Iustinianus distinguit

Iustinianus distinguit

28.12.2022

Francesco Bono*

 

Iustinianus distinguit**

 

English title: Iustinianus distinguit

DOI: 10.26350/18277942_000100

 

Sommario. 1.Premessa. 2. Il caso nella costituzione. 3. Una struttura di pensiero: la distinctio. 4. I provvedimenti giustinianei: C. 6.30.21 e C. 6.24.14. 5. Conclusioni.

 

1. Premessa

 

Esiste una continuità tra la cancelleria severiana e quella giustinianea? La domanda potrebbe apparire una provocazione, anche solo considerando i profondi cambiamenti che l’impero romano subisce dal punto di vista istituzionale nel corso dei tre secoli che separano il regno di Alessandro Severo – ultimo discendente della dinastia inaugurata con Settimio Severo – e la monarchia di Giustiniano[1].

Una risposta negativa al quesito posto in apertura potrebbe poi ricavarsi dal modo di lavorare delle cancellerie e dalla produzione normativa delle stesse. Da Augusto fino alla dinastia dei Severi i giuristi coadiuvano l’imperatore con la loro competenza e autorevolezza, e la sinergia tra loro trova emblematica testimonianza nei rescritti; l’avvento di Costantino avrebbe del tutto eclissato questo scenario, a beneficio di una mentalità legalistica, volta ad affermare la primazia della volontà imperiale sulle altre fonti dell’ordinamento, che si sarebbe plasticamente manifestata nella costante adozione di leges generales[2]

Per affrontare il tema dell’esistenza di un divario tra età del Principato e il Tardo Antico, che secondo l’immagine tradizionalmente propugnata dalla storiografia avrebbe coinciso con una fase di decadenza e di impoverimento[3], si è scelto di indagare una manifestazione della cultura giuridica più nascosta - forse - ma non per questo meno significativa o meno rappresentativa della capacità tecnica e del modo di lavorare delle cancellerie imperiali.

Se infatti si guarda ad alcuni provvedimenti giustinianei per comprendere a fondo il modo in cui il legislatore ha ragionato e in cui lo stesso ha motivato le proprie decisioni, quest’ultima indagine consente di superare l’atteggiamento di scetticismo o di perplessità che la domanda iniziale può aver provocato.

 

2. Il caso nella costituzione

 

Per indagare il modo di ragionare del legislatore giustinianeo, un campione significativo è parso quello delle costituzioni che rientrano nel novero delle Quinquaginta decisiones[4] e delle constitutiones ad commodum propositi operis pertinentes[5] dove sono riportati alcuni casi controversi che Giustiniano risolve. 

A questo fine si è ritenuto di condurre lo studio dei gruppi di costituzioni precedentemente indicati ricostruendo il pensierio giurisprudenziale sul quale il legislatore giustinianeo è intervenuto e analizzando la soluzione adottata dall’imperatore per risolvere il ius controversum. Ciò ha consentito di calare nel contesto originario il lavoro della cancelleria imperiale nel momento in cui si è trovata a confrontarsi con l’eredità della giurisprudenza classica. 

Pur nella difficoltà di individuare una volta per tutte lo scopo dell’emanazione delle Quinquaginta decisiones e delle constitutiones ad commodum propositi operis pertinentes, vi è un dato, finora rimasto in ombra, che accomuna larga parte di questi provvedimenti imperiali. Nella riflessione storiografica su questo tipo di costituzioni esso è rimasto presupposto – anche se sarebbe meglio dire, schiacciato – quando si è sottolineato lo stretto rapporto tra questi provvedimenti e il ius controversum. Si è infatti evidenziato che la connessione tra l’intervento giustinianeo e il diritto giurisprudenziale si sarebbe realizzata nella volontà del legislatore di dare una soluzione alla controversia tra gli antichi giuristi per preparare e per supportare la compilazione del Digesto, secondo alcuni[6], o per velocizzare i tempi della giustizia, secondo altri[7]. Queste considerazioni, tuttavia, trascurano quanto la natura degli scritti giurisprudenziali che i funzionari giustinianei stavano leggendo abbia condizionato il lavoro della cancelleria. La letteratura giurisprudenziale è essenzialmente casistica perché la riflessione dei giuristi scaturisce dall’analisi delle fattispecie a loro sottoposte; questa caratteristica si ritrova anche in molte delle costituzioni appartenenti al gruppo delle Quinquaginta decisiones e delle constitutiones ad commodum[8], che muovono proprio dall’esame di una situazione controversa.

Proprio questo profilo è quello che con questo studio si intende indagare per affrontare il problema delle presunte diversità tra il modo di operare del legislatore imperiale.

L’impianto espositivo adottato dalla cancelleria in questi provvedimenti, infatti, può ricondursi, per larga parte[9], ad uno schema di composizione che si potrebbe definire fisso. Le disposizioni imperali si articolano infatti in tre parti:

1. l’enunciazione del casus, ovvero della fattispecie che i compilatori hanno tratto dalle opere giurisprudenziali;

2. la quaestio, che coincide con il problema che i giuristi si sono posti e che ora è oggetto dell’intervento imperiale. Essa si presenta in almeno due forme: la prima è quella che ricorda la controversia giurisprudenziale mediante una formula generica; la seconda è invece più estesa e viene arricchita dalle diverse opiniones dei giuristi.

3. la soluzione, introdotta dai verbi espressivi del potere imperiale: sancimus[10], censemus[11], placet-placuit[12].

A titolo esempio[13] si possono qui ricordare:

 

C. 2.18(19).24 Imp. Iustinianus. A. Iuliano pp.

(caso) Si quis nolente et specialiter prohibente domino rerum administrationi earum sese immiscuit,

 (quaestio) apud magnos auctores dubitabatur, si pro expensis, quae circa res factae sunt, talis negotiorum gestor habeat aliquam adversus dominum actionem. 1. Quam quibusdam pollicentibus directam vel utilem, aliis negantibus, in quibus et Salvius Iulianus fuit,

(soluzione) haec decidentes sancimus, si contradixerit dominus et eum res suas administrare prohibuerit, secundum Iuliani sententiam nullam esse adversus eum contrariam actionem, scilicet post denuntiationem, quam ei dominus transmiserit nec concedens ei res eius attingere, licet res bene ab eo gestae sint. 2. Quid enim, si dominus adspexerit ab administratore multas expensas utiliter factas et tunc dolosa adsimulatione habita eum prohibuerit, ut neque anteriores expensas praestet? quod nullo patimur modo: sed ex quo die attestatio ad eum facta est vel in scriptis vel sine scriptis, sub testificatione tamen aliarum personarum, ex eo die pro faciendis meliorationibus nullam ei actionem competere, super anterioribus autem, si utiliter factae sunt, habere eum actionem contra dominum concedimus sua natura currentem.

D. k. Aug. Constantinopoli Lampadio et Oresta vv. CC. conss. (a. 530)

 

e

 

C. 4.5.10 Imp. Iustinianus. A. Iuliano pp.

(caso) Si quis servum certi nominis aut quandam solidorum quantitatem vel aliam rem promiserit et, cum licentia ei fuerat unum ex his solvendo liberari, utrumque per ignorantiam dependerit,

(quaestio) dubitabatur, cuius rei datur a legibus ei repetitio, utrumne servi an pecuniae, et utrum stipulator an promissor habeat huius rei facultatem. 1. Et Ulpianus quidem electionem ipsi praestat qui utrumque accepit, ut hoc reddat quod sibi placuerit, et tam Marcellum quam Celsum sibi consonantes refert. Papinianus autem ipsi qui utrumque persolvit electionem donat, qui et antequam dependat ipse habet electionem quod velit praestare, et huiusmodi sententiae sublimissimum testem adducit Salvium Iulianum summae auctoritatis hominem et praetorii edicti ordinatorem.

(soluzione) Nobis haec decidentibus Iuliani et Papiniani placet sententia, ut ipse habeat electionem recipiendi, qui et dandi habuit.

D. k. Aug. Constantinopoli Lampadio et Oresta vv. CC. conss. (a. 530)

 

I provvedimenti imperiali appartenenti al novero delle costituzioni indicate sono quindi costruiti a partire da un caso che l’imperatore intende definire. La lettura diretta del testo giurisprudenziale condiziona la forma espositiva della costituzione stessa, che rimane imbrigliata alla fattispecie esaminata dai giuristi. La decisione che viene quindi adottata assume quasi le vesti del responsum, del quale mantiene la struttura tripartita[14]. Questo schema base può anche presentarsi ripetuto nel medesimo provvedimento, così che la costituzione diventa una catena di casi, come avviene in C. 6.27.5 o in C. 6.2.22[15].

 

3. Una struttura di pensiero: la distinctio

 

Appurate le peculiarità di questi provvedimenti giustinianei, pare opportuno puntualizzare meglio il quadro di analisi. Infatti riconoscere una natura casisitica ai provvedimenti legislativi significa entrare a diretto contatto col modo in cui l’imperatore elabora la propria soluzione - ed è bene sottolinearlo, ciò avviene “secondo lo stile” di un giurista classico[16] - rispettando comunque l’idea che il potere legislativo si esprima nella decisione con una valenza generale. 

La presente indagine cercherà quindi di mostrare come il legislatore giustinianeo faccia propri metodi e modi del ragionamento giuridico che sono patrimonio comune dei giuristi classici, e l’attenzione si concentrerà, in particolare, sulla figura sulla distinctio.

La distinctio può intendersi come quel procedimento logico-giuridico attraverso cui il giurista muovendo dal caso di base individua fatti fra loro alternativi - o se si vuole, una o più varianti ipotetiche - a cui possono conseguire soluzioni fra loro distinte. Introdurre una diversa ipotesi rispetto a un caso di base può giustificarsi con l’intenzione del giurista di conoscere se la differenza con la fattispecie originale è rilevante e di verificare se questa seconda ipotesi richiede una diversa valutazione e in conseguenza una soluzione opposta. La distinctio è frequentemente usata dai giuristi romani; basti qui ricordare che nelle sue Quaestiones Alfeno ne fu ampio ricorso[17], così come Proculo[18].

Va però ricordato come la funzione della distictio sia stata variamente interpretata a seconda che la si consideri sotto un profilo pedagogico[19] o sotto un profilo giuridico[20]. Con riguardo a questo secondo aspetto, si è pure sottolineato il suo essere più propriamente una forma di argomentazione[21], senza però negare che l’individuazione del criterio introdotto nella diversa costruzione delle diverse alternative permette di raggiungere una visione non certo superficiale della mentalità del giurista. La variazione dell’elemento fattuale ha, infatti, come presupposto la conoscenza dello stesso fatto del punto di vista giuridico e delle conseguenze che una modifica del fatto provoca sulla soluzione stessa.

Un'indagine sui metodi di ragionamento seguiti da Giustiniano può quindi ben essere condotta con l’analisi dell’uso della distinctio quale esempio di struttura essenziale del pensiero giuridico.

 

4. I provvedimenti giustinianei: C. 6.30.21 e C. 6.24.14

 

A. C. 6.30.21

 

Il primo testo che si intende qui presentare è C. 6.30.21:

 

C. 6.30.21[22] Imperator Iustinianus A. Iohanni pp.  Cum aliquis scripsit heredem eum, qui de sua condicione ei, qui dominium eius vindicabat, in iudicio adversabatur, is autem, qui dominum sese dicebat, adire eum hereditatem imperabat, ut adquisitio hereditatis per eum celebretur, indignatus est quasi domino ei parere. Dubitatio veteribus exorta est, si qua poena ei imponitur huiusmodi insolentiae. 1. Veteres in multas retrahuntur sententias, sed nos eorum discordiam sic esse decidendam censemus, ut distinctio subtilis causae imponatur. 2. Et si quidem ita scripta est institutio: “illum servum illius heredem instituo”, quia apertissimum est intuitu domini esse institutionem conscriptam, necesse est omnimodo per competentem iudicem eum compelli adire quidem hereditatem et eam adquirere, nulli autem ex postfacto subici gravamini, si liber pronuntietur, sed omne sive lucrum sive damnum ad eum redundare qui in servitutem eum trahebat et denegari ei et adversus eum omnes hereditarias actiones, nullo ex hoc ei praeiudicio generando. 3. Sin autem quasi liber institutus est nulla domini vel servi mentione in institutione habita, tunc nullo compelli modo eum adire hereditatem nec denegari ei liberale iudicium, sed et hereditatem per suum ius decurrere et liberale iudicium suam expectare sententiam sive agente eo sive pulsato, ut, si quidem servus pronuntietur, tunc domino suo hereditatem adquirat, sin autem liber, eam adipiscatur, si adire maluerit. D. II K. Mai. Constantinopoli post consulatum Lampadii et Orestis VV. CC. (30 aprile 531).

 

La costituzione, indirizzata a Giovanni, prefetto d’Oriente[23], affronta una dubitatio in una fattispecie che vede erede istituito un soggetto coinvolto in un processo di libertà.

Il presunto proprietario[24] ordina a questo soggetto di accettare l’eredità, così che essa entri nel suo patrimonio. L’erede istituito, tuttavia, non ritiene opportuno obbedire alla richiesta, sdegnandosi di dover sottostare all’avversario quasi fosse un padrone. I veteres discutevanose un qualche tipo di sanzione gli dovesse essere irrogata per questo rifiuto.

L’imperatore riferisce che i giuristi avevano assunto diverse posizioni e ritiene che, per comporre il dissidio, si debba applicare al caso una distinctio che egli stesso qualifica sottile e che, come vedremo, verte sul tenore dell’istituzione.

Se il de cuius ha utilizzato una formula nella quale la condizione servile dell’erede è menzionata, ad esempio illum servum illius heredem instituo, poiché il testatore ha espresso molto chiaramente la volontà di beneficare il proprietario più che il servo, l’imperatore stabilisce che il giudice competente debba costringere il servo (o presunto tale) ad adire l’eredità ed acquistarla. Giustiniano precisa che in tale ipotesi gli effetti giuridici dell’acquisto ricadono direttamente sul (presunto) dominus e, d’altra parte, che il soggetto il cui status è discusso è esentato da ogni conseguenza, escludendo la sua legittimazione attiva e passiva alle azioni ereditarie, anche nel caso venga poi riconosciuto libero.

Se invece il testatore lo ha istituito considerandolo come libero, cioè senza inserire riferimenti a un “servo” o a un “padrone”, l’imperatore decide che l’erede istituito non può essere costretto ad adire l’eredità, e allo stesso tempo che il giudizio sulla libertà non gli può essere denegato. Sia l’eredità che la causa liberale debbono dunque seguire il proprio corso: se poi verrà accertato che l’erede istituito era un servo, allora egli acquisterà al proprietario; al contrario, se verrà dichiarato libero, farà propria l’eredità (qualora lo voglia) con l’accettazione volontaria.

Stando al resoconto di Giustiniano, la dubitatio antica concerneva, in particolare, la questione se una qualche sanzione dovesse colpire l’insolenza consistente nel rifiuto di ottemperare all’ordine di adire l’eredità, impartito in pendenza della causa liberale. A quale poena pensassero i veteres non è chiaro. Un indizio è stato rintracciato nel testo stesso della costituzione[25]; l’espressione nec denegari ei liberale iudicium[26], infatti, lascerebbe intendere che alcuni giuristi proponessero la denegatio del giudizio di libertà (in senso stretto o intesa come interruzione del giudizio in corso)[27].

Tuttavia, la questione affrontata dai giuristi doveva toccare anche le conseguenze dell’accettazione dell’eredità sul iudicium liberale. È del resto Giustiniano stesso ad affrontarle nel proprio dispositivo e questo fa pensare che già i giuristi avessero discusso di tale profilo.

Sotto un aspetto più generale le fonti non riservano molte informazioni sul rapporto tra un iudicium liberale e una questione di diritto ereditario, come si è già constatato per il punto specifico della determinazione della poena. Gaio, nel commentario ad Edictum praetoris urbani, afferma che, qualora un soggetto sia destinatario di un legatum optionis e sia al contempo parte di un giudizio di libertà, si deve applicare la stessa disciplina prevista per la delazione di eredità[28]. Purtroppo, non si può aggiungere nulla di più su quale fosse l’opinione di Gaio perché nei frammenti della sua opera non si rinviene alcun accenno alla trattazione relativa alla connessione tra eredità e giudizio liberale.

L’indagine per la ricostruzione della dubitatio deve perciò essere ampliata al problema di quale fosse il regime applicato qualora si instaurasse una controversia di altra natura dopo che era già stato avviato un giudizio di libertà.

Nel titolo De liberali causa del Digesto si trova conservato un lungo frammento tratto dal commentario ad Edictum di Paolo. Il giurista esamina il regime della legittimazione passiva del presunto servo in un’azione promossa dal dominus in pendenza di un giudizio di libertà[29]

 

Paul. 51 ad ed. D. 40.12.24.3 Sed si quas actiones inferat dominus, quaeritur, an compellendus sit suscipere iudicium. Et plerique existimant, si in personam agat, suscipere [debere] ipsum ad litis contestationem, sed sustinendum iudicium, donec de libertate iudicetur: nec videri praeiudicium libertati fieri aut voluntate domini in libertate eum morari: nam ordinato liberali iudicio interim pro libero habetur, et sicut ipse agere, ita cum ipso quoque agi potest. Ceterum ex eventu aut utile iudicium erit aut nullum, si contra libertatem pronuntiatum fuerit.

 

Paolo si chiede se, qualora il proprietario promuova alcune azioni contro il preteso servo che è pure parte in un giudizio di libertà, quest’ultimo debba assumere il giudizio. Egli riferisce che la maggioranza dei giuristi ritenevano che, se l’azione era in personam[30], dovesse assumerlo fino alla litis contestatio e che la causa rimanesse poi sospesa[31] fino alla sentenza del iudicium liberale[32].

Segue quindi una precisazione, dove Paolo analizza le conseguenze di questa situazione. Il giurista afferma che essa non comporta un praeiudicium sul giudizio di libertà né si considera che il soggetto, essendo stato convenuto, si trovi in condizione di libertà con il consenso del dominus. Non ci sono dubbi in letteratura sulla parte del passo paolino, in cui si afferma che il convenire il presunto servo come proprio debitore non vale in alcun modo come un riconoscimento di quella libertà di fatto che era il presupposto per la concessione della libertas latina, poiché, dopo l’instaurazione del giudizio liberale, il soggetto è considerato pro libero dall’ordinamento stesso, che gli ricosce la possibilità di agire.  

In storiografia si è invece discusso quale sia la situazione potenzialmente pregiudizievole a cui si riferisce il discorso di Paolo e quale sia la parte in causa danneggiata dal fatto che l’azione in personam non sia sospesa.

Un’opinione identifica il pregiudizio nella possibilità che la sentenza sull’azione in personam preceda quella sulla causa liberale, influenzandola indirettamente nella misura in cui si riconoscesse o meno la condizione di libero del convenuto[33]. Tale pregiudizio si sarebbe proprio per questo evitato con la sospensione della fase apud iudicem nel giudizio in personam.

Altri - e questa appare essere l’ipotesi più convincente - ha legato il praeiudicium all’instaurazione stessa di un giudizio in personam, riferendolo al potenziale danno che sarebbe derivato al presunto proprietario nel momento in cui promuovendo l’azione in personam contro il preteso servo, avrebbe finito di fatto per riconoscerlo come una persona libera ai sensi della lex Iunia[34].  

In ogni caso, Paolo esclude il verificarsi di un pregiudizio perché - spiega il giurista - il soggetto era costituito in libertà in conseguenza dell’instaurarsi del giudizio e tale condizione gli veniva riconosciuta dalla legge stessa. Pertanto, come poteva agire contro il dominus, così pure poteva a sua volta essere convenuto.

Il passo di Paolo si rileva utile come termine di confronto rispetto dell’opzione interpretativa adottata da Giustiniano. Sia il giurista sia l’imperatore si trovano di fronte ad un problema analogo che però è calato in due diverse situazioni.

In Paolo si è poco sopra visto quali sono i due interessi opposti in gioco, e in che modo la giurisprudenza provvede a contemperarli. La prospettiva è prevalentemente centrata sull’interferenza tra un giudizio promosso dal presunto dominus contro il preteso servo e la causa liberale in cui è parte quest’ultimo, visto che il giurista si interroga su quali possano essere le ricadute sullo status della persona convenuta.

Giustiniano, dal canto suo, ha sempre di fronte due posizioni contrastanti, quella di chi si afferma dominus e quella di chi, istituito erede, è coinvolto in un processo di libertà e non intende obbedire all’ordine ricevuto. La costituzione ha poi come filo conduttore la questione dell’aditio hereditatis e delle conseguenti imputazioni patrimoniali, anche se la questione dello status personale rimane comunque sullo sfondo.

Il punto di maggiore differenza tra le due impostazioni sta, invece, nella soluzione, perché Giustiniano non segue - o almeno non completamente - la via intrapresa da Paolo. Paolo afferma che il presunto servo deve assumere il giudizio nell’azione in personam contro di lui intentata e concludere la litis contestatio, ma trova allo stesso tempo un punto di equilibrio per non pregiudicarlo, preventivando la sua sospensione. Viceversa, l’imperatore evita di replicare tale e quale la costruzione in un ambito come quello dell’acquisto di eredità dove già sarebbe stato problematico compiere un’aditio per sospenderne contestualmente gli effetti. In secondo luogo, Giustiniano esclude del tutto l’opzione della sospensione in attesa dell’esito della causa liberale in quei casi in cui il testatore ha inteso istituire erede un servo. Tuttavia, qualora il testatore ha inteso istituire la persona come libero, l’imperatore riconosce sì che l’eredità e il giudizio di libertà seguano il loro corso, ma implicitamente accoglie la possibilità di una sospensione dell’aditio nell’attesa che si definisca il iudicium liberale. Questo spiega il perché lo stesso imperatore, in chiusura del suo provvedimento, ribadisce che l’acquisto dell’eredità debba dipendere comunque dall’esito del giudizio sulla condizione di libertà dell’erede istituito.

Esaminati gli aspetti che riguardano la ricostruzione della fattispecie discussa dai veteres, anche attraverso il confronto con le fonti giurisprudenziali esistenti, rimane da osservare il modo in cui il legislatore giustinianeo risolve la dubitatio antica.

L’imperatore, nell’adottare la distinctio definita da lui stesso subtilis[35], adotta uno schema di ragionamento tipico dei giuristi. La distinctio permette all’imperatore di scomporre la fattispecie di partenza e di ricavare dalla stessa delle varianti, a cui corrispondono soluzioni tra loro opposte. Il ragionamento di Giustiniano si biforca partendo dal caso controverso posto in premessa e prospetta quindi due diverse ipotesi. La distinctio diviene così il presupposto per pervenire alla soluzione della fattispecie, e permette di verificare la motivazione della scelta compiuta dal legislatore.

 

B. C. 6.24.14

 

Un secondo provvedimento nel quale Giustiniano adotta lo schema di ragionamento della distinctio è C. 6.24.14[36],  in cui il legislatore è chiamato a risolvere una particolare fattispecie di heredis institutio, rinvenuta nei libri ad Sabinum di Ulpiano[37]:

 

C. 6.24.14[38]Imperator Iustinianus A. Iohanni pp. Cum in libris Ulpiani, quos ad Massurium Sabinum scripsit, talis species relata est, hanc apertius expedire nobis visum est. 1. Quidam testamentum faciens ita instituit: "Sempronius Plotii heres esto". Veteres quidem existimabant errorem nominis esse et sic institutionem valere, quasi testator Plotius nominaretur et Sempronium sibi scripsisset heredem. 2. Sed huiusmodi sententiam crassiorem esse existimamus: neque enim sic homo supinus, immo magis stultus invenitur, ut suum nomen ignoret. Sed si quidem ipse testator Plotio cuidam heres extitit, manifestissimum esse sibi Sempronium heredem instituisse, ut per mediam ipsius personam Plotii heres efficiatur: et hoc argumentamur ex antiqua regula, quae voluit heredem heredis testatoris esse heredem. 3. Sin autem nihil tale factum est, supervacuam esse et inanem huiusmodi institutionem, nisi prius herede Plotio sibi instituto sic adiecit: "Sempronius Plotii heres esto". Tunc etenim existimandum est eum dixisse, si non Plotius heres sibi fuerit, tunc Sempronium in locum partemve Plotii ex substitutione vocari, ut ita ex consequentia verborum Plotius quidem institutus, Sempronius autem substitutus inveniatur. 4. Sin autem neque ipse testator Plotio heres extitit neque Plotium heredem antea scripsit et sic Sempronium Plotio heredem voluit esse, nullius esse momenti talem institutionem, cum non est verisimile in suum nomen quendam errasse. D. [III] K. Aug. post consulatum Lampadii et Orestis vv. cc. (29 luglio 531)[39].

 

Il caso (species) attiene ad un’istituzione di erede espressa con la formula Sempronius Plotii heres esto, viziata da un errore, in quanto il nome del testatore non corrisponde a Plozio[40].

Il problema riguarda la possibile nullità dell’istituzione stessa, con la conseguente apertura della successione ab intestato, derivante dalla discrepanza tra la formula di istituzione e il nome del de cuius

I giuristi (veteres) si erano espressi a favore della validità dell’istituzione di erede, motivando la loro soluzione con le parole quasi testator Plotius nominaretur et Sempronium sibi scripsisset heredem. Il testo della costituzione conserva quindi non solo la soluzione fornita dai giuristi, schierati a favore della validità dell’heredis institutio, ma anche il ragionamento che ha portato a quella conclusione. L’uso del quasi indica il ricorso ad una finzione[41], procedimento mediante il quale si attua “una deformazione cosciente della realtà cui si riconnette una conseguenza giuridica”[42]. Grazie alla finzione, i giuristi avrebbero considerato Plotio il vero nome del testatore, risolvendo così l’error nominis[43].

Giustiniano, con giudizio perentorio, etichetta il ragionamento dei veteres come assai grossolano[44]. Motivando il proprio disappunto, l’imperatore ritiene che non poteva trovarsi un uomo tanto sbadato, per non dire stolto, da ignorare il proprio nome[45]

Dopo la critica all’opinio dei giuristi il provvedimento imperiale prosegue con tre diverse ipotesi, introdotte sempre da si, nelle quali si trovano formulate le interpretazioni dall’imperatore della formula di istituzione presentata nel principium.

La prima prevede la validità dell’heredis institutio qualora il testatore sia stato erede di un soggetto che abbia il nome di Plozio, coincidente così con quello della formula. Infatti, - afferma Giustiniano - è molto chiaro (manifestissimum esse) che il testatore, apponendo il nome Plotio, allude all’eredità che ha ricevuto e che ora dispone in favore del proprio erede. Il testatore è quindi un mediatore tra il suo dante causa e l’erede da lui stesso istituito. Per fondare questa soluzione l’imperatore invoca l’applicazione della regola, di matrice classica, che considera heredem heredis testatoris esse heredem[46]

La seconda, sempre volta a salvare la disposizione testamentaria Sempronius Plotii heres esto da una possibile invalidità, consiste nella costruzione di una nuova fattispecie. L’imperatore immagina che la stessa formula di istituzione sia preceduta a sua volta dall’istituzione ad erede di Plozio. Così facendo Sempronius Plotii heres esto diventa una sostituzione volgare ed è la consequentia verborum a determinare Plozio erede e Sempronio sostituto. Va però precisato che, in questa ricostruzione, Sempronio sarebbe chiamato ex sustitutione in locum partemve a seconda che Plozio sia erede istituito universale o per quota[47]. Giustiniano, così facendo, compirebbe, però, una forzatura, poiché la disposizione utilizzata dal testatore si discosta di molto da quella usualmente indicata nella sostituzione volgare[48]: la substitutio, infatti, si sostanzia in un’istituzione condizionata e il sostituto è comunque indicato erede del testatore e non dell’erede precedentemente istituito[49]

Infine, Giustiniano considera una terza possibilità, ricavata in negativo rispetto alle due precedenti. Infatti, l’imperatore afferma che, qualora il testatore non sia stato erede di un Plozio o qualora non abbia inserito una precedente istituzione di erede di un Plozio per costruire poi una sostituzione, allora l’heredis institutio scritta con le parole Sempronius Plotii heres esto non può essere considerata valida; l’imperatore rimarca quindi il proprio distacco dalla soluzione adottata dai veteres e da lui fortemente criticata poco prima.

Come si può notare, l’imperatore ha costruito la propria interpretazione della species discussa dai giuristi attraverso una sequenza di ipotesi, tra loro diverse, come già aveva fatto in C. 6.30.21. Alla base della distinzione tra le diverse situazioni da lui prospettate, Giustiniano pone “una rigorosa considerazione dei verba testamenti[50], e va alla ricerca di elementi, desunti dalla formula testamentaria o ad essa collegabili, che possano poi essere attestati nella realtà: ad esempio, per quel che attiene al caso esaminato, l’esistenza di un Plozio dante causa del testatore oppure la presenza di altre disposizioni nel medesimo testamento che individuino un soggetto esistente.

 

5. Conclusioni

 

Volendo riassumere quanto fin qui detto per tracciare alcune riflessioni conclusive, un primo punto fermo sta nell’aver individuato nelle costituzioni delle Quinquaginta decisiones e delle ad commodum propositi operis pertinentes un campione di testi di particolare valore per comprendere il pensiero giuridico di Giustiniano.

Questi provvedimenti sono, per loro natura, improntati all’analisi di una fattispecie, e mostrano evidenti analogie con i testi dei giuristi, dai quali mutuano una dimensione casistica. Proprio il casus controverso è il punto di partenza del ragionamento del legislatore, che presenta la questione su cui i giuristi si erano divisi e che era stata registrata nei loro scritti. Segue quindi la soluzione che l’imperatore intede dare al problema che egli rinviene nelle opere giurisprudenziali. L’unione di questi tre elementi (casus, quaestio, solutio) dà origine ad una struttura espositiva che ben può accostarsi a quella dei responsa.

Questa tipologia di costituzioni, poi, consente di studiare il ragionamento svolto dal legislatore all’atto di risolvere un problema, il cui rilievo è provato dalla controversia sorta fra i giuristi classici. I due provvedimenti presentati, C. 6.30.21 e C. 6.24.14, in particolare, hanno mostrato come Giustiniano utilizzi con consapevolezza e con estrema capacità la struttura logico-giuridica della distinctio, che mutua sempre dalla riflessione giurisprudenziale.

Giustiniano, come si è potuto constatare, prospetta differenti scenari di soluzione attraverso la costruzione di casi fra loro alternativi che muovono sempre dalla fattispecie controversa. Grazie a questo procedimento con cui si presentano più ipotesi, appoggiate a diverse varianti innestate sulla situazione fattuale di partenza, il legislatore - e con esso la cancelleria che lo coadiuva - sembra voler coprire tutte le possibilità che si potrebbero affacciare nella mente dell’interprete della questione discussa dai veteres. Proprio grazie a questo modo di procedere, cioè grazie alla distinctio, Giustiniano chiarisce e risolve una volta per tutte ciò che prima era risultato dubbio o incerto.

Questo dato è certamente di interesse per ampliare le prospettive di conoscenza circa l’opera di sistemazione del diritto romano dovuta a Giustiniano, la quale è stata quasi unanimemente letta come il definitivo passaggio dall’elaborazione casistica ai codici[51]. Le costituzioni imperiali qui esaminate mostrano infatti che il legislatore confrontandosi con la giurisprudenza classica adotta modi e metodi di ragionamento analoghi a quelli dei giuristi, e dimostra una sensibilità giurisprudenziale intesa come riconoscimento della centralità del caso[52]

Certamente, con ciò non si vuole arrivare ad affermare che la produzione normativa giustinianea proceda solamente secondo questa modalità: basterà passare in rassegna provvedimenti che non sono nel novero delle quinquaginta decisiones e delle costituzioni ad commodum propositi operis pertinentes per rendersi conto che per lo più l’imperatore legifera in termini generali. Occorre, però, rilevare che in alcune disposizioni la cancelleria imperiale trae evidente ispirazione dall’elaborazione giurisprudenziale, inserendo la propria attività nel solco della riflessione classica[53]. Così come si può osservare che proprio in quelle costituzioni che sono più a diretto contatto con i materiali giurisprudenziali, principalmente casistici, l’imperatore, anche condizionato da questi testi, si misura con il sapere dei giuristi, scegliendo di ricorrere al loro stesso bagaglio tecnico. 

Se è vero che Giustiniano ci ha abituato alla bidimensionalità dei mosaici di San Vitale per comunicare l’assolutezza del suo potere, all’occhio attento non sfugge la policromia delicata delle singole tessere.

 

 

Abstract (ENG): The paper focuses on how Justinian and his chancellery resolved controversial cases found in the works of classical jurists. It is divided into two parts. In the first, an examination of the quinquaginta decisiones and the constitutiones ad commodum propositi operis pertinentes demonstrates the existence of a fixed expository structure (casus, quaestio, solutio). In the second, C. 6.30.21 and C. 6.24.14 are analysed to show how the emperor adopts a way of reasoning similar to that of the classical jurists. In particular, the legislator adopts the logical-legal instrument of the distinctio.

 

Keyword (ENG): Justinian, legal reasoning, distinctio.

 

 


* Università degli studi di Parma (francesco.bono@unipr.it).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind review.

[1] Sulle differenze del sistema costituzionale romano tra l’età del principato e la Tardo Antichità rimane punto di riferimento imprescindibile la riflessione di: J.B. Bury, The constitution of the later roman Empire, Cambridge, 1910; letture classiche sono poi le trattazioni di: E. Stein, Histoire du Bas-Empire, 1, Amsterdam, 1968, pp. 34-54; A.H.M. Jones, Il tardo impero romano (284-602 d.C.), 1, Milano, 1973, pp. 395-446. Relativamente alle riforme del diritto pubblico di epoca giustinianea, vd. S. Puliatti, Innovare cum iusta causa. Continuità e innovazione nelle riforme amministrative e giurisdizionali di Giustiniano, Torino, 2021.

[2] Per una descrizione delle novità nella produzione normativa introdotte a partire dall’età costantiniana rinvio ai lavori di: D. Mantovani, in E. Gabba - D. Foraboschi - E. Lo Cascio - L. Troiani, Il diritto da Augusto al Theodosianus, in Introduzione alla storia di Roma, Milano, 1999, pp. 510-534; N. Palazzolo, Concezione giurisprudenziale e concezione legislativa del diritto: la svolta costantiniana, in Poteri religiosi e Istituzioni. Il culto di San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini - P. Onida, Torino, 2003, pp. 171, 177-179; D. Johnston, Epiclassical Law, in The Cambridge Ancient History, XII, The Crisis of Empire, A.D. 193-337, edited by A.K. Bowman - P. Garnsey - Av. Cameron, Cambridge, 2005, p. 207; L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma, 2007, pp. 246-277; S. PULIATTI, Il diritto prima e dopo Costantino, in Enc. const., consultabile al link https://www.treccani.it/enciclopedia/il-diritto-prima-e-dopo-costantino_%28Enciclopedia-Costantiniana%29 (19 dicembre 2022).

[3] Esaustivo il quadro tracciato da: D. Mantovani, Diritto e storia tardoantica. Tavola rotonda, in Trent'anni di studi sulla Tarda Antichità. Bilanci e prospettive. Atti del convegno internazionale Napoli, 21-23 novembre 2007, a cura di U. Criscuolo - L. De Giovanni, Napoli, 2009, pp. 396-417.

[4] Sulle Quinquaginta decisiones: S. Di Marzo, Le quinquaginta decisiones di Giustiniano, I-II, Palermo, 1899-1900; K.H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik.  Versuch einer Darstellung an Hand seiner Kontroversen entscheidenden Konstitutionen, Köln-Graz, 1966; T. Honoré, Tribonian, London, 1978, p. 144, spec.  nt.  33; H.J. Scheltema, Les quinquaginta decisiones, in Subseciva Groningana, I (1984), pp. 1-9; G.L. Falchi, Sulla codificazione del diritto romano nel V e VI secolo, Roma, 1989, pp. 103 ss.; Id., Osservazioni sulle “L decisiones” di Giustiniano, in Studi in onore di A. Biscardi, V, Milano, 1984, pp. 121-150; C.  Russo Ruggeri, Studi sulle quinquaginta decisiones, Milano, 1999; Ead., Sulle quinquaginta decisiones, dieci anni dopo, in SDHI, 76 (2010), pp. 445 ss.; Μ. Varvaro, Contributo allo studio delle  quinquaginta decisiones, in Annali del seminario giuridico dell’università di  Palermo, 46 (2000), pp. 359-539; D. Pugsley, ‘Cordi’ and the Fifty Decisions, in, Il diritto giustinianeo fra tradizione classica e innovazione, a cura di F. Botta, Torino, 2003, pp. 135-146; G.  Luchetti, Nuove ricerche sulle Istituzioni di Giustiniano, Milano, 2004, p. 259, nt. 288.; Id., La ‘const. ad senatum’ del 22 luglio del 530 e il progetto delle ‘quinquaginta decisiones’, in Contributi di diritto giustinianeo, Milano, 2004, pp. 17 ss.; Id., Giustiniano e l’eredità della scienza giuridica romana, in Pensiero giuridico occidentale e giuristi romani. Eredità e genealogie, a cura di A. Schiavone, F. Nasti, N. Hakim, P. Bonin, Torino, 2019, pp. 135-159; R. Lambertini, Se ci sia stato un 'Quinquaginta decisionum liber', in IURA, 57 (2009), pp. 121-151; S. Di  Maria,  La  cancelleria  imperiale  e  i  giuristi  classici:  ‘reverentia  antiquitatis’  e  nuove  prospettive  nella  legislazione  giustinianea  del  Codice,  Bologna,  2010; Ead., Brevi   note   sull’infungibilità   dei   giuristi   classici   nell’epoca giustinianea: l’esempio delle “decisiones”, in Rivista di diritto romano, 10 (2010), pp. 1-12; Ead., La cancelleria giustinianea e l’infungibilità dei giuristi classici: l’esempio delle decisiones", in Dogmengeschichte und Historische individualität der Römischen Juristen. Storia dei dogmi e individualità storica dei giuristi romani. Atti del Seminario internazionale (Montepulciano 14-17 giugno 2011), Trento, 2012, pp. 575-591; Ead., I compilatori giustinianei e i libri ad Vitellium di Paolo, in Cultura giuridica e diritto vivente, 6 (2019), pp. 1-17; F. Bono, Giustiniano fra legislazione e giurisprudenza. Citazioni giurisprudenziali e motivazione imperiale, Pavia, 2014; C. Willems, Justinian als Ökonom. Entscheidungsgründe und Entscheidungsmuster in den quinquaginta decisiones, Köln, 2017; A. Schiavon, C.I. 4.5.10: note a margine di un dibattito giurisprudenziale classico nell’ottica giustinianea, in AG, 152.1 (2020), pp. 373-394.

[5] Sulle constitutiones ad commodum propositi operis pertinentes: C. Longo, Contributo alla storia della formazione delle Pandette, in BIDR, 19 (1907), pp. 132-160; P. de Francisci, Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea durante la compilazione delle Pandette, in BIDR, 22 (1910), pp. 155-207; in BIDR, 23 (1911), pp. 39-85, pp. 186-295; in BIDR, 27 (1914), pp. 5-54; K.H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik,cit., p.  336; M. Varvaro, Contributo allo studio delle quinquaginta decisiones, cit., pp. 469-483.

[6] D. Pugsley, ‘Cordi’ and the Fifty Decisions, cit., pp. 135ss. Contro questa impostazione, C. Russo Ruggeri, Sulle quinquaginta decisiones, dieci anni dopo, cit., pp. 446 ss.

[7] G. Luchetti, Giustiniano e l’eredità della scienza giuridica romana, cit., pp. 144-145.

[8] L. Vacca, Controversialità del diritto e impianto casisitico, in Ius controversum e processo fra tarda repubblica ed età dei Severi, a cura di V. Marotta – E. Stolfi, Roma, 2012, pp. 61-75; M. Bretone, Storia del diritto romano, Bari, 1992, pp. 297-303.

[9] Vanno esclusi da questo schema quei provvedimenti con cui Giustiniano abroga istituti di diritto classico; ad esempio, l’abolizione della distinzione di res mancipi e nec mancipi in C. 7.31.1 o della dediticia condicio in C. 7.5.1.

[10] C. 2.18(19).24; C. 3.33.12; C. 3.33.16; C. 5.4.25.

[11] C. 5.4.26; C. 8.47.11; C. 3.33.14; C. 4.38.15; C. 7.4.14; C. 6.30.20; C. 6.30.21.

[12] C. 3.33.15; C. 4.5.10; C. 6.2.20; C. 6.2.22.

[13] Analoga struttura si ritrova in: C. 3.33.14; C. 3.33.15; C. 4.27.2(3); C. 5.4.26; C. 6.2.20; C. 6.27.4; C. 6.27.5; C. 6.30.20; C. 6.30.21; C. 6.37.24; C. 6.46.6(7); C. 7.4.16; C. 7.4.17.

[14] L. Vacca, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano, 1982, pp. 108-110; L. Vacca, La giurisprudenza nel sistema delle fonti del diritto romano. Corso di lezioni, Torino, 2012, pp. 60-63; C. Krampe, Tabernarius consulebat, Alfenus respondit.- D. 9.2.52.1 Alfenus 2 Digestorum-, in Viva vox iuris romani. Essays in honour of Johannes Emil Spruit, edited by L. de Ligt, Amsterdam, 2002, pp. 133-140; M. Miglietta, Servius respondit. Studi intorno a metodo e interpretazione nella scuola giuridica serviana. Prolegomena I, Trento, 2010, pp. 216-226.

[15] C. 6.2.22.1 Sed quaerebatur apud antiquos legum interpretes, (caso) si quis commodavit alii rem ad se pertinentem et ipsa res subtracta est, (quaestio) an furti actio adversus furem institui possit ab eo qui rem utendam accepit, idoneo scilicet constituto, quia et ipse commodati actione a domino pro ea re conveniri potest. 1a Et hoc quidem paene iam fuerat concessum, ut habeat ipse actionem, nisi inopia noscitur laborare: tunc enim furti actionem domino competere dicebant. 1b. Sed ea satis increbuit dubitatio, si tempore quo furtum committebatur idoneus erat is qui rem commodandam accepit, postea autem ad inopiam pervenit, antequam moveatur actio quae ei antea competebat, an debeat actio quae semel ei adquisita est firmiter apud eum manere vel ad dominum reverti, cum et hoc quaerebatur, an in hoc casu furti actio ambulatoria sit nec ne. 1c. Sed omnem talem tractatum alia sequitur subdivisio, si ex parte solvendo sit is qui rem utendam accepit, ut possit non in totum, sed particularem solutionem ei facere, an habeat furti actionem vel non. 1d. (soluzione) Tales itaque ambiguitates veterum, immo magis, quod melius dicendum est, ambages nobis decidentibus in tanta rerum difficultate simplicior sententia placuit, ut in domini sit voluntate, sive commodati actionem adversus res accipientem movere desiderat sive furti adversus eum qui rem subripuit, et alterutra earum electa dominum non posse ex paenitentia ad alteram venire. 1e. Sed si quidem furem elegerit, illum qui rem utendam accepit penitus liberari: sin autem quasi commodator veniat adversus eum qui rem utendam accepit, ipsi quidem nullo modo competere posse adversus furem furti actionem, eum autem, qui pro re commodata convenitur, posse adversus furem furti habere actionem, ita tamen, si dominus sciens rem esse subreptam adversus eum qui eam accepit perveniat. 2. Sin autem nescius et dubitans rem non esse apud eum commodati actionem instituit, postea autem re comperta voluit remittere quidem commodati actionem, ad furti autem pervenire, tunc licentia ei concedatur et adversus furem venire, nullo obstaculo ei opponendo, quoniam incertus constitutus movit adversus eum qui rem utendam accepit commodati actionem, (nisi domino ab eo satisfactum est: tunc etenim omnimodo furem a domino quidem furti actione liberari, suppositum autem esse ei, qui pro re sibi commodata domino satisfecit), cum manifestissimum est, etiam si ab initio dominus actionem instituit commodati ignarus rei subreptae, postea autem hoc ei cognito adversus furem transivit, omnimodo liberari eum qui rem commodatam suscepit, quemcumque causae exitum dominus adversus furem habuerit: eadem definitione obtinente, sive in partem sive in solidum solvendo sit is qui rem commodatam accepit. 3. Sed cum in secunda dubitatione incidebat, (caso) quid statuendum sit, si quis rem commodatam habuerit, quam aliquis furto subtraxerat et lite pulsatus condemnationem passus fuerat non tantum in rem furtivam, sed etiam in poenam furti, et postea dominus rei venerit omnem condemnationem accipere desiderans utpote ex suae rei occasione ortam, (quaestio) alia dubitatio incidit veteribus, utrumne rem tantummodo suam vel eius aestimationem consequatur, an etiam summam poenalem. 3a. Et licet ab antiquis variatum est et ab ipso Papiniano in contrarias declinante sententias, (soluzione) tamen nobis haec decidentibus Papinianus, licet variavit, eligendus est, non in prima, sed in secunda eius definitione, in qua lucrum statuit minime ad dominum rei pervenire: ubi enim periculum, ibi et lucrum collocetur, nec sit damno tantummodo deditus qui rem commodatam accepit, sed liceat ei etiam lucrum sperare. 4.  Cum autem in confinio earum dubitationum tertia exorta est, quare non et eam decidimus? cum enim apertissimi iuris est non posse maritum constante matrimonio furti actionem contra suam uxorem habere, quia lex ita atrocem actionem dare in personas ita sibi coniunctas erubuit, huiusmodi incidit veterum sensibus quaestio. 4a. (caso) Quidam etenim re sibi commodata huiusmodi rei furtum a sua muliere passus est: (quaestio) et dubitabatur, utrumne domino rei furti actio contra mulierem praestatur, an propter necessitatem causae et maritus eius utpote commodati actioni suppositus potest habere furti actionem. (soluzione) 4b. Et auctores quidem iuris satis et in hac specie contra se iurgium exercuerunt: ex praesente autem lege et anterioribus nostris decisionibus, quae in ista positae sunt constitutione, potest et haec species apertius dirimi. 4c. Si enim domino dedimus electionem ad quem voluit pervenire, sive ad eum qui rem commodatam accepit, sive contra eum qui furtum commisit, et in hac specie maritus quidem propter matrimonii pudorem non furti, sed rerum amotarum actionem habeat, si ipsum dominus elegerit, dominus autem omnem licentiam possideat sive adversus maritum commodati sive adversus mulierem furti actionem extendere: ita tamen ut, si ipse qui rem commodatam accepit solvendo sit, nullo modo adversus mulierem furti actio extendatur, ne ex huiusmodi occasione inter maritum et uxorem, qui non bene secum vivunt, aliqua machinatio oriatur, et forsitan marito volente uxor eius et trahatur et furti patiatur poenalem condemnationem. Si era già sottolineato questo elemento a proposito di C. 6.25.7; a questo proposito si rinvia a: F. Bono, Giustiniano e il sapere giurisprudenziale. Il caso del servo istituito erede sine libertate, in Interpretare il Digesto. Storia e metodi, a cura di D. Mantovani e A. Padoa Schioppa, Pavia, 2014, pp. 175-187; inoltre per ulteriori esempi e per un inquadramento dei rapporti tra legislazione giustinianea e opere giurisprudenziali si veda pure il lavoro di: S. Puliatti, La politica legislativa di Giustiniano, in Interpretare il Digesto, cit.,pp. 135-173.

[16] D. Mantovani, Diritto e storia tardoantica. Tavola rotonda, cit.

[17] M. Bretone, Storia del diritto romano, Bari, 2006, 11° ed., pp. 202-204.

[18] C. Krampe, Proculi Epistulae. Eine fruhklassische Juristenschrift, Karlsruhe, 1970, pp. 61-97.

[19] E. Seidl, Römische Rechtsgeschichte und römisches Zivilprozessrecht, Koln, 1962, p. 74.   

[20] C. Krampe, Proculi Epistulae,cit.

[21] F. Horak, Rationes decidendi. Entscheidungsbegründungen bei den alteren römischen Juristen bis Labeo, Aalen, 1969, pp. 79-80.

[22] Trad.: Poiché qualcuno nominò erede un tale che circa la sua condizione di uomo libero si opponeva in giudizio a colui che ne rivendicava invece la proprietà, e quello che si affermava proprietario ordinava al primo di adire l’eredità, al fine di acquistare per suo tramite l’eredità, costui si sdegnò di obbedire a quello come ad un padrone. Sorse presso gli antichi giuristi una questione, se una qualche forma di pena gli andasse imposta per un comportamento tanto insolente. 1. Gli antichi giuristi si dividono in diverse opinioni, ma noi ordiniamo che la loro discordia debba essere risolta in modo che una distinzione molto precisa si imponga al caso discusso. 2. E se, per un verso, l’istituzione di erede è stata scritta così “nomino erede il tale servo di quello”, dato che è molto evidente che l’istituzione è stata scritta avendo in mente il padrone, è necessario in ogni modo che egli sia costretto dal giudice competente ad adire l’eredità e ad acquistarla, senza tuttavia che egli debba sopportare alcuno svantaggio per quanto accadrà successivamente, cioè se venga dichiarato uomo libero; ma ogni profitto o danno sarà dunque imputato a colui che lo richiede in servitù, e saranno denegate, a suo favore e contro di lui, tutte le azioni ereditarie, senza che da ciò ne venga a lui un pregiudizio. 3. Ma se, per altro verso, è stato istituito erede come libero, non facendosi nell’istituzione alcuna menzione di “servo” o “padrone”, allora non lo si costringa in nessun modo ad adire l’eredità, né gli si neghi il giudizio sulla libertà, e l’eredità segua invece il suo corso legale e il giudizio sulla libertà attenda la sua sentenza (sia che egli abbia agito sia che sia stato convenuto), di modo che, se è dichiarato essere un servo, allora acquisti l’eredità al suo padrone, ma, se viene dichiarato libero, acquisti l’eredità, se preferisca adirla.

[23] Il provvedimento appartiene al gruppo delle Quinquaginta decisiones:S. Di Marzo, Le quinquaginta decisiones di Giustiniano, cit., p. 65; T. Honorè, Tribonian, London 1978, p. 145 n. 47; H.J. Scheltema, Les Quinquaginta decisiones, cit., p. 7; G.L. Falchi, Sulla  codificazione del diritto romano, cit.,pp. 111-112;  Id., Osservazioni sulle “L decisiones” di Giustiniano, cit., p. 125 n. 13; C. Russo Ruggeri, Studi sulle Quinquaginta decisiones, cit., p. 46; M. Varvaro, Contributo allo studio delle Quinquaginta decisiones, cit., pp. 410-411 e n. 98; W. Buchwitz, Servus alienus heres. Die Erbeinsetzung fremder Sklaven im klassischen römischen Recht, Köln 2012, pp. 216-218; C. Willems, Justinian als Ökonom. Entscheidungsgründe und Entscheidungsmuster in den Quinquaginta decisiones, cit., pp. 463-473. Diversamente per P. de Francisci, Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea,cit., (1910), p. 187, e per K.H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik, cit., pp. 258-259, e p. 336 n. 2 il provvedimento è una delle constitutiones ad commodum propositi operis pertinentes.

[24] Stando alle parole giustinianee, la liberalis causa assume i connotati di una vindicatio in servitutem ex libertate: in questo senso, oltre a Bas. 35.14.109, F. Desserteaux, De l’acquisition de l’hérèdité par l’intermédiaire du fils ou de l’esclave d’autrui, in Revue historique de droit français et étranger, 11 (1932), p. 60; C. Willems, Justinian als Ökonom,cit.,p. 464 n. 1788. Più in generale su questo processo, G. Franciosi, Il processo di libertà in diritto romano, Napoli 1961; S. Sciortino, Studi sulle liti di libertà nel diritto romano, Torino, 2010; K. Hackl, Praeiudicium im klassischen römischen Recht, Salzburg – München, 1976, pp. 203 ss.

[25] P. de Francisci, Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea,cit. (1910), p. 188; K.H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik,cit., p. 258 n. 12; M. Varvaro, Contributo allo studio delle Quinquaginta decisiones, cit., p. 410 n. 98; C. Willems, Justinian als Ökonom,cit.,p. 465 n. 1790.

[26] Su questo potere del magistrato nel processo formulare, si veda il recente contributo di: S. Sciortino Denegare iudicium e denegare actionem, in AUPA, 58 (2015), pp. 197-238.

[27] L’ipotesi che la poena discussa dai giuristi sia stata la denegatio pone un duplice problema. In prima battuta, la ricostruzione della dubitatio da parte di Giustiniano è troppo sommaria per capire in quale stadio fosse intervenuto lo iussum. Secondariamente, per poter pensare ad una denegatio, lo iussum sarebbe dovuto cadere ante litem contestatam. Esiste poi un ostacolo insormontabile per pensare alla denegatio come la poena prevista dal diritto classico: l’attore è infatti colui che si proclama proprietario, sicchè la denegatio finirebbe per premiare il servo insolente.

Queste difficoltà si possono risolvere supponendo che la denegatio a cui alludono forse i giuristi si riferisse non al processo in corso, ma alle successive vindicationes in libertatem che nel diritto classico si sarebbero potute promuovere indefinitamente in favore della persona riconosciuta come servo in un precedente giudizio, in deroga alla regola generale del ne bis in idem (D. 3.3.39.5; D. 46.8.8.2; D. 44.2.29); la denegatio, quindi, avrebbe comportato che, dopo il primo esito negativo, non era possibile ottenere un riconoscimento della libertà mediante il rinnovo delle vindicationes; sul punto, anche M. Melluso, La schiavitù nell’età giustinianea: disciplina giuridica e rilevanza sociale, Paris, 2000, pp. 119-121.

[28] Gai. ed. praet. urb., tit. de lib. caus. D. 40.12.25pr. Si cui de libertate sua litiganti optio legata sit, quaecumque hereditate ei relicta dicuntur, eadem et de optione tractari possunt. Sul passo gaiano, vd. P. de Francisci, Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea,cit., p. 188; B. Santalucia, L’opera di Gaio Ad edictum praetoris urbani, Milano, 1975, 181-183; M. Varvaro, Contributo allo studio delle Quinquaginta decisiones, cit., p. 410 n. 98. Diversamente per C. Ferrini (Studii sul legatum optionis, ora in Id., Studi vari di diritto romano e moderno. Sui diritti reali e di successione,a cura di P. Ciapessoni, 4, Milano, 1930, p. 304), il passo andrebbe letto avendo riguardo agli effetti dell’optio: essa finirebbe per avere le medesime conseguenze di una delazione ereditaria, comportando l’acquisto della proprietà della cosa scelta.

[29] Sul passo, M. Wlassak, Die prätorischen Freilassungen, in ZSS, 26 (1905), pp. 391-397; H. Pissard, Les questions préjudicielles en droit romain, Paris, 1907, pp. 166-167; F. Eisele, Studien zur römischen Rechtsgeschichte, Tubingen, 1912, pp. 71-72; G. Franciosi, Il processo di libertà in diritto romano, cit., pp. 240-243; B. Albanese, La struttura della manumissio inter amicos. Contributo alla storia dell’amicitia romana, in AUPA, 29 (1962), pp. 41-43; C. Willems, Justinian als Ökonom,cit., pp. 467-468.

[30] La limitazione alle sole azioni personali è stata giustificata in vari modi. Per H. Pissard Les questions préjudicielles en droit romain,cit., p.167, il solo fatto di aver agito in giudizio interrompe la praescriptio longi temporis, che costituisce il maggior ostacolo per chi intenda tutelare un diritto reale contro le pretese altrui. G. Franciosi, Il processo di libertà in diritto romano, cit., p. 241, invece, sostiene che per le azioni reali vale il principio che nessuno può essere costretto a subire un giudizio. 

[31] Sustinere iudicium è espressione che indica la sospensione del processo, equivalente a iudicium differre: K. Hackl, Praeiudicium im klassischen römischen Recht, München, 1976, p. 139 n. 5; M. Kaser – K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, München, 1996, p. 248 e n. 49; G. Turelli, Transferre iudicium. Linee ricostruttive di uno strumento pretorio, Torino, 2020, pp. 96-98.

[32] Pur se relativa ad un procedimento penale, la sospensione della causa fino alla conclusione del processo di libertà è affermata in una costituzione di Diocleziano: C. 7.19.6 Imperatores Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Alexandriae. Si res tuas raptas vel amotas esse dicis ab his, quos servos tuos esse contendis, hique in libertatem proclamaverunt, causa liberalis prius adversus eos et tunc damni dati rerumque amotarum lis apud praesidem provinciae contestanda est, ut, si quidem liberi vel servi non esse pronuntientur, tunc demum damni dati et amotarum rerum procedere possit adhibita probatione condemnatio, si vero secus, quaestio rerum amotarum evanescat.  D. III K. Ian. Sirmi AA. Conss. (a. 293). Il caso riguarda il furto commesso da soggetti i quali sono parte di un iudicium liberale. Infatti, il danneggiato dal delitto si afferma loro proprietario, mentre essi si dichiarano essere liberi. L’imperatore stabilisce che il governatore della provincia deve preliminarmente giudicare sullo stato delle persone e poi istruire il processo per il furto. Più in generale, sulla politica legislativa dioclezianea, M. Amelotti, Per l’interpretazione della legislazione privatistica di Diocleziano, Milano, 1960; W. Eck – S. Puliatti (curr.), Diocleziano: la frontiera giuridica dell'impero, Pavia, 2018.

[33] G. Franciosi, Il processo di libertà in diritto romano, cit., pp. 240-243.

[34] F. Eisele, Studien zur römischen Rechtsgeschichte, cit., p. 72; contra M. Wlassak, Die prätorischen Freilassungen,cit.,pp. 391-397; B. Albanese, La struttura della manumissio inter amicos, cit., pp. 42-43.

[35] In Gaio subtilitas viene ad indicare l’eccessiva pignoleria: Gai. 4.30 Sed istae omnes legis actiones paulatim in odium venerunt. namque ex nimia subtilitate veterum, qui tunc iura condiderunt, eo res perducta est, ut vel qui minimum errasset, litem perderet. Lo stesso valore negativo di Subtilis / subtilitas compare poi in altri provvedimenti giustinianei: C. 4.11.1.2; C. 4.18.2. Sul punto, vd. H. Hausmaninger, Subtilitas als juristische Wertung in den Codex-Konstitutionen Justinians, in Festschrift Fritz Schwind zum 65. Geburtstag. Rechtsgeschichte, Rechtsvergleichung, Rechtspolitik, herausgegeben von R. Strasser – M. Schwimann – H. Hoyer, Wien, 1978, pp. 71-77.

L’aggettivo in C. 6.30.21, contrariamente al significato abituale, perde la sua connotazione fortemente negativa per indicare la scrupolosità del legislatore.  In questo senso anche: P. Voci, Diritto ereditario romano, II, Milano, 1963, p. 982; C. Willems, Justinian als Ökonom, cit., p. 469.

[36] La costituzione va inclusa nel novero delle costitutiones ad commodum: P. de Francisci, Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea,cit. [1911], p. 41; M. Varvaro, Contributo allo studio delle Quinquaginta decisiones,cit., p. 483 n. 347.

[37] L’indicazione in libris Ulpiani quos ad Massurium Sabinum scripsit, fornita dalla cancelleria nella costituzione, chiarisce quale sia l’opera da cui i giustinianei hanno tratto la fattispecie. Quanto all’individuazione dell’esatto luogo nel testo ulpianeo dove la controversia si trovasse, la dottrina è concorde. Infatti, Lenel (Palingenesia iuris civilis, II, Lipsiae 1889, col. 1030 frag. 2460) colloca C. 6.24.14 nel titolo De institutionibus vitiosis del V libro, ipotesi che è stata poi accolta da P. De Francisci (Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea durante la compilazione delle Pandette,cit. [1911], p. 41) e da S. Di Maria (La cancelleria imperiale e i giuristi classici, cit., p. 94).

[38] Trad. Poiché nei libri di Ulpiano, che scrisse a Masurio Sabino, è riportata una fattispecie di questo tipo, a noi è sembrato opportuno spiegare più chiaramente il caso. Un tale, facendo testamento, formulò un’istituzione di erede di questo tipo: “Sempronio sia erede di Plozio”. Gli antichi giuristi ritenevano che ci fosse un errore del nome, e che quindi l’istituzione valesse, come se il testatore si fosse chiamato Plozio, ed avesse scritto come suo erede Sempronio. 2. Ma noi pensiamo che questa opinione risulti essere oltremodo grossolana: e infatti non si trova uomo così sbadato, anzi troppo stolto, che ignori il suo nome. Pertanto, se lo stesso testatore fu erede di un tale Plozio, è chiarissimo che abbia voluto istituire Sempronio erede di sé, così che per il tramite della sua stessa persona divenga erede di Plozio. Ed argomentiamo così in base all’antica regola, la quale volte che l’erede dell’erede sia erede del testatore. 3. Se però niente di ciò sia stato fatto, un’istituzione di questo tipo è superflua ed inutile, a meno che, avendo prima istituito Plozio erede per sé stesso, non abbia così aggiunto: “Sempronio sia erede di Plozio”. Allora infatti si deve ritenere che egli abbia detto, che se Plozio non sarà suo erede, allora Sempronio sia chiamato in forza della sostituzione per il posto o per la parte di Plozio, in modo che dal contesto delle parole si ritrovi Plozio istituito e Sempronio poi sostituito. 4. Se poi nè il testatore fu erede di Plozio, nè scrisse prima erede Plozio, e così volle che Sempronio fosse erede a Plozio, tale istituzione è di nessun valore, poiché non è verisimile che qualcuno cada in errore sul proprio nome.

[39] Sulla correzione della data del provvedimento, vd., da ultimo, S. Di Maria, La cancelleria imperiale e i giuristi classici, cit., p. 91 n. 11, che accoglie la proposta formulata da Krüger.

[40] Per G. Finazzi (La sostituzione pupillare, Napoli, 1997, p. 138 n. 44) l’originaria fattispecie controversa tratta dal testo ulpianeo riguarderebbe il contrasto, in un testamento concluso mendiante nuncupatio, tra la corretta formulazione dell’istituzione di erede espressa dal testatore e l’errore del soggetto che la scrive sulle tavolette.

[41] La dottrina (P. Voci, Diritto ereditario romano, II, cit., p. 982; K.H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik,cit., p. 339 n. 12; U. Zilletti, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, Milano, 1961, p. 444 n. 3; S. Di Maria, La cancelleria imperiale e i giuristi classici, cit., p. 93) sostiene che “i veteres […] considerando l’appellativo superfluo l’avevano per non scritto: ciò può significare che si applicava il noto criterio della cancellazione delle parole superflue e dannose”, particolare ipotesi di fictio. Il ricorso al meccanismo finzionistico è attestato diffusamente nelle fonti, visto che esistono numerosi testi, dedicati all’istituzione d’erede, in cui i giuristi intervengono sulla formula utilizzata dal testatore: Ulp. 1 ad Sab. D. 28.5.1.4 Si ex fundo fuisset aliquis solus institutus, valet institutio detracta fundi mentione; Ulp. 5 ad Sab. D. 28.5.9.5 Tantundem Marcellus tractat et in eo, qui condicionem destinans inserere non addidit: nam et hunc pro non instituto putat: sed si condicionem addidit dum nollet, detracta ea heredem futurum nec nuncupatum videri quod contra voluntatem scriptum est: quam sententiam et ipse et nos probamus; Ulp. 5 ad Sab. D. 28.5.9.14. Si quis ita scripserit: “Stichus liber esto et, posteaquam liber erit, heres esto”, Labeo, Neratius et Aristo opinantur detracto verbo medio “postea” simul ei et libertatem et hereditatem competere: quae sententia mihi quoque vera videtur.

[42] E. Bianchi, Fictio iuris. Ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico all’epoca giustinianea, Padova, 1997, p. 12.

[43] Ipotesi di error in nomine si ritrovano in: Pomp. 2 ad Sab. D. 5.1.80 Si in iudicis nomine praenomine erratum est, servius respondit, si ex conventione litigatorum is iudex addictus esset, eum esse iudicem, de quo litigatores sensissententiarum; Ulp. 2 ad Sab. D. 28.1.21.1. Si quid post factum testamentum mutari placuit, omnia ex integro facienda sunt. Quod vero quis obscurius in testamento vel nuncupat vel scribit, an post sollemnia explanare possit, quaeritur: ut puta stichum legaverat, cum plures haberet, nec declaravit de quo sentiret: Titio legavit, cum multos Titios amicos haberet: erraverat in nomine vel praenomine vel cognomine, cum in corpore non errasset: poteritne postea declarare, de quo senserit? Et puto posse: nihil enim nunc dat, sed datum significat; Ulp. 5 ad Sab. D. 30.4.pr. Si quis in fundi vocabulo erravit et Cornelianum pro Semproniano nominavit, debebitur Sempronianus: sed si in corpore erravit, non debebitur; Ulp. 7 disp. D. 41.2.34.pr. Si me in vacuam possessionem fundi Corneliani miseris, ego putarem me in fundum Sempronianum missum et in Cornelianum iero, non adquiram possessionem, nisi forte in nomine tantum erraverimus, in corpore consenserimus; Ulp. 47 ad Sab. D. 45.1.32 Si in nomine servi, quem stipularemur dari, erratum fuisset, cum de corpore constitisset, placet stipulationem valere. Più diffusamente, U. Zilletti, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, cit., pp. 407-408; I. Pontoriero, I vizi del consenso nella tradizione romanistica, Torino, 2020, pp. 37-40.

[44] U. Zilletti, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, cit., p. 445, n. 3 definisce «palese e grottesca deformazione» il giudizio dell’imperatore, poiché «l’errore sul proprio nome nei casi della vita non dipende dalla scientia bensì da distrazione». La considerazione dello studioso appare tuttavia troppo critica nei confronti del legislatore giustinianeo.

[45] La stessa motivazione è ripresa nella parte conclusiva della costituzione. In essa l’imperatore sfuma il tono deciso in precedenza usato ed invoca il criterio della verosimiglianza. Partendo da una valutazione letterale delle disposizioni testamentarie, Giustiniano considera invalida l’istituzione in caso di errore sul nome, perché non appare vicina al vero l’ipotesi che il testatore sbagli il proprio nome (C. 6.24.14.4.).

[46] La regola si desume da: Paul. 1 ad Sab. D. 29.2.7.2, Ulp. 72 ad edict. D. 50.16.65, Ulp. 33 ad Sab. D. 50.16.170 e Mod. 6 diff. D. 50.17.194. L’affermarsi della regula, almeno a partire da Ulpiano, Paolo e Modestino, è dimostrata efficaciemente da: G. Finazzi, La sostituzione pupillare, cit., pp. 139-142. Negano invece l’esistenza della regola, F. Schulz, Nachklassische Quaestionem in den Justinianischen Reformgesetzen des Codex Justinianus, in ZSS, L (1930), pp. 224 ss.; U. Ziletti, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, cit., p. 445 n. 3.

[47] Secondo G. Finazzi (La sostituzione pupillare,cit., p. 138 n. 45), “Sempronius sembrerebbe equiparato ad un erede istituito ex re certa, in quanto l’eredità di Plotius costituisce una parte dell’eredità del testatore, il quale pertanto, chiamando l’erede a succedere a Plotius, lo chiama a succedere in parte ai propri beni. Essendo nulla la limitazione alla res certa, Sempronius succederà nell’universum ius del testatore”. Questa ricostruzione, tuttavia, pare spiegare soltanto parzialmente la costituzione giustinianea, che parla di in locum partemve Plotii. L’istituzione di Plotio, infatti, potrebbe essere universale, e ciò spiegherebbe la distinzione operata dai giustinianei.

[48] In questo senso già G. Finazzi, La sostituzione pupillare, cit., p. 138 n. 46, che così argomenta: “difficilmente un giurista classico avrebbe mai potuto equiparare la formula Sempronius Plotii heres esto e quella della sostitituzione volgare, nella quale la chiamata del sostituto è alternativa e non c’è succesione del sostituto all’istituito, si heres non esset, Sempronius in locum partemve eius heres esto”.

[49] Le formule di sostituzione attestate nel diritto classico sono del seguente tenore: Mod. 2 pand. D. 28.6.1.1 Heredis substitutio duplex est aut simplex, veluti: “Lucius Titius heres esto: si mihi Lucius Titius heres non erit, tunc Seius heres mihi esto”: “Si heres non erit, sive erit et intra pubertatem decesserit, tunc Gaius Seius heres mihi esto”; Marc. 4 inst. D. 28.6.36pr. Potest quis in testamento plures gradus heredum facere, puta:”“Si ille heres non erit, ille heres esto”, et deinceps plures, ut novissimo loco in subsidium vel servum necessarium heredem instituat. 1. Et vel plures in unius locum possunt substitui vel unus in plurium vel singulis singuli vel invicem ipsi qui heredes instituti sunt.

[50] G. Gandolfi, Studi sull'interpretazione degli atti negoziali in diritto romano, Milano, 1966, p. 44. Diversamente, per P. Voci, Diritto ereditario romano,II, cit., p. 982; A. Manfredini, La volontà oltre la morte. Profili di diritto ereditario romano, Torino, 1991, p. 57; S. Di Maria, La cancelleria imperiale e i giuristi classici, cit., p. 93, l’imperatore avrebbe formulato le proprie ipotesi interpretative sulla base della volontà.

[51] G. Luchetti, Dall’elaborazione casistica ai codici. L’esperienza giustinianea, in Legge eguaglianza diritto. I casi di fronte alle regole nell’esperienza antica. Atti del Convegno (Bologna-Ravenna, 9-11 maggio 2013), a cura di G. Luchetti, Roma 2018, p. 343. Si distacca da questa impostazione: S. Puliatti, Tecniche giurisprudenziali e normazione imperiale. Aspetti della legislazione giustinianea, in Inter cives necnon peregrinos. Essays in honour of Boudewijn Sirks, edited by J. Hallebeek, Goettingen, 2014, pp. 607-626.

[52] Anche nelle Novellae è attestata la sopravvivenza della citazione di casi concreti. L’imperatore, infatti, muove dall’esame di singole fattispecie (processi, consultazioni di funzionari, richieste di privati) per introdurre nuove norme di più ampia portata. È certamente un segno che il legislatore giustinianeo continua ad essere influenzato dalla necessità di risolvere questioni particolari: M. Bianchini, Osservazioni sul testo delle Novelle giustinianee. A proposito di Nov. 93, in Studi bizantini e neogreci. Atti del IV Congresso nazionale di studi bizantini, Lecce, 21-23 aprile 1980-Calimera, 24 aprile 1980, a cura di P.L. Leone, Galantina, 1983, pp. 267-276; F. De Marini Avonzo, I bizantini e la sacra generalitas, in Diritto@Storia, 6 (2007), consultabile al seguente link: https://www.dirittoestoria.it/6/Memorie/Scienza_giuridica/De-Marini-Avonzo-Sacra-generalitas.htm#_ftn1 (19 dicembre 2022); G. Viarengo, Il caso e la legge in Nov. 97.5, in Diritto@Storia, 6 (2007), consultabile al seguente link:   https://www.dirittoestoria.it/6/Memorie/Scienza_giuridica/Viarengo-Caso-legge-Nov-97-5.htm#_ftn28 (19 dicembre 2022).

[53] D. Mantovani, Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia, in Interpretare il Digesto,cit., pp.122-123; S. Puliatti, La politica legislativa di Giustiniano cit.; S. Puliatti, Pensiero classico e legislazione tardoantica. Profili di indagine, in Le strutture nascoste della legislazione tardoantica, Bari, 2019, pp. 49-77.

Bono Francesco



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