fbevnts The Motherhood of God

La maternità di Dio

12.07.2024

Salvatore Berlingò*

 

La maternità di Dio**

 

English title:The Motherhood of God

DOI: 10.26350/18277942_000188

 

Questo breve saggio (“Una modesta proposta…”, se mi è consentito parva componere magnis![1]) intende offrire un contributo al fine di onorare la Beata Vergine del Rosario di Pompei e, ad un tempo, si propone di dare il giusto rilievo (nei termini in cui lo meritano, più di quanto non sia ancora avvenuto) ad alcuni fra i temi ricorrenti nel Magistero di Papa Francesco: quello della Chiesa in uscita[2], quello della Chiesa Famiglia di famiglie[3] e quello della Sinodalità, quale attiva partecipazione alla vita della Chiesa da parte dell’intera compagine ecclesiale in tutte le sue componenti[4].

Si tratta, nel complesso, di una prospettazione ecclesiologica, che, pur rifacendosi alle caratteristiche originarie delle prime comunità dei fedeli in Cristo, innova profondamente rispetto ad uno stereotipo consolidatosi di seguito progressivamente nel corso dei secoli, secondo tratti sempre più “patriarcali”, gerarchici e verticistici[5].

È vero che anche tali ultimi caratteri potrebbero trovare una qualche inopinata risonanza in autorevoli e tradizionali locuzioni, persino nell’esordio del Cantico di Frate Sole, in cui si rende omaggio all’Altissimu, onnipotente, bon Signore, in sostanza esaltando, nella figura dell’Altissimo, Dio Padre, o se si preferisce, la Paternità di Dio.

Al riguardo, non sono, però, mancati pronunciamenti pontifici che alla Paternità hanno accostato pure una sorta di Maternità di Dio, quasi a voler introdurre un temperamento della previa, paternalistica, raffigurazione. Papa Giovanni Paolo I così si esprimeva: «Noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre»[6]. Gli faceva eco, dopo qualche anno, Giovanni Paolo II: «Il padre misericordioso della parabola [del Figliol prodigo] contiene in sé, trascendendoli, tutti i tratti della paternità e della maternità. Gettandosi al collo del figlio mostra le sembianze di una madre che accarezza il figlio e lo circonda del suo calore»[7].

Tuttavia, più di recente, Benedetto XVI ha tenuto a precisare che il lemma Maternità di Dio non trova espressi riscontri in seno al testo biblico: «Se nel linguaggio plasmato a partire dalla corporeità dell’uomo l’amore della madre appare inscritto nell’immagine di Dio, è tuttavia anche vero che Dio non viene mai qualificato né invocato come madre, sianell’Antico che nel Nuovo Testamento. Madre nella Bibbia è un’immagine ma non un titolo di Dio»[8].

Dunque, ove si intenda individuare un modulo complementare rispetto a quello della Paternità di Dio o di Dio Padre - sia per uniformarsi al nuovo paradigma ecclesiologico prospettato da Papa Francesco, ma pure sulla base di quanto asserito proprio dal n. 239 del Catechismo della Chiesa cattolica, richiamato in nota appena sopra, secondo cui la «tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura » - ci si può senz’altro giovare del riferimento a Maria, cui, nella preghiera che emblematicamente Le si rivolge, Ave Maria, viene attribuito, in modo inequivoco, il titolo di Madre di Dio.

Lo stesso Benedetto XVI coglie mirabilmente, del resto, il nesso tra la figura e la qualifica della Maternità di Maria, venerata dal Cristianesimo, con la Figliolanza del Cristo, e quindi con la Paternità di Dio, osservando: « “Madre di Dio”, Theotokos, è il titolo attribuito ufficialmente a Maria nel V secolo, esattamente nel Concilio di Efeso del 431, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, nel contesto delle accese discussioni di quel periodo sulla persona di Cristo. Si sottolineava, con quel titolo, che Cristo è Dio ed è realmente nato come uomo da Maria: veniva così preservata la sua unità di vero Dio e di vero uomo. In verità, quantunque il dibattito sembrasse vertere su Maria, esso riguardava essenzialmente il Figlio. Volendo salvaguardare la piena umanità di Gesù, alcuni Padri suggerivano un termine più attenuato: invece del titolo di Theotokos, proponevano quello di Christotokos, “Madre di Cristo”; giustamente però ciò venne visto come una minaccia alla dottrina della piena unità della divinità con l’umanità di Cristo. Perciò, dopo ampia discussione, nel Concilio di Efeso del 431, come ho detto, venne solennemente confermata, da una parte, l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella persona del Figlio di Dio (cfr. DS, n. 250) e, dall’altra, la legittimità dell’attribuzione alla Vergine del titolo di Theotokos, Madre di Dio (ibid., n. 251)»[9].

Il riferimento a Maria è, inoltre, prezioso in ordine al perseguimento di un ulteriore obiettivo caro a Papa Francesco, come può evincersi in modo inequivocabile dal capo VIII della Enciclica Fratelli tutti, e cioè la necessità di riannodare le fila di un produttivo rapporto fra tutte e tre le religioni rivelate: l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo.

Per quel che riguarda gli Ebrei, a parte la storica visita compiuta dal Pontefice alla Comunità ebraica di Roma, il 18 gennaio 2016, vale ricordare che il 2 febbraio scorso Papa Francesco ha indirizzato a  Karma Ben Johanan, teologa del dialogo ebraico-cristiano, un Messaggio in cui si sottolinea come la relazione che lega la Chiesa al popolo di Israele sia «particolare e singolare, senza mai oscurare, naturalmente, il rapporto che ha con gli altri, e l’impegno anche nei loro confronti» (il riferimento è a tutti i popoli che abitano la Terra Santa, israeliani e palestinesi); concludendosi il Messaggio con la preghiera: «Prevalga in tutti il desiderio della pace».

Quanto, infine, ai rapporti con l’Islam è sufficiente ricordare la firma, in data 4 febbraio 2019, del Documento sulla Fratellanza umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune da parte del Papa e del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

    

Ebbene, proprio nel quadro della ricomposizione dei rapporti appena delineata, di essa può implementarsene la valorizzazione sottolineando il rilievo, per quanto diverso, che alla figura di Maria è riservato da tutte e tre le religioni bibliche; pur essendo ovvio che a quell’unica figura si ricollegano, nelle diverse tradizioni religiose, oltre che trascurabili varianti lessicali, anche accezioni plurime in ordine ai contenuti.

Infatti, Maria è presente con il nome di Maryam nella tradizione religiosa islamica e con il nome di Miriam nelle fonti ebraiche.

Riguardo all’Islam, in esso si accentua la circostanza della sottomissione al Padre, da cui Maria trae origine: Maryam bint 'Imran = Maria figlia del Padre. Mentre per quel che concerne le fonti ebraiche, il discorso è reso più complicato dalla circostanza del giudizio negativo riservato a Gesù, che si riverbera sulla figura della Madre. Vi è, però, un filone interpretativo che fa capo alle Toledot Yeshu = Storie di Gesù, ossia alle narrazioni in cui, pur continuando a considerarsi Gesù come frutto di un adulterio, Miriam non è però ritenuta una peccatrice: sarebbe piuttosto la vittima innocente di un inganno, per avere una persona assunto, nell’unirsi a Lei, le sembianze del coniuge legittimo.

In ogni caso, le varie identità delle quali si è detto fanno tutte capo, quantunque con  le variazioni linguistiche e di contenuto cui si è accennato (Maryam, Miriam), allo stesso nome ed alla medesima figura (Maria): quindi, può non arbitrariamente sostenersi come ad esse sia sottesa un'unica sostanza, che fra queste pur diverse identità idiomatiche induce una mutua relazione, coniugando insieme paternità/maternità, e accostando siffatta coppia genitoriale ad una filiazione-generazione, depurata di ogni senso di colpa e iscritta nel misterioso, perenne, svolgersi dell' eterno ‘femminino’, quale continua ed innocente (o, se si preferisce, immacolata), non già in sé conclusa re-cezione, ma creativa ed aperta  con-cezione[10].

 

 

Abstract: In the conciseness allowed by a short essay, together with some remark on the ecclesiology of Pope Francis, an attempt is made to give an account of the use of the name of Mary, through which, although with some terminological and content variations, in all three Abrahamic religions we can understand the connection between the Fatherhood of God, the Sonship of Christ and the Motherhood of Mary, the Blessed Virgin of the Rosary, Venerated Patron of the Sanctuary of Pompeii.

 

 

Key Words: Fatherhood/motherhood of God - Abrahamic Religions - Name of Mary - The Shrine of Pompeii - Blessed Virgin of St. Rosary.

 

 


* Già Rettore dell'Università per stranieri Dante Alighieri (s.berlingo@unidarc.it).

** Il contributo è stato accettato dalla Direttrice che augura, a nome suo e della rivista Jusonline dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, buon lavoro al prossimo Congresso Nazionale dell’Associazione Canonistica Italiana. La sede lodevolmente prescelta per lo svolgimento del 54° Congresso Nazionale dell’ASCAI mi induce, a margine delle tematiche programmate per i lavori del Convegno (che pure attengono a fattori relativi alla famiglia), ad onorare con questo scritto la Venerata Patrona del Santuario di Pompei, la Beata Vergine del Rosario, Madre di Dio e Madre nostra.

1 Si evoca nel testo il titolo di un famoso pamphlet satirico con cui l’Autore irlandese JONATHAN SWIFT nel 1729 sferzò, in modo paradossale, l’inerzia della classe politica inglese del tempo, indifferente a fronte della arretratezza delle condizioni socio-politiche del suo Paese.

2 Evangelii Gaudium, n. 24.

3 Amoris laetitia, n. 87. In argomento cfr., da ultimo, G. GAMBINO, La dimensione apostolica della Chiesa domestica, in La missione evangelizzatrice della famiglia, a cura di M. A. ORTIZ, Edusc, Roma, 2024, 31 ss.

4 Cfr. in proposito quanto riportato in www.vatican.va  sulla celebrazione della Messa di apertura del percorso sinodale, il 10 ottobre 2021 e dell’Angelus, il 16 ottobre 2021.

5 Cfr. E. E. GREEN, Dio, il vuoto e il genere, Claudiana, Torino, 2023.

6 In www.vatican.va: Angelusdel 10 settembre 1978.

7 In www.vatican.va:Udienza dell’8 settembre 1999, nel commentare la parabola del Figliuol prodigo.

8 Cfr. BENEDETTO XVI (JOSEPH RATZINGER), Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2008. In argomento può altresì riferirsi il contenuto del n. 239 del Catechismo della Chiesa Cattolica:«Chiamando Dio con il nome di Padre, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, pur essendone l’origine e il modello: nessuno è padre quanto Dio».

9 In www.vatican.va:Udienza generale del 2 gennaio 2008.

[10] In modo anologo il brano con cui Paolo si rivolge a Timoteo affermando: «Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi» (2 Timoteo, 4, 7) - di frequente richiamato pure da chi si definisce non credente (in Dio) - erroneamente è inteso nel senso dell’evocazione di una esistenza in sé conclusa, anzi che essere interpretato quale sottolineatura dell’attributo di un’esperienza portata a termine ma non esausta, perché fruttuoso alimento di una fiducia spendibile in ulteriora! Difatti, continua l’Apostolo, anche quando «delibor» (ossia quando «il mio sangue sarà sparso in libagione»), «et tempus resolutionis meae instat» («incombendo il tempo del mio venir meno»), «reposita est mihi corona iustitiae, quam reddet mihi Dominus in illa die iustus iudex» («è tenuta in serbo per me la corona di giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno»). Una prerogativa, per altro, che il Signore riserva non solo a Paolo, «sed et iis, qui diligunt adventum Eius» («ma anche a tutti coloro che sono gratificati dal Suo avvento»): rendendosi latori della “buona novella” (eu-anghelíôn) presso le future generazioni, nei termini in cui assumono il ruolo di fedeli discepoli dell’Apostolo e di scrupolosi e diligenti allievi del Maestro.

Berlingò Salvatore



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9 Berlingo.pdf
 

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