In margine agli sponsali: una chiave interpretativa per I promessi sposi
Lucia Bastianini*
In margine agli sponsali: una chiave interpretativa per
I promessi sposi**
English title: About marriage vows: a keyword for The Betrodhed
DOI: 10.26350/18277942_000089
Sommario: 1. Breve premessa metodologica. 2. Alcune riflessioni sul titolo del romanzo. 3. La promessa nel tempo. a. Prima e dopo il Concilio di Trento. b. Gli sponsali nel ‘700 tra Costantini e Goldoni. c. Gli sponsali nell’800tra Chateaubriand e Manzoni. 4. Motivi di annullamento degli sponsali. 5. La promessa nel romanzo.
- Breve premessa metodologica
Il presente contributo, cercando di approfondire la presenza della pratica degli sponsali nel Diritto canonico e nei testi ecclesiastici (ma soprattutto nella consuetudine) a partire dalle Decretali di Gregorio nono (1234), offre una possibile chiave di interpretazione del titolo e di alcuni elementi dell’intreccio del romanzo manzoniano.
L’approccio seguito rimanda ai principi del movimento interdisciplinare Law and Literature[1] che propone di analizzare e valorizzare la plurima e complessa interdipendenza tra diritto e letteratura, in nome delle comuni radici delle due discipline, dei benefici effetti e dei molti vantaggi reciproci provenienti dalla loro osmosi. Pioniere di questa riflessione viene considerato John H. Wigmore (1863–1943)[2] le cui intuizioni hanno dovuto attendere, per essere proficue, fino al 1973[3] quando hanno dato luogo, in prima battuta negli Stati uniti e nel Regno unito, a un vero e proprio movimento, a una sorta di sotto disciplina del diritto, denominata Law and Literature Studies.
Tale proposta interpretativa è dunque relativamente recente e tuttavia ricca di molti contributi che affrontano questioni complesse e talvolta tra loro molto differenti; possiamo comunque individuare due grandi aree di dibattito e di ricerca che possono essere indicate come Law in literature e Law as literature[4].
Questo breve saggio rientra nella prima categoria e, più precisamente, prendendo a orientamento le quattro tipologie di opere indicate da Weisberg e Kretschman[5], possiamo ritenere che I promessi sposi siano un’opera «in cui un corpus specifico di leggi - spesso una singola norma o sistema procedurale - diventa un tema centrale». Il titolo del romanzo e taluni elementi che supportano l’intreccio narrativo potrebbero, infatti, tener conto di alcune norme giuridiche, pur non facendo riferimento a particolari decisioni giudiziarie. Dal confronto con tale rimando l’opera manzoniana potrebbe svelare alcuni significati utili per proporne un’interpretazione.
- Alcune riflessioni sul titolo del romanzo
Manzoni, nell’assegnare un titolo al suo romanzo, passò da Gli sposi promessi a I promessi sposi mantenendo praticamente costante l’uso del sostantivo e dell’aggettivo-participio[6], prediligendo la posizione in anastrofe di quest’ultimo e ponendolo così in evidenza. Possiamo constatare come ‘promessi’ abbia in sé una plurivalenza del senso dell’azione indicata. È, per la morfologia, participio passato con diatesi passiva del verbo ‘promettere’ che implica quindi un complemento d’agente (da chi); per il significato espresso richiede un complemento di termine di vantaggio (a chi) e sottintende, come ha già sottolineato Frare[7], il senso di futuro. Dunque, nel romanzo possiamo ipotizzare che Renzo e Lucia sono tra loro reciprocamente promessi (dall’uno a vantaggio dell’altro), ma anche da Dio e verso Dio e che questa azione, siglata nel passato, diviene propulsiva e proietta il loro agire nel futuro.
La promessa costituisce un elemento portante e legante dell’opera: una chiave di lettura privilegiata che indica un’azione incompiuta nel tempo e che ha, tuttavia, la sua ragione d’essere; nel momento in cui troverà realizzazione, e non sarà, dunque, più tale, consegnerà la vicenda allo scioglimento[8].
Il titolo mette, dunque, in evidenza lo status giuridico dei protagonisti: il loro foedus e la fides che da esso promana; senza dubbio è ravvisabile un’allusione al patto tra Dio e l’uomo[9], ma forse non è stata focalizzata abbastanza la natura della sacralità profonda di questo patto tra Renzo e Lucia, che sembra resistere a ogni avversità, trionfare su ogni male e, soprattutto, è il propulsore del loro cambiamento.
Fa eccezione, nella brevissima storia della critica che si è occupata di indagare le ragioni del titolo del romanzo, la straordinaria intuizione di Domenico De Robertis; mentre ragiona sul perché del cambiamento da Sposi promessi a Promessi sposi il critico coglie come «il mutamento, più che il semplice rifiuto della tautologia importa il rovesciamento del concetto statico (sposi che si sono scambiati la promessa) in dinamico: esaltando, da specificazione e determinazione a ragione vitale “di tutta la storia”, la promessa, e l’attesa del suo compimento. Il mutamento riguarda dunque non più il soggetto del racconto, ma il suo significato, la sua morale»[10].
Sarà di seguito argomentato come ‘sposi promessi’ o ‘promessi sposi’ era un sintagma che indicava un preciso stato giuridico del diritto canonico[11] e che, pertanto, era comunemente usato sia nel tempo in cui è ambientato il romanzo sia in quello in cui è scritto. Tanto è vero che «è solo nella seconda metà dell’Ottocento che se ne diffonde l’uso [del termine fidanzato] in sostituzione di “promesso sposo”. Ancora nel 1865, il Dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo e B. Bellini affermava che la voce “fidanzato” “non è dell’uso comune che dice promesso sposo”»[12].
Cercheremo poi di comprendere le implicazioni di questa definizione nelle relazioni della vita quotidiana e nella narrazione delle vicende dei due protagonisti del romanzo, ponendo in luce come una promessa di matrimonio possa essere stata ritenuta un atto sacro o più esattamente, come vedremo, un sacramentale.
Al lettore contemporaneo, abituato ad un contesto sociale caratterizzato dalla fluidità – se non dalla precarietà – dei legami potrà forse essere utile una breve ricerca storico-giuridica, che aiuti a capire meglio cosa fossero le promesse di matrimonio, ovvero, come si chiamavano, gli sponsali, nei secoli scorsi[13]. La contestualizzazione delle ragioni presenti a Manzoni nel momento della scelta del titolo del romanzo potrebbe essere uno strumento per offrirne una ulteriore chiave di lettura.
- La promessa nel tempo
- Prima e dopo il Concilio di Trento
Il rito che oggi sancisce la validità della celebrazione del sacramento del matrimonio è la risultante di un percorso lungo, laborioso e accidentato, che ha trovato molte difficoltà nell’essere accettato e uniformemente praticato. Il Concilio di Trento dedicò copiose energie a porre ordine nelle molte e diverse consuetudini che si praticavano per celebrare il matrimonio e a ratificare i vari decreti che ne chiarissero bene i principi di validità e indissolubilità. Tutte le pratiche antecedenti alle norme tridentine avevano la caratteristica di non distinguere sempre con chiarezza «la promessa di matrimonio propriamente detta (sponsali de futuro) e il matrimonio vero e proprio (sponsali de presenti)[14], che venne riconosciuto [dal Concilio] tale solo se celebrato da un sacerdote in presenza di testimoni»[15]; questa mancanza di una legislazione chiara faceva sì che «equivoci, fortuiti quanto deliberati, e ambiguità erano all’ordine del giorno»[16] .
La distinzione tra le due promesse era sostanziale dal punto di vista teologico, ma quasi impercettibile nella pratica e nel pensare comune, in quanto l’unico discrimine tra i due riti era dato dall’uso del tempo presente o futuro al momento dello scambio: «prendo/prenderò te come mio sposo/sposa» («accipio vel iuro vel duco te in meam vel in meum» o, per verba de futuro: «accipiam vel ducam te in meam vel in meum»). Per questo, nella pratica comune ed ecclesiastica, alle promesse veniva attribuito un vero e proprio valore sacramentale in quanto ritenute la prima tappa del rito matrimoniale[17], tanto che per il loro scioglimento si ricorreva al tribunale ecclesiastico[18].
Il Concilio di Trento chiarisce in modo definitivo che solo il matrimonio, di cui gli sposi sono ministri, celebrato alla presenza di un sacerdote e corredato da testimoni, è un vero e proprio sacramento e non si occupa quindi di regolamentare le promesse matrimoniali che tuttavia rimangono a lungo nella consuetudine[19].
Se si cercano riscontri nella vita pratica, il tentativo del Concilio tridentino di riportare l’attenzione sul vero e proprio sacramento del matrimonio trascurando volutamente di regolamentarne le promesse, che non avevano alcuna proprietà intrinseca per divenire oggetto di attenzione dei padri conciliari, non riuscì completamente. In realtà le norme conciliari stabilite riguardo alla celebrazione del matrimonio trovarono una faticosa e controversa[20] attuazione e, del resto, la mancanza di una pronuncia chiara sulla reale o presunta natura giuridica degli sponsali de futuro li poneva in un cono d’ombra che rendeva legittimo ritenere valida la legislazione precedente[21], ovvero quanto contenuto nelle Decretali di Gregorio IX (1234) dove venivano presentati come una pratica comune e legittima, bisognosa, eventualmente, di una disciplina[22].
In questa sede ci limiteremo a un breve excursus sulla resistenza di tali consuetudini[23].
Nel Seicento permane integro il riconoscimento del valore giuridico del patto tra fidanzati e i testi che lo commentano tengono assolutamente in conto la scansione delle Decretali, non operando alcuna variazione sostanziale, riservandosi piuttosto di offrire chiarimenti alla materia[24] .
Il Settecento libertino sembra un periodo in cui gli sponsali subiscono un grave attacco (accanto anche all’istituzione matrimoniale): «Era ormai l’istituto stesso degli sponsali ad essere oggetto di critiche feroci da parte della società laica. Non piaceva quell’obbligo di mantenere la promessa – anche se scambiata in segreto, anche se contratta da minorenni, contro la volontà dei padri – previsto dall’antica dottrina canonica e lasciato immutato dal Concilio di Trento»[25].
- Gli sponsali nel ‘700 tra Costantini e Goldoni
Quanto sopra indicato è il substrato culturale che dà vita a un gustoso testo di Costantini, contenuto nelle sue Lettere critiche[26] che riepilogheremo brevemente di seguito, ponendo l’accento sulle argomentazioni addotte dallo scrittore a sostegno della fedeltà al fidanzamento. L’opera fu scritta con fini morali ponendo l’accento sui vizi del tempo e indicandone possibili rimedi, a prescindere dalla derisione del «Mondo»[27].
La pseudo-lettera da noi presa in esame si intitola proprio Sponsali[28]:datata 4 gennaio 1744, è indirizzata ad un amico che si accinge alle nozze, dopo aver infranto i precedenti sponsali con Madamoisella Getruda [sic]: i due si erano reciprocamente promessi e «non restava, che ratificare de presenti l’impegno contratto in faccia alla Chiesa» (p. 132). Dopo aver argomentato sul cattivo costume che vede contrarre gli sponsali solamente per approfittare dell’ingenuità delle fanciulle[29] ed aver redarguito la leggerezza con cui si rompono le promesse, Costantini riflette sulla sacralità delle medesime, rimproverando che «il deludere gli impegni sagri di un perpetuo vincolo è fatto alla moda. La cosa è divenuta così frequente, che pochi Uomini, e poche Donne si trovano, che abbino osservata la prima fede promessa» (p. 134). La lettera si conclude denunciando l’infelicità e la fragilità di molti matrimoni che sono nati tradendo con leggerezza[30] le prime promesse già contratte con altri e l’invito all’amico a ripensare alla propria decisione.
Gli sponsali sono dunque considerati ancora, da taluni, un vincolo sacro; possiamo anche porre in evidenza la riprovazione morale, suffragata quasi da motivazioni teologiche, con cui l’autore della succitata lettera cerca di contrastare la frivolezza con cui vengono infranti.
Ancora nel ’700 è d’obbligo citare Goldoni, che a più riprese nelle sue commedie fa riferimento alle promesse di matrimonio[31] . Di particolare rilievo è lo scioglimento della Donna di garbo (1743)[32] tutto incentrato sul richiamo che Rosaura fa al giovane Florindo perché rispetti la promessa[33] di matrimonio, riuscendo così a impedire la sgradevole situazione di essere sposata dal padre di lui[34]. Interessante, in particolare, lo scambio di battute, a suon di citazioni latine[35], tra Florindo e Rosaura: da parte della donna, si argomenta la fede che deve essere mantenuta alla promessa, mentre le risposte dell’interlocutore sono tese a trovare appigli per disattenderla. Si comprende, così, come ancora questa antica legislazione fosse conosciuta e tenuta per buona.
Nel 1786 il Sinodo di Pistoia «giunse ad abolire gli effetti giuridici degli sponsali. […] Le decisioni del sinodo furono però criticate dalla maggioranza dei vescovi (e più tardi condannate dalla Curia romana)»[36]. Nel 1784 fu estesa alla Lombardia «la costituzione matrimoniale promulgata nei domini austriaci l’anno precedente[37]. […] Si dichiaravano nulli gli sponsali […] e soprattutto si affermava la competenza del potere civile sul contenzioso matrimoniale»[38].
- Gli sponsali nell’800 tra Chateaubriand e Manzoni
Nonostante i ripetuti tentativi di annullare il valore degli sponsali, ne permane la consuetudine, come sembra confermare non solo l’affermazione di Chateaubriand che «La Chiesa ha conservato gli sponsali per verba de futuro, che rimontano ad una grande antichità»[39], ma anche la ripetuta presenza a lemma della voce ‘sponsali’ nei manuali di morale dell’Ottocento. Ad esempio, la Dottrina cristiano cattolica in forma di dialogo[40] stampata a Napoli nel 1842, dedica alle promesse matrimoniali un intero paragrafo per legittimarne l’uso, per elencarne gli elementi di annullamento, dichiarandone in tal modo, per ancora vigente la pratica.
Altra fonte interessante possono essere le già citate Lezzioni [sic]di diritto canonico: esposte secondo l'ordine dei titoli delle decretali di Gregorio IX di Pietro Vermiglioli che presta molta attenzione alle promesse e ai matrimoni, ribadendo la distinzione tra sponsali de futuro e de presenti, sottolineando che quelli de futuro non sono stricto sensu condizionanti, ma ammettendo nello stesso tempo che «purnondimeno tanta è la forza di quella promessa, che si fa nel contratto di matrimonio, che non è lecita da quella recedere e deve prendersi quella a cui si promise di prendere in Moglie e chi diversamente facesse peccherebbe mortalmente»[41] .
Il testo redatto dal primo Concilio provinciale vallisoletano, tenutosi nel 1888, nella parte dedicata al matrimonio afferma: «Matrimonium non raro praecedunt sponsalia per verba de futuro, pro quibus nullam praescripsit formam Tridentina Synodus» attestandone dunque ancora la pratica[42].
Anche il diritto civile riconosceva, secondo l’interpretazione di alcuni giuristi, il valore degli sponsali in quanto essi producono un’unione basata su ‘pubblica onestà’ (e dunque non facilmente solubile) come sembra suggerire Pothier nel suo trattato sul diritto francese[43] .
Il contesto politico-culturale nel quale Manzoni sceglie il titolo del suo romanzo non era molto lontano da un passaggio epocale anche nella considerazione del matrimonio. Alla fine del 1700 il matrimonio divenne un rito civile oltre che religioso[44], con la concessione del divorzio da parte dello stato[45], mentre il Concilio tridentino ne aveva ribadito l’indissolubilità eccetto i casi ammessi di annullamento; tuttavia dopo la Restaurazione non pochi furono i codici civili degli stati che tolsero il divorzio e legarono la celebrazione del matrimonio civile in toto alla celebrazione religiosa.
L’etichetta che Manzoni sceglie porta, dunque, su di sé una lunga e complessa storia e un messaggio, comunicando un’idea precisa: l’indissolubilità del vincolo basato sul libero consenso, e la grazia che da questo deriva, appartiene già alla promessa. L’esplicita adesione da parte di Manzoni al concetto di matrimonio per tappe, la cui parte fondante sono le promesse, spiega, da un punto di vista giuridico, la veloce risoluzione del matrimonio vero e proprio, con poche righe, nel romanzo, perché in fondo le promesse de presenti erano considerate solamente una ratifica necessaria
L’espressione Promessi sposi o Sposi promessi era sicuramente dell’uso comune e aveva una profonda valenza morale, ma anche una precisa connotazione giuridica.
- Motivi di annullamento degli sponsali
Prima di avvicinarsi alla lettura del romanzo, per cercarvi i riscontri e le implicazioni di questa usanza, è necessario comprendere quali potevano essere, secondo la consuetudine e il diritto canonico, i motivi di annullamento della promessa.
Nelle Decretali di Gregorio IX[46] si indica la possibilità di scioglimento degli sponsali solamente in alcuni casi, di cui riportiamo pochi esempi per evidenziare anche una certa varietà delle norme:
Capitulum II. Sponsalia de futuro dissolvuntur, si sponsi se dissolvunt, etiamsi fuerint iurata.
Capitulum V. Si sponsus de futuro ante copulam ad remota se transfert, sponsa libere cum alio contrahit: si tamen per eam stetit, quo minus matrimonium perficeretur, sibi poenitentia imponitur.
Capitulum X. Qui iuravit cum aliqua contrahere, si non subest impedimentum, per censuram ecclesiasticam contrahere compellitur.
Capitulum XVII. Qui iuravit cum aliqua contrahere, moneri potius debet, quam compelli, ut contrahat.
Capitulum XXII. Sponsalia de futuro, etiam iurata, solvuntur per secunda sponsalia de praesenti, non autem per secunda de futuro.
Capitulum XXIX. In matrimoniis et sponsalibus debet esse libertas, unde in eis promissio poenae non obligat.
Capitulum XXXI. Sponsalia de praesenti non solvuntur per sequens matrimonium, etiam carnali copula consummatum; sed sponsalia de futuro etiam iurata solvuntur per sequentia de praesenti.
Riassumendo, gli sponsali, in sostanza, potevano essere sciolti facilmente per mutuo consenso (non era invece possibile che una parte disponesse della volontà altrui) o per colpe gravissime (tutte da dimostrare e su cui si esprimevano i tribunali ecclesiastici), tra cui la fornicazione, la contrazione di un vero e proprio matrimonio con altri, il compimento di un delitto da parte di uno dei due contraenti; oppure per la scelta di uno stadio più perfetto di vita come l’entrata in un ordine religioso, per l’emissione di una solenne professione religiosa, per l’allontanamento (in altre regioni) per molto tempo di uno dei due promessi. Si annovera anche il sorgere di un impedimento dirimente (se però è attribuibile ad una sola delle parti deve essere chiesta la dispensa) o il sopraggiungere di una mutazione intrinseca od estrinseca (ad esempio una malattia o una nascosta deformità)[47] .
Il primo motivo di scioglimento che non dia adito a contenziosi è, dunque, l’accordo di entrambe le parti.
5. La promessa nel romanzo
De Robertis aveva già acutamente osservato che il sintagma ‘promessi sposi’ è presente fin dal Fermo e Lucia[48]perché la storia che Manzoni, da sempre, ha voluto raccontare è quella di un’unione contrastata da tante avversità che la forza della promessa, reciprocamente scambiata e da Dio benedetta, vince. Dunque, il matrimonio non è il tema del romanzo[49], perché il legame che unisce Renzo e Lucia, nel corso di tutta la narrazione, sembra essere, piuttosto, una vera e propria promessa de futuro con tutto ciò che tale rito portava con sé: in primis era inteso come un vincolo potente e sacro, ma non indicava uno status definitivo. L’entrata in scena di Renzo, che va dal curato «con la lieta furia d’un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama» (PS II §§ 7-8), mostra come alla base della promessa vi fosse l’amore, ovvero un sentimento libero e gioioso, lo stesso che anima anche il cuore di Lucia, come Manzoni porta alla luce quando mette a confronto, nei pensieri di lei, i sentimenti espressi dalla monaca di Monza mentre narra le sue vicende, e la ritrosia della protagonista nel raccontare la propria storia:
Si schermiva anche, quanto poteva, dal rispondere alle domande curiose di quella, sulla storia antecedente alla promessa; ma qui non eran ragioni di prudenza. Era perché alla povera innocente quella storia pareva più spinosa, più difficile da raccontarsi, di tutte quelle che aveva sentite, e che credesse di poter sentire dalla signora. In queste c'era tirannia, insidie, patimenti; cose brutte e dolorose, ma che pur si potevan nominare: nella sua c'era mescolato per tutto un sentimento, una parola, che non le pareva possibile di proferire, parlando di sé; e alla quale non avrebbe mai trovato da sostituire una perifrasi che non le paresse sfacciata: l'amore! (PS XVIII §§ 22-23).
Del resto, la prima condizione per la validità del patto doveva essere, necessariamente, il libero consenso dei futuri sposi, ovvero il loro amore. A più riprese nel romanzo i due personaggi sono definiti o si definiscono essi stessi promessi[50] e nulla metterà in dubbio, nemmeno la lontananza di Renzo, la fedeltà a questo patto eccetto un nuovo giuramento: il voto di Lucia.
Si procederà ora per riscontri, nel testo, di tratti salienti che ci permetteranno di capire come Manzoni avesse in mente non un generico e spontaneo accordo tra i due giovani, ma quello siglato e sancito dalla formula ‘sponsali de futuro’.
Ecco la chiusa dell’ottavo capitolo: la sequenza dell’Addio monti.
Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito. (PS VIII §§ 97-98)
Attira la nostra attenzione il rito che era stato «promesso»[51] in Chiesa e poi preparato; ci viene forse in aiuto, per comprendere questa espressione, un passo tratto dal Genio del Cristianesimo dove viene descritta una consuetudine che poteva essere stata praticata, in modo più o meno simile, anche dai nostri due protagonisti: «Nelle nostre campagne gli sponsali si mostravano ancora con tutte le antiche loro grazie. In una bella mattina del mese di luglio o di agosto il giovine contadino veniva a cercar la sua promessa sposa al podere del suo suocero futuro. […] La novella sposa riceveva dal Curato la benedizione degli sponsali, e deponeva sull’altare una rocca contornata di nastri […] La pubblicazione delle denunzie segue gli sponsali»[52]. Tale cerimonia presuppone una vera e propria sacramentalizzazione del rito degli sponsali de futuro.
Molte sono le promesse (più o meno libere e lecite) narrate nel romanzo[53], ma due si fronteggiano, creando una vera e propria tensione narrativa, nel cuore umile e nella mente di Lucia che vive in sé il dramma della loro, apparente, inconciliabilità: la promessa di matrimonio e il voto alla Vergine. Questo, pronunciato nel corso della terribile notte al castello dell’innominato, nel cap. XXI[54], provoca in Lucia sentimenti di inquietudine solo alcuni capitoli – e alcune ore – dopo, nel momento del ricordo e del ripensamento:
la memoria del voto, oppressa fino allora e soffogata da tante sensazioni presenti, vi si suscitò d’improvviso, e vi comparve chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo animo, appena riavute, furon sopraffatte di nuovo, a un tratto: e se quell’animo non fosse stato così preparato da una vita d’innocenza, di rassegnazione e di fiducia, la costernazione che provò in quel momento, sarebbe stata disperazione. Dopo un ribollimento di que’ pensieri che non vengono con parole, le prime che si formarono nella sua mente furono: — oh povera me, cos’ho fatto! —
Ma non appena l’ebbe pensate, ne risentì come uno spavento. Le tornarono in mente tutte le circostanze del voto, l’angoscia intollerabile, il non avere una speranza di soccorso, il fervore della preghiera, la pienezza del sentimento con cui la promessa era stata fatta. E dopo avere ottenuta la grazia, pentirsi della promessa, le parve un'ingratitudine sacrilega, una perfidia verso Dio e la Madonna; le parve che una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili sventure, in mezzo alle quali non potrebbe più sperare neppur nella preghiera; e s’affrettò di rinnegare quel pentimento momentaneo. (PS XXIV §§ 35-38)
Lucia sembra pentirsi del voto perché ha violato l’accordo stipulato con Renzo tanto che, in questo momento, considererà provvidenziale la lontananza del promesso sposo[55], in quanto l’allontanamento, in regioni lontane, protratto nel tempo, di uno dei due contraenti poteva essere uno dei motivi, non conflittuali, dello scioglimento degli sponsali.
Sarà proprio Renzo a desiderare di fare chiarezza sulla questione ragionando spinto dal buonsenso, nonché dimostrando di conoscere bene la forza del vincolo che lo lega a Lucia[56]:
Dopo l' espressioni più forti che si possano immaginare di pietà e di terrore per i casi di Lucia, - scrivete, - proseguiva dettando, - che io il cuore in pace non lo voglio mettere, e non lo metterò mai; e che non son pareri da darsi a un figliuolo par mio; […] che già la giovine dev'esser mia; che io non so di promessa; e che ho ben sempre sentito dire che la Madonna c'entra per aiutare i tribolati, e per ottener delle grazie, ma per far dispetto e per mancar di parola, non l'ho sentito mai; e che codesto non può stare. (PS XXVII § 27)[57]
Il concetto viene ribadito a più riprese, con vigore, come ad esempio in questo passo:
«E io vi dico che son promesse che non contan nulla.»
«Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stato in questo tempo? Con chi avete trattato? Come parlate?»
«Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio io che voi; perché credo che non vuol promesse in danno del prossimo. Se la Madonna avesse parlato, oh, allora! Ma cos'è stato? una vostra idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Promettetele che la prima figlia che avremo, le metteremo nome Maria: ché questo son qui anch'io a prometterlo: queste son cose che fanno ben più onore alla Madonna: queste son divozioni che hanno più costrutto, e non portan danno a nessuno». (PS XXXVI §§ 30-31)
Questa promessa condivisa verrà, infatti, mantenuta.
Di lì a poco spetterà a padre Cristoforo chiarire e risolvere la questione fornendo indicazioni, per noi, preziose.
«È un voto che ho fatto alla Madonna... oh! in una gran tribolazione!... di non maritarmi.»
«Poverina! Ma avete pensato allora, ch'eravate legata da una promessa?»
«Trattandosi del Signore e della Madonna!... non ci ho pensato.»
«Il Signore, figliuola, gradisce i sagrifizi, l'offerte, quando le facciamo del nostro. È il cuore che vuole, è la volontà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d'un altro, al quale v'eravate già obbligata». (PS XXXVI §§ 61-62)
Egli, siglando la sacralità della promessa dei due futuri sposi, annulla quello che ora appare il gesto, con qualcosa di «inconsiderato», di Lucia:
Io ho veduto in che maniera voi due siete stati condotti ad unirvi; e, certo, se mai m'è parso che due fossero uniti da Dio, voi altri eravate quelli: ora non vedo perché Dio v'abbia a voler separati. (PS XXXIV § 65)
Dio dunque ha già, in qualche modo, unito i due protagonisti rendendo sacra la loro libera volontà; resterà a don Abbondio l’onore di ratificare e validare l’unione in osservanza ai decreti tridentini.
Legati da un vincolo sacro, Renzo e Lucia non scriveranno più separatamente le loro vicende, ma ogni gesto, ogni atto da loro compiuto sarà fatto tenendo presente l’altro[58]. Non si trattava dunque, nel romanzo, di scrivere due storie parallele destinate poi ad incontrarsi o di sommare il percorso di due identità, ma di dare luogo ad una narrazione fondata, in virtù della fedeltà al patto, sulla relazione da cui scaturisce, per i due protagonisti, un diverso modo di concepire il reale, di vederne le implicazioni, operando con diverso spirito e per un differente fine. Non siamo quindi di fronte ad un doppio romanzo di formazione[59], ma piuttosto ad un unico Bildungsroman sfaccettato e incentrato sulla potenza trasformatrice della reciprocità.
Prendiamo ad esempio le due notti vissute da Renzo e Lucia[60]: nel momento della prova, ambedue affrontano il dolore evocando nella loro mente la presenza dell’altro.
Di seguito i pensieri di Renzo:
Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoria amara, nette d'ogni sospetto, amabili in tutto; e due principalmente, molto differenti al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia nera e una barba bianca. Ma anche la consolazione che provava nel fermare sopra di esse il pensiero, era tutt'altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza, del bel caso che aveva fatto de' paterni consigli di lui; e contemplando l'immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri […]. Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni! -Quel che Dio vuole, - rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: - quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c'è anche per noi. Vada tutto in isconto de' miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo! - (PS XVII §§ 24-26)
Non tanto diversamente Lucia:
Si ricordò di quello che aveva di più caro, o che di più caro aveva avuto; giacché, in quel momento, l'animo suo non poteva sentire altra affezione che di spavento, né concepire altro desiderio che della liberazione; se ne ricordò, e risolvette subito di farne un sacrifizio. […] «o Vergine santissima […] rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che vostra». (PS XXI §§ 38-39)
I due protagonisti hanno la consapevolezza di essere reciprocamente inscindibili, ovvero che le decisioni prese dall’uno ricadono necessariamente sull’altro e, pur desiderando che questo non accada, non potranno evitarlo; ognuno di loro diventa responsabile dell’altro in virtù del loro patto e questo genera un rispettoso riserbo sulle loro più intime vicende, anche nei momenti più critici[61]. È questo legame, del resto, che dà senso alle loro storie, che ne determina il fine e il compimento; anche la congiunta sintesi finale a cui approdano nel XXXVIII capitolo è la naturale risultante di una fusione di pensieri, di una comunione di intenti, di un dirigersi verso un unico punto.
La forza della promessa ha permesso, dunque, ai due protagonisti non tanto di schivare le prove, ma di superarle, attribuendo loro un senso; questo concetto sembra essere sottolineato dal discorso di congedo proferito da fra Cristoforo che legge le vicende trascorse secondo una diversa prospettiva:
Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggiere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. (PS XXXVI § 68)
In questo passo possiamo sottolineare il diverso sguardo con cui si possono valutare i travagli e le miserie, non come ostacoli alla felicità, ma come elementi comunque cooperanti al bene dell’uomo.
Renzo e Lucia, personaggi verosimili, ma fittizi, veri in sé, ma anche ‘figura’ di altro, ci aiutano a comprendere come possa intendersi la vita da parte dell’uomo che vive nel patto con Dio, evidenziando come la reciproca promessa possa implicare una relazione che trasforma la percezione del reale, di conseguenza l’agire e dunque la Storia.
Abstract: An insight into the exchange of marriage vows since ‘Decretali’ by Gregory IX (1234), but mostly till the beginning of the last century, which might be a key for the reading of Alessandro Manzoni’s masterpiece. The research shows that Manzoni was taking into consideration the practice of exchanging marriage vows when he chose the title and built the plot of his novel. This study offers the opportunity for interpreting the novel as a reflection on the strength of a promise.
Key Words: The Betrothed, Marriage vows, Alessandro Manzoni, Promise.
* Università Cattolica del Sacro Cuore Milano (lucia.bastianini@unicatt.it)
** Il presente contributo, sottoposto a double blind peer review, è, in parte una ripresa, in parte una rielaborazione di quanto contenuto in L. Bastianini, Il romanzo tripartito: per una lettura sistemica dei Promessi sposi, Tesi di dottorato, Università Cattolica, Milano, 2019, (consultabile in DOCTA); in particolare cfr. Capitolo V:La forza di una promessa, pp. 192-219.
[1] Per maggiori informazioni sulla nascita e sull’evoluzione di questo movimento rimandiamo al contributo di R. H. Weisberg, Diritto e letteratura, inhttps://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-letteratura_%28Enciclopedia-delle scienze-sociali%29/ [s.v.] (21/09/2022);A. Sansone, Diritto e letteratura. Un’introduzione generale, Milano, 2001; M. P. Mittica, Cosa accade di là dall’oceano? Diritto e letteratura in Europa, in Anamorphosis, 1 (2015), pp. 3-36; in particolare: L’esperienza italiana di diritto e letteratura, p. 15- 18.
[2] Cfr. R.H. Weisberg, Richard H. Wigmore and the law and literature movement, in Law & Literature, 21 (2009) pp: 129-145.
[3] Il testo pioniere è ritenuto: J. B. White, The legal imagination, Boston, 1973.
[4] Cfr. I. Ward, Law and literature: possibilities and perspectives. Cambridge, 1995; in particolare Cap. 1: Law and litterature; a continuing debate, pp. 3-27.
[5] Si elencano di seguito le quattro categorie: «a) opere letterarie in cui viene descritta estesamente una procedura giuridica; talvolta si tratta solo di un dibattimento processuale, ma anche delle indagini preliminari che portano al processo; b) opere in cui, sebbene non venga descritto un procedimento giuridico formale, una delle figure centrali nell'intreccio o nella storia, anche se non sempre il protagonista, è un uomo di legge; c) opere in cui un corpus specifico di leggi - spesso una singola norma o sistema procedurale - diventa un tema centrale; d) opere il cui tema centrale è il rapporto tra l'individuo e la ricerca della giustizia»: R. H. Weisberg, Diritto e letteratura, cit;cfr.: R. H. Weisberg, K. Kretschman, Wigmore's ‘legal novels’ expanded: a collaborative effort, in Maryland law forum, 7 (1977), pp. 94 ss.
[6] Aprì, in tempi abbastanza recenti, il dibattito sulle ragioni del titolo: G. Contini, La firma di Manzoni, in Corriere della sera (10 giugno 1985), in Id., Ultimi esercizi ed elzeviri (1968-1987), Torino, 1988, pp. 233-237, a cui rispose: D. De Robertis, Sul titolo dei «Promessi sposi», in Lingua nostra, 47 (1986), pp. 33-37. Alcune considerazioni sul titolo vengono poste anche da M. Barenghi, Ragionare alla carlona. Studi sui Promessi sposi, Milano, 1994. Per una puntuale storia del titolo del romanzo si rimanda a P. Frare, Leggere I promessi sposi, Bologna, 2016, pp. 33-34.
[7] Cfr.Ibid.
[8] «Se si guarda da vicino, il mutamento del titolo […] segnala la volontà dello scrittore di orientare le aspettative del lettore verso l’idea della promessa di matrimonio come motore fondamentale di tutto l’intreccio. Le diverse vicende si snodano e si intersecano nel discorso, a partire da un matrimonio che viene impedito ostacolato differito, eppure alla fine celebrato in virtù, non solo ma essenzialmente, della profonda e tenace forza con cui i due contraenti tengono fede alla promessa originale»: G. Melloni, Il matrimonio come luogo della giustizia: un accostamento di Manzoni e Proudhon, in Italica, 84 (2007), pp. 534-547: 534.
[9] Efficacemente si puntualizza: «Scegliendo come titolo I promessi sposi, Manzoni insistette sul futuro implicito nell’aggettivo-participio, sulla promessa che attende di essere mantenuta (e non va esclusa una lettura figurale, che rimanda alla promessa di Dio al suo popolo)»: P. Frare, Leggere I promessi sposi, cit., p. 34.
[10] D. De Robertis, Sul titolo, cit.,p. 35.
[11] Gli sponsali sono una consuetudine molto antica: per noi fa fede la loro attestazione almeno nel mondo romano antico; cfr. L. Ingallina, Profili di responsabilità nel fidanzamento romano. Rilevanza e manifestazione del «consensus», in Rivista di diritto romano, 16-17 (2016-2017), pp. 1-30.
[12] D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Trento alle riforme settecentesche, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio e C. Klapisch -Zuber, Roma-Bari, 1996, pp. 215-247: p. 245, nota 3.
[13] Un ringraziamento particolare devo, per le preziose indicazioni sull’argomento, alla Professoressa Silvana Seidel Menchi.
[14] Proprio da questa similare e dunque ambigua definizione si è generata una certa confusione perché con ‘sposi’ vengono indicati (nel parlare comune e nei documenti) tutti coloro che hanno pronunciato la promessa, sia essa de futuro o de presenti.
[15] D. Hacke, La promessa disattesa: il caso di Pierina Gabrieli (Venezia 1620) in Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze clandestine in Italia dal XIV al XVIII secolo, a cura di S. Seidel Menchi e D. Quaglioni, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 395-413: 398.
[16] S. Luperini, La promessa sotto accusa (Pisa 1584), in Matrimoni in dubbio, cit., pp. 363-394: 366.
[17] Il Concilio di Trento cercò di sancire un matrimonio puntuale e non un matrimonio per tappe come era dato dalla consuetudine che riteneva la promessa il primo e fondamentale passo per l’unione sponsale, tanto che la celebrazione del matrimonio, quando avveniva (in quanto spesso si riteneva che la promessa e l’unione sessuale dei promessi fosse condizione sufficiente alla sigla del vero e proprio matrimonio), avveniva per lo più in sordina, come semplice ratifica.
[18] «Il fidanzamento è considerato un impegno serio. La sua rottura, a meno che sia giustificata da gravi motivi, non è senza conseguenze. In foro interno, la non osservanza della parola data costituisce una colpa, un peccato da portare al tribunale della penitenza. In foro esterno, i motivi addotti per rompere l’unione e la riparazione del danno subito dal fidanzato abbandonato sono valutati dal giudice. […] Abbiamo rilevato 1.724 giudizi di interruzione di fidanzamento presso il tribunale ecclesiastico di Cambrai tra il 1710 e il 1780»: J. Gaudemet, Il matrimonio in occidente, Torino, 1989, pp. 276-277.
[19] Il Concilio tridentino si preoccupò di indicare regole ferree per la celebrazione del matrimonio come ben ricostruito da G. Acerboni, Manzoni e il vero falsificato. Saggio sui «Promessi sposi» e sulla poetica manzoniana, prefazione di M. Vitale, Roma, 2012. La loro applicazione fu soggetta alla pubblicazione nelle varie diocesi dei decreti conciliari (avvenute in tempi difformi e talvolta omesse) e alle tradizioni locali, dure, comunque, a morire. Il riferimento per i documenti è: Acta Concilii Tridentinii, Sessio XXIV (11 novembre 1563) De Sacramento Matrimonii. Canones super reformatione circa matrimonium, dove al Caput I si trova la famosa e citatissima decretale Tametsi che si occupa appunto della regolamentazione dei matrimoni per arginare le celebrazioni clandestine; cfr. S. Seidel Menchi, Il matrimonio finto. Clero e fedeli post-tridentini tra sperimentazione liturgica e registrazione di stato civile, in Trasgressioni, Seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII secolo) a cura di S. Seidel Menchi e D. Quaglioni, Bologna, 2004, pp. 535-572: 538-539.
[20] Cfr. F. Terraccia, Anticipazioni sui processi matrimoniali conservati nell’archivio storico diocesano di Milano, in Ricerche storiche della Chiesa Ambrosiana, 12 (2004), pp. 103-128.
[21] Cercando di fare chiarezza in una materia davvero complicata, possiamo indicare alcune tappe fondamentali presenti nei documenti ecclesiastici che si sono occupati delle promesse di matrimonio. Degli sponsali si occuparono, cercando di porre ordine alla confusa materia precedente, le Decretali di Gregorio IX: Decretalium d. Gregorii papae IX, compilatio, Liber Quartus, Titulus I, De Sponsalibus et Matrimoniis, (X IV I ); pubblicate nel 1234; dello stesso periodo è un altro documento, molto citato successivamente: Thomas Aquiniensis,Commentarii in quattuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, (1254-1256), Liber IV, Distinctio XXVII che, ad esempio, nell’art. 1. afferma: «Ex tali promissione sponsalium obbligatum unus alii ad matrimonium contrhaendum». La legittimità delle promesse matrimoniali poi fu nuovamente trattata nel Corpus iuris canonici promulgato da Gregorio XIII nel 1582, le cui norme furono riviste e corrette dal decreto Ne temere promulgato da Pio X nel 1907 e di nuovo codificate nel 1917 quando entrò in vigore il nuovo diritto canonico, promulgato da Benedetto XV. Gli sponsali compaiono fugacemente anche nell’ultimo CIC promulgato nel 1983, ormai esautorati di ogni valore (cfr. Libro IV titolo VII Canone 1062 § 1-2). La caratteristica del Corpus iuris canonici (il testo in vigore nel periodo di ambientazione e di scrittura dei Promessi sposi) è di essere una sorta di centone sui vari argomenti trattati, pertanto se consultiamo, ad esempio, i Decreti Secunda pars, Causa XXVII, Quaestio II: «An liceat sponsae a sponso recedere et alii nubere», troviamo elencate le pronunce delle varie auctoritates sull’argomento, ma non una precisa indicazione sulla reale o meno obbligatorietà degli sponsali. Di fatto non vi era un chiaro pronunciamento per cui facevano ancora testo le Decretali di Gregorio IX come si evince anche da questa opera stampata 1838: P. Vermiglioli, Lezzioni [sic] di diritto canonico esposte secondo l’ordine dei titoli delle decretali di Gregorio IX corredate di note e illustrazioni per uso della gioventù studiosa da Pietro Vermiglioli membro del collegio legale e professore di diritto cesareo e già interino di diritto canonico nella Pontificia Università di Perugia, Libro IV, Perugia, 1838.
[22] Gregorius IX, Decretalium d. Gregorii papae IX, compilatio, Liber Quartus, Titulus I, De Sponsalibus et Matrimoniis (X IV I)
[23] Una chiara ricostruzione storica della pratica degli sponsali offre G. Dossetti, La formazione progressiva del negozio nel matrimonio canonico. Contributo alla dottrina degli sponsali e del matrimonio condizionale, Bologna, 1954; in particolare pp. 23-59. Il contributo ci segnala che ancora nel 1954 si sentiva l’esigenza di chiarire se e come le promesse fatte in occasione degli sponsali de futuro fossero vincolanti, illustrando bene come nel pensiero dei giuristi abbia prevalso la linea della libertà assoluta della promessa matrimoniale de presenti, che non poteva essere vincolata da nessun contratto precedente; la discussione fu comunque accesa e ricca di molte sfumature.
[24] Questo sembra confermare ad esempio J. Guitiérrez, Quaestiones tam ad sponsalia de futuro, quam matrimonia, eorumque impedimenta pertinentes, Venetia, 1618, che nell’affrontare le varie quaestiones ricalca lo schema delle Decretali, cercando solo di fornire delucidazioni.
[25] D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 240.
[26] G. A. Costantini, Lettere Critiche, Giocose, Morali, Scientifiche, ed erudite, del Conte Agostino Santi Pupieni o sia dell’Avvocato Giuseppe Antonio Costantini, Accresciute dall’Autore di molte aggiunte ed illustrazioni inserite a cadauna Lettera, Tomo quarto, Venezia, 1748.
[27] Per un inquadramento dell’opera, vd. G. Pizzamiglio, Giuseppe Antonio Costantini e il «libro di lettere» nella Venezia di metà Settecento, in Quaderni Veneti, 4 (dicembre 2015), pp. 289-302.
[28] Nella nostra edizione di riferimento la lettera in esame si estende da p. 132 a p. 140; da ora in poi a testo il numero delle pagine.
[29] La promessa era da sempre ritenuta, spesso impropriamente, condizione sufficiente per consumare il rapporto sessuale (cfr. S. Luperini, La promessa sotto accusa, cit., p. 369): «Sembra anzi, che queste promesse siano divenute un mezzo, per sedurre le Giovani credule; e rapir loro il migliore ornamento. Non dico, che voi abbiate fatto di queste; solo rifletto all’abuso, che in oggi si fa de' Sponsali, o siano promesse di Matrimonio. Bisogna confessare, che siccome la malizia ha insegnato a servirsi delle cose più sagre per fare delle malie; egualmente è arrivata a valersi delle cose sagramentali per commettere delle empietà, e de' tradimenti» (p. 133).
[30] Vedremo infatti che vi era una vera e propria casistica, riportata dallo stesso Costantini (cfr. p. 135), per cui le promesse potevano essere sciolte.
[31] Tali riscontri, davvero copiosi, erano già stati rilevati e citati, in parte, da D. De Robertis, Sul titolo, cit., pp. 36-37.
[32] Si veda in particolare: Atto III scena VII.
[33] La commedia ruota intorno al valore della promessa de futuro fatta da Florindo a Rosaura, giuramento che vincerà sia sulla volontà del padre di Florindo di sposare egli Rosaura, sia su una seconda promessa de futuro fatta da Florindo a Isabella.
[34] «Florindo: Sarebbe una scelleraggine il mio tacere. Devo svelare a mio dispetto l’arcano. Amai Rosaura in Pavia, le giurai fede di sposo, fui corrisposto con tenerezze; sarebbe sacrilego un più lungo silenzio. […] Dottore: Orsù, o sposala immediatamente, o vattene lungi da questa casa. […] Ottavio: Che volete ch’io dica? mio padre ha ragione; se avete fatto la pazzia di promettere, siate saggio almen nell’attendere» (Atto III scena VII).
[35] Il latino un po’ maccheronico, il tono e il ritmo del dialogo ricordano molto l’eloquio dell’Azzecca-garbugli. Due sommari riferimenti, inseriti nel testo, ci permettono tuttavia di risalire, per due affermazioni, al Digestum rispettivamente: D. 23.1.4. Ulp. 35 ad Sab : «Sufficit nudus consensus ad constituenda sponsalia» e D. 35.1.15 Ulp. 35 ad Sab: «Cui fuerit sub hac condicione legatum "si in familia nupsisset", videtur impleta condicio statim atque ducta est uxor, quamvis nondum in cubiculum mariti venerit. Nuptias enim non concubitus, sed consensus facit». Nostra la sottolineatura delle frasi riportate nel testo goldoniano sempre in Atto III scena VII.
[36] D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 243.
[37] È la Ehepatent un editto di tolleranza (redatto in più volumi) promulgato da Giuseppe II d’Asburgo a partire dal 1781; nel testo promulgato nel 1783 si legifera sui matrimoni.
[38] D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 244.
[39] Il rimando è al Genio del cristianesimo. Edizione di riferimento: F. A. Chateaubriand, Genio del cristianesimo o bellezze della religione cristiana, Nuova versione italiana aumentata ed accresciuta sulla sesta edizione francese, Volume primo, Napoli, 1840. La citazione si trova nella Parte prima: Dogmi e dottrina. Libro primo: Misteri e sacramenti. Capitolo X: Seguito dei precedenti. Il matrimonio, p. 30.
[40] A. Di Macco,Dottrina cristiana cattolica in forma di dialoghi per istruzione de' suoi fedeli adulti d'ogni classe e dedicata ai cleri della sua archidiocesi esposta dall'illustrissimo e reverendissimo monsignore D. Antonio Di Macco, Volume quinto, Napoli, 1842. Per il paragrafo Degli sponsalicfr. pp. 193-199.
[41] P. Vermiglioli, Lezzioni [sic] di diritto canonico, cit., pp. 4-5.
[42] Acta et decreta Concilii provincialis vallisoletani, editio secunda, Vallisoleti, ex tipographia Viduae de Cuesta et filiorum, 1889, in particolare: Pars tertia: De Sacramentis et sacramentalibus, Titulus VIII De sacramento matrimonii, p. 145.
[43] R. J. Pothier, Opere di G.R. Pothier contenenti i trattati del diritto francese, Tom. 2, Livorno, 1836, si veda in particolare Articolo V § 1 Dell’impedimento derivante dagli sponsali, pp. 1100-1103.
[44] «La Ehepatent fu emanata nel 1783, ma in Lombardia entrò in vigore nel 1784. L’idea di matrimonio come contratto civile venne riaffermata durante la dominazione francese con il Codice Civile e ribadita nel 1815 dopo il ritorno degli austriaci. Il Codice del 1815 regolava la materia del matrimonio nei rapporti civili, attenendosi però quasi interamente al diritto ecclesiastico nella parte degli impedimenti e adottando il rito religioso delle nozze»: E. de Marchi, “Dormì anmo sulla cassinna”. Nubili e celibi di fronte al matrimonio nel milanese, in Storicamente, 6 (2010), p. 23, nota 40.
[45] Legislazione di cui, ricordiamo, usufruiscono Giulia Beccaria e Pietro Manzoni (il divorzio fu accordato nel 1792). Senza cadere in facili psicologismi, vale comunque la pena di riflettere che Manzoni ha vissuto su di sé le conseguenze della fragilità di un vincolo matrimoniale che si è infranto e aveva, comunque, sedimentato nella sua memoria il ricordo del rocambolesco matrimonio del nonno Cesare Beccaria e Teresa De Blasco. Nella scrittura di questo romanzo e nel titolo conferitogli è possibile forse intravedere anche una forma riparativa a tanta fragilità; per il rapporto tra biografia manzoniana e tema del matrimonio, v. F. Danelon, «Se l’avessi a raccontare vi seccherebbe a morte». I promessi sposi, Alessandro Manzoni, il matrimonio, in Id., Né domani né mai. Rappresentazioni del matrimonio nella letteratura italiana, Venezia, 2004, pp. 159-220: 159-171.
[46] Capitoli secondo le indicazioni, X IV I.
[47] Ci siamo avvalsi per redigere questo elenco (comune e presente in più testi) di: Canonico G. N. Jasonna, Sponsali ed impedimenti matrimoniali giusta le leggi canoniche e civili, Benevento, 1908, pp. 11-13. Del resto, anche Costantini ribadiva: «Io non immagino, che abbiate rilevata in Madamoisella alcuna, nascosta deformità, o che questa le sia sopravvenuta; ella non è entrata in Religione, non ha offerto rilevante mutazione di stato, non si è maritata con altri né vi ha volontariamente licenziato dalle promesse. Dunque non avete legittima ragione di far questa ingiuria alla fede sagra. Voi non siete più vostro; ed il voler darvi ad un'altra è una rapina, un atto violento, un disporre di ciò, ch'è d'altrui»: Costantini, Lettere, cit., p. 135. Alla mente sovviene: «È il cuore che vuole, è la volontà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d'un altro, al quale v'eravate già obbligata»: A. Manzoni, I promessi sposi, Saggio introduttivo, revisione del testo critico e commento a cura di S. S. Nigro. Collaborazione di E. Paccagnini per la Storia della Colonna infame, Tomo I e II, Milano, 2002; abbr.: PS; per la citazione: PS XXXVI §§ 61-62.
[48] «Il trovare “promessi sposi” già nel Fermo e Lucia, non con funzione designativa, d’etichetta, ma nel corso del discorso, e senza esitazione della penna […] potrebbe bastare, e a me basterebbe, come garanzia della sua ‘naturalezza’ della sua appartenenza alla ‘langue’». D. De Robertis, Sul titolo dei «Promessi sposi», cit., p. 36. In realtà, ‘promessi sposi’ compare nel Fermo e Lucia una sola volta: «L'altro chiamato era quel nostro Don Abbondio, il quale per togliersi d'impiccio era stato in gran parte cagione di tutto questo guazzabuglio: egli non poteva sapere, né avrebbe mai pensato che questa chiamata avesse la menoma relazione con quei tali promessi sposi, dei quali credeva di essere sbrigato per sempre»: A. Manzoni, Fermo e Lucia, Saggio introduttivo, revisione del testo critico e commento a cura di S. S. Nigro. Collaborazione di E. Paccagnini per la Appendice Storica su la Colonna infame, Milano, 2002, abbr.: FL; per la citazione: FL III, I § 38; mentre tre sono le occorrenze per ‘sposi promessi’: FL rispettivamente II, II § 6; II, II § 41; IV, IX § 55.
[49] Anche Danelon deve constatare che «il matrimonio di Renzo e Lucia è sì il nodo della vicenda, ma narrativamente si colloca in posizione periferica del romanzo […] e anzi per la sua durata possiamo dire, con buon margine di ragionevolezza, largamente al di fuori del tempo del plot, cioè nel territorio del non narrato» aggiungendo anche che vi è «una fenomenologia negativa del matrimonio presente lungo tutto il romanzo»: D. Danelon, «Se l’avessi a raccontare»,cit., pp. 186-187; di fatto un altro nodo centrale, che tautologicamente si ricava dal titolo, tiene le fila della vicenda: la promessa di matrimonio.
[50] Per fermarsi solo all’inizio: Renzo si dirige «verso la casa della sua promessa» e, poche pagine dopo si stupisce fra sé: «E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo promesso!» (PS II rispettivamente § 25 e § 52).
[51] L’espressione manca nel FL dove abbiamo solamente «era preparato un rito» (FL I VIII § 50).
[52] F. A. Chateaubriand, Genio del cristianesimo, cit., Capitolo X, Seguito dei precedenti. Il matrimonio, p. 30.
[53] Solo alcuni esempi: la promessa di Lucia di partecipare al matrimonio segreto, la promessa dell’innominato a don Rodrigo, la promessa di Egidio all’innominato.
[54] Cfr. PS XXI §§ 37-39.
[55] «La lontananza di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lontananza che fin allora le era stata così amara, le parve ora una disposizione della Provvidenza, che avesse fatti andare insieme i due avvenimenti per un fine solo; e si studiava di trovar nell’uno la ragione d’esser contenta dell’altro» (PS XXIV § 38).
[56] La fedeltà di Renzo alla promessa era stata dichiarata già nella prima missiva: «C'erano finalmente speranze incerte, e lontane, disegni lanciati nell'avvenire, e intanto promesse e preghiere di mantener la fede data, di non perder la pazienza né il coraggio, d'aspettar migliori circostanze» (PS XXVII § 23).
[57] Cfr. anche: «Trovarla, la troverò io; sentirò una volta da lei proprio, cosa sia questa promessa, le farò conoscere che non può stare, e la conduco via con me, lei e quella povera Agnese, se è viva!» (PS XXXIII § 33). Renzo sembra conoscere la normativa che regola le promesse di matrimonio tanto che la farà, appunto, conoscere anche a Lucia. La ventisettana più genericamente: «le farò vedere che non può stare» (PS27 XXXIII § 33).
[58] «Nelle scelte che essi compiono, è sempre implicito lo sguardo del fidanzato/a, l’attenzione a lui/lei»: P. Frare, Leggere I promessi sposi, cit., p. 67.
[59] Il doppio percorso (di Renzo e di Lucia) indispensabile ai fini strutturali e narrativi potrebbe ricordare la tradizione epica a partire proprio dall’archetipo dell’Odissea con la Telemachia inserita nel più complesso viaggio di Ulisse, ma si potrebbe ravvisare una differenza sostanziale: il doppio viaggio nei Promessi sposi, dato da motivi contingenti, si riveste di un sovrasenso divenendo un percorso di trasformazione interiore dei due protagonisti vincolati da una reciproca promessa e chiamati alla trasformazione del loro essere tenendo conto della sacralità del patto che include la reciprocità. In questo indubbiamente viene ricordato il viaggio biblico, che non è mai disgiunto da un fine teologico ed escatologico.
[60] Rispettivamente nei PS capitoli XVII e XXI.
[61] Così è per Renzo: «Per buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate» (PS XIV § 60); così per Lucia, davanti alla monaca di Monza (passo già sopra citato: PS XVIII §§ 22), davanti a donna Prassede: «“Io non penso a nessuno”, rispondeva Lucia» (PS XXVII § 30) sia, inizialmente, con la mercantessa: «Del resto, riservata com'era, né della promessa dello sposalizio, né dell'altre sue avventure straordinarie, non aveva mai detta una parola» (PS XXXVI § 53).
Bastianini Lucia
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