La competitività dei mercati dei capitali sostenibili: l’anello mancante dei rimedi di private enforcement
Giulia Schneider*
La competitività dei mercati dei capitali sostenibili:
l’anello mancante dei rimedi di privateenforcement**
English title: The competitiveness of sustainable capital markets:
the missing link of private enforcementremedies
DOI: 10.26350/18277942_000177
Sommario: 1. Il greenwashing finanziario alla ricerca di rimedi tra normative settoriali e rimedi civilistici generali: il punto di partenza delle ESAS. 2 Il caso dei prodotti finanziari sostenibili e i nuovi rischi di investimento connessi al greenwashing. 2.1. Le fattispecie di prodotti finanziari sostenibili. 2.2 Il modello di vigilanza ai sensi del regolamento europeo sui green bonds. 3. Le dimensioni del danno da greenwashing e la tutela dell’investitore. 3.1 L’incerta fisionomia del danno da greenwashing. 4. La prospettiva mancante del private enforcement per danni da investimento sostenibile: una chiave per la vigilanza.
1. Il greenwashing finanziario alla ricerca di rimedi tra normative settoriali e rimedi civilistici generali: il punto di partenza delle ESAS
Sin dalle sue prime mosse, la Strategia sulla finanza sostenibile ha inteso orientare i mercati europei verso un nuovo obiettivo di politica economica: quello di incanalare la circolazione dei capitali verso investimenti sostenibili[1]. Così concepito, il progetto di transizione finanziaria attribuisce al mercato dei capitali la funzione premiante di veicolare risorse alle imprese più virtuose (anche) sotto il profilo della sostenibilità.
Dal canto suo, la vis uniformante delle misure volte a rimuovere gli ostacoli alla “spontanea” adesione degli operatori di mercato a progetti E-S-G si profila come ulteriore tassello nella – ad oggi faticosa– costruzione di una unione dei mercati di capitali europea[2]. Attraverso il paradigma di finanza sostenibile, quella europea dovrebbe essere destinata, secondo le intenzioni del regolatore eurounitario, a distinguersi da altre piazze finanziarie proprio per una visione di lungo periodo sensibile alla stretta interdipendenza tra dato quantitativo finanziario ed elemento qualitativo della tutela dei fattori di sostenibilità.
Sennonché la convergenza verso l’attivazione– lato imprese– di canali di finanziamento qualificati in senso valoriale e l’attrazione – lato investitori– a siffatto tipo di investimenti, sta rivelando profili di irrisolta complessità. E ciò malgrado alcuni interventi normativi volti a stimolare fattualmente le linee programmatiche ora descritte: tra queste degne di particolare menzione sono la classificazione delle attività sostenibili sotto il profilo ambientale ai sensi della Tassonomia, e la riforma del regime normativo della disclosure non finanziaria ora delineantesi nelle più ottimistiche vesti della “rendicontazione di sostenibilità”.
Sul primo versante, il prisma classificatorio del Regolamento Tassonomia[3] mira a fornire una maggiore certezza giuridica e operativa, nello specifico ramo ambientale, delle attività giudicate sostenibili dall’ordinamento emergente, sì da abbassare, a monte, i costi della individuazione delle stesse, e da aumentare, a valle, gli incentivi ad accedere (in ipotesi anche dall’estero) al mercato dei capitali europeo a fini di investimenti sostenibili, grazie alla più facile comparabilità delle diverse opportunità d’investimento.
Il sistema classificatorio iniziato dal Regolamento Tassonomia costituisce, dal canto suo, il piedistallo attuativo della disciplina in materia di rendicontazione di sostenibilità. Con la corporate sustainability reporting directive[4] sembra giunto a piena maturazione un processo di torsione telelogica dello strumento dell’informativa al mercato che da mezzo neutrale di riduzione delle asimmetrie informative, e dunque contrattuali, in funzione del rafforzamento di una fiducia nel mercato e nelle capacità autocorrettive di questo, diviene (anche) veicolo di un modello di sviluppo economico direttamente forgiato dalla manus longa del regolatore.
Come precisato dai considerando della direttiva ora evocata, l’informativa al mercato su come gli emittenti[5] gestiscono i fattori di sostenibilità, dovrebbe fornire agli investitori una maggiore comprensione sui “rischi e le opportunità che le questioni di sostenibilità presentano per i loro investimenti e l'impatto di tali investimenti sulle persone e sull'ambiente”[6], al fine di plasmarne le preferenze di sostenibilità[7]. A fianco della categoria degli investitori professionali, comunemente associati ad una maggiore sensibilità verso istanze di lungo periodo[8], una particolare attenzione verso questioni di sostenibilità è riconosciuta da recenti studi empirici anche ai più giovani risparmiatori afferenti alle generazioni dei c.d. Millennials e Gen Z[9].
Il progetto normativo ed economico ora delineato ha tuttavia posto il suo baricentro prevalentemente sulla prospettiva (micro-economica) dell’attivazione di flussi finanziari orientati a obiettivi ESG, mancando di considerare, almeno ab origine, l’aspetto (invero preliminare) della correttezza del processo informativo relativo ai nuovi strumenti di investimento “sostenibili”; della produzione di dati e comunicazioni affidabili in materia; nonché della tutela rimediale dei rischi di informazione inesatta in materia di gestione dei fattori ESG.
La questione è emersa con particolare problematicità rispetto a prodotti finanziari in vario modo volti al perseguimento di obiettivi ecosostenibili. Sebbene l’offerta di simili prodotti sia stata individuata nel Regolamento Tassonomia come un efficace strumento per indirizzare gli investimenti privati verso attività sostenibili, è presto apparso il rischio di strumentalizzazione delle caratteristiche di sostenibilità dichiarate rispetto al prodotto messo sul mercato sì da ottenere un vantaggio sulla concorrenza in modo sleale[10].
È quanto illustrato nel recente report IOSCO Supervisory Practices to Address Greenwashing, ove in aggiunta alle pratiche di greenwashing relative alla infondata enfatizzazione di caratteristiche di sostenibilità dei prodotti offerti, si pone attenzione a due più recenti derivazioni della suddetta condotta, tra di loro molto vicine, ossia il c.d. greenhushing e greenbleaching[11]: il primo consiste nel nascondere le caratteristiche di sostenibilità per eludere il controllo degli investitori, mentre il secondo attiene alla scelta di non dichiarare alcune caratteristiche di sostenibilità dei prodotti o servizi finanziari offerti per evitare requisiti normativi aggiuntivi e ridurre così il rischio legale[12]. Così definite, entrambe queste condotte sono volte ad eludere in particolare gli obblighi informativi in materia di sostenibilità ed il giudizio del mercato che ne deriva.
Sia in quest’ultima versione a “ribasso” sia nella più nota forma di celebrazione “a rialzo”, gli atti di gestione scorretta delle informazioni di sostenibilità possono esplicarsi a vari livelli, potenzialmente irradiandosi dalla dimensione specifica dei singoli prodotti o servizi finanziari offerti sino alla “immagine” generale che l’impresa restituisce di sé al mercato, tramite i documenti ufficiali come ad esempio, le rendicontazioni di sostenibilità contenute nella relazione sulla gestione, ovvero tramite comunicazioni informali degli amministratori o dichiarazioni di marketing pubblicate sui canali digitali dell’impresa stessa. Per quanto riguarda lo specifico comparto della gestione del risparmio, l’apparente connotazione di sostenibilità di un’impresa finanziaria ha finito per riguardare finanche la denominazione dei fondi[13] per effetto di una impropria applicazione dei requisiti di classificazione di cui alla SFDR[14].
Le diverse fattispecie ora ricordate si sono ben presto rivelate idonee a incrinare il fisiologico meccanismo d’incontro tra offerta (non sempre affidabile) dei canali di finanziamento della transizione e relativa domanda, prospettando la correttezza del processo di produzione e comunicazione dell’informazione in materia di sostenibilità come antecedente logico e fattuale della spinta regolatoria verso la destinazione di capitali su progetti di sostenibilità.
Proprio rispetto al disegno di mercati di capitali sostenibili, la trasparenza e la correttezza, verso gli investitori, dei comportamenti di gestione dei fattori ESG si pongono invero a diretto fondamento della stabilità di un ordine economico ove si riconoscono gli effetti sistemici dei rischi di sostenibilità, nonché della competitività dello stesso[15]. E ciò sia a livello per così dire di mercato unico dei capitali “interno”, sia in prospettiva internazionale.
Da entrambe le prospettive, infatti, la mancanza di strumenti di controllo e verifica della veridicità e fondatezza delle dichiarazioni sulla sostenibilità erode la fiducia degli investitori nei nuovi canali della finanza sostenibile, mantenendo “alte” le preferenze di investimento su settori brown, percepiti come più sicuri proprio in punto di tutela degli investitori[16]. Il rischio di distorsione informativa in materia ESG debilita inoltre l’attrattività del mercato dei capitali europeo nelle sue nuove comuni vesti “green”, rispetto ad altri mercati internazionali, ancora a forte vocazione fossile.
Le insidie così poste al buon funzionamento dei mercati dei capitali sostenibili hanno attirato i riflettori della vigilanza sul tema del greenwashing, finanche in quegli ordinamenti, come quello statunitense o inglese, ad oggi privo di una sovrastruttura normativa specificamente rivolta alla materia ESG. È ormai ben nota, ad esempio, l’ingente sanzione irrogata dalla SEC nei confronti di DWS per frode sugli investimenti di capitale falsamente presentati come orientati anche al perseguimento di obiettivi ESG[17]
In questo quadro, è interessante osservare come l’approccio delle autorità europee, che hanno variamente posto il greenwashing al vertice delle priorità di vigilanza, si sia incentrato per lo più su strategie di prevenzione del fenomeno, attraverso una partecipazione attiva all’orientamento degli ultimi sviluppi normativi volti al contrasto al greenwashing: è il caso, ad esempio, dell’introduzione del controllo di un revisore esterno in materia di rendicontazione di sostenibilità[18]; del modello complesso di vigilanza in materia di green bonds[19], e della proposta di un quadro normativo e di vigilanza delle attività di ESG rating[20]. Il corollario di questo approccio al fenomeno del greenwashing è tuttavia l’assenza, ad oggi, di sanzioni specifiche per condotte di falsa o distorta informazione ESG direttamente irrogate dalle Autorità finanziarie europee.
L’insufficienza del canale di vigilanza rispetto alle condotte di greenwashing è direttamente attestata da alcuni casi di enforcement privato azionato da alcune organizzazioni di consumatori tedesche nei confronti di istituzioni finanziarie accusate di dichiarazioni fuorvianti sulle caratteristiche dei prodotti finanziari offerti[21].
In linea con la domanda di rimedi effettivi direttamente azionabili dal “basso” della platea degli investitori, il recente report delle ESAs sul greenwashing, similmente al già citato documento della IOSCO, ha, non a caso, messo in luce la rilevanza, oltreché delle emergenti misure settoriali afferenti alla regolazione in materia di finanza sostenibile, anche degli istituti– e relativi rimedi– civilistici generali presenti nell’ordinamento, a partire dalle norme in materia di pratiche commerciali scorrette e di concorrenza sleale[22].
Il duplice piano, verticale e orizzontale, di contrasto al greenwashing prefigurato dalle Autorità finanziarie sollecita, pertanto, un approfondimento relativamente al rapporto tra quadro regolatorio in materia di finanza sostenibile e i rimedi generali offerti dal diritto civile. Tale prospettiva, appare particolarmente promettente in relazione al particolare caso delle dichiarazioni false o comunque fuorvianti relative a prodotti finanziari variamente qualificati come sostenibili.
Il fenomeno del greenwashing, scaturente da un vulnus di adesione sostanziale da parte degli emittenti alle norme del quadro in materia di finanza sostenibile[23], rivela invero i limiti di un approccio eminentemente top-down e di stampo pubblicistico a fini di creazione di un mercato di capitali sostenibili e di tutela di investitori di prodotti finanziari sostenibili. Rispetto ai c.d. green defaults un supplemento di riflessione deve dunque muoversi rispetto alla attitudine correttiva ex post, ma anche deterrente, dei rimedi civilistici generali, geneticamente volti alla risoluzione di conflitti tra soggetti privati insorgenti proprio per effetto del mancato (reale) perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse enunciati dalla normativa finanziaria settoriale[24].
Come si tenterà di dimostrare, l’individuazione di rimedi civilistici effettivi di contro alle particolari vulnerabilità dell’investitore in un contesto di mercati in transizione appare tassello necessario, in questa fase dell’evoluzione della politica finanziaria europea, per arginare (il rischio di) disallineamento tra sovrastruttura normativa in materia ESG e reale destinazione dei capitali nei mercati europei.
Alla luce delle premesse svolte, dopo una descrizione del quadro in materia di prodotti finanziari sostenibili ed i relativi rischi di greenwashing, con particolare attenzione allo specifico caso della nuova normativa europea sui green bonds, le note che seguono passeranno al vaglio le criticità dei rimedi civilistici generali di tutela dell’investitore nei mercati dei capitali sostenibili, prefigurando alcune possibili soluzioni sul piano del diritto regolatorio privato[25].
2. Il caso dei prodotti finanziari sostenibili e i nuovi rischi di investimento connessi al greenwashing
Al fine di promuovere il movimento di capitali verso investimenti sostenibili, il legislatore europeo ha integrato la considerazione dei fattori ESG nei processi di governance e distribuzione di prodotti finanziari. In questo quadro, il regime della Direttiva 2014/65/UE (la c.d. Mifid II)[26], è stato modificato tramite un regolamento[27] e una direttiva[28] appositi, volti a sensibilizzare le preferenze di sostenibilità degli investitori, aumentare la domanda di prodotti sostenibili e dunque ampliarne il mercato da parte degli intermediari[29].
Lungo queste linee, la riforma ha trasversalmente orientato il processo di offerta di (tutti) i prodotti finanziari alla considerazione di aspetti di sostenibilità, attraverso la declinazione in senso ESG delle norme di condotta e in materia di conflitti di interesse degli intermediari, nonché della valutazione di adeguatezza del prodotto[30]. In relazione a quest’ultimo profilo, come noto, è stata introdotta nel questionario ex Mifid II una domanda relativa alle preferenze di sostenibilità dei clienti. Queste ultime divengono così fattore sul quale plasmare, in aggiunta ovvero in combinazione agli orientamenti finanziari dei clienti, l’incrocio tra domanda e offerta dei prodotti finanziari[31].
Il disegno di collocazione dei prodotti finanziari – di qualsiasi natura, compresi dunque quelli destinati ad attività prive di qualsiasi nesso oggettivo con i fattori ESG – anche in base al criterio (soggettivo) delle preferenze di sostenibilità, solleva nuove istanze di tutela che si combinano a quelle tradizionali relative al profilo rischio/rendimento[32].
Innanzitutto, le preferenze di sostenibilità potrebbero essere fuorviate, a monte, dalla formulazione delle domande inserite nel questionario Mifid II, ovvero disattese, a valle, nel momento della definizione dell’offerta, lasciando agli intermediari significativi margini di discrezionalità nell’uno e nell’altro momento. Il perimetro del ben noto rischio di mis-selling di prodotti finanziari risulterebbe dunque ampliato dalla riforma richiamata, alla luce degli (inediti) scenari di una gestione scorretta delle preferenze di sostenibilità indotte o segnalate[33].
In quest’ottica, la disposizione che esclude la rilevanza del target market negativo per i prodotti sostenibili, potrebbe avere l’effetto di indirizzare prodotti di sostenibilità verso investitori che non hanno o non hanno espresso particolari preferenze di sostenibilità, ovvero addirittura le hanno escluse[34].
Ciò potrebbe avvenire nel caso in cui l’intermediario faccia (abusivamente) leva sulla connotazione di sostenibilità dei prodotti offerti per vendere prodotti propri o più costosi, ovvero per arricchire il paniere di prodotti nel portafoglio del cliente, sì da generare costi di commissione aggiuntivi a carico dello stesso.
Oltre alle ipotesi di impropria collocazione di prodotti con connotazioni (effettive o dichiarate) di sostenibilità nel portafoglio di investitori che non hanno manifestato preferenze di sostenibilità, si profila la diversa fattispecie della vendita di prodotti privi di una reale funzionalizzazione in senso ESG a investitori che ne avevano espresso la preferenza. Questa seconda variante del misselling di prodotti finanziari sostenibili è ad oggi maggiormente considerata in letteratura[35] e dalle autorità di vigilanza[36], soprattutto in relazione al profilo genetico della alterazione informativa che ne costituisce la fonte.
Di fronte ad un mercato di capitali caricato da nuove aspettative di sostenibilità, i requisiti di trasparenza sulla sostenibilità dei prodotti finanziari, previsti in chiave negativa– ossia in relazione agli impatti negativi di sostenibilità– per i prodotti degli emittenti soggetti in generale alla nuova disciplina in materia di rendicontazione di sostenibilità[37] e più granulari per quelli degli intermediari finanziari ai sensi della SFDR[38] possono rivelarsi anziché presidio, potenziale viatico di condotte idonee a fuorviare le opzioni di investitori genuinamente orientati verso progetti di sostenibilità.
L’ambivalenza del binomio trasparenza e sostenibilità è destinata a penetrare in maggiore profondità nelle dinamiche del mercato dei capitali alla luce della proposta di inserimento di requisiti sulle proprietà di sostenibilità dei titoli offerti sul mercato nel nuovo quadro del Listing Act europeo[39].
Tra gli aggiornamenti al Regolamento Prospetto[40], infatti, la proposta di un Listing Act richiede alle società che offrono al pubblico titoli di capitale o chiedono l’ammissione alla negoziazione di titoli di capitale in un mercato regolamentato di includere mediante riferimento nel prospetto, la relazione sulla gestione e la relazione sulla gestione consolidata che contengono la rendicontazione di sostenibilità, ora riformata ai sensi della CSDR.
Più specificamente, è proposta una modifica dell’art. 13 del Regolamento Prospetto, che affida ad atti delegati della Commissione europea l’onere di integrare le tabelle che definiscono le informazioni specifiche che devono essere incluse nel prospetto, tra le quali si annoverano anche informazioni riguardanti i fattori ambientali, sociali e di governance relativi ai titoli diversi dai titoli di capitale pubblicizzati come titoli che tengono conto di fattori ambientali, sociali e di governance o che perseguono simili obiettivi[41] (i.e. informazioni sull’impatto di sostenibilità di prodotti non direttamente commercializzati come sostenibili); e informazioni relative alla presenza di forme pubblicitarie che attribuiscono specifiche caratteristiche di sostenibilità a prodotti offerti sul mercato[42].
Nel disegno normativo richiamato, pertanto, sembrerebbe che l’integrazione nel prospetto delle informazioni sulla sostenibilità debba riguardare, in futuro, tutti i prodotti offerti sul mercato. Da questo angolo visuale, non può mancare di rilevarsi come il fenomeno del greenwashing – ed il connesso effetto di raggiro della domanda di prodotti sostenibili – sia destinato ad espandersi con il proliferare di canali di investimento dichiaratamente volti a perseguire istanze ESG.
2.1 Le fattispecie di prodotti finanziari sostenibili
Il ventaglio dei prodotti che hanno “come obiettivo investimenti sostenibili”, o perché prendono in considerazione, in negativo, i rischi ESG o perché promuovono, in positivo, i fattori di sostenibilità si sta espandendo, dando vita ad un mosaico di strumenti utili ad orientare le imprese (finanziarie e non) ad attrarre dal mercato dei capitali risorse variamente destinate al perseguimento di obiettivi di sostenibilità. Il risultato è che l’intero albero della struttura finanziaria d’impresa è potenzialmente arricchito di varianti “sostenibili”, a declinazione delle tradizionali fattispecie di obbligazioni, azioni e finanche di strumenti finanziari partecipativi.
In assenza (per lo più) di espresse previsioni normative volte a regolare il mercato di prodotti finanziari sostenibili, un ruolo fondamentale è stato svolto da organizzazioni private che hanno emanato standard e linee guida costituenti primi parametri di orientamento della condotta degli emittenti interessati ad accedere ai relativi mercati. È questa l’attività svolta dalla International Capital Markets Association (ICMA) che ha emanato principi in materia di c.d. green bonds[43]; social bonds[44] e anche sustainability-linked bonds[45].
Nel caso delle prime due fattispecie l’investimento obbligazionario ha quale causa finanziaria quella di sovvenzionare specifici progetti legati a obiettivi ambientali, come definiti dalla Tassonomia[46] e dai relativi atti delegati[47], ovvero ad obiettivi sociali che i regolatori europei stanno tentando di cristallizzare in una seconda Tassonomia precipuamente relativa a tematiche di sostenibilità sociale[48].
In alcuni casi sono state emessi sul mercato obbligazioni per il finanziamento di specifici progetti volti a combinare profili di sostenibilità ambientale e sociale[49].
Le obbligazioni ora ricordate devono distinguersi dai c.d. sustainability-linked bonds che sono titoli obbligazionari, sì collegati ad obiettivi di sostenibilità prestabiliti ma privi di connessione ad un progetto di sostenibilità predeterminato. I finanziamenti raccolti attraverso l’emissione del relativo titolo possono essere utilizzati per qualsiasi intervento nella sfera della sostenibilità necessario per l’emittente. Il pagamento dell’obbligazione è condizionato al raggiungimento di Sustainability Performance Targets (SPTs), misurati ex post mediante appositi KPIs[50]. L’emittente è generalmente incentivato a raggiungere i target prestabiliti, nell’area di sostenibilità di sua scelta, attraverso clausole penali (c.d. clausola di step-up) che lo costringono a pagare interessi maggiorati se gli indicatori non sono soddisfatti, ovvero clausole che consentono un pagamento di interessi diminuiti (c.d. clausola di step-down) in caso di realizzazione degli obiettivi generali posti.
Come sottolineato dalla Banca d’Italia, questi strumenti costituiscono nuovi canali di finanziamento per le PMI che non riescono ad attrarre investimenti sufficienti per la realizzazione di specifici progetti di carattere ambientale o sociale, e che possono ciononostante avviare percorsi di transizione facendo leva sugli interessi di sostenibilità degli investitori, con benefici dal punto di vista reputazionale[51].
Tuttavia, è evidente che, rispetto alla categoria dei green o social bonds, i sustainability-linked bonds rischiano di essere connessi a obiettivi di sostenibilità potenzialmente molto deboli, o comunque arbitrariamente definiti dall’emittente sì da attrarre finanziamenti aggiuntivi da una nuova porzione di investitori, ma senza attuare un reale impatto sul fronte della sostenibilità.
Sotto ulteriore profilo, il fatto che questi prodotti siano associati a interessi maggiori nel caso di mancato raggiungimento dei KPI potrebbe dare luogo a conflitti di interesse in virtù dei quali l’emittente, ovvero gli stessi investitori, potrebbero eventualmente preferire l’opzione di accrescere il valore del finanziamento, attraverso la percezione di interessi più alti, e abdicare ai dichiarati intenti di sostenibilità[52]. In altri termini, rispetto ai sustainability-linked bonds si profila come maggiore il rischio di distorsione in itinere di investimenti professati in origine come sostenibili.
La distinzione ora tracciata tra le fattispecie di green e social bonds da un lato e sustainability-linked bonds dall’altro si ripropone anche sul diverso piano dei crediti bancari[53]: la Autorità bancaria europea[54], anche dalla prospettiva della disciplina prudenziale[55], incentiva infatti una funzionalizzazione dei crediti erogati verso obiettivi di sostenibilità e dunque verso imprese che presentino un profilo di rischio ESG più ridotto[56]. L’integrazione così prospettata tra rischio di credito e rischi ESG[57] giustifica l’attivazione di finanziamenti bancari volti a soddisfare una finalità di transizione specifica, quale la modernizzazione delle prestazioni energetiche dei mezzi di produzione o il miglioramento delle componenti di sicurezza dei lavoratori di siffatti mezzi (green o social loans); ovvero finalità legate a miglioramenti della sostenibilità complessiva in linea con la transizione (sustainability-linked loans).
Al di fuori del perimetro dei titoli obbligazionari (e della variante dei finanziamenti bancari), stanno emergendo anche nuove forme di partecipazioni azionarie associate a investimenti sostenibili, come è il caso delle azioni di società che di per sé svolgono attività d’impresa qualificabili come sostenibili, quali le azioni di imprese che svolgono la propria attività nel settore dell’energia rinnovabile[58], ovvero azioni volte a finanziarie particolari linee produttive o aree di ricerca sensibili alle istanze di sostenibilità. Ancora, possono essere qualificate come sostenibili azioni che incorporano una clausola di destinazione degli utili per fini sociali, ovvero azioni destinate ai dipendenti il cui esercizio del diritto di voto in assemblea è spesso, come attestano recenti esperienze, orientato a promuovere istanze ambientali o sociali[59].
Completano infine la rosa di prodotti finanziari qualificabili come sostenibili, anche strumenti finanziari partecipativi volti ad assegnare specifici diritti di voto a terzi portatori di interesse, ovvero, per quanto concerne i diritti patrimoniali, contenenti vincoli di riserva tesi a orientare gli amministratori al perseguimento di politiche di sostenibilità.
In alternativa alle soluzioni di mercato richiamate, si sono prospettati altri canali di investimento connotati da caratteristiche di sostenibilità e che si propongono come più affidabili proprio rispetto ai rischi di mancata realizzazione degli obiettivi di sostenibilità dichiarati in partenza. Il riferimento è alla cosiddetta finanza ad impatto sociale (c.d. pay for success financing). Si tratta di forme di investimento realizzate attraverso un processo strutturato di collaborazione tra stakeholder pubblici e privati, in virtù del quale la componente pubblica individua delle aree di intervento nella sfera sociale che si reputano meritevoli di finanziamento da parte di investitori privati selezionati. Le risorse raccolte dai canali privati vengono destinate al raggiungimento di risultati sociali predeterminati dalla parte pubblica. In base al grado di riuscita della realizzazione del progetto, quest’ultima restituisce il capitale con eventuali premi[60].
Rispetto al paradigma di finanza sostenibile sopra descritto, interamente affidato alla mano privata, la finanza ad impatto si contraddistingue per il coinvolgimento determinante del settore pubblico, quale locus naturalis per il perseguimento di interessi geneticamente estranei al dominio di mercato. Alcune banche europee, come BNP Paribas[61] o Unicredit[62], hanno guardato con interesse al mercato dei social impact bonds, visti quale occasione per attrarre investitori interessati a diversificare il proprio portafoglio mediante titoli diversi da quelli azionari o obbligazionari.
Tuttavia, i costi di transazione particolarmente elevati tra settore pubblico e privato, anche per quanto riguarda il profilo della comprensione delle opportunità e dei rischi associati a questo tipo di asset, nonché la persistente assenza di metriche attendibili per la valutazione dell’impatto sociale effettivamente perseguito, stanno ponendo dei freni ad una più ampia diffusione di queste forme di investimento in partenariato pubblico-privato, giustificando l’attenzione del regolatore europeo più verso il mercato eminentemente privato di prodotti sostenibili, a partire dalla fattispecie delle obbligazioni verdi.
Il segmento, invero in evoluzione, di canali di finanziamento sostenibile nel quadro del mercato dei capitali solleva con urgenza la problematica delle misure volte ad arginare evoluzioni patologiche del rapporto di investimento discendenti da una mancata aderenza del prodotto finanziario alla causa di sostenibilità professata. L’allineamento effettivo della destinazione delle risorse finanziarie raccolte alle preferenze di sostenibilità (ove reali) degli investitori costituisce una sfida necessaria dell’attuale stato evolutivo dei mercati, anche alla luce delle nuove prospettive di cartolarizzazione delle fattispecie ricordate[63]. In tale ipotesi, diviene ancor più importante, infatti, che il sottostante oggetto dicartolarizzazione sia già dotato di caratteri che consentano di rendere affidabile il flusso informativo successivo.
Prime risposte in questo senso sono state delineate, in prospettiva di vigilanza preventiva, dal regolatore europeo nella disciplina recentemente licenziata sui green bonds, che annovera tra i suoi obiettivi principali proprio il contrasto al greenwashing nell’emergente mercato delle obbligazioni verdi. Delle soluzioni offerte in questa sede sul piano della vigilanza pubblica si darà brevemente conto nel paragrafo seguente per poi passare al vaglio il terreno, invero più problematico e meno esplorato, dei rimedi privati offerti dall’ordinamento nel caso in cui le preferenze di sostenibilità degli investitori siano disattese o fuorviate dallo stesso mercato che le ha plasmate.
2.2 Il modello di vigilanza ai sensi del regolamento europeo sui green bonds
Il legislatore europeo è intervenuto con una normativa specificamente relativa al mercato dei green bond con il Regolamento UE 2023/2631. La disciplina approvata mira a consolidare l’affidabilità dei prodotti qualificati come obbligazioni verdi, al fine ultimo di sostenere la transizione verso un mercato unico di capitali europeo mosso (anche) da investimenti sostenibili. In questi termini, occorre sin da subito osservare come l’attenzione al profilo della corretta informazione relativa alle caratteristiche e finalità delle obbligazioni verdi sia da inscriversi nella generale prospettiva promozionale del buon funzionamento del mercato dei prodotti green, che trova il suo perno nella tutela della categoria degli investitori con preferenze verso caratteristiche di sostenibilità dei prodotti finanziati.
Questo angolo visuale giustifica una regolazione più incentrata sullo strumento della vigilanza pubblica del mercato dei prodotti finanziari considerati, che sulla predisposizione di strumenti tutela del singolo investitore[64]. In quest’ottica, il regolamento de quo supplisce ad alcune delle lacune naturalmente lasciate aperte dal quadro di principi di soft law emanati da organizzazioni private come la già citata International Capital Markets Association (ICMA), particolarmente attiva nel settore dei prodotti finanziari sostenibili ma risultate scarsamente effettive nella mitigazione dei rischi di c.d. green default[65].
Proprio la reazione alle forme di autoregolazione esistenti in materia giustifica una stretta di misure di enforcement pubblico relative ad alcuni requisiti oggettivi e di trasparenza che condizionano la qualifica di un’obbligazione come verde in conformità all’etichetta europea (EuGB).
Dal punto di vista sostanziale, parimenti allo standard di cui ai Green Bond Principles dell’ICMA, si prevede che un’obbligazione verde per definirsi tale debba allocare i proventi raccolti verso attività ecosostenibili, ora prontamente individuati alla luce della categorizzazione di cui alla Tassonomia europea. Gli emittenti dovranno garantire che almeno l’85% dei fondi derivanti dalla collocazione di un’obbligazione sul mercato sia destinata ad attività economiche in linea con i criteri di ecosostenibilità[66].
Per quanto attiene ai requisiti di trasparenza rafforzata, invece, si prevede che l’emittente debba divulgare informazioni esaustive e rilevanti sulla destinazione dei proventi dei titoli. Il ciclo informativo delle obbligazioni verdi si articola in un processo tripartito che prevede una informativa precedente all’emissione da redigere; una relazione annuale sull’allocazione dei proventi; e una terza relazione finale sull’impatto generato dal progetto finanziato[67]. Infine, l’emittente è tenuto a pubblicare sul proprio sito internet tutte le relazioni e i prospetti relativi alle obbligazioni qualificate come verdi nonché la strategia sulla allocazione dei proventi delle obbligazioni[68].
Similmente a quanto sancito nella CSDR in materia di rendicontazione di sostenibilità, l’informativa in materia di green bonds ora citata deve essere soggetta alla verifica di revisori esterni soggetti alla vigilanza dell’ESMA in particolar modo in relazione ai possibili conflitti di interesse connessi all’attività di valutazione delle informazioni rilasciate[69].
I requisiti di iscrizione dei revisori in un apposito registro; di eleggibilità dei soggetti revisori nonché il relativo apparato sanzionatorio costituiscono misure preventive rispetto alla materializzazione di fenomeni di greenwashing, direttamente attivate dalla macchina del controllo pubblicistico sul mercato.
La normativa considerata sancisce infine unicamente modelli di informativa volontaria per le obbligazioni legate alla sostenibilità (sustainability-linked bonds), che saranno oggetto di valutazione ai fini di un apposito intervento legislativo da parte della Commissione europea entro il 2026[70].
Così delineata nei suoi tratti principali, la disciplina europea in materia di obbligazioni verdi si pone quale ulteriore tassello della costruzione della sovrastruttura istituzionale dell’unione del mercato dei capitali europeo, affidata alla funzione livellante della vigilanza comune.
L’obiettivo è dunque quello di superare mediante la stretta di un approccio regolatorio bottom-up, i rischi di frammentazione discendenti dalle linee di autodisciplina sin qui tracciate dagli organismi privati, per guidare la condotta degli emittenti europei al perseguimento di interessi generali del mercato comune, in specie la tutela della corretta fisionomia informativa delle operazioni di emissione di obbligazioni verdi.
Ciò che tuttavia il regolamento manca di considerare è la prospettiva della giustizia correttiva tra i soggetti partecipanti al mercato, mediante l’introduzione di norme volte alla risoluzione di conflitti, e di riparazione dei danni, eventualmente derivanti proprio dal momento informativo attinente al prodotto finanziario oggetto della regolazione[71]. In altri termini, la normativa, incentrata– a ragione– sul versante della vigilanza sulla condotta dell’emittente, non pone tuttavia alcuno strumento a supporto del private enforcement, utile a dare una maggiore certezza e stabilità al rapporto tra emittente e investitore in prospettiva micro-economica.
In questo senso, ad esempio, non vi è alcuna previsione che imponga una integrazione del rapporto obbligatorio mediante clausole apposite relative all’uso dei proventi o a diritti informativi direttamente azionabili dai portatori dei titoli obbligazionari. Considerata dalla prospettiva delle linee di vigilanza preventiva rispetto alla fattispecie patologica del greenwashing, la emissione delle obbligazioni verdi nel mercato dei capitali europeo rimane dunque ad oggi sprovvista di una più certa dimensione civilistica, rilevante in costanza della materializzazione di un danno subito dai soggetti aderenti al circuito degli investimenti sostenibili.
3. Le dimensioni del danno da greenwashing e la tutela dell’investitore
Come si è avuto modo di rilevare in apertura, il profilo della corretta formazione e comunicazione di informazioni di sostenibilità dei prodotti offerti al pubblico costituisce una precondizione essenziale per un mercato di capitali efficiente, in cui i prezzi riflettono adeguatamente il valore e i caratteri dell’investimento sottostante, e dunque per un corretto dispiegamento delle dinamiche concorrenziali tra emittenti nella collocazione di prodotti finanziari sostenibili. La dimensione sistemica dei rischi derivanti da pratiche di falsificazione informativa in materia ESG richiede, e al contempo giustifica, la costruzione di un solido impianto di vigilanza sul processo di genesi di informativa in materia di sostenibilità, che in concreto si sta articolando lungo i distinti piani della vigilanza i) sulla rendicontazione di sostenibilità, ii) sui mercati dei green bonds, e da ultimo, come prospettato dall’ESMA stessa, iii) sull’integrazione delle informazioni di sostenibilità nei prospetti.
Ciascuno dei tre livelli di vigilanza individuati sarà supportato dalla creazione di standard comuni di misurazione nella forma di rating ESG e benchmark di sostenibilità, volti a limitare condotte opportunistiche degli emittenti nello sfruttare le numerose aree grigie ancora sussistenti in relazione alla valutazione delle prestazioni di sostenibilità dell’impresa e dei prodotti offerti non solo da parte degli investitori e delle imprese concorrenti, ma anche da parte delle Autorità di vigilanza.
Su un distinto versante, occorre sottolineare come i tre piani di vigilanza ricordati muovano dalla considerazione dell’informativa di sostenibilità dal punto di vista dell’emittente, per considerare progressivamente la dimensione più particolare delle informazioni relative alle componenti ESG di specifici prodotti finanziari, come le obbligazioni green, ora disciplinate dalla normativa ricordata, fino ad arrivare al piano, ancora invero involuto, delle informazioni ESG inserite nei singoli prospetti dei prodotti finanziari. Alla luce della parabola tracciata sembra possibile affermare che le lenti della vigilanza si stiano progressivamente affinando, al fine di intercettare condotte di gestione pregiudizievole dell’informativa ESG a livello di specifici prodotti finanziari, e di raggiungere così un più alto grado di tutela del singolo investitore attratto da titoli con connotazioni di sostenibilità.
Così delineata, prendendo le mosse da una necessaria prospettiva macro-sistemica, l’evoluzione della vigilanza relativa ai rischi di greenwashing sembra preludere ad una maggiore attenzione all’intercettazione di fattispecie di pregiudizio afferenti alle singole posizioni di investimento. Si tratta di una dimensione, quest’ultima, allo stato solo genericamente considerata dai regolatori: l’ESMA, ad esempio, non manca di rilevare come la comunicazione di profili di sostenibilità non veritieri o verificabili potrebbe riflettersi in una errata attribuzione del prezzo ai prodotti offerti, o comunque in pratiche commerciali scorrette[72], senza tuttavia andare a specificare i criteri tipizzanti delle fattispecie patologiche menzionate, né tantomeno i rimedi esperibili dai soggetti lesi.
La prospettiva del private enforcement rispetto a pregiudizi derivanti dal greenwashing meriterebbe pertanto un approfondimento maggiore da parte delle Autorità di vigilanza finanziarie, in particolare alla luce della prassi di mercato che sembra volgersi nel senso di una evidente compressione degli spazi di reazione degli investitori lesi nei propri interessi– finanziari e non– di sostenibilità.
Dati rilevanti a tal riguardo sono offerti ancora una volta dal mercato delle obbligazioni verdi. Alcuni studi empirici dimostrano infatti che gli emittenti di green bonds spesso cercano di ridurre, se non anche direttamente escludere, la propria responsabilità in caso di c.d. green defaults, ossia nel caso in cui i proventi dell’investimento promosso non siano destinati alle finalità di sostenibilità prefigurate in origine[73]. Risultano infatti frequenti le clausole con cui gli emittenti escludono qualsiasi legittima azione da parte degli investitori per mancato raggiungimento degli obiettivi ESG prefissi, dichiarando che tali ipotesi non integrano un inadempimento contrattuale dell’emittente nei confronti dell’investitore[74]. Eventuali contestazioni in questo senso sono a monte arginate dalla dichiarazione che i risultati dell’investimento potrebbero essere diversi da quelli rappresentati nel prospetto; che gli obiettivi di sostenibilità non sono vincolanti per il management, il quale rimane libero di cambiarli o deviare da questi (senza che siano nemmeno indicati dei criteri di esercizio di simili facoltà discrezionali del management)[75].
La responsabilità contrattuale viene infatti solitamente riconosciuta unicamente nel caso di inadempimento di prestazioni pecuniarie dell’emittente, mentre nulla è generalmente sancito in merito agli obblighi dell’emittente stesso di informare l’investitore circa il raggiungimento dei target prestabiliti, né tantomeno circa le operazioni di verifica esterna eventualmente sollecitabili dall’investitore in merito al raggiungimento di siffatti target[76]. Nella disciplina del rapporto dell’obbligazione verde intercorrente tra emittente e investitore, appare pertanto trascurato, in punto di prassi di mercati, il piano informativo: l’assenza di adeguata documentazione fornita all’investitore sul progetto di sostenibilità finanziato si pone quale primo ostacolo per così dire fattuale all’esperimento di rimedi non solo contrattuali, ma anche extracontrattuali da parte dell’investitore rispetto a fattispecie di mancata realizzazione degli obiettivi dichiarati[77].
La considerazione di queste peculiarità evolutive del mercato di prodotti finanziari sostenibile propone con forza il problema della individuazione del perimetro dei rimedi azionabili dall’investitore in caso di dichiarazioni variamente idonee a fuorviare, intenzionalmente ma anche non intenzionalmente, le opzioni di investimento di soggetti aventi preferenze di sostenibilità[78]. Secondo la ricostruzione offerta dalle Autorità di vigilanza europee, i) il profilo della scorrettezza oggettiva (misconduct)[79] e ii) l’attitudine distorsiva materiale della condotta della controparte costituiscono i tratti tipizzanti delle condotte di greenwashing[80]; ed è a partire dalla considerazione di questi elementi che pare opportuno procedere all’individuazione dei rimedi azionabili direttamente dagli investitori in caso di pregiudizio derivante da un’informativa di sostenibilità non veritiera o comunque fuorviante.
A tal fine, sembra possibile isolare tre distinte fattispecie rimediali a seconda della fonte della dichiarazione fuorviante per l’investitore, ossia a seconda che quest’ultima sia contenuta nella dichiarazione non finanziaria, ora nella nuova forma della rendicontazione di sostenibilità; nel prospetto; ovvero in avvisi o messaggi afferenti alla sfera del marketing dell’intermediario.
i) Per quel che riguarda la prima ipotesi, è già stato ricordato che ai sensi della nuova CSRD, la rendicontazione di sostenibilità deve includere anche informazioni sulle caratteristiche di sostenibilità dei prodotti finanziari collocati sul mercato. La stessa rendicontazione deve essere inoltre allegata alla relazione sulla gestione[81], ciò suggerendo univocamente la qualifica delle dichiarazioni rese in quella sede come atti gestori, suscettibili di esporre l’organo amministrativo ad azione di responsabilità sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. da parte dei soci[82], inclusi, ma non solo, quei soggetti che abbiano investito in titoli di equity (qualificati secondo la ricostruzione di cui sopra come sostenibili), e che siano sensibili ai danni patrimoniali o reputazionali derivanti alla società per effetto delle dichiarazioni di sostenibilità ingannevoli; ovvero ad azione da parte dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. potenzialmente esercitabile da investitori in titoli obbligazionari verdi, sociali o ESG-linked, divenuti per effetto dell’investimento creditori della medesima società e che riescono a dimostrare che il mancato raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità connessi all’emissione delle obbligazioni suddette si sia tradotto in un pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale; ovvero ad azioni individuali del terzo (investitore) ex art. 2395 c.c.[83], che per effetto della dichiarazione non veritiera contenuta nella rendicontazione di sostenibilità abbia subito un danno derivante dall’atto (informativo) doloso o colposo degli amministratori (si pensi al titolare di strumenti finanziari partecipativi commercializzati come sostenibili i cui diritti di voto associati sono stati ammessi per decisioni risultate non realmente utili al perseguimento di obiettivi di sostenibilità; ovvero i cui proventi non sono stati destinati alle riserve “di sostenibilità” preannunciate). Se è vero che le opzioni gestorie, anche nella materia della sostenibilità, come riflesse dalla relazione sulla gestione dovrebbero essere coperte dalla business judgment rule e pertanto essere al riparo da scrutinio esterno, la natura più dettagliata delle norme di cui alla CSRD va indubbiamente a rafforzare l’elemento procedurale della formazione delle informazioni sulla sostenibilità costitutive della relativa rendicontazione, aprendo un possibile varco valutativo per quanto concerne la (s)correttezza del processo di genesi informativa in materia ESG[84].
ii) Le azioni di responsabilità ipotizzate sub i), potrebbero essere agevolate in caso di inclusione delle informazioni di sostenibilità relative al prodotto finanziario acquistato nel prospetto. Diversamente dalle dichiarazioni, evidentemente di carattere più generale, contenute nella rendicontazione di sostenibilità che per sua natura deve riflettere le strategie intraprese in materia ESG dalla prospettiva della società di per sé e complessivamente considerata (entity-level), il prospetto di uno strumento finanziario qualificato come sostenibile potrebbe contenere informazioni più dettagliate sulla funzione non solo economica ma anche sociale del singolo investimento promosso. Queste informazioni potrebbero essere pertanto più utili nella ricostruzione del pregiudizio eventualmente patito dall’investitore per effetto delle informazioni di sostenibilità false o disattese sul prodotto finanziario offerto.
A supporto di questa ipotesi sembra andare un recente Statement on ESG and Prospectus[85], in cui l’ESMA ha fornito delle prime indicazioni metodologiche in merito alla inclusione di informazioni sulla sostenibilità nei prospetti. Innanzitutto, in linea con l’approccio già espresso nella SFDR[86] e ora dalla CSDR sulla (doppia) materialità dei rischi di sostenibilità[87], l’Autorità richiede la segnalazione nel prospetto di tutti i profili di sostenibilità che possano avere un impatto materiale– dunque finanziario– sul valore dell’investimento offerto. In questo senso– si ricorda– viene in supporto il considerando 54 del Regolamento Prospetto che riconosce già che “anche circostanze di tipo ambientale, sociale e di governo societario possono costituire rischi specifici e significativi per l’emittente e i suoi titoli”, richiedendone la indicazione nel prospetto.
Tuttavia, è evidente che le modalità di presentazione di siffatte informazioni necessitino di un supplemento di attenzione regolatoria in caso di prodotti collocati sul mercato come sostenibili, o perché tengono espressamente conto di fattori ambientali, sociali o di governance (ESG) o perché mirano a perseguire dichiarati obiettivi ESG. In questa seconda ipotesi, infatti, l’investimento offerto dovrebbe, secondo le diverse gradazioni possibili, mitigare i rischi di sostenibilità dell’emittente e dunque proprio per la rilevanza materiale negativa di siffatti rischi, incidere positivamente sul valore finanziario dell’investimento, e per l’effetto dell’emittente a cui l’investimento si riferisce.
Sotto altra prospettiva, la rilevanza strutturale dei fattori ESG rispetto ad un prodotto specificamente destinato ad intercettare le preferenze di sostenibilità degli investitori sensibili a siffatte tematiche attribuisce all’investimento stesso una causa negoziale mista orientata, oltre al perseguimento di interessi finanziari, anche al soddisfacimento di interessi specificamente non finanziari dei soggetti aderenti all’offerta.
Secondo quanto precede, i tre distinti profili i) della materialità dei rischi di sostenibilità sul valore dell’investimento; ii) dell’impatto finanziario positivo di eventuali finalità ESG associate all’investimento; e infine iii) della possibile componente non finanziaria di investimenti sostenibili impongono di specificare, in relazione alla fattispecie delle informazioni di sostenibilità, il parametro di oggettività richiesto per le informazioni dedotte in prospetto[88].
Come ricordato dall’ESMA, l’obiettività implica la restituzione di una visione equilibrata dell’investimento proposto, in grado di rappresentarne sia gli aspetti positivi che quelli negativi[89]. In questa prospettiva, l’Autorità ha fornito prime indicazioni operative volte a orientare gli emittenti a circostanziare le fondamenta di qualsiasi dichiarazione relativa al profilo di sostenibilità dei titoli emessi. A scopo esemplificativo, lo Statement si sofferma sull’importanza i) dell’adesione a standard di mercato o etichette, ove esistenti, e della inclusione nel prospetto di informazioni materiali su tali standard o etichetta; e ii) del riferimento a dati scientifici e alle ipotesi sottostanti le dichiarazioni di sostenibilità, facendo riferimento a eventuali ricerche o analisi di terze parti[90].
Le indicazioni restituite dall’ESMA, ponendo le premesse per la definizione di più puntuali aspettative di vigilanza in materia di esplicitazione di parametri di sostenibilità nei prospetti, sottolineano a monte l’emersione di nuove aree di responsabilità “da prospetto” riguardanti, in ipotesi, non solo l’emittente, ma anche l’intermediario responsabile del collocamento e l’Autorità di vigilanza, e direttamente derivanti dalla mancata affidabilità, sia per quanto attiene alla dimensione di materialità, sia in relazione alla componente prettamente non finanziaria, delle informazioni di sostenibilità rese al mercato tramite nel momento dell’offerta al pubblico.
iii) A completamento del ventaglio dei rimedi in astratto esperibili dagli investitori lesi da informazioni di sostenibilità fallaci, le stesse ESAs nel citato report sul greenwashing fanno riferimento alla categoria delle pratiche commerciali scorrette, quale (ulteriore) presidio rimediale di natura generale[91], da considerare in aggiunta all’apparato sanzionatorio proprio delle normative settoriali poste a fondamento della corretta rappresentazione dell’informativa di sostenibilità sul mercato. Al contrario delle fattispecie rimediali considerate sub i) e ii), sembra potersi ravvisare l’utilità delle norme generali in materia di tutela del consumatore di cui alla Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno[92], come recepita nel nostro ordinamento nel Codice del Consumo, nel caso di dichiarazioni di marketing o di pubblicità relative ai prodotti finanziari offerti[93].
La rilevanza dello strumento delle pratiche commerciali scorrette per l’intercettazione di fattispecie di greenwashing nel settore finanziario è stata già confermata da alcuni casi decisi su suolo europeo: nell’ottobre del 2022, l’Advertising Standards Authority inglese, sollecitata da numerosi reclami, ha vietato, qualificandoli come pubblicità ingannevole, alcuni annunci di HSBC che presentavano la banca come particolarmente virtuosa nella transizione a obiettivi net zero, mancando però di menzionare ingenti finanziamenti al settore dei combustibili fossili e ad attività di deforestazione[94]. Recentemente, la Verbraucherzentrale Baden Württemberg, un’associazione di consumatori tedesca ha avviato diverse azioni legali contro istituti finanziari, accusandoli di promesse di sostenibilità non verificabili o addirittura false per promuovere i loro prodotti finanziari[95]. La Corte regionale di Berlino ha emesso un'ordinanza di cessazione e sospensione contro una società di gestione del risparmio tedesca per aver pubblicizzato una strategia di investimento sostenibile senza separare chiaramente i prodotti sostenibili da quelli non sostenibili mentre proponeva offerte di investimento ai potenziali investitori[96]. In un altro caso, il tribunale regionale di Stoccarda ha emesso una sentenza contro un'altra società di gestione del risparmio tedesca, la quale aveva inserito sul proprio sito web un cosiddetto calcolatore di impatto che mostrava le emissioni di carbonio risparmiate in relazione all'importo dell'investimento. Il tribunale ha ritenuto che le informazioni fossero fuorvianti, poiché il volume delle emissioni di carbonio indicato agli investitori era frutto di una stima approssimativa, senza che ciò fosse chiarito agli investitori[97].
Nel nostro ordinamento, la normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette, è stata infine posta a fondamento di una ingente sanzione applicata dall’AGCM, e poi confermata dal TAR del Lazio, nei confronti della pubblicità che, nella campagna ENI Diesel +, presentava dei biocarburanti come ecologici[98]. Similmente, l’AGCM ha sanzionato un ulteriore caso di greenwashing legato ad alcune dichiarazioni pubblicate sul proprio sito da parte di una società benefit operante nel settore avicolo[99].
Il richiamo alle norme in materia di tutela del consumatore e delle Autorità di vigilanza europee e della casistica richiamata ripropone la questione della applicabilità, nel nostro ordinamento, dei rimedi previsti dalla disciplina suddetta nei mercati regolati. Il quesito è ulteriormente sollecitato dalla esclusione delle fattispecie già regolate ai sensi del diritto finanziario dell’Unione dall’ambito di applicazione della proposta disciplina in materia di green claims[100].
Tuttavia, fermo restando la prevalenza delle norme settoriali in materia di informativa di sostenibilità[101], non pare infondato postulare l’applicabilità della normativa consumeristica in materia di green claims nei casi non (ancora) espressamente disciplinati dalla normativa settoriale, come è il caso delle “libere” dichiarazioni di sostenibilità contenute sui siti web o in altre dichiarazioni di marketing relativi a strumenti collocati sul mercato da emittenti o da imprese finanziarie.
Nel settore dei mercati regolati, come ben noto, la correttezza della condotta degli intermediari è oggetto di specifica disciplina ai sensi del TUF, che all’art. 21 TUF pone degli obblighi di professionalità, trasparenza e correttezza[102] posti a diretto presidio dell’adeguatezza degli strumenti offerti rispetto alle esigenze della pertinente categoria di clienti[103].
Tuttavia, fintantoché la normativa settoriale non contiene previsioni divergenti o comunque speciali rilevanti, non pare irragionevole affermare, per una sorta di specialità oggettiva relativa alla specifica fattispecie regolata (i green claims), la rilevanza dei canoni di correttezza procedurale di informazioni di sostenibilità sancite dalla disciplina consumeristica in materia di green claims – e relative, tra gli altri, ai requisiti dell’accuratezza[104], della fondatezza[105] e della veridicità certificata[106] delle informazioni di sostenibilità relativi a prodotti commercializzati come sostenibili – ai fini dell’integrazione delle norme di comportamento ex art. 21 TUF.
Così interpretati, i parametri di correttezza di cui al TUF potrebbero pertanto fondare, anche rispetto a fattispecie di dichiarazioni pubblicitarie o di marketing promozionali sul versante ESG di strumenti finanziari offerti al pubblico, autonomi giudizi di responsabilità degli intermediari, per condotte opportunistiche degli stessi, anche se non aggressive o ingannevoli, e derivanti, a seconda delle specificità del caso concreto, da lesione degli obblighi di condotta richiamati nella fase delle trattative e della formazione del contratto (art. 21, comma 1, lett. b) e c) TUF e artt. 27, comma 2 e 3; 28, comma 1 e 2 del Regolamento Intermediari); nel momento della determinazione della prestazione contrattuale dovuta (art. 21, comma 1 lett. a) TUF; art. 26 Regolamento Intermediari) e nella esecuzione dello stesso contratto avente ad oggetto i servizi di investimento offerti (art. 21, comma 1 lett. b) TUF; art. 28, comma 3 e 4 Reg. Intermediari)[107].
Nei mercati regolati, pertanto, la correttezza delle condotte degli emittenti nei confronti della clientela appare già salvaguardata dal TUF e dalla relativa normativa di secondo livello. Ciò tuttavia, non sembra escludere, almeno in astratto, l’applicabilità a simili condotte scorrette dal punto di vista informativo, anche del divieto di pratiche commerciali scorrette di cui all’art. 20 cod. cons., quantomeno quando la regolazione settoriale (come espressa nell’art. 21 TUF) non si ponga in contrasto ma converga con la disciplina consumeristica e quest’ultima fornisca pertanto strumento di tutela ulteriore rispetto alla violazione di obblighi di diligenza professionale, già previsti dalla regolazione di settore[108].
È quanto confermato dall’art. 27 cod. cons., che attribuisce all’AGCM la competenza a concretizzare il divieto di pratiche commerciali scorrette, anche con riferimento ai professionisti attivi nei settori regolati, postulando un intervento AGCM concorrente, oppure integrativo o suppletivo delle Autorità di vigilanza settoriali, all’insegna di una leale cooperazione interistituzionale, auspicabile anche proprio a fini di contrasto al greenwashing.
Secondo questa linea di ragionamento, e in linea parallela alle prospettive di enforcement pubblico da parte delle Autorità finanziarie ovvero dell’AGCM, dovrebbero pertanto essere ritenute ammissibili anche nel nostro ordinamento, come prefigurato dai citati casi tedeschi, anche azioni civili, nella forma anche di azioni collettive ai sensi della recente Direttiva UE 2020/1828[109] e prima ancora, a livello nazionale, della l. 31/2019 sui procedimenti collettivi[110], per pregiudizi da greenwashing subiti da medesime categorie di investitori, e finanche da imprese concorrenti, in alternativa in base alla normativa settoriale di cui al TUF ovvero in base alla disciplina consumeristica generale.
iv) Infine, occorre domandarsi se la restituzione al pubblico di informazioni sistematicamente false relative alle finalità di sostenibilità di uno strumento finanziario offerto sul mercato, possa costituire un “mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altruiazienda” e quindi idoneo a integrare la fattispecie della concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3 c.c.[111].
Come noto, al di fuori del perimetro dei mercati regolati, la norma è stata recentemente posta a fondamento di un’ordinanza cautelare di tipo inibitorio (poi riformata in appello) del Tribunale di Gorizia rivolta ad un’impresa produttrice di microfibre rispetto ad un messaggio pubblicitario reputato generico e idoneo a creare nel consumatore “un’immagine green dell’azienda senza peraltro dar conto effettivamente di quali siano le politiche aziendali che consentono un maggior rispetto dell’ambiente”[112].
Le stesse definizioni di greenwashing offerte dalla normativa europea mettono in luce il profilo della acquisizione di un “vantaggio sulla concorrenza in modo sleale”[113], suggerendo come asserzioni infondate in materia ESG possano avere l’effetto, oltreché di pregiudicare gli interessi (di sostenibilità) degli investitori, di creare un pregiudizio alle imprese concorrenti[114]: l’ingiustificata promozione di caratteristiche di sostenibilità dei prodotti offerti potrebbe invero artificiosamente attrarre verso l’impresa autrice della informazione scorretta una porzione di investitori che, in assenza della dichiarazione mendace, avrebbero indirizzato i propri investimenti ad altre attività economiche qualificate come sostenibili (in ipotesi ad altre imprese emittenti titoli obbligazionari connessi a progettualità verdi o sociali). Imprese genuinamente concorrenti nei mercati di strumenti finanziari sostenibili potrebbero dunque subire, per effetto della pratica informativa scorretta, una perdita di quota di mercato e con ciò un danno concorrenziale[115].
Nei mercati finanziari, il pregiudizio concorrenziale derivante da una comunicazione di sostenibilità distorta è evidentemente da ricollegare alla violazione dei sopra richiamati canoni di correttezza professionale “settoriale” di cui al TUF e in particolare all’art. 21 TUF e art. 127 TUB. Come è stato autorevolmente affermato, infatti, “la cura dell’informazione– che contrassegna tali testi (a mezzo di clausole generali e di norme di dettaglio, come pure dettate delle relative fonti regolamentari) − risulta propriamente destinata a beneficio, oltre che della clientela, anche delle imprese concorrenti (esemplari, da quest’angolo visuale gli artt. 116 e 123 Tub), sì che queste meglio possano confrontarsi sul mercato”[116].
Rispetto ad imprese tra le quali sussiste un rapporto di concorrenza economica nel mercato dei prodotti sostenibili, ancor più che nei rapporti verticali tra emittenti e investitori, i principi di correttezzaprofessionale, che costituiscono il parametro di qualificazione della slealtà dell’attivitàconcorrenziale, sembrano doversi calibrare anche sulla aderenza alle norme di trasparenza al mercato imposte dalle norme di settore ora poste dalla CSDR (nel suo impatto di riforma della disciplina dell’informativa di sostenibilità sia delle società quotate sia delle società finanziarie). Le previsioni ivi contenute si pongono infatti come standard di mercato minimi a cui tutte le imprese operanti mercati finanziari devono conformarsi al fine di consolidare la credibilità del mercato dei prodotti sostenibili e la fiducia in esso dei soggetti (in primis le imprese) che vi prendono parte. La difformità ai requisiti normativi così configurati da parte delle società emittenti di strumenti sostenibili sembra pertanto doversi a ragione considerare parametro valutativo utile a inferire la attitudine di dichiarazioni in materia di sostenibilità ad alterare gli equilibri concorrenziali promossi dal legislatore tra imprese operanti in un medesimo mercato.
In definitiva, l’accertamento della violazione dei criteri di correttezza professionale così ricostruito per quanto concerne gli emittenti di strumenti finanziari sostenibili potrà agevolare la verifica dell’idoneità della condotta informativa esaminata a colpire la posizione sul mercato di un’impresa concorrente per il tramite dello sviamento di clientela, a prescindere dall’elemento soggettivo e dall’effettiva sussistenza del pregiudizio patito. Diversamente dalle altre soluzioni rimediali sin qui tracciate rispetto a condotte di greenwashing, occorre infatti segnalare che la fattispecie di concorrenza sleale si contraddistingue per la sua funzione preventiva rispetto alla lesione del bene giuridico del corretto dispiegamento delle dinamiche concorrenziali tra imprese; funzione assicurata tramite l’azione inibitoria volta a garantire la pronta cessazione delle condotte sleali del concorrente, a prescindere dalla valutazione sulla risarcibilità del danno, che rimane esito eventuale del giudizio[117].
3.1 L’incerta fisionomia del danno da greenwashing
La ricostruzione sopra svolta del ventaglio dei rimedi in astratto esperibili da parte degli investitori lesi da informazioni inesatte o fuorvianti in materia di sostenibilità dei prodotti collocati sul mercato si scontra con lo scoglio pratico delle concrete prospettive di accertamento e dunque di ristoro dei pregiudizi da “greenwashing” allegati. E ciò a prescindere dal fatto che la responsabilità per simili condotte sia qualificata, in relazione alle diverse fattispecie prospettate, come una responsabilità di natura (pre)contrattuale o aquiliana.
Una prima criticità in questo senso attiene alla individuazione della natura del danno patito: in tutte le ipotesi rimediali considerate, infatti, il pregiudizio patito potrebbe essere innanzitutto di natura patrimoniale, derivante o dall’impatto diretto (negativo) sul valore dell’investimento di una gestione dei fattori ESG deteriore rispetto a quella dichiarata formalmente attraverso il documento di rendicontazione di sostenibilità (nella forma dunque del danno emergente); o dalle ipotesi di mancato guadagno (nella forma del lucro cessante) costituito dall’incremento del valore finanziario che avrebbe interessato l’investimento laddove il progetto di sostenibilità fosse stato effettivamente realizzato secondo le modalità prefigurate. In queste ipotesi, il danno risarcibile potrebbe essere costituito dal danno differenziale tra il prezzo pagato per sottoscrivere il titolo sostenibile e il prezzo che si sarebbe formato in caso di informazione veritiera, ovvero dall’intero prezzo versato per l’investimento poi risultato divergente dalle aspettative ingenerate dalle informazioni false[118].
La persistente incertezza da un lato nella definizione giuridica delle componenti di sostenibilità, dall’altro nelle metriche di misurazione scientifica dei relativi fattori ESG[119] si pone tuttavia a diretto ostacolo di una chiara quantificazione dei danni patiti dagli investitori di un prodotto fallacemente acquistato come sostenibile, nella duplice prospettiva della materialità dei rischi ESG e della mancata valorizzazione dell’investimento.
Diversa è inoltre la questione, se condotte di adulterazione di informazioni di sostenibilità possano essere idonee a determinare pregiudizi di natura non già strettamente finanziari, quali quelli direttamente connessi al valore dell’investimento attuato, ma di natura non finanziaria, relativi ai danni ambientali o sociali provocati dall’emittente per non aver attuato le misure di sostenibilità promesse attraverso la raccolta di finanziamenti sostenibili, e nei confronti dei quali gli investitori interessati possono vantare interessi “qualificati” appunto dal diretto coinvolgimento finanziario.
Alla luce delle diverse possibili declinazioni del danno da greenwashing così delineate appare legittimo chiedersi se le soluzioni acquisite per il ristoro dei danni da falsa informazione finanziaria siano trasponibili nella nuova dimensione delle informazioni di sostenibilità[120]. A questo riguardo, la necessità di criteri di valutazione del danno nuovi appare suggerita dalla considerazione della natura peculiare dell’informazione di sostenibilità a partire dalla quale viene a materializzarsi (eventualmente) il pregiudizio da greenwashing.
Sul versante oggettivo, non può mancarsi di osservare come, diversamente dalle informazioni finanziarie per lo più rivolte al passato o comunque, anche se di natura prospettica, maggiormente vincolate, sotto il profilo matematico, ai dati pregressi, le informazioni relative alla gestione dei fattori ESG si proiettano nel futuro, con un gradiente di imprevedibilità potenzialmente molto alto rispetto all’andamento passato (si pensi all’imponderabilità delle calamità climatiche, ovvero degli assetti geopolitici). La natura incerta della stima futura su cui si basano le asserzioni di sostenibilità amplia i margini di scusabilità dell’errore sui fatti futuri prospettati, restringendo, per l’effetto, l’area di possibile rilevanza dell’elemento soggettivo della colpa del soggetto a cui è da imputare la rappresentazione del profilo di futura sostenibilità oggetto della dichiarazione risultata poi infondata o disattesa. Per superare le criticità in punto di prevedibilità della mancata realizzazione delle prestazioni ESG prospettate in connessione all’investimento sollecitato occorrerebbe dunque che gli investitori fornissero la prova del dolo dell’emittente nel rappresentare un fatto accertabile come falso o irrealizzabile già nel momento in cui la stessa dichiarazione viene resa, sì da ingannare l’investitore e limitare la sua capacità di prendere delle decisioni informate.
L’incertezza fisiologica caratterizzante le dichiarazioni di sostenibilità rende ugualmente incerta la determinazione del nesso causale della diretta incidenza della informativa resa sul pregiudizio subito dall’investitore per effetto dell’investimento falsamente prospettato. In particolare, lo stesso nesso causale sembra difficilmente ravvisabile laddove l’esito diverso, rispetto a quello inizialmente prospettato, del progetto di sostenibilità finanziato sia conseguenza non già della fallacia dell’informativa associata all’investimento promosso, bensì di una circostanza eccezionale, per così dire di forza maggiore, che si sia frapposta al legame eziologico tra la rappresentazione iniziale ed il reale svolgimento del progetto finanziato.
In questo senso, determinante ai fini del rilevamento del nesso causale tra informativa di sostenibilità e pregiudizio eventualmente lamentato da parte di investitori di strumenti finanziari sostenibili appare l’accertamento circa la mancata rispondenza delle informazioni di sostenibilità rese alla realtà d’impresa esistente nel momento in cui le stesse informazioni sono state rese e l’investimento è stato incoraggiato. Nel caso in cui, infatti, ab origine, le informazioni di sostenibilità rese risultassero in forte discrepanza con i mezzi e le politiche generali dell’impresa nel momento della collocazione dello strumento finanziario sostenibile sul mercato, le medesime informazioni potrebbero considerarsi, di per sé, idonee a causare il danno da investimento una volta che questo si sia rivelato diverso da come l’investitore lo aveva valutato; e ciò a prescindere da eventuali fatti posti al di fuori del raggio d’azione di impresa volti a deviare ulteriormente l’andamento dell’investimento dagli obiettivi inizialmente prefissati. Diversamente dovrebbe invece considerarsi il caso in cui le informazioni di sostenibilità fossero risultate compatibili con gli assetti organizzativi e amministrativi per la gestione dei rischi ESG d’impresa esistenti al momento dell’emissione dello strumento finanziario, sì da rendere ragionevole il conseguimento degli obiettivi dichiarati in connessione all’investimento. In siffatta ipotesi, sembrerebbe più verosimile che la eziologia del danno patito dall’investitore sia da ricercarsi in fonti diverse da quelle dell’informativa resa.
Secondo la ricostruzione proposta, pertanto, a fini della verifica del nesso causale tra l’informazione distorta e il danno da investimento rivelatosi non sostenibile, parrebbe utile il raffronto, in punto di coerenza, tra informazioni rese in relazione allo specifico investimento e le informazioni relative alle più generali linee di gestione dei fattori di sostenibilità avviate dall’impresa emittente, come raffigurate nella nuova rendicontazione di sostenibilità contenuta nella relazione sulla gestione ed ora esposte a più stringenti controlli di revisione, anche grazie al requisito di audit esterni.
Sempre in relazione al nesso causale, occorre ricordare che, ai fini della valutazione dell’attitudine lesiva dell’informazione di sostenibilità offerta in relazione ad uno strumento finanziario offerto sul mercato, non possa passare inosservato il grado di specificità e puntualità della stessa informazione resa. È quanto suggerito dalla stessa ESMA nel già citato Statement in materia di ESG e prospetto, in cui, come sopra ricordato, si pone il requisito dell’oggettività (rectius, della fondatezza oggettiva) dell’informazione di sostenibilità rilasciata sul mercato[121].
Il dato non è indifferente rispetto alla rilevazione della (eventuale) responsabilità dell’emittente, posto che solo una informazione di sostenibilità realmente oggettiva pare idonea a orientare materialmente la decisione di investimento[122], ingenerando in costui l’affidamento che l’informazione resa sia veritiera[123]. Siffatto affidamento e, con esso, la rilevanza delle informazioni di sostenibilità rese come eziologicamente determinanti ai fini dell’investimento non sembrano poter essere riscontrate nel caso in cui i tratti di sostenibilità del progetto connesso all’emissione dello strumento finanziario siano stati rappresentati in termini generici, vaghi, o ancora eccessivamente distanti nel tempo[124], quand’anche questi siano rappresentati da un soggetto dotato di un certo grado di professionalità.
Muovendo infine da un piano di analisi oggettivo (circa la natura dell’informativa di sostenibilità e la sua attitudine causale alla produzione di un danno da investimento) ad un diverso versante soggettivo, deve rilevarsi come la complessità della definizione delle coordinate del danno da informazioni fuorvianti sulla sostenibilità sia ulteriormente aggravata dalla nuova figura di investitore che subisce in ipotesi il pregiudizio derivante dall’investimento erroneamente sostenibile. Di contro all’immagine di investitore “razionalmente” attratto da investimenti sostenibili, forgiata dalla recente normativa europea in materia di rendicontazione di sostenibilità[125], il canale dei finanziamenti legati a obiettivi di sostenibilità sembra aprire a nuove forme di irrazionalità degli investitori che potrebbero rendere ulteriormente difficoltoso l’iter di accertamento di responsabilità da greenwashing degli emittenti. Come dimostrato da recenti studi di economia comportamentale, le preferenze di sostenibilità degli investitori sono tutt’altro che fisse, ma soggette ad oscillazioni determinate da contingenze relative a quegli stessi fattori ambientali o sociali a cui dovrebbero riferirsi gli investimenti effettuati[126]. La mutevolezza delle stesse preferenze di sostenibilità potrebbe dare adito a comportamenti opportunistici di investitori, volti ad esporre gli emittenti ad azioni di risarcimento del danno (anche bagatellari, ma potenzialmente foriere di rischi reputazionali)[127] in caso di “annebbiamento” delle preferenze di sostenibilità dinnanzi all’andamento negativo del titolo acquistato.
Alla luce di quanto precede, sembra pertanto potersi concludere come una maggiore attenzione delle autorità di vigilanza al piano del private enforcement e delle concrete prospettive di risarcimento del danno da false informazioni di sostenibilità sia richiesto non solo dall’oggettiva difficoltà di ricostruzione degli elementi costitutivi di simile danno, ma anche dai rischi a cui eventuali azioni in tal senso potrebbero esporre gli emittenti, a tutto discapito della effettività degli obiettivi di transizione sistemica dei mercati dei capitali.
4. La prospettiva mancante del private enforcement per danni da investimento sostenibile: una chiave per la vigilanza
Come si è tentato di dar conto nelle presenti pagine, la creazione di mercati di capitali europei “unificati”, tra l’altro, (anche) dal comune obiettivo di mobilitazione di finanziamenti verso progetti volti alla gestione dei fattori di sostenibilità si è sin qui articolato nelle due principali fasi i) della valorizzazione delle preferenze di sostenibilità degli investitori e ii) della vigilanza sul processo di formazione delle informazioni sulla sostenibilità ii.i) relative all’emittente, come riaffermato nel nuovo regime di rendicontazione di sostenibilità di cui alla CSRD, e ii.ii) e relative ai singoli prodotti finanziari collocati sul mercato, come da ultimo riflesso nella normativa in materia di uno standard europeo sulle obbligazioni verdi.
I rischi di distorta informazione nell’offerta di prodotti presentati come sostenibili e nella successiva esecuzione del progetto connesso all’investimento, all’attenzione delle autorità di vigilanza europee e non solo, rendono tuttavia legittimi i dubbi sull’effettività delle risposte regolatorie ad oggi azionate. In questo senso, la sovrastruttura di una vigilanza preventiva che sta andando a delinearsi sulla qualità delle informazioni ESG potrebbe non essere sufficiente ai fini di una corretta internalizzazione di informazioni strutturalmente diverse da quelle finanziarie entro il complesso assetto di mercati dei prodotti sostenibili. Del resto, i limiti della somministrazione di una mole di informazioni, ampia seppur sottoposta al vaglio dell’Autorità competente, rispetto ad una tutela effettiva della “libera” scelta” di investimento e dai rischi potenzialmente derivanti dalla stessa, sono stati ripetutamente messi in luce sia dalla dottrina più risalente in relazione alle informazioni finanziarie “tradizionali”[128], sia da studi più recenti in materia di informazioni sostenibili[129].
I limiti tradizionali relativi alla capacità segnaletica delle informazioni rilasciate in relazione agli strumenti finanziari emessi sui mercati sembrano invero ulteriormente aggravati, nel caso di informazioni di sostenibilità, le quali si proiettano in una dimensione futura, largamente dipendente anche da fattori extra-sistemici posti al di fuori della diretta sfera di azione dell’impresa, quali le politiche pubbliche ovvero calamità naturali, più di quanto non avvenga per le informazioni di natura strettamente finanziaria; e le quali fondano interessi di sostenibilità ugualmente soggetti a forti oscillazioni “umorali”.
La mutata nozione di informazione finanziaria rilevante, come combinata con dati afferenti alla sfera ESG, dischiude pertanto nuovi spazi speculativi sia lato impresa sia lato investitori, suscettibili di incidere negativamente sulla concorrenza tra emittenti e sulla competitività dei mercati di capitali europei nella nuova fisionomia sostenibile, con pregiudizio ultimo di quella porzione di investitori realmente interessata a funzionalizzare le proprie opzioni di investimento alla generazione di un profitto “responsabile” rispetto alla tutela di fattori ESG.
In questo delicato contesto, l’azione delle Autorità di regolazione di settore appare invero quanto mai indispensabile ad arginare i rischi alla fiducia e all’integrità della nuova idea di mercato posti dal variegato fenomeno del greenwashing. Il raggio di vigilanza relativo ai prodotti finanziari sostenibili potrebbe tuttavia spingersi ben oltre i confini della verifica sulle informazioni di sostenibilità condivise ed assumere un ruolo di maggiore proattività e di indirizzo delle evoluzioni di mercato. A tal fine, parrebbe opportuno, a parere di chi scrive, dare maggiore rilievo, in sede regolatoria e di vigilanza, al profilo della informativa dei prodotti sostenibili offerti dalla prospettiva delle condizioni di offerta dei medesimi.
La delineazione di un quadro regolatorio – e di aspettative di vigilanza corrispondenti – relative al profilo esecutivo e ristorativo dei finanziamenti sostenibili appare un’area di intervento necessaria, giacché ancora del tutto scoperta, per la creazione di condizioni di mercato concorrenziali, volte a garantire la massima libertà nelle scelte non solo di investimento[130], ma anche di disinvestimento, attraverso una maggiore uniformazione e confrontabilità delle offerte di investimento con declinazioni ESG.
Secondo quanto prospettato, si tratterebbe pertanto di spostare l’asse della tutela del momento (invero essenziale) della vigilanza pubblica sull’informativa di sostenibilità resa, al diverso versante della predisposizione di norme, anche di secondo livello, volte a integrare ex lege le pratiche negoziali relativi agli investimenti sostenibili mediante previsioni utili ad assicurare un più certo esercizio di rimedi di private enforcement.
L’idea che le incertezze e la frammentazione (a livello nazionale) dei rimedi esperibili da parte degli investitori indebolisca sul nascere le mire europee di unione dei mercati dei capitali non è certo nuova[131]; la stessa sembra tuttavia riproporsi con forza maggiore rispetto al segmento più giovane e strutturalmente più incerto, anche in punto di prassi di vigilanza, dei prodotti finanziari sostenibili e della relativa informativa.
A maggior ragione in questo recente ramo innovativo del mercato dei capitali europeo, il presidio dei rischi di distorsione delle scelte di investimento sembra sollecitare un duplice approccio di vigilanza, incentrato sul controllo general-preventivo delle informazioni riguardanti le nuove categorie di prodotti sostenibili e, a valle, sulla portata deterrente delle prospettive rimediali esperibili di contro a derive patologiche del rapporto di investimento scaturenti dalle originarie anomalie informative[132].
A riguardo, potrebbe ad esempio ipotizzarsi la dichiarazione di nullità, per contrarietà alla norma imperativa di comportamento ex art. 21 TUF, di clausole che escludono a priori la responsabilità dell’emittente per la mancata realizzazione dei progetti di sostenibilità promossi[133]. Al contempo, potrebbe essere utile la previsione di obblighi di informazione continua sullo stato di svolgimento del progetto finanziato.
Ancora, per evitare condotte opportunistiche sia lato emittente, sia lato investitore, potrebbe essere opportuna la declinazione di clausole che attribuiscono agli investitori il diritto ad un rimborso accelerato ovvero ad un tasso di interesse maggiorato in caso di violazione degli obblighi di sostenibilità dell’emittente. Ancora, potrebbe essere richiesta la destinazione di parte dei proventi raccolti a soggetti terzi, anche pubblici, attivi nella fornitura di servizi ambientali o sociali vicini al progetto di sostenibilità promosso con l’emissione dello strumento finanziario[134]. Ciò consentirebbe di mantenere fede alle promesse connesse all’investimento fatte dall’emittente e alle preferenze di sostenibilità manifestate in origine dagli investitori, senza mancare di accordare all’investitore un ritorno finanziario per il disinvestimento.
L’introduzione di covenant, volti a disciplinare l’ipotesi della elusione delle dichiarazioni di sostenibilità inizialmente offerte, potrebbe essere utile a predeterminare per via contrattuale alcune delle criticità sopra tracciate in punto di ricostruzione del danno da falsa informazione ESG, assicurando al contempo rimedi flessibili, e conformi alle specificità strutturali del progetto di sostenibilità. La espressa qualifica della responsabilità per deviazione dalle dichiarazioni rese alla stregua di un inadempimento contrattuale agevolerebbe innanzitutto l’investitore in punto di onere della prova che potrà limitarsi alla dimostrazione dell’esistenza del contratto(contenente le dichiarazioni non veritiere) e dei danni subiti, e prescindere dalla difficile prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità.
Per le ragioni segnalate pare, dunque, che l’integrazione contrattuale offra, quantomeno in astratto, un utile strumento di consolidamento della fiducia del mercato rispetto alle promesse di sostenibilità degli emittenti, fornendo una leva ulteriore, direttamente proveniente dalla sfera dei destinatari dell’informativa ESG, per il riallineamento delle istanze di innovazione dei mercati di capitali sostenibili (a cui ora è data precedenza) con quelle di tutela dei soggetti che vi partecipano.
Abstract (ENG):The phenomenon of greenwashing stems from a breach of substantial adherence by issuers to the rules of the sustainable finance framework. As the study demonstrates, with respect to the so-called green defaults, further consideration must therefore be given to the ex post corrective attitude, but also deterrent effect, of general civil law remedies, genetically aimed at resolving conflicts between private parties arising precisely as a result of the (real) failure to pursue the public interest objectives set forth in the sectoral financial regulations. After a description of the framework of sustainable financial products and the related risks of greenwashing, with particular attention to the specific case of the new European green bonds regulation, the analysis examines the criticalities of the general civil law remedies for investor protection in sustainable capital markets, foreshadowing some possible solutions at the level of private regulatory law.
Keywords (ENG):Capital markets; greenwashing; green bonds; supervision; private enforcement; private regulatory law.
* Università Cattolica del Sacro Cuore (giulia.schneider@unicatt.it)
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Commissione europea, Piano d'azione per finanziare la crescita sostenibile, 8 marzo 2018, COM(2018) 97 final. Cfr. anche Considerando n. 9 del Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088, 22 giugno 2020, OJ L 198/13.
[2] Cfr. Banca Centrale europea, Towards a green capital markets union: developing sustainable, integrated and resilient European capital markets, 2024, https://www.ecb.europa.eu/pub/financial-stability/macroprudential-bulletin/focus/2021/html/ecb.mpbu_focus202110_3.en.html (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[3] Regolamento (UE) 2020/852.
[4] Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, 16 dicembre 2022, OJ L 322/15 (di seguito CSRD).
[5] La portata della CSRD sembra estendersi ben oltre le imprese soggette in via diretta alla nuova disciplina, incentivando anche le controparti commerciali di queste, incluse PMI non quotate, ad aderire a più elevati standard di rendicontazione di sostenibilità. Cfr. EFRAG, EFRAG’s Public Consultation on Two Exposure Drafts on Sustainability Reporting Standards for SMES, 22 gennaio 2024, https://www.efrag.org/News/Public-479/EFRAGs-public-consultation-on-two-Exposure-Drafts-on-sustainability-r (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[6] Considerando n. 9 CSRD
[7] Considerando 14 CSRD.
[8] In senso critico a questa visione, v. G. Strampelli - G. Balp, Institutional Investor ESG Engagement: The European Experience, in EBOR, 23 (2022), pp. 869 ss.
[9] V. M. Barzuza - Q. Curtis - D. H. Webber, Shareholder Value(s): Index Fund ESG Activism and the New Millennial Corporate Governance, in Southern California Law Review 93 (2020), pp. 1243 ss., pp. 1291-1303. Come per il caso degli investitori istituzionali, vi sono evidenze empiriche controverse anche rispetto a categorie di giovani investitori, D. Costa - M. Gentile - N. Linciano, “Interesse verso gli investimenti sostenibili – Un esercizio di caratterizzazione degli investitori italiani sulla base delle indagini CONSOB”, in Quaderno di finanza sostenibile n. 3, novembre 2022. https://www.hoover.org/sites/default/files/research/docs/ESG%20Survey%202023%20-%20FINAL.pdf (data ultimo accesso 7 maggio 2024).
[10] Considerando 11 Regolamento (UE) 2020/852. V. anche considerando 7 del Regolamento Delegato (UE) 2021/1253 che modifica il Regolamento Delegato (UE) 2017/565, per quanto riguarda l’integrazione dei fattori di sostenibilità, dei rischi di sostenibilità e delle preferenze di sostenibilità in taluni requisiti organizzativi e condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento, 2 agosto 2021, OJ L 277/1.
[11] OICV-IOSCO, Supervisory Practices to Address Greenwashing, dicembre 2023, https://www.iosco.org/library/pubdocs/pdf/IOSCOPD750.pdf (ultimo accesso 14 marzo 2024), pp. 14 ss.
[12] A. Falchi - G. Grolleau - N. Mzoughi, Why companies might under-communicate their efforts for sustainable development and what can be done?, in Business Strategy And The Environment, 31 (2022), pp. 1938 ss.
[13] D. Abate - F. Bonardi, Fondi di investimento: rischi di sostenibilità e disclosure nelle indicazioni di vigilanza ESMA, in Diritto Bancario, (2022), https://www.dirittoban-cario.it/wp-content/uploads/2022/06/2022-Abate-Bonardi-Fondi-di-investimento.pdf –(ultimo accesso 14 marzo 2024).
[14] Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, 9 dicembre 2019, OJ L 317/1, art. 7-9.
[15] V. in relazione al settore bancario, Basel Committee on Banking Supervision, Climate-related risk drivers and their transmission channels, aprile 2021, https://www.bis.org/bcbs/publ/d517.pdf (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[16] A. Perrone - A. Cardani, Servizi di investimento e finanza sostenibile. Le conseguenze non volute della recente disciplina europea, in Osservatorio Monetario, 2 (2022), pp. 84 ss.
[17] US Securities and Exchange Commission, Deutsche Bank Subsidiary DWS to Pay $25 Million for Anti-Money Laundering Violations and Misstatements Regarding ESG Investments, 25 settembre 2023, https://www.sec.gov/news/press-release/2023-194 (ultimo accesso 14 marzo 2024). La sanzione per greenwashing è stata riconosciuta in base alle sezioni 203(e) e 203(k) dell’Investment Advisers Act del 1940 (“Advisers Act”).
[18] Cfr. Art. 30 Direttiva 2013/34/UE, come modificato dalla CSRD.
[19] Regolamento (UE) 2023/2631 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2023 sulle obbligazioni verdi europee e sull’informativa volontaria per le obbligazioni commercializzate come obbligazioni ecosostenibili e per le obbligazioni legate alla sostenibilità, 30 novembre 2023, OJ L 1/68. Sul punto v. infra para 2.2.
[20] Commissione europea, Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla trasparenza e sull'integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), 13 giugno 2023, COM(2023) 314 final.
[21] Corte regionale di Berlino, 12 luglio 2023 – 101 O 68/22.
[22] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, 31 maggio 2023, ESMA30-1668416927-2498, p. 79. V. anche OICV-IOSCO, Supervisory Practices to Address Greenwashing, cit., pp. 27.
[23] Per un approfondimento sul tema sia consentito il rinvio a G. Schneider, Per un approccio sostanziale alla finanza sostenibile: il greenwashing sotto la lente del rischio di condotta, in Rivista trimestrale di diritto dell’economia supplemento al n. 4 (2022), pp. 222 ss.
[24] Sul rapporto tra regolazione settoriale e diritto privato, v. O.O. Cherednychenko, Two Sides of the Same Coin: EU Financial Regulation and Private Law, in EBOR, 11 (2021), pp. 147 ss.
[25] Per la dottrina sul punto v. per tutti, H.W, Micklitz, The Visible Hand of European Regulatory Private Law—the Transformation of European Private Law from Autonomy to Functionalism in Competition and Regulation, in Yearbook of European Law, 281 (2009), pp. 3–59; e R. Natoli, Il diritto private regolatorio, in Rivista della regolazione dei mercati, 1 (2020), pp. 134 ss.
[26] Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, 12 giugno 2014, OJ L 173/349.
[27] Regolamento Delegato (UE) 2021/1253 che modifica il Regolamento Delegato (UE) 2017/565, per quanto riguarda l’integrazione dei fattori di sostenibilità, dei rischi di sostenibilità e delle preferenze di sostenibilità in taluni requisiti organizzativi e condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento
[28] Direttiva delegata (UE) 2021/1269 (d’ora in poi “MiFID II DD 2021”) che modifica la direttiva delegata (UE) 2017/593 (d’ora in poi “MiFID II DD”) per quanto riguarda l’integrazione dei fattori di sostenibilità negli obblighi di governance dei prodotti.
[29] V. Colaert, Integrating Sustainable Finance into the MiFID II and IDD Investor Protection Frameworks, in D. Busch- G. Ferrarini- S. Grünewald (eds.), Sustainable Finance in Europe, EBI Studies in Banking and Capital Markets Law, Cham (Switzerland), 2021, pp. 455 ss.
[30] M. Siri - S. Zhu, L’integrazione della sostenibilità nel sistema europeo di protezione degli investitori, in Banca Impresa Società, 1 (2020), pp 18 ss.
[31] M. Arrigoni, Finanza sostenibile, servizio di investimento e tutela dell’investitore, in Rivista di diritto bancario, II (2023), pp. 261 ss.
[32] M. Arrigoni, Finanza sostenibile, servizio di investimento e tutela dell’investitore, cit., pp. 274-275.
[33] F.E. Mezzanotte, Accountability in EU sustainable finance: linking the client’s sustainability preferences and the MiFID II suitability obligation, in Capital Markets Law Journal,16 (2021), pp. 484 s.
[34] Cfr. ESMA, Guidelines on MiFID II product governance requirements, 3 agosto 2023, ESMA35-43-3448, §§ 81. Per un commento cfr. Perrone - Cardani, Servizi di investimento e finanza sostenibile. Le conseguenze non volute della recente disciplina europea, cit., p. 86.
[35] F.E. Mezzanotte, Accountability in EU Sustainable Finance: Linking the Client’s Sustainability Preferences and the MiFID II Suitability Obligation, cit., pp. 498 ss; V. Colaert, Integrating Sustainable Finance into the MiFID II and IDD Investor Protection Frameworks, cit., p. 469.
[36] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 80 e v. già ESMA, On integrating sustainability risks and factors in MiFID II, Consultation Paper, 19 dicembre 2018, ESMA35-43-1210.
[37] Cfr. art. 19 bis, 2 comma lett. f) punto ii) direttiva 2013/34/UE come modificata dalla CSRD, che richiede alle imprese di includere nella rendicontazione di sostenibilità una descrizione “dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell'impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l'impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell'Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza”.
[38] Art. 7-9 SFDR. V. di recente ESMA, Final Report on draft RTS on the review of PAI and financial product disclosures in the SFDR Delegated Regulation, 4 dicembre 2023, JC 2023 55.
[39] Commissione europea, Proposta di Regolamento del Parlamento europeo del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) 2017/1129, (UE) n. 596/2014 e (UE) n. 600/2014 per rendere i mercati pubblici dei capitali nell'Unione più attraenti per le società e facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese ai capitali, 7 dicembre 2022, COM(2022) 762 final (di seguito Listing Act).
[40] Regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE, 30 giugno 2017, OJ L 168/12.
[41] Considerando 23 Listing Act.
[42] Listing Act art. 1, comma 10 di modifica all’art. 13 del Regolamento Prospetto.
[43] ICMA, Green Bond Principles, https://www.icmagroup.org/sustainable-finance/the-principles-guidelines-and-handbooks/green-bond-principles-gbp/ (ultimo accesso 14 febbraio 2024); v. anche The Climate Bond Initiative, https://www.climatebonds.net/standard/taxonomy (ultimo accesso 14 febbraio 2024).
[44] ICMA, Social Bond Principles, https://www.icmagroup.org/sustainable-finance/the-principles-guidelines-and-handbooks/social-bond-principles-sbp/ (ultimo accesso 14 febbraio 2024).
[45] ICMA, Sustainability-linked Bond Principles, https://www.icmagroup.org/sustainable-finance/the-principles-guidelines-and-handbooks/sustainability-linked-bond-principles-slbp/ (ultimo accesso 14 febbraio 2024).
[46] Regolamento UE 2020/282, cit.
[47] Commissione europea, Implementing and Delegated Acts- Taxonomy Regulation, https://finance.ec.europa.eu/regulation-and-supervision/financial-services-legislation/implementing-and-delegated-acts/taxonomy-regulation_en (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[48] V. IISD, Principles-Based Social Taxonomy for Sustainable Investing, Agosto 2022, https://www.iisd.org/system/files/2022-08/social-taxonomy-sustainable-investing.pdf(ultimo accesso 14 marzo 2024); Commissione europea- Platform on Sustainable Finance, Final Report on Social Taxonomy, Febbraio 2022, https://finance.ec.europa.eu/system/files/2022-08/220228-sustainable-finance-platform-finance-report-social-taxonomy_en.pdf (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[49] OECD, Report on green, social and sustainability bonds issued by multilateral development banks and its use for infrastructure financing, 1 settembre 2023, https://one.oecd.org/document/DAF/CMF/AS(2023)3/REV2/en/pdf (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[50] La nascita dei Sustainability-linked bond è legata al corporate bond Enel del settembre 2019 denominato “General Purpose SDG Linked Bond”, emesso per finanziare l’espansione della capacità produttiva legata a fonti rinnovabili - strategia appunto basata sui Sustainable Development Goals dell’Agenda ONU 2030. Enel, Sustainability-linked Bonds, https://www.enel.com/it/investitori/investimenti/finanza-sostenibile/finanza-sustainability-linked/sustainability-linked-bond (ultimo accesso 14 marzo 2024).
[51] P. Antilici- G. Mosconi- L. Russo, Quando innovazione finanziaria e finanza sostenibile si incontrano: i Sustainability-Linked Bonds, aprile 2022, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/mercati-infrastrutture-e-sistemi-di-pagamento/questioni-istituzionali/2022-022/N.22-MISP.pdf (ultimo accesso 14 marzo 2024), p. 14.
[52] Si delinea cioè anche per i sustainability-linked bonds la possibilità di attivazione di monetizzazione di attività non sostenibili o comprovatamente anti-sostenibili, similmente a quanto avviene per il mercato dei crediti di carbonio, che seppur con delle evidenti differenze rispetto ai sustainability-linked bonds, rispondono comunque ad una logica di apprezzamento di violazione di standard di sostenibilità, come quelli relativi alle emissioni di carbonio.
[53] V. Bevivino, Il bank government dopo l’integrazione dei fattori ESG nella regolazione prudenziale europea, in Banca Impresa Società (2022), pp. 593 ss.
[54] EBA, Report on Green Loans and Mortgages, dicembre 2023, EBA/REP/2023/38.
[55] EBA, Final draft implementing technical standards on prudential disclosures on ESG risks in accordance with Article 449a CRR, 24 gennaio 2022, EBA/ITS/2022/01.
[56] Cfr. i risultati della ricerca di M. Lumioti-G. Serafeim, The Issuance and Design of Sustainability-Linked Loans, Harvard Business School Working Paper, No. 23-027, novembre 2022, https://www.hbs.edu/ris/Publication%20Files/23-027_4b09d278-4051-468e-a5d9-eb0e7c50c25d.pdf (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[57] EBA, Final Report, Guidelines on loan origination and monitoring, 20 maggio 2020, EBA/GL/2020/06, §§ 27.
[58] V. D. Rodeck- M. Adams, Top 10 Energy Stocks of March 2024, in Forbes (5 marzo 2024), https://www.forbes.com/advisor/investing/best-energy-stocks/ (ultimo accesso 2024).
[59] In dottrina, v. N. Abriani, Strumenti finanziari partecipativi: utilizzo e futuro della raccolta “ibrida” di fondi, a cura di P. Marchetti, in Atti del Convegno- La s.p.a. nell’epoca della sostenibilità e della transizione tecnologica. Convegno internazionale di studi per i settant’anni della Rivista delle società, Venezia, 10-11 novembre 2023, in corso di pubblicazione su Rivista delle società (2024).
[60] OECD, Understanding Social Impact Bonds, 2016, https://www.oecd.org/cfe/leed/UnderstandingSIBsLux-WorkingPaper.pdf (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[61] BNP Paribas, BNP Paribas partners with Banque des Territoires and the European Investment Fund to launch a new marketplace initiative: a fund to support the rollout of Impact Bonds across the European Union, 26 giugno 2023, https://group.bnpparibas/en/press-release/bnp-paribas-partners-with-banque-des-territoires-and-the-european-investment-fund-to-launch-a-new-marketplace-initiative-a-fund-to-support-the-rollout-of-impact-bonds-across-the-european-union (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[62] Unicredit, Finanziamento a impatto sociale, https://www.unicredit.it/it/piccole-imprese/finanziamenti/tutti-i-finanziamenti/finanziamenti-agevolati/Social-Impact-Financing.html (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[63] Banca d’Italia, A First Analysis of the Green Securitisation in Italy, a cura di F. Cusano - D. Liberati - S. Piermattei - L. Rubeo, ottobre 2023, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2023-0809/QEF_809_23.pdf (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[64] Sul punto v. M. Pyka, The EU Green Bond Standard: A Plausible Response to the Deficiencies of the EU Green Bond Market?, in EBOR, 24 (2023), pp. 623 ss.
[65] Per la dottrina sull’azione delle organizzazioni private nella disciplina delle obbligazioni verdi, v. S. Gilotta, Green Bonds: A Legal and Economic Analysis, a cura di T. Kuntz, in Research Handbook on Environmental, Social and Corporate Governance, Cheltenham, 2023, in corso di pubblicazione, https://www.orizzontideldirittocommerciale.it/wp-content/uploads/2023/05/Gilotta_Green-bonds_ODC-2023_UPDATED.pdf (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[66] Art. 4, comma 1 Regolamento (UE) 2023/2631. Il restante 15% potrà essere destinato anche ad attività non qualificate come sostenibili, a condizione che l’emittente renda adeguatamente trasparente la destinazione di questa porzione di risorse finanziarie. Art. 5, comma 1 Regolamento (UE) 2023/2631.
[67] Tutte e tre queste diverse informative devono essere redatte secondo gli schemi forniti agli Allegati di cui al Regolamento.
[68] Art. 15 Regolamento (UE) 2023/2631.
[69] Cfr. artt. 22-24 Regolamento (UE) 2023/2631.
[70] Art. 71, comma 2 Regolamento (UE) 2023/2631.
[71] In questo senso v. M. Pyka, The EU Green Bond Standard: A Plausible Response to the Deficiencies of the EU Green Bond Market?, cit., p. 629.
[72] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 15.
[73] L. Freeburn - I. Ramsay, Green Bonds: Legal and Policy Issues, in Capital Market Law Journal 15 (2020), pp. 418 ss., p. 440.
[74] M. Doran- J. Tanner, Green bonds’ Growing Pains, in International Financial Law Rev 225 (2019), pp. 22 ss., p. 23.
[75] J. Armour - L. Enriques- T. Wetzer, Green Pills: Making Corporate Climate Commitments Credible, in Arizona Law Review, 65 (2023), pp. 285 ss., p. 288 e 312.
[76] R. Chan, Ensuring Impactful Performance in Green Bonds and Sustainability-linked Loans, 421 Adel Law Review (2021), pp. 221 ss., p. 249.
[77] L. Freeburn- I. Ramsay, Green Bonds: Legal and Policy Issues, cit., p. 440.
[78] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 12.
[79] Il tema del rapporto tra rischio di condotta e rischio ESG è stato affrontato nello studio G. Schneider-A. Sciarrone- C. Frigeni, Conduct Risk as a Possible Approach in Enhancing ESG-related Risks’ Awareness and Management, a cura di A. Kern-M. Gargantini-M. Siri, in The Cambridge Handbook of EU Sustainable Finance- Regulation, Supervision and Governance,Cambridge, 2024, in corso di pubblicazione.
[80] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 5.
[81] Art. 19 bis direttiva 2013/34/UE come modificata dalla CSRD.
[82] Sul punto di recente, v. Al. Briguglio, Informazione non finanziaria inesatta e ragionevole affidamento, in Rivista di diritto dell’impresa, 2 (2023), pp. 299 ss.
[83] V. Al. Briguglio, Correttezza dell’informazione e responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c., in Banca Borsa Titoli di Credito, 5 (2023), p. 713 ss.
[84] Auspica una limitazione della business judgment rule per orientare la discrezionalità imprenditoriale verso il conseguimento di obiettivi ambientali e sociali, M. Libertini, Gestione “sostenibile delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 1 (2023), pp. 54 ss., p. 63.
[85] ESMA, Public Statements- Sustainability Disclosures in Prospectuses, 11 luglio 2023, ESMA32-1399193447-441.
[86] Art. 2, comma 22 SFDR.
[87] Considerando 29 CSRD.
[88] Considerando 27 Regolamento (UE) 2017/1129.
[89] ESMA, Public Statements- Sustainability Disclosures in Prospectuses, cit., p. 4.
[90] ESMA, Public Statements- Sustainability Disclosures in Prospectuses, cit., p. 2.
[91] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 79.
[92] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), 11 giugno 2005, OJ L 149/22. Proprio in materia di pratiche commerciali scorrette relative alla commercializzazione di prodotti sostenibili, la direttiva è stata di recente modificata dalla Direttiva (UE) 2024/825 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024 che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione, 6 marzo 2024, OJ L 1/16.
[93] Sull’applicabilità della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette alla fattispecie della falsa restituzione di informazioni di sostenibilità, v. M. Libertini, La comunicazione pubblicitaria e l’azione delle imprese per il miglioramento ambientale, in Giurisprudenza commerciale, 1 (2011), pp. 331 ss.; I. Riva, Comunicazione di sostenibilità e rischio di greenwashing, in Rivista di diritto alimentare, 1 (2023), pp. 55 ss. e F. Bertelli, I green claims tra diritto del consumatore e tutela della concorrenza, in Contratto e impresa, I (2021), pp. 286 ss.
[94] EBA, EBA Progress Report on Greenwashing Monitoring and Supervision, 31 maggio 2023, EBA/REP/2023/16, p. 49.
[95] Verbraucherentrale Baden Württemberg, Greenwashing bei der Geldanlage: Werbung mit Nachhaltigkeit, 20 novembre 2023, https://www.verbraucherzentrale-bawue.de/greenwashing (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[96] Corte regionale di Berlino, decisione del 12 luglio 2023 – 101 O 68/22
[97] Corte regionale di Stoccarda, decisione del 10 gennaio 2022 – 36 O 92/21.
[98] AGCM, PS11400 - Sanzione di 5 milioni di euro a ENI per pubblicità ingannevole nella campagna ENI diesel+, 15 gennaio 2020, https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2020/1/PS11400 (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[99] AGCM, PS12496 – Fileni Sostenibilità, 16 gennaio 2024, https://agcm.it/dotcmsCustom/tc/2029/1/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/560629584908B965C1258AB300408668/$File/p31025.pdf (ultimo accesso 15 marzo 2024).
[100] Commissione europea, Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite (direttiva sulle asserzioni ambientali), 22 marzo 2023, COM(2023) 166 final. Una volta adottata, la direttiva sui green claims sarebbe una lex specialis destinata a prevalere sulla direttiva in materia di pratiche commerciali scorrette in caso di conflitto. La proposta di direttiva è volta a migliorare la qualità delle informazioni sulle caratteristiche ambientali dei prodotti e servizi resi, con il duplice obiettivo di tutelare la libertà di autodeterminazione dei consumatori e promuovere l’innovazione nei mercati dei prodotti verdi. A tal fine la direttiva proposta istituisce norme relative alla fondatezza, comunicazione e verifica delle informazioni ambientali rese dalle imprese ai consumatori (b2c).
[101] Considerando 11; 12; Art.1, comma 2 della Proposta di direttiva sui green claims.
[102] Art. 21, comma 1 TUF.
[103] Art. 21, comma 2bis TUF.
[104] Art. 3 della Proposta di direttiva sui green claims.
[105] Art. 4 della Proposta di direttiva sui green claims.
[106] Art. 10 della Proposta di direttiva sui green claims.
[107] Sulle norme di comportamento come regole di responsabilità. V. A. Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, in Rivista delle Società, 5 (2005), pp. 1012 ss.
[108] Questa l’interpretazione sostenuta da Autorevole dottrina, v. A. Genovese, Pratiche commerciali scorrette e offerta di servizi di investimento, a cura di C. Giustolisi, in La direttiva Consumer Rights. Impianto sistematico della Direttiva di armonizzazione massima, Roma, 2017, pp. 95 ss.; e M. Libertini, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, a cura di M. Grillo, in Mercati finanziari e protezione del consumatore, Milano, 2010, pp. 21 ss.
[109] Direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020 relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE, 4 dicembre 2020, OJ L 409/1.
[110] Ai sensi della l. 31/2019 l’azione di classe può ora essere intentata a tutela di “diritti individuali omogenei”, indipendentemente dal titolo azionato, e non è più circoscritta alla tutela dei soli diritti del consumatore secondo le previsioni del Codice del Consumo. Inoltre, una class action può ora essere avviata in relazione a controversie tra imprese (B2B) sia tra imprese e consumatori o altri soggetti come gli investitori non professionali.
[111] V. D. Arcidiacono, Concorrenza sleale, core labour standards e violazioni in materia ambientale, in Rivista di diritto industriale (2014), pp. 324 ss.; A. Pistilli, Il greenwashing tra pubblicità ingannevole e pratica commerciale scorretta: quando può dirsi atto di concorrenza sleale?, in Il diritto industriale 4 (2022), pp. 381 ss.; F. Bertelli, I green claims tra diritto del consumatore e tutela della concorrenza, cit., pp. 286 ss.
[112] Per un commento alla pronuncia v. F. Urbani, La prima pronuncia in materia di contrasto al greenwashing: correttezza informativa e lealtà della concorrenza fra imprese, in Rivista delle società, 2-3 (2022), pp. 663 ss.
[113] Cfr. il già citato considerando 11 Regolamento UE 2020/282.
[114] L. Nivarra, Concorrenza sleale e responsabilità d’impresa, a cura di G. Alpa-G. Conte, in La responsabilità d’impresa, Milano, 2015, pp. 191 ss.
[115] D. Lenzi, La finanza d’impatto e i green e social bonds. Fattispecie e disciplina tra norme speciali e principi generali, in Banca Impresa Società, 1 (2021), pp. 115 ss., p. 153.
[116] Così A. Dolmetta, Concorrenza tra banche e diffusione di informazioni denigratorie e vere, in Questione Giustizia, 26 marzo 2018, https://www.questionegiustizia.it/articolo/concorrenza-tra-banche-e-diffusione-di-informazioni-denigratorie-e-vere_26-03-2018.php (ultimo accesso 15 marzo 2024). V. A. Dolmetta, Trasparenza nei prodotti bancari. Regole, Roma-Bologna, 2013, p. 79.
[117] V. L. Nivarra, Concorrenza sleale e responsabilità d’impresa, cit., pp. 248 ss. In senso critico v. M. Libertini, Nuove riflessioni in tema di tutela civile inibitorie e di risarcimento del danno, in Rivista critica di diritto privato, I (1995), pp. 385 ss.
[118] La restituzione dell’intero valore dell’investimento corrisposto potrebbe essere ipotizzata in caso di accertamento della nullità del contratto stipulato. V. A. Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, cit., p. 1014.
[119] Sul punto G. Strampelli, L’informazione non finanziaria tra sostenibilità e profitto, in AGE, 1 (2022), pp. 145 ss., p. 148.
[120] Cfr. P. Giudici, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, Milano, 2008, p. 217.243.
[121] ESMA, Public Statements- Sustainability Disclosures in Prospectuses, cit., p. 4.
[122] See J. Armour- L. Enriques- T. Wetzer, Green Pills: Making Corporate Climate Commitments Credible, cit., pp. 311-313.
[123] Al. Briguglio, Informazione non finanziaria inesatta e ragionevole affidamento, cit., pp. 299 ss.
[124] È quanto sostenuto dalla giurisprudenza statunitense, v. James v. Exxon Mobil Corp., 452044/2018, 2019 WL 6795771 (N.Y. Sup. Ct. Dec. 10, 2019), §§ 34, ove si afferma: “no reasonable investor […] would make investment decisions based on speculative assumptions of costs that may be incurred 20+ or 30+ years in the future.”
[125] Considerando 11 CSRD, ove si mette in luce la “consapevolezza” degli investitori sui rischi di sostenibilità.
[126] È stato ad esempio dimostrato che le preferenze di sostenibilità e dunque l’interesse verso l’acquisto di obbligazioni verdi sia maggiore in costanza di calamità naturali, per poi diminuire a mano a mano che queste ultime diventano più distanti nel tempo. V. M. G. Lanfear, A. Lioui, M.G. Siebert, Market Anomalies and Disaster Risk: Evidence from Extreme Weather Events, Journal of Financial Markets, 46 (2019), pp. 100477 ss.
[127] ESMA, Progress Report on Greenwashing Response to the European Commission’s request for input on “greenwashing risks and the supervision of sustainable finance policies”, cit., p. 14.
[128] V. ex multis, U. Morera, Legislatore razionale versus investitore irrazionale: quando chi tutela non conosce il tutelato, in AGE, 1 (2009), pp. 77 ss.
[129] T.M.J. Möllers, European Green Deal: Greenwashing and the Forgotten Good Corporate Citizen as an Investor, in Columbia Journal of European Law, 2 (2022), pp. 203 ss.
[130] M. Libertini, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, cit., p. 27 ss.
[131] Per una riflessione recente sul punto v. R. Veil - M. Wiesner,Harmonisation of Prospectus Liability. The Listing Act as an Opportunity for a Major Step Towards a Capital Markets Union, in Orizzonti del diritto commerciale, 2 (2023), pp. 529 ss.
[132] O. Cherednychenko, Public Regulation, Contract Law, and the Protection of the Weaker Party: Some Lessons from the Field of Financial Services, European Review of Private Law, 22, 5 (2014), pp. 663 ss., p. 671. V. anche Y. Svetiev- A. Ottow, Financial supervision in the interstices between public and private law, in European Review of Contract Law, 10, 4 (2014), pp. 496 ss.
[133] Cfr. F. Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari- Discipline e forme di tutela, Milano, 2004, p. 390, il quale accenna alla possibilità di una nullità relativa per violazione di norme imperative in materia di conflitto di interessi.
[134] J. Armour- L. Enriques- T. Wetzer, Green Pills: Making Corporate Climate Commitments Credible, cit., pp. 326 ss.
SCHNEIDER GIULIA
Download:
SCHNEIDER_2_2024_Final.pdf