fbevnts Esclusione, inclusione, localismo dell’Impero romano e prospettive di comparazione

Esclusione, inclusione, localismo dell’Impero romano e prospettive di comparazione

01.09.2020

Antonio Palma

Professore Ordinario di Istituzioni di diritto romano

Università Federico II di Napoli

 

Esclusione, inclusione, localismo dell’Impero romano

e prospettive di comparazione*

 

English title: Exclusion, inclusion, localism of the Roman Empire and prospects for comparison

DOI: 10.26350/004084_000085

 

Sommario: 1. Premessa – 2. Stati nazionali e storiografiamoderna – 3. Civitas ed identità – 4. Cittadinanza, sovranità e giurisdizione: l’optio fori – 5. Civitas romana e patria potestas – 6. La concessione della cittadinanza e la sua considerazione da parte dei neo cittadini.

 

1.       Premessa

 

Il problema dell'accoglienza e dell'inclusione non si limita ad essere un tema risolvibile su un piano esclusivamente politico, poiché per la sua portata nella storia delle dinamiche tra gli individui assume connotazioni di rilevanza universale in quanto trattasi di un dilemma incardinato su un concetto metagiuridico quale l’humanitas, a cui ho dedicato – in tempi oramai (purtroppo) lontani – pagine alle quali mi permetto di rinviare[1].

Per affrontare l’argomento in esame credo metodologicamente non fallace adottare categorie storiografiche modellate ‘dalla’ e ‘sulla’ modernità per meglio interpretare fenomeni appartenenti all’antichità.

A mio modo di vedere, l’impero romano nei primi tre secoli d.C. fu una struttura a carattere inclusivo, nella quale i moduli organizzativi erano caratterizzati da una profonda apertura pluralistica sia sul piano ordinamentale che su quello culturale. In un simile contesto la cittadinanza romana è ipotizzabile sia stata un fenomeno di natura giuridica e non identificativa, al contrario di quanti[2] ritengono che la civitas abbia costituito a Roma il luogo identitario per eccellenza[3]. A detta di molti, infatti, dato per presupposto che la struttura della civitas avesse carattere escludente, l’impero romano implose su sé stesso proprio quando gli immigrati decisero di confrontarsi con il potere istituzionale determinandone il tramonto.

Teoria questa che può senz’altro annoverata tra quelle definibili come sovraniste.

Richiamo quest’ultime teorie in quanto credo che nell’affrontare simili questioni l’indagine storiografica possa essere umanisticamente orientata per provare una finalità che nasce dalla modernità. E questo implica che il rapporto tra presente e passato può essere costruito in termini di continuità, pur nella consapevolezza delle naturali discontinuità.

Le neuroscienze, d’altronde, ci informano che gli uomini tesaurizzano le loro esperienze in una “memoria continuativa” che si definisce ortogenetica, dove presente e passato convivono in un flusso continuo. In questa prospettiva presente e passato sono epistemologicamente collegati in una linea di continuità.

Noi possiamo allora invertire la logica del tempo rettilineo per cui viene prima il passato e poi il moderno e partire dal moderno; tentare di rispondere ai quesiti che ci pone la modernità con gli strumenti e l’analisi di una antichità che ha risolto snodi problematici che hanno un notevolissimo carattere di continuità con il passato. In questo senso, e solo in questo, la Storia è certamente maestra di vita, seguendo la quale noi possiamo studiare soluzioni organizzative elaborate dal mondo antico e cercare di rinvenire elementi di soluzione per il mondo contemporaneo.

L’impero romano è divenuto paradigma d’indagine da parte di tutti i più illustri cultori del diritto costituzionale che ipotizzano la presenza di elementi di costituzionalità senza necessariamente il mediatore dello Stato sovrano. Sotto questa luce la costituzione ha il suo elemento determinante non nella regolazione della decisione e limitazione o esercizio delle funzioni, ma il baricentro del neo-costituzionalismo è nella diffusione ed effettività dei diritti fondamentali.

 

2.       Stati nazionali e storiografia moderna

 

Questa prospettiva esegetica è interessante perché ci permette di constatare che lo Stato nazionale è in crisi in quanto prodotto recente che nasce nella metà dell’Ottocento – in particolare grazie alla Rivoluzione Francese – ed è incentrato su due nozioni fondamentali: sovranità e territorio.

Sovranità è un potere originario non derivato e rappresenta il primo elemento di collegamento con le concezioni statuali del populus Romanorum in cui la sovranità è limitata poiché nello Stato romano le strutture intermedie come familiae conservano una propria primitiva e originale sovranità, basti pensare al c.d. iudicium domesticum.

Quindi la sovranità moderna ha caratteri di originarietà, assolutezza ed indeterminatezza, al contrario del mondo romano dove trova altri elementi di combinazione. Ma lo Stato romano non è stata la sola forma organizzativa non sovrana. Nel Medioevo, ad esempio, possiamo rinvenire più forme di sovranità limitata, perché sussistevano più livelli di esercizio della sovranità (re, signorie, corporazioni), quindi una pluralità di soggetti esercenti tutti forme limitate e parziali di sovranità.

Nel XVI si assiste ad una svolta testimoniata dai vari personaggi illustri come: Jean-Jaques Rousseau, Thomas Hobbes, Jean Bodin, i quali teorizzano una concentrazione della sovranità in unico soggetto che può essere un sovrano o dittatore, la sovranità assume così determinate caratteristiche: l’originarietà, l’indivisibilità e l’indeterminatezza.

Naturalmente questo suscita la reazione del pensiero liberale, si pensi a John Locke e Montesquieu, che sottopone a critica questo fenomeno di concentrazione autoritaria della sovranità postulandone una sua limitazione: nasce il costituzionalismo, che è figlio del pensiero liberale.

Nel XX secolo, secolo quanto mai sciagurato, funesto e movimentato da grandi conflitti, si hanno due figure importanti che ridefiniscono la nozione di sovranità: Hans Kelsen e Carl Schmitt. Kelsen nella sua visione normativista decostruisce in modo radicale la sovranità nazionale sostenendo che non esiste un ordinamento giuridico nazionale originario ma l’ordinamento giuridico è solo universale e per questo tende a garantire i diritti di tutti. In quest’ottica gli ordinamenti statuari che contrastano con l’ordinamento universale sono destituiti di ogni legittimità. 

Schmitt parte da una concezione: l’agire politico è un’attività dannosa, ciò che interessa non è la norma in sè ma la decisione. Quindi fondamento del potere e della sovranità è un atto di forza e la decisione si delinea come un potere costituente - latente fino a quando non esplode - che ridetermina l'ordinamento giuridico.

Immanuel Kant è stato un grande rivoluzionario opera un processo di collegamento tra democrazia, diritti fondamentali e universalità, nel senso che la democrazia garantisce e tutela i diritti fondamentali che per essere tali però devono essere di tutti, perché tutti noi costituiamo la Comunità Umana e in questo senso la critica Kantiana dovrebbe suonare da avvertimento per i fautori del sovranismo.

Cerchiamo ora di applicare tutto quello che è stato detto, alle tesi storiografiche sulla cittadinanza romana e sulle forme organizzative dell’impero.

 

3.       Civitas ed identità

 

Partiamo dalla cittadinanza, essa è identitaria o meno?

Si possono avere due tipi d’identità: il primo, d'origine: cioè quella per cui ognuno di noi si può considerare portatore di un dato culturale che è legato alla nostra nascita. Potremmo dire che si tratta di quell’identità individuata dal legame culturale con il proprio luogo di nascita; in secondo luogo, abbiamo una identità di destino che è determinata da quello che diventiamo, dal nostro divenire, discostandosi dall’appartenenza ad un luogo. La caratteristica dell’identità è il fatto di essere sempre fondata su un dato immaginario, su una narrazione, così come quella romana che è basata sugli scritti dei giuristi o altri documenti scritti, tra i quali le Res Gestae di Augusto.

A mio modo di vedere, dunque, come già accennato, la cittadinanza romana non era un dato identitario e ci sono una serie di elementi che lo dimostrano: si pensi alle XII Tavole che contemplano culti funerari diversi e la presenza contestuale di diverse forme di forme funerarie è un segnale importantissimo sotto il punto di vista del pluralismo culturale. Ma altri esempi sono costituiti dal politeismo romano, che come evidenzia da ultimo Maurizio Bettini[4], è continuamente aperto a nuovi ingressi.

Fondamentale per avvalorare la tesi quivi proposta è la circostanza che lo schiavo a Roma quando viene liberato attraverso le tecniche manomissorie diventa libero ma diventa anche cittadino romano. Come si può vedere siamo all’opposto dell’esclusivismo nazionale se ogni cittadino privato può creare altri cittadini. Questo deve far riflettere sulla capacità dei luoghi comuni di pervertire i dati storiografici.

Un’altra componente è la soggettività giuridica che è determinata da un concorso di stati (libertatis, civitatis, familiae) ed ogni stato ha sua autonomia, questo significa che la soggettività giuridica è distaccata dalla cittadinanza, è determinata da elementi ulteriori rispetto alla cittadinanza e ciò vuol dire che la soggettività si gioca su un piano diverso rispetto alla cittadinanza.

Emerge, dunque, che la cittadinanza romana è un luogo giuridico non identitario e questo consente a quella comunità, nella sua storia, di alternare momenti di chiusura a momenti di apertura. Una flessibilità permessa da un sistema di concessione della cittadinanza elastico che rendeva possibili momenti politici culturali di chiusura rispetto alla dazione di cittadinanza ed altri invece di apertura.

Passando all’analisi della struttura imperiale dobbiamo chiederci se questi è ipotizzabile come sovrano oppure qualificabile quale luogo di esercizio di funzioni?

Ci si chiede allora quali erano i confini dell'impero?

Ebbene l’impero romano non ha confini, ha solo dei limiti all’interno dei quali i principi esplicano le proprie funzioni. Ma non avendo confini ci si pone il dilemma come possa essere applicato il parametro dell’inclusione/esclusione.

Infatti c’è da chiedersi: inclusività/esclusività rispetto a cosa?

Quando una struttura organizzativa come l’impero non ha confini, non è ipotizzabile una esclusione, perciò l’impero è solo inclusivo proprio perché costitutivamente non ha confini. L’unica vera analisi dunque può essere fatta all'interno dello spazio imperiale, dove lo Stato risulta organizzato secondo moduli differenti, complessivamente strutturato come un’organizzazione di civitates con diversi statuti giuridici. Cifra distintiva dell’esperienza imperiale è pertanto il pluralismo giuridico.

L’imperium dunque deve essere immaginato come una federazione di popoli[5], una sorta di insieme di cerchi concentrici, la concessione dello status civitatis costituiva uno strumento di garanzia e di protezione degli individui viventi nel grande spazio geo-politico formatosi con la caduta della Repubblica.

Mancanza di confini e struttura pluralistica fanno sì che la dimensione imperialistica sia un paradigma per i neo-costituzionalisti moderni in quanto forma organizzativa di estrema rilevanza pubblica e non sovrana come potrebbe essere, per esempio, l’unione europea o le grandi organizzazioni internazionali.

Ma cosa accade all’interno delle singole città?

Quali sono i rapporti tra ordinamento giuridico romano e gli ordinamenti giuridici delle città diffuse sul territorio?

Per rispondere bisogna ovviamente tenere in considerazione i diversi statuti. Sostanzialmente abbiamo una convivenza tra l’ordinamento giuridico romano e quello locale. Infatti anche quando viene riconosciuta ad un provinciale la cittadinanza locale egli utilizza l’ordinamento romano.

 

4.      Cittadinanza, sovranità e giurisdizione: l’optio fori

 

Nel rapporto intimo tra sovranità e giurisdizione, si ha una disconnessione tra funzioni dell’impero centrale e la pluralità ordinamentale, basti pensare che viene lasciata l’opzione di scegliere se ricorrere all’ordinamento romano, a quello della sua città o fare ricorso ad ordinamenti di altre comunità.

Si pensi al riguardo alla disposizione del sc. de Asclepiade con il quale si concede ai beneficiari l’optio fori sia come attori che come convenuti. Dall’analisi dei termini presenti all’inizio della clausola risulta che il privilegio di poter adire ciascuna delle tre differenti giurisdizioni era previsto tanto nel caso di un’accusa penale che di controversie civili. Nel provvedimento senatorio, viene accordata la facoltà di adire sia quelli che sarebbero i giudici naturali delle parti in causa, in conformità ad una notissima clausola della lex Rupilia riportata da Cicerone (Verr. II,2,32); in secondo luogo è previsto il tribunale di una civitas libera; ed infine di avvalersi del diritto romano.

Dunque vediamo come il pluralismo e l’unione tra localizzazione e universalizzazione determini complessi problemi organizzativi.

Un esempio: ricostruendo alcuni passi della lex Irnitana nella quale si richiama in via alternativa sia la procedura fiscale romana che quella del municipium di Irni in relazione al valore economico della procedura.

La disconnessione tra giurisdizione e forme organizzative statuarie centrali, è molto rilevante per capire come si possa armonizzare oggi le correnti centraliste-sovraniste e quelle europeiste. Mi pare che la chiave di sintesi tra questi orizzonti di pensiero si trovi nell’equilibrio delle libertà complessive, cioè alcune questioni egualizzatrici o egemonizzanti possono essere concentrate solo su funzioni fondamentali. Per esempio certamente il potere centrale romano aveva la esclusiva competenza militare, però lo stesso potere imperiale lasciava alle autonomie locali tutte le libertà possibili anche quando ai notabili o alle persone importanti delle provincie veniva concessa la cittadinanza romana per una ragione molto semplice, perché non si voleva che queste personalità che erano i terminali del potere centrale, rimanessero isolati all’interno delle loro comunità, quindi anche per un motivo opportunistico, la cittadinanza romana non implicava una soggezione all’ordinamento giuridico romano.

Quindi il notabile provinciale di allora era considerato anche cittadino romano ma la cittadinanza era solo una qualità ampliativa dei suoi diritti, non era però limitatrice del suo diritto di origine.

 

5.       Civitas romana e patria potestas

 

Così credo debba strutturarsi e di fatto si struttura la cittadinanza europea. Noi siamo tutti cittadini europei, ma la cittadinanza europea ha una funzione ampliativa dei diritti che vengono riconosciuti dagli ordinamenti nazionali. Infatti il doppio canale cittadinanza locale/cittadinanza romana nell’ impero, era strutturato in modo da garantire l’equilibrio con gli ordinamenti giuridici locali, era una modello ammirabile, di cui abbiamo testimonianze interessantissime, per esempio in Gaio dove si fa riferimento ad un editto che consente al cittadino romano, colui che ha quindi acquisito la cittadinanza romana, di non assumere la patria potestas, e questo è molto rilevante poiché essa è considerata il requisito fondamentale per il diritto privato romano.

Leggiamo Gai., Inst. 1,55:

 

Item in potestate nostra sunt liberi nostri, quos iustis nuptiis procreavimus. Quod ius proprium civium Romanorum est (fere enim nulli alii sunt homines, qui talem in filios suos habent potestatem, qualem nos habemus) idque divi Hadriani edicto, quod proposuit de his, qui sibi liberisque suis ab eo civitatem Romanam petebant, significatur. Nec me praeterit Galatarum gentem credere in potestate parentum liberos esse.

 

che necessita di essere posto in correlazione con Gaio, Inst. 1,3:

 

Si peregrinus sibi liberisque suis civitatem Romanam petierit, non aliter filii in potestate eius fiunt, quam si imperator eos in potestatem redegerit: Quod ita demum is facit, si causa cognita aestimaverit hoc filiis expedire: diligentius autem exactiusque causam cognoscit de impuberibus absentibusque: Et haec ita edicto divi Hadriani significantur

 

Dunque, secondo Gaio, assodato che la patria potestas è un diritto peculiare dei cittadini romani, non essendoci quasi altri uomini che abbiano sui loro figli una potestà simile[6], va comunque preso atto che, secondo un editto di Adriano, gli stranieri che abbiano chiesto per sé e per i loro figli la cittadinanza romana avranno concessa la potestà paterna, se ne abbiano fatto istanza, solo se l’imperatore riterrà che ciò possa essere conveniente per la prole, come chiarisce l’inciso si causa cognita aestimaverit hoc filiis expedire.

I passi, indagati sotto molteplici prospettive, implicano un giudizio da parte dell’imperatore Adriano negativo sulla razionalità dell’ordinamento familiare romano, quanto meno nella misura in cui la struttura patriarcale potesse apparire un ostacolo al disegno universalistico volto a trasformare l’Impero nella domus communis di una molteplicità di popolazioni, ciascuna individuata da tradizioni ed ordinamenti propri[7].

 

6.   La concessione della cittadinanza e la sua considerazione da parte dei neo cittadini

 

Arriviamo dunque ad un punto conclusivo: la concessione della cittadinanza.         

Il primo dato è che questa concessione non destò un grande interesse ed infatti nelle fonti se ne parla molto poco. Noi posteri abbiamo caricato questo evento di enormi valori simbolici. A questo proposito abbiamo testimonianze molto interessanti in età repubblicana sul valore della cittadinanza romana, si pensi, ad esempio, a quanto tramanda Diodoro Siculo. Lo storico siceliota ci informa che nel 90 a.C. ad un cittadino di creta venne promessa dall’allora console, Lucio Giulio Cesare, la cittadinanza romana come prezzo per il suo tradimento.

Ma davanti a questa offerta il cittadino di Creta esclamò: «La cittadinanza è per i cretesi una sciocchezza altisonante. Noi miriamo all’utile. Perciò anche io adesso vengo per denaro. Lascia gli onori della cittadinanza a chi combatte per essa e compra con il proprio sangue questa contesa sciocchezza» (Diodo. 37.18).

L’aneddoto – vero o falso che sia, questo poco importa – è rilevatore dell’atteggiamento dei Greci verso quello che i Romani consideravano il più alto privilegio cui gli stranieri avrebbero potuto aspirare.

Invero, le popolazioni orientali miravano a ben più concreti benefici che non l’acquisto della cittadinanza romana, tra i quali: il denaro e le immunità (ad esempio le esenzioni dai dazi doganali), ma anche una posizione giudiziaria privilegiata in provincia o una amicizia stretta con i romani più autorevoli.

Questo conferma che certamente i pandettisti e un certo tipo di storiografia culturalmente orientata ha caricato di valore la cittadinanza, in quanto, manifestazione della potenza di Roma. Ciò è un dato culturale di cui dobbiamo tenere conto, in ogni caso ci sono testimonianze che in qualche modo mitigano la retorica delle fonti pandettistiche. La storiografia che si è occupata di queste tematiche ha sostenuto che la sopravvivenza dei diritti locali possa essere definito come un fenomeno di volgarizzazione, questo ci dimostra una certa visione della storia poiché invero abbiamo visto che i diritti locali funzionavano egregiamente all’interno delle singole comunità mentre la cittadinanza si sovrappone a tutto questo, naturalmente ci sono forme di influenza tra diritto romano e diritto locale, questo è inevitabile, basta pensare alla stipulatio che viene inserita con una forma scritta alla fine dei contratti, secondo le usanze locali in modo da sancirne il valore. La stipulatio è un classico esempio di meticciato giuridico.

In conclusione: si deve stare molto attenti a non costruire mai barriere identitarie tra Noi e gli Altri, se riusciamo ad avere una forma di dialogo in cui le ragioni dell’altro diventano anche nostre vuol dire che abbiamo realizzato una forma di umanità dialogante dove non c’è né inclusione né esclusione, ma semplicemente c’è il reciproco riconoscimento della comune Umanità.

 

Abstract: The contribution aims to investigate the theme of exclusion, inclusion, localism of the Roman Empire. In particular, citizenship will be examined under different aspects: its identity or not and its concession, particularly in the judgment of the ancients. It will also be taken into account particular delicate aspects like the granting of citizenship and the preservation of privileges like the optio fori.

 

Keywords: civitas, citizenship, identity, patria potetas, origo, optio fori, Adriano

* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review. Esso costituisce la sintesi dell’intervento da me tenuto il giorno 18.2.2018 per il ciclo di conferenze, afferente alla Cattedra di Diritto romano, dal titolo Immigrati, profughi e rifugiati nei diritti antichi, organizzato presso l’Università degli Studi del Sacro Cuore - Milano dalla carissima Amica ed illustre Collega Professoressa Lauretta Maganzani, alla quale rinnovo i più sentiti sentimenti di grata riconoscenza. Ho ridotto al minimo l’apparato bibliografico in quanto in questa sede mi limito ad anticipare alcune idee che mi sto accingendo a raccogliere e sviluppare in una monografia di prossima pubblicazione.

* Il presente contributo è la sintesi dell’intervento da me tenuto il giorno 18.2.2018 per il ciclo di conferenze, afferente alla Cattedra di Diritto romano, dal titolo Immigrati, profughi e rifugiati nei diritti antichi, organizzato presso l’Università degli Studi del Sacro Cuore - Milano dalla carissima Amica ed illustre Collega Professoressa Lauretta Maganzani, alla quale rinnovo i più sentiti sentimenti di grata riconoscenza. Ho ridotto al minimo l’apparato bibliografico in quanto in questa sede mi limito ad anticipare alcune idee che mi sto accingendo a raccogliere e sviluppare in una monografia di prossima pubblicazione.

[1] A. Palma, Humanior Interpretatio. ‘Humanitas’ nell’interpretazione e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino 1992; sul tema dell’humanitas in rapporto all’inclusione dello straniero v., da ultimo, il bel saggio di M. Bettini, Homo sum. Essere “umani” nel mondo antico, Torino 2019.

[2] G. Valditara, Civis Romanus sum,Torino 2018.

[3] Il problema della cittadinanza romana è stato affrontato da romanisti e storici di Roma in una serie sterminata di ricerche che è impossibile, in questa sede, riepilogare. Mi limito a rinviare alle oltre quaranta pagine di fitte note di G. Crifò, Civis. La cittadinanza tra antico e moderno, Roma-Bari 2000, pp. 87 ss.; Id., Lezioni di storia del diritto romano, Bologna 2010, pp. 23 ss.;G. Luraschi, Sulle leges de civitate, in SDHI, 44 (1978), pp. 321 ss.; Id., La questione della cittadinanza nell’ultimo secolo della repubblica, in SDHI, 61 (1995), pp. 17 ss.; V. Marotta, La Cittadinanza romana in età imperiale (secoli I-III d.C.). Una sintesi, Torino 2009, pp. 10 ss.; D. Mattiangeli, Romanitas, latinitas, peregrinitas. Uno studio essenziale sui principi di diritto romano di cittadinanza, Roma 2010, pp. 13 ss.; M. Genovese, Libertas e civica in Roma antica, Acireale-Roma, pp. 11 ss., dove lo studioso approfondisce il rapporto tra civitas romana e politéia greca, ibid., pp. 33 ss.; M. Humbert, Le status civitatis. Identité et identification du civis Romanus, in A. Corbino – M. Humbert – G. Negri(a cura di), Homo, caput, persona. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza romana, Pavia 2010, pp. 139 ss.

[4] M. Bettini, Elogio del politeismo, Bologna 2014.

[5] Sul concetto di popolo in generale cfr. A. Ernout - A. Meillet, Populus (voce), in Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris 2001, p. 522. Secondo P. Catalano, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, p. 97 nt. 1, il termine populus è certamente un’espressione antichissima ravvisabile in varie formule di diritto divino, ed è stato preceduto da vocaboli più arcaici, poplus e popolus. Vedi anche G. Crifò, Precisioni sulla crisi della repubblica e la genesi del principato di Emilio Betti, in Costituzione romana e crisi della repubblica. Atti del convegno su Emilio Betti, Napoli 1986, pp. 127 ss. Circa, più in particolare, il lessema senatus populusque non è possibile in questa sede neppure sfiorare i problemi interpretativi in ordine all’espressione. Mi limito a rilevare come il riferimento successivo della sigla S.P.Q.R., riferimento preceduto dalla Q, resa generalmente come enclitica senatus populusque, risalga, con molta probabilità, successivamente Quirites, mostrando dunque un senso collettivo, richiamando l’idea di ‘concittadini’, come idea che prevale su quella di ‘cittadini’. Per una sintesi dei problemi cfr. L. Labruna, Quirites (voce), in NNDI, vol. XIV, Torino 1967, pp. 708 ss. e S. Randazzo, Gli equilibri della cittadinanza romana, tra sovranità ed impatto sociale, in TSDP (teoriaestoriadeldirittoprivato.com), V (2012), p. 6 nt. 11.

[6] Cfr. Inst. 1,9,2: In potestate nostra sunt liberi nostri, quos ex iustis nuptiis procreaverimus. Nuptiae autem sive matrimonium est viri et mulieris coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens. Ius autem potestatis quod in liberos habemus proprium est civium Romanorum: nulli enim alii sunt homines qui talem in liberos habeant potestatem qualem nos habemus. L’affermazione è contraddetta da varie esperienze antropologiche, infatti lo stesso Gaio, dopo aver affermato Quod ius proprium civium Romanorum est aggiunge Nec me praeterit Galatarum gentem credere in potestate parentum liberos esse, sul punto cfr. G. Franciosi, Corso storico istituzionale di diritto romano, Torino 2014, p. 328 nt. 32, ma la natura genuina del 'cauto' (R. Martini, Gaio e i «peregrini», in Studi Senesi, 85.1 (1973), p. 280) riferimento ai Galati che si incontra nel primo passo, contestata da S. Solazzi, Glosse a Gaio, in Scritti di diritto romano, vol. 6, Napoli 1972, p. 207 e, sulla scia tracciata da F. Schulz, I principii del diritto romano, (trad. it, di V. Arangio-Ruiz), Firenze 1949, p. 28 nt. 66, è stata difesa da C. Castello, L'acquisto della cittadinanza e i suoi riflessi familiari nel diritto romano, Milano 1952, p. 71, mentre appare ispirata a cautela l’analisi di A.M. Rabello, Effetti personali dellaPatria Potestas. Dalle origini al periodo degli Antonini, Milano 1979, pp. 178 ss.Al passo ascrivono cospicuo significato P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, Torino 1965, p. 131, osservando che «è chiaro, anche in conseguenza dell’affermazione di Gaio, che lo straniero con conubium non acquistava la patria potestas (romana) sui figli, bensì un potere quale il sistema giuridico-religioso romano riconosceva al cittadino di un’altra civitas sui propri figli» e F. Casavola, Cultura e scienza giuridica nel secondo secolo d.C.: il senso del passato, in ANRW, 11.15 (1976), pp. 131 ss. (Giuristi Adrianei, cit., [nt. 7] 55), che vi scorge, come già P. Bonfante, Corso di diritto romano, Milano 1963, pp. 92 ss., la prova della esclusiva riferibilità all’ordinamento romano della famiglia quale «aggregato coeso dal potere paterno». È da tenere presente, d’altra parte, come l’obiettivo essenziale di Gaio fosse «sottolineare le rilevanti peculiarità che contraddistinguono, apud omnes homines, l’istituto posto a fondamento dell’organizzazione familiare romana»: M. Balestri Fumagalli, Lex Iunia de manumissionibus, Milano 1985, p. 104. Per quanto concerne il rapporto tra la potestas paterna e possibilità di iuste nuptiae indicate nel passo gaiano si veda, da ultimo, l’approfondito studio di G. Luchetti, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, Milano 1996, pp. 46 ss.

[7] Sul rapporto complesso tra il diritto romano e le altre realtà giuridiche inglobate nel processo di espansione territoriale si veda il fondamentale L. Mitteis, Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen Provinzen des römischen Kaiserreichs, Lipsia 1891, passim, dove lo studioso studiando le province orientali dell’Impero, sollevò, per primo, il problema dei rapporti tra diritto imperiale (Reichsrecht) e diritto locale (Volksrecht). Gli importanti orizzonti di ricerca da lui aperti sono stati in seguito sviluppati ed approfonditi avendo riguardo, da un lato, alla configurazione di questo rapporto successivamente alla Constitutio Antoniniana, e, dall’altro, alla misura dell’influenza dei diritti locali sul diritto romano. Con riguardo al primo punto, e limitandosi ad accennare alle soluzioni dottrinali proposte, può dirsi che, secondo Schönbauer, gli appartenenti a civitates non romane aggiungono, dopo il provvedimento di Caracalla, la cittadinanza romana a quella d’origine. E conseguenza della doppia cittadinanza è il riconoscimento della formale validità dei diritti locali accanto al diritto ufficiale dell’Impero (E. Schönbauer, Reichsrecht gegen Volksrecht? Studien über die Bedeutung der Constitutio Antoniniana für die römische Rechtsentwicklung, in ZSS, LI (1931), pp. 277 ss.). In senso contrario Arangio-Ruiz ha ritenuto, seguendo il Mitteis, la cessazione della separazione tra i diritti locali e il diritto romano in seguito all’editto di Caracalla: «da quel momento, i provinciali avrebbero dovuto vivere senz’altro secondo le leggi della nuova patria; e il diritto privato romano avrebbe dovuto diventare universale da cittadino che era nelle origini e nella struttura»: V. Arangio-Ruiz, Storia del diritto romano, 7a ed., Napoli 2003, p. 338. Sulla polemica tra Schönbauer e Arangio-Ruiz vedi M. Talamanca, Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della Constitutio Antoniniana, in Studi in onore di Edoardo Volterra, vol. V, Milano 1971, pp. 433 ss. Una terza opinione è quella di superare il problema della doppia cittadinanza, e ritenere la validità dei diritti locali su un piano consuetudinario, quale fonte sussidiaria rispetto al diritto romano: F. Gallo, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino 1993, pp. 177 ss.

Palma Antonio



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