fbevnts Il finanziamento del contenzioso: limiti attuali e prospettive future nell’età degli algoritmi

Il finanziamento del contenzioso: limiti attuali e prospettive future nell’età degli algoritmi

27.12.2024

 Giovanni Fappiano*

 

Il finanziamento del contenzioso: limiti attuali e prospettive future nell’età degli algoritmi**

 

English title: Litigation funding: current limitations and future prospects in the age of algorithms

DOI: 10.26350/18277942_000210

 

Sommario: 1. Il contratto di finanziamento della lite. 2. Gestione dell’alea e (s)proporzione della commissione di successo. 3. Il conflitto di interessi. 4. Il litigation funding ‘strategico’ e l’esigenza di prevedibilità del giudizio. 5. La giustizia ‘predittiva’ e l’incertezza degli enunciati di significato. 6. Quale ruolo degli algoritmi nell’attività di due diligence?

 

  1. Il contratto di finanziamento della lite

 

L’iniziativa economica privata si distingue dall’esercizio delle altre libertà per la sua capacità di esprimersi non solo in comportamenti materiali, ma anche (e soprattutto) in negozi giuridici. E in una società che costantemente si rinnova ai mutevoli bisogni economici, lo sguardo dello studioso del diritto del mercato non può che rivolgersi celermente ai nuovi schemi negoziali che da essi nascono. È in tale prospettiva che il presente contributo intende ‘guardare’ a uno strumento privatistico che negli ultimi anni sta acquistando ampia diffusione nello spazio giuridico europeo. Il riferimento è al Third Party Litigation Funding Agreement (da qui TPLF)[1] e, cioè, all’accordo attraverso il quale un soggetto finanziatore (i.e. il Funder) – terzo rispetto ad una determinata vertenza – si impegna a sostenere i costi che una delle parti (i.e. la parte finanziata o client) sarebbe tenuta a sopportare per instaurare la controversia, nonché le spese di lite dovute alla controparte in caso di soccombenza. La parte finanziata, di contro, si impegna a trasferire al finanziatore una percentuale di quanto ottenuto a seguito dell’accoglimento della domanda risarcitoria o di quanto spettantegli a titolo di accordo transattivo[2].

Attraverso una preventiva qualificazione di un fenomeno negoziale alquanto inedito per nostro ordinamento, il presente contributo propone di apprezzare il Third Party Litigation Agreement come uno strumento di diritto privato altamente efficace non solo per migliorare il benessere individuale dei contraenti, ma anche per rispondere alla necessità di dare attuazione ad alcuni degli obiettivi strategici nel mercato unico europeo. Nella consapevolezza, tuttavia, che l’incertezza del giudicato e l’assenza di una cornice normativa a tutela del cliente possano – rispettivamente – scoraggiare gli investitori e gli attori ad adottare tale pratica, il presente lavoro suggerisce di verificare, attraverso una più approfondita indagine, se la pattuizione di una commissione di successo ‘proporzionata’, una regolamentazione ponderata che garantisca la correttezza e la trasparenza nei rapporti intersoggettivi e l’uso degli strumenti della giustizia predittiva possano rappresentare delle tecniche sufficientemente idonee a mitigare i limiti che si oppongono alla conclusione e alla diffusione di tale contratto.

Quello della giustizia è un mercato in continua espansione. Non sono pochi i soggetti che, mirando ad estendere i propri affari in un settore finanziario i cui margini di profitto possono essere significativamente alti, si inseriscono nelle realtà litigiose italiane alla ricerca di nuovi asset di investimento[3].

Nella sua principale modalità di configurazione[4], il soggetto finanziatore ponendosi al di fuori del processo[5],si ‘limita’ a mettere a disposizione dei privati risorse economiche per favorire l’istaurazione di un contenzioso, permettendo al sovvenuto di ottenere un beneficio patrimoniale per effetto di meccanismo molto simile ad un collegamento negoziale[6] tra un contratto di accollo interno senza restituzione[7] – con cui il terzosi obbliga con il beneficiario a sostenere le spese della controversia – e una cessione (parziale) di un credito a favore del finanziatore (cessionario), il cui trasferimento è condizionato all’eventuale esito vittorioso della causa nella quale è coinvolta la parte ‘finanziata’ (cedente).

Con la rappresentazione nell’operazione economica complessiva di tutte le prestazioni[8] e di tutti gli interessi non riassunti e non riassumibili all’interno dei singoli schemi tipici[9], le parti concorrono a definire la causa mediata e concreta del contratto[10]. L’interesse che l’operazione è diretta a soddisfare è quella di attribuire un’utilità economica al finanziato e, cioè, manlevarlo dal pagamento delle spese connesse ai costi del processo, alla consulenza e difesa tecnica e, se del caso, a quella della soccombenza, con la prospettiva per il finanziatore di ottenere dal proprio investimento una remunerazione proficua.

Il modello di business generale prevede l’esercizio di una finanza non recourse, con un accollo totale da parte del Funder tanto delle spese di lite quanto del rischio di perdere l’investimento nel caso in cui l’attore finanziato dovesse risultare soccombente in giudizio. Un contratto di TPLF non implica né l’obbligo di restituzione delle somme investite, né la corresponsione degli interessi. Il compenso del finanziatore – legato al rischio dell’esito del giudizio – non è nemmeno accompagnato da garanzie reali o personali. D’altra parte, una cessione ante causam del diritto controverso, a titolo di garanzia del corretto adempimento degli obblighi contrattuali[11], risulterebbe priva di utilità pratica nel contesto processualcivilistico italiano[12] perché il finanziato, qualora agisse personalmente in giudizio, vedrebbe rigettata nel merito la propria domanda per carenza di legittimazione[13].

Dell’istituto appena descritto occorre soprattutto discutere gli aspetti più problematici per contribuire ad un dibattito risolutorio nella consapevolezza dei potenziali effetti vantaggiosi che lo sviluppo di tale pratica può produrre nel mercato unico europeo. In riferimento ai rapporti con l’ordinamento interno, sono tre gli ostacoli ostativi alla diffusione di tali negozi e che si ritiene di doverosa segnalazione. In primo luogo, attesa la necessità di gestire un portafoglio di casi ampio, i finanziatori potrebbero – quale strategia di investimento e al fine di ridurre l’aleatorietà di una singola causa – richiedere una commission fee sproporzionata, rendendo praticamente vani al finanziato i benefici che deriverebbero altrimenti dal contratto. In secondo luogo, in considerazione del fatto che tra il cliente e il finanziatore possono facilmente insorgere conflitti di interesse e che il finanziatore può esercitare una forte ingerenza sulle decisioni del team difensivo, l’ulteriore preoccupazione è che tale pratica riduca il controllo dei clienti sulle strategie processuali e, in particolare, la possibilità di opporsi alla transazione della causa voluta dai finanziatori per rientrare nel proprio investimento. Effettiva rilevanza, infine, sembra doversi attribuire all’alto grado di incertezza delle controversie, anche per l’assenza del principio dello stare decisis tipico degli ordinamenti di Common Law, che potrebbe rendere, allo stato, il sistema giudiziario italiano poco attrattivo per gli investitori. 

 

  1. Gestione dell’alea e (s)proporzione della commissione di successo

 

Quanto al primo profilo, il rischio che il finanziatore, nel perseguire il proprio profitto, appiattisca gli interessi del finanziato sembrerebbe essere ridimensionato dalla attuale policy europea diretta a promuovere un finanziamento ‘responsabile’ del contenzioso[14] (anche) attraverso l’imposizione di un tetto massimo alle commissioni. Il profilo critico riguarda, tuttavia, la prospettiva di un sistema regolamentare che giustifica un’ingerenza del giudice nel contenuto economico del contratto. Con il superamento della soglia del 40% su tutti gli importi dei danni ottenuti (Art. 14, § 4), al giudice sarebbe concesso il potere di annullare o di adeguare l’accordo (Art. 17, § 1, lett. d).  Se, nel primo caso, il ricorrente rischia di trovarsi privo di una copertura finanziaria, nel secondo, la positivizzazione di tale indirizzo legittimerebbe un intervento del giudice sul contenuto economico del negozio sulla base dei vaghi criteri di proporzionalità, equità e ragionevolezza. La ‘riduzione ad equità’ sconta la difficoltà per il giudice di ricercare un adeguato parametro per la rideterminazione del compenso. Una rideterminazione gravemente sbilanciata a favore del beneficiario del finanziamento lede, inoltre, la possibilità di ancorare il compenso al rischio effettivo della causa, causando effetti negativi anche sulla più complessa operazione di neutralizzazione dell’esposizione totale al rischio dell’intero portafoglio di cause gestito dal soggetto finanziatore. La rideterminazione della commissione di successo, ineludibilmente legata al calcolo probabilistico della fondatezza del merito della causa, non può prescindere dal consenso del finanziatore, il solo capace di spalmare sull’intero portafoglio il pagamento delle spese di una singola controversia in caso di soccombenza.

A prescindere dalla Proposta di direttiva, vi è da dire che, almeno nel contesto europeo, la prassi mostra che la percentuale convenuta non supera il 40% del credito risarcitorio riconosciuto ai ricorrenti[15].

Inoltre, l’eccessiva sproporzione, ai danni del beneficiario, tra il valore remunerativo dell’investimento e la percentuale di credito che viene ceduta, troverebbe un limite negli spazi giuridici esterni alla fattispecie[16].  Se è vero che l’atteggiamento dell’ordinamento nei confronti del contenuto economico del contratto è di tendenziale irrilevanza[17], è vero anche che il dato positivo, attribuendo valenza giuridica ai comportamenti delle parti (anteriori, concomitanti o successivi alla conclusione delle parti), impedisce l’imposizione di condizioni gravemente sproporzionate che consentirebbero di pregiudicare i soggetti in buona fede che decidessero di affidarsi a tale pratica di finanziamento. Con l’introduzione dell’azione di rescissione per lesione, l’intento del legislatore è stato quello di garantire la solidarietà negoziale[18] contro l’approfittamento di uno stato di bisogno volto ad incidere negativamente sul contenuto economico del contratto[19]. D’altronde, non è improbabile che il cliente ricorra al finanziamento del terzo perché altrimenti non sarebbe in grado di sostenere tutte le spese connesse ad un contenzioso, soprattutto laddove la condizione economica del sovvenzionato sfiori, senza toccarli, i requisiti previsti dall’ordinamento per poter accedere al gratuito patrocinio[20]. La difficoltà economica, tuttavia, deve necessariamente riflettersi, in rapporto di causa-effetto, sulla situazione psicologica del contraente[21].  Lo stato di bisogno, cioè, deve esse tale da minorare la libertà negoziale[22]. A dire il vero, anche nel caso in cui la commissione di successo sia giudicata eccessiva, instaurare un dialogo con un team di esperti rappresenta una prassi che offre all’attore la possibilità di usufruire di un’ulteriore risorsa per affrontare finanziariamente una disputa legale[23] (ampliando, così, le opzioni disponibili) e, soprattutto, l’occasione di acquisire consapevolezza circa la fondatezza della propria pretesa[24].

Ciò non esclude che una clausola di remunerazione legata in percentuale al risarcimento del danno non sia in grado di generare controversie tra le parti. Nel Regno Unito, ad esempio, la Corte Suprema[25] ha stabilito che i contratti di TPLF, che prevedono per i finanziatori una percentuale dei danni in caso di successo, debbano essere considerati Damages Based Agreement (DBA) ai sensi dell'articolo 58AA (3) del Courts and Legal Services Act del 1990[26].  Nel futuro prossimo, i finanziatori sono tenuti, dunque, a strutturare il contratto di finanziamento in modo da evitare che la remunerazione sia legata percentualmente all’importo dei danni recuperati, a favore di una retribuzione fissa calcolata in percentuale sulle somme investite[27]. Tale scenario non deve essere valutato con favore perché potrebbe indurre i finanziatori a preferire le limitate cause che hanno una prospettiva di successo vicina alla certezza, a discapito di quelle che presentino elevati margini speculativi. All’opposto, ancorare il compenso all’importo ottenuto in sede di condanna comporta il rischio di convenire una percentuale di commissione talmente elevata da rendere praticamente vano al beneficiario, anche in caso di vittoria, l’accesso alla giustizia. Tale evenienza non deve, però, dirsi necessariamente legata alla volontà del finanziatore di approfittarsi di uno stato difficoltà economica. Essendo il contratto diretto a traslare il rischio della soccombenza, la necessità del finanziatore è quella di gestire l’alea nella maniera efficiente. Per neutralizzare o, quanto meno, mitigare gli effetti della soccombenza, infatti, le commissioni generate dalle cause vinte devono coprire l’investimento perso a causa di richieste di risarcimento del danno non accolte. Questo risultato può essere raggiunto solo accogliendo pratiche di diversificazione del portafoglio (aggregare azioni omogenee, infatti, aumenta il rischio di azzerare il rendimento netto) unitamente alla richiesta di una commissione di successo particolarmente elevata al fine di bilanciare l’esposizione totale al rischio.

Risolvere il problema imponendo un tetto sulla base di un asserito giudizio di proporzionalità[28] richiederebbe, tuttavia, un delicato bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica e l’accesso alla giustizia, in un mercato del tutto inedito.  Una limitazione interna sulla libertà di quantificare la commissione significherebbe favorire il forum shopping dei finanziatori nei confronti di altri Paesi dai regimi nazionali più favorevoli. La relazione, al più, andrebbe regolata nello spazio economico europeo[29] perché è soltanto l’imposizione a livello europeo di uno standard minimo uniforme (su cui basare la percentuale del corrispettivo) ad evitare che i fondi, mossi dall’interesse di sfruttare la convenienza dei diversi regimi nazionali, investano solo in alcuni Paesi.

Nella prospettiva di una scelta politico-economica uniforme, il dato positivo interno nazionale non lascia privo di tutela il sovvenzionato, rendendo la conclusione di un contratto di TPLF una prospettiva concretamente realizzabile anche in un ordinamento in cui le facoltà negoziali dell’investitore non sono ancora oggetto di apposita disciplina. I principi che l’ordinamento costituzionale predispone a fondamento dei rapporti intersoggettivi tra i privati, quali i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione di cui all’Art. 2 Cost., contribuiscono, infatti, a costituire i parametri del sindacato di meritevolezza della causa[30]. Un contratto di TPLF, che ha lo scopo di attribuire (attraverso l’imposizione di una commissione che nei fatti svilisce l’accesso alla giustizia) un vantaggio ingiusto e sproporzionato all’investitore, senza contropartita per il ‘sovvenzionato’, deve ritenersi immeritevole di tutela, ai sensi dell’Art. 1322 CC[31]. Non risulterebbe certo proibito alle parti concludere un contratto atipico aleatorio, come quello di finanziamento della lite, né potrebbe dirsi immeritevole un accordo di finanziamento soltanto perché una commissione di successo, compresa e liberamente accettata dal sovvenzionato, sia particolarmente elevata[32]. La funzione economica del contratto dovrà considerarsi ‘immeritevole’, tuttavia, laddove la promessa del raggiungimento di un beneficio economico sia radicalmente disattesa non già dall’esito imprevedibile del processo, quanto piuttosto dalle stesse regole contrattuali, costituite in modo da attribuire un esclusivo vantaggio al finanziatore.

 

  1. Il conflitto di interessi

 

L’ulteriore limite alla diffusione dei contratti di finanziamento è legato alla possibile nascita di conflitti di interessi tra gli attori coinvolti. Tali condizioni sono capaci di influire negativamente sull’imparzialità dell’organo giudicante o sull’indipendenza dei difensori e di minare, nel lungo termine, la fiducia riposta dai clienti nei più innovativi paradigmi di finanziamento.

Il primo rischio è avvertito nei rapporti tra il team legale e l’assistito, laddove il soggetto finanziatore riesca a trovare uno spazio di influenza sulle strategie difensive. Avendo un interesse al recupero dell’investimento, il finanziatore può sentire l’esigenza di partecipare alla selezione dei membri del team legale, subordinando, così, la propria disponibilità al finanziamento alla sola condizione di inserire nella compagina difensiva i professionisti di propria fiducia. Il conflitto di interessi può nascere nel momento in cui si profila l’opportunità di definire bonariamente la controversia. Il finanziatore, ad esempio, influendo sulle decisioni dei difensori, potrebbe spingere per la chiusura della controversia, diventata troppo rischiosa, con un accordo transattivo al fine di rientrare nel proprio investimento. Il beneficiario, invece, potrebbe avere interesse a portare a termine il contenzioso, sfruttando a pieno la propria chance di vittoria.  In tali circostanze, al finanziatore non resta che influenzare la strategia difensiva dei legali del beneficiario con i quali intrattiene un rapporto di fiducia, non potendo risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta[33].

Nella prospettiva di incrementare un finanziamento ‘responsabile’, discutibile appare, tuttavia, l’approccio promosso dalla policy unionista volto a garantire che le strategie della compagine difensiva non vengano influenzate dai finanziatori. Sulla base della Proposta, infatti, dovrebbe essere imposto al finanziatore di astenersi totalmente dalle scelte del ricorrente e qualunque clausola che gli dovesse consentire di prendere decisioni in relazione al processo dovrebbe essere privata dei propri effetti giuridici (Art. 14, § 2). Ma relegare il finanziatore a una posizione di sostanziale inerzia sconta di dimenticare che un equilibrato concorso nelle scelte processuali possa essere la migliore soluzione per soddisfare il comune intento delle parti di acquisire l’utilità economica convenuta. Al più, atteso che nella prospettiva di una transazione le volontà potrebbero comunque non coincidere, è auspicabile per le parti inserire nel corpo del contratto una clausola che rimetta all’equo apprezzamento di un arbitratore la risoluzione del conflitto[34]. La determinazione del terzo, pur contenendo un certo margine di soggettività, sarebbe vincolata a criteri tecnici di comune accezione desumibili dal settore economico-finanziario nel quale un contratto di TPLF generalmente si ascrive[35].

Il secondo rischio è avvertito, soprattutto, nelle controversie arbitrali: l’assenza di uno specifico dovere di dichiarare l’esistenza del finanziamento genera il pericolo che l’arbitro, sebbene indipendente e imparziale rispetto alla parte, nasconda legami con il terzo finanziatore[36]. Sul punto, la futura regolamentazione sul finanziamento ‘responsabile’, per prevenire i conflitti d’interesse, propone di accrescere la fiducia di tutti i ‘ricorrenti’[37] nei nuovi strumenti di finanziamento attraverso l’utilizzo di una tecnica non del tutto ponderata. Se appare ragionevole imporre al finanziatore un obbligo di divulgazione di tutte le informazioni che possono dar luogo a un conflitto di interessi (Art. 13, § 2), non si comprende la spinta paternalistica di anteporre sempre al proprio interesse quello del ricorrente (Art. 7, § 2), a completo discapito dell’intento speculativo. Depositare una copia integrale e completa dell’accordo di finanziamento (Art. 16, § 1), inoltre, difficilmente troverebbe un avallo positivo dagli operatori di mercato. Più mite è un approccio fondato sulla previsione di un obbligo di divulgare soltanto l’esistenza del finanziamento e l’identità del finanziatore. È una soluzione, questa, più che ragionevole se si pensa che consentirebbe di verificare la correttezza della costituzione dell’organo arbitrale senza imporre alla parte finanziata di divulgare il contenuto del contratto[38]. Rivelare il regolamento contrattuale finirebbe per fornire alla controparte informazioni sensibili sulla situazione economica e sulle strategie processuali[39].

Lo spazio economico europeo, che si costruisce e si svolge come statuto di norme, d’altra parte, ha già invitato segnali di apertura verso tali inedite forme di finanziamento, nella consapevolezza di reprimere pratiche dannose per la trasparenza e di incrementare la correttezza nei rapporti intersoggettivi senza necessariamente imporre la divulgazione del contenuto contrattuale. Nell’ambito delle azioni rappresentative, in attuazione della dir. n. 1828/2020/UE[40], l’attuale Art. 140-septies, co. 5, cod. cons.[41], ha imposto all’ente legittimato di indicare nel ricorso soltanto i finanziamenti ricevuti o promessi da parte dei terzi per l’azione promossa[42]. Estendere un obbligo così circoscritto al di fuori della tutela collettiva permetterebbe alle Corti adite di conoscere, al fine di valutare gli eventuali conflitti di interesse, il nome del finanziatore e il tipo di sovvenzione di cui l’attore è beneficiario senza legittimare un controllo diretto del contenuto del contratto di finanziamento, generalmente coperto da un obbligo di riservatezza.

 

  1. Il litigation funding ‘strategico’ e l’esigenza di prevedibilità del giudizio

 

 Sebbene sia difficile ancora fornire una panoramica uniforme sulla natura delle attività di raccolta dei fondi di investimento in Europa[43],  è certo che gli investitori svolgono un’attività altamente specializzata e, similmente a quanto avviene per le attività di venture capital, normalmente gestiscono un portafoglio di cause che sono destinate a trascinare un rischio di natura finanziaria compensato dalla sufficiente probabilità di rendimento[44]. Per ‘cucire’ il prodotto finanziario su misura del beneficiario si rende necessaria un’attività di due diligence particolarmente qualificata da parte del team legale e contabile di cui si avvale il finanziatore. Complicata è la valutazione della fondatezza giuridica della pretesa e, soprattutto, della probabilità di successo della lite. In mancanza di informazioni certe sugli esiti giudiziali comparabili che permettano di ottenere delle previsioni accurate, la razionalità limitata risulta poi ulteriormente compromessa dall’asimmetria informativa che intercorre tra investitore e cliente. Quest’ultimo possiede inevitabilmente maggiori informazioni rispetto al finanziatore[45].

Se tecniche di finanziamento frazionate e parametrate all’andamento del processo possono ridurre l’asimmetria informativa tra il finanziatore e beneficiario, resta il problema, attesa la fisiologica incapacità del legislatore di presentare risposte adeguate ai bisogni complessi della società, del sovente ricorso da parte dei giudici a principi e clausole generali[46], che rende particolarmente difficoltoso prevedere l’esito del processo. Lo spostarsi dalla legge al diritto e il salire dal diritto ai valori sono fenomeni d’insieme che portano alla crisi della fattispecie[47], ove la logica del controllo di conformità tra evento e fattispecie si appanna a favore di decisioni sulla concreta situazione di vita rimessa alla soggettività del giudicante[48].

Occorre chiedersi, allora, se sia davvero utile per i consulenti l’ausilio dei dati statistici nell’ottica di considerare il giudizio civile come un traguardo di un ‘cammino causale’ dalla traiettoria predefinita.

A differenza della letteratura scientifica che applica le teorie finanziarie al diritto[49], molti teorici sembrerebbero rifiutare l’idea che la probabilità statistica possa essere applicata ai contenziosi. Lo studio sull’esito della lite non potrebbe mai basarsi su dati oggettivi, ma su una probabilità logica, che ha natura soggettiva e che è destinata a mutare con l’evolversi dei fatti[50]. La capacità delle parti di prevedere gli esiti del giudizio sarebbe, inoltre, intrinsecamente fallace: a ogni soggetto – spinto dal desiderio di vincere la controversia – mancherebbe la capacità di esprimere un giudizio oggettivo sui fatti[51].

Nonostante i forti dubbi mostrati dai teorici dell’economica comportamentale sulla capacità dei soggetti di generare previsioni valide sul contenzioso, la prassi del Litigation Funding continua ad essere quella di selezionare casi con una probabilità di vittoria pari o superiore al 70%[52]. Vi è da dire, inoltre, che nell’attuale scenario, avere a disposizione calcoli statistici sempre più accurati assume una rilevanza imprescindibile per due ordini di motivazioni. In primo luogo, poiché fornirebbe ai soggetti terzi maggiore propensione ad investire. In secondo luogo, poiché l’incremento di contratti di investimenti implementerebbe, di riflesso, anche il ventaglio degli strumenti idonei a raggiungere obiettivi strategici.

Quanto al primo profilo, per quanto la concezione sempre più diffusa sia quella che il Third Party Litigation Funding abbia il fine precipuo di garantire l’accesso alla giustizia[53] a parti che non possiedono risorse per sostenere i costi di un processo giudiziario o procedimento arbitrale a fronte di una pretesa meritevole[54], andrebbe anche ricordato che la finanza del contenzioso testimonia una realtà più complessa[55]. Enfatizzare solo aspetti di natura pubblicistica dell’accordo in esame, edulcorandone la funzione, significa disgiungere il processo economico da quello giuridico e, a fortiori, celare dietro i sentimentalismi della solidarietà il fine primario del contratto che – quale mezzo giuridico per antonomasia – è quello di incrementare la circolazione della ricchezza[56]. Oltre al fatto che le imprese potrebbero aver interesse a rivolgersi a tale pratica solo per evitare di iscrivere la causa in bilancio, vi è anche da considerare che, a livello mondiale, la Litigation Finance è un’industria miliardaria. L’investitore non ha meramente interesse a soddisfare bisogni caritatevoli, né è alla ricerca di un contesto ‘Davide contro Golia’ per schierarsi dalla parte del ‘piccolo’ attore al fine di perseguire scopi filantropici[57]. Accertando accuratamente la probabilità di successo, l’investitore valuta se la vittoria della lite (o la transazione della controversia) possa apportare un rendimento che sia sufficiente non solo a bilanciare l’interesse economico del cliente con quello della Law Firm incaricata di occuparsi del caso, ma anche a fornirgli un surplus di utilità marginale superiore a quella perduta a causa dello spostamento iniziale del capitale[58].

Ma la circostanza che il Litigation Funding non persegua meramente fini altruistici non preclude all’interesse speculativo dei finanziatori di armonizzarsi col perseguimento di interessi di natura pubblicistica. Valutato l’accesso giustizia come un presupposto logico-giuridico, la Litigation Finance è un’industria che, sebbene sia guidata da ragioni commerciali, è in grado di contribuire alla promozione degli obiettivi strategici nel mercato unico europeo.

Testimonia la convergenza di interessi il settore coinvolto dalla nuova strategia di crescita presentata dalla Commissione a fine 2019 con il Green Deal europeo dell’Unione europea[59], che reclama un cambio di rotta epocale nell’approccio a tutti i fenomeni che possono incidere a lungo termine sul cambiamento climatico. La radicalità della proposta, anche in riferimento alla ricerca di strumenti effettivi ed efficaci per la lotta al cambiamento climatico, prepara un fertile terreno per il contezioso civile[60] e per cause che possono toccare risarcimenti milionari. Inoltre, la l. 12 aprile 2019, n. 13[61] ha esteso il processo collettivo al di fuori dell’ambito consumeristico[62], rispondendo alla necessità – come da ultimo rappresentato dal caso Dieselgate[63] – di reagire ai danni ambientali con strumenti di tutela realmente efficaci e in grado di fungere da deterrenti per tutte quelle attività illecite che, nel lungo periodo e complessivamente considerate, siano capaci di contribuire al cambiamento climatico. È pur vero che il nostro ordinamento non prevede ancora una disciplina sul ‘contenzioso climatico’[64], né l’azione di classe è volta a tutelare il bene ambiente in senso stretto[65]. Non è da escludersi, tuttavia che, a seguito di un illecito ambientale, tale strumento processuale possa essere utilizzato per domandare il risarcimento del danno per i pregiudizi (patrimoniali e non) subiti – di riflesso – dai singoli[66], qualora gli interessi siano omogenei[67].

In tale contesto, un’accurata previsione dell’esito della controversia permetterebbe ai fondi di aumentare la propensione a investire nell’azione di classe che, come moltiplicatrice di domande, rappresenta una proficua occasione di guadagno e, di riflesso, all’Unione europea di contare su un incentivo economico di natura privata per rimuovere le barriere che ostacolano l’attivazione della tutela collettiva al fine di limitare, nel lungo periodo, i fenomeni connessi alla crisi climatica[68].

Testimoniano la convergenza di interessi anche alcune pratiche di finanziamento dell’età contemporanea che utilizzano schemi negoziali ‘tradizionali’. Il riferimento è alla cessione, a scopo di finanziamento, del credito risarcitorio[69] derivante da un illecito antitrust[70]. L’acquisto di più crediti litigiosi[71] derivanti da uno stesso illecito anticoncorrenziale costituisce, infatti, non solo l’occasione per il finanziatore di sfruttare le economie di scala grazie all’aggregazione di una moltitudine di azioni omogenee, ma anche l’occasione per l’Unione europea di promuovere e rafforzare gli strumenti nel private enforcement[72]a tutela della concorrenza[73]. La necessità di ricorre al finanziamento non sempre è legata a ragioni che attengono a situazioni di indigenza, ma spesso è connessa alla paura di istaurare autonomamente un giudizio e perdere, così, la relazione commerciale con il convenuto (autore dell’illecito). Ma, differentemente dal modello standard di TPLF, a seguito della cessione, chi agirà in giudizio in nome e per conto proprio sarà, difatti, soltanto il cessionario. Questi, nella prospettiva di un alto rendimento, ‘finanzia’ la lite acquistando il credito litigioso; il cedente, in compenso, ottiene nell’immediato liquidità monetaria (il prezzo dello scambio a titolo oneroso), evitando di sottoporsi all’incertezza del giudicato, ai costi del processo e alle problematiche connesse alle relazioni commerciali di durata[74]

Anche in tale contesto, la ricerca e l’utilizzo di meccanismi che possono rispondere all’esigenza di prevedibilità dei giudizi permetterebbe, al netto di un’ottimale traslazione per le parti dei rischi legati al processo, agli investitori, rendendoli più propensi al rischio, di aumentare le probabilità di soddisfare il proprio intento speculativo e all’Unione europea di avvalersi dei nuovi schemi negoziali come uno strumento deterrente rispetto a quegli illeciti capaci di danneggiare consumatori e imprese.

 

  1. La giustizia ‘predittiva’ e l’incertezza degli enunciati di significato

 

Prevedere – quanto meno in termini probabilistici – l’esito del processo diviene, pertanto, essenziale per scongiurare il pericolo di rendere il sistema giudiziario italiano poco attrattivo agli investitori. Nel tentativo di individuare metodi efficaci in grado di definire con più esattezza la probabilità di successo di un caso e di contribuire alla diffusione della pratica in esame, gli investitori potrebbero riporre fiducia nella tecnologia e, più nello specifico, nell’attuale processo di sistemazione di algoritmi predittivi volti a garantire la calcolabilità e la prevedibilità delle decisioni giudiziali sulla base di correlazioni statistiche[75]

Il richiamo non è, però, alle attività volte a ‘standardizzare’ gli atti processuali, che consentono di evitare errori di compilazione e migliorare le comunicazioni tra gli attori del processo[76]. L’ausilio non potrebbe provenire nemmeno dalla semplice ‘mappatura’ delle vicende giudiziarie[77], in corso in alcune Corti d’Appello in Italia, che più che definire le peculiarità dei casi, sembrerebbe essere rivolta a ricavare delle massime giurisprudenziali fondate su proposizioni e formule alquanto generali e astratte[78]. Anche i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione restano degli atti formalmente di interpretazione e non di diritto. L’efficacia vincolante del precedente riguarda il precetto normativo «colto dall’interprete nel magma delle circostanze di fatto», a cui è possibile ricondurre casi che presentino circostanze di fatto comune[79].

Il riferimento è, invece, ai sistemi di intelligenza artificiali basati sull’apprendimento automatico e all’uso di algoritmi per ‘predire’ la soluzione giudiziaria attraverso l’estrazione dalla ‘memoria’ di regolarità statistiche.

Eppure, le tecniche di elaborazioni e raccolta di dati, che si fondano sulla ricostruzione di modelli fondati da correlazioni di parole e/o parametri definiti, lasciano ai margini i passaggi logici della motivazione[80]. Lo studio dei valori statistici può soltanto orientare, senza mai condizionarle del tutto, le decisioni dei consulenti degli investitori nella selezione dei casi finanziabili.  Gli strumenti dell’intelligenza artificiale si basano su un processo di ‘destrutturazione’ del testo della sentenza, che viene disarticolato in diverse espressioni linguistiche. La riduzione a dati delle parole è avulsa dal ragionamento decisorio e, cioè, dall’attività diretta ad attribuire un significato all’espressione processata mediante algoritmo.

Nella prospettiva rivolta a valorizzare il processo come modello di ragionamento, la dottrina rinviene nell’argomentazione del giudice il fondamento della scienza giuridica stessa[81]. Se il metodo computazionale è in grado di attribuire maggiore linearità al processo decisionale, mediante la riduzione a simboli degli elementi e attraverso una loro combinazione[82], la risoluzione di un caso non può prescindere dalle premesse di significato che vengono preventivamente attribuite agli istituti giuridici ‘predetti’. Apprezzamenti, questi, di natura soggettiva e influenzati dall’evoluzione delle esigenze sociali[83].

Se dall’estinzione del ‘caso’ nasce la ‘casistica’[84], tanto la valutazione statistica delle vicende concrete, che la consequenziale decisione di investire in sede di due diligence non possono basarsi sulla mera automazione algoritmica. La sentenza non è un mero sillogismo e il ‘precedente’, così come inteso negli ordinamenti di common law, continua ad essere un istituto estraneo al nostro ordinamento. Fondare la decisione di investire soltanto sulla base di come un caso è stato precedentemente deciso è una pratica che perde di vista l’ineludibile connessione tra gli istituti e i valori dell’ordinamento in continuo movimento. Gli investitori non possono trascurare che è proprio nello ‘spazio’ dello ius dicere che si svolge l’attività di ‘mediazione’ tra le clausole generiche e il dato positivo[85], per addivenire a una scelta interpretativa che può rinnovarsi a ogni decisione. L’uso del precedente, benché possa rispondere all’esigenza di uniformare l’interpretazione del diritto, non si fonda su di un parametro di riferimento ‘assoluto’. Le decisioni possono subire il filtro delle clausole generali e dei principi, al fine di adeguarsi alle mutate esigenze di tutela.  Per tale ragione la robotica non può offrire all’investitore, nella valutazione del merito della pretesa, un grado assoluto di certezza laddove vi siano circostanze che potrebbero modificare l’orientamento delle corti.

 

6. Quale ruolo degli algoritmi nell’attività di due diligence?

 

Le riflessioni circa l’incertezza degli enunciati di significato, quale profilo critico della robotica, non devono indurre ad escludere del tutto il Legal Analytics dagli strumenti idonei ad apportare un aiuto concreto ai consulenti dell’investitore nell’attività di indagine delle relazioni e dei rapporti tra principi e tra gli elementi normativi connessi da una regolarità statistica.

La progettazione algoritmica, che connette precedenti e li correla alla fattispecie, è uno strumento di soluzione probabilistica del caso che facilita la formulazione di un primo giudizio sulla fondatezza della pretesa.

In futuro, ad esempio, per sfruttare i nuovi asset di investimento, gli investitori potrebbero fare affidamento nel più attuale progetto Certanet dell’Ufficio del Massimario, volto a costituire un archivio ‘relazionale’ che racchiude i principi di diritto contenuti nelle pronunce della Corte di Cassazione[86]. Differentemente dagli archivi tradizionali informatizzati, il progetto mira ad attribuire una maggiore affidabilità al processo di previsione mediante una differenziazione, per via di una ‘etichettatura’, delle massime che esprimono una giurisprudenza matura rispetto a quelle che, invece, rappresentano un orientamento ancora in via di formazione. L’estrazione di ‘precedenti di legittimità’ consente, nello studio della fondatezza della pretesa, di individuare gli indirizzi giurisprudenziali particolarmente consolidati e incoraggiare i terzi a investire in azioni conformi ad essi.

Nella procedura di due diligence, la robotica può rappresentare anche un valido ausilio per la predizione degli elementi normativamente rilevanti sui quali il giudice è tenuto a giustificare la propria decisione. Il sistema Claudette[87], ad esempio, permette di ottenere una valutazione giuridica sulle clausole contenute nei contratti dei consumatori in una fase prodromica all’istaurarsi del contenzioso. Per via di un processo di addestramento che comprende più di cento contratti sottoposti a precedenti decisioni, il sistema ‘predice’ le clausole che potrebbero ritenersi illecite o inique. Si tratta, allora, di uno strumento che può essere di particolare supporto ai consulenti del terzo investitore nell’attività prodromica all’istaurazione di un giudizio per la tutela dei consumatori che si trovano in condizioni di asimmetria rispetto ai prestatori di servizi.  Al di là dell’elasticità degli enunciati di significato, i dati processati all’interno degli algoritmi consentono, infatti, di individuare fenomeni di ricorsività basati sui modelli probabilistici.

È con tale accezione che la robotica è da considerarsi il punto di tendenziale incontro tra gli interessi privati e gli obiettivi dell’azione pubblica. I sistemi predittivi permettono di aumentare la propensione a investire in cause che si inseriscono nel solco di orientamenti ‘particolarmente consolidati’, incrementando, indirettamente, la reperibilità delle risorse per il finanziamento delle azioni dirette a soddisfare anche interessi di stampo europeo. Pur nella consapevolezza che il processo tecnologico non sia ancora capace di attribuire un grado di certezza assoluto alla risoluzione delle differenti tipologie di controversie (per l’impossibilità di estrapolare da esso un ragionamento giuridico), le riflessioni sin qui avanzate non possono escludere le nuove tecnologie dal novero degli strumenti capaci di agevolare l’attività di due diligence degli investitori, aumentano la loro propensione ad investire e – indirettamente – incrementando il finanziamento di cause di interesse europeo. La conclusione di un contratto di TPLF si presenta, dunque, come una prospettiva concretamente realizzabile anche in un ordinamento di civil law, come quello italiano, in cui il precedente non vincola i futuri giudizi, purché gli investitori acquistino consapevolezza dei limiti e, al tempo stesso, delle potenzialità della robotica. Gli investitori devono poter contare sulla tecnologia e sulla correlazione dei parametri già definiti come strumenti di agevolazione dell’indagine sul probabile orientamento giudiziario, nella consapevolezza che la progettazione algoritmica non è sufficiente a perfezionare la decisione a investire: la proiezione dell’esito tendenziale del contenzioso continuerà a richiedere ai consulenti del terzo finanziatore un’accurata due diligence, vuoi per la mancata rappresentazione computabile di tutti i significati giuridici, vuoi per la corretta qualificazione delle premesse di significato, al fine di anticipare – anche in presenza di algoritmi predittivi– interpretazioni evolutive o un mutamento di qualificazione.

 

 

Abstract: This paper proposes to enhance the “Third Party Litigation Agreement” as a highly effective private law instrument, not only to improve the individual welfare of the contracting parties, but also to respond to the need to implement strategic objectives in the European market. With an awareness of certain limitations, this paper proposes to examine whether the establishment of a “proportionate” contingency fee, well-designed regulation that ensures fairness and transparency in inter-subjective relations, and the use of predictive justice tools may represent appropriate techniques to mitigate the limits to the diffusion of this contract.

 

Key Words: Litigation funding, litigation finance, third party litigation agreement, success fee, conflict of interests, predictive justice, predictability of legal processes.

 

Abstract: Il presente contributo propone di apprezzare il Third Party Litigation Agreement, fenomeno negoziale inedito per il nostro ordinamento, come uno strumento di diritto privato altamente efficace non solo per migliorare il benessere individuale dei contraenti, ma anche per rispondere alla necessità di dare attuazione ad alcuni degli obiettivi strategici nel mercato unico europeo. Nella consapevolezza, tuttavia, che l’incertezza del giudicato e l’assenza di una cornice normativa a tutela del cliente possano – rispettivamente – scoraggiare i fondi e gli attori ad adottare tale pratica, il presente lavoro suggerisce di verificare se la pattuizione di una commissione di successo ‘proporzionata’, una regolamentazione ponderata che garantisca la correttezza e la trasparenza nei rapporti intersoggettivi e l’uso degli strumenti della giustizia predittiva possano rappresentare delle tecniche sufficientemente idonee a mitigare i limiti alla diffusione di tale negozio giuridico.

 

Key Words: Finanziamento del contenzioso, contratto di finanziamento della lite, commissione di successo, conflitto di interessi, giustizia predittiva, prevedibilità dei processi.

 


* Università degli Studi di Brescia (giovanni.fappiano@unibs.it).

** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

 

* Università degli Studi di Brescia – giovanni.fappiano@unibs.it

[1] Per un inquadramento dell’istituto, senza pretesa di esaustività, v. E. D’Alessandro, «Contratto di finanziamento della lite»: mera operazione finanziaria finalizzata a trarre profitto dal processo civile ovvero strumento che agevola l’accesso alla tutela giurisdizionale?, in Int’l Lis, 3/4 (2016), pp. 142 ss.; Id., Prospettive del «Third Party Funding» nel processo civile italiano il progetto «fundIT» e le iniziative del Parlamento europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2 (2022), pp. 273 ss.; Id. (a cura di), Prospettive del Third Party Funding in Italia, Milano, 2019; G. De Nova, Il finanziamento della lite: il «Litigation Funding Agreement», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2 (2022), pp. 267 ss.; G. M. Solas, Finanziare il contenzioso: esperienze a confronto, in Contr. impr./Eur., 1 (2016), pp. 184 ss. Una larga parte di produzione scientifica sul finanziamento del terzo è dedicata al settore dell’arbitrato internazionale. Si vedano, ex multis, F. Benatti - G. F. Colombo - D. Yokomizo, Un breve inquadramento teorico del third party funding nell’arbitrato commerciale internazionale, Banca, borsa tit. cred., 4 (2019), pp. 564 ss.; G. De Nova, The impact of a Litigation Funding Agreement on Commercial International Arbitration with seat in Italy, in Riv. arb., 4 (2019), pp. 815 ss.; P. Bernardini, Third Party Funding in International Arbitration – Finanziamento di terzi nell’arbitrato internazionale, in Riv. arb., 1 (2017), pp. 1 ss.; J. Clanchy, Navigating the Waters of Third Party Funding, in Arbitration: The International Journal of Arbitration, Mediation and Dispute Management, 82 (2016), pp. 222 e ss; N. Pitkowitz, Handbook on Third-Party Funding in International Arbitration, New York, 2018; S. Forni, Il «Third Party Funding» nell’arbitrato internazionale, in Contr., 10 (2013), pp. 965 ss.; R. Sali, Il finanziamento di terzi in arbitrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2 (2022), pp. 339 ss.

[2] Nelle sue manifestazioni più attuali, l’accordo di Third Party Litigation Funding ha trovato pieno sviluppo in Australia e negli Stati Uniti. In Inghilterra, originariamente, lo Statuto di Westminster sanzionava penalmente il «champerty committed by a royal office». Alla rilevanza penale del champerty veniva affiancato il divieto civilistico del maintenance. Solo all’inizio del nuovo millennio, anche grazie alla riforma del Legal Aid, le Corti hanno riconosciuto la liceità dei conditional fee agreements e dei damages baed agreement. Il diritto applicato (Hamilton v. Fayes; Gulf Azov Shipping co. v. Idisi), infatti, ha affermato che gli accordi tra avvocati e cliente – in base ai quali i primi si impegnano a sostenere le spese legali in cambio di una quota percentuale sul diritto controverso – sono da considerarsi uno strumento apprezzabile per l’ordinamento nella misura in cui consentono o agevolano, di fatto, l’accesso alla giustizia. Sui divieti di maintenance e di champerty, v. H. Dennis, The Law of Maintenance and Champerty, in Law Quartely Review, 6 (1980), pp. 169 e ss; M. Radin, Maintenance by Champerty, in California Law Review, 24 (1935), pp. 48 ss.; J. Rose, Maintenance in Medieval England, Cambridge, 2017, passim.

[3] Numerose sono le fonti che testimoniano il crescente interesse nei confronti della finanza del contenzioso anche nel contesto europeo. V.  J. Saulnier - K. Müller - I. Koronthalyova, Responsible Private Funding of Litigation, 2021, pp. 8 ss (disponibile all’indirizzohttps://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2021/662612/EPRS_STU(2021)662612_EN.pdf – consultato il 17.01.2025).  Per l’Italia, cfr. M. Carbonaro, Cresce in Italia il finanziamento delle liti, in Il sole 24 ore, 2023, p. 16, il quale, pur premettendo la lunghezza dei procedimenti e la difficile prevedibilità delle sentenze, testimonia la presenza nel nostro Paese di attori nazionali e internazionali che hanno deciso di investire nei contenziosi «anticipando le risorse per coprire tutti i costi legali e mettendo a disposizione le necessarie expertise tecnico legali».

[4] Sulle diverse tecniche di finanziamento del contenzioso, v.  M. Steinitz, The Litigation Finance Contract, in William & Mary Law Review, 54 (2012), pp. 455 ss.

[5] L’elemento della ‘terzietà’ rispetto alla controversia consente all’operatore di diritto di esaminare consapevolmente la questione della compatibilità di tale pratica di finanziamento con specifici divieti deontologici. Il riferimento è all’Art. 13, co. 4, della legge professionale forense (l. 31 dicembre 2012, n. 247) che vieta i cc.dd. patti di ‘quota lite’ ossia gli accordi con i quali un avvocato «percepisce come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene o della ragione litigiosa». La ratio storica del divieto – che risiede nell’esigenza di garantire e salvaguardare il decoro, l’indipendenza e la professionalità dell’attività legale – non può essere estesa sino a ricomprendere gli accordi che coinvolgono anche gli enti finanziatori che, formalmente, rimangono estranei al processo e all’attività difensiva. Sul carattere di terzietà del funder, v. G. De Nova, Il finanziamento, cit., pp. 267 ss. Sul divieto del patto di quota lite, v. P. Carbone, Brevi considerazioni in tema di patto di quota lite, in Giur. it., 1 (1982), p. 140; R. Danovi,Commentario del codice deontologico forense, Milano, 2004, p. 684;L. Collura, Il divieto del patto di quota lite: quid iuris?, in Contr., 6 (2020), p. 725, secondo i quali la ratio del divieto de quo è volta non solo a tutelare la posizione del cliente, ma anche il prestigio della professione forense, al fine di evitare che il singolo professionista, per poter ottenere un maggior compenso in ragione del positivo esito della controversia, finisca per curare unicamente i propri interessi.

[6] Di elaborazione dottrinale, il ‘collegamento negoziale’ è un’espressione (estranea al dato positivo) utilizzata per descrivere fenomeni giuridici in cui l’emersione degli interessi sottostanti alla realtà sostantiva dell’affare sono da ricollegare non già ad un singolo atto, ma ad una struttura negoziale complessa. Cfr. C.M. Bianca, Il Contratto, in Diritto civile, Milano, 2000, pp. 485 ss.; R. Scognamiglio, Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, pp. 375 ss.

[7] Richiamano l’accollo, E. Ferrante – S. Visca – L. Coppo, Il modello contrattuale applicabile, in Prospettive del Third Party Funding in Italia, cit., p. 25.

[8]Le singole prestazioni sono autonomamente inquadrabili in distinti schemi negoziali (che si caratterizzano per un interesse immediato), il cui collegamento fra essi risulta strumentale al perseguimento dell’interesse unitario globalmente perseguito (C.M. Bianca, Il Contratto, cit., p. 484).

[9] Cfr. E. Gabrielli, voce Operazione economica, in Enc. dir., I, Milano, 2021, p. 729; Id., Il contratto e le sue classificazioni, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, in Trattato dei contratti, dir. P. Rescigno - E. Gabrielli, Torino, 2006, p. 53 ss. 

[10] Sull’importanza di ricercare la causa in concreto di un contratto, v. G. E. Napoli, Il contratto preliminare del preliminare, in Riv. dir. civ., 2 (2010), pp. 94 ss.; Id., Il riconoscimento giurisprudenziale del contratto preliminare del preliminare, ivi, 5 (2015), p. 1266. L’atipicità del TPLF non incontrerebbe nessun ostacolo in norme imperative o in ragioni di ordine pubblico, perseguendo il contratto di TPLF tendenzialmente interessi meritevoli di tutela. Così, G. De Nova, The impact, cit., pp. 815 ss.; E. Ferrante – S. Visca – L. Coppo, I contratti di finanziamento della lite (regolati dalla legge italiana) in Italia: fattibilità, in Prospettive del Third Party Funding in Italia, cit., pp. 19 ss.; R. Sali, op. cit., pp. 339 ss.

[11] È ciò che avviene nella contrattualistica tedesca con una clausola Abtretung der ‘streitigen Anspruche’ che permette al finanziatore di autorizzare il sovvenzionato ad agire in giudizio in nome proprio e per conto dell’ente. Cfr. L. Castelli -  S. Monti, Third party litigation funding: quali prospettive in Italia?, in Contr., 5 (2019), p. 583; E. D’Alessandro, «Contratto  di  finanziamento  della  lite», cit., p. 153, che richiama la dottrina tedesca (J. Jaskolla, Prozessfinanzierung gegen Erfolgsbeteiligung, Karlsruhe 2004, pp. 19 ss.; M. Homberg, Erfolgshonorierte Prozessfinanzierung, Saarbrücken 2006, pp. 220 ss.) che qualifica l’istituto de quo come una cessione fiduciaria (Treuhandzession) contestualmente legata al conferimento di un mandato di riscossione  al cedente (Einziehungermächtigung) e dove il finanziatore si riserva la possibilità di chiedere la riscossione in nome proprio, autorizzando poi il finanziato ad agire in giudizio in nome proprio per un diritto altrui.

[12]Salva la previsione di ipotesi eccezionali, l’Art. 81 CPC impone, infatti, la coincidenza tra il diritto fatto valere in giudizio e il soggetto legittimato ad agire per la tutela del diritto stesso. La legittimazione ad agire, considerata da parte della dottrina una condizione dell’azione (E. T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile. Principi, Milano, 2007, 147) e secondo altra come un presupposto processuale (C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele, Padova, 2003, p. 50), è ricollegata al principio secondo cui nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente prevista dalla legge. Eccezionalmente la legge consente di far valere un diritto altrui in nome altrui (rappresentanza) o in nome proprio (sostituzione processuale).

[13] È da tener presente che l’Art. 111 CPC riguarda solo l’ipotesi in cui il processo sia stato istaurato precedentemente all’evento successorio. Affinché il processo possa proseguire tra le parti originarie, il trasferimento della titolarità della res litigiosa deve avvenire nel corso del processo e, cioè, dopo il compimento del primo atto costituto dello stesso. Qualora il trasferimento avvenga in una fase anteriore, l’alienante risulterebbe privo della legittimazione ad agire se assumesse la veste di parte processuale. Cfr. S. Satta, Commentario al Codice di procedura civile, I, Milano, 1966, pp. 421 ss.

[14] Il riferimento è alla Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla regolamentazione del finanziamento del contenzioso da parte dei terzi. Preceduta dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2022 recante raccomandazioni alla Commissione sul finanziamento privato responsabile del contenzioso (2020/2120(INL)), consultabile in https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2022-0308_IT.html (consultato il 17.01.205).  Sul punto, v. M. C. Paglietti, Il mercato delle controversie. Il Third Party Litigation Funding come strumento di finanziamento responsabili dell’accesso alla giustizia, in Banca, borsa tit. cred., 6 (2023), pp. 821 ss.

[15] In Inghilterra la percentuale della commissione di successo è generalmente compresa tra il 20% e il 40% del risarcimento o di quanto dovuto a titolo di transazione. Solo in alcuni casi la percentuale è pari o superiore al 50% (cfr.  C. Veljanovsky, Third Party Litigation Funding in Europe, in JL Econ. & Pol’y, 8 (2011), p. 424). Lo stesso avviene in Austria, Germania, Paesi Bassi e Irlanda, dove le commissioni di successo vanno dal 25% al 40%. (cfr. C. Hodges - S. Vogenauer - M. Tulibacka, Cost and Funding of Civil Litigation: A Comparative Study, in Legal Research Paper Series, 55 (2009), p. 30).

[16] Cfr. G. Benedetti, La rescissione, in Trattato di diritto privato, dir. M. Bessone, VIII, Torino, 2007, p. 48, secondo il quale è possibile disegnare con chiarezza uno spazio giuridico esterno alla fattispecie, attenzionato dal legislatore, in cui si collocano comportamenti giuridicamente rilevanti delle parti e anche situazioni, fatti, qualificazioni rilevanti, anteriori e successivi alla conclusione del contratto.

[17]Più in generale, per la tradizionale irrilevanza della sproporzione tra le prestazioni, v. A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, pp. 309 ss.; C.M. Bianca, Il Contratto, cit., pp. 23 e s., secondo cui il prezzo è «una determinazione del contratto e in questa determinazione le parti (o la parte economicamente forte) fissano quella concreta misura che potrà risultare maggiore o minore rispetto al prezzo di mercato, rendendo quindi l’affare più o meno conveniente». Secondo l’a. (ivi, p. 490), l’equivalenza oggettiva tra i valori economici delle prestazioni non è un requisito necessario dei contratti di scambio né dei contratti a titolo oneroso; nel nostro ordinamento «prevale la regola della libera determinazione contrattuale del corrispettivo».

[18] V. Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, n. 656.

[19]Per G. Benedetti, op. cit., p. 45, le circostanze rilevanti di indole soggettiva «incidono su una condizione della contrattuale costituita dalla libertà contrattuale e più specificamente dalla posizione di parità dei contraenti». Escludendo un vizio strutturale, l’a. evidenza come l’accordo sia viziato «nei presupposti o nelle condizioni della contrattualità, libertà e parità, e il vizio deve essere tale da indurre esiti di misura abnorme, che la legge fissa a oltre la metà (laesio enormis)».

[20]Per ‘stato di bisogno’, inoltre, non deve intendersi un’indigenza assoluta, ma una situazione di difficoltà economica (anche non grave o momentanea) o carenza di liquidità. Aderiscono ad una concezione ampia del concetto di stato di bisogno, R. Sacco, Il contratto, Torino, 1993, p. 361; A. Musatti, Appunti sulla lesione enorme, in Foro it., 73 (1950), pp. 177 ss.; E. Minervini, La rescissione del contratto, in Rass. dir. civ., 4 (1997), pp. 768 ss.; F. Carresi, voce Rescissione (diritto civile), in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, pp. 4 ss.

[21] Cass., 1 marzo 1995, n. 2347, in Giust. civ., Mass., (1995), pp. 489 ss.; Trib. Bologna, 18 maggio 2004, in Guida al Diritto, (2004), pp. 50 ss.

[22]G. Mirabelli, La rescissione del contratto, Napoli, 1962, pp. 98 ss.

[23]Tale pratica di finanziamento del contenzioso, infatti, se calata nel contesto europeo attuale, permette di raggiungere un risultato analogo a quello che viene normalmente realizzato con la conclusione di assicurazioni di tutela legale, senza imporre al cliente il pagamento periodico di un premio. Sui contratti di Legal Expenses Insurances, v. M. De Pamphilis, «Litigation Funding»: i modelli di finanziamento del contenzioso tra luci e ombre, in Nuova giur. civ. comm., 2 (2023), p. 455; G.M. Solas, op. cit., p. 199; M. Steinitz - A. Field, A Model Litigation Finance Contract, in Iowa Law Review, 99 (2014), p. 722; M. Faure - J. De Mot, Comparing Third Party Financing of Litigation and Legal Expenses Insurance, in JL Econ. & Pol’y, 8 (2011), p. 743.

[24] Aumentare la consapevolezza sulla fondatezza della propria pretesa è un processo che, in un Paese considerato ad alto tasso di litigiosità come quello italiano, dovrebbe tradursi, quantomeno, in una diminuzione complessiva delle controversie.

[25] Paccar Inc and others c. Competition Appeal Tribunal and others [2023] UKSC 28.

[26] «For the purposes of this section: (a)a damages-based agreement is an agreement between a person providing advocacy services, litigation services or claims management services and the recipient of those services which provides that (i) the recipient is to make a payment to the person providing the services if the recipient obtains a specified financial benefit in connection with the matter in relation to which the services are provided, and; (ii)the amount of that payment is to be determined by reference to the amount of the financial benefit obtained».

[27] Therium Litigation Funding A IC c. Bugsby Property LLC [2023] EWHC 2627 (Comm) (20 October 2023), §§ 42 ss., secondo cui «the substance of his argument was that in the Therium LFA, only the provisions concerning payment of a percentage of the Claim Proceeds would amount to a damages based agreement. The remaining provisions, including those concerning the trust, the repayment of the funded sums, and the contingency fee insofar as it concerns a multiple return on those funded sums, are not damages based agreements and so do not fall foul of the decision in Paccar».

[28] Sul punto, si richiama anche lo studio di uno strong regulatory approach volto ad imporre un tetto massimo ai compensi dai finanziatori dell’Ufficio ricerche del Parlamento europeo, oggetto di commento da E. D’Alessandro - C. Poncibo, Servizio di ricerca del Parlamento europeo. «Finanziamento privato responsabile del contenzioso. Valutazione del valore aggiunto europeo», Bruxelles, 2021, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3 (2021), pp. 919 ss.

[29] L’espressione è di N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2003, p. 23, secondo il quale lo spazio economico europeo «si costruisce e svolge come statuto di norme». La legge, dunque, «non si aggiunge, né ‘influisce sul mercato’ […] ma conforma il mercato».

[30] Più nello specifico, un contratto è immeritevole di tutela quando: i) abbia lo scopo di attribuire ad una parte un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra; ii) produca l’effetto di porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra; iii) costringe una di esse a tenere una condotta contrastante con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. Così Cass., 28 aprile 2017, n. 10506, in Resp. civ. prev., 3 (2017), pp. 815 ss., con osservazioni di G. Facci, Le clausole claims made ed i c.d. «fatti noti» nella successione di cause.

[31]La ‘meritevolezza’ non si risolve più nella valutazione di ‘liceità’ di cui all’Art. 1343 CC. Ma, sebbene la ‘causa’ e la ‘meritevolezza’ siano categorie concettuali da tener distinte, non è possibile rinnegare una loro reciproca interferenza. Sul punto, M. Battagliese, Il difficile duetto della causa «immeritevole» (tra nullità e inefficacia) e l’autonomia degli effetti, in Nuova giur. civ. comm., 1 (2022), p. 170, secondo la quale la meritevolezza «non è, a differenza della causa, un elemento del negozio giuridico bensì un mero criterio di giudizio […]. A tale stregua ‘causa immeritevole’ è un aggettivo e non una categoria, la quale, piuttosto, sarà sempre ravvisabile nella causa lecita o illecita, e le conseguenze della causa lecita ma non meritevole di tutela saranno disciplinate dalle regole la cui violazione ha reso il negozio immeritevole di tutela». La distinzione dalla ‘liceità’ ha, tuttavia, indotto parte della dottrina a rinvenire nella ‘meritevolezza’ un giudizio ‘in positivo’, volto a verificare il grado di attuazione dei principi apicali che disciplinano il contratto da parte dell’autonomia privata. Sul punto, v. P. Perlingieri, «Controllo» e «conformazione», degli atti di autonomia privata, in Rass. dir. civ., 1 (2017), pp. 213 ss.; M. Pennasilico, Dal «controllo» alla «conformazione dei contratti», in Contr. impr., 2 (2020), pp. 844 ss.

[32] Più di recente, v. Cass., sez. un., 23 febbraio 2023, n. 5657, in Dir. e giust., 36 (2023), p. 3, con nota di R. Bencini, Leasing indicizzato e derivati impliciti: il faro delle Sezioni Unite.

[33] L’Art. 1469 CC esclude l’applicazione dell’istituto ai contratti aleatori. Sul punto, v. P. Tartaglia, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 155; A. De Martini, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano,1950, p. 50. Solo eccezionalmente, infatti, e per il solo contratto di assicurazione, l’ordinamento consente all’assicuratore di recedere ai sensi dell’Art. 1898 CC qualora il fenomeno perturbativo risulti non solo estraneo all’alea normale del negozio, ma sia addirittura atipico e anomalo rispetto all’alea giuridica del contratto assicurativo. Cfr. L. Buttaro, voce Assicurazione in generale, in Enc. dir., III, Milano, pp. 489 ss.

[34] In tal caso, gli «effetti giuridici dell’atto dell’arbitratore sul rapporto contrattuale derivano esclusivamente dall’accordo delle parti, in quanto queste hanno preventivamente deciso di far propria la determinazione del terzo. […] L’atto di arbitraggio è e rimane atto del terzo, ma la sua determinazione è operante in base al richiamo delle parti. Gli effetti di tale determinazione hanno quindi la loro fonte immediata nell’atto del terzo ma la loro fonte mediata è pur sempre il contratto» (C. M. Bianca, op. cit., in part. pp. 331 e 332).

[35] Laddove avvenga secondo l’equo apprezzamento, la determinazione «deve determinarsi mediante l’equilibrato e razionale impiego dei criteri obiettivi, tenendo conto delle circostanze rilevanti che specificamente connotano il caso concreto» (V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 353).

[36] L’imparzialità e l’indipendenza potrebbero essere allora compromesse dalla circostanza che i soggetti che sono chiamati a giudicare la controversia rivestano o abbiano rivestito il ruolo di difensori di parti che sono state finanziate dallo stesso fondo di investimento in altre procedure o, ancora, che l’investitore si ingerisca nella libertà di scelta di nominare l’arbitro di parte fino ad esercitare pressioni su quest’ultimo nella nomina del terzo arbitro.  Sull’obbligo di disclosure si rinvia alle riflessioni di C.A. Rogers, Ethics in International Arbitration, in Revista Brasileira de Arbitragem, 12 (2015), pp. 277 ss.; A. Crivellaro - L. Melchionda, Disclosure and Conflicts of Interest in Relation to Third-Party Funding, in BCDR International Arbitration Review, 5 (2018), pp. 281 ss., P. Bernardini, op. cit., pp. 9 ss.; J. A. Trusz, Full Disclosure: Conflicts of Interest Arising from Third-Party Funding in International Commercial Arbitration, in Georgetown Law Journal, 101 (2013), pp. 1649 ss.

[37] Il 7° considerando della Proposta di Direttiva propone un livello minimo di protezione per tutti i ricorrenti che potrebbe avvalersi del finanziamento del contenzioso. 

[38] V. G. Lampo, Il Finanziamento del contenzioso da parte dei terzi nell’arbitrato in materia di investimenti alla luce del nuovo regolamento ICSID, in Riv. comm. int., 2 (2023), p. 428.

[39] Un obbligo così circoscritto sembra essere ripreso dalla Camera arbitrale di Milano che nel proprio regolamento, all’Art. 43 rubricato «Finanziamento da parte di terzi», recita che «1. La parte che riceve da un terzo un finanziamento relativo al procedimento arbitrale e al suo esito deve dichiarare l’esistenza del finanziamento e l’identità del finanziatore. 2. Tale dichiarazione deve essere ripetuta nel corso del procedimento fino alla sua conclusione, se si rende necessario per fatti sopravvenuti o su richiesta del Tribunale Arbitrale o della Segreteria Generale». Previsioni analoghe provengono dalle nuove Rules 2021 dell’ICC che, all’Art. 11(7), secondo le quali «[i]n order to assist prospective arbitrators in complying with their duties under Articles 11(2) and 11(3), each party must promptly inform the Secretariat, the arbitral tribunal and other parties, of the existence and identity of any non-party which has entered into an arrangement for the funding of claims or defences and under which it has an economic interest in outcome of arbitration». Si limitano a chiedere l’esistenza del finanziamento e l’identità del finanziatore le nuove Rules 2021 del Vienna International Arbitration Center, mentre un passo ulteriore è compiuto dal Centro Internacional de Abitraje de Madrid che consente all’arbitro di poter chiedere alla parte finanziata informazioni aggiuntive in merito al finanziamento ricevuto e al finanziatore (R. Sali, op. cit., pp. 339 ss.). Particolare attenzione merita anche il nuovo regolamento dell’International Centre for the Settlement of Investment Disputes che, all’Art. 14, disciplina la disclousure degli accordi di finanziamento prevedendo che debbano essere divulgate soltanto l’esistenza del finanziamento e l’identità del finanziatore (V. G. Lampo, op. cit., pp. 415 ss.).

[40] Consultabile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32020L1828 (consultato il 17.01.2025). La direttiva sollecita (Art. 10) un intervento uniforme nella regolamentazione della materia, al fine di evitare che gli strumenti privatistici finalizzati ad offrire ad una parte liquidità finanziaria necessaria per sostenere il giudizio generino un conflitto di interessi o allontanino le azioni rappresentative (volte ad ottenere provvedimenti risarcitori) dagli effettivi interessi collettivi dei consumatori.

[41]In attuazione della direttiva, il d.lgs. 10 marzo 2023, n. 28 ha introdotto nel codice del consumo una serie di nuovi precetti (Artt. 140-ter ss.) volti ad incrementare gli strumenti di natura compensativa e/o inibitoria per gli enti legittimati a tutelare gli interessi dei consumatori nei confronti delle condotte abusive dei professionisti. Il codice del consumo, così come riformulato a seguito della novella, nella specificazione delle definizioni e dell’ambito di applicazione (Art. 140-ter), identifica nei legittimati ad esperire un’azione rappresentativa gli enti disciplinati dall’Art. 140-quater, nonché quelli iscritti nell’elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea. L’attuale Art. 140-quinquies cod. cons. impone, per gli enti legittimati a proporre una azione rappresentativa transfrontaliera, la previsione nello statuto di regole che siano idonee ad assicurare l’indipendenza dell’associazione da parte di soggetti terzi ai consumatori che hanno un interesse economico all’azione e che siano in grado di prevenire e risolvere i conflitti di interesse che potrebbero sorgere tra l’associazione, i finanziatori e i consumatori (let. d); la stessa disposizione prevede anche l’obbligo di rendere pubbliche le informazioni sulle proprie fonti di finanziamento (let. f).

[42] Il successivo comma 8 del medesimo articolo, tra le altre, prevede una specifica causa di inammissibilità della domanda: quando risulta un conflitto di interessi e, in particolare, laddove il soggetto che ha finanziato l’azione è ricorrente del convenuto o dipende da quest’ultimo. In tale evenienza, il giudice è tenuto, anche d’ufficio, a sollevare la questione ed assegnare all’ente ricorrente un termine entro cui rifiutare o modificare il finanziamento.

[43]Ciò perché il mercato del Litigation Finance differisce da una giurisdizione all’altra. Anche i dati sulla struttura del mercato della giustizia sono di difficile recepimento, sia perché il finanziamento della lite è un fenomeno abbastanza recente.  sia perché, essendo enti privati, i fondi di investimento preferiscono mantenere le informazioni riservate per incrementare la loro competitività (C. Hodges - S. Vogenauer - M. Tulibacka, op. cit., p. 31.).

[44] M. Steinitz, op. cit., 480, secondo la quale «both litigation finance and VC are forms of finance. Financial contract, generally speaking, are designed to respond to three problems: uncertainty, information asymmetry, and agency costs. The special character of VC contracting […] is that it presents these problems in an extreme form. The same is true of litigation finance, the essence of which is investing in legal disputes before all facts and procedural aspects have been ascertained, leading to risks similar to those inherent to VC investing».

[45] M. Steinitz, op. cit., p. 488, secondo la quale, come il Venure Capital, anche la finanza del contenzioso affronta simili asimmetrie «because the plaintiffs have private knowledge of the facts, including knowledge of potentially key facts, harmful “smoking gun”, documents, potentially harmful or weak witnesses, and the like. […] The plaintiff’s intentions and abilities are so hard to observe as those of an entrepreneur. For example, a plaintiff’s willingness or capacity to cooperate effectively with counsel – for instance, by timely producing documents, or by ensuring that witnesses make themselves available for deposition – are unknown to the funder. Whether and to what degree the plaintiff is susceptible to “litigation fatigue” caused by the emotional stress of litigation, or is an effective witness, are similarly unknown».

[46] Sull’argomento, ex multis, v. A. Belvedere, Le clausole generali tra interpretazione e produzione di norme, in Pol. dir., 4 (1988), pp. 631 ss. e 644; G. D’amico, Clausole generali e controllo del giudice, in Giur. it., 7 (2011), cc. 1704 ss.; Id., Rodotà e la stagione delle clausole generali, in Giust. civ., 1 (2018), pp. 129 ss.; E. Fabiani, Clausole generali e sindacato della cassazione, Torino, 2003; Id., Norme elastiche, concetti giuridici indeterminati, clausole generali, «standards» valutativi e principi generali dell’ordinamento, in Foro it., I, 2003, cc. 1864 ss.; Id., voce Clausole generali, in Enc. dir., Ann., V, Milano, 2012, 183 ss.; M. Libertini, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto indeterminato. Una proposta di distinzione, in Riv. crit. dir. priv., 3 (2011), pp. 345 ss.

[47]N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 1 (2014), p. 41.

[48] Sul modello decisionale basato sull’uso delle clausole generali, v. N. Irti, La crisi della fattispecie, cit., pp. 41 ss.; Id., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 1 (2014), pp. 36 ss.; Id., Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 1 (2015), pp. 11 ss.; F. Denozza, In viaggio verso un mondo re-incantato? Il crepuscolo della razionalità formale nel diritto neoliberale, in Oss. dir. civ. comm., 2 (2016), pp. 419 ss.; A. Gentili, Un nuovo paradigma nel diritto dei contratti? L’uso alternativo della buona fede e dell’abuso del diritto, in L’incidenza della dottrina sulla giurisprudenza nel diritto dei contratti, a cura di C. Perlingieri - L. Ruggeri, Napoli, 2016, pp. 73 ss.

[49] Cfr. R. J. Rhee, A Price Theory of Legal Bargaining: An Inquiry into the Selection of Settlement and Litigation Under Uncertainty, in Emory Law Journal, 56 (2006), p. 619, secondo il quale «The case assessment of a civil action follows a random walk like that of a stock. The up-down movement of probability (expectation) is a function of information dissemination».

[50] Sulla differenza tra la probabilità logica e quella statistica, v. R. J. Rhee, op. cit., p. 649 ss.

[51] L’analisi economica comportamentale testimonia diversi limiti che sono idonei ad inficiare la capacità umana di generare previsioni valide sull’andamento del processo, come la razionalità limitata dei soggetti, la relativa forza di volontà e gli interessi personali in causa. Sul punto, v. C. Jolls - C. R. Sunstein - R. Trailer, A Behavioral Approach to Law and Economics, in Stanford Law Review, 50 (1998), pp. 1476 ss.; D. C. Langevort, Behavioral Theories of Judgment and Decision Making in Legal Scholarship: A literature Review, in Vanderbilt Law Review, 51 (1998), pp. 1511 ss.  Sull’interpretazione ‘egocentrica’ delle informazioni processuali delle parti e sull’eccessivo ottimismo con il quale gli avvocati valutano la probabilità di successo, v. G. Lowenstein - D. A. Moore, When Ignorance is Bliss: Information Exchange and Inefficiency in Bargaining, in Journal of Legal Studies, 33 (2004), pp. 37 ss.; E. F. Loftus - W. A. Wagenaart, Lawyers’ Predictions of Success, in Jurimetrics Journal, 28 (1998), pp. 450 ss.

[52] Si richiamano i dati rappresentativi dell’esperienze australiana e inglese raccolti da  C. Veljanovsky, op. cit., p. 433 e s., secondo il quale «IMF is by far the largest and oldest TPLF investor in Australia, with a reported 50% market share. […] Interestingly, IMF’s 76% overall successful outcomes rate is close to the practice of some U.K. dedicated TPLF investors, which is to select cases with a 70% or greater probability of winning. This may be pure coincidence, but could be based on the experience of profitable operations».

[53] Per una più ampia riflessione sul tema dell’effettività della tutela, v.  G. Vettori, voce Effettività delle tutele (diritto civile), in Enc. dir., Ann., X, Milano, 2017, pp. 381 ss.; Id., Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Jus civile, (2) 2017, pp. 133 e ss.; C. Scognamiglio, Principio di effettività, tutela civile dei diritti e danni punitivi, in Resp. civ. prev., 4 (2016), pp. 1120 ss.

[54] Cfr. G.M. Solas, op. cit., p. 184; E. D’Alessandro, Prospettive del «Third party funding», cit., p. 274. Contra, F. Benatti - G. F. Colombo - D. Yokomizo, op. cit., p. 565, secondo i quali l’idea che «il TPF serva essenzialmente a parti ‘povere’, incapaci di sostenere i costi di una procedura arbitrale è sostanzialmente inaccurata e fuorviante: questa circostanza è oggi infatti l’eccezione e non la regola». Per J. Kalajdzic, P. Cashman, A. Longmoore, Justice for Profit: A Comparative Anaysis of Australian, Caanadian and U.S. Third-party Liigation Funding, in American Journal of Comparativa Law, 61 (2013), pp. 93 ss., attesa la complessità del fenomeno e le differenti giurisdizioni, il TPLF può svolgere diversi scopi nei diversi ordinamenti. In tal senso, J. B. Heaton, Litigation Funding: An Economic Analysis, in American Journal of Trial Advocacy, 42 (2018), pp. 307 ss., secondo il quale, a prescindere dall’utilità sociale, la presenza di fondi di investimenti nel mercato della giustizia può rappresentare l’occasione per rettificare le distorsioni del mercato, perché permette agli attori di adottare comportamenti più simili a quelli che adotterebbero operatori neutrali al rischio di soccombenza.

[55] Ciò non esclude che la possibilità di rintracciare nei nuovi negozi privati degli strumenti capaci di garantire una tutela effettiva dei diritti non può che incontrare nel lungo periodo atteggiamenti liberali delle Corti in quei contesti ordinamentali – come quello italiano – in cui l’istituto del patrocinio a spese dello Stato potrebbe non risultare sempre efficace. L’Art. 74 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come noto, prevede – quale requisito d’accesso – che il reddito imponibile lordo annuo del richiedente (unitamente a quello dei componenti dei suoi conviventi) non superi 11746, 68 euro (così come modificato dal d.m. 23 luglio 2020 in GU n. 24 del 30 gennaio 2021). È vero, dunque, che, per coloro che superino anche di poco la soglia di povertà il finanziamento della lite possa rappresentare l’occasione per rendere l’access to justice un diritto pieno ed effettivo. Sui costi della giustizia, v. M. Segatti, Accuratezza e costi: note sull’analisi economica della giustizia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2 (2013), pp. 698 ss.; G. Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998; R. Giordano, Le spese del processo, Milano, 2012.

[56]P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1 (1999), c. 230, secondo il quale l’ «intuizione chiave di Adam Smith fu proprio che entrambe le parti di uno scambio possono trarne beneficio, cosicché, fin quanto la cooperazione rimane rigorosamente volontaria, ogni scambio, in linea di principio, riesce utile per tutte e due le parti»; R. Lanzillo, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 2 (1985), p. 309, secondo la quale «condizione imprescindibile dello scambio […] è che, per ognuna delle parti, l’utilità marginale di ciò che riceve sia non uguale, ma superiore all’utilità marginale di ciò cui rinuncia; ed anzi, lo scambio è tanto più agevole quanto maggiore è il divario tra le rispettive utilità marginali […]. Ne consegue che ognuna delle parti ‘guadagna’ dallo scambio, poiché ottiene qualche cosa che – dal suo punto di vista – vale più di quanto valga di ciò che si priva».

[57] Su un investimento non necessariamente legato alla necessità di assicurare l’accesso alla giustizia, cfr.  C.P. Bogart, The Case for Litigation Financing, in Litigation, 42 (2016), pp. 46 ss.; J. M. Shepherd, Ideal versus Reality in Third-Party Litigation Financing, in J. L. Econ. & Pol’y, 8 (2012), pp. 593 ss.

[58] Sul litigation Funding come investimento, v. F. J. Garcia, Third-Party Funding as Exploitation of the Investment Treaty System, in Boston College Law Review, 50 (2018), pp. 2911 ss.; J. A. Grundfest - P. H. Huang, The Unexpected Value of Litigation: a Real Option Perspective, in Stanford Law Review, 58 (2006), pp. 1267 ss.

[59] Il Green Deal, nel definire una nuova strategia di crescita, si pone come obiettivo principale quello di trasformare l’UE in «una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse» (Commissione europea, Comunicazione. Il Green Deal europeo, Bruxelles, 11.12.2019, COM (2019) 640 final, in https://eur-lex.europa.eu) (consulatato il 17.01.2025).

[60] Così, M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1 (2021), p. 60.

[61] Legge 12 aprile 2019, n. 31, consultabile in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/04/18/19G00038/sg (consultato il 17.01.2025). In dottrina, v. A. Giussani, La riforma dell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 6 (2019), pp. 1572 ss.; B. Sassani (a cura di), Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, Pisa, 2019.

[62] Favorevole a tale apertura, C. Consolo, L’azione di classe, trifasica, infine inserita all’interno del CPC, in Riv. dir. proc., 2 (2020), p. 721, il quale sottolinea che con la nuova riforma è ora possibile «porre rimedio anche a quella vasta gamma di illeciti, pur sempre di massa, di cui sono vittime soggetti inseriti nel ciclo produttivo o di distribuzione».

[63] Con il termine Dieselgate si fa riferimento allo scandalo che ha visto coinvolto la causa automobilistica Volkswagen quando nel 2015 l’Environmental Protection Agency ha rinvenuto nei sistemi di alcuni model diesel un software diretto a falsare i dati sulle emissioni inquinanti. Il clamore della vicenda fu anche dovuto al fatto che l’impresa aveva incentivato i consumatori ad acquistare le automobili sulla base di una campagna promozionale basata sui valori della tutela ambientale e della responsabilità sociale. Per una completa ricostruzione del fenomeno, v. F. Bertelli, Profili civilistici del «Dieselgate». Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, Napoli, 2021.

[64] Quando si parla di «ambiente e clima si invocano posizioni giuridiche diversificate: infatti, si tratta di due ambiti in cui entrano in gioco beni idonei a soddisfare più pretese reciprocamente compatibili e, al contempo, in grado di proiettare la loro lesione, oltre che sulle posizioni giuridiche di singoli soggetti, anche su cerchie indeterminate e indeterminabili di soggetti interessati, fino alle future generazioni» (E. Gabellini, Accesso alla giustizia in materia ambientale e climatica: le azioni di classe, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4 (2022), p. 1107). Il contenzioso climatico abbraccia diverse categorie di ipotesi: da azioni legali promesse da cittadini e associazioni nei confronti degli Stati e le istituzioni volte a far valere la violazione di diritti umani lesi da danni ambientali, comunque riconducibili al Climate Change, imputando ad essi la mancata attuazione delle tutele ambientali necessaria (F. Vanetti - L. Ugolini, Il «Climate change» arriva in tribunale: quadro giuridico e possibili scenari giudiziali, in Ambiente & Sviluppo, 10 (2019), p. 743) alle azioni intentate nei confronti delle imprese private per i danni causati dalle loro attività, per le loro azioni di lobbying politico per ostacolare leggi atte a far fronte al cambiamento climatico e, infine, per il loro mancato rispetto della dovuta diligenza prescritto dai principi di diritto privato (M. Marinai, Il contenzioso e la legislazione climatica: un interminabile valzer sulle note della due diligence, in Resp. civ. prev., 4 (2023), p. 1349).

[65]M. S. Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1 (1973), pp. 15 ss.

[66] La ‘plurioffensività’ dell’illecito ambientale è riconosciuta dallo stesso dato positivo. L’Art. 312, comma 7, Codice dell’ambiente, stabilisce, infatti, che «resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute e nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi». Sul tema, v. U. A. Salanitro, Danni temporanei all’ambiente e tutela degli interessi privati: un problema di ingiustizia del danno, in Danno e resp., 4 (2008), pp. 418 ss.

[67] ‘Omogeni’ sono i diritti caratterizzati da un’identità di questioni di fatto e/o diritto.  La dimensione collettiva che impone all’azione di rispondere sempre all’esigenza di tutelare un interesse della classe non viene meno con la tutela di un interesse individuale, qualora omogeneo. Sull’argomento, v. di A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva, Napoli, 2013, pp. 579 ss.; A. Giussani, Diritti omogenei e omogeneizzati nell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 1 (2020), pp. 364 ss.

[68] Cfr. E. Benvenuti, La tutela collettiva risarcitoria dei consumatori nelle controversie transfrontaliere: diritto interno e prospettive di armonizzazione, in Riv. dir. intern. priv. proc., 3 (2020), p. 587, secondo il quale l’accesso alla tutela collettiva è «ostacolato dall’asimmetria nella propensione delle parti a investire economicamente nella causa, soprattutto in presenza di classi molto numerose e poco coese. In questi casi, non essendo sufficiente, né auspicabile, fare affidamento sullo spirito solidaristico degli individui, è pertanto necessario predisporre degli incentivi all’utilizzo dello strumento collettivo, in particolare con riferimento al regime delle spese». Sul tema del finanziamento delle azioni collettive, v. R. Torino, Il finanziamento delle azioni seriali. Esperienze straniere e azione collettiva risarcitoria, in Analisi Giuridica dell’Economica, 1 (2008), pp. 257 ss.; S. Voet, The Crux of the Matter: Funding and Financing Collective Redress Mechanism, in EU Civil Justice: Current Issues and Future Outlook, Oxford, 2016, pp. 201 ss.

[69] Sulla libera cedibilità del credito risarcitorio derivante da fatto illecito, v. Cass., 10 gennaio 2012, n. 52, in Il Giudice di pace, 3 (2012), pp. 209 ss., con nota di A. Palmieri - M. Casoria, Il «placet» della Cassazione sulla cedibilità del credito risarcitorio da sinistro stradale e sulla legittimazione attiva del relativo cessionario; Cass., 3 ottobre 2013, n. 22601, in Corriere giur., 10 (2014), pp. 1235 ss., con commento di G. Genovesi, La cessione del credito risarcitorio del danno non patrimoniale.

[70] Sulla cedibilità del credito risarcitorio derivante da un illecito antitrust, v. G. Afferni, La cessione del credito risarcitorio per violazione del diritto antitrust, in Riv. comm. int., 4 (2017), pp. 909 ss.; A. Davola, Oltre il private enforcement: l’ipotesi di un mercato delle azioni di risarcimento del danno antitrust, in Danno e resp., 6 (2015), pp. 677 ss.; T. Schreiber - M. Smith, The Case for Bundling Antitrust Damage Claims by Assignment, in Concurrences, 3 (2014), p. 22 ss.

[71] Una pratica, questa, che non trova un ostacolo nel divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’Art. 1261, co. 2, CC, tanto perché gli enti cessionari non rientrano nelle categorie previste dalla disposizione, tanto perché il divieto in esame si riferisce ad una cessione sub judice, mentre l’acquisto del credito litigioso avviene normalmente prima dell’istaurarsi del giudizio (cfr. P. Perlingieri, voce Cessione dei crediti, in Enc. giur. it., VI, Roma, 1988, p. 8 ss.). Lo stesso è a dirsi per divieto del patto di quota lite che coinvolge gli accordi tra i clienti e gli avvocati, che vieta al solo avvocato di rendersi cessione anche solo di una quota del diritto litigioso (cfr. L. Castelli -  S. Monti, op. cit., p. 584; E. D’Alessandro, «Contratto di finanziamento della lite», cit., p. 153).

[72]G. Afferni, op. cit., p. 923. Anche la giurisprudenza testimonia tale funzione, cfr. Corte europea di giustizia, 21 maggio 2015, causa C-352/2013, Cartel Damage Claims (CDC) Hydrogen Peroxide SA c. Akzo Nobel NV et al.

[73]Vuoi per le risorse limitate che le autorità amministrative hanno a disposizione per perseguire le violazioni del diritto antitrust, vuoi poiché le sanzioni applicate possono risultare, in concreto, di gran lunga inferiori rispetto a profitti illeciti ottenuti, non sempre quello pubblico riesce a tale scopo. Sul rapporto tra private e public enforcement a seguito della direttiva del 26 novembre 2014, n. 104, v. B. Giliberti, Public e private enforcement nell’Art. 9, co. I della direttiva antitrust 104/2014. Il coordinamento delle tutele: accertamento amministrativo e risarcimento nei rapporti privatistici, in Riv. italiana dir. pub. com., 1 (2016), pp. 77 ss.

[74] A sopportare tutte le spese giudiziali e legali, nonché a sostenere il rischio della soccombenza, sarà solo e sempre il Funder cessionario. È anche vero che in tali casi potrebbe sembrare scorretto parlare propriamente di finanziamento del contenzioso da parte di un terzo, proprio perché il cessionario surrogandosi nella situazione giuridica soggettiva attiva succede anche nel diritto di agire in giudizio. Non può negarsi, tuttavia, che la cessione del credito risarcitorio, consentendo ai consumatori e alle imprese danneggiate di traslare i costi e i rischi del contenzioso in capo ad un’entità terza non originaria della controversia, si traduca in una pratica di finanziamento. Così, G. M. Solas, op. cit., p. 186, nt. 4.

[75] Tra i primi dibattiti sulle nuove tecnologie applicate al settore del diritto, v. V. Frosini, Cibernetica, diritto e società, Milano, 1973; M. G. Losano, Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Torino, 1969; G. Sartor, L’intelligenza artificiale e diritto. Un’introduzione, Milano 1996. Tra i più recenti, v. E. Bassoli, Algoritmica giuridica. Intelligenza artificiale diritto, Milano, 2022; D. Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, in Foro it., 12 (2018), cc. 389 ss.; E. Gabellini, Algoritmi decisionali e processo civile: limiti e prospettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1 (2022), pp. 59 ss.; N. Lipari, Diritto, algoritmo, predittività, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3 (2023), pp. 721 ss.; F. Romeo, Giustizia e predittività. Un percorso dal «machine learning» al concetto di diritto, in Fil. dir., 1 (2021), pp. 107 ss.; M. Sciacca, Algoritmo e giustizia alla ricerca di una mite predittività, in Persona e mercato, 1 (2023), pp. 69 ss.

[76] Cfr. E. Zucconi Galli Fonseca, L’incontro tra informatica e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4 (2015), pp. 1203 ss.; pp. R. Bichi, Intelligenza artificiale tra «calcolabilità» del dritto e tutela dei diritti, in Giur. it., 7 (2019), pp. 1173 ss.

[77] Il riferimento è alla Relazione sullo stato della Giustizia telematica – anno 2021, rilasciata dalla Settima commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha promosso «progetti finalizzati a sperimentare l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria con particolare riferimento alla sistematizzazione del patrimonio giurisprudenziale». Consultabile all’indirizzo  https://www.csm.it/web/csm-internet/-/relazione-sullo-stato-della-giustizia-telematica-anno-2021 (consultato il 18.01.2025).  

[78] Cfr.  A. Santosuosso - G. Sartor, La giustizia predittiva: una visione realistica, in Giur. it., 7 (2022), c. 1762, secondo i quali, verificando i siti ufficiali delle Corti d’Appello (in particolare quelle di Venezia e Brescia), più che rappresentare l’utilizzo di tecniche di IA alla giustizia, «si scopre che si tratta di raccolte di piccoli gruppi di sentenze massimate e organizzate per materia e per data, con un’aggiunta dei tempi di definizione per materia secondo le statistiche ufficiali». Molti processi di raccolta, inoltre, si limitano a riprodurre gli obiter dicta e le massime non sempre finiscono per corrispondere alla ratio decidendi del caso. Cfr. E. Gabellini, Algoritmi decisionali, cit., p. 74, che richiama R. Sacco, La massima mentitoria, in La giurisprudenza per massime e il valore del precedente. Atti del convegno promosso dall’Istituto di diritto privato della facoltà di giurisprudenza in collaborazione con la rivista contratto e impresa, a cura di G. Visintini, Padova 1988, pp. 98 ss.

[79]E. Scoditti, Concretizzare ideali di norma. Su clausole generali, giudizio di cassazione e stare decisis, in Giust. civ., 4 (2015), p. 719, secondo cui «Il giudice è soggetto a quella norma, alla stregua di qualsiasi vincolo di diritto, non solo nel processo in cui ne è invocata per la prima volta l’applicazione, ma anche nei successivi in cui ne è domandata l’applicazione in presenza dei medesimi requisiti fattuali rilevanti». Tale vincolo, tuttavia, «non è però quello del giudicato per le parti, ma quello della norma concreta di diritto, di cui quel giudicato ha fatto applicazione, quale norma che si impone con la propria forza obbligatoria alla generalità dei consociati in presenza di casi ad essa riconducibili». Nello stesso senso, G. Zaccaria, Figure del giudicare: calcolabilità, precedenti, decisione robotica, in Riv. dir. civ., 2 (2020), p. 246, secondo cui «[i]l ricorso al precedente incide, ovviamente, in quell’andirivieni dello sguardo tra norme giuridiche e episodi di vita che governa il ragionamento dei giuristi cui sia presentato un caso concreto. Da questo punto di vista il precedente è un risultato interpretativo, il frutto dell’applicazione di un modello normativo utilizzato in passato come criterio di decisione a nuove e diverse circostanze fattuali identificate come caso».

[80]L. D. Godefroy, La performativité de la justice «prédictive»: un pharmakon?, in Recueil Dalloz, 36 (2018), pp. 1979 ss.; F. Rouvière, Le raisonnement par algorithmes: le fantasme du juge-robot, in Revue trimestrielle de droit civil, 2 (2018), pp. 530 ss.

[81]E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giust. civ., 2 (2020), p. 294, secondo cui «[i]n una prospettiva che considera il processo come modello di ragionamento, l’attività del giudice, e più latamente del giurista, trova nell’argomentazione il fondamento della scienza giuridica stessa e delle professioni forensi e giudicanti, specialmente nell’epoca dell’intersezione fra diritto e tecnologia, dovendosi riunire teoria e prassi, abilità intellettuale e ricerca scientifica, tecnica e cultura. Per questo, la decisione del giudice non può fondarsi esclusivamente sul metodo computazionale, dovendo recuperare al contrario una assunzione di responsabilità, proprio nel solco della sua antica ma sempre attuale funzione di custode della libertà, se non della verità».

[82] A differenza della tecnologia digitale, che rappresenta una consolidata modalità attraverso la quale l’uomo, raccogliendo i dati e informazioni, arriva all’elaborazione di un risultato frutto sempre della mente umana, l’«A.I., invece, sostituisce interamente ogni profilo ricognitivo e di scelta discrezionale, offrendo già la soluzione del caso, attraverso l’elaborazione di un intreccio di dati che, raccordati insieme, rispondono in piena autonomia alle esigenze, senza alcuna possibilità di scelta» (C. Romeo, Giustizia predittiva: dubbi tra innovazione regresso, in Il lavoro nella giurisprudenza, 12 (2023), p. 1102).

[83] Cfr. E. Battelli, op. cit., p. 293, per il quale «giudice robot può ridurre a simbolo gli elementi del caso e poi combinarli secondo modelli logici. Ciò che non può fare è, però, fissare le premesse del ragionamento. Quelle deve riceverle come dato. Come potrebbe, per esempio, stabilire se un comportamento è conforme o contrario a buona fede?».

[84] N. Irti, La crisi della fattispecie, cit., p. 43.

[85]C. Gamba, Sintetiche riflessioni sulla «decisione giusta»: ius dicere e digitalizzazione della giustizia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3 (2023), p. 824.

[86] Cfr. G. Amoroso, Il progetto CERTANET nel sistema Italgiure della Corte di Cassazione, in Scritti dedicati a Maurizio Converso, a cura di D. Dalfino, Roma, 2016, pp. 23 ss.

[87] Cfr. M. Lippi - P. Pałka - G. Contissa - F. Lagioia - H. W. Micklitz - G. Sartor - P. Torroni, CLAUDETTE: an Automated Detector of Potentially Unfair Clauses in Online Terms of Service, in Artificial Intelligence and Law, 27 (2019), pp. 117 ss.

GIOVANNI FAPPIANO



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