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Collegium aquae: cenni di una ricerca in itinere sulla tarda antichità

28.02.2018

Paola Bianchi

Ricercatore di Istitutzioni di diritto Romano, Università di Tor Vergata di Roma

Collegium aquae: cenni di una ricerca in itinere sulla tarda antichità *

Sommario: 1. Premessa - 2. Collegium aquae come tema di indagine: iniziale analisi delle fonti. - 3. Prime osservazioni. - 4. Prime riflessioni su CIL VI.2.10298. Considerazioni conclusive.

 

  1. Premessa.

Con il presente contributo intendo dare conto di quanto elaborato nella ricerca sul tema delle acque nella tarda antichità, con specifico riferimento ai cd. collegia aquae o aquarum[1], nell’ambito del più generale tema di studio sui collegi e sulle professioni in età tardo antica.

Punto di partenza dello studio che riguarda il tema più generale dei collegia è stato l’identificazione delle diverse attività di lavoro e dunque l’aspetto fenomenico del tema. Fonte di prima attenzione e lettura è stata la costituzione costantiniana che presenta, nell’apparato filologico di Mommsen, proprio un elenco delle differenti attività professionali ed associative[2]. Fra le molteplici attività quelle connesse con le acque, indicate in tale apparato, sono gli aquae libratores e i fullones; i primi sono indicati dopo i tessellarii e i secondi come ultimi, dopo i carpentarii. L’indicazione di entrambe queste attività proviene dal testo della legge tràdita nel codice giustinianeo[3].

Gli aquae libratores, gli architetti degli acquedotti, sono indicati anche nella legge dei figli di Costantino tràdita in CTh. 13.4.3 del 344[4] - legge conservata con il testo quasi immutato in C. 10.66.1, sotto la medesima rubrica de excusatione artificum -identificabili in qui aquarum inventos ductus et modos docili libratione ostendunt e menzionati da Frontino in De acqueductu, 105[5]. E un celebre librator, noto per via epigrafica, è quel Nonio Dato le cui vicende sono descritte in CIL, VIII 2728 = VIII 18122 = HD021390. I fullones, come è noto, sono i lavandai.

Il punto di partenza, a ben vedere,già teneva conto di aspetti e problemi diversi, riconducibili comunque ad uno stesso profilo euristico.

Innanzitutto il tema terminologico o di nomenclatura; quindi quello dei termini tecnici rappresentativi delle forme lavorative e del rapporto con le categorie dogmatiche. Tale aspetto implica anche quello della sua storicità: ogni termine va collocato nel contesto di appartenenza ed è inevitabilmente vagliato con gli occhiali di chi lo studia; spesso un termine indica concetti diversi nello stesso ambito storico di appartenenza come in periodi cronologici differenti; oppure la parola identifica, in modo non esclusivo, un concetto che può essere espresso anche con altri termini. Si tratta di osservazioni ovvie ma pur sempre importanti che potrebbero, quando necessario, essere coadiuvate da competenze di tipo filologico specialistico[6].

 Il problema, che si è posto come preliminare, riguarda dunque l’individuazione di criteri corretti per identificare i termini secondo cui schedare le fonti da esaminare, distinguendo ovviamente quelle normative, trasmesse principalmente dai codici, da quelle epigrafiche, rispecchianti - di norma - la prassi. Occorre poi ricordare che la ricerca lemmatica ha i suoi inevitabili limiti, dovuti proprio ai termini con cui procediamo che potrebbero circoscrivere l’indagine a ciò che il lemma di riferimento indica o identifica e che, quindi, è necessario predisporre opportuni correttivi.

Parlando di associazioni professionali ci riferiamo ai collegia, ai corpora, alle sodalitates, alle scholae, a tutte le differenti forme di organizzazione professionale, ovviamente tenendo conto del profilo terminologico a cui abbiamo accennato ed anche del fatto che le organizzazioni identificate da termini come collegia o sodalitates potrebbero avere caratteristiche diverse nelle varie epoche. In riferimento al collegium (o corpus) non si può non richiamare i lavori, anche se ormai molto datati, di Jean Pierre Waltzing e ricordare dunque come per collegium si intenda una “riunione di persone associate dalla comunanza delle funzioni, del culto, della professione” [7].

Tra i temi di ricerca all’interno del più vasto argomento delle attività lavorative un posto privilegiato è stato attribuito alla ricerca sugli interessi perseguiti dalle associazioni di lavoratori.

Nell’ambito di questa ricerca generale mi sto occupando dei cd. collegia aquae[8], allo scopo di verificarne la presenza e il valore nell’esperienza romana tardo antica.

La scelta del tema delle acque è dovuta all’osservazione della mancanza di testimonianze dell’esistenza di un collegium aquae, se non fosse per una iscrizione isolata della fine della Repubblica - inizi del Principato, denominata dagli editori Lex collegii aquae[9].

 L’assenza di testimonianze contrasta con la molteplicità delle attività professionali e delle associazioni connesse, individuabili nella tarda antichità; un ambito come quello delle acque possiede inoltre, come è noto, una certa rilevanza in tale epoca, come, ad es., testimoniato da leggi di età teodosiana sulla manutenzione degli acquedotti e sulle derivazioni abusive da parte di privati[10], oltre che dall’indicazione, come già accennato, nella parte aggiunta dai compilatori alla legge costantiniana tràdita in C.10.66.1, delle due professioni legate all’acqua: quella dei libratores, gli architetti o ingegneri idraulici, e quella dei fullones, gli operai che lavavano le vesti[11].

 

  1. Collegium aquae come tema di indagine: iniziale analisi delle fonti.

La scelta del tema dell’acqua ha reso opportuna un’indagine di fonti di varia tipologia: innanzitutto i documenti epigrafici. Le epigrafi, generalmente, ai fini delle ricostruzioni storiche, offrono informazioni peculiari, descrivendo, tendenzialmente, situazioni o fatti particolari e circoscritti nel tempo, informazioni che possono trovare conferma nelle fonti storiche o giuridiche e, per i collegia,esse costituiscono una fonte essenziale che deve costituire la base della ricerca da unire alle fonti letterarie e giuridiche.

Tale indagine si è prospettata da subito ampia e complessa; pertanto ho ritenuto necessario procedere gradualmente per poi valutare, con maggiore criticità, le opinioni della dottrina attraverso i risultati man mano raggiunti.

Primo momento della ricerca è stato dunque uno spoglio delle epigrafi attraverso le banche dati disponibili[12]: i lemmi di riferimento, utilizzati in questa fase, sono state espressioni significative quali “aqua”, “aqu” e “colleg”, “curator aquae”, “collegium aquae”, “aquae libratores”, “riv”, “flum”, “corpus”, “magister”.

Da questo primo spoglio ho tratto i seguenti risultati:

Per il Clauss/Slaby (EDCS) su un totale di 5221 epigrafi la ricerca con la sola espressione “aqu” ha prodotto più di 3000 risultati che, ad oggi, ho solo in parte spogliato; su un totale di 5044 epigrafi la ricerca attraverso i termini collegium e aquae, ha prodotto un solo risultato, CIL VI, 10298, la nota epigrafe sulla Lex collegii aquae su cui mi soffermerò più avanti.

Attraverso aquae su un totale di 5254 epigrafi sono risultate 162 epigrafi delle quali sono sembrate utili 18 epigrafi (che analizzerò approfonditamente nel seguito della ricerca; ho considerato le fonti epigrafiche della penisola italica e dell’Africa; ho per lo più escluso le epigrafi riguardanti gli acquedotti, tenendo conto dei diversi lavori su questo tema, come, da ultimo, quelli di Paola Biavaschi, a cui farò frequente riferimento in queste pagine), che non riguardano un collegium aquae; si riferiscono tuttavia a consularis aquarum o a curator aquarum.

La ricerca con aquae e magister ha dato solo due epigrafi: quella della Lex collegii aquae e quella della Lex rivi Hiberienis[13].

L’espressione collegium aquarum ha prodotto un solo risultato, ma le espressioni, nell’epigrafe, non sono connesse fra loro, riferendosi la prima al curator aquarum, e indicando, la seconda, un collegium fabrorum[14].

La ricerca con conlegium ci offre due risultati ma entrambi riferibili al conlegium pontificum ed augurum, in perfetta conformità all’impiego più arcaico del termine conlegium rispetto al lemma collegium.

La ricerca con collegium ci dà 404 epigrafi ma, per collegium collegato ad aquae solo due risultati: uno ci riporta la Lex collegii aquae; nel secondo il termine aquae si riferisce solo al luogo dell’epigrafe, quindi, in sostanza, fra quelli presi in considerazione, abbiamo un solo testo: quello della Lex collegii aquae.

La ricerca con magister collegii offre un totale di 47 epigrafi che riguardano collegia documentati, come i collegia fratrum Arvalium o i collegia centonariorum o fabrorum.

La ricerca con magister e collegii presenta 109 risultati, tra i quali è pertinente solo l’iscrizione della Lex collegii aquae.

Il lemma aquarum offre 107 epigrafi e l’espressione curator aquarum ricorre in 11 epigrafi.

Sappiamo che gli aquarii erano per lo più i servi adibiti alla manutenzione degli acquedotti[15]. Per ora non ho analizzato queste epigrafi.

Con l’espressione aquae librator i risultati sono solamente due[16].

Infine la ricerca con il termine corpus o corpora[17] non produce alcun risultato (corpus aquae o aquarum nessuna epigrafe).

Waltzing citò un collegium aquariorum (Venusia CIL IX, 460) e rinviò ad aquarius; e poi richiamò gli aquatores Feronienses (Aquileia, CIL V, 992, 8307, 8308) e aquatores[18], figure da lui assimilate ai fullones[19], ma forse da assimilare piuttosto agli aquarii[20].

Nell’indicare il collegium aquae Waltzing rinviava ai fullones[21], ma come vedremo più avanti la presenza dei fullones nella Lex collegii aquae dipende esclusivamente dalle integrazioni proposte dagli editori[22]: in nessuna delle parti conservate appare un riferimento a questo mestiere.

Per l’EDR i risultati, più circoscritti, sono stati i seguenti:

  1. Per l’espressione collegium aquae 0 epigrafi (anche conlegium aquae 0 epigrafi);
  2. Collegium aquarum 0 epigrafi;
  3. Collegium fluminum 0 epigrafi;
  4. Consul + aquae/aquarum 7 epigrafi;
  5. Per l’espressione aqu 992 epigrafi;
  6. Per l’espressione aquae librator/es 0 epigrafi;
  7. Per l’espressioni librator 3 epigrafi;
  8. Per l’espressione riv 40282 epigrafi (lette a campione);
  9. Per l’espressione flum 42 epigrafi;
  10. Riv + colleg” 8 epigrafi;
  11. Curator aquarum 10 epigrafi.

Nei documenti epigrafici selezionati, allo stato della mia ricerca e dunque per questa prima fase di spoglio, non sono stati riscontrati dati rilevanti che espressamente possano essere collegati al tema del collegium aquae.

Una ricerca con il termine aqua in alcune delle fonti tardo antiche più importanti ha prodotto i seguenti risultati: nel Codice Teodosiano l’Heidelberger Index zum Theodosianus ha fatto emergere un totale di 10 costituzioni, molto utili nel generale tema delle acque ma non indicative per il tema del collegium aquae[23].

La prima costituzione, CTh. 13.4.3[24], è la legge dei Costantinidi, già ricordata,  riguardante le diverse professioni lavorative che vengono sollevate dai munera, secondo la politica di stampo culturale iniziata da Costantino ed evidenziata in CTh.13.4.1[25], costituzione con cui Costantino conferma precedenti esenzioni dai munera per medici, grammatici e retori, in considerazione delle funzioni da essi assolte[26].

La seconda, CTh. 14.15.4[27], della fine del IV secolo ed attribuita ad Onorio[28], si riferisce a petizioni con cui, in modo non onesto, alcuni erano soliti richiedere gli affitti dei mulini ad acqua attivi a Roma. Tali richieste sono punite con una multa di cinque libbre di oro, multa che viene inflitta non solo ai privati ma anche a quegli uffici che avessero accettato tali petizioni, come il capo della prefettura annonaria e gli apparitores.

Le altre otto costituzioni in cui compare il termine aqua sono leggi collocate sotto la rubrica De aquaeductu che, per il momento, escludo da questa ricerca se non per alcuni cenni attinenti al nostro problema. Nella prima[29], di Costantino, si stabilisce che i proprietari di terreni attraversati da un acquedotto, essendo già tenuti alla pulizia e alla estirpazione delle piante della zona attigua all’acquedotto, non debbano essere onerati da ulteriori tasse. Come evidenziato recentemente, la legge si occupa di due situazioni differenti: degli acquedotti situati sui confini dei fondi e di quelli che si trovano invece all’interno degli stessi. Per la prima, le esenzioni hanno lo scopo di favorire la manutenzione degli acquedotti da parte dei proprietari dei fondi; per la seconda, si stabilisce che vengano lasciate libere due porzioni di terreno ai lati dell’acquedotto affinché, su controllo del consularis aquarum, si provveda all’estirpazione delle piante, pericolose per la stabilità delle strutture murarie degli acquedotti[30].

Infine le costituzioni CTh. 15.2.2, 3 e 4: la prima, di Valente e del 369 (costituzione non ripresa dai giustinianei), riferisce di un abuso parziale da parte dei privati nello sfruttamento delle acque pubbliche attraverso l’utilizzo di tubature di grandezza superiore a quelle previste nelle norme[31]; la seconda, CTh. 15.2.3, (la data, 382, è dubbia e la legge è tràdita solo dal Codice Teodosiano), stabilisce le dimensioni delle tubature per le abitazioni nella città di Costantinopoli, rapportate all’ampiezza e alla tipologia degli immobili[32]; la terza, CTh. 15.2.4 (= C. 11.43.2), di età teodosiana, si preoccupa dello stesso problema, probabilmente esacerbato[33].

CTh.15.2.5 e 6[34] si occupano di chi sia titolare di forniture di acqua: costui non deve disturbare il corso o l’uso delle tubature pubbliche (matrici). Queste costituzioni sono poi riprese dai giustinianei in C.11.43.3, in cui i due testi sono fusi mantenendo inscriptio e subscriptio della prima legge.

Infine abbiamo CTh. 15.2.7 e 15.2.8, in tema di derivazioni idriche illecite da parte dei privati[35].

Nessuna legge, dunque, che si occupi di un collegium aquae.

Il termine collegium nel Codice Teodosiano compare per un totale di 24 costituzioni, di cui anche una Sirmondiana, senza mai fare alcun riferimento alle acque.

Nessuna traccia dell’espressione aqua è stata rinvenuta nell’Edictum Theodorici. Una ricerca dello stesso termine nei Digesta giustinianei porta invece a risultati molto ampi ma su temi diversi come quello dei fenomeni di occupatio.La ricerca dei lemmi in queste fonti si basa sulla considerazione dell’importanza e della rilevanza delle stesse nel periodo storico preso in esame in questa prima fase dell’indagine che dovrà essere ulteriormente ampliata.

 

 3. Prime osservazioni.

Dallo spoglio effettuato su fonti epigrafiche e giuridiche, qui sopra elencate, risulta evidente l’assoluta rarità dell’espressione collegium aquae: essa compare solo in CIL VI.2.10298.

Sulla prima domanda posta e cioè sull’esistenza di un collegium o corpus aquae inteso come associazione lavorativa professionale nell’età tardo antica, stante la singolarità dell’espressione collegium aquae per l’età compresa tra la fine delle Repubblica e il Principato, e data l’assenza di altri riferimenti ad un collegium o corpus aquae nell’esperienza giuridica romana e tardo antica (almeno sulla base dello spoglio fino ad ora effettuato), dovremmo dare una prima risposta molto dubitativa.

 

4. Prime riflessioni su CIL VI.2.10298.

A questo punto occorre chiedersi se l’unica testimonianza che possediamo, l’epigrafe pubblicata in CIL, VI.2.10298[36], ci fornisca un documento da cui si possa desumere l’esistenza di un collegium aquae.

La suddetta epigrafe si riferisce espressamente, alla linea 3, ad unconlegium aquae, e nella linea 4 riporta hoiusce conlegi, espressioni che fanno presumere che il testo si occupasse di tale collegium. In tale senso la fonte è stata interpretata e ricostruita, e di essa la dottrina scrive come del testo della Lex collegii aquae (nell’epigrafe troviamo h. l.= hac lege; alla linea 12 si trova anche lege appena prima del termine actio, che merita riflessioni approfondite, quanto al suo significato o eventuale nesso con actio). Essa risale al I sec. d. C. (o comunque ad una età compresa fra la fine della Repubblica e l’inizio del Principato); resta ignoto il luogo in cui era collocata perché è stata resa nota grazie al ritrovamento nel secolo XVII, nella collezione Barberini, di un frammento mutilo bronzeo (materiale consueto per l’esposizione di leges, sia pubbliche sia di collegi). Fu trascritta in un codice manoscritto (Cod. Barb. 30, 92, f 1) e copiata da Luigi Gaetano Marini nel 1795[37]; successivamente è andata perduta. È oggetto di ampie disamine, anche molto recenti[38]. Pur riguardando un periodo storico distante dall’età tardo antica, tuttavia essa non può non essere presa in considerazione costituendo, come più volte accennato, l’unica fonte, allo stato della mia ricerca, che riferisce di un conlegium aquae. Dunque essa rappresenta un punto di partenza: le brevi osservazioni qui poste non intendono, ad ogni modo, rappresentare uno studio analitico della fonte, che dovrà essere criticamente affrontato, in un secondo stadio della ricerca, specie in rapporto ad eventuali risultanze offerte da altri testi epigrafici.

In passato questo documento è stato vagliato attentamente dalla dottrina con speciale riferimento alla lex in esso contenuta, e al significato da attribuire a tale termine. Sul punto la dottrina si è divisa fondamentalmente su due fronti: lex come statuto del collegio e lex come legge pubblica. A confronto con la Lex rivi Hiberiensis, a cui accennerò più avanti, che mostra un regolamento autonomamente elaborato dalla comunità irrigatoria, approvata dal governatore provinciale, sembra ipotizzabile che anche la lex collegii di CIL VI. 2.10298 fosse un regolamento. Ovviamente per ora non escludo alcuna possibilità dovendo approfondire lo studio del documento.

Al di là di questa discussione, interessante su altri piani, il problema fondamentale che questa fonte ci pone è quello della identificazione del collegio a cui essa si riferisce[39]. Anche su questo argomento la dottrina si è differentemente espressa. Una delle ipotesi avanzate è quella che si tratti di un collegio di fulloni[40]. Tuttavia, a ben vedere, e come ho già accennato in precedenza, il riferimento ai fullones è rintracciabile solo nelle parti ricostruite del documento, dunque la loro presenza non può essere data con certezza assoluta. La teoria più fondata sembra essere però quella risalente ad Adolf Berger, secondo il quale l’epigrafe non mostrerebbe una lex di uno specifico collegio, bensì un generale “statute” riguardante collegi connessi con l’attività di amministrazione dell’acqua: “a lex de collegiis aquae (aquarum), not a lex collegii aquae[41]. L’ipotesi di Berger appare, allo stato, la più fondata perché questa epigrafe sulla Lex collegii aquae è una fonte isolata e non sembra, nel suo contenuto, riferirsi ad uno specifico collegio “dell’acqua”. Essa appare come una fonte riguardante funzioni giurisdizionali di controllo concernenti o connesse con l’acqua e il suo uso. La lex potrebbe indicare anche principi riguardanti il funzionamento dei collegia ripresi da norme generali. A questo proposito ricordo come Vincenzo Arangio-Ruiz avesse precisato, nell’apparato introduttivo della fonte epigrafica, che il collegio in essa indicato non potesse avere natura strettamente privata e che, anzi, esso sembrasse perseguire interessi della respublica romana[42].

Per poter addurre argomentazioni a sostegno di questa ipotesi, che mi pare, allo stato, condivisibile, intendo proporre, in questa prima fase del lavoro, una traduzione del testo epigrafico; si tratta di una traduzione del tutto iniziale, da ripensare criticamente nel seguito della ricerca, non letterale,solofunzionale alla lettura dell’epigrafe, e che non tiene conto, per ora, di tutti i problemi linguistici e filologici del testo, basandosi unicamente sul senso complessivo del suo contenuto: dunque costretta ad accettare una ricostruzione che è per il momento predeterminata.

In questa proposta di traduzione seguo le integrazioni della fonte edita (poste tra parentesi, funzionali alla lettura del testo).

Riporto il testo dell’apografo[43] (Fig. 1) e il testo dell’epigrafe, pubblicata in CIL VI.2.10298, nell’edizione di Arangio-Ruiz, di comune impiego[44]:

Figura 1. L. G. Marini, Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali, Roma, Antonio Fulgoni, 1795, p. 70.

LEX COLLEGII AQUAE  of the conlegium aquae (1st century BC - AD 14)  = Crawford, Roman Statutes, London, 1996, I, p. 208[45].

— — — — — — — — — — — — — | — — mult]a esto a(ssium) D. |

[Cui magisteriu]m ex h(ac) l(ege) capere gerere licebit, s[i is magister | factus erit, ei, nisi luci pal]am in conlegio aquae intra paticabulum, quo die mag(isterio) | [abibit, iuraverit se hoc conlegium re]mque hoiusce conlegi, quod quidquid penus sese venit, | [recte administravisse, neque se adversus h(anc)] l(egem) fecisse scientem d(olo) m(alo) in suo magisterio, suosque prohibuisse || [quominus adversus h(anc)l(egem) facerent, quod eius sat]is sit, a(ssium) D multa esto. |

[Qui magister ita non iuraverit, is deinde ma]g(ister) ni esto nive suffragium inito : si quis adversus ea faxit, multa | [esto a(ssium) C. Ei, qui excusabitur necesse sibi esse i]re peregre longius p(assuum) CXX (milibus) reip(ublicae) et litis causa, magistrorum | [de ea re iudicium esto. Qui ita post tempus excusabitur, ei multa] esto a(ssium) L. Idcirco nihilominus deieratio esto apud magistros | [ita uti s(upra)s(criptum) e(st) : si non deieraverit ita], uti s(upra) s(criptum) e(st), a(ssium) C multa esto. |

[Nuntius, per quem quis ita se excusavit, tempore ius]to si non denuntiarit, ipsius multam sufferto, | [aut cum eo tantae pecuniae, quantae quis ita multatus erit, ex hac] lege actio esto. |

[Magister si cui fulloni ex h(ac) l(ege) multam dicere volet,] liceto, si semel si saepius volet : dictio esto a(ssis) I. |

[Pro conlegio ni quis fulloniam fecisse] nive cretulentum exegisse velit, nisi in duabus lacunis p(opuli) R(omani) ius emet : | [qui contra fecerit, adversus eum qui volet rem conlegii] gerere liceto, magistrisve denuntiamino in biduo continuo : ni nuntiar(it) || [ei, qui quem impedierit qui ad fonte]m venerit, multa a(ssium) V esto. |

[In eum, qui contra h(anc) l(egem) fulloniam fecerit cretulentumque exeg]erit, ex h(ac) l(ege) magister magistrive iudicium danto. Qui ni iuraverit | [paratum se esse excipere iudicium praeto]ris, recuperatorem unum communem adeunto simulque iuranto | [se non calumniae causa fecisse facturumve esse :] ni ita iurassit, multa esto a(ssium) D. |

[Quem magister ex h(ac) l(ege) iudicare iusserit, is ni] iudicassit ita uti s(upra) s(criptum) e(st), multa esto recuperatore uno quotque || [ei i(n) c(onsilio) e(runt) in singulos a(ssium) V, praeterquam si cui nonliquebit ; qua de re mag(ister) fac]ito uti iuret, isque sibi testium causa esse dicet magis quam | [iuris rem dubiam. Qui s(upra) s(cripti) s(unt) ex magistrorum edictis perpe]tuis rem iudicanto : ni ita iudicarint, ita multa esto recuper(atore) | [uno quotque ei in consilio erunt, uti s(upra) s(criptum) e(st).

Praeterquam si qui iuraverit corporis vitium sibi impedimen]to esse, ita gnatum esse, ni iudicassit, a(ssium) V (milium) multa esto. Id | [vitium si simulatum erit, multa] esto a(ssium) V (milium).

Traduzione:

[sia condannato ad una multa di] 500 assi.

[Se colui per il quale il magisterium (carica di magister)], in base a questa legge, è possibile iniziare a gestire, se [sia stato eletto magister, pubblicamente] di fronte al collegio dell’acqua nello spazio aperto, nel giorno in cui uscirà dalla sua carica, non giurerà che il collegio e tutto il patrimonio [ha amministrato correttamente senza che qualche parte del patrimonio sia pervenuta a lui, e di non aver contravvenuto alle prescrizioni della legge] e di non aver commesso dolo nel suo magisterio, e (non giurerà) di aver proibito[che i suoi contravvenissero a questa legge per quanto gli sia stato ] possibile, sia condannato ad una multa di 500 assi.

[Il magister che così non avrà giurato] non potrà più essere magister e non sia nemmeno ammesso a votare e se poi qualcuno (si deve intendere “qualche magister”) agirà in violazione di questa norma sia condannato ad una multa di 100 assi.

[Se qualcuno annunzierà di aver avuto necessità di] allontanarsi più lontano di centoventi miglia a causa della respublica o di una lite, dei magistri sia data una formula su questo affare. [Se dopo il tempo prescritto qualcuno abbia annunziato queste necessità, ad esso sia inflitta una multa di cinquanta assi.] Per questa ragione tuttavia sia prestato giuramento presso i magistrati nel primo giorno in cui potrà; se non abbia promesso così come sopra è stato scritto sia condannato ad una multa di cento assi.

[Il nunzio, mediante il quale quello si scusò], se non denunzierà/non avrà presentato la excusatio nel tempo giusto, subirà la stessa pena di quello, o contro di lui, ad una pena pecuniaria equivalente a quella a cui lui sarà stato multato, sulla base di questa] legge sia esperita un’azione.

[Il magister se vorrà imporre una multa ad un lavandaio sulla base di questa legge], gli sia lecito, sia che lo voglia fare una volta sia più volte: la condanna sia di assi I.

[nessuno a favore del collegio eserciti una lavanderia] nè pretenda di svuotare l’impasto di acqua e argilla[46] a meno che abbia la disponibilità delle vasche/a meno che non acquisti il diritto su due vasche (o laghi) del popolo romano[47] [contro chi contravverrà, a chiunque vorrà sia lecito] curare l’affare del collegio, e lo denunci ai magistri entro i due giorni successivi: se non lo avrà denunciato, [contro colui che avrà gli impedito di] venire alla fontana sia disposta una multa di 5 assi.

[Il magister se vorrà imporre una multa ad un lavandaio sulla base di questa legge], gli sia lecito, sia che lo voglia fare una volta sia più volte: la condanna sia di assi I.

Colui che non giurerà di essere pronto ad esporre le sue eccezioni contro il iudicium del pretore, deve presentarsi davanti ad un recuperatore unico aggiunto eletto di comune volontà per giurare che non ha agito e non agirà calunniosamente: e se così non giurò sia condannato alla multa di 50 assi.

[Colui al quale il magister abbia ordinato in base a questa legge di giudicare,] se non abbia giudicato come sopra è stato scritto sia condannato ad una multa da un recuperatore unico e quanti [stavano nel consiglio siano condannati ciascuno ad una multa di 5 assi.

Eccetto colui che si era astenuto, il magister faccia in modo che si giuri sull’affare, ed affermi che più a causa dei testimoni [che per il diritto l’affare è dubbio. Coloro che sono stati scritti sopra sulla base degli editti perpetui dei magistrati] giudichino la causa: se non giudicheranno così, siano condannati ad una multa da un recuperatore [unico e allo stesso modo coloro che saranno nel consiglio, come è stato scritto sopra].

 [Salvo che un soggetto non abbia giurato che un difetto corporale gli sia di impedimen]to, di essere nato così, se non avesse giudicato, sia condannato ad una multa di 5 assi. Se [il vizio sarà simulato, sia condannato ad una multa] di 5 assi.

Premesse le considerazioni prima esposte, il contenuto dell’epigrafe, così come ricostruita mediante le numerose ed ampie integrazioni, apparirebbe il seguente: si tratterebbe della disciplina di un processo per multa di tipo formulare in cui vengono elencati i casi per i quali il magister del collegium può essere sanzionato da una multa (di valore abbastanza irrisorio). Viene preso in considerazione e indicato anche il potere di comminare una multa da parte dello stesso magister nei confronti dei membri del collegio. Quindi indicherebbe in sostanza di un elenco dei doveri e dei poteri di un amministratore di un collegio. Tale amministratore deve agire senza dolo e in ottemperanza alle prescrizioni della lex (lemma, come abbiamo accennato, variamente interpretato dalla dottrina: statuto del collegium o legge pubblica); in relazione ai suoi doveri deve prestare giuramento. Possiede anche poteri giurisdizionali per i quali sono altresì menzionati i casi in cui si è nella impossibilità di giudicare. Su questo dato è interessante notare – almeno ad una prima lettura del testo – una commistione tra iurisdictio e iudicatio nelle funzioni del magister (altro dato importante da analizzare insieme alle caratteristiche di questa carica eponima – quinquennale o perpetua- e dei subalterni). Gli interessi del collegium di cui si tratta sembrano oscillare tra interessi privati e interessi pubblici.

Va notato anche l’impiego di termini rari, se non unici, come paticabulum e cretulentum presenti nell’apografo, su cui le voci nel ThLL creano al momento ulteriori problemi ma certamente anche spunti di riflessione[48]: in particolare la locuzione cretulentum exigere, che già creava problemi a Rudorff[49], potrebbe orientare verso l’attività non di fullones ma di figuli, ossia di vasai: le lacunae a cui fa riferimento il testo non necessariamente sono vasche di fullones. Anche questo è un punto meritevole di più attenta considerazione, poiché potrebbe essere un indizio importante per portarci ad una possibile soluzione del problema di identificazione dei destinatari di questa lex.

In relazione a questa epigrafe si può per ora notare quanto segue: in essa si riferirebbe di un processo per multa a carico di chi si rifiuti di assolvere alla funzione di giudice impostagli dal magister: Quem magister ex h(ac) l(ege) iudicare iusserit, is ni] iudicassit ita uti s(upra) s(criptum) e(st), multa esto recuperatore uno. Come si vede, vi compare un recuperator unico, scelto dalle parti: vari settori della dottrina hanno considerato questa composizione dell’organo giudicante un’anomalia[50]. Un’impressione di somiglianza (anche questa da verificare e approfondire) con questo processo mi sembra possa essere ravvisata nella Lex Rivi Hiberiensis[51], come già notato[52]. Questo documento epigrafico, di età adrianea, relativa ad una colonia augustea della Hispania Citerior, contempla lavori di pulitura e manutenzione periodici del rivus in rapporto ai diritti dei pagani sul rivus stesso; i magistri pagi sono responsabili dell’amministrazione del rivus. L’epigrafe, come è noto, riporta il testo di una formula processuale che dimostrerebbe la vigenza del processo formulare in provincia durante il Principato[53]. In tale formula possiamo leggere, alla linea 39, la iudicis nominatio e l’intentio; alla linea 43 c’è invece la condemnatio. Nella iudicis nominatio si può leggere iudex esto, espressione che chiaramente indica un giudice unico. Il processo di questa epigrafe possiede le qualità di un processo per multa, affidato nella norma ad un collegio di recuperatores, processo che abbiamo visto nella Lex collegii aquae.

Riporto la parte del testo epigrafico della Lex Rivi Hiberiensis preso in esame.

§ 15 III.38 [Is (?) qui (?) cum (?) ali]quo hac lege· aget·petetve hanc·for-

III.39 [mulam accipi]to (vacat) Iudex esto. Quitquit parret·e·lege

III.40 [rivi (?) Hiberiensis (?)] quae lexs·est·ex conventione paga-

III.41 [nica (?) omnium (?) C]aesaraugustanorum·Gallorum Cas-

III.42 [cantensium* Bels]inonensium·paganorum·illum

III.43 [(illi) dare oportere], ++*us iudex· illum· illi· c(ondemnato),

·s(i) ·n(on) ·p(arret) ·a(bsolvito)[54].

Questa parte della fonte epigrafica può essere confrontata con le seguenti linee della Lex collegii aquae:

[In eum, qui contra h(anc) l(egem) fulloniam fecerit cretulentumque exeg]erit, ex h(ac) l(ege) magister magistrive iudicium danto. Qui ni iuraverit [paratum se esse excipere iudicium praeto]ris, recuperatorem unum communem adeunto simulque iuranto [se non calumniae causa fecisse facturumve esse:] ni ita iurassit multa essto a(ssium) D.

[Quem magister ex h(ac) l(ege) iudicare iusserit, is ni] iudicassit ita uti s(upra) s(criptum) e(st), multa esto recuperatore uno quotque [ei i(n) c(onsilio) e(runt) in singulos a(ssium) V, praeterquam si cui non liquebit;

Dal confronto si potrebbe dedurre che un giudice unico in un processo per multa non fosse così singolare e raro. Paragonabile, con le corrette cautele, inoltre è la struttura del testo della formula che si legge nelle due epigrafi. Infine va anche sottolineata la presenza del termine magister e magisterium in entrambe le epigrafi, quella della cosiddetta Lex collegii aquae e quella della Lex rivi Hiberienis.

 

5. Considerazioni conclusive.

Giungo a delle considerazioni conclusive - che hanno carattere provvisorio - per questo stadio del tutto iniziale della mia ricerca.

Sappiamo che la cura delle acque nella tarda antichità subì dei cambiamenti nell’organizzazione burocratica delle cariche addette a tale servizio. Basti pensare già alla creazione del curator aquarum et Miniciae (carica attestata almeno dall’età di Settimio Severo), che avrebbe assorbito anche le funzioni di approvvigionamento frumentario. A partire da Costantino le due funzioni furono nuovamente divise (acqua e grano) e poste sotto il potere del prefetto urbano. La Notitia Dignitatum[55] ci informa che la gestione dell’acqua era suddivisa in gestione delle infrastrutture (formae) e gestione della distribuzione (aquae): il comes formarum aveva la supervisione degli acquedotti mentre il consularis aquarum si occupava della distribuzione[56].

Tra i funzionari preposti accanto al curator aquarum è attestato infatti il consularis aquarum, come testimoniato, ad es., da CIL X. 4752 = ILS 1223 = EDR115525[57] o da CIL VI. 41332=EDR 075878 (datata tra il 357 e il 360), in cui si riferisce di un consularis aquarum che si occupava della distribuzione delle acque[58] e poi, nel IV secolo, il comes formarum, come in CIL VI. 17765 = EDR111539. Tra i funzionari nel IV secolo anche il defensor civitatis si occupava delle derivazioni abusive dell’acqua pubblica. Poi abbiamo una lunga lista di personale tecnico preposto alla cura delle acque, come, ad es., gli apparitores[59].

La domanda posta, nell’ambito di questo lavoro, dell’esistenza di un collegium aquae, è indubbiamente ampia e include lo studio, la revisione e l’analisi di diversi aspetti del problema nonché di diverse tipologie di fonti, ad es. quelle gromatiche, oltre che di una indagine più ampia e capillare delle fonti epigrafiche.

Alla luce di questa primissima fase di ricerca non ho riscontrato dati che possano supportare l’ipotesi o l’idea dell’esistenza di uno specifico corpus, inteso come organizzazione associativa, connesso ai problemi delle acque.

Come abbiamo già potuto osservare in sede di osservazioni preliminari nelle fonti giuridiche imperiali tardoantiche non sono presenti riferimenti a presunti organizzazioni non burocratiche di stampo sostanzialmente privatistico: questo dato potrebbe far pensare in via puramente ipotetica - suggestione che può essere smentita da analisi ulteriori - ad un passaggio delle funzioni di gestioni dell’acqua da un sistema misto, in cui accanto ad uffici pubblici vi sono anche organismi sostanzialmente privati (anche se approvati come la comunità irrigatoria Hiberiensis), alla riassunzione di queste funzioni tutte all’interno della organizzazione imperiale.

La cosiddetta Lex collegii aquae sembrerebbe testimoniare, dunque, in modo del tutto isolato - e in un contesto storico cronologicamente distante dall’esperienza giuridica tardo antica -, l’esistenza di una organizzazione che si occupava in via generale delle diverse funzioni implicate nella gestione delle acque pubbliche. In essa non riesco, allo stato della mia ricerca, a ravvisare un collegium inteso come associazione lavorativa specifica. Si potrebbe forse pensare ad una lettura parzialmente diversa di tale documento epigrafico, rispetto alle opinioni della dottrina: nell’incertezza sull’esatta natura di questo collegio non mi pare inutile ricordare l’opinione di Berger, secondo cui, le diverse tipologie di attività connesse all’acqua, fra le quali quella dei fullones, sarebbero comprese in un collegium aquae, collegium che funziona da “supervisore” di tutte le professioni e attività legate all’acqua. Tale lettura dovrà ovviamente essere suffragata da uno studio successivo decisamente più approfondito di questa ricerca in fieri.

Pertanto come primo risultato dell’indagine (che può essere solo provvisorio poiché lo spoglio delle fonti epigrafiche e giuridiche deve essere completato) sembra opportuno propendere per l’inesistenza di un collegium aquae nella tarda antichità. D’altra parte anche la dottrina non aveva rilevato tale ipotesi: De Robertis, occupandosi in modo specifico di “basso impero”, tra le associazioni lavorative professionali non aveva incluso un collegium aquae[60].

Il provvisorio risultato, benché negativo, della domanda iniziale, permette ad ogni modo di sgombrare il campo da preconcette visuali delle professioni nella tarda antichità, nello specifico legate all’acqua, consentendo di continuare un’indagine che tenti di cogliere la specificità dei dati considerati attraverso la lettura dei documenti e delle fonti giuridiche.

* Questo contributo, sottoposto a double blind peer review, rappresenta una prima tappa nell’ambito della ricerca “Arti e professioni (collegia, corpora, scholae) in età tardoantica”, coordinata da V. Crescenzi, nel contesto dell’attività scientifica dell’Associazione Ravenna Capitale.

[1] Sul fenomeno associativo nell’esperienza giuridica romana cfr., ad es.: Th.  Mommsen, De collegiis et sodaliciis Romanorum, Kiel 1843; F.M. De Robertis, Il diritto associativo romano. Dai collegi della repubblica alle corporazioni del basso impero, Bari 1938; Id., Il fenomeno associativo nel mondo romano. Dai collegi della repubblica alle corporazioni del basso impero, Napoli 1955 (rist. an. Roma 1981); Id., ‘Syndicus’. Sulla questione della rappresentanza processuale dei ‘collegia’ e dei ‘municipia’, in SDHI, 36, 1970, 304-340 (=Id., Scritti varii di diritto romano, IV, Miscellanea, Bari 2000, 51-87);Id., Storia delle corporazioni e del regime associativo nel mondo romano, I-II, Bari 1971; Id., “La capacità giuridica dei collegi romani e la sua progressiva contrazione”, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, III, Napoli 1984, 1259-1267 [(=Aa.Vv., La persona giuridica collegiale in diritto romano e canonico. Aequitas romana ed aequitas canonica, Atti dei Colloqui romanistici-canonistici (1980-1981), 31-39) (=Id., Scritti varii di diritto romano, II, Storia del diritto Diritto pubblico Epigrafia giuridica, Bari 1987, 427-435)]; R. Orestano, Il problema delle fondazioni in diritto romano, I, Torino 1959, 82 ss.; Id., Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, I, Torino 1968, spec. pp. 101 ss; L. Cracco Ruggini, Le associazioni professionali nel mondo romano-bizantino, in Aa.Vv., Artigianato e tecnica nella società dell’alto Medioevo occidentale, Spoleto 2-8 aprile 1970 (Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 18), Spoleto 1971, 59-193; Ead., Collegium e corpus: la politica economica nella legislazione e nella prassi, in G.G. Archi (a cura di), Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo Impero. Atti di un incontro tra storici e giuristi, Firenze, 2-4 maggio 1974, II, Milano 1976, 63-94; F. Salerno, ‘Collegia adversus rem publicam?’, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, II, Napoli 1984, 615 ss. (=Index, 13, 1985, 541 ss.); G. Moschetta, “‘Collegium aquae. Un collegio tra pubblico e privato, in Rivista di diritto romano, 2005, 5, 1-12 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/; R. Laurendi, Riflessioni sul fenomeno associativo in diritto romano. I collegia iuuenum tra documentazione epigrafica e giurisprudenza: Callistrato de cognitionibus D. 48.19.28.3, in AUPA, 59, 2016, 261-285.

[2] CTh. 13.4.2 (337 Aug. 2). Constantinus A. ad Maximum praefectum praetorio. Artifices artium brevi subdito comprehensarum per singulas civitates morantes ab universis muneribus vacare praecipimus, si quidem ediscendis artibus otium sit adcommodandum; quo magis cupiant et ipsi peritiores fieri et suos filios erudire. Dat. IIII non. Aug. Feliciano et Titiano conss. La costituzione, posta sotto la rubrica De excusationibus artificum, è ripresa da Giustiniano in C. 10.66.1 (posta sotto identica rubrica) in cui i compilatori aggiungono l’ultima parte: C. 10.66.1 Imperator Constantinus A. ad Maximum pp. Artifices artium brevi subdito comprehensarum per singulas civitates morantes ab universis muneribus vacare praecipimus, si quidem ediscendis artibus otium sit accommodandum, quo magis cupiant et ipsi peritiores fieri et suos filios erudire. Et est notitia ista: architecti medici mulomedici pictores statuarii marmorarii lectarii seu laccarii clavicarii quadrigarii quadratarii ( quos Graeco vocabulo livovyktas appellant) structores ( id est aedificatores) sculptores ligni musarii deauratores albini ( quos Graeci ckoniatasc appellant) argentarii barbaricarii diatretarii aerarii fusores signarii fabri bracarii aquae libratores figuli ( qui Graece kerameis dicuntur) aurifices vitrearii plumarii specula rii eborarii pelliones fullones carpentarii sculptores dealbatores cusores linarii tignarii blattearii ( id est petalourgoi ) D. IIII Non. Aug. Feliciano et Titiano conss. (a. 337)

[3] Cfr. nt. precedente.

[4] CTh. 13.4.3(344 Iul. 6) Impp. Constantius et Constans AA. ad Leontium praefectum praetorio. Mechanicos et geometras et architectos, qui divisiones partium omnium incisionesque servant mensurisque et institutis operam fabricationi stringunt, et eos, qui aquarum inventos ductus et modos docili libratione ostendunt, in par studium docendi adque discendi nostro sermone perpellimus. Itaque inmunitatibus gaudeant et suscipiant docendos qui docere sufficiunt. Dat. prid. Non. Iul. Leontio et Sallustio conss.

[5] Front., De acqu., 105 Qui aquam in usus privatos deducere volet, impetrare eam debebit et a principe epistulam ad curatorem adferre; curator deinde beneficio Caesaris praestare maturitatem et procuratorem eiusdem officii libertum Caesaris protinus scribere. Procuratorem autem primus Ti. Claudius videtur admovisse, postquam Anionem Novum et Claudiam induxit. Quid contineat epistula, vilicis quoque fieri notum debet, ne quando neglegentiam aut fraudem suam ignorantiae colore defendant. Procurator calicem eius moduli, qui fuerit impetratus, adhibitis libratoribus signari cogitet, diligenter intendat mensurarum quas supra diximus modum et positionis notitiam habeat, ne sit in arbitrio libratorum, interdum maioris luminis, interdum minoris pro gratia personarum calicem probare. Sed nec statim ab hoc liberum subiciendi qualemcumque plumbeam fistulam permittatur arbitrium, verum eiusdem luminis quo calix signatus est per pedes quinquaginta, sicut senatus consulto quod subiectum est cavetur.

[6] Il tema lemmatico può concernere anche temi “interni”: ad es.: l’assemblea degli associati chiamata populus- ordo: cfr. J.P. Waltzing, ‘Collegium’, in E. De Ruggiero, «Dizionario epigrafico di antichità romane», II, Roma 1910, rist. Roma 1961, 376 col. b.

[7] J.P. Waltzing, ‘Collegium’, ivi, 340. Sulle associazioni professionali romane nel territorio dell’odierna Emilia Romagna, da segnalare una recente tesi di laurea inedita in Epigrafia e Istituzioni romane di L. Scarpellini, Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella regio octava lungo la via Aemilia: da Ariminum a Placentia, relatrice D. Rigato, A.A. 2013-2014, reperibile all’URL https://unibo.academia.edu/ LucaScarpellini, visitato il 10-1-2018.

[8] Per approfondimenti sul tema delle acque cfr. L. Maganzani, L’approvvigionamento idrico degli edifici urbani nei testi della giurisprudenza classica, in M. Antico Gallina (a cura di), Acque per l’utilitas, per la salubritas, l’amoenitas, Milano, 2004, 185-210; Ead., Le comunità di irrigazione nel mondo romano: appunti sulla documentazione epigrafica, giuridica, letteraria, in G. Purpura (a cura di), Revisione ed integrazione dei Fontes Iuris Romani Anteiustiniani (FIRA). Studi preparatori. I. Leges, 103-119; Ead., Ripae fluminis e dissesti idrogeologici a Roma: fra indagine geomorfologica e riflessione giurisprudenziale, in Jus. Rivista di Scienze Giuridiche 57 (2010), [1-2] 175-193; Ead., Acquedotti e infrastrutture idrauliche nella Roma dei Cesari: aspetti e problemi di diritto pubblico e privato, in Jus. Rivista di Scienze Giuridiche 57 (2010), [1-2] 195-201; Ead., Disposizioni in materia di acque, in G. Purpura (a cura di), Revisione ed integrazione dei Fontes Iuris Romani Anteiustiniani (FIRA) cit., 61-185; Ead., Le règlement des riparia dans les communautés d’irrigation dans le monde romain, 2014; Ead., Le inondazioni fluviali in Roma antica: profili giuridici, in La città liquida assetata. Storia di un rapporto di lunga durata, (M. Galtarossa e L. Genovese curr.), Roma 2014, 65-79. Cfr. anche M. Fiorentini, Sulla rilevanza economica e giuridica delle ville marittime durante la Repubblica e l’Impero, in Index, 24, 1996, 143 ss.; Id., Fiumi e mari nell’esperienza giuridica romana. Profili di tutela processuale e di inquadramento sistematico, Milano 2003; Id., Struttura ed esercizio delle servitù d’acqua nell'esperienza giuridica romana, in Contributi romanistici, Trieste, Edizioni Università di Trieste 2003; Id., L’acqua da bene economico a res communis omnium a bene collettivo, in Analisi Giuridica dell’Economia, 1, 2010; Id., Fructus e delectatio nell’uso del mare e nell’occupazione delle coste nell’età imperiale romana, in E. Hermon (cur.), Riparia dans l’Empire romain pour la définition du concept. BAR International Series, 2066, Oxford 2010, 263-282.

[9] Su cui, in questo lavoro, cfr. paragrafo 4.

[10] Su cui vedi infra paragrafo 2.

[11] Vedi supra nt. 2.

[12] Innanzitutto l’Epigraphik-Datenbank Clauss / Slaby, o EDCS (Manfred Clauss / Anne Kolb / Wolfgang A. Slaby); ho consultato poi il moderno EDR (Epigraphic Database Roma), la banca dati epigrafica che mette a disposizione on line fonti epigrafiche dell’Italia antica, della Sicilia e della Sardegna, e che si affianca all’EDH (Epigraphische Datenbank Heidelberg), per le province dell’Impero romano, e all’EDB (Epigraphic Database Bari), per le iscrizioni cristiane romane.

[13] Sulla quale cfr. infra paragrafo 4.

[14] CIL VI, 1673 (p 3173, 3813, 4730, 4793) = CIL VI, 31901a = ILS 1211 = EDCS-18100482: L(ucio) Aelio Helvio / Dionysio c(larissimo) v(iro) / iudici sacrarum cog/nitionum totius Orien(tis) / praesidi Syriae Coele / correctori utriusq(ue) / Italiae curatori aq(uarum) / et Miniciae curat(ori) / [6] / operum publicoru[m] / pontifici dei Sol(is) / [6] / collegium / fabrorum tignuar(iorum) / multis in se patrociniis co[nlatis.

[15] Ma con una variabilità di significato messa bene in luce da F. Del Chicca, Frontino e il ‘gergo’ degli aquarii, in Invigilata Lucernis, 28, 2006, pp. 75-84.

[16] CIL 8.2728 = 8.18122; ILS 5795. Algeria, Numidia (Tazoult, Lambaesis); senza data e EDCS-ID: EDCS-15600002. Numidia.

[17] Il lemma corpus o corpora è un termine collocabile nel lessico della tarda antichità: riferibile ad esempio agli insiemi di opere di uno stesso giurista come testimoniato da fonti note sull’uso dello ius controversum nei tribunali (CTh. 1.4.1, 2, 3, anno 426: le cd. “leggi delle citazioni”, sui cfr. G. Barone-Adesi, Ricerche sui corpora normativi dell'impero romano: I corpora degli iura tardoimperiali, Torino 1998); nell’ambito del nostro specifico tema cfr. la recentissima relazione di V. Crescenzi, Minima de collegiis, Relazione tenuta a Spello per il XXIII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Misteri e professioni della Tarda Antichità. Organizzazione. Lessico. Norme, Spello, 22-24 giugno 2017, il quale ha sottolineato come il termine corpus sia introdotto dalla Historia Augusta, che lo avrebbe preferito a quello di collegium. Questo dato, secondo Crescenzi, non è casuale poiché se ne trova riscontro nel 14 libro del Codice Teodosiano in cui gli enti identificati un tempo collegia vengono indicati per lo più come corpora. Tale conferma starebbe ad indicare un’evoluzione delle strutture che divennero infatti obbligatorie, in linea con le esigenze pubbliche di quel periodo storico. Sull’evoluzione dei collegia già R. Orestano, Il problema delle fondazioni in diritto romano, con un’appendice di Franca De Marini Avonzo ed una “nota di lettura” di Maria Campolunghi, Rivista di Diritto Romano, 8, 2008, reperibile anche all’URL http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano08Orestano.pdf, 67 ss. (prima ed. Torino 1959, cit.).

J. P. Waltzing, Collegium, ivi, p. 340, sosteneva che il lemma corpus (σύστημα) fosse molto frequente nel periodo imperiale romano e notava che il collegium fosse “autorizzato, riconosciuto come organismo pubblico, e dotato di personalità giuridica”.

[18]J. P. Waltzing, ‘Collegium’, ivi, pp. 345, 587, 655.

[19] J. P. Waltzing, Étude historique sur les corporations professionnelle chez les romains depuis les origines jusquà la chute de l’Empire d’Occident, I, Le droit d’association à Rome. Les colleges professionnel considérés comme associations privées, Louvain 1895, I, 197: “Feronenses aquatores, peut-être des foulons adorant Feronia, à Aquilée (V 992. 8307. 8308)”, e 284. Sugli aquatores Feronienses cfr. il recente contributo di F. Mainardis, Epigrafia e iconografia. Relazioni e rapporti nella documentazione Romana dell’Italia nord-orientale, in R. Laser (Hg.) Römische Steindenkmäler im Alpen-Adria-Raum Neufunde, Neulesungen und Interpretationen epigraphischer und ikonographischer Monumente. Akten der Tagung “Römische Steindenkmäler im Alpen-Adria-Raum. Neufunde, Neulesungen und Interpretationen epigraphischer und ikonographischer Monumente”, Klagenfurt 02.-04.10.2013, Klagenfurt – Ljubljana - Vien 2016, 283-308, pp. 289 s., secondo la quale il nome del collegio, in cui appare il nume tutelare, Feronia, esprime un chiaro riferimento all’acqua e a tutte le attività ad essa connesse. Su questa importante considerazione l’autrice rinvia a F. Fontana, Topografia del sacro ad Aquileia: alcuni spunti, in N. Cuscito, M. Verzár-Bass (a cura di), Aquileia dalle origini alla costituzione del Ducato longobardo. Topografia, urbanistica, edilizia pubblica. Atti della XXXIV Settimana di Studi Aquileiesi, 8 - 10 maggio 2003 (Antichità altoadriatiche, 59), Trieste 2004, p. 403, secondo la quale “è presumibile, quindi, che la presenza di Aquatores Feronienses in una citta il cui territorio subì importanti operazioni di bonifica, sia da collegare al ruolo assunto dalla dea proprio in questo ambito”.

[20] Vd. già RE e Diz. Epigr. s.v. aquatores.

[21] J. P. Waltzing, Étude historique sur les corporations professionnelle. Indices. Liste des collèges connus, leur organisation intérieure, leur caractère religieux, funéraire et public, leurs finance, IV Louvain 1900, p. 7 sub v. Conlegium aquae.

[22] J. P. Waltzing, Étude historique sur les corporations professionnelle. Indices, ivi, p. 24 sub v. Fullones.

[23] O. Gradenwitz, Heidelberger Index zum Theodosianus, Berlin 1925; Id., Ergänzungsband zum Heidelberger Index zum Theodosianus. 1. Theodosianische und Nachtheodosianische Novellen, Berlin 1929.

[24] CTh. 13.4.3 (344 Iul. 6) Impp. Constantius et Constans AA. ad Leontium praefectum praetorio. Mechanicos et geometras et architectos, qui divisiones partium omnium incisionesque servant mensurisque et institutis operam fabricationi stringunt, et eos, qui aquarum inventos ductus et modos docili libratione ostendunt, in par studium docendi adque discendi nostro sermone perpellimus. Itaque inmunitatibus gaudeant et suscipiant docendos qui docere sufficiunt. Dat. prid. non. iul. Leontio et Sallustio conss.

[25] Cfr. CTh. 13.3.1, collocata sotto la rubrica De medicis et professoribus: Imp. Constantinus A. ad Volusianum. pr. (321/4 Aug. 1) Medicos, grammaticos et professores alios litterarum inmunes esse cum rebus, quas in civitatibus suis possident, praecipimus et honoribus fungi; in ius etiam vocari eos vel pati iniuriam prohibemus, ita ut, si quis eos vexaverit, centum milia nummorum aerario inferat a magistratibus vel quinquennalibus exactus, ne ipsi hanc poenam sustineant, 1. Servus eis si iniuriam fecerit, flagellis debeat a suo domino verberari coram eo, cui fecerit iniuriam, vel, si dominus consensit, viginti milia nummorum fisco inferat, servo pro pignore, donec summa haec exsolvitur, retinendo. 2. Mercedes etiam eorum et salaria reddi praecipimus. 3. Quoniam gravissimis dignitatibus vel parentes vel domini vel tutores esse non debent, fungi eos honoribus volentes permittimus, invitos non cogimus. Proposita kal. Aug. Sirmio Crispo et Constantino cc. conss. La legge è ripresa dai compilatori giustinianei in C. 10.53.6, posta sotto la rubrica De professoribus et medicis e, secondo l’apparato filologico di Mommsen, aggiunta alla legge 3 (CTh. 13.3.1) Imperator Constantinus A. ad populum. Medicos et maxime archiatros vel ex archiatris, grammaticos et professores alios litterarum una cum uxoribus et filiis nec non etiam rebus, quas in civitatibus suis possident, ab omni functione et ab omnibus muneribus civilibus vel publicis immunes esse praecipimus neque in provinciis hospites recipere nec ullo fungi munere nec ad iudicium deduci vel exhiberi vel iniuriam pati, ut, si quis eos vexaverit, poena arbitrario iudicis plectetur. 1. Mercedes etiam eorum et salaria reddi iubemus, quo facilius liberalibus studiis et memoratis artibus multos instituant. PP. V K. Oct. Constantinopoli Dalmatio et Zenophilo conss. (a. 333). P. Krueger, Codex Iustinianus, Berolini MCMVI, ci informa che C. 10.53. 6 deriva da CTh. 13.3.1, 2 e 3.

[26] D. V. Piacente, Aspetti della politica culturale di Costantino, in Studia Antiqua et archeologica XIX, 2013, pp. 5-14, 9 e nt. 14.

[27] CTh. 14.15.4(398 Apr. 12) Idem AA. Theodoro praefecto praetorio. pr. Improborum petitiones, qui impudentius ausi sunt postulare pensiones aquae molarum, quae urbi venerabili annonas abundantius praestitissent, quinque librarum auri multa infligat, nisi ab hac petendi importunitate discedant. Illos etiam, qui potestati praefecturae annonariae praesunt, et apparitores, qui isdem ministeriis obsecundant, par multa retineat, si cuiusquam improbissimi hominis consenserint vel paruerint voluntati. 1. Simili autem poena teneantur, qui aliquid ex his horreis cellulisve, quae intra urbem Romam adque in portu constitutae pistorio iure retinentur, sibimet tamquam possessione privata ausi fuerint vindicare. Dat. prid. id. April. Mediolano Honorio a. IIII et Eutychiano conss., legge non ripresa da Giustiniano.

[28] O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für diie Jahre 311 bis 476 N. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit, Unveränderten Nachdruck der Ausgabe Stuttgart 1919, Frankfurt/Main 1984, 294.

[29] CTh. 15.2.1 (330 Mai. 18) Imp. Constantinus A. ad Maximilianum consularem aquarum. Possessores, per quorum fines formarum meatus transeunt, ab extraordinariis oneribus volumus esse inmunes, ut eorum opera aquarum ductus sordibus obpleti mundentur, nec ad aliud superindictae rei onus isdem possessoribus adtinendis, ne circa res alias occupati repurgium formarum facere non occurrant. Quod si neglexerint, amissione possessionum multabuntur: nam fiscus eius praedium obtinebit, cuius neglegentia perniciem formae congesserit. Praeterea scire eos oportet, per quorum praedia ductus commeat, ut

Bianchi Paola



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