Investigatori privati e controlli sui lavoratori subordinati: un’analisi della “giurisprudenza”
Nicolò Rossi*
Investigatori privati e controlli sui lavoratori subordinati:
un’analisi della “giurisprudenza”**
English title: Private investigators and surveillance of the employees: an analysis of the case law
DOI: 10.26350/18277942_000095
Sommario: 1. I controlli del datore di lavoro tramite agenzie investigative: una storia giurisprudenziale. Cenni introduttivi. – 2. La «tutela del patrimonio aziendale» tramite guardie giurate e la «vigilanza sull’attività lavorativa» da parte dei superiori gerarchici. – 3. I controlli «occulti» sui lavoratori, eseguiti dagli investigatori privati. – 4. Gli accertamenti «non sanitari» sui lavoratori assenti per malattia. – 5. Le caratteristiche del controllo e il rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali.
- I controlli del datore di lavoro tramite agenzie investigative: una storia giurisprudenziale. Cenni introduttivi
Com’è noto, le indagini sui lavoratori subordinati eseguite da investigatori privati, incaricati dal datore di lavoro, non trovano specifica considerazione in alcuna delle norme del Titolo I della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) che regolano le modalità attraverso cui può essere sorvegliata l’attività del personale dipendente[1]. Eppure, questa forma di vigilanza sui comportamenti dei prestatori di lavoro è stata ampiamente valutata dalla giurisprudenza la quale, da tempo, ha mostrato di volere sceverare diversi risvolti del fenomeno, ponendoli in relazione con alcune delle regole che compongono l’attuale quadro normativo. Gran parte degli orientamenti che si sono così sviluppati all’interno dell’interpretazione giurisprudenziale hanno inteso inserirsi in un’apparente zona d’ombra della disciplina legislativa, e cioè in porzioni della realtà materiale che sono state giudicate perlopiù non coperte dalle principali disposizioni che limitano i controlli del datore di lavoro.
In linea generale, una simile tendenza non sembra di per sé criticabile, essendo le previsioni di legge destinate a operare all’interno di un dato ambito applicativo dal quale possono ben risultare escluse determinate fattispecie che pure richiedono adeguate risposte giuridiche. Né, d’altronde, pare possibile pretendere che il formante legislativo possa sempre predisporre un’analitica regolamentazione di ogni caso concreto che, di fronte all’evolversi della realtà, non risulti appositamente previsto da preesistenti disposizioni di diritto positivo. Ciò non toglie, peraltro, che la valutazione delle soluzioni che vengono approntate dinanzi ai problemi posti dall’esperienza pratica comprenda, oltre a un esame della loro coerenza interna, anche una verifica della compatibilità delle stesse con il contesto giuridico in cui si inseriscono, nel quale evidentemente hanno un ruolo anche le norme che affrontano questioni contigue. Se è vero, infatti, che possono certo esistere degli spazi non soggetti a un dato testo normativo, questo potrebbe a sua volta fornire delle indicazioni che, seppure indirettamente, possono orientare l’interprete anche nella risoluzione dei conflitti che emergono in quegli spazi.
Come si vedrà nel prosieguo, nel caso degli accertamenti svolti dalle agenzie investigative, le maggiori criticità sono state esaminate dalla giurisprudenza soprattutto a partire dalla lettura degli artt. 2 e 3 Stat. lav., dedicati rispettivamente ai controlli delle «guardie giurate» e del «personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa». Diverse pronunce, inoltre, si sono interrogate sulle verifiche eseguibili dagli investigatori nei confronti dei lavoratori assenti per malattia o per infortunio, alla luce delle condizioni stabilite dall’art. 5 Stat. lav. Più raramente, invece, i giudici del lavoro si sono occupati della conformità degli accertamenti in parola con il divieto di indagini sancito dall’art. 8 Stat. lav. e con le regole sul trattamento dei dati personali.
2. La «tutela del patrimonio aziendale» tramite guardie giurate e la «vigilanza sull’attività lavorativa» da parte dei superiori gerarchici
Se si vuole cercare di analizzare il percorso seguito dagli orientamenti giurisprudenziali a cui si è poc’anzi fatto cenno, si può osservare anzitutto che essi sono stati elaborati dopo una fase iniziale di applicazione della disciplina dello Statuto dei lavoratori, nella quale gli sforzi esegetici più significativi sono stati indirizzati a chiarire il significato dei termini utilizzati dalle norme sui controlli del datore di lavoro[2]. Concentrandosi sugli aspetti che più rilevano in questa sede, va osservato in particolare che in alcuni casi gli interpreti sono stati chiamati a soffermarsi sui confini che intercorrono tra la «vigilanza sull’attività lavorativa», preclusa alle guardie giurate dall’art. 2, comma 3, Stat. lav., e la «tutela del patrimonio aziendale», che invece può essere affidata alle stesse dal datore di lavoro[3].
A questo proposito, va notato come già in dottrina inizialmente sia stato sottolineato che quest’ultima espressione appare idonea a consentire la protezione dei beni dell’imprenditore non soltanto da eventuali aggressioni provenienti dall’esterno dell’organizzazione datoriale, bensì anche da quelle realizzabili da coloro che, come i lavoratori, hanno titolo per accedere ai luoghi di lavoro[4]. Proprio con riferimento alle condotte dei prestatori di lavoro, in passato, si sono registrate alcune discutibili aperture da parte della giurisprudenza che si è pronunciata, per esempio, sulle possibilità di impiego delle guardie al fine di accertare l’eventuale svolgimento di altre prestazioni da parte del personale in cassa integrazione oppure assente per malattia[5].
Non di meno, la Cassazione ha successivamente affermato che il divieto di vigilanza sull’attività lavorativa posto dall’art. 2 Stat. lav. dovrebbe essere «esaminato congiuntamente con la contestuale attribuzione alle guardie giurate del solo compito di “tutela del patrimonio aziendale”»[6]. Di conseguenza, si è rilevato come «non ogni (pericolo di) pregiudizio economico per il datore di lavoro legittimi l’indagine delle guardie giurate, ma soltanto quello che non derivi dall’esercizio della “attività lavorativa”», giacché altrimenti «qualsiasi inadempimento di obblighi contrattuali del prestatore, – che determini, come di regola, un danno patrimoniale al datore di lavoro –, legittimerebbe l’indagine delle guardie giurate, sostanzialmente frustrando il menzionato divieto di “vigilanza sulla attività lavorativa”»[7].
Tali considerazioni, a ben vedere, avrebbero potuto coerentemente indurre a restringere i margini di azione del personale di cui all’art. 2 Stat. lav. alla sola protezione dei beni aziendali, compresi eventualmente quelli che non sono di proprietà dell’imprenditore, contro condotte lesive quali il danneggiamento o la sottrazione dei medesimi[8]. In questa prospettiva, del resto, dovrebbe essere interpretata anche la disposizione che, in via eccezionale, contempla la possibilità che le guardie accedano ai locali dove si svolge l’attività lavorativa, cosa che appunto sarebbe consentita solo quando risulti strettamente funzionale alla necessità di tutelare i beni aziendali[9].
Sennonché, non può dirsi che la giurisprudenza abbia sempre tratto implicazioni congruenti dall’analisi del dato normativo, non di rado preferendo invece introdurre argomentazioni che talvolta sembrano influenzate più da impressioni legate ai casi concreti che da approfondite riflessioni giuridiche. La stessa pronuncia della Suprema Corte da ultimo citata, per esempio, pur sostenendo la necessità di una lettura restrittiva della nozione di «tutela del patrimonio aziendale», ammette che le guardie giurate possano svolgere una «“vigilanza” sui lavoratori, limitatamente ad atti e comportamenti dei medesimi, che siano configurabili come fonte di responsabilità extra-contrattuale nei confronti del datore di lavoro»[10]. Partendo dalla considerazione che l’attività lavorativa – che non può essere controllata dalle guardie – comprende sia l’adempimento sia l’inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, in tale occasione, la Cassazione ha finito per appuntare la definizione dei controlli consentiti sulla natura aquiliana della responsabilità che può essere fatta valere nei confronti del lavoratore, in esito al controllo. Ma un simile argomento, oltre a essere in tal caso privo di adeguato supporto normativo, appare potenzialmente in grado di designare un ambito più ampio persino di quello coperto da una nozione di patrimonio aziendale inteso in senso lato[11].
D’altra parte, non v’è dubbio che la sorveglianza sul corretto adempimento delle prestazioni di lavoro possa essere affidata a soggetti diversi dalle guardie giurate, a condizione che i loro «nominativi» e le loro «mansioni specifiche» siano comunicati ai lavoratori interessati, come richiesto dall’art. 3 Stat. lav. A completamento delle regole previste dalle disposizioni precedenti, questa norma esige che il servizio di vigilanza sul lavoro sia identificabile dai prestatori, contribuendo in tal modo a indirizzare la funzione di controllo entro schemi di chiarezza e di lealtà.
Sin da subito, peraltro, è stato sottolineato che l’art. 3 Stat. lav. «non si riferisce ai capi diretti del lavoratore che, evidentemente, per la loro stessa qualità, sono come tali conosciuti dai lavoratori», ma soltanto «al personale di altro tipo che, in qualche modo possa intervenire a vigilare sul regolare svolgimento dell’attività lavorativa»[12]. Effettivamente, posto che il legislatore fa riferimento solo al «personale addetto alla vigilanza sull’attività lavorativa», un diffuso orientamento ritiene che la comunicazione prescritta dalla legge non sia dovuta in caso di controlli effettuati dai superiori gerarchici del lavoratore o realizzati direttamente dal datore di lavoro[13]. A sostegno di questa conclusione, che è ormai ampiamente accolta in giurisprudenza, si è affermato che la disciplina dello Statuto dei lavoratori non ha eliminato «il potere dell’imprenditore, ai sensi degli art. 2086 e 2104 c.c., di controllare, direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti o, conseguentemente, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione»[14].
L’inapplicabilità dell’art. 3 Stat. lav., in altre parole, deriverebbe in questi casi dalla circostanza che l’esercizio di funzioni direttive, da un lato, include necessariamente anche una facoltà di verifica dell’attività lavorativa e, dall’altro, implicherebbe la conoscenza da parte dei lavoratori di chi li dirige. Tale rilievo, però, sembra significare che l’argomentazione appena riferita è legata a una determinata rappresentazione del contesto organizzativo nel quale, per le modalità di manifestazione dei poteri datoriali, possono ritenersi note al personale le indicazioni previste dalla legge. Se ciò è vero, allora, dovrebbe quanto meno essere evitata un’acritica trasposizione di tali considerazioni a fattispecie diverse e più articolate, che non presentino queste caratteristiche[15]. Inoltre – ma sul punto si tornerà successivamente – dovrebbero essere valutate anche le conseguenze che la giurisprudenza sembra ricavare dalla interpretazione che si è descritta, sul piano del concreto atteggiarsi delle forme di sorveglianza permesse. A tal fine, occorrerà riflettere soprattutto sull’affermazione, che spesso si rinviene nella motivazione delle sentenze, secondo cui l’inoperatività dell’art. 3 Stat. lav. comporta la liceità degli accertamenti compiuti dai superiori gerarchici «indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente»[16].
3. La giurisprudenza sui controlli «occulti» sui lavoratori, eseguiti dagli investigatori privati
Un’impostazione che tende ad accentuare i limiti dell’ambito applicativo della disciplina dei controlli del datore di lavoro può essere ravvisata anche nelle pronunce che si sono occupate più direttamente degli accertamenti eseguibili dalle agenzie investigative. Proprio affrontando questo argomento, invero, la giurisprudenza ha contribuito a elaborare la categoria dei «controlli difensivi», la quale è stata ulteriormente sviluppata nell’ambito più specifico dell’interpretazione delle regole sui controlli «a distanza», che non rientra nell’oggetto del presente scritto[17].
Secondo un noto orientamento, atteso che l’art. 3 Stat. lav. si riferisce esclusivamente alla «vigilanza sull’attività lavorativa», la segnalazione dei sorveglianti che esso impone non sarebbe dovuta quando il controllo sia diretto ad accertare condotte illecite dei lavoratori. Essendo finalizzati a rilevare tali comportamenti, i controlli potrebbero quindi essere effettuati da investigatori privati di ciò incaricati dal datore di lavoro, senza avvertire i prestatori interessati, restando questo genere di vigilanza esclusa dall’ambito applicativo della norma menzionata[18]. Né una simile conclusione potrebbe essere ostacolata, in base a questa chiave di lettura, dall’art. 2 Stat. lav. il quale circoscrive alla sola protezione del patrimonio aziendale la sfera di azione delle guardie giurate, ma non afferma che tale compito debba essere affidato in via esclusiva al personale in possesso di detta qualifica e, dunque, non preclude la possibilità di ricorrere alla collaborazione di soggetti diversi, in vista dello stesso obiettivo[19].
Se si vogliono esaminare più in dettaglio queste argomentazioni, occorre riconoscere come non sia certo contestabile che, ponendo alcuni limiti ai controlli del datore di lavoro, la legge non intenda evidentemente agevolare la commissione di illeciti, né offrire copertura ai prestatori che si rendano autori di gravi scorrettezze ai danni del datore di lavoro. Tuttavia, nel momento in cui s’intenda valutare la linearità dei ragionamenti seguiti dalle sentenze sulle indagini delle agenzie investigative, sembra parimenti difficile negare che, nel complesso, essi mostrano alcuni aspetti di criticità, sui quali ci si può ora brevemente soffermare.
In primo luogo, infatti, già in astratto si può osservare che, per quanto siano volti ad accertare una condotta illecita, i controlli di cui si discute possono comunque finire per estendersi anche all’esecuzione dell’attività lavorativa che invece, secondo una frequente affermazione giurisprudenziale, non può essere sottoposta alla vigilanza degli investigatori[20]. Ciò risulta evidente, in particolare, quando l’atto lesivo degli interessi datoriali sia commesso in occasione dello svolgimento del lavoro, come avviene per esempio nel caso del lavoratore addetto alla cassa di un esercizio commerciale che si appropria illecitamente del denaro pagato dai clienti del proprio datore di lavoro[21]. In tali ipotesi, è chiaro che la rilevazione dell’illecito presuppone inevitabilmente anche una sorveglianza sullo svolgimento della prestazione di lavoro, durante il quale viene commesso il comportamento scorretto.
Per tali ragioni, l’approccio della giurisprudenza è stato criticato, sul piano logico, da una parte della dottrina che ha rilevato come esso rischi di legittimare a posteriori qualsiasi tipo di controllo sui lavoratori, purché in concreto siano state ottenute le prove di un illecito ai danni del datore di lavoro[22]. Il che significherebbe, in altri termini, che una volta constatata la commissione di un illecito, l’accertamento compiuto dovrebbe essere ritenuto legittimo, anche se non siano state rispettate le condizioni previste dall’art. 3 Stat. lav.; mentre, se la vigilanza sul lavoro non dovesse avere un simile esito, il controllo sarebbe da considerarsi contrario alla legge. Ma una tale regola potrebbe equivalere, nella pratica, all’affermazione della possibilità di controllare occultamente i lavoratori, dato che nella seconda delle ipotesi appena prospettate la stessa esecuzione del controllo rimarrebbe probabilmente ignota, mancando il principale interesse che di solito induce il datore di lavoro a rivelare gli accertamenti eseguiti[23].
Ciò nonostante si può sostenere – come sembra fare la giurisprudenza – che l’art. 3 Stat. lav., in realtà, non pone propriamente un vero e proprio divieto di qualsiasi controllo occulto, ma si limita a richiedere la preventiva identificazione del personale specificamente adibito alla sorveglianza sull’attività lavorativa. Per evitare di privare di significato la norma, peraltro, si deve allora concordare con altra parte della dottrina la quale, quando su queste basi non ha escluso la possibilità di ricorrere agli investigatori privati, ha comunque precisato che tali controlli possono ammettersi solo in via di extrema ratio, ossia in casi in cui risultino indispensabili per individuare i responsabili degli illeciti e siano effettuati con modalità non esorbitanti rispetto al fine perseguito[24]. Se ci si pone in questa prospettiva, d’altra parte, sembra divenire ancora più importante concentrarsi sull’oggetto dei controlli realizzabili, posto che – come è stato anche di recente ribadito – là dove la sorveglianza si estenda oltre l’ambito consentito, le informazioni ottenute non dovrebbero essere utilizzabili[25]. Da questo punto di vista, il quadro giurisprudenziale si presenta alquanto variegato, sicché da un esame dello stesso non è sempre facile ricavare indicazioni univoche[26].
In effetti, talvolta, i giudici di legittimità hanno richiesto che le verifiche effettuabili dagli investigatori privati riguardino comportamenti che «possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo»[27]. Analogamente, più volte sono stati ritenuti legittimi «i controlli posti in essere da dipendenti di un’agenzia investigativa i quali, operando come normali clienti […] verifichino l’eventuale appropriazione di denaro (ammanchi di cassa) da parte del personale addetto»[28]. In diverse occasioni, per altro verso, si è altresì precisato che, per potersi escludere un contrasto con le disposizioni di legge, le condotte controllabili dovrebbero consistere in «atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione»[29].
In quest’ottica, per esempio, sono stati giudicati contrari alla disciplina dello Statuto dei lavoratori gli accertamenti eseguiti da un’agenzia investigativa sul «sistematico allontanamento» dal luogo di lavoro di un dipendente che svolgeva «mansioni di addetto al sistema di rilevazione delle presenze», il quale aveva «fatto fittiziamente figurare la propria sul posto di lavoro in diverse giornate»[30]. Ma una conclusione opposta è stata affermata in un altro più recente caso nel quale, in esito alle indagini degli investigatori, a un lavoratore era stato contestato «di essersi ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l’orario di servizio […] senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio»[31]. Di fronte a tale seconda fattispecie, la Cassazione ha reputato corretto il controllo effettuato, dichiarando che esso «non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge»[32].
Già da queste brevi osservazioni si può trarre conferma del fatto che le affermazioni che si rinvengono nelle decisioni della Suprema Corte appaiono fortemente influenzate dalle caratteristiche concrete dei casi affrontati. E ciò – come si è accennato in precedenza – è probabilmente inevitabile se sceglie di seguire l’idea, che a volte pare sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le indagini eseguite dagli investigatori, all’insaputa dei lavoratori controllati, devono riguardare fatti che presentano profili di illiceità più gravi della violazione del regolamento contrattuale. Nei casi esaminati, però, malgrado la generica asserzione della ritenuta estraneità rispetto all’«attività lavorativa», si può ben dire che i comportamenti che la Cassazione reputa controllabili possono configurare pur sempre degli inadempimenti di obblighi contrattuali del lavoratore il quale, del resto, è parte di un rapporto complesso che non si esaurisce nelle singole prestazioni reciprocamente gravanti sui due contraenti[33]. Non a caso, d’altronde, in molte delle controversie relative ai controlli degli investigatori, si discute anche della legittimità delle manifestazioni del potere disciplinare dell’imprenditore, esercitato in risposta ai fatti accertati, benché talora continui ad affiorare pure una nozione di giusta causa di licenziamento intesa quale grave negazione dell’«elemento fiduciario» del rapporto di lavoro[34].
In alcune pronunce, in verità, si afferma più chiaramente che le agenzie investigative possono indagare anche sull’inadempimento di precisi obblighi del prestatore, come avviene quando si ammette che queste eseguano una «verifica sull’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro»[35]. La possibilità di vigilare su «comportamenti del lavoratore, che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro», è stata affermata dalla Cassazione anche in presenza di casi concernenti l’accertamento dell’uso improprio da parte del lavoratore dei permessi ex art. 33 L. n. 104/1992 o della condotta tenuta durante il periodo di comporto[36]. In tali circostanze, correlativamente, i limiti al controllo degli investigatori sono stati designati facendosi riferimento non soltanto all’«attività lavorativa», bensì anche in modo più specifico alla esecuzione della «prestazione lavorativa»[37].
Va osservato, non di meno, che in altri casi, specialmente con riguardo ad attività del lavoratore eseguite al di fuori dei locali aziendali, la giurisprudenza non ha mancato di affermare che le norme dello Statuto dei lavoratori non impediscono al datore di lavoro «di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso personale esterno – costituito in ipotesi da dipendenti di una agenzia investigativa – l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può avvenire anche occultamente»[38]. Una così ampia possibilità di sorveglianza, per contro, sembra essere stata più recentemente negata dalla stessa Cassazione la quale, in linea generale, ha ribadito la necessità che i controlli degli investigatori non sconfinino nella «vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria», precisando che «il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali»[39].
4. Gli accertamenti «non sanitari» sui lavoratori assenti per malattia
Come si è visto, in alcuni casi, la giurisprudenza tende a definire uno spazio per le indagini degli investigatori privati in relazione a condotte dei lavoratori che, pur essendo a volte distinguibili dall’inadempimento della prestazione di lavoro, rappresentano comunque una violazione di obblighi contrattuali. Questo aspetto appare affrontato, in particolar modo, anche dalle pronunce che si sono occupate dei problemi sollevati dai controlli sui prestatori di lavoro assenti per malattia. Di fronte a tali fattispecie, invero, è stata più volte riconosciuta la facoltà del datore di lavoro di acquisire conoscenza di comportamenti dei dipendenti, giudicati estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma comunque rilevanti dal punto di vista dell’esatto adempimento delle obbligazioni connesse al rapporto di lavoro[40].
Soprattutto in passato, com’è noto, la questione è stata inquadrata di frequente nell’ambito di una lettura dell’«obbligo di fedeltà», inteso in senso ampio e comprensivo non solo delle esplicite prescrizioni dell’art. 2105 c.c. Più in dettaglio, si è sostenuto che esso sarebbe violato dal lavoratore il quale, durante il comporto, svolga altra attività lavorativa per conto proprio o di terzi, in maniera tale da evidenziare una fraudolenta simulazione dell’infermità o da compromettere il recupero delle sue energie psico-fisiche e ritardare la ripresa del lavoro[41]. È risaputo, però, che il riferimento al dovere di fedeltà rimane confinato nella rubrica dell’art. 2105 c.c., cosicché il rinvio a questa norma sembra davvero convincente solo là dove le azioni del lavoratore si pongano in contrasto con gli specifici divieti in essa previsti, come avviene quando vengono compiute attività in concorrenza con il datore di lavoro. Al di là di tali circostanze, invece, l’argomento non pare condivisibile, soprattutto se si concorda con l’idea, ampiamente evidenziata in dottrina, che in capo al prestatore di lavoro non sussiste un illimitato dovere di fedele dedizione verso l’imprenditore[42].
Un discorso diverso vale per il richiamo alla diligenza e alle clausole di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che si ritrova in alcune pronunce dei giudici di legittimità in ordine a comportamenti del lavoratore in malattia, in grado di pregiudicare o rallentare la sua guarigione[43]. Com’è agevole constatare, al riguardo, la sospensione del rapporto che consegue al manifestarsi dello stato patologico in tanto si giustifica, in quanto è destinata a consentire il recupero delle condizioni di salute del prestatore di lavoro, che tende a soddisfare anche l’interesse del creditore all’adempimento. Anche senza ipotizzare un improbabile dovere del lavoratore “verso se stesso” di sottostare a determinate cure, perciò, in questo frangente si può ammettere la configurabilità di un obbligo preparatorio dell’interessato, che gli impone di osservare le cautele terapeutiche necessarie a non protrarre la malattia e la conseguente assenza dal lavoro[44]. Com’è stato sottolineato nell’analisi dottrinale, una simile conclusione pare sostenibile, per ciò che qui interessa, sia se si riconduce la situazione soggettiva in discorso a una proiezione dell’obbligo di prestare, sia se invece la si consideri frutto dell’integrazione del contratto alla stregua della clausola di buona fede[45].
Restringendosi l’analisi alla recente elaborazione giurisprudenziale, in talune sentenze si può notare in proposito una tendenza a riservare ai comportamenti menzionati un’autonoma considerazione, che si accompagna alla reiterata negazione della possibilità degli investigatori di controllare per conto del datore di lavoro la prestazione lavorativa o l’«attività lavorativa stricto sensu»[46]. Una volta ammessa, per questa via, la realizzabilità di alcune verifiche sui lavoratori assenti per malattia, peraltro, occorre comprendere quali sono più precisamente gli aspetti che, in concreto, possono essere documentati da parte delle agenzie investigative. È noto come, in questi casi, il problema sia stato esaminato dai giudici del lavoro, principalmente confrontandosi con l’art. 5 Stat. lav. che, da un lato, vieta «accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente» e, dall’altro, stabilisce che «il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti».
Nonostante la lettera della legge, in tal modo, sembrerebbe prima facie ostacolare i controlli degli investigatori, imponendo viceversa il ricorso ad appositi enti pubblici, l’orientamento prevalente ha avallato una lettura restrittiva delle citate disposizioni. Di conseguenza, si sostiene che la norma si riferisca esclusivamente alle visite mediche o, come si esprime la rubrica, agli «accertamenti sanitari» sui lavoratori assenti e non anche alla più semplice osservazione del contegno esteriore tenuto dai medesimi, durante il periodo di comporto, la quale potrebbe essere compiuta anche dagli investigatori privati[47]. I controlli da essi eseguibili, pertanto, dovrebbero limitarsi a registrare fatti incompatibili con la dichiarata condizione di infermità, che è stata ritenuta contestabile anche valorizzandosi «ogni circostanza di fatto – pur non risultante da un accertamento sanitario – atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa»[48].
Non di meno, occorre rilevare che un ulteriore limite di cui tenere conto è rappresentato anche dalla regola imposta dall’art. 8 Stat. lav. che proibisce al datore di lavoro di effettuare indagini «anche a mezzo di terzi» sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale[49]. Sebbene sia scarsamente considerata nella giurisprudenza analizzata, detta previsione normativa dovrebbe rappresentare un riferimento tutt’altro che trascurabile nelle fattispecie di cui si discute[50]. In altre parole, nel momento in cui, per escludere la necessità della segnalazione di cui all’art. 3 Stat. lav., si afferma la legittimità dei controlli svolti dalle agenzie investigative sui «comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo»[51], non si dovrebbe parimenti dimenticare che nessuna indagine datoriale può comunque essere rivolta a constatare aspetti irrilevanti ai sensi dell’art. 8 Stat. lav. Non a caso, riflettendo su queste problematiche, si è detto che «bisogna stare attenti a distinguere fra l’accertamento di condotte materiali palesemente contrarie all’affezione certificata (la partecipazione ad un programma televisivo o una performance atletica), dall’accertamento di condotte riconducibili alla normale vita ordinaria, ma di per sé non necessariamente incompatibili con lo stato di malattia»[52]. La necessità di osservare i limiti posti a protezione della sfera privata del lavoratore, coerentemente con l’adeguato rispetto di ogni periodo di convalescenza, sembra quindi imporre ai controlli realizzabili dagli investigatori determinate modalità, che dovrebbero essere seguite anche se si intendano accogliere gli orientamenti più permissivi emersi nella giurisprudenza.
5. Le caratteristiche del controllo e il rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali
Una volta escluso, sulla base delle argomentazioni illustrate, il contrasto con le norme dello Statuto dei lavoratori, la giurisprudenza esaminata non di rado svolge affermazioni che, in alcuni casi, potrebbero far pensare a un atteggiamento assai permissivo in ordine alle caratteristiche che il controllo sui prestatori di lavoro può concretamente assumere. Come si è già notato, per esempio, le sentenze che negano l’applicazione dell’art. 3 Stat. lav. ai controlli sul lavoro realizzati direttamente dall’imprenditore o dai superiori gerarchici tendono a valutare la legittimità dei comportamenti datoriali «indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo»[53]. In tali occasioni, inoltre, si è altresì affermato che un accertamento sui lavoratori eseguito in modo occulto, di per sé, non può essere giudicato contrario nemmeno al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto[54]. Una conclusione analoga si rinviene anche nelle pronunce sui controlli effettuati tramite investigatori privati, nelle quali si aggiunge che l’intervento di questi professionisti si giustifica «non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e per l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione»[55].
Le aperture verso tali differenti possibilità di sorvegliare i prestatori di lavoro, tuttavia, non possono essere intese come un’affermazione dell’assenza, sul piano delle forme del controllo, di limiti ulteriori rispetto a quelli ricavabili dalla lettura restrittiva delle norme più frequentemente richiamate dalla giurisprudenza. Come si è accennato, la stessa esigenza di rispettare il divieto stabilito dall’art. 8 Stat. lav., quanto meno, dovrebbe comportare sempre l’adozione di accorgimenti diretti a restringere il più possibile entro l’ambito consentito i controlli sul lavoratore, per evitare che questi possano finire per configurare un’indagine su aspetti non rilevanti ai sensi di tale previsione normativa. E non pare certo azzardato sostenere che una simile necessità possa sussistere anche all’interno dello stesso ambito aziendale propriamente inteso, atteso che – a seconda delle modalità che gli accertamenti in concreto presentano – anche in tali ipotesi essi potrebbero apparire rivolti ad acquisire informazioni irrilevanti sulla sfera privata del dipendente[56].
Pur da altro punto di vista, del resto, la giurisprudenza che si è pronunciata sui controlli diretti a rilevare eventuali sottrazioni di denaro da parte del personale addetto alla cassa, talvolta, ha sottolineato la circostanza che gli investigatori incaricati operassero come «normali clienti […] limitandosi a presentare alla cassa la merce acquistata, a pagare il relativo prezzo e a constatare la registrazione della somma incassata da parte del cassiere»[57]. In diverse fattispecie, d’altra parte, anche in sede di giudizio di legittimità si è dato brevemente conto del fatto che le indagini si fossero svolte su condotte tenute dai lavoratori in luoghi pubblici[58]. In altro caso, opportunamente, la Cassazione ha richiamato l’attenzione anche sul «doveroso rispetto», da parte delle agenzie investigative, delle norme sul trattamento dei dati personali, oggi stabilite principalmente dal Reg. UE n. 2016/679 e dal D.lgs. n. 196/2003[59].
Sebbene quest’ultimo profilo sia complessivamente poco approfondito dalle pronunce di legittimità in analisi, esso dovrebbe essere tenuto in considerazione nei casi concreti, perché su tale versante si possono trovare indicazioni anche per l’attività di sorveglianza svolta dagli investigatori. Non per nulla, il Garante per la protezione dei dati personali ha adottato in materia taluni provvedimenti specifici che, in questo senso, possono effettivamente acquisire rilevanza.
Nelle «Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria»[60], per esempio, si afferma che operazioni di ricerca e di raccolta di dati, in tale ambito, possono essere eseguite dagli investigatori «esclusivamente sulla base di apposito incarico conferito per iscritto e solo per le finalità» menzionate[61]. Precisando alcuni dei principi ora previsti dal Reg. UE n. 2016/679, inoltre, si stabilisce che in queste ipotesi l’incarico deve indicare «in maniera specifica» il diritto che si intende esercitare in sede giudiziaria o il procedimento penale al quale l’investigazione è collegata, nonché «i principali elementi di fatto» che la giustificano e «il termine ragionevole» entro cui essa dovrebbe concludersi[62]. L’investigatore privato, poi, deve eseguire personalmente il compito affidatogli e, qualora il contratto stipulato lo contempli, può avvalersi dell’ausilio di altri investigatori che però devono essere «indicati nominativamente»[63]. In coerenza con la necessità di evitare operazioni non pertinenti, le informazioni acquisite dall’investigatore dovrebbero essere conservate solo per il periodo «strettamente necessario» a eseguire l’incarico, con la conseguenza che, conclusasi la specifica indagine da esso considerata, generalmente il trattamento dei dati personali dovrebbe cessare in ogni sua forma[64].
Indicazioni più stringenti sono state dettate, d’altro canto, per il caso di attività concernenti le particolari categorie di informazioni previste dall’art. 9 Reg. UE n. 2016/679[65]. Oltre a doversi considerare il divieto di cui all’art. 8 Stat. lav.[66], in proposito, va osservato che già in linea generale il Garante ha chiarito come questi dati possano essere trattati dagli investigatori soltanto «per permettere a chi conferisce uno specifico incarico, di fare accertare, esercitare o difendere un proprio diritto in sede giudiziaria» oppure, «su incarico di un difensore in riferimento ad un procedimento penale, per ricercare e individuare elementi a favore del relativo assistito da utilizzare ai soli fini dell’esercizio del diritto alla prova»[67]. In aggiunta, si richiede che all’interessato (ossia al soggetto al quale le informazioni si riferiscono) sia fornita l’apposita informativa prevista dal Reg. UE n. 2016/679, salvo il caso in cui, là dove i dati non siano raccolti presso l’interessato medesimo, essa «rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità di tale trattamento»[68].
A questo riguardo – e in conclusione – va notato che, più in generale, la disciplina sul trattamento dei dati personali prevede oggi degli obblighi di trasparenza che, configurandosi anche in capo agli investigatori[69], dovrebbero mettere in discussione la possibilità di eseguire in ogni caso determinati controlli in maniera occulta o all’insaputa dei lavoratori, come invece potrebbero lasciar pensare alcune affermazioni della giurisprudenza. Più specificamente, anche le decisioni assunte dal Garante nel corso del tempo, a fronte delle contestazioni sollevate nell’ambito di singole controversie, sembrano mostrare la necessità di non trascurare le circostanze in cui vengono realizzati gli accertamenti, oltre alle caratteristiche che essi assumono nelle fattispecie esaminate.
In passato, per esempio, un provvedimento ha vietato la prosecuzione del trattamento di dati, che erano stati raccolti in assenza dell’informativa prevista nel contesto normativo allora vigente, affermando che essa avrebbe dovuto essere fornita dalle agenzie investigative, «qualora nel corso di un’investigazione privata alcuni dati personali vengano acquisiti direttamente dall’interessato (mediante ascolto, registrazione e intercettazione)»[70]. Più di recente, dinanzi ad altra questione emersa nel caso di un accertamento tradottosi «esclusivamente in rilievi di natura fotografica, effettuati al di fuori dell’abitazione del dipendente e di ogni altro luogo privato», il Garante ha escluso le violazioni che venivano lamentate nel mutato quadro normativo, richiamando anche gli orientamenti della giurisprudenza in tema di controlli sui lavoratori in malattia[71]. Ancor più recentemente, infine, con altra decisione si è ribadita la necessità che l’attività di investigazione privata rispetti la disciplina sul trattamento dei dati personali, sottolineandosi in particolare l’importanza del rispetto del canone di pertinenza e di minimizzazione delle informazioni[72]. Così, in presenza di una fattispecie concernente indagini sulla violazione di un obbligo di non concorrenza, anche attraverso l’utilizzo improprio da parte della lavoratrice di permessi retribuiti, giustificati dalla necessità di prestare cure alla madre, si è affermata l’illiceità del trattamento eseguito dall’agenzia investigativa che aveva riportato al datore di lavoro anche l’indicazione della specifica malattia da cui era presumibilmente affetta l’assistita[73].
Abstract: The essay examines the main case law solutions concerning the employer’s chance of using private investigators to monitor employees. After outlining the state of the art, the author provides a critical analysis of the arguments that are often used by the Italian Supreme Court, focusing on certain issues such as surveillance measures to protect business assets and checks on absent workers. Particular attention is given to the features of the investigation and the links with data protection regulations.
Key words: Employment relationship, private investigators, surveillance, private life.
* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano (nicolo.rossi@unicatt.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Per un’analisi di alcune recenti questioni, v. V. Ferrante, Potere di controllo e tutela dei lavoratori: riflessioni sparse sulle disposizioni dello “Statuto”, alla luce delle più recenti modifiche normative, in JusOnline, 3 (2019), p. 289 ss.
[2] Sul tema, v. P. Ichino, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di lavoro, Milano, 1979, p. 62 ss.
[3] Come rileva, per es., E. Gragnoli, L’informazione nel rapporto di lavoro, Torino, 1996, p. 152, «il divieto di adibire le guardie giurate alla vigilanza è la risposta ad una prassi diffusa negli anni ’60, i cui tratti intimidatori risaltano con chiarezza».
[4]G. Pera, Art. 2 Stat. lav., in C. Assanti - G. Pera, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972, p. 17, che sostiene tale affermazione sulla base del rilievo per cui la formula «tutela del patrimonio aziendale» ex art. 2 Stat. lav. sarebbe più ampia di quella contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) il quale, abilitando i privati ad adibire le guardie «alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari» (art. 133), sembrerebbe riferirsi solo a un’attività di protezione «rispetto alle eventuali aggressioni di terzi estranei al patrimonio custodito». Sul tema, cfr. con argomentazioni diverse A. Vallebona, Art. 2 Stat. lav., in M. Grandi - G. Pera (diretto da), Commentario breve allo Statuto dei lavoratori, Padova, 1985, p. 6. Secondo A. Mattarella, Art. 2 Stat. lav., in U. Prosperetti (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, Milano, 1975, p. 70, invece, «la diversa formulazione non sembra possa condurre a tali risultati: la situazione è oggettivamente considerata dalla norma ed è diretta a tutti i soggetti riferibili» e, inoltre, «pur adoperando una diversa formulazione lo Statuto ha espressamente fatto riferimento alla disciplina del R.D. del 1931 con esplicito richiamo della stessa. Può quindi assumersi che non ci troviamo di fronte ad un contenuto più ampio».
[5] Cfr., per es., con riguardo alla prima ipotesi: Pret. Cassino, 22 marzo 1982, in Giustizia civile, 1 (1982), p. 2858; Pret. Cassino, 9 dicembre 1982, in Giustizia civile, 1 (1983), p. 1345; Trib. Cassino, 14 febbraio 1984, in Orientamenti di giurisprudenza del lavoro, 1985, p. 152; con riguardo all’attività svolta durante l’assenza per malattia, cfr. invece: Pret. Trento, 16 dicembre 1978, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 1979, p. 249. Criticamente sul tema v. A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori, Torino, 1995, p. 33.
[6] Cass., sez. lav., 5 luglio 1991, n. 7455, in Rivista giuridica del lavoro, 2 (1992), p. 510.
[7] Cass., sez. lav., 5 luglio 1991, cit.
[8] Cfr. A. Vallebona, Art. 2 Stat. lav.,cit., p. 6. Inoltre, pur nell’ambito di un discorso incentrato sul diverso tema dei controlli «a distanza» di cui all’art. 4 Stat. lav., nella dottrina più recente cfr., per es., A. Sartori, Il controllo tecnologico sui lavoratori, La nuova disciplina italiana tra vincoli sovranazionali e modelli comparati, Torino, 2020, p. 240. Per una diversa impostazione v., invece, M. Marazza, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), in Argomenti di diritto del lavoro, 3 (2016), pp. 497-498.
[9] Nella giurisprudenza più risalente, cfr. per es. Pret. Torino, 10 luglio 1972, in Rivista giuridica del lavoro, 2 (1973), p. 498, relativamente all’ipotesi di risse che possono porre a rischio il patrimonio aziendale.
[10] Cass., sez. lav., 5 luglio 1991, cit., la quale, conseguentemente, di fronte al caso di un lavoratore che aveva timbrato il «cartellino segnatempo» di un collega assente, per consentirgli di fruire del compenso per il lavoro non prestato, ha affermato il principio secondo cui «l’esito delle indagini eseguite da guardie giurate può essere posto a fondamento dei licenziamenti, di cui si discute, solo se quell’indagine abbia avuto ad oggetto atti o comportamenti dei prestatori, che siano configurabili come fonte di responsabilità extra-contrattuale dei medesimi nei confronti del datore di lavoro».
[11] Criticamente rispetto alla citata argomentazione della Cassazione, v. A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori,cit., p. 31; V. A. Poso, Le indagini delle guardie giurate e i limiti all’acquisizione delle prove, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2 (1992), p. 659 ss.
[12]A. Freni - G. Giugni, Lo Statuto dei lavoratori, Commento alla legge 20 maggio 1970, n. 300, Milano, 1971, p. 8.
[13] Tra le prime riflessioni dottrinali in argomento, cfr. per es. G. Pera, Art. 3 Stat. lav., C. Assanti - G. Pera, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., pp. 21-22, secondo il quale «è solo per i sorveglianti in senso stretto che si impone la previa comunicazione ai lavoratori e dei nominativi e delle mansioni specifiche». Nella giurisprudenza più risalente, v. Cass., sez. lav., 17 giugno 1981, n. 3960, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 1981, p. 576, secondo la quale «l’art. 3 l. 20 maggio 1970 n. 300 – secondo cui i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha abrogato o modificato l’art. 2104 c.c. e pertanto, non ha fatto venir meno i poteri di direzione, di controllo tecnico del lavoro svolto e di sorveglianza del personale dipendente riconosciuti ai collaboratori dell’imprenditore, fra i quali rientrano i capiturno, con l’ulteriore conseguenza che le segnalazioni effettuate da tali soggetti, in ordine all’inadempimento dei doveri contrattuali da parte di un lavoratore ad essi sottoposto, ben possono essere utilizzate, dal datore di lavoro che le ha ricevute, ai fini del licenziamento del dipendente inadempiente». Sul tema, v. più recentemente A. Sartori, Il controllo tecnologico sui lavoratori, cit., p. 183 ss.
[14] Cass., sez. lav., 26 febbraio 1982, n. 1263, in Giustizia civile Massimario, 2 (1982). Nello stesso senso, tra le molte pronunce, v. per es.: Cass., sez. lav., 22 novembre 2012, n. 20613, in Argomenti di diritto del lavoro, 1 (2013), p. 192, nt. C. V. Vacchiano; Cass., sez. lav., 2 marzo 2002, n. 3039, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (2002), p. 873, nt. S. Passerini; Cass., sez. lav., 3 luglio 2001, n. 8998, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 1 (2002), p. 35; Cass., sez. lav., 12 agosto 1998, n. 7933, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 1998, p. 697.
[15] Cfr. A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori,cit., pp. 52-53.
[16] Cass., sez. lav., 9 ottobre 2020, n. 21888, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1 (2021), p. 72, nt. C. Valenti. In precedenza, v. per es.: Cass., sez. lav., 9 giugno 1990, n. 5599, in Giurisprudenza italiana, 1 (1991), p. 952, nt. F. Di Nunzio, che ha ritenuto legittimo il controllo eseguito dal datore di lavoro «di notte e clandestinamente».
[17] Sul tema v., comunque, Cass., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25732, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1 (2022), p. 120, nt. V. Nuzzo, e in Diritto delle relazioni industriali, 1 (2022), p. 272, nt. E. Gramano; Cass., sez. lav., 12 novembre 2021, n. 34092, in One Legale banca dati, secondo cui «sono consentiti, anche dopo la modifica dell’art. 4 st. lav. ad opera dell’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto». Nella dottrina, v. per es.: V. Maio, La nuova disciplina dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori e la modernità post panottica, in Argomenti di diritto del lavoro, 6 (2015), p. 1199 ss.; Id., Il regime delle autorizzazioni del potere di controllo del datore di lavoro ed i rapporti con l’art. 8 della legge n. 148/2011, in P. Tullini (a cura di), Controlli a distanza e tutela dei dati personali dei lavoratori, Torino, 2017, p. 65 ss.; M. Marazza, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), cit., p. 497 ss.; Id., I controlli a distanza del lavoratore di natura “difensiva”, in P. Tullini (a cura di), Controlli a distanza e tutela dei dati personali dei lavoratori, cit., p. 37 ss.; A. Maresca, Controlli tecnologici e tutele del lavoratore nel nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2 (2016), pp. 525-526; G. Proia, Trattamento dei dati personali, rapporto di lavoro e l’«impatto» della nuova disciplina dei controlli a distanza, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (2016), p. 572 ss.; Id., Controlli a distanza e trattamento dei dati personali: due discipline da integrare (ma senza fare confusione), in C. Pisani - G. Proia - A. Topo (a cura di), Privacy e lavoro, La circolazione dei dati personali e i controlli nel rapporto di lavoro, Milano, 2022, p. 348 ss. Per diverse impostazioni che, in questo caso, tendono a ricondurre anche i «controlli difensivi» alla disciplina dell’art. 4 Stat. lav., v. per es.:I. Alvino, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori nell’intersezione fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, in Labour & Law Issues, 1 (2016), pp. 17-18; E. Balletti, I poteri del datore di lavoro tra legge e contratto, in AA.VV., Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario, Atti delle giornate di studio di Diritto del lavoro – Napoli, 16-17 giugno 2016, Milano, 2017, p. 132; E. Dagnino, Tecnologie e controlli a distanza, in Diritto delle relazioni industriali, 4 (2015), p. 1001; R. DelPunta, La nuova disciplina del controllo a distanza sul lavoro (art. 23 D.Lgs. 151/2015), in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1 (2016), pp. 96-97; O. Dessì, Il controllo a distanza sui lavoratori, Il nuovo art. 4 Stat. lav., Napoli, 2017, p. 71 ss.; A. Ingrao, Il controllo a distanza sui lavoratori e la nuova disciplina privacy, Una lettura integrata, Bari, 2018, pp. 169-172; P. Lambertucci, I poteri del datore di lavoro nello Statuto dei lavoratori dopo l’attuazione del c.d. Jobs act del 2015: primi spunti di riflessione, in Argomenti di diritto del lavoro, 3 (2016), p. 530; M. Ricci, I controlli a distanza dei lavoratori tra istanze di revisione e flessibilità “nel” lavoro, in Argomenti di diritto del lavoro, 2016, pp. 747-748.
[18] Cfr., per es., Cass., sez. lav., 4 dicembre 2014, n. 25674, in Il Foro italiano, 5 (2015), c. 1671, nt. A. M. Perrino; Cass., sez. lav., 8 giugno 2011, n. 12489, in Diritto e giustizia online, 2011, 15 giugno; Cass., sez. lav., 14 febbraio 2011, n. 3590, in Giustizia civile Massimario, 2 (2011), p. 241; Cass., sez. lav., 9 luglio 2008, n. 18821, in De Jure banca dati, p. 1113; Cass., sez. lav., 19 luglio 1985, n. 4271, in Orientamenti di giurisprudenza del lavoro, 1985, p. 1012.
[19] Cass., sez. lav., 22 novembre 2012, cit.; Cass., sez. lav., 9 luglio 2008, cit.; Cass., sez. lav., 7 giugno 2003, n. 9167, in Il Foro italiano, 1 (2003), c. 2637; Cass., sez. lav., 18 febbraio 1997, n. 1455, in Il diritto del lavoro, 5 (1997), p. 439, nt. M. Marazza; Cass., sez. lav., 9 giugno 1989, n. 2813, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 1989, p. 289.
[20] V. per es., tra le pronunce più recenti, Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, n. 15094, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (2018), p. 802 ss., nt. V. Nuzzo, e in GiustiziaCivile.com, 2018, 5 dicembre, nt. S. Varva, la quale «non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza».
[21] Sull’argomento v., per es., Cass., sez. lav., 24 marzo 1983, n. 2042, in Giurisprudenza italiana, 1 (1984), p. 1026; Cass., sez. lav., 10 maggio 1985, n. 2933, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 1985, p. 417; Cass., sez. lav., 23 agosto 1996, n. 7776, in Giustizia civile Massimario, 1996, p. 1216; Cass., sez. lav., 9 luglio 2008, cit.
[22] L. Nogler, Sulle contraddizioni logiche della Cassazione in tema di diritto alla riservatezza del lavoratore subordinato, in Responsabilità civile e previdenza, 1 (1998), p. 113.
[23] M. Falsone, L’infelice giurisprudenza in materia di controlli occulti e le prospettive del suo superamento, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (2015), p. 995; R. Del Punta, La nuova disciplina del controllo a distanza sul lavoro, cit., pp. 85-86.
[24]A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori,cit., pp. 45 ss.; Id., Investigatori privati e controlli occulti sui lavoratori, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 3 (1996), p. 544 ss.
[25] Cfr. Cass., sez. lav., 11 novembre 2021, n. 33367, in De Jure banca dati, la quale, in un caso in cui era stata accertata la violazione dell’art. 3 Stat. lav., ha rigettato il ricorso con il quale si sosteneva che, «se pur non utilizzabili gli accertamenti svolti in sede di attività di vigilanza, gli stessi avrebbero potuto essere utilizzati attraverso le testimonianze confermative rese». Tale argomento non è stato condiviso dalla Corte «poiché l’ammissione di una prova testimoniale su fatti accertati con modalità non consentita costituirebbe una modalità utile ad aggirare le specifiche disposizioni contenute nella L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3».
[26] Cfr. V. Nuzzo, Sull’utilizzo delle agenzie investigative per il controllo della prestazione resa fuori dai locali aziendali, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (2018), p. 810; Ead., La protezione dei lavoratori dai controlli impersonali, Napoli, 2018, pp. 54-58.
[27] Così, tra le pronunce più recenti, Cass., sez. lav., 18 febbraio 2019, n. 4670, in Diritto e giustizia, 2019, 18 febbraio. Cfr. anche: Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, cit.; Cass., sez. lav., 8 giugno 2011, n. 12489, in Diritto e Giustizia online, 2011, 15 giugno.
[28] Cass., sez. lav., 18 novembre 2010, n. 23303, in De Jure banca dati. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. lav., 3 novembre 1997, n. 10761, in Giustizia civile Massimario, 1997, p. 2062; Cass., sez. lav., 3 luglio 2001, cit.; Cass., sez. lav., 9 luglio 2008, cit.
[29] Cass., sez. lav., 4 settembre 2018, n. 21621, in Diritto e giustizia, 2018, 5 settembre; Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, cit.; Cass., sez. lav., 4 aprile 2018, n. 8373, in De Jure banca dati; Cass., sez. lav., 16 agosto 2016, n. 17113, in One Legale banca dati; Cass., sez. lav., 7 giugno 2003, cit.
[30] Cass., sez. lav., 4 settembre 2018, cit., la quale, osservando come «le agenzie di investigazione, per operare lecitamente, non debbano sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria», ritiene pertanto di dover cassare la sentenza di appello che aveva giudicato «legittimo il ricorso da parte della società datrice di lavoro ad un’agenzia investigativa, in una fattispecie di “sistematico allontanamento” del dipendente “dal luogo di lavoro, in assenza di qualsiasi comunicazione”».
[31] Cass., 1° marzo 2019, n. 6174, in De Jure banca dati. Nella giurisprudenza di merito, cfr. per es. Trib. Padova, 4 ottobre 2019, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1 (2020), p. 113 ss., nt. V. Nuzzo.
[32] Cass., 1° marzo 2019, cit.
[33] V. già L. Mengoni, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA.VV., Il contratto di lavoro nel diritto dei paesi membri della C.E.C.A., Lussemburgo, 1965, p. 472 ss.
[34] V., per es., Cass., sez. lav., 4 aprile 2018, cit. Per approfondimenti sulla nozione di giusta causa, pur senza possibilità di indicazioni esaustive, v. in dottrina: M. Napoli, Licenziamenti, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione commerciale, vol. IX, Torino, 1993, p. 58 ss.; P. Tullini, Contributo alla teoria del licenziamento per giusta causa, Milano, 1994; M. Tiraboschi, Categorie civilistiche e recesso unilaterale: il contratto di «lavoro subordinato», in G. De Nova (a cura di), Recesso e risoluzione nei contratti, Milano, 1994, p. 1031 ss.; L. Calcaterra, Il licenziamento per fatti e comportamenti estranei al rapporto di lavoro, in Il diritto del mercato del lavoro, 3 (2000), p. 603 ss.; C. Pisani, Licenziamento e fiducia, Milano, 2004; L. Nogler, La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento tra i «principi» costituzionali, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali, 4 (2007), p. 593 ss.; V. Nuzzo, La norma oltre la legge, Causali e forma del licenziamento nell’interpretazione del giudice, Napoli, 2012; F. Olivelli, L’inadempimento e la fiducia nella giusta causa di licenziamento, in Argomenti di diritto del lavoro, 1 (2018), p. 149 ss.
[35] Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, cit.; Cass., sez. lav., 22 maggio 2017, n. 12810, in One Legale banca dati, secondo la quale «l’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in favore di società concorrenti non può certamente ritenersi sottratta al controllo, vietato dalle norme ora citate, dell’attività lavorativa, neppure a volerla qualificare (anche) come inadempimento degli obblighi contrattuali, consistendo indubbiamente in un’attività illegittima, svolta al di fuori dell’orario di lavoro e fonte di danni per il datore di lavoro».
[36] Con riguardo al controllo da parte di investigatori sull’uso da parte del lavoratore dei permessi ex L. n. 104/1992, v. Cass., sez. lav., 18 febbraio 2019, cit.; Cass., sez. lav., 6 maggio 2016, n. 9217, in Diritto e giustizia, 2016, 9 maggio; Cass., sez. lav., 4 marzo 2014, n. 4984, in Giurisprudenza italiana, 11 (2014), p. 2515, nt. E. Balletti. Sugli accertamenti eseguibili sui lavoratori assenti per malattia, v. invece le pronunce citate nel seguente paragrafo.
[37] Cass., sez. lav., 22 maggio 2017, cit.; Cass., sez. lav., 18 febbraio 2019, cit.
[38] Cass., sez. lav., 10 luglio 2009, n. 16196, in One Legale banca dati, relativa al caso dei controlli eseguiti nei confronti di una lavoratrice con «mansioni di informatore scientifico», licenziata ex art. 2119 c.c. a causa della sua «richiesta di rimborso per chilometri indicati in eccedenza rispetto a quelli realmente effettuati per coprire i percorsi indicati». In precedenza, cfr. Cass., sez. lav., 5 maggio 2000, n. 5629, in Diritto e giustizia, 18 (2000), p. 54.
[39] Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, cit., che però fa salva «l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti». Di conseguenza, in tal caso la Corte ha cassato la decisione impugnata, giudicando «errata in diritto l’affermazione della Corte territoriale secondo cui “nessun divieto può configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro”, senza alcun riferimento ad attività concorrenziali […] o altrimenti fraudolente». Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Padova, 8 novembre 2018, n. 6897, in Il lavoro nella giurisprudenza, 3 (2019), p. 294 ss., nt. L. Angiello.
[40] Cass., sez. lav., 1° ottobre 2021, n. 26709, in Il lavoro nella giurisprudenza, 4 (2022), p. 388, nt. P. Iervolino; Cass., sez. lav., 16 agosto 2016, cit.; Cass., sez. lav., 26 novembre 2014, n. 25162, in Il Foro italiano, 5 (2015), c. 1671, nt. A. M. Perrino.
[41] Cass., sez. lav., 16 giugno 1994, n. 5833, in Giurisprudenza italiana, 1 (1995), p. 424; Cass., sez. lav., 17 luglio 1991, n. 7915, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2 (1992), p. 942, nt. G. Mammone; Cass., sez. lav., 29 luglio 1986, n. 4868, in Orientamenti di giurisprudenza del lavoro, 1986, p. 746.
[42] Pur senza possibilità di indicazioni esaustive, in argomento v. per es.: G. F. Mancini, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Milano, 1957, p. 131; M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1979, pp. 209-210; M. G. Mattarolo, Obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro, in P. Schlesinger (diretto da), Il Codice Civile, Commentario, Milano, 2000; F. Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982, p. 58; P. Tullini, Su di una nozione «allargata» di fedeltà, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4 (1988), p. 981.
[43] Cass., sez. lav., 17 giugno 2020, n. 11697, in Diritto e giustizia, 2020, 17 giugno, nt. A. Ievolella; Cass., sez. lav., 1° ottobre 2021, cit., la quale, peraltro, continua a contenere anche un riferimento all’obbligo di fedeltà.
[44] Cfr. O. Mazzotta, Accertamenti sanitari, eccessiva morbilità e contratto di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali, 1 (1983), p. 11; Id., Diritto del lavoro, 6a ed., Milano, 2016, pp. 487-489.
[45] R. Del Punta, La sospensione del rapporto di lavoro, Malattia, infortunio, maternità, servizio militare, Artt. 2110-2111, in P. Schlesinger (diretto da), Il Codice Civile, Commentario, Milano, 1992, pp. 559-560, che in particolare fa riferimento rispettivamente alle posizioni di U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, vol. II, Milano, 1984, p. 81 ss., da un lato, e di E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, vol. I, Prolegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, p. 96 ss., e G. F. Mancini, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, cit., p. 53 ss., dall’altro.
[46] In questi termini v. Cass., sez. lav., 17 giugno 2020, cit. Sull’autonomia degli obblighi preparatori rispetto all’obbligo di prestazione v. già G. F. Mancini, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, cit., pp. 68 ss. Diversamente, invece, v. L. Mengoni, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (Studio critico), in Rivista del diritto commerciale, 1954, e ora in Id., Scritti,vol. II, Obbligazioni e negozio, a cura di C. Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi, Milano, 2011, p. 231; e, più recentemente, L. Fiorillo, Obblighi del lavoratore, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione commerciale, Aggiornamento, 2009, p. 20.
[47] Cfr. Cass., sez. lav., 25 novembre 2021, n. 36729, in De Jure banca dati; Cass., sez. lav., 17 giugno 2020, cit.; Cass., sez. lav., 11 ottobre 2016, n. 20433, in Guida al diritto, 10 (2017), p. 59.
[48] Così, per es., Cass., sez. lav., 1° ottobre 2021, cit.; Cass., sez. lav., 26 novembre 2014, cit.; Cass., sez. lav., 3 maggio 2001, n. 6236, in Rivista giuridica del lavoro, 1 (2002), p. 50, nt. L. Valente. In senso critico, V. Ferrante, Potere di controllo e tutela dei lavoratori, cit., pp. 295-296, rileva che «si deve senz’altro differenziare fra le certificazioni rilasciate dal medico curante, nelle quali in genere manca addirittura un accertamento vero e proprio dello stato patologico (“il paziente riferisce dolore etc.”), da quelle invece rilasciate, in caso di infortunio, dai medici dell’INAIL che non possono per certo essere considerate alla stregua di un semplice parere di parte».
[49] Cfr., in argomento, M. Magnani, Diritti della persona e contratto di lavoro, L’esperienza italiana, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 15 (1994), p. 54; M. Brollo, Il rilievo del comportamento «privato» del lavoratore nel «pubblico» del rapporto di lavoro, in Giurisprudenza italiana, 1 (1987), p. 317.
[50] Brevi cenni all’art. 8 Stat. lav. si rinvengono, per es., in Cass., sez. lav., 26 novembre 2014, cit.
[51] Cass., sez. lav., 17 giugno 2020, cit., la quale, sulla scorta delle considerazioni sopra illustrate, più precisamente ha ritenuto che l’indagine eseguita nella specie fosse rispettosa della disciplina prevista dallo Statuto dei lavoratori, «essendo legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti». Cfr. anche Cass., sez. lav., 16 agosto 2016, cit.; Cass., sez. lav., 1° ottobre 2021, cit., che, come si è già accennato, descrivono l’ambito sottoponibile alle indagini sul personale in malattia, parlando di comportamenti del lavoratore «estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa», ma comunque rilevanti nell’ottica del corretto adempimento delle obbligazioni che derivano dal rapporto di lavoro.
[52] V. Ferrante, Potere di controllo e tutela dei lavoratori, cit., p. 296, il quale ricorda che «giurisprudenza ampia, seppur risalente, afferma infatti che attività normali non dimostrano l’insussistenza dello stato morboso, ma anzi in certi casi costituiscono una condotta fedele all’indicazione terapeutica ricevuta (si pensi a vari casi di stato post-traumatico da stress o alla necessità di riprendere gradualmente un’attività motoria etc.)». A riguardo, cfr. Cass., sez. lav., 6 luglio 1988, n. 4448, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 1988, p. 836; Cass., sez. lav., 9 marzo 1987, n. 2452, in Il Foro italiano, 1 (1987), c. 3082; Cass., sez. lav., 12 aprile 1985, n. 2434, in Giustizia civile, 1 (1985), p. 1913, nt. G. Pera.
[53] Cass., sez. lav., 9 ottobre 2020, cit., la quale, di conseguenza, afferma che il controllo, «attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente».
[54] Cass., sez. lav., 9 ottobre 2020, cit.
[55] Cass., sez. lav., 18 febbraio 2019, cit.; Cass., sez. lav., 4 aprile 2018, cit.; Cass., sez. lav., 11 giugno 2018, cit.; Cass., sez. lav., 16 agosto 2016, cit.
[56] Sul tema v., per es., M. Aimo, Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, p. 45 ss.; Ead., Tutela della riservatezza e protezione dei dati personali dei lavoratori, in M. Marazza (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, tomo II, in M. Persiani - F. Carinci (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, vol. IV, Padova, 2012, p. 1771 ss.; A. Trojsi, Il diritto del lavoratore alla protezione dei dati personali, Torino, 2013, p. 104 ss.
[57] Cass., sez. lav., 18 novembre 2010, cit. Tra le altre, v. anche Cass., sez. lav., 9 luglio 2008, cit., secondo la quale in questi casi «essenziale per la legittimità di tali tipi di controllo, oltre alla finalità di accertamento di illeciti a carico del patrimonio aziendale e non di meri inadempimenti contrattuali, è la necessità che il controllo si svolga secondo tecniche che richiamano quello che un qualsiasi cliente accorto pone normalmente in essere quando transita attraverso una qualunque delle casse per pagare e non si traducano in manovre dirette ad indurre in errore l’operatore». In argomento, v. da ultimo A. Sartori, Il controllo tecnologico sui lavoratori, cit., pp. 186-187.
[58] Cass., sez. lav., 4 aprile 2018, cit.
[59] Cass., sez. lav., 18 luglio 2017, n. 17723, in De Jure banca dati, la quale peraltro ha rigettato il ricorso del lavoratore licenziato per le condotte accertate dall’agenzia investigativa, ritenendo che, nella fattispecie esaminata nel merito dai giudici di appello, non fossero stati offerti «elementi in concreto per poter ritenere che sia stato violato il principio di proporzionalità e di aderenza all’oggetto dell’indagine ed al suo scopo così come ricostruiti nella giurisprudenza di legittimità e nei provvedimenti del Garante».
[60] Con provvedimento 19 dicembre 2018, n. 512, il Garante ha verificato la conformità al Reg. UE n. 2016/679 delle disposizioni previste nel Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, che successivamente sono state pubblicate, ai sensi dell’art. 20, comma 4, D.lgs. n. 101/2018, come Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria e costituiscono ora l’Allegato A.6 al D.lgs. n. 196/2003. In base al relativo art. 1, tali regole si applicano ai trattamenti di dati personali effettuati per le finalità indicate, sia nel corso di un procedimento sia nella fase propedeutica all’instaurazione di un eventuale giudizio e in quella successiva alla sua definizione, da parte di «avvocati o praticanti avvocati» e «soggetti che, sulla base di uno specifico incarico anche da parte di un difensore, svolgano in conformità alla legge attività di investigazione privata (art. 134 r.d. 18 giugno 1931, n. 773; art. 222 norme di coordinamento del c.p.p.)», nonché da parte di «altri liberi professionisti o soggetti che in conformità alla legge prestino, su mandato, attività di assistenza o consulenza per le medesime finalità». Sui codici di deontologia e di buona condotta in materia di trattamento dei dati personali, v. per es. A. Sitzia, Il diritto alla “privatezza” nel rapporto di lavoro tra fonti comunitarie e nazionali, Padova, 2013, p. 53 ss.; A. Trojsi, Il diritto del lavoratore alla protezione dei dati personali, cit., p. 89 ss.
[61] V., in particolare, l’art. 8, comma 2, Regole deontologiche, cit.
[62] Art. 8, comma 3, Regole deontologiche, cit.
[63] Art. 8, comma 4, Regole deontologiche, cit.
[64] Cfr. art. 10, commi 1 e 2, Regole deontologiche, cit.
[65] V., in particolare, le Prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati da parte degli investigatori privati, adottate dal Garante con Provvedimento recante le prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati, ai sensi dell’art. 21, comma 1 del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, 5 giugno 2019, n. 146. Com’è noto, le «categorie particolari di dati personali» previste dall’art. 9 Reg. UE n. 2016/679, per le quali vige un generale divieto di trattamento, sono costituite dai «dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché […] dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona».
[66] Il quale, com’è noto, è richiamato dall’art. 113 D.lgs. n. 196/2003. A riguardo, v. A. Trojsi, Il diritto del lavoratore alla protezione dei dati personali, cit., p. 111 ss.; A. Sitzia, Il diritto alla “privatezza” nel rapporto di lavoro tra fonti comunitarie e nazionali, cit., p. 51 ss. Sul previgente quadro normativo, cfr. P. Chieco, Privacy e lavoro, La disciplina del trattamento dei dati personali del lavoratore, Bari, 2000, p. 30 ss.
[67] Pt. 3.2, Prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati, cit.
[68] Pt. 3.3, Prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati, cit.
[69] V. per es. art. 11, Regole deontologiche cit. Cfr. artt. 12 ss. Reg. UE 2016/679.
[70] Garante, provvedimento 19 febbraio 2002, doc. web n. 1063652, relativo a una fattispecie concernente l’attività investigativa commissionata da una società al fine di acquisire elementi probatori utili alla dimostrazione in giudizio della violazione del patto di non concorrenza da parte di un ex amministratore. Pur ritenendo che tale situazione potesse astrattamente rendere giustificato il ricorso agli investigatori, il Garante ha reputato contraria all’obbligo di informare l’interessato, previsto dall’art. 10, comma 1, L. n. 675/1996, l’acquisizione di dati personali «mediante ascolto, registrazione o intercettazione effettuato a cura di un istituto investigativo». Sotto questo profilo, si è affermato in particolare che, «con esclusione delle informazioni relative a pedinamenti e a informazioni di carattere generale raccolte sulle persone e sulle società coinvolte, la specifica tecnica utilizzata per annotare, registrare, ascoltare o intercettare a distanza i lunghi colloqui non può ritenersi conforme a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996».
[71] Garante, provvedimento 31 gennaio 2019, n. 20, doc. web n. 9086480, relativo in particolare alla decisione di un reclamo presentato ai sensi dell’art. 77 Reg. UE n. 2016/679 con il quale, in ordine agli accertamenti eseguiti nei confronti di un lavoratore assente per malattia, veniva lamentata «la violazione della disciplina vigente in materia di protezione dei dati personali con particolare riferimento all’esercizio del diritto di accesso ai dati personali che lo riguardano “contenuti nel fascicolo personale”». Cfr. anche Garante, provvedimento 9 gennaio 2014, n. 10, doc. web n. 3015573, che ha dichiarato infondato il ricorso presentato da un lavoratore al quale era stato contestato dal datore di lavoro di essersi più volte allontanato dalla propria abitazione, durante l’assenza per malattia, e di aver instaurato relazioni con società concorrenti. Il lavoratore aveva domandato, in particolare, la comunicazione di tutte le informazioni acquisite attraverso l’indagine svolta da un’agenzia investigativa, di cui lo stesso era stato oggetto, e aveva lamentato anche di non aver ricevuto l‘informativa sul trattamento dei dati personali.
[72] Art. 5, par. 1, lett. c), Reg. UE n. 2016/679.
[73] Garante, provvedimento 16 settembre 2021, n. 334, doc. web n. 9718933, secondo il quale «vero è che l’incarico investigativo comportava la necessità di accertare se la Signora XX utilizzasse effettivamente i permessi richiesti per assistere la madre, onde le informazioni relative ad un possibile stato patologico della madre ed alle conseguenti probabili necessità di assistenza da parte della figlia appaiono conferenti all’oggetto del mandato (art. 9, par. 2, lett. f), del RGPD). Purtuttavia, l’indicazione della specifica malattia di cui era presumibilmente affetta la reclamante, presente nella relazione investigativa, non ha alcuna rilevanza ai fini dell’espletamento degli accertamenti commissionati».
Rossi Nicolò
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