Educazione, argomentazione e retorica: perché il debate non educa alla gestione del dissenso
Serena Tomasi*
Educazione, argomentazione e retorica:
perché il debate non educa alla gestione del dissenso**
English title: Education, argumentation and rhetoric: this is why the debate does not educate in the management of dissent
DOI: 10.26350/18277942_000087
Sommario: 1. Introduzione. 2.Profili educativi dell’argomentazione. 3. La relazione tra retorica e argomentazione. 4. La retorica del dissenso. 5. Il modello della retorica giudiziaria. 6. L’uso della retorica per l’educazione alla cittadinanza. 7. Osservazioni conclusive.
1. Introduzione
La scelta di affrontare nelle scuole attività di carattere argomentativo è stata motivata da considerazioni di lungo corso, discusse nei programmi già del 1979[1], sull’importanza per gli individui di acquisire, da studenti, capacità argomentative per la propria formazione intellettuale e nella vita sociale; la pratica didattica si è arricchita di una serie di attività propedeutiche e parallele per impostare ragionamenti ed argomentarli, e per consentire un uso reale delle abilità raggiunte.
Questa pratica trova oggi piena legittimità nei programmi formativi a livello europeo[2]: quello delle competenze costituisce, infatti, un tema cardine, con implicazioni che investono i temi della formazione, dell'istruzione e dell'orientamento al lavoro e al benessere sociale. Il testo di riferimento che cristallizza e definisce le competenze è la Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l'apprendimento permanente (con il suo Allegato Quadro di riferimento europeo), approvata dal Parlamento Europeo il 22 maggio del 2018. Le competenze ivi elencate fanno riferimento anche alla cittadinanza, indicando come obiettivo educativo l’inserimento di attività finalizzate all’apprendimento di skills che consentano agli individui-alunni di agire da cittadini consapevoli e responsabili, partecipando appieno alla vita sociale e politica.
L’osservazione, alla base della riflessione che intendiamo sviluppare in questo studio, è che la pratica didattica ha portato in modo prevalente, nelle scuole e anche nelle università, a sperimentare il “debate” come percorso di formazione sia curriculare sia extracurriculare[3]: il debate è una specie di gioco che contrappone due parti, che si sfidano a discutere su qualunque argomento, utilizzando strategie per vincere l’avversario. Questa metodologia didattica allena i giovani a confrontarsi e a sostenere l'argomentazione pertinente alla tesi assegnata loro, raccogliendo informazioni, elaborandole ed esponendole di fronte ad una giuria e ad un pubblico.
La diffusione di questo percorso didattico ingenera la convinzione che il botta-e-risposta sia una forma esemplare di argomentazione e che il modello del confronto agonistico possa avere valenza civica ed una sfera di operatività estesa a tutti i contesti della vita sociale.
L’importanza di un’attenzione pedagogica all’argomentazione ci induce, in prima battuta, a chiarire che cosa sia l’argomentazione per così mostrare la tendenziosità della selezione di un modello competitivo nelle pratiche argomentative; si proverà, invece, a mostrare come un approccio di tipo retorico consenta di riflettere sul disaccordo, superando la polarizzazione dei debaters, sino a rimettere pienamente in gioco la persona nella pratica argomentativa. Proveremo ad affrontare il tema della divergenza d’opinione attraverso le categorie retoriche della fiducia-persuasione, in una prospettiva filosofica, quella aristotelica, che crediamo possa dare un interessante contributo alla pratica argomentativa sul piano educativo. Nel fare questo, la retorica forense fornisce un esempio per cogliere i limiti di un modello agonistico che, come vedremo, neppure il processo incarna.
2. Profili educativi dell’argomentazione
Nella teoria dell’argomentazione, il settore interdisciplinare “argumentation&education” raccoglie contributi di studiosi di argomentazione e di pedagogia, che condividono il commitment di chiarire i fondamenti teorici dei modelli argomentativi e di sviluppare forme pratiche di esercizio argomentativo in ambito educativo[4].
Il campo di intersezione tra “argomentazione & educazione” riguarda molti ambiti educativi, non solo quello propriamente scolastico. L’educazione è, infatti, intesa come un processo, che rimanda ad una pluralità di relazioni tra parti (non solo tra docenti e studenti)[5]: in questo senso, la scuola è uno dei luoghi educativi, ma non l’unico, nella complessa rete delle relazioni sociali in cui l’uomo si forma. Lo spunto pedagogico non va inteso, quindi, in senso riduttivo: l’impegno teorico mira a dare risposte adeguate alle esigenze educative, al di là dell’istruzione scolastica.
Da una breve panoramica delle ricerche di questo settore, emerge che il concetto di argomentazione viene adoperato con diverse sfumature[6]. Riassumendo e semplificando, possiamo distinguere quattro linee di sviluppo in campo educativo[7]:
(1) In un primo senso, la psicologa Deanna Khun attribuisce all'argomentazione nei processi educativi una funzione metacognitiva per sollecitare gli studenti sia a ragionare sia a riflettere sul modo di pensare.
(2) In una seconda accezione, l’argomentazione è intesa come metodologia di insegnamento: le ricerche di Driver, Newton e Osborne dimostrano la centralità dell'argomentazione nella didattica delle discipline tecniche-scientifiche, osservando risultati diversi di apprendimento a seconda della struttura argomentativa della lezione proposta in aula dall’insegnante.
(3) Il terzo uso dell’argomentazione (secondo l’approccio di Andriessen et al.) si fonda sulle relazioni tra argomentazione e apprendimento, distinguendo tra imparare ad argomentare, ed argomentare per imparare altre discipline.
(4) In ultima accezione (Nussbaum), l’argomentazione è intesa come modo per cooperare, presupponendo il rispetto per l’altro e l'attenzione comune per le regole del dialogo.
Questa rassegna, ancorché non esaustiva, delinea la ricerca sinergica di teorici dell’argomentazione e pedagogisti di una logica interna alla comunicazione nella vita democratica, valorizzando dell’argomentazione la cd. socialization[8], il dialogo ragionato, la condivisione di regole per la discussione. In quest’ambito, la nozione comunemente accettata di argomentazione è quella elaborata dalla pragma-dialettica, uno degli approcci oggi dominanti che analizzano la pratica argomentativa come «un’attività verbale, sociale e razionale mirante a convincere un critico ragionevole dell’accettabilità di una tesi tramite un insieme di proposizioni che vengono avanzate per provare o confutare la proposizione espressa nella tesi»[9].
Il modello pragma-dialettico di van Eemeren e dei suoi collaboratori si sviluppa in direzioni stimolanti per il fine educativo per alcuni punti teorici in cui le prospettive di studio interdisciplinari si intersecano.
Una delle concezioni chiave è quella di linguaggio, inteso come uno strumento di azione: in una discussione di tipo argomentativo, infatti, ogni partecipante presenta un proprio standpoint, un’opinione che, come suggerisce il nome, costituisce il punto di partenza del dialogo; le parti, interloquendo, introducono proposizioni nelle quali lo standpoint in discussione è attaccato o difeso. Ciascuna parte produce, quindi, discorsi che sono orientati a produrre nell’ascoltatore un certo risultato, quello di convincerlo dell’accettabilità della propria tesi, in modo da modificarne il comportamento.
Un altro punto teorico su cui va posto l’accento è che ciascun language user propone argomenti volti a giustificare o a confutare un’opinione: la discussione si sviluppa dialetticamente e si compone di pro-arguments e di contra-arguments.
Secondo gli autori pragma-dialettici, tuttavia, la risoluzione della disputa, ispirata a criteri di ragionevolezza, può avvenire solo a condizione che le parti assumano un comune impegno etico: una discussione si dovrebbe sviluppare in modo perfettamente ragionevole, per cui ogni passaggio dovrebbe essere distinto dagli altri ed apportare il proprio contributo alla risoluzione di una divergenza di opinioni. Secondo questo modello, la parte che nella discussione avanza la tesi principale assume il ruolo di protagonista; la parte che, invece, mette in questione la tesi principale svolge il ruolo di antagonista. Il protagonista difende il proprio standpoint, l’antagonista lo attacca; il primo tenta di convincere l’altro dell’accettabilità della propria tesi, mentre il secondo solleva in punto dubbi ed eccezioni. È fondamentale l’iniziale riconoscimento reciproco, da parte degli arguers, della sussistenza di una divergenza di opinioni e della concorde volontà di risolvere il conflitto, individuando i punti di partenza della discussione, assumendo i rispettivi ruoli, assegnando l’onere della prova. Le parti agendo all’unisono nella direzione di risolvere il loro disaccordo, nella fase conclusiva della discussione, stabiliscono in accordo in che misura la divergenza d’opinioni si sia risolta: se il protagonista ritira la tesi, la disputa è vinta dall’antagonista; se l’antagonista ritira i suoi dubbi, la discussione si conclude in favore del protagonista.
In conclusione, il concetto di argomentazione diffuso nell’uso pedagogico, di impronta pragma-dialettica, è quello di strumento per la risoluzione di situazioni di conflitto[10]. Il punto di partenza del cerchio argomentativo è, infatti, la divergenza di opinioni ed il punto di arrivo è l’accordo: la teoria dell’argomentazione pragma-dialettica, in modo esemplare, delimita le condizioni alle quali, attraverso l’uso, insieme, di parola e ragione, è possibile risolvere le controversie d’opinione sino al consenso delle parti. La pragma-dialettica, così come le principali teorie dell’argomentazione contemporanee, ricerca l’accordo a partire dal disaccordo ed elabora, in termini di regole e mosse, un sistema normativo adatto alla soluzione di posizioni divergenti, attraverso scambi verbali ragionati, alternativi all’uso della violenza. In quest’ottica, il successo della scuola di Amsterdam, deriva da quel compendio di regole logiche, dialettiche e pragmatiche (cd. dieci comandamenti), che si presta ad essere usato come uno strumento di facile applicazione in diversi contesti, al fine di risolvere le situazioni di conflitto d’opinione, con automatica condanna di ogni mossa che possa causare deragliamenti dalla strada per il ragionevole consenso.
Occorre, a nostro avviso, problematizzare l’adozione di una simile prospettiva argomentativa in ambito formativo: se vogliamo che l’argomentazione svolga una funzione nelle società democratiche e sia socialmente costruttiva, è necessario che il suo scopo sia più vasto del solo raggiungimento del consenso. Se lo scopo dell’argomentazione è quello di costruire un’alternativa all’uso della violenza anche nei casi in cui il dissenso sia categorico e non possa essere risolto, occorre ripensare il concetto di argomentazione, dal suo fondamento teorico.
Come già osservato dal filosofo del diritto Vittorio Villa, i disaccordi profondi sono, infatti, un aspetto strutturale importante dei nostri stati di diritto costituzionali contemporanei: si tratta di divergenze radicali su termini e locuzioni di carattere etico-politico (pensiamo ai termini di “persona”, “dignità”, “vita”, “autodeterminazione”, “famiglia”, ecc.), che ricorrono anche nelle disposizioni giuridiche e che determinano disaccordi interpretativi irrisolvibili[11].
Serve, vieppiù nel quadro attuale socio-politico, ridefinire il significato di argomentazione riconoscendo il conflitto d’opinione non unicamente come uno stato da risolvere, ma come un elemento costitutivo della vita sociale e politica, non da dissolvere in un’utopistica deriva irenica, ma da gestire.
Si inserisce in questa prospettiva critica la linea di ricerca di Ruth Amossy che, da un lato stigmatizza l’errore delle principali teorie contemporanee dell’argomentazione di valorizzare il processo argomentativo in senso unidirezionale, finalizzando lo scambio verbale al consenso, alla pace e alla vittoria; dall’altro, evidenziando il valore costruttivo del conflitto, induce a ripensare all’argomentazione dal suo fondamento retorico[12].
Amossy elabora un'innovativa “retorica del dissenso”, che ha il merito di mettere in evidenza tra le funzioni sociali dell’argomentazione quella di garantire una “coesistenza nel dissensus” e di gestire quel dialogo tra sordi che porterebbe inevitabilmente allo scontro violento.
Vediamo, quindi, nei prossimi paragrafi alcune implicazioni che comporta l’adozione di una prospettiva autenticamente retorica e, segnatamente, della retorica del dissenso.
3. La relazione tra retorica ed argomentazione
Nelle principali teorie dell’argomentazione[13], l’importanza data al dialogo come logica dialettica esclude il riferimento al carattere individuale o morale delle parti: la scuola di Amsterdam, che abbiamo considerato sinora in via esemplare, valorizza il dialogo nella forma di discussione critica, normando le condizioni alle quali può essere condotta a buon fine. La classificazione automatica di certe mosse come fallaci dipende da queste regole, che riflettono la struttura interna dell’argomento, e che richiedono l’impegno delle parti al leale confronto reciproco, escludendo la possibilità di ogni riferimento alla persona che argomenta e al genere di discorso[14].
Eppure, è proprio su questi elementi, legati alla persona, che si innesta il discorso persuasivo: se ci chiediamo cosa ci fa credere che qualcosa che ci è stato detto sia ben argomentato o che cosa rende un discorso persuasivo, non è possibile rispondere con alcuna teorizzazione esaustiva ed oggettiva, poiché, come osserva Aristotele, il persuasivo è qualcosa di concreto ed individuale[15].
Fare riferimento ad Aristotele significa, tra le altre cose, assumere la sua definizione di retorica come la «capacità di scoprire, per ogni argomento, ciò che può risultare persuasivo» (Rh. 1355b 27). Il persuasivo, come osserva Francesca Piazza in una rilettura critica del testo aristotelico, non esiste «in sé», ma «è sempre persuasivo per qualcuno» (Rh. 1356b 28)[16]. La retorica, in quanto capacità di scoprire ciò che può risultare persuasivo in ogni argomento riguarda tutti gli aspetti che possono contribuire alla realizzazione della persuasione dell’ascoltatore. Il punto di vista retorico ha il vantaggio di porre la persona del parlante/dell’ascoltatore al centro del discorso e di considerare gli aspetti emotivi ed etici non come elementi irrazionali o, comunque, contrapposti alla logica, ma come componenti essenziali dell’attività argomentativa nel suo complesso.
Il ricorso alla dimensione della persona, ad ethos e pathos viene, invece, valutato dai teorici della pragma-dialettica, nella prospettiva di una pratica argomentativa di mosse per vincere una discussione, come una fallacia[17].
Nel sistema argomentativo, la retorica è intesa come accessoria, un possibile innesto in un sistema già perfetto: i pragma-dialettici hanno elaborato, più recentemente, il concetto di manovra strategica per integrare la struttura dialettica con elementi retorici, distinguendo la dialettica («deals with general and abstract question. It embraces the idea of reasonableness»), dalla retorica («concerns itself with specific means and with the contextual adjustments required to convince specific people. It embraces the idea of effectiveness. Effective persuasion must be disciplined by dialectical rationality»)[18]. Dalla definizione si ricava che la relazione tra reasonableness e effectiveness è di dipendenza e subordinazione: le parti, cioè, operano in modo retorico allo scopo di rendere efficace quanto determinato razionalmente. Come nota Andrea Rocci[19], l’idea della strategic maneuvering mostra un recupero parziale della retorica, intesa non in senso classico-aristotelico, ma tuttalpiù come persuasione ragionevole. Le regole prama-dialettiche sono i limiti della ragionevolezza e segnano il confine netto tra una strategia persuasiva buona e cattiva: la retorica è buona se contribuisce alla ragionevolezza del discorso; è cattiva se contribuisce all’irragionevolezza e se deraglia dai dialectical goals. Se, infatti, agendo in modo strategico, una o più regole della discussione critica vengono violate, la mossa strategica è fallace.
La svolta dell’embodiment della strategic maneuvering nell’impianto pragma-dialettico è solo apparentemente una rivalutazione della retorica nell’argomentazione: la retorica continua, infatti, ad essere intesa in un’accezione negativa. Permane, nella teoria dell’argomentazione contemporanea, quell’idea di retorica come lusinga, cosmesi, capacità di sedurre con le parole, sino a manipolare il senso, che si suppone possa essere oggettivo e razionale[20]. Ciò che emerge da questo tipo di analisi e ricerche contemporanee è la supremazia del logos e l’inevitabile conseguente scissione della triade aristotelica ethos-pathos-logos: la convinzione diffusa è che si possa produrre un discorso razionale e che le parole, vestendolo come un abito, possano valorizzarne il contenuto, ma anche occultarlo o persino modificarlo. “Cosa si dice” e “come lo si dice” sono, invero, due componenti essenziali per la concreta realizzazione del processo persuasivo: la retorica insegna che le parole non sono mai neutre e che ogni scelta espressiva implica un posizionamento[21]. Ecco dunque che, in una prospettiva autenticamente retorica, non solo è possibile essere ragionevoli e persuasivi, ma anzi non è possibile essere ragionevoli senza essere persuasivi.
Viene allora da domandarsi se la cd. svolta argomentativa, qui sinonimo di retorica secondo la tradizione aristotelica ripresa e riformulata da Chaïm Perelman (1958)[22], si sia compiuta o se la diffidenza alla retorica non sia mai scomparsa.
Va detto che esistono, oggi, scuole che si occupano di argomentazione in una prospettiva funditus retorica, ma si tratta di una posizione minoritaria, rappresentata soprattutto da studiosi di linguistica, che mostrano in che misura il punto di vista della retorica antica ci consenta uno sguardo diverso e più fecondo sulla pratica argomentativa[23].
Ci soffermeremo, nel paragrafo seguente, su quella che ci sembra l’intuizione fondamentale della retorica classica, che fa da cornice teorica alla retorica del dissenso di Ruth Amossy.
4. La retorica del dissenso
La linea di ricerca di Ruth Amossy, nell’ottica della contemporaneità, consiste in una “retorica argomentativa”[24], che si caratterizza per il diverso ruolo assunto dalla dimensione soggettiva. Nonostante le aperture retoriche, la maggior parte delle teorie dell’argomentazione preferisce, come abbiamo mostrato, un approccio normativo, che elide la dimensione emotiva e che perde così di vista la persuasione come un fenomeno complesso, cognitivo, emotivo e sociale.
Il poter essere influenzati ed influire sugli altri riguarda l’uso del linguaggio nella relazione con l’altro e, più in generale, la persona. «Intendere la persuasione come un tratto antropologico, e non soltanto come un caso speciale di comunicazione, è condizione preliminare per fare della retorica un’interlocutrice reale della pragmatica e non soltanto una nobile antenata o un settore particolare. Soltanto se la persuasione è vista come un tratto interno al linguaggio la retorica può davvero rivelare tutta la sua potenzialità eristica»[25].
La strada, per Amossy, è quella di tornare alla tradizione retorica iniziata con Aristotele, per prendere in considerazione il contesto e la persona dell’oratore. L’intuizione fondamentale aristotelica sulla persuasività, intesa come capacità di avere presa sul mondo e sugli altri, si trova in un celebre luogo della Retorica (Rhet. 1358a 37-b1) ove, nell’affermare che il logos è costituito da colui che parla, da ciò di cui si parla, da colui a cui si parla e che il fine è rivolto a quest’ultimo, è descritta con densità di significato la relazione discorsiva. In posizione di primato è posto l’ascoltatore: a commento del passaggio, Francesca Piazza nota che «Aristotele sta dicendo qualcosa di diverso: (…) ciascuno di questo tre elementi concorre alla costituzione del logos che, al di fuori di questa relazione triadica non avrebbe più nessuna esistenza reale, dunque nessuna possibilità di aver presa sul mondo. Non c’è un logos i cui parlanti semplicemente si servirebbero, come utenti esterni, per trasmettersi informazioni, ma un’unica realtà i cui componenti non sono separabili, se non per un processo di astrazione, utile per alcuni scopi, purché non si dimentichi che appunto di astrazione si tratta»[26].
Questa concezione del logos consente, infatti, di guardare in modo diverso alla relazione tra parlante ed ascoltatore: ogni parlante spera di indurre fiducia e persuasione nell’altro ma, nella sua concreta realizzazione, per le ragioni appena viste, il successo persuasivo dipende dalla peculiare relazione tra le diverse componenti.
In questa prospettiva, non è affatto detto che il risultato dell’argomentazione coincida con il consenso: si deve considerare l’argomentazione come quel luogo in cui si esprimono i disaccordi, e talvolta, si perpetuano[27]. Secondo Emanuelle Danblon, per comprendere la dinamica di accordo/disaccordo nella interazione tra le parti occorre fare riferimento al modello retorico della sinestesia aristotelica[28]: il ricorso ai sensi e al senso comune consente di spiegare quei casi in cui il confronto tra posizioni antagoniste non dia luogo ad una convergenza, e sia necessario ricercare ciò che le parti avevano in comune. Nel libro IX dell’Etica Nicomachea, Aristotele spiega come possa avvenire la ricostruzione di uno spazio comune tra gli interlocutori facendo riferimento alla sensibilità: «il co-sentire si forma nel co-vivere e nel partecipare-comunicarsi discorsi e ragionamenti: questo, infatti, sembra che sia per gli uomini il co-vivere e non, come per il gregge, il pascolare nello stesso luogo»[29].
Seguendo questa direzione di ricerca, si tratta, quindi, di rivedere il goal dell’argomentazione, includendo la nozione di soggettività affinché sia possibile contemplare dinamiche più complesse, come quelle in cui lo sforzo argomentativo consista nel gestire la sussistenza del disaccordo, ricostruendo quella condizione pre-argomentativa di accordo tra parlanti mediante l’empatia.
Sintomatico del cambiamento di prospettiva al modo di guardare alla persona è il trattamento dell’argomento ad hominem. Comunemente[30], nelle teorie dell’argomentazione di tipo dialettico, l’attacco alla persona, è inteso in automatico come un paralogismo; secondo un punto di vista retorico, invece, il discorso sulla persona può legittimamente costituire parte integrante di un’argomentazione con la quale l’avversario intende destabilizzare l’interlocutore, toccando la sensibilità dell’auditorio. «I colpi portati alla reputazione dell’altro sono autorizzati in maniera ancora più netta allorché l’analista li considera come compresi negli scambi polemici che fanno parte del discorso sociale. Gli attacchi veementi contro la persona dell’avversario sono allora parte integrante di una retorica del dissenso che esamina la gestione polemica delle controversie nei contesti istituzionali e generici appropriati»[31].
Legittimo è quindi l’uso di argomenti che possano portare discredito sull’altro poiché le questioni sull’ethos rientrano nelle dinamiche dell’affidarsi ad un altro e, in senso lato, nella dimensione soggettiva del discorso.
5. Il modello della retorica giudiziaria
Questo tipo di riflessioni devono essere necessariamente prese in considerazione anche per una teoria dell’argomentazione in ambito giuridico. La nozione di retorica del dissenso si adatta, infatti, alla retorica giudiziaria e consente di dare adeguato rilievo ad alcuni elementi dell’argomentazione in processo, mostrando l’inconsistenza di quella credenza che associa il foro ad un ring[32].
In primo luogo, ciò che emerge da questo tipo di analisi è una forma di soggettività che coinvolge il soggetto in forma plurale: in questo aspetto sta anche il limite delle teorie argomentative normative, che riducono l’argomentazione giudiziaria alla mera dialettica processuale, perdendo di vista la complessità soggettiva dello spazio pubblico del processo, che non si esaurisce affatto in un dialogo a due. La pratica argomentativa forense è ben lontana dalla struttura duale agonistica, stigmatizzata nella metodologia del debate: il processo è un «trilogo»[33] o, riprendendo l’iconografia classica dello scontro, un «duello triangolare»[34]. Se consideriamo la dinamica dell’agone processuale emerge che il giudizio non si esaurisce mai in una disputa tra due avversari, ma si sviluppa nella relazione trium personarum. La partecipazione del terzo, esplicitamente prevista e ritualizzata dai codici, si realizza con un coinvolgimento cognitivo e personale: l’appello al giudice e la ritualizzazione della procedura rendono esplicita la funzione del giudicante e l’importanza del contesto nel quale il contraddittorio ha luogo. La giustizia è proclamata dal giudice in nome del popolo: questa formula linguistica è ricca di significato poiché non solo delinea la nozione di senso comune che vive nello spazio del giudizio ma, allo stesso tempo, richiama l’attenzione sulla dimensione pubblica del giudicato, giacché, ad essere in gioco, nel processo, non è solo la res controversa tra due parti, ma valori intrinsecamente sociali.
In secondo luogo, la centralità assegnata alla relazione triangolare rivela i limiti di una teoria normativa fondata sulla dialettica: il botta e risposta rappresenta, infatti, solo uno degli aspetti di una pratica verbale più complessa. Sarebbe riduttivo rappresentare l’impalcatura teorica dell’argomentazione processuale sulla mera confutazione: configurare il processo come una battaglia all’ultimo sangue tra due contendenti è un’astrazione, ovvero una semplificazione che tradisce la dimensione negoziale caratteristica del processo.
In quest’ottica, la riflessione sullo statuto dell’accordo ci induce a rilevare che anche nel processo la dinamica argomentativa è più complessa di un flusso unidirezionale che porta, da una divergenza di opinioni, alla risoluzione irenica del conflitto con la pronuncia della sentenza. Nel corso dell’argomentazione giudiziaria, si manifesta ricorrentemente quell’esigenza di gestire, in continuità, il passaggio dal disaccordo all’accordo e dall’accordo alla coesistenza nel disaccordo. Il punto di partenza dell’argomentazione forense è una forma pre-argomentativa di accordo: esiste un accordo preliminare, anche implicito, che riguarda elementi sia di rito sia di merito. Dopo la contestazione, le parti assumono espressamente posizioni divergenti: la retorica forense apre lo spazio per mantenere un accordo nel disaccordo attraverso un’attività di condivisione, che è caratteristica di qualsiasi pratica comunicativa. Considerata nel suo sviluppo, l’argomentazione giudiziale non si esaurisce nei discorsi pronunciati dalle parti, ma ingloba una dimensione pratico-percettiva, di gesti e azioni, compiute dai partecipanti, che creano un equilibrio tra competizione e cooperazione.
La pratica del contraddittorio processuale evoca, in modo esemplare, oltre alla differenza di vedute e alla fase rappresentativa del ‘botta-risposta’, una cornice più complessa che implica procedure e formule per la gestione della permanenza del conflitto tra le parti.
6. L’uso della retorica per l’educazione alla cittadinanza
Senza addentrarci nelle questioni più specificamente teoriche legate alla distinzione tra i due approcci, dialettico e retorico, e sulla diversa rilettura del rapporto consenso/dissenso, crediamo si comprendano le ragioni per cui debba essere adeguatamente valutata nella pratica argomentativa la capacità di esprimere passioni e carattere, e di sapersi conformare alle questioni in discussione.
In altri termini, per argomentare non basta analizzare il discorso scomposto in premesse e conclusioni, ma occorre acquisire consapevolezza delle dinamiche proprie della comunicazione intersoggettiva: i parlanti-ascoltatori non sono entità astratte e disincarnate che si passano informazioni secondo un meccanismo lineare di emissione/ricezione di contenuti.
Presentare un’argomentazione significa dire qualcosa a qualcuno per un certo fine, e richiede saper prendere in considerazione sia l’opinione dell’oratore, sia il contesto di ricezione del discorso[35].
Va da sé, ma è rilevante portarlo in evidenza, che l’opinione dell’oratore esiste prima di essere formulata come un argomento e diventa un argomento solo quando viene esplicita a qualcuno: focalizzare lo scarto tra l’opinione e la sua formulazione argomentativa significa cogliere l’aspetto retorico dello scambio argomentativo. È, infatti, possibile presentare la stessa opinione in formulazioni diverse di fronte a pubblici differenti, senza che vi sia contraddizione tra ciò che si pensa e ciò che si dice[36].
Parimenti, prima dell’argomentazione, esiste un “contesto di ricezione”, cioè opinioni, valori, giudizi che sono condivisi da un determinato uditorio. Con l’argomentazione, l’oratore mira ad integrare la propria opinione con quelle preesistenti condivise dall’uditorio e, così facendo, modificare quel contesto di ricezione. Se l’argomentazione è persuasiva, il contesto di ricezione sarà cambiato: non solo nel senso quantitativo, per il fatto che il contesto ricettivo disporrà di un’opinione in più rispetto a quanto già pensava, ma anche dal punto di vista qualitativo.
Per ricercare una crescente adesione alla propria tesi, l’oratore dovrà intervenire sul legame che intrattiene con l’uditorio e rafforzare il grado di adesione degli ascoltatori a certi valori. Nel caso di disaccordo, affinché sia possibile il confronto e l’espressione del dissenso, non è possibile limitarsi a trattare le opinioni come una coppia di contrari; è facile intuire che il puro esercizio dialettico aumenterà la divisione e la distanza delle posizioni sino a produrre un disaccordo profondo.
Questo schema, così come integrato da Breton con l’enunciazione degli elementi preesistenti all’argomentazione (l’opinione dell’oratore ed il contesto di ricezione dell’uditorio), consente di spiegare il processo retorico della costruzione dell’accordo: la retorica dischiude la via della concordia agendo, con il linguaggio, sul legame oratore/uditorio, rinsaldandolo o riplasmandolo nel caso di disaccordo profondo.
La ricerca, in concreto, di un accordo comporta cioè l’individuazione di punti di appoggio su cui l’argomentazione possa essere costruita.
7. Osservazioni finali
Il problema, centrale nella teoria dell’argomentazione, con conseguenti implicazioni per le attività educative, è l’incompletezza dell'apparato analitico delle formulazioni teoriche contemporanee, che rappresentano le dinamiche discorsive attraverso la metafora dello scontro, assegnando agli interlocutori lo status di avversari. La sfida teorica sembra essere quella di approntare procedure esaustive per esaminare discorsi e testi argomentativi e per risolvere in modo ragionevole qualsiasi divergenza d’opinione. Restano, però, problemi da un punto di vista pratico: i modelli argomentativi diffusi non solo non contemplano la possibilità che la controversia rimanga irrisolta, ma alterano il fine pratico dell’argomentazione, che è orientata alla deliberazione in vista di un’azione concreta.
È chiaro che le metodologie didattiche dipendono dal modo di intendere l’argomentazione: nella cornice dell’argomentazione competitiva, l’argomento migliore è quello più efficace per affermare il proprio punto di vista; nella prospettiva dell’argomentazione retorica, l’argomento migliore è quello più adatto alla situazione concreta.
Per orientare la pratica scolastica, nella quale è invalsa la metodologia del debate, ci appaiono ancora attuali le osservazioni di Adriano Colombo:
E tuttavia non credo che l’argomentazione competitiva possa essere rifiutata come diseducativa in sé; oltre al valore che ha di attrezzare gli allievi di fronte all’argomentazione altrui (…), non si può trascurare che esistono situazioni di vita comune che richiedono la capacità di persuadere gli altri di un proprio punto di vista che in quel momento non si ritiene di rimettere in questione. (…) Ritengo dunque che la pratica scolastica dovrebbe coltivare entrambi i modi (…). Credo che sia opportuno, nelle circostanze adatte, far acquisire agli allievi la consapevolezza della differenza tra le due situazioni[37].
Si tratta di una riflessione che, nella sua chiarezza, ci invita a non censurare pratiche competitive, alla condizione che sia note le divergenze tra gli approcci. Le teorie retoriche, a confronto di quelle dialettiche, hanno il pregio di valorizzare lo stato del conflitto come un fenomeno caratteristico ed incontestabile della vita democratica. L’invito a considerare la pratica concreta, più che procedure teorico-normative di discussione, è volto a decentrare il fulcro argomentativo dall’accordo al disaccordo, conformandosi così a quelle situazioni, che caratterizzano la nostra vita e la nostra società, nelle quali i due punti di vista si rivelano incommensurabili. Questo ribaltamento di prospettiva si rende possibile solo con il coinvolgimento dei soggetti, trattando l’ethos e il pathos non come mezzi di prova irrazionali o fallacie, ma come ineliminabili aspetti della persona e, perciò, persuasivi.
Abstract: In the educational practice, the "debate" is a widespread form of argumentative training both curricular and extracurricular. It generates the conviction that the model of competitive confrontation can have civic value and a sphere of operation extended to all contexts of social life. In this paper, we first clarify the concepts of argumentation, to show the tendentiousness of the selection of a competitive model in argumentative practices. Instead, we will try to address the issue of conflict of opinions through the rhetorical categories of persuasion, in a philosophical perspective, the Aristotelian one, which we believe can make an interesting contribution to the argumentative practice on an educational level. In doing this, forensic rhetoric provides an example for grasping the limits of a competitive model, which not even the trial embodies.
Keywords: argumentation, rhetoric, democratic dissent, debate, education, legal reasoning
* Università degli Studi di Trento (serena.tomasi_1@unitn.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1]Attuali sono le considerazioni di Adriano Colombo che riconduceva il bisogno argomentativo ad una prospettiva antropologia moderna, che ricerca e trova nelle abilità del singolo, e non più nell’appartenenza ad una comunità, le forme di nuova convivialità: «Perché occuparsi dell’argomentazione a scuola? Una prima, ovvia, risposta è che la vita sociale odierna moltiplica le occasioni di discussione e decisione collettiva: dall’assemblea di condominio al consiglio di quartiere alle mille forme di associazione culturale, ricreativa, sindacale, politica, eccetera. L’ideale dell’educazione alla democrazia esige che si formi un cittadino capace di sostenere efficacemente i propri punti di vista, di capire e valutare quelli altrui. In ambiti più vasti, si vorrebbe formare un buon cittadino capace di capire criticamente i messaggi persuasivi dei media (sottolineo: prima capire) e anche di intervenire nella vita pubblica nelle forme della lettera ai giornali, della petizione, dell’appello. Si tratta dunque di sviluppare un’attrezzatura di concetti, procedure, abitudini mentali che rendano l’individuo autonomo nella ricezione e valutazione, e poi nella produzione in proprio, di argomentazioni. C’è forse anche un senso più profondo in cui l’argomentazione è diventata un momento decisivo nella vita delle persone. La nostra società si fonda sempre meno sull’appartenenza: non si appartiene più per nascita a una chiesa, a una corrente ideologica, a una subcultura, che decidono i nostri orientamenti ideali. (…) Una decisione che non sia più frutto automatico dell’appartenenza, o delegata ad altri, deve essere fondata sull’ascolto attento delle ragioni che ci vengono proposte e sulla capacità di elaborarle nel foro della coscienza, di giustificarci con noi stessi. Ecco, dunque, che la capacità di ragionare, cioè di elaborare percorsi argomentativi sensati, diventa decisiva anche per l’equilibrio interiore della persona». Così A. Colombo, I presupposti pedagogici e modelli di analisi, in A. Colombo (a cura di), I pro e i contro, Quaderni del Giscel, Firenze, 1992, pp. 59-84, spc. pp.59-60. L’importanza di un’attenzione pedagogica all’argomentazione e ai testi che la veicolano è stata sostenuta da più parti: cfr. G. Mosconi, P. Orvieto, L. Gianformaggio, L. Arcuri, R. Job, Discorso e retorica, Torino, 1981.
[2] Per una disamina degli orientamenti pedagogici del Novecento, v. S. Zullo, La didattica del diritto tra teorie dell’apprendimento, orientamenti pedagogici e strategie per l’insegnamento scolastico, in V. Marzocco, S. Zullo, T. Casadei, La didattica del diritto. Metodi, strumenti e prospettive, Pisa, pp. 49-87.
[3] Sullo statuto del debate: A. Cattani, Botta e risposta: l'arte della replica. Come dirsele (non darsele) di santa ragione. E perché fa bene, Roma, 2022; M. Giangrande, Le regole del debate. Guida ai protocolli per coach e debate, Milano, 2020; A. Cattani, N. Varisco, Dibattito argomentato e regolamentato. Teoria e pratica di una palestra di botta e risposta. Dibattito argomentato e regolamentato, Torino, 2019; M. De Conti, M. Giangrande, Debate. Pratica, teoria e pedagogia, Milano, 2018.
[4] Per un approfondimento sul dibattito interno a questa branca dell’argomentazione, ci permettiamo di rinviare a: S. Tomasi, Argomentazione, educazione e diritto. La retorica forense come strumento di formazione, Bari, 2022.
[5] In termini pedagogici, l’educazione è quel processo che, nel porre l’uomo in relazione all’altro, permetta lo sviluppo delle facoltà umane: «educare significa infatti porre un uomo nelle condizioni concrete per vivere la propria esperienza umana nel segno della libertà interiore ed esteriore, attraverso il progressivo potenziamento delle sue strutture cognitive, linguistiche e morali (…)». Così, M. Gennari, Trattato di Pedagogia Generale, Milano, 2018, p. 50.
[6] Sul valore dell’argomentazione in ambito educativo e curricolare: P. Nanni, E. Rigotti, C. Wolfsgruber (a c. di), Argomentare per un rapporto ragionevole con la realtà, Milano, 2017.
[7] M. Felton, D. Kuhn, The development of argumentative discourse skills, in Discourse Process, 32, 2001, pp. 135-153; D. Khun, Teaching and Learning science as argument, in Sci Educ, 94, 2010, pp. 810-824; R. Driver, P. Newton, J. Osborne, Establishing the Norms of Scientific Argumentation in Classrooms, in Science Education, 84, 2000, pp. 287-312; J. Andriessen, M. Baker, M., D. Suthers (eds.), Arguing to Learn. Confronting Cognitions in Computer-Supported Collaborative Learning Environments, Dordrecht, 2003; E.M. Nussbaum, Collaborative discourse, argumentation, and learning: preface and literature review, in Contemp Educ Psychol, 2008, 33, pp. 345-359.
[8] L’argomentazione, quale azione linguistica messa in atto da più interlocutori, è parte di un processo sociale: F.H. VAN EEMEREN, R. GROOTENDORST, Speech acts in argumentative discussions: a theoretical model for the analysis of discussions directed towards solving conflicts of opinion, Berlin, 1984, p. 9.
[9] F.H. Van Eemeren, R. Grootendorst, A systematic theory of argumentation. The pragma-dialectical approach, Cambridge, 2004 (= Teoria sistematica dell’argomentazione. L’approccio pragma-dialettico, tr. it. a c. di A. Gilardoni, Milano-Udine, 2008, p. 13).
[10] Per un approfondimento sullo statuto del disaccordo, rimandiamo ai contributi raccolti in: F. Piazza, M. Serra (a c. di), Accordo e disaccordo, in RIFL. Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 6, 3, 2012.
[11] V. Villa, Disaccordi interpretativi profondi. Saggio di metagiurisprudenza ricostruttiva, Torino, 2017.
[12] Le sue ricerche vertono sull’argomentazione nella prospettiva dell’analisi del discorso: R. Amossy, L’argumentation dans le discours, Paris, 2000; Ead., L’argomento “ad hominem”: riflessioni sulle funzioni della violenza verbale, in Altre Modernità, 3, 2010, pp. 56-70; Ead., La coexistence dans le dissensus. La polémique dans les forums de discussion, in Semen, 31, 2011, pp. 25-42; Ead., Apologie de la polémique, Paris, 2014.
[13] Per una panoramica sugli studi dell’argomentazione, rinviamo esemplificativamente ai manuali: F.H. van Eemeren et al., Fundamentals of Argumentation Theory: A Handbook of Historical Backgrounds and Contemporary Developments, New Jersey 1996; F. van Eemeren, E.C.W. Krabbe, F.A. Snoeck Henkemas, B. Verheij, J.H.M. Wagemans (eds.), Handbook of Argumentation Theory, Dordrecht, 2014; per una disamina dei diversi approcci teorici e delle loro possibili applicazioni in ambito giuridico, v. S. Tomasi, L’argomentazione giuridica dopo Perelman. Teorie, tecniche e casi pratici, Roma, 2020.
[14] Per un’analisi critica delle teorie argomentative contemporanee con riferimento alla relazione accordo/disaccordo: R.M. Zagarella, Perché argomentiamo? Consenso e dissenso tra retorica e democrazia / Consensus and Dissensus between Rhetoric and Democracy, in RIFL Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 2016, pp. 310-318; Ead., Accordo e persona nell’argomentazione: il caso dell’ad hominem, in RIFL Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 6, 3, 2013, pp. 133-148.
[15] Ci riferiamo alla rilettura della retorica aristotelica proposta da Francesca Piazza in numerosi suoi scritti: F. Piazza, La retorica di Aristotele. Introduzione alla lettura, Roma, 2008; Ead., Retorica vivente. Un approccio retorico alla filosofia del linguaggio, in RIFL, 1, 2015, pp. 232-250; Ead, Il corpo della persuasione. L’entimema nella retorica greca, Palermo, 2000; Ead., Linguaggio, persuasione e verità. La retorica nel Novecento, Roma, 2004; Ead., Rhetoric as Philosophy of Language. An Aristotelian Perspective, in Res Rhetorica, 4, 1, 2017, pp. 3-16.
[16] F. Piazza, L’arte retorica: antenata o sorella della pragmatica?, in Esercizi filosofici, 6, 2011, pp. 116-142, p. 119; per una più ampia analisi di questo aspetto, Ead, La Retorica di Aristotele, cit.
[17] Per un approfondimento sulle forme di engagement della retorica nelle teorie dell’argomentazione contemporanee, rimandiamo a: P. Testa, I. Cantù, Dalla nuova retorica alla nuova dialettica: il dialogo tra logica e teoria dell’argomentazione, in Problemata, 1, 2001, pp. 123-173; F. D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino, 2010; S. Tomasi, L’argomentazione giuridica, cit., §6.
[18] F.H. VAN EEMEREN, Strategic maneuvering in argumentative discourse, cit., p. 45.
[19] A. Rocci, Ragionevolezza dell’impegno persuasivo, in P. Nanni, E. Rigotti, C. Wolfsgruber (a c. di), Argomentare per un rapporto ragionevole con la realtà, Milano, 2017, pp. 88-120, spc. p. 102.
[20] Particolarmente interessanti sono le ricerche di pragmatica linguistica sulle strategie linguistiche, mostrando che la capacità del discorso di adeguarsi alle circostanze è il modo con cui gli interlocutori soddisfano le loro esigenze comunicative: questa capacità di adattamento del discorso rientra nella categoria della retorica classica, che è ben altro dalla “cosmetica”: C. Caffi, Pragmatica. Sei lezioni, Roma, 2009.
[21]Sulla retorica come techne, cioè una forma di sapere intrinsecamente orientato al fare, cfr. S. Di Piazza, F. Piazza, La retorica che cura. Per un approccio retorico alla psicoanalisi, in Lo Sguardo, 17, 2015, pp. 255-264.
[22] A., Cattani, P. Cantù, I. Testa, P. Vidali, (a c. di), La svolta argomentativa. 50anni dopo Perelman e Toulmin: 1958-2008, Napoli, 2009.
[23] Si occupa di retorica il cd. Groupe de recherche en Rhétorique et Argumentation Linguistique (GRAL) de l'Université libre de Bruxelles, con la direzione di Emanuelle Danblon, autrice di diversi volumi tra cui: Rhétorique et rationalité. Essai sur l’émergence de la critique et de la persuasion, Bruxelles, 2002; Ead., La Fonction persuasive. Anthropologie du discours rhétorique, origines, actualité, Malakoff, 2005. In una direzione simile, nella cornice dell’Informal Logic, si muove anche il filosofo canadese Chris Tindale, che promuove una visione retorica dell’argomentazione, che tenga in uno lo studio della morfologia del ragionamento con altre componenti del fenomeno comunicativo, al fine di non ridurre staticamente l’azione ad un format composto da premesse e conclusioni, incapace di dar conto della varietà della dinamica argomentativa: C.W. Tindale, Informal logic and the nature of argument, in F. Puppo (a c. di), Informal Logic. A ‘Canadian’ Approach to Argument, Windsor, 2019, pp. 375-401. Tra gli approcci retorici, rientra anche il modello argomentativo sviluppato da Eddo Rigotti, Andrea Rocci, Sara Greco ed illustrato nel metodo di analisi cd. Argumentum Model of Topics: S. Greco, E. Rigotti, Inference in Argumentation. A Topic-Based Approach to Argument Schemes, Cham, 2019.
[24] R. Amossy, La coexistence dand le dissensus, cit.
[25] F. Piazza, L’arte retorica, cit., p. 121.
[26] Ibidem, p. 123
[27] M. Angenot, Le dialogue de sourd. Traité de rhétorique antilogique, Paris, 2008.
[28] E. Danblon, La rhétorique ou l’art de pratiquer l’humanitè, in Semen, 34, 2012, pp. 19-34; affronta il tema della sinestesia nelle opere di Aristotele anche R.M. Zagarella, Sensi e senso comune. La sinestesia come struttura basilare del consenso, in E/C, serie speciale 17, pp. 203-207.
[29] Aristotele, EN, 1179b 10-14, trad. it. di F. Lo Piparo, in Lo Piparo, Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua, Roma, 2003, p. 29.
[30] Senza voler ora indagare le distinzioni tra le varianti dell’ad hominem, ci riportiamo alle osservazioni conclusive di Amossy in: Ead, L’argomento “ad hominem”: riflessioni sulle funzioni della violenza verbale, cit.
[31] R. Amossy, L’argomento “ad hominem”: riflessioni sulle funzioni della violenza verbale, cit., p. 63.
[32] Sullo statuto dell’argomentazione giuridica e della retorica forense, rimandiamo a: M. Manzin, Argomentazione giuridica e retorica forense. Dieci riletture sul ragionamento processuale, Torino, 2014; M. Manzin, F. Puppo, S. Tomasi (a c. di), Studies on Argumentation and legal Philosophy. Further Steps Towards a Pluralistic Approach, Napoli, 2015; F. Puppo, Oltre la diarchia. Alcune riflessioni sul rapporto tra ragione ed emozioni. E sullo statuto di queste, in M. Manzin, F. Puppo, S. Tomasi (a c. di), Studies on Argumentation & Legal Philosophy /4. Ragioni ed emozioni nella decisione giudiziale, Trento, 2021, pp. 15-25; F. Puppo, Retorica. Il diritto al servizio della verità, in A. Andronico, T. Greco, F. Macioce (a c. di), Dimensioni del diritto, Torino, 2019, pp. 293-318; F. Puppo, Su antropologia, linguaggio e retorica. L’attualità della lezione aristotelica, in Iustum aequum salutare, XVI, 1, 2020, pp. 65-78; S. Tomasi, Legal argumentation and forensic rhetoric. A challenge to uncertainty of law, in Iustum aequum salutare, XVI, 1, 2020, pp. 79-90.
[33] Per un approfondimento terminologico, C. Plantin, Le trilogue argumentatif, in Langue Française, 112, 1996, pp. 9-30.
[34] Assumendo il duello omerico come paradigma di una primigenia pratica di gestione del conflitto, nella prospettiva di lettura di Francesca Piazza, al cui saggio facciamo qui espresso riferimento, risulta che il contraddittorio non si esaurisce in una mera contesa a due, ma assume una struttura triangolare nella quale il terzo non è solo testimone o garante di un ordine, ma partecipa dello scontro condividendo con gli altri due partecipanti l’intera dinamica della relazione, dall’inizio alla sua fine, senza prendere posizione a favore di alcuno di essi: F. Piazza, La parola e la spada. Violenza e linguaggio attraverso l’Iliade, Bologna, 2019.
[35] P. Breton, L’argomentazione nella comunicazione, Milano-Udine, 2008.
[36] Su questo aspetto e sulle metodologie didattiche dell’argomentazione, in chiave retorica, inclusive delle aspettative e delle opinioni di colui cui è rivolta, rimandiamo per un’analisi più dettagliata a: S. Tomasi, Argomentazione, educazione e diritto, cit.
[37] A. Colombo, Il testo argomentativo: presupposti pedagogici e modelli di analisi, in A. Colombo (a c. di), I pro e i contro, Teoria e didattica dei testi argomentativi, Firenze, 1992, pp. 59-84, ivi p. 84.
Tomasi Serena
Download:
5 Tomasi.pdf