Direttiva sul whistleblowing e ordinamento italiano: qualche riflessione in vista dell’attuazione
Chiara Marenghi
Ricercatrice in Diritto dell’Unione europea,
Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano
Direttiva sul whistleblowing e ordinamento italiano:
qualche riflessione in vista dell’attuazione*
English title: The whistleblowing directive and the Italian legal order: some considerations in view of the implementation
DOI: 10.26350/18277942_000011
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Ratio e obiettivi del whistleblowing nell’ordinamento europeo e nazionale: la diversa concezione dell’istituto. – 3. Direttiva europea e Testo unico sul pubblico impiego a confronto: ambito di applicazione personale. – 4. (Segue): segnalazioni meritevoli di tutela. – 5. (Segue): canali di segnalazione e divulgazioni al pubblico. – 6. Impatto della direttiva sulla normativa nazionale e opportunità da cogliere in sede di attuazione.
- Introduzione
Ruolo di primo piano tra gli strumenti di contrasto alle condotte di corruzione individuati da norme internazionali di hard e soft law è ormai riconosciuto al c.d. whistleblowing, istituto mutuato dalla tradizione anglosassone, che intende favorire l’emersione tempestiva di illeciti o irregolarità grazie a una forma di controllo interno privilegiato, la segnalazione di coloro che prestano la propria attività lavorativa nell’ambito dell’ente[1]. Tra i testi vincolanti conclusi in materia vengono in rilievo la Convenzione civile sulla corruzionestipulata nel quadro del Consiglio d’Europa[2] e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione[3].
Questa concezione tradizionale dell’istituto è stata più recentemente affiancata da una visione più ampia che considera il whistleblowing nella prospettiva dei diritti fondamentali[4]. Un contributo determinante all’affermazione di questo approccio viene dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, a partire dal leading case Guja contro Moldavia del 2008, ha inquadrato la divulgazione di illeciti o irregolarità appresi sul posto di lavoro tra le forme di libertà d’espressione tutelate ai sensi dell’art. 10 CEDU[5].
Una sintesi delle due impostazioni testé menzionate si rinviene nei lavori del Consiglio d’Europa che, a partire dal 2010, ha sviluppato una strategia per garantire una protezione efficace dei whistleblower in seno all’Organizzazione e all’interno degli Stati membri. Nella Raccomandazione 2014(7) del Comitato dei Ministri il whistleblowing viene concepito come un aspetto fondamentale della libertà di espressione e di coscienza, ma si riconosce al contempo l’importanza dell’istituto nella lotta alla corruzione e la sua idoneità a promuovere la trasparenza, la buona amministrazione e il controllo democratico[6].
Nel solco di questa evoluzione si colloca la direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, adottata da Parlamento europeo e Consiglio il 23 ottobre 2019[7]. L’atto si ispira espressamente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla libertà d’espressione e ai principi elaborati nella Raccomandazione 2014(7), ma introduce altresì novità che rappresentano un passo avanti nella tutela dei whistleblower[8]. In linea con questa impostazione, la direttiva stabilisce un insieme equilibrato di «norme minime comuni volte a garantire un elevato livello di protezione» degli informatori nell’ambito del mercato interno[9]. Analogamente, gli Stati sono liberi di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone segnalanti[10] e non possono ridurre il livello di protezione già offerto nei settori in cui si applica la direttiva[11].
Nel nostro ordinamento una prima disciplina del whistleblowing è stata introdotta con la legge n. 190 del 2012 (c.d. legge Severino), che ha inserito nel Testo unico sul pubblico impiego[12] una disposizione dedicata alla «tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti», l’art. 54-bis, in parziale adempimento degli obblighi assunti a livello internazionale. Dal momento della sua introduzione, la normativa italiana ha subito notevoli trasformazioni. Prima sono intervenuti il d.l. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, e il d.lgs. 97/2016. Più recentemente, è stata adottata la legge n. 179 del 2017, prima normativa nazionale esclusivamente dedicata al whistleblowing,che ha interamente riscritto l’art. 54-bis, oltre a prevedere una prima parziale tutela per il segnalantenel settore privato[13].
L’attuazione della direttiva, alla quale gli Stati membri devono provvedere entro il 17 dicembre 2021[14], è destinata ad incidere profondamente sul quadro normativo interno[15]. Nel presente contributo verranno analizzati in parallelo alcuni aspetti chiave delle due discipline, concentrando l’attenzione – per quanto riguarda il piano nazionale – sulla tutela garantita al whistleblower nel settore pubblico. Attraverso questa sintetica analisi, si intende mettere in luce l’impostazione di fondo che il legislatore italiano dovrebbe seguire in sede di attuazione e le opportunità da cogliere per assicurare che l’istituto sia regolato secondo «a comprehensive and coherent approach to facilitating public interest reporting and disclosures»[16], come auspicato dal Consiglio d’Europa.
- Ratio e obiettivi del whistleblowing nell’ordinamento europeo e nazionale: la diversa concezione dell’istituto
Nell’ottica del legislatore europeo, la protezione degli informatori è funzionale al raggiungimento di una serie di obiettivi centrali per l’ordinamento dell’Unione. Scopo dichiarato della direttiva è innanzitutto quello di «rafforzare l’applicazione del diritto e delle politiche dell’Unione in specifici settori»[17]. Una solida protezione degli informatori può infatti contribuire al buon funzionamento del mercato interno, anche in termini di miglioramento del contesto imprenditoriale, equità fiscale e promozione dei diritti dei lavoratori.
Chi lavora in un’organizzazione pubblica o privata o entra in contatto con essa nello svolgimento della propria attività lavorativa si trova in una posizione privilegiata per informare tempestivamente chi è in grado di risolvere il problema. In tal modo il whistleblower contribuisce a prevenire danni e ad individuare minacce o pregiudizi al pubblico interesse che altrimenti non verrebbero alla luce, rafforzando «i principi di trasparenza e responsabilità»[18]. L’informatore viene quindi chiamato a contribuire ad una gestione delle politiche europee più efficace e più democratica, in linea con il ruolo centrale riconosciuto all’individuo nell’ordinamento dell’Unione.
Inoltre, coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse appresi sul posto di lavoro, mentre contribuiscono alla salvaguardia del benessere della società[19], esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione, sancito dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, oltre che dall’art. 10 CEDU[20]. Tale diritto viene in rilievo nella sua dimensione attiva di diffusione delle informazioni di cui il whistleblower è entrato in possesso, ma anche come libertà dei consociati di ricevere informazioni[21].
Più tradizionale e circoscritta è invece l’ottica del legislatore nazionale, che colloca la protezione del whistleblower nell’ambito delle politiche di contrasto della corruzione, in linea con le convenzioni internazionali concluse in materia. La prima «embrionale, se non simbolica»[22] disciplina dell’istituto viene infatti introdotta dalla c.d. Legge Severino, che ha il pregio di definire per la prima volta nell’ambito del nostro ordinamento i contorni della politica di prevenzione della corruzione, secondo una prospettiva che considera indispensabile la sinergia tra strumenti penali e strumenti amministrativi al fine di contrastare in maniera efficace un fenomeno sistemico e multidimensionale[23].
La successiva evoluzione dell’istituto, pur ampliando la prospettiva iniziale, non modifica la logica con cui viene concepito il whistleblowing nel nostro ordinamento, che è essenzialmente quella di «dare corpo a un controllo diffuso esercitato entro l’ambiente di lavoro dal cittadino, che diventa parte attiva di un processo di promozione dell’integrità dell’ente di appartenenza»[24]. Si tratta quindi di una visione government oriented, secondo la quale il whistleblowing è strumento di governance, funzionale a far emergere condotte illecite o irregolarità. Pare invece estranea alla normativa interna la prospettiva human rights oriented, secondo la quale il segnalante è meritevole di tutela in quanto portatore del diritto fondamentale alla libertà di espressione[25].
- Direttiva europea e Testo unico sul pubblico impiego a confronto: ambito di applicazione personale
La direttiva definisce il proprio ambito di applicazione personale in maniera estremamente ampia. La nozione di whistleblower accolta a livello europeo comprende infatti tutti coloro che abbiano acquisito informazioni sulle violazioni in un contesto lavorativo, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro e dalla sua attualità, indipendentemente dalla retribuzione percepita e dal fatto che si rientri nel settore pubblico o privato. In sostanza, il legislatore europeo ha ritenuto opportuno includere tutti coloro che, in considerazione dell’attività lavorativa svolta, abbiano un legame con una determinata organizzazione e siano pertanto in una posizione privilegiata per acquisire informazioni, ma risultino al contempo fortemente esposti al rischio di ritorsioni a causa della situazione di vulnerabilità economica in cui si trovano[26].
Particolarmente significativa è, innanzitutto, la piena equiparazione tra settore pubblico e settore privato. In linea con le Convenzioni internazionali in materia di corruzione ratificate dal nostro Paese e con i principi contenuti nella Raccomandazione 2014(7) del Consiglio d’Europa, le forme di tutela garantite al whistleblower non devono variare a seconda della natura pubblica o privata dell’ente nell’ambito del quale il segnalante svolge la propria attività lavorativa[27]. Inoltre, è da sottolineare come il legame con l’organizzazione e la situazione di vulnerabilità economica vengano interpretati in maniera flessibile, fino a ricomprendere ad es. i c.d. facilitatori, i volontari, i tirocinanti e coloro che non lavorano più per l’ente interessato dalla segnalazione[28].
Profondamente diversa è la situazione sul versante nazionale. Innanzitutto, come anticipato, esiste un notevole divario tra la tutela prevista nel settore pubblico e le garanzie assai limitate riconosciute al whistleblower che opera nel settore privato. Inoltre, considerando la disciplina dettata dall’art. 54-bis, ammessi a beneficiare della protezione prevista dalla norma sono i «dipendenti pubblici». Ai sensi del comma 2, rientrano in questa nozione i dipendenti delle pubbliche amministrazioni[29], incluso il personale in regime di diritto pubblico[30], i dipendenti degli enti pubblici economici e degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 c.c., nonché i lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi che realizzano opere in favore della pubblica amministrazione.
Se è evidente il miglioramento rispetto alla disciplina originaria, siamo ancora decisamente lontano dall’approccio ampio e inclusivo auspicato dal Consiglio d’Europa. Tale disposizione, inoltre, è stata recentemente oggetto di un’interpretazione restrittiva da parte del Consiglio di Stato[31], chiamato ad esprimere un parere sullo schema di linee guida in materia di whistleblowing dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) che le ha predisposte[32].
- (Segue): segnalazioni meritevoli di tutela
Una volta definito il novero dei soggetti che possono essere qualificati come whistleblower, una serie di altri elementi sostanziali e procedurali contribuiscono a rendere una segnalazione meritevole di tutela. Tra di essi vengono in rilievo, innanzitutto, il contenuto e i caratteri della segnalazione.
Ai sensi della direttiva, oggetto della segnalazione deve essere una «violazione del diritto dell’Unione» che rientri in una serie di settori strategici per l’Organizzazione[33]. Il concetto viene interpretato in senso ampio dal legislatore dell’Unione, in linea con la funzione di prevenzione che dovrebbe svolgere l’istituto. Oltre agli atti o omissioni illeciti, la nozione di violazione comprende quindi anche le pratiche abusive[34] e gli atti o omissioni che, pur non essendo irregolari da un punto di vista formale, vanificano l’oggetto o la finalità delle norme dell’Unione interessate[35]. Nella medesima logica, la protezione deve essere garantita anche a coloro che segnalano una violazione che non sia ancora stata commessa, ma che molto verosimilmente potrebbe esserlo[36].
Si muovevano nella stessa direzione le linee guida predisposte (ma mai adottate) dall’ANAC, che interpretavano la nozione di «condotte illecite» di cui all’art. 54-bis in modo da ricomprendere «tutte le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri un abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati», comprese le attività illecite intraprese, ma non ancora perfezionatesi, «in presenza di elementi precisi e concordanti prodromici all’attività stessa»[37]. Di diverso avviso, anche in questo caso, è il Consiglio di Stato, che considera problematica la rilevanza attribuita agli atti prodromici ove non sia configurabile almeno il tentativo[38].
Il regime europeo e la disciplina nazionale sono invece allineati nel considerare meritevoli di tutela le segnalazioni funzionali al perseguimento di un interesse pubblico, pur con alcune differenze di rilievo tra i due testi. L’articolato della direttiva non menziona espressamente questo requisito che può ritenersi implicito, come si evince dal legame tra segnalazione e interesse pubblico costantemente sottolineato nel Preambolo. A maggior ragione, nella direttiva non si cerca di definire che cosa debba intendersi per interesse pubblico, concetto che per natura «has no fixed content and should be solely considered as an unending process of redefinition of the (often blurred) frontiers between the public and the private sphere»[39]. Si chiarisce però che «i motivi che hanno indotto le persone segnalanti a effettuare la segnalazione dovrebbero essere irrilevanti al fine di decidere sulla concessione della protezione»[40], a conferma del fatto che l’enfasi viene posta su un elemento oggettivo, il contenuto della dichiarazione, e non su eventuali interessi individuali del segnalante. Infatti, gli informatori hanno diritto di accedere alla tutela prevista dalla direttiva a condizione che, alla luce delle circostanze e delle informazioni in loro possesso al momento della segnalazione, abbiano avuto «fondati motivi»[41] di ritenere che i fatti segnalati fossero veri[42]. Questo requisito rappresenta una «garanzia essenziale contro le segnalazioni dolose e futili o infondate» e consente di escludere dalla protezione coloro che «hanno fornito deliberatamente e scientemente informazioni errate o fuorvianti»[43].
L’art. 54-bis, invece, subordina espressamente la tutela al fatto che la segnalazione sia effettuata «nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione». Il concetto si presta ad interpretazioni ambivalenti[44] e risulta più circoscritto rispetto alla soluzione accolta a livello europeo. Nello schema di linee guida ANAC, si sottolinea come la tutela di tale interesse costituisca «la ragion d’essere dell’istituto del whistleblowing»[45]. La «ratio di fondo», quindi, è quella di «valorizzare l’etica e l’integrità nella pubblica amministrazione per dare prestigio, autorevolezza e credibilità alla stessa, rafforzando i principi di legalità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.»[46]. Il riferimento consente di escludere dal perimetro della tutela chi utilizza l’istituto nel proprio esclusivo interesse personale. Sebbene in maniera meno esplicita rispetto alla direttiva, anche la normativa italiana svincola infatti la protezione del dipendente pubblico dal requisito della buona fede, conferendo rilievo agli elementi oggettivi che emergono dal contesto della segnalazione[47].
Considerando infine il trattamento riservato alle segnalazioni anonime, vista la delicatezza della questione, a livello europeo si è deciso di lasciare gli Stati membri liberi di decidere se assoggettare o meno le segnalazioni di questo tipo alla disciplina del whistleblowing[48]. Tuttavia, la direttiva ammette a godere della protezione anche coloro che abbiano segnalato o divulgato informazioni in forma anonima, ma che siano stati identificati in un secondo momento, subendo ritorsioni[49]. L’art. 54-bis invece sembra invece escludere dal proprio campo di applicazione le segnalazioni anonime[50] e, nel silenzio della norma, si ritiene che non possa essere riconosciuta alcuna tutela nemmeno nel caso in cui il segnalante renda note le proprie generalità in un secondo momento, ad es. per far valere una discriminazione subita[51].
- (Segue): canali di segnalazione e divulgazioni al pubblico
Un altro elemento chiave per poter beneficiare della protezione garantita dalle normative in materia di whistleblowing è il rispetto delle procedure istituite per inoltrare la segnalazione.
Sotto questo profilo, la direttiva prevede innanzitutto che la protezione sia assicurata alle persone che segnalano violazioni all’interno dell’organizzazione (c.d. segnalazioni interne) o a un’autorità esterna competente a riceverle (c.d. segnalazioni esterne). Questione particolarmente sensibile, perché legata ai molteplici diritti e interessi che devono essere bilanciati, è quella delle modalità attraverso cui il whistleblower può accedere ai diversi canali di segnalazione. La proposta presentata dalla Commissione prevedeva l’accesso progressivo ai livelli considerati. Nella sua versione finale la direttiva riconosce invece all’informatore un’ampia discrezionalità al riguardo: sebbene si consideri preferibile effettuare la segnalazione in prima battuta ai soggetti più vicini all’origine del problema (in via generale più idonei ad avviare l’indagine e se opportuno a intervenire), può accadere che le autorità esterne competenti siano più indicate alla luce delle circostanze del caso[52]. In sostanza, la scelta è affidata all’informatore, che deve valutare quale sia il canale più appropriato a garantire una gestione efficace della segnalazione.
Soluzione essenzialmente analoga è accolta dalla normativa interna, che non prevede una gerarchia tra i vari canali di segnalazione. Ai sensi dell’art. 54-bis infatti, il dipendente pubblico può inoltrare le informazioni al responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (organo interno all’ente) o all’ANAC, ovvero può presentare denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile.
Novità dirompente rispetto alla disciplina nazionale è invece la previsione di un terzo canale di segnalazione, non contemplato dall’art. 54-bis. Ai sensi della direttiva, la protezione deve essere garantita, a certe condizioni, anche a coloro che rendono le informazioni disponibili al pubblico, per esempio attraverso mezzi di informazione, piattaforme web o social media, organizzazioni della società civile, sindacati, associazioni di categoria, nonché attraverso i propri rappresentanti eletti. In particolare, la divulgazione delle informazioni al pubblico può essere qualificata come whistleblowing se è stata preventivamente effettuata una segnalazione interna o esterna senza che siano state intraprese azioni appropriate[53]. Inoltre, la protezione è garantita al segnalante che aveva fondati motivi di ritenere che la violazione potesse costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse[54]; ovvero, in caso di segnalazione esterna, che sussistesse il rischio di ritorsioni o il canale risultasse inefficace[55].
- Impatto della direttiva sulla normativa nazionale e opportunità da cogliere in sede di attuazione
Dal sintetico quadro appena tratteggiato emergono notevoli differenze tra il perimetro della tutela riconosciuta al whistleblower nel nostro ordinamento e la portata della protezione garantita dalla direttiva (UE) 2019/1937. La piena equiparazione tra settore pubblico e privato, l’estensione dell’ambito di applicazione personale fino a ricomprendere tutti i soggetti che presentano un collegamento con l’organizzazione interessata, la nozione ampia di violazione che può essere oggetto della segnalazione e la tutela accordata, a certe condizioni, alle divulgazioni pubbliche sono solo alcune delle novità previste dalla direttiva.
Il dilatarsi del perimetro della tutela è tanto più significativo se si pensa al regime di protezione ad esso collegato, in buona parte assimilabile a quello previsto dall’art. 54-bis. Punti cardine di tale regime sono, tra l’altro, la riservatezza garantita all’identità del segnalante[56], il divieto di qualsiasi forma di ritorsione nei suoi confronti[57] e l’inversione dell’onere della prova, per cui spetta a chi ha adottato la misura lesiva dimostrare che è fondata su giustificati motivi estranei alla segnalazione[58]. Inoltre, la direttiva contempla ulteriori misure volte a proteggere i whistleblower dalle ritorsioni e a sostenerli in un percorso spesso molto impegnativo anche dal punto di vista economico[59]. Infine, per garantire l’efficacia delle norme poste a tutela del segnalante, il legislatore europeo impone agli Stati membri di prevedere «sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive» in una serie di circostanze[60].
Se si considera l’ambito di applicazione materiale della disciplina europea, risulta evidente l’impatto che è destinata ad avere sul quadro normativo interno. Benché si tratti di uno strumento settoriale, le materie in cui il legislatore dell’Unione ritiene opportuno intervenire sono numerose[61]. Tra queste si segnalano, ad esempio, gli appalti pubblici, i servizi finanziari, la sicurezza dei trasporti e dei prodotti, la tutela dell’ambiente, la salute pubblica, la radioprotezione e la sicurezza nucleare, la tutela della privacy e delle reti informatiche, nonché la tutela degli interessi finanziari dell’Unione di cui all’art. 325 TFUE. A completare il sistema interviene, inoltre, una clausola di chiusura dai contorni ampi, che estende la portata della direttiva a tutte le violazioni riguardanti il mercato interno così come definito dall’art. 26 TFUE.
Ciò significa che un’amplissima porzione di amministrazioni pubbliche e imprese saranno interessate dal nuovo regime e le scelte effettuate dal nostro legislatore in sede di attuazione saranno determinanti per garantire un’effettiva protezione dei whistleblower nel nostro ordinamento, in linea con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva e le indicazioni del Consiglio d’Europa.
Considerando proprio l’ambito di applicazione materiale, una prima scelta importante dovrebbe essere quella di estendere la protezione a settori o atti non contemplati dalla normativa europea. La direttiva lascia infatti gli Stati liberi di procedere in tal senso[62] e la Commissione li incoraggia a seguire questa strada, consapevole delle difficoltà in cui potrebbero incorrere gli informatori in presenza di un quadro normativo frammentario[63]. L’alternativa per il legislatore nazionale sarebbe quella di introdurre una fattispecie di whistleblowing europeo, operante nei settori coperti dalla direttiva, mantenendo una fattispecie di whistleblowing nazionale, che diverrebbe applicabile in via residuale. Accogliere una soluzione di questo tipo significherebbe però contraddire uno degli assunti alla base della Raccomandazione del Consiglio d’Europa, secondo la quale «the normative framework should reflect a comprehensive and coherent approach»[64]. Valutando la questione in una prospettiva interna, depongono in questo senso considerazioni fondate sul principio di uguaglianza e non discriminazione[65].
In ogni caso, l’introduzione nel nostro ordinamento delle novità previste dalla direttiva non determinerà solo una notevole espansione delle situazioni considerate meritevoli di tutela, ma prima di tutto imporrà al legislatore italiano di confrontarsi con un diverso modo di concepire il whistleblowing. In altre parole, l’attuazione della direttiva nel nostro ordinamento dovrebbe condurre a un’evoluzione dell’istituto, destinato a non essere più concepito soltanto come strumento di governance, ma anche come strumento di esercizio di diritti fondamentali della persona. Questa trasformazione è espressione di un diverso bilanciamento dei molteplici interessi che entrano in gioco e si traduce in un rafforzamento della posizione del whistleblower.
Quindi, non si tratterà semplicemente di colmare le lacune dell’attuale disciplina, ma di ripensare complessivamente il sistema. Anziché riscrivere nuovamente l’art. 54-bis, sarebbe opportuno dedicare all’istituto un atto normativo ad hoc, nel quale sia disciplinato in maniera trasversale il trattamento riservato al whistleblower che opera nel settore pubblico e in quello privato, seppur con le dovute specificità.
In questa prospettiva, «l’attenzione deve essere spostata dalla “qualità” del segnalante alla “qualità dell’informazione”»[66]. Ciò che rileva non sono le motivazioni personali del segnalante, ma il contenuto della segnalazione. L’unico elemento soggettivo che occorre prendere in considerazione è la ragionevole convinzione dell’informatore che i requisiti di volta in volta richiesti dalla direttiva siano soddisfatti[67]. Inoltre, la nozione di interesse pubblico che la segnalazione (o divulgazione) mira a proteggere non potrà essere definita in maniera puntuale e circoscritta come avviene nell’art. 54-bis.
Infine, un nodo cruciale, che andrebbe affrontato con coraggio dal legislatore nazionale, riguarda il ruolo che andrà ad assumere nel nuovo assetto l’ANAC, autorità indipendente con funzioni di prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate. Secondo l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, misura essenziale per radicare la cultura del whistleblowing è l’istituzione in un’autorità indipendente dedicata alla protezione degli informatori in ciascun Paese membro. Tale autorità dovrebbe, tra l’altro, fornire sostegno ai whistleblower «by investigating allegations of retaliation and failure to act on reports»; «ensuring that once a matter has been reported there is every chance of it being followed up, whatever the interests at stake, by condemning any action to suppress it»; «providing a link with the judicial authorities as a reliable source, in particular, of material evidence in connection with judicial proceedings»; «establishing a genuine European network with other independent authorities, making it possible to share good practices»[68].
Il profondo cambiamento di prospettiva che il legislatore è chiamato ad attuare deve essere affrontato tenendo presente che l’effettività della protezione riconosciuta al whistleblower è ormai considerato «a genuine democracy indicator»[69].
Abstract:On 23 October 2019 the European Parliament and the Council adopted Directive (EU) 2019/1937, a piece of secondary legislation encompassing the first organic regime concerning whistleblowing to have been elaborated at supranational level, that Member States will be required to transpose by 17 December 2021. This paper aims to clarify the directive’s impact on the Italian legal framework, which is currently defined by Law 179/2017, as well as the opportunities to be taken on the occasion of the directive’s implementation. By means of a comparison between these two regimes, both their different ways of conceiving whistleblowing and the respective implications for the domestic legislator are highlighted. This will require the same legislator to adopt a radical change of perspective. As far as the national level is concerned, the analysis will focus on provisions affecting the Public Administration.
Key words: whistleblowing directive; corruption; transparency; freedom of expression; human rights; democratic accountability.
* Il contributo, sottoposto a double blind peer review, è destinato al Rapporto sull’innovazione nelle Politiche Pubbliche, a cura di B. Boschetti ed E. Vendramini, pubblicazione realizzata nell’ambito del progetto Osservatorio FuturAP, laboratorio dell’Università Cattolica S.C. dedicato al futuro e all’innovazione delle politiche pubbliche.
[1] Su questo tema si veda in generale, anche per ulteriori riferimenti, R. Lattanzi, Prime riflessioni sul c.d. whistleblowing: un modello da replicare a occhi chiusi?, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2 (2010), pp. 335 ss.; G. Fraschini - N. Parisi - D. Rinoldi, Il whistleblowing. Nuovo strumento di lotta alla corruzione, Acireale-Roma 2011.
[2] La Convenzione civile sulla corruzione è stata aperta alla firma il 4 novembre 1999 ed è entrata internazionalmente in vigore il 1° novembre 2003. Per l’Italia l’entrata in vigore risale al 1° ottobre 2013.
[3] La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione è stata aperta alla firma a Merida il 9 dicembre 2003 ed è entrata internazionalmente in vigore il 14 dicembre 2005, mentre per l’Italia il 9 ottobre 2009.
[4] Su whistleblowing e diritti dell’uomo si vedano i contributi di J.-F. Keléo, N. Klausser, J.-P. Foegle, I. Kampourakis, J. Marchand, R. Mignot-Mahdavi, M. Larché, C. Lavite, V. Champeil-Desplats, E. Paillissé, T. Racho, M. Beulay, B. Fasterling, J. Schwarz Miralles, S. Kaddour, K. BenKahla-K. Ben Mansour-S. Charreire-Petit, C.Teitgen-Colly, P. Abadie, D. Lochak,pubblicati nel Dossier thématique dedicato a Les lanceurs d’alerte et les droits de l’homme in La Revue des droit de l’homme en ligne (revdh.revues.org), 10 (2016).
[5] C.E.D.U., sent. 12 febbraio 2008, Guja contro Moldavia (n. 14277/04). Per un commento v. V. Junod, La liberté d’expression du whistleblower, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 77 (2009), pp. 227 ss. Per quanto riguarda la giurisprudenza successiva v. ad es. C.E.D.U., sent. 21 luglio 2012, Heinisch contro Germania (n. 14277/04); sent. 8 gennaio 2013, Bucur e Toma contro Romania (n. 40238/02); sent. 21 ottobre 2014, Matùz contro Ungheria (n. 73571/10); sent. 9 febbraio 2018, Catalan contro Romania (n. 13003/04).
[6] Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Raccomandazione 2014(7) del 30 aprile 2014, corredata da una relazione esplicativa, d’ora in poi in nota CM/Rec 2014(7).
[7] Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, in GUUE L 305 del 26 novembre 2019, pp. 17 ss. Per una panoramica sul contenuto della direttiva v. E. Andreis, Towards Common Minimum Standards for Whistleblower Protection Across the EU, in European Papers (europeanpapers.eu), 4 (2019), pp. 575 ss.; A. Della Bella, La direttiva europea sul whistleblowing: come cambia la tutela per chi segnala illeciti nel contesto lavorativo, in Sistema penale (sistemapenale.it), 6 dicembre 2019.
[8] Per un approfondimento di questo profilo sia consentito rinviare a C. Marenghi, Whistleblower, «chi è costui?» Riflessioni sul perimetro della tutela alla luce della direttiva (UE) n. 2019/1937 e delle fonti cui essa si ispira, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, 3-4 (2019), pp. 467 ss.
[9] Art. 1 della direttiva.
[10] Cfr. art. 25, par. 1 della direttiva.
[11] Cfr. art. 25, par. 2 della direttiva.
[12] D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, d’ora in poi in nota T.U.P.I.
[13] Sulla disciplina italiana v., inter alia, A. Marcias, La disciplina del whistleblowing tra prospettive di riforma e funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in I.A. Nicotra (a cura di), L’Autorità Nazionale Anticorruzione, Torino 2016, pp. 173 ss.; G. Gargano,La “cultura del whistleblower” quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 1 (2016), pp. 2 ss.; G. Massari, Il whistleblowing all’italiana: l’evoluzione del modello sino alla legge n. 179 del 2017, in Studium Iuris, 9 (2018), pp. 981 ss.; N. Parisi, Osservazioni a prima lettura sulla legge n. 179/2017 di tutela del whistleblower, in Lavoro Diritti Europa (lavorodirittieuropa.it), 1 (2018); A. Riccio, La tutela del lavoratore che segnala illeciti dopo la l. n. 179 del 2017. Una prima lettura giuslavoristica, in Amministrazione in cammino (amministrazioneincammino.luiss.it), 26 marzo 2018;R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema penale (sistemapenale.it), 29 giugno 2020; D.-U. Galetta - P. Provenzano,La disciplina italiana del whistleblowing come strumento di prevenzione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione: luci e (soprattutto) ombre, in Federalismi.it, 18 (2020), pp. 112 ss.
[14] Cfr. art. 26, par. 1 della direttiva.
[15] Sul punto si vedano M. Magri, Il whistleblowing nella prospettiva di una disciplina europea armonizzata: la legge n. 179 del 2017 sarà (a breve) da riscrivere?, in Federalismi.it, 18 (2019), pp. 2 ss.; P. Novaro, Principali criticità della disciplina italiana in materia di whistleblowing alla luce della nuova direttiva europea: limitato campo di applicazione e scarsi incentivi, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 5 (2019), pp. 737 ss.
[16] CM/Rec 2014(7), Principio 7.
[17] Art. 1 della direttiva.
[18] Considerando (2) della direttiva.
[19] Cfr. considerando(1) della direttiva.
[20] Cfr. considerando(31) della direttiva.
[21] Nella relazione che accompagna la proposta la Commissione sottolinea come una tutela insufficiente degli informatori «incid[a] negativamente sulla libertà di espressione delle persone, sul diritto del pubblico di accedere alle informazioni e sulla libertà dei mezzi di comunicazione», COM(2018) 218 final, p. 11. Più in generale, la direttiva intende scoraggiare qualsiasi violazione dei diritti fondamentali nei settori che rientrano nel suo ambito di applicazione. Secondo la Commissione, accanto alla libertà di espressione e informazione, la direttiva è destinata ad avere un impatto positivo, tra l’altro, sul diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, sul rispetto della vita privata e sulla protezione dei dati personali, sulla tutela dell’ambiente, sulla protezione dei consumatori e sul diritto ad una buona amministrazione. Inoltre, in linea con l’approccio equilibrato perseguito, si vuole garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte.
[22] B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in Giornale di diritto amministrativo, 2 (2013), pp. 123 ss., a p. 132.
[23] Tra le diverse novità previste dalla legge n. 190/2012 rilevanti in questa sede si possono annoverare, oltre alla disposizione in materia di whistleblowing, l’istituzione presso ciascuna amministrazione di un Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e la creazione di una Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), le cui funzioni vengono inizialmente attribuite alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT).
[24] N. Parisi, Osservazioni a prima lettura sulla legge n. 179/2017 di tutela del whistleblower, cit., p. 13.
[25] Su quest’ultima prospettiva v. J-P. Foegle, Endorsing Whistleblowing as a Democratic Accountability Mechanism: Benefits of a Human-rights Based Approach to Whistleblower Protection, Submission to the UN Special Rapporteur on promotion of the right to freedom of opinion and expression, giugno 2015, p. 6, https://www.ohchr.org/Documents/Issues/Opinion/Protection/JeanPhilippeFoegle.pdf (consultato il 18.12.2020); L. Valli,Whistleblowing, verità e democrazia: una riflessione, in Ius in itinere (iusinitinere.it), 1 (2019); N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, in Lavoro Diritti Europa (lavorodirittieuropa.it), 2 (2020).
[26] Cfr. art. 4 della direttiva e considerando(38) e (39).
[27] L’unica distinzione tra i due ambiti introdotta dalla direttiva riguarda le diverse soglie dimensionali previste in capo ai soggetti pubblici e privati per quanto riguarda l’obbligo di istituire canali e procedure per le segnalazioni interne (v. art. 8 della direttiva).
[28] Nel Preambolo si mette in evidenza come «proteggere efficacemente gli informatori signific[hi] estendere la protezione anche alle categorie di persone che, pur non dipendendo dalle loro attività lavorative dal punto di vista economico, rischiano di subire ritorsioni per aver segnalato violazioni», considerando(40). La direttiva inoltre prende in considerazione le c.d. ritorsioni indirette, prevedendo che le misure protettive possano trovare applicazione, ove opportuno, anche nei confronti dei c.d. facilitatori (cioè coloro che assistono il whistleblower nel processo di segnalazione), dei parenti e dei colleghi che abbiano un legame professionale con il datore di lavoro dell’informatore (v. art. 4, par. 4, lett. a) e b). La tutela si estende anche, ove opportuno, «ai soggetti giuridici di cui le persone segnalanti sono proprietarie, per cui lavorano o a cui sono altrimenti connesse in un contesto lavorativo», art. 4, par. 4, lett. c).
[29] Cfr. art. 1, co. 2 T.U.P.I.
[30] Cfr. art. 3 T.U.P.I.
[31] Consiglio di Stato, parere n. 215 del 25 marzo 2020. Nel parere si sottolinea la specialità del regime previsto dall’art. 54-bis, escludendo la possibilità di estendere il novero delle amministrazioni pubbliche interessate sulla base di un’interpretazione sistematica. Analogamente, si ritiene che la nozione di dipendente pubblico accolta dalla disposizione non sia idonea a ricomprendere stagisti e tirocinanti (v. punto 6.2.8).
[32] Dopo un periodo di consultazione pubblica e il parere del Garante della privacy, il 13 gennaio 2020 l’ANAC ha adottato lo schema di linee guida in materia di tutela degli autori di reato o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing), d’ora in poi in nota Schema di linee guida ANAC. Sebbene non sia previsto in via obbligatoria, l’ANAC ha deciso di interpellare il Consiglio di Stato per un parere (non vincolante) sullo schema di linee guida, reso il 25 marzo 2020. Nel mese di maggio il Consiglio dell’Autorità ha deciso però di sospendere il procedimento di approvazione delle linee guida in considerazione dei significativi cambiamenti destinati ad intervenire a breve nel quadro normativo interno, cambiamenti che avrebbero reso obsolete le stesse.
[33] Cfr. art. 2 della direttiva.
[34] Così come definite dalla Corte di giustizia.
[35] Cfr. art. 5, n. 1 della direttiva e considerando (42).
[36] Cfr. art. 5, n. 2 della direttiva e considerando (43).
[37] Schema di linee guida ANAC, cit., Parte I, punto 2.1.
[38] Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 215/2020, punto 6.2.9.
[39] J.-P. Foegle, Endorsing Whistleblowing as a Democratic Accountability Mechanism: Benefits of a Human-rights Based Approach to Whistleblower Protection, cit., p. 7.
[40] Considerando(32).
[41] Nella versione inglese «reasonable grounds».
[42] Cfr. art. 6, par. 1, lett. a) e considerando(32).
[43] Considerando(32).
[44] Cfr. A. Riccio, La tutela del lavoratore che segnala illeciti dopo la l. n. 179 del 2017. Una prima lettura giuslavoristica, cit., p. 3.
[45] Schema di linee guida ANAC, cit., Parte I, punto 2.1, p. 11.
[46] Ibidem.
[47] Come rilevato dallo Schema di linee guida ANAC (punto 2.1.) e ribadito dal Consiglio di Stato, l’informatore non deve essere certo della veridicità dei fatti segnalati, «è piuttosto necessario che ne sia data […] ragionevole e circostanziata evidenza nella segnalazione stessa» (parere n. 215/2020, punto 6.2.10 alla fine), in maniera analoga a quanto previsto dalla direttiva.
[48] Cfr. art. 6, par. 2 della direttiva.
[49] Cfr. art. 6, par. 3 della direttiva.
[50] Cfr. Schema di linee guida ANAC, cit., Parte I, punto 2.4.
[51] Cfr. R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017,cit., p. 12.
[52] Cfr. artt. 7, par. 2 e 10 della direttiva, nonché considerando(33).
[53] Cfr. art. 15, par. 1, lett. a) della direttiva.
[54] Cfr. art. 15, par. 1, lett. b), punto i) della direttiva.
[55]Cfr. art. 15, par. 1, lett. b), punto ii) della direttiva.
[56] Cfr. art. 16 della direttiva.
[57] Cfr. art. 19 della direttiva.
[58] Cfr. art. 21, par. 5 della direttiva.
[59] Cfr. rispettivamente artt. 21 e 20 della direttiva.
[60] Art. 23 della direttiva. Ai sensi del par. 1, «[g]li Stati membri prevedono sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili alle persone fisiche o giuridiche che: a) ostacolano o tentano di ostacolare le segnalazioni; b) attuano atti di ritorsione contro le persone di cui all’articolo 4; c) intentano procedimenti vessatori contro le persone di cui all’articolo 4; d) violano l’obbligo di riservatezza sull’identità delle persone segnalanti di cui all’articolo 16». La disposizione, seppur significativa, pare lacunosa e si ritiene che, in sede di attuazione, le sanzioni dovrebbero essere estese a tutte le situazioni in cui gli obblighi posti dalla direttiva non vengano rispettati. In particolare, si segnala la mancata previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi relativi all’istituzione dei canali di segnalazione, al riscontro fornito al whistleblower e alle azioni intraprese in risposta alla segnalazione.
[61] Cfr. art. 2 della direttiva.
[62] Cfr. art. 2, par. 2 della direttiva.
[63] Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale, Rafforzare la protezione degli informatori a livello dell’Unione europea, COM(2018) 214 final, p. 11.
[64] CM/Rec (2014)7, Principio 7.
[65] In questo senso cfr. M. Magri, Il whistleblowing nella prospettiva di una disciplina europea armonizzata: la legge n. 179 del 2017 sarà (a breve) da riscrivere?, cit., p. 6.
[66] N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, cit., p. 14.
[67] V. artt. 6 e 15 della direttiva. Al riguardo si veda anche il Rapporto di S. Waserman (Improving the protection of whistleblowers all over Europe, Report, doc. 14958, 30 agosto 2019, p. 17), che ha preceduto le recenti prese di posizioni dell’Assemblea parlamentare in materia di whistleblowing (v. Risoluzione 2300(2019) e Raccomandazione 2162(2019) del 1° ottobre 2019).
[68] V. Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Risoluzione 2300(2019), par. 12.3.
[69] Ibidem, par. 1.
Marenghi Chiara
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