano nell’età del tardo impero. II. Le costituzioni del V secolo, in Studi di diritto romano, II, Padova, 1985, pp. 206-207); R. Astolfi, La lex Iulia et Papia4, Padova, 1996, p. 77 e P. Biavaschi, La trasformazione del ius liberorum in Occidente tra il IV e V secolo d.C.: profili romanistici e legislazione visigotica, in Ravenna capitale. Territorialità e personalità. Compresenza di diversi piani normativi, Ravenna, 2013, pp. 88-89. Mi si permetta di rinviare anche al mio E. Pezzato, Si sanctitas inter eos sit digna foedere coniugali. Gli apporti patrimoniali alla moglie superstite in età tardoantica e giustinianea, Bologna, 2022, p. 53 ss., per una più dettagliata analisi della costituzione (anche in merito a un suo possibile ritardo nella recezione nella pars Occidentis), nonché più in generale al graduale processo di abrogazione della lex decimaria.

[49] Si osservi che Teofilo, nella sua Parafrasi, fa ricorso al verbo ἐράω (ἐρῶ, derivato di ἔρως), per definire lo stato della “mulier amore bacchata”: “εἰ γὰρ ἐλευθέρα ἠράσθη τοῦ ἐμοῦ οἰκέτου...” (“For if a free woman fell in love with a slave of mine...”); vd. Theophili antecessoris paraphrasis Institutionum, ediderunt J.H.A. Lokin, R. Mejering, B.H. Stolte, N. van der Wal, with a translation by A.F. Murison, Groningen, 2010, pp. 598-599.

[50] Sul passo istituzionale, vd. ampiamente e per tutti G. Luchetti, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, Milano, 1996, p. 395 ss. e Id., Nuove ricerche sulle Istituzioni di Giustiniano, Milano, 2004, p. 20 ss., nonché M. Melluso, La schiavitù nell’età giustinianea, Paris, 2000, p. 48 ss. Sul senatoconsulto in età tardoantica, più in generale, vd. P. Buongiorno, Senatus consulta Claudianis temporibus facta. Una palingenesi delle deliberazioni senatorie dell’età di Claudio (41-54 d.C.), Napoli, 2010, p. 316 ss.; A. Storchi Marino, Schiavi e uomini di vile condizione nel senatoconsulto claudiano in età tardoantica, in Koinonia 36 (2012), p. 145 ss.; C. Masi Doria, ‘Ancilla efficitur’ ... ‘in eo statu manebit’: le conseguenze del sc. Claudianum per le donne di status libertino, in Mulier. Algunas Historias e Instituciones de Derecho Romano, R. Rodríguez López e M.J. Bravo Bosch Editoras, Madrid, 2013, p. 165 ss. e nt. 21 ed Ead., Tracce del Senatuconsultum Claudianum nella legislazione di Giustiniano, in Scritti per Alessandro Corbino, IV, a cura di I. Piro, Lecce, 2016, p. 597 ss., nonché A.S. Scarcella, Una possibile rilettura delle contraddizioni sulla schiavitù nel sistema della Compilazione, in TSDP 12 (2019), p. 30 ss., tutti con ulteriori indicazioni bibliografiche.  

[51] Vd. s.v. Bacchor, in A. Forcellini, Lexicon totius latinitatis..., I, curante F. Corradini, Patavii, 1940 (rist. anast. Bononiae, 1965), p. 421.

[52] Cfr. D. 21, 1, 1, 10: Idem Vivianus ait, quamvis aliquando quis circa fana bacchatus sit et responsa reddiderit, tamen, si nunc hoc non faciat, nullum vitium esse. neque eo nomine, quod aliquando id fecit, actio est, sicuti si aliquando febrem habuit: ceterum si nihilo minus permaneret in eo vitio, ut circa fana bacchari soleret et quasi demens responsa daret, etiamsi per luxuriam id factum est, vitium tamen esse, sed vitium animi, non corporis, ideoque redhiberi non posse, quoniam aediles de corporalibus vitiis loquuntur: attamen ex empto actionem admittit. Più in generale, la questione attiene all’estensione (negata da Viviano e Ulpiano) dell’editto de manciipis vendundis alle ipotesi di vitia animi. Su questo frammento, cfr. in ispecie C. Russo Ruggeri, Viviano giurista minore?, Milano, 1997, p. 145 ss., cui adde almeno S. Solazzi, Furiosus vel demens, in AG 143.1 (1952), pp. 23-24 (= Id., Scritti di diritto romano, V, (1947-1956), Napoli, 1972, p. 368), che lo ritiene sospetto; E. Nardi, Squilibrio e deficienza mentale in diritto romano, Milano, 1983, pp. 35, 39, 42, 65 e 283-284; L. Manna, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto de mancipiis vendundis, Milano, 1994, p. 48; R. Gamauf, Erro: Suche nach einem verschwundenen Sklaven. Eine Skizze zur Interpretationsgeschichte des ädilizischen Edikts, in Inter Cives necnon peregrinos. Essays in honour of Boudewijn Sirks, Birkach, 2014, pp. 284-285.      

[53] Su Nov. 12, 1, oltre agli autori citati a seguire in merito a specifici profili esegetici, si ricordino, in particolare, A.D. Manfredini, La donna incestuosa, in Annali dell’Università di Ferrara. Scienze giuridiche 1 (1987), p. 27; ampiamente E. Franciosi, Il regime delle nozze incestuose nelle Novelle giustinianee, in Estudios en homenaje al Profesor Juan Iglesias, II, Madrid, 1988, pp. 734-737; R. Bonini, Alcune considerazioni sulla funzione della pena nelle Novelle giustinianee, in Studi sull’età giustinianea2, Rimini, 1990, pp. 122-123 (= Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari 54 [1991-1992], Il problema della pena criminale tra filosofia greca e diritto romano. Atti del deuxième colloque de philosophie pénale. Cagliari, 20-22 aprile 1989, a cura di O. Diliberto, Napoli, 1993, pp. 409-410), che si sofferma in particolar modo sulla funzione di emenda delle pene ivi previste; G. Luchetti, La legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo imperiali e giustinianee, Milano, 1990, pp. 247-248 n. 128; S. Puliatti, Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, II, Problemi di diritto privato e di legislazione e politica religiosa, Milano, 1991, p. 15 ss. e Id., Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, Milano, 2001, p. 200 ss.

[54] Nov. 12, 1: (Αὐτοκράτωρ Ἰουστινιανὸς Αὔγουστος Φλώρῳ τῷ ἐνδοξοτάτῳ κόμητι τῶν ἁπανταχοῦ θείων πριβάτων): Θεσπίζομεν τοίνυν, τοῦ λοιποῦ, εἴ τις ἀθέμιτον καὶ ἐναντίον τῇ φύσει (ὃν ὁ νόμος incestόν τε καὶ nefariον καὶ damnatον καλεῖ) συναλλάξειε γάμον, εἴπερ οὐκ ἔχοι παῖδας ἐκ προτέρων γνησίων τε καὶ ἀμέμπτων αὐτῷ γενομένους γάμων, εὐθὺς μὲν αὐτῷ τὴν τῶν οἰκείων πραγμάτων ἔκπτωσιν ἐπικεῖσθαι, ἅμα δὲ καὶ τῶν ὀνόματι προικὸς ἐπιδεδομένων αὐτῷ μηδενὸς ἀπολαύειν, ἀλλὰ πάντα τῷ ταμείῳ προσκυροῦσθαι. ἀνθ’ ὅτου γὰρ ἐξὸν γαμεῖν νενομισμένα παρανόμων ἐρᾷ, καὶ συγχεῖ μὲν γονάς, ἀδικεῖ δὲ τὰ γένη, πράττει δὲ ἀσεβῆ τε καὶ ἀνόσια, καὶ τοιαῦτά γε ἐπιθυμεῖ, ὁποῖα πολλὰ καὶ τῶν ἀλόγων ἀποσείεται ζῴων, ἔστω γε αὐτῷ ποινὴ μὴ δήμευσις μόνον, ἀλλὰ καὶ ζώνης ἀφαίρεσις καὶ ἐξορία, καὶ εἴ γε εὐτελὴς εἴη, καὶ τοῦ σώματος αἰκισμός, ὅπως ἂν μάθοι σωφρονεῖν καὶ εἴσω τῆς φύσεως μένειν, ἀλλὰ μὴ τρυφᾶν τε καὶ ἐρᾶν ὑπερόρια, καὶ τῶν παραδεδομένων ἡμῖν ἐκ τῆς φύσεως καταυθαδιάζεσθαι νόμων. καὶ τῆς γυναικός, εἰ τὸν νόμον ἐπισταμένη τούτου μὲν ἀμελήσειεν, ἀθεμίτοις δὲ ἑαυτὴν ἐπιδοίη γάμοις, ὑπὸ τὴν αὐτὴν γινομένης ποινήν. (Dat. XVII k. Iun. CP. Belisario v. c. cons.).

[55] Si tratterebbe semplicemente delle nozze incestuose: cfr. schol. anon. 35 (De Nefariis Et Incestis (Nuptiis): Si quis nefarium] Quantum ad hanc constitutionem, nihil interest inter nefarium et incestum atque damnatum (ed. Hanel p. 183; sugli Scholia anonyma, vd. per tutti D. Liebs, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260-640 n. Chr.), Berlin, 1987, pp. 223-234). L’espressione ricorre anche in Nov. 89, 15 pr. (a. 538), ove ci si riferisce ai nati “ex complexibus (non enim vocabimus nuptias) aut nefariis aut incestis aut damnatis” (“ἢ nefariων ἢ incestωνἢ damnatων”). In tal caso, però, pare che si riferisca più genericamente a tutti coloro che sono nati all’interno di un’unione legalmente vietata: cfr. Luchetti, La legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo imperiali e giustinianee, cit., p. 54 n. 75 e pp. 55-56 n. 78. 

[56] Non è chiaro se la pena dell’exilium (ἐξορία) si debba identificare con la relegatio (in tal senso, vd. E. Nardi, La reciproca posizione successoria dei coniugi privi di conubium, Milano, 1938, p. 91 n. 4, che riprende sul punto alcune più generiche considerazioni di U. Brasiello, La repressione penale in diritto romano, Napoli, 1937, p. 323) oppure con la deportatio (o qualcosa di simile, vd. A. Guarino, Studi sull’«incestum», in ZSS 63 [1943], p. 266 [= Pagine di diritto romano, VII, Napoli, 1995, p. 256]). Incerto P. Voci, L’errore nel diritto romano, Milano, 1937, p. 201 n. 3. Per quanto riguarda la pena dei vili, secondo Puliatti, Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, cit., pp. 25-26 n. 56 e Id., Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, cit., pp. 210-211 n. 26, si tratterebbe più propriamente di mutilazione. 

[57] In argomento, vd., in ispecie, Voci, L’errore nel diritto romano, cit., p. 198 ss. e Guarino, Studi sull’«incestum», cit., pp. 265-266 (= Pagine di diritto romano, cit., p. 256), il quale sottolinea come con questa legge, per la prima volta, la ignorantia iuris venga identificata come motivo autonomo di scusa. Si rileva poi una contraddizione con (o un’evoluzione rispetto a) quanto previsto da D. 48, 5, 39(38) (Pap. 36 quaest.), dal momento che qui l’ignoranza della donna è scusata soltanto nel caso di incesto iure civili. DiversamenteJ. Beaucamp, Le statut de la femme à Byzance (4e-7e siècle), I, Le droit impèrial, Paris, 1990, p. 89 n. 59. Sul punto, vd. anche Manfredini, La donna incestuosa, cit., p. 27; E. Franciosi, Il regime delle nozze incestuose nelle Novelle giustinianee, cit., pp. 736-737 e n. 40, nonché Puliatti, Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, cit., p. 30 e Id., Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, cit., pp. 212-213 e n. 32.

[58] Sui profili di natura etica e religiosa relativi alla punizione dell’incesto di Nov. 12, 1 si sofferma in particolar modo Puliatti, Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, cit., pp. 15-18 e Id., Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, cit., pp. 200-201. Secondo G. Lanata, Figure dell’altro nella legislazione giustinianea, in Of Strangers and Foreigners (Late Antiquity – Middle Ages), ed. by L. Mayali e M.M. Mart, Berkeley, 1993, pp. 29-30 e 33 (= Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, Torino, 1994, pp. 40-41 e 44-45), la legge, così come tutte le altre Novelle giustinianee in materia di incesto, si pone in continuità con la tradizione pagana e risulta influenzata dal neoplatonismo di Triboniano; diversamente vd. J. Gaudemet, Droit romain et principes canonique en matière de mariage au Bas-Empire, in Studi in memoria di Emilio Albertario, II, Milano, 1953, pp. 190-192 (= Id., Sociétés et mariage, Strasbourg, 1980, pp. 133-135). Sulle “leges naturae” vd. in ispecie W. Waldstein, Ius naturale im nachklassischen römischen Recht und bei Justinian, in ZSS 111 (1994), p. 55.

[59] Non a caso nel successivo caput 3 della Nov. 12 si riconosce, a coloro che intrattengono un’unione incestuosa nel momento di promulgazione della legge, la possibilità di porre fine all’incesto entro un biennio (ossia entro il 357), ottenendo così una sensibile diminuzione della pena (la confisca toccherà il patrimonio soltanto nella misura di un quarto e non riguarderà in ogni caso la dote). Sulle disposizioni di Nov. 12, 3, vd., più nel dettaglio e per tutti, Puliatti, Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, cit., pp. 20-25 e Id., Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, cit., pp. 208-209.

[60] Su queste due disposizioni, vd. anche Luchetti, La legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo imperiali e giustinianee, cit., pp. 51-52 n. 72.

[61] Nov. 18, 5: (Imp. Iustinianὸς Αὔγουστος Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἐπάρχῳ τῶν ἱερῶν τῆς Ἕω praetorίων τὸ βʹ, ἀπὸ ὑπάτων καὶ πατρικίῳ.). [...]. Εἰ δὲ ἐκκεχυμένα τὰ τῆς ἐπιθυμίας αὐτῷ γίνοιτο, καὶ ἄλλας ἐπ’ ἄλλαις ἐπεισαγάγοι τῇ προτέρᾳ παλλακάς, καὶ πλῆθος ἔχοι γυναικῶν πορνευομένων (οὕτω γὰρ εἰπεῖν κάλλιον), καὶ ἐξ αὐτῶν παιδοποιούμενος τελευτήσειε πολλὰς ὁμοῦ καταλιπὼν παλλακάς, μισητὸς μὲν ἡμῖν ὁ τοιοῦτος, πόρρω δὲ τοῦδε τοῦ νόμου καθάπαξ ἀπελαυνέσθω. ὥσπερ γάρ, εἴ τις νομίμῃ συνοικοίη γυναικί, ἄλλας ἐπεισαγαγεῖν οὐκ ἂν δύναιτο τοῦ συνοικεσίου συνεστῶτος καὶ ἐξ αὐτῶν νομίμως παιδοποιεῖσθαι, οὕτως οὐδὲ μετὰ τὴν γνωριζομένην τῷ νόμῳ καθ’ ὃν εἰρήκαμεν τρόπον παλλακὴν καὶ τοὺς ἐξ ἐκείνης παῖδας δώσομεν, εἰ καί τι πάρεργον ἡδονῆς ἄλλο ποιήσαιτο, καὶ τοῦτο εἰς τὴν διαδοχὴν εἰσάγεσθαι τὴν αὐτοῦ, εἰ τελευτήσειεν ἀδιάθετος. εἰ γὰρ μὴ τοῦτο νομοθετήσαιμεν, ἀδιάκριτα μὲν ἔσται τὰ τῶν γυναικῶν, τίνος μᾶλλον ἢ τίνος ἔλαττον ἐρᾷ, ἀδιάκριτα δὲ τὰ τῶν παίδων. καὶ ἡμεῖς οὐ δίδομεν τοῖς ἀσελγαίνουσιν, ἀλλὰ τοῖς σωφρονοῦσι τὸ νόμιμον. Οὐ διαφερόμεθα δὲ περὶ τῶν παίδων, εἴτε ἄρρενες εἴτε θήλειαι καθεστήκοιεν. ὥσπερ γὰρ ἡ φύσις οὐδὲν περὶ τὰ τοιαῦτα τεχνολογεῖ, οὕτως οὐδὲ ἡμεῖς ἄλλον ἐπ’ ἀρρένων καὶ ἄλλον ἐπὶ θηλειῶν κατὰ τοῦτο τίθεμεν νόμον. [...]. (Dat. k. Mar. CP. cons. Belisarii v. c.).

[62]Nov. 89, 12, 5: (Αὐτοκράτωρ Ἰουστινιανὸς Αὔγουστος Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἐπάρχῳ τῶν ἀνατολικῶν πραιτωρίων τὸ βʹ, ἀπὸ ὑπάτων ὀρδιναρίων καὶ πατρικίῳ). Εἰ δὲ ἐκκεχυμένα τὰ τῆς ἐπιθυμίας αὐτῷ γένοιτο καὶ ἄλλας ἐπ’ ἄλλαις ἐπεισαγάγοι τῇ προτέρᾳ παλλακάς, καὶ πλῆθος ἔχοι γυναικῶν πορνευομένων (οὕτω γὰρ εἰπεῖν κάλλιον), καὶ ἐξ αὐτῶν παιδοποιούμενος τελευτήσειε πολλὰς ὁμοῦ καταλιπὼν παλλακάς, μισητὸς μὲν ὁ τοιοῦτος, πόρρω δὲ τοῦ νόμου καθάπαξ μετὰ τῶν τοιούτων παίδων καὶ παλλακῶν ἀπελαυνέσθω. ὥσπερ γὰρ εἴ τις νομίμῳ συνοικοίη γυναικί, ἄλλας ἐπεισάγειν οὐκ ἂν δύναιτο τοῦ συνοικεσίου συνεστῶτος καὶ ἐξ αὐτῶν νομίμως παιδοποιεῖσθαι, οὕτως οὐδὲ μετὰ τὴν γνωριζομένην καθ’ ὃν εἰρήκαμεν τρόπον παλλακὴν καὶ τοὺς ἐξ ἐκείνης παῖδας δώσομεν, εἰ καί τι πάρεργον ἡδονῆς ἄλλο ποιήσαιτο, καὶ τοῦτο εἰς τὴν διαδοχὴν εἰσάγεσθαι τὴν αὐτοῦ, εἴ γε τελευτήσειεν ἀδιάθετος. εἰ γὰρ μὴ τοῦτο νομοθετήσαιμεν, ἀδιάκριτα μὲν ἔσται τὰ τῶν γυναικῶν, τίνος μᾶλλον ἢ τίνος ἔλαττον ἐρᾷ, ἀδιάκριτα δὲ τὰ τῶν παίδων· καὶ ἡμεῖς οὐ δίδομεν τοῖς ἀσελγαίνουσιν, ἀλλὰ τοῖς σωφρονοῦσι τὸν νόμον. Οὐ διαφερόμεθα δὲ περὶ τῶν παίδων, εἴτε ἄρρενες εἴτε θήλειαι καθεστήκοιεν. ὥσπερ γὰρ ἡ φύσις οὐδὲν περὶ τὰ τοιαῦτα τεχνολογεῖ, οὕτως οὐδὲ ἡμεῖς ἄλλον ἐπ’ ἀρρένων καὶ ἄλλον ἐπὶ θηλειῶν κατὰ τοῦτο τίθεμεν νόμον. (Dat. k. Sept. CP. imp. dn. Iustiniani pp. Aug. anno XIII Apione v. c. cons.).

[63] Cfr. Nov. 18, 5 (nella parte non riportata) e Nov. 89, 12, 4.

[64] Circa il divieto di avere moglie e concubina nello stesso tempo, cfr. invece C.I. 5, 26, 1 (a. 326); P.S. 2, 20, 1 e C.I. 7, 15, 3, 2 (a. 531). In merito alla disciplina del concubinato in età giustinianea, cfr., tra gli altri, P. Bonfante, Nota sulla riforma giustinianea del concubinato, in Studi in onore di Silvio Perozzi nel XL anno del suo insegnamento, Palermo, 1925, p. 283 ss. (= Sulla riforma giustinianea del concubinato, in Scritti giuridici vari, IV, Studi generali di diritto - di legislazione - di scienze politiche, Roma, 1926, p. 563 ss.); Biondi, Il diritto romano cristiano, III, cit., p. 133 ss.; R. Danieli, Sul concubinato in diritto giustinianeo, in Studi in onore di Vincenzo Arangio Ruiz nel XLV anno del suo insegnamento, III, Napoli, s.d. ma 1953, p. 175 ss.; O. Robleda, El matrimonio en derecho romano. Esencia, requisitos de validez, efectos, disolubilidad, Roma, 1970, p. 280 ss.; C.St. Tomulescu, Justinien et le concubinat, in Studi in onore di Gaetano Scherillo, I, Milano, 1972, p. 299 ss.; E. Karabélias, La pratique du concubinat avec une femme libre, affranchie ou esclave dans le droit post-classique, in Atti dell’Accademica Romanistica Costantiniana. VII Convegno Internazionale, Perugia, 1988, p. 183 ss.; L. Sandirocco, Il concubinato nella tarda antichità tra legge laica e visione religiosa, in Labeo 50 (2004), p. 220 ss.; S.A. Cristaldi, Unioni non matrimoniali a Roma, in Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di F. Romeo, Milano, 2004, p. 187 ss. e C. Fayer, La familia romana, III, Concubinato. Divorzio. Adulterio, Roma, 2005, p. 44 ss.           

[65] Sul concetto di ‘castitas-σωφροσύνη’ nelle Novelle, vd. F. Casavola, Sessualità e matrimonio nelle Novelle giustinianee, in Mondo classico e cristianesimo, Roma, 1982, pp. 186-187.

[66] Sul contenuto dispositivo di Nov. 74, 4, vd. brevemente E. Volterra, s.v. Matrimonio (diritto romano), in ED, XXV, Lodo-Matr, Varese, 1975, p. 801; F. Benedek, Die conventio in manum und die Förmlichkeiten der Eheschliessung im römischen Recht, in Studia Iuridica Auctoritate Universitatis Pécs Publicata 88 (1978), p. 30 (esistente anche come estratto autonomo: Pécs, 1978); J. Valentí, Matrimonio y forma en el derecho romano, in Estudios en homenaje al Profesor Juan Iglesias, III, Madrid, 1988, p. 1673 ss.; E. Patlagean, Pauvreté économique et pauvreté sociale à Byzance 4e – 7e siècles, Paris-La Haye, 1977, pp. 116-117, ma soprattutto ampiamente G. Luchetti, Il matrimonio cum scriptis e sine scriptis nelle fonti giuridiche giustinianee, in BIDR 92-93 (1989-1990), p. 348 ss. (= Contributi di diritto giustinianeo, Milano, 2004, p. 68 ss.).

[67] Nov. 74, 4 pr.: (Ὁ αὐτὸς βασιλεὺς Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἐπάρχῳ τῶν ἀνατολικῶν πραιτωρίων τὸ βʹ, ἀπὸ ὑπάτων <ὑπάτῳ> ὀρδιναρίῳ καὶ πατρικίῳ). Κἀκεῖνο δὲ ἡγούμεθα κάλλιον εἶναι τάξαι προσηκόντως, ὅπερ ἐκ πολλῆς τῆς τῶν πραγμάτων ἐλάβομεν πείρας· πολλαὶ γοῦν καὶ ἐφεξῆς δίκαι προσηγγελμέναι τῷ ἡμετέρῳ κράτει τοῦ παρόντος ἡμᾶς εἰς χρείαν ἤγαγον νόμου. ἐπειδὴ γὰρ καὶ τοῖς παλαιοῖς διηγόρευται νόμοις καὶ ἡμῖν αὐτοῖς τὰ αὐτὰ διατέτακται, ὥστε τοὺς γάμους καὶ γαμικῶν συμβολαίων χωρὶς ἐκ μόνης ἐρρῶσθαι διαθέσεως καὶ κυρίους εἶναι, νενοθευμένων <δὲ> ἡμῖν ἐντεῦθεν συναλλαγμάτων ἐπλήσθη τὸ πολίτευμα, καὶ παρίασι μάρτυρες ἀκινδύνως ψευδόμενοι καὶ ὅτι κυρίαν ἐκάλει τὴν συνοικοῦσαν ὁ ἀνὴρ κἀκείνη τοῦτον ὁμοίως ὠνόμαζε, καὶ οὕτως αὐτοῖς πλάττεται συνοικέσια καὶ μὴ ταῖς ἀληθείαις συστάντα· τοῦτο ᾠήθημεν χρῆναι κατὰ τοὺς φυσικοὺς διορίσαι νόμους. ἴσμεν γάρ, εἰ καὶ σωφροσύνης ἐσμὲν ἐρασταὶ καὶ ταῦτα τοῖς ἡμετέροις νομοθετοῦμεν ὑπηκόοις, ἀλλ’ οὐδὲν εἶναι μανίας ἐρωτικῆς σφοδρότερον, ἣν ἐπισχεῖν φιλοσοφίας ἐστὶν ἀκριβοῦς, νουθετούσης τε καὶ πηδῶσαν καὶ σφαδάζουσαν τὴν ἐπιθυμίαν ἐπεχούσης· ὥστε οἱ τούτῳ κεκρατημένοι τίνος ἂν ἀπόσχοιντο ῥήματος πρὸς τὰς ὧν ἐρῶσιν, ὅπερ αὐταῖς οὐ διὰ κολακείαν προσάγουσι; τοιγαροῦν τοσοῦτον καὶ οἱ πρὸ ἡμῶν νομοθέται τὰς τοιαύτας ἠπίσταντο τῶν ψυχῶν διαθέσεις, ὥστε καὶ τὰς ἐν γάμῳ κωλύουσι δωρεάς, ἵνα μὴ τῇ τῆς ἐπιθυμίας νικηθέντες ὑπερβολῇ λάθοιεν κατὰ μικρὸν ἑαυτοὺς οἱ συνοικοῦντες τῆς οὐσίας ἀφαιρούμενοι. ταῦτα οὖν σώφρονι νόμῳ διαθεσμοθετῆσαι καλῶς ἔχειν ᾠήθημεν. (Dat. non. Iun. CP. imp. dn. Iustiniani pp. Aug. ann. XII Iohanne v. c. cons. ind. I.τοῦ  ἔτους).

[68] Circa questo richiamo alla legge naturale, cfr. Luchetti, Il matrimonio cum scriptis e sine scriptis nelle fonti giuridiche giustinianee, cit., p. 49 n. 354 (= Contributi di diritto giustinianeo, cit., pp. 73-74 n. 49), che invero lo ritiene sorprendente e poco attinente alle disposizioni in questione e Waldstein, Ius naturale im nachklassischen römischen Recht und bei Justinian, cit., pp. 56-57. Più in generale, sul concetto di natura nella legislazione giustinianea novellare, cfr. ampiamente G. Lanata, Legislazione e natura nelle Novelle giustinianee, Napoli, 1984, p. 165 ss.

[69] Cfr. supra p. 196 e n. 65 (ma sulla riducibilità di Nov. 74 a un’etica matrimoniale cristiana, vd. infra quanto detto subito nel testo).

[70] Il riferimento pare doversi intendere in senso stretto, con riguardo agli influssi del neoplatonismo su questa legislazione (sul punto si tornerà a seguire nel testo): cfr. Lanata, Legislazione e natura nelle Novelle giustinianee, cit., pp. 234-235 e, più ampiamente, Ead., I figli della passione. Appunti sulla Novella 74, in Atti dell’Accademica Romanistica Costantiniana. VII Convegno Internazionale, cit., p. 489 ss. (= Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, cit., p. 95 ss.). Secondo Waldstein, Ius naturale im nachklassischen römischen Recht und bei Justinian, cit., p. 56 e n. 234, si tratterebbe della filosofia stoica.

[71] È incerto se qui sia stato tenuto presente D. 24, 1, 1 (su cui vd. supra pp. 176-177): vd. sul punto R. Bonini, Il Manuale Novellarum del Van der Wal (con alcune considerazioni tra Novelle e Digesto), in AG 170.1-2 (1966), p. 205 (= Contributi di diritto giustinianeo (1966-1976), Bologna, 1990, p. 16), che avanza alcuni dubbi circa la precipua presa in considerazione (comunque considerata di scarsa rilevanza) del passo ulpianeo; nello stesso senso Luchetti, Il matrimonio cum scriptis e sine scriptis nelle fonti giuridiche giustinianee, cit., p. 354 n. 52 (= Contributi di diritto giustinianeo, cit., p. 74 n. 52). Diversamente vd. Misera, Die Zeugnisse zum Grund des Schenkungsverbots unter Ehegatten, cit., p. 412, il quale sottolinea che qui, come motivo del divieto di donazione tra coniugi, al posto dell’‘amor’, c’è l’‘ἐπιθυμία’ (parallela alla ‘μανία ἐρωτική’), mentre in C.I. 5, 3, 20, 4 (a. 531-533), si parla di ‘libido’. Sul richiamo alle antiche disposizioni in materia di donazione tra coniugi, vd. anche Lanata, I figli della passione. Appunti sulla Novella 74, cit., p. 491 (= Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, cit., p. 98).

[72] Cfr. in tal senso e ampiamente il già menzionato contributo di Lanata, I figli della passione. Appunti sulla Novella 74, cit., p. 487 ss. (= Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, cit., p. 93 ss.), che ha sviluppato alcune riserve circa il generico inquadramento di Nov. 74, 4 in un contesto di etica matrimoniale cristiana. Pur con la dovuta cautela, l’a. ha messo in rilievo che il ‘furor amoris’ proposto nella legislazione giustinianea – assieme ad altri elementi quali il binomio castitas/concupiscentia, il compito attribuito alla filosofia di frenare le pulsioni, la passione ‘insiliens atque inhaerens’ – può trovare piena spiegazione nella dottrina della passione erotica platonica espressa del mito di Fedro, particolarmente in auge nel neoplatonismo tardo-antico (e, a tal proposito, Lanata menziona maestri quali Proclo e Olimpiodoro). Esclude un influsso da parte del cristianesimo anche Waldstein, Ius naturale im nachklassischen römischen Recht und bei Justinian, cit., p. 56 e n. 234, benché, come già detto, ritenga trattarsi più propriamente di un’influenza da parte della scuola stoica.

[73] Oltre a quanto detto supra p. 199 con riguardo a Nov. 74, 4, vd. anche i riferimenti neoplatonici presenti nella Nov. 22 sulle seconde nozze ben evidenziati da G. Lanata, L’immortalità artificiale. Appunti sul proemio della Novella 22 di Giustiniano, in Serta Historica Antiqua, II, Roma, 1989, p. 259 ss. (= L’immortalità artificiale. Appunti sulla Novella 22, in Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, cit., p. 85 ss.).

[74] Cfr., ad esempio, Plut. amat. 752a.

[75] In tal senso, vd. L. Chiazzese, Confronti testuali. Contributo alla dottrina delle interpolazioni giustinianee, in AUPA 16 (1931), pp. 402-403 e 458 (come estratto autonomo con la medesima impaginazione: Cortona, 1933); B. Biondi, Il diritto romano cristiano, III, La famiglia – rapporti patrimoniali – diritto pubblico, Milano, 1954, p. 142; A.D. Manfredini, Il matrimonio degli anziani e la legge Giulia e Papia, in BIDR 100 (1997), p. 275.

[76] Di tutti questi aspetti mi sono occupata in Pezzato, Si sanctitas inter eos sit digna foedere coniugali. Gli apporti patrimoniali alla moglie superstite in età tardoantica e giustinianea, cit., p. 125 ss., cui rinvio per una dettagliata disamina delle complesse questioni menzionate. 

[77] Nella Vulgata, ad esempio, ‘amo’ compare 51 volte e ‘amor’ soltanto 20: cfr. s.v. Amo, in C.T. Lewis, A Latin Dictionary, Oxford, 1879 (e successive ristampe). Sul punto, vd. in ispecie Pétré, Caritas. Étude sur le vocabulaire latin de la charité chrétienne, cit., pp. 59-60.

[78] In argomento, vd. ampiamente Pétré, Caritas. Étude sur le vocabulaire latin de la charité chrétienne, cit., p. 79 ss., ripresa anche da C. Mohrmann, Linguistic Problems in the Early Christian Church, in VC, 11.1 (1957), p. 33 e Fliedner, Amor und Cupido. Untersuchungen über den römischen Liebesgott, cit., p. 26. In marito all’‘amor’ di S. Ambrogio, cfr. anche R.T. Otten, Amor, caritas and dilectio: some observations on the vocabulary of love in the exegetical works of St. Ambrose, in Mélanges offerts à Mademoiselle Christine Mohrmann, Utrecht-Anvers, 1963, p. 73 ss., che sottolinea comunque che “for civic and conjugal love, caritas is the only term employed” (p. 83 e vd. n. 38). Sant’Agostino, in particolare, utilizza indifferentemente ‘amor’”, ‘caritas’ e ‘dilectio’; cfr., ad esempio,l’emblematico passo delde civ. Dei, 14, 7: “Hoc propterea commemorandum putavi, quia nonnulli arbitrantur aliud esse dilectionem sive caritatem, aliud amorem. Dicunt enim dilectionem accipiendam esse in bono, amorem in malo”. Sul punto vd., in ispecie, A. Nygren, Den kristna kärlekstanken genom tiderna. Eros och Agape2, II,Stockholm, 1947, pp. 368-370 (in lingua italiana ma basata sulla traduzione tedesca alla prima edizione del 1936,vd. Eros e agape. La nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, trad. ital. a cura di N. Gay, Bologna, 1990 [rist. 2011], pp. 568-570) e Id., Die Ehrenrettung von amor bei Augustin, in ΔΡΑΓΜΑ. Martino P. Nilsson A.D. IV Id. Iul. anno MCMXXXIX dedicatum, Lund, 1939, p. 367 ss.

[79] Vd. W.J. Henderson, Amor and Related Words in Prudentius, in Acta Patristica et Byzantina 10.1 (1999), pp. 104-127. Circa le poche e oscure informazioni in merito alla carriera di Prudenzio, vd. in ispecie L. Alfonsi, Sulla militia di Prudenzio, in Virgiliae Christianae 13.3 (1959), p. 181 ss. e I. Lana, Due capitoli prudenziani. La biografia - la cronologia delle opere - la poetica, Roma, 1962, pp. 10-23.

[80] Flavio Antemio Isidoro rivestì la carica di praefectus urbis Constantinopoleos dal 410 al 412, per poi divenire prefetto del pretorio dell’Illirico nel 424 e dell’Oriente dal 435 al 436, anno in cui fu anche console. Su tale figura, vd. Martindale, s.v. Fl. Anthemius Isidorus (9), in The Prosopography of the Later Roman Empire, II, A.D. 395-527, Cambridge, 1980, pp. 631-633.

Pezzato Elena



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